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LETTERE DAL BOSCO
Trecento storie di animali
di Toon Tellegen
“Secondo me – disse lo scoiattolo – io adesso sono felice. Penso che non potrò mai essere più felice di così”.
“Be’…- disse la formica. – E se adesso vedessi volare una torta al miele?”. Lo scoiattolo restò in silenzio.
Guardò l’acqua luccicante e pensò: dunque non sono poi così felice…
Presentazione realizzata da
Classe 2A
Scuola Prandoni a.s. 2018-19
Settimana della lettura
“Secondo me – disse lo scoiattolo – io adesso sono felice. Penso che non potrò mai essere più felice di così”.
“Be’…- disse la formica. – E se adesso vedessi volare una torta al miele?”. Lo scoiattolo restò in silenzio.
Guardò l’acqua luccicante e pensò: dunque non sono poi così felice…
STRADA CHIUSA, diceva un cartello lungo il sentiero laterale.
Assai controvoglia lo scoiattolo prese quel sentiero che ben
presto terminò in un folto cespuglio spinoso.
Patrick Di Mauro
Luca Durini
Non passava giorno senza che lo scoiattolo se ne andasse in giro. Al mattino si lasciava
cadere sul muschio giù dal faggio oppure, a volte, dalla punta di un ramo finiva nello
stagno proprio sul dorso della libellula, che poi senza fiatare lo portava sull'altra riva.
Prendeva sempre la prima strada che gli si parava davanti. Ma se poi gli capitava un
viottolo laterale lo imboccava, e se gli riusciva di scordarsi dei progetti che aveva per la
giornata, se li scordava.
Così un giorno stava andando dall'elefante, che traslocava e aveva bisogno di aiuto,
quand'ecco che vide un sentiero sabbioso tutto pieno di curve. Lo prese. C'era un cartello
che diceva: STRADA VERSO IL LIMITE. È lì che voglio andare!, pensò lo scoiattolo. Ma con
gran dispiacere incontrò subito un'altra deviazione che non poteva proprio trascurare,
anche se avrebbe tanto voluto.
STRADA CHIUSA, diceva un cartello lungo il sentiero laterale. Assai controvoglia lo
scoiattolo prese quel sentiero che ben presto terminò in un folto cespuglio spinoso. Lo
scoiattolo si graffiò tutto ed ebbe un bel da fare per districarsi. Poi rotolò in un fosso e
dormì sotto una coltre di foglie secche.
Quando si svegliò era sera e poté mettersi di nuovo a dormire.
Il mattino seguente raggiunse una strada che lo portò alla spiaggia senza deviazioni né
altri viottoli laterali. Lì trovò una barca pronta. Lo scoiattolo salì a bordo e navigò verso
l'orizzonte, e poi oltre ancora per mari agitati, attraverso archi scavati negli iceberg e sul
pelo dell'acqua ghiacciata, verso sempre nuovi orizzonti. A volte colava a picco sul filo di
un gorgo gigantesco, altre volte volava di cresta in cresta sopra le onde spumeggianti.
Il sole diventava sempre più grande, o forse era solo che si avvicinava sempre di più.
Infine un'onda gettò lo scoiattolo su una costa dove gli capitarono delle avventure, così
tante e così meravigliose che quando poco dopo tornò a casa ne parlò per settimane.
Finché un giorno la formica e il porcospino, due suoi amici, non ne poterono più e
finirono per dirglielo.
«E ovunque laggiù...», provò a insistere lo scoiattolo.
«Basta!», gridò la formica.
Erano tutti riuniti al banchetto. Non
sapevano cosa stessero
festeggiando, ma cosa
mangiavano lo sapevano eccome.
Jacopo Sala
Ibrahim Sabhir
Erano tutti riuniti a banchetto. Non sapevano cosa stessero festeggiando, ma cosa
mangiavano lo sapevano eccome. Lo scoiattolo appoggiato sui gomiti beveva
rumorosamente del succo di ghiande di faggio con una cannuccia, tagliata in riva al
fiume, e accanto a lui sedeva la formica. Tra le mani teneva una gigantesca zolletta di
zucchero che succhiava e ogni tanto mordeva, poi a un certo punto fece: «Hmm», e
sembrò quasi che grugnisse. Seduto poco più in là, il cervo aveva una grande foglia di
farfaro nel piatto e con coltello e forchetta la tagliava a pezzettini, che poi si infilava in
bocca uno a uno. Era molto contento di trovarsi lì. Di fronte a lui c'era l'ape che reggeva
un calice d'ortica e senza badare a nient'altro beveva del miele dolcissimo.
«Ape, ape, ape!», gridava ogni tanto il cinghiale accanto a lei, ma l'ape non lo sentiva. Il
cinghiale si mangiò un piatto di pastone, e quando ebbe finito prese anche un secchio
pieno di tozzi di pane immersi nel latte acido. Vicino a lui sedeva l'afide, che si era
portato il suo cibo, e accanto c'era il corvo, che beccava una fettuccia di liquirizia nera e
lucida, mentre più in là il persico galleggiava pigramente sul dorso in un letto d'acqua in
cui fluttuavano delle alghe che succhiava di tanto in tanto. A volte sussurrava qualcosa
all'orecchio della giraffa, che allora abbandonava per un attimo il suo dessert
di rose rosa e cardi e annuiva cortese.
Poco più in là c'era anche l'elefante che si deliziava con dei grossi pezzi di corteccia
adagiati su un vassoio di abete: corteccia di betulla, di castagno, di faggio, di olmo, di
pino, di quercia, di salice e di tiglio, che mangiava in ordine alfabetico. La iena stava lì tra
loro un po' sperduta, con un piatto vuoto davanti a sé, e accennava appena un risolino
insulso. La zanzara pungeva la punta di un naso che aveva nel piatto ed era visibilmente
soddisfatta. A capotavola sedeva il coleottero, che con le zampette si dava da fare a tirar
fuori una pietanza nera da una scatola, mentre la rana e il rospo, seduti vicini per la prima
volta, bevevano alla loro salute e decidevano di frequentarsi più spesso.
Il cielo sopra il bosco era azzurro e il sole si rifletteva mille e mille volte nei bicchieri
scintillanti degli animali presenti, seduti in file interminabili. A ogni istante uno di loro
pronunciava una sola parola: «Amici», disse la colomba. Tutti applaudirono una sola volta
e poi ripresero a mangiare. «Noi», disse la vespa. «Oh», disse il rinoceronte.
Se qualcuno avesse parlato più a lungo, tanto di quel cibo sarebbe diventato freddo che
sarebbe stato un peccato, perché in fondo il vero motivo della festa era mangiare, e oltre
a quello ce n'era tutt'al più un altro, ma meno importante, di cui nessuno sapeva
granché. Quando si fece buio la lucciola si accese e il leopardo lasciò vagare lo sguardo
sui tavoli. Gli alberi e il vento provvidero alla musica. Al sorgere del sole erano ancora
seduti lì, ma la maggior parte di loro dormiva. Solo la formica continuava ancora a
succhiare la sua zolletta gigantesca. I raggi caldi del sole sciolsero gli ultimi pezzetti di
ghiaccio rimasti nella coppa del tricheco.
“ALLORA FAI UNPO’ COMETIPARE“
disse la mosca, che puntò bruscamente
verso l’alto, fece una stretta virata e poi
scese giù in picchiata. Lo scoiattolo perse
la presa e volò per aria.
Michele Piu
Cristiano Avanzi
Un bel giorno lo scoiattolo e la formica partirono per un lungo viaggio verso il nord.
Traversarono il mare e si ritrovarono ben presto in mezzo agli iceberg. Faceva così freddo
che avevano la bocca irrigidita e non riuscivano più a dirsi che avrebbero fatto meglio a
tornare a casa. Così ripresero il viaggio. Alla fine dato che non riuscivano più a muoversi,
si sdraiarono su una lastra di ghiaccio che galleggiava in mezzo al mare gelato.
Dopo molto tempo la lastra di ghiaccio li portò alla deriva verso sud. Cominciò a fare
caldo, il ghiaccio si sciolse e infine raggiunsero a nuoto la riva, non lontano dal bosco.
Faceva un tempo così bello che perfino lo squalo cantava, quando di tanto in tanto
sporgeva la testa al di sopra della superficie piatta e immobile dell'acqua.
Ma la formica e lo scoiattolo erano sfiniti. La formica riuscì ancora a strisciare verso casa,
ma lo scoiattolo restò sdraiato dove si trovava.
D'un tratto avvertì qualcosa di morbido sulla faccia. Rotolò su un fianco e si accorse che
era l'ala della mosca. «Vieni con me?», chiese la mosca. «Sono appena tornato»,
rispose lo scoiattolo. «E allora?», disse la mosca. «Sono stanco».
«Ma puoi dormire, in groppa a me!», disse la mosca. A fatica lo scoiattolo si issò sul dorso
della mosca. Ma appena si fu seduto e vide il bosco sotto di sé, si sentì di nuovo in forma.
Raggiunsero l'airone che battendo le ampie ali volava sopra il fiume, che rifletteva i raggi
del sole. E là in basso passava l'elefante. Sembra proprio un aspirapolvere! pensò lo
scoiattolo. E laggiù c'era il coleottero, che non aveva mai avuto un così bel luccichio.
Lo scoiattolo sul dorso della mosca saltava da una parte all'altra per non perdersi nulla.
«Non fare così», disse la mosca. Ma lo scoiattolo si mise a testa in giù, appeso a un'ala
per le zampe, di modo che a terra tutti si fermarono a guardare stupiti verso l'alto, e non
diede retta alla mosca. «Allora fai un po' come ti pare», disse la mosca, che puntò
bruscamente verso l'alto, fece una stretta virata e poi scese giù in picchiata. Lo scoiattolo
perse la presa e volò per aria. Disegnando un'elegante traiettoria ad arco, che gli
guadagnò l'ammirazione di decine di animali, finì nello stagno, dove la rana stava giusto
per mettersi a fare cra cra. Allora la rana aspettò ancora un istante e poi gracidò:
«Buongiorno signore, molto lieta...».
Ma non riuscì a dire altro, perché lo scoiattolo le si appoggiò pesantemente sul dorso e la
trascinò sott'acqua.
Il sole splendeva, qualche piccolissima
nuvola vagava per il cielo e loro quel giorno
non avevano niente di speciale da fare. n
Jacopo Bella
Niccolò Trombetta
Un bel pomeriggio lo scoiattolo e la formica decisero di fare una gara. Il sole splendeva,
qualche piccolissima nuvola vagava per il cielo e loro quel giorno non avevano niente di
speciale da fare. Per prima cosa pensarono a quale avrebbe dovuto essere il primo
premio, ma non riuscirono a farsi venire un'idea. Poi cominciarono a pensare a che tipo di
gara avrebbero fatto. La maggior parte delle cose non li attirava per niente: correre,
trascinare rami, scavare, arrampicarsi, cantare, strisciare, saltare, fare la verticale: di tutto
questo non avevano alcuna voglia. «Andiamo prima a mangiare», disse infine lo
scoiattolo. «Ecco una buona idea», disse la formica. «Io ho ancora una ghianda», disse lo
scoiattolo, e ne tirò fuori una bella grossa e luccicante. «E io ho ancora un tocco di
zucchero», disse la formica tirando fuori un magnifico tocco di zucchero dalla tasca.
Lo scoiattolo stava già cominciando a rosicchiare, ma la formica lo fermò e disse: «Conto
fino a tre e poi, via. Chi se ne pappa di più vince. Uno, due, tre». Con gran voracità si
lanciarono sulle loro leccornie. Lo scoiattolo era il più avido. Il rumore dei suoi denti che
rosicchiavano riecheggiava in mezzo agli alberi, e intanto gli brillavano gli occhi. La
formica era la più meticolosa e succhiava con gran cura il suo tocco di zucchero
tutt'intorno. Sembrava proprio che lo facesse in punta di piedi. Si teneva il collo con una
delle zampette davanti, per puro piacere, mentre le altre luccicavano tutte.
Continuarono a mangiare così per lungo tempo.
«Finito», disse lo scoiattolo ripulendosi le ultime briciole dagli angoli della bocca.
«Anch'io», disse la formica lasciandosi cadere all’indietro soddisfatta.
Restarono a lungo in silenzio. Poi si ricordarono della gara. La formica, visto che non
avevano un primo premio, propose di assegnare a entrambi il secondo. Lo scoiattolo si
disse d'accordo. Poi la formica propose di tenere l'indomani un'altra sfida, nello stesso
posto e alle stesse condizioni. Anche su questo lo scoiattolo fu pienamente d'accordo.
«Io ho ancora una pannocchia di zucchero», disse la formica. «E io ho qualcosa di cui non
so il nome», disse lo scoiattolo. «Allora non è una ghianda?», chiese la formica. «No, di
quella il nome lo so». «Liquirizia, forse?», chiese la formica. «No, neppure».
«Lupini cremolati? Un pan di meringa? Una meraviglia candita?» chiese la formica
sempre più incuriosita. «No, non so proprio com'è che si chiama», disse lo scoiattolo.
«Ma tanto lo vedrai domani». «Fluido magico? Panna?» chiese ancora la formica. Ma lo
scoiattolo se n'era già andato verso casa, deciso a fare anche l'indomani
un'impareggiabile scorpacciata.
«Una gomma?», girando ancora dietro la formica. «Una gomma ripiena??».
Quella sera faceva ancora caldo. La formica e
lo scoiattolo stavano sdraiati sul dorso in
silenzio uno accanto all’altro a guardare le
stelle. Videro L’Orsa maggiore, e Orione, che
sembrava volesse scappar via. Ma dove?
Silvia Invernizzi
Kiara Ramirez
Era una giornata calda e lo scoiattolo pensava a una sola cosa: nuotare. Si diresse alla
piscina che il castoro e il topo avevano costruito al margine del bosco, e dove il serpente
faceva il bagnino. Si era infilato il costume e stava per tuffarsi in quell'acqua così
invitante, quando il serpente strisciò verso di lui. «Fammi vedere un po' i piedi!», sibilò.
«Aha! Non sono puliti». «Ma sono sempre così!», disse lo scoiattolo. Ma sapeva che era
inutile contraddire il serpente. «E dov'è la cuffia per la coda?», chiese il serpente.
«Cuffia per la coda?». «Non è mica una bella cosa, così con la coda nuda...»,
sussurrò il serpente. «Ma...». «E piena di peli annodati. Guarda. Aha».
E fece scorrere la sua coda su e giù accanto a quella dello scoiattolo.
«Io voglio fare il bagno! Adesso!», disse lo scoiattolo.
Ma il serpente era inflessibile e agitava minaccioso la lingua. Così dopo un po' lo
scoiattolo si ripresentò sul bordo della piscina con i piedi puliti e una cuffia viola sulla
coda. Intanto si era fatto ancora più caldo e senza esitare si tuffò in acqua.
Ah, che bello, pensava. Tirò fuori la testa per prendere fiato e udì il serpente sibilare: «È
ora! Tutti fuori!». L'elefante, che lavorava lì temporaneamente come custode, svuotò
immediatamente la piscina risucchiando tutta l'acqua e lo scoiattolo si ritrovò
all'improvviso sul fondo prosciugato. Gli vennero le lacrime agli occhi.
«Se vuoi piangere, pensa prima a qualcosa di triste», disse il serpente.
«Ma questo è triste». Disse lo scoiattolo singhiozzando. «Che cosa?».
«Che non posso fare il bagno. Mentre fa un caldo tale che suda perfino il coleottero».
«Triste è dover essere sempre di malumore, come me», disse il serpente.
«È vero», disse lo scoiattolo. Osservò attentamente il serpente e gli parve di scorgere
persino una lacrima che luccicava in uno dei suoi occhi malevoli. Ma forse stava solo
guardando attraverso una delle sue stesse lacrime. «Ah...», disse il serpente.
«Lascia stare. Piuttosto vattene! È ora no? Cosa fai ancora lì? Fuori!».
Il serpente puntò la lingua contro lo scoiattolo che a quel punto pensò solo ad
arrampicarsi in fretta sul bordo e a sparire nella sua cabina.
Quella sera faceva ancora caldo. La formica e lo scoiattolo stavano sdraiati sul dorso in
silenzio uno accanto all'altro a guardare le stelle. Videro l'Orsa maggiore, e Orione, che
sembrava volesse scappar via. Ma dove?
LO SCOIATTOLO NON RIUSCIVA PIÙA TOGLIERSI I PANTALONI E STRISCIANDO E
INCIAMPANDO RUZZOLO’ FUORI DALLA PORTA SUL MARCIAPIEDE, NON RIUSCÌ A
RIMETTERSI IN PIEDI E STRISCIO’ CON TUTTI I PANTALONI FINO ALLO STAGNO DOVE,
CONTINUANDO A DIMENARSI, FINÌ SUL DORSO DELLA RANA E SPARÌ SOTT’ACQUA
Angelica Mauri
Emma Cavadini
Lo scoiattolo si trovava nel negozio del picchio. Si provava dei pantaloni mentre il picchio
gli reggeva lo specchio. «Uhm», disse lo scoiattolo, «non lo so». «Dai», disse il picchio,
«su, prendilo un po', almeno fai un piacere a me». «Non so, non so», disse lo scoiattolo.
Suonò il campanello e la giraffa entrò nel negozio. «Avete anche lacci da scarpe?»,
domandò. «Hmm», disse il picchio, «me lo chiedo anch'io, ma si accomodi un attimo. Ho
senz'altro qualcosa per lei, anche se non sono dei lacci». Entrò il coleottero, che voleva
un cappello. «Un cappello nero piccolo così, con una penna di velluto sulla sinistra, un
bottone di rame in mezzo e un bordino giallo in basso, taglia quattro e mezzo».
«Mi lasci pensare», disse il picchio. «No», disse la giraffa, «lei può pensare a una sola
cosa per volta. Almeno per me è così. Non so se per lei è diverso».
«No, anche per me è così», disse il picchio. «Quanto costa un cappello così?», chiese il
coleottero, «Non dev’essere troppo caro». «Lo pensavo anch'io», disse la giraffa.
«Ma a cosa sta pensando adesso?». «Lo trovo davvero troppo stretto», disse lo
scoiattolo. Suonò il campanello e il serpente strisciò dentro.
Chiese se poteva solo guardarsi un istante allo specchio.
«Ma che bel soffitto che ha», disse alzando beato gli occhi verso l'alto. «Sono travi
autentiche», disse il picchio. «Cos'è che le avevo chiesto?», domandò la giraffa.
«Posso prendere un momento lo specchio, per dopo, per il mio cappello?», disse il
coleottero togliendo lo specchio al serpente che si era alzato in tutta la sua lunghezza
proprio in quell'istante e stava per guardarsi. «No», disse lo scoiattolo. «Non lo prendo.
Non è esattamente della mia misura». «Ha proprio ragione», disse il picchio, «se non è
della sua misura. Sarebbe molto sciocco». «Allora non se lo ricorda più?», domandò la
giraffa. «Ma sì, sì», disse il picchio stavolta rivolto a tutti quanti insieme.
Il serpente scivolò fuori inosservato e scoraggiato. Non sapeva ancora che aspetto aveva
di preciso. «Una volta aveva anche delle cravatte lucide», disse il coleottero.
«Sì è vero», disse il picchio, «sono contento che se ne sia ricordato». «Con quei fermagli
smaltati», continuò il coleottero. «No, non me lo ricordo più», disse il picchio e si voltò
verso la giraffa che lo aveva afferrato per le spalle. «Ma dove avete la testa!»,
urlò la giraffa. « Sì», disse il picchio, «hai ragione».
Lo scoiattolo non riusciva più a togliersi i pantaloni e strisciando e inciampando ruzzolò
fuori della porta sul marciapiede, non riuscì a rimettersi in piedi e strisciò con tutti i
pantaloni fino allo stagno dove, continuando a dimenarsi, finì sul dorso della rana e sparì
sott'acqua. «Come facevi a sapere che dovevi trovarti proprio in quel punto per
salvarmi?», chiese più tardi lo scoiattolo. «Fai un po' attenzione», disse la rana.
Poco dopo il coleottero uscì fuori barcollando. Indossava uno strano cappello nero che
non riusciva più ad alzare sopra gli occhi, cadde in acqua e venne salvato.
Grondanti e infreddoliti lo scoiattolo e il coleottero tornarono a terra. Udirono la giraffa
che ancora gridava: «Ma saprà almeno una buona volta cos'è che è così? Come stanno
davvero le cose? Perché, e cos'è che cerco? E cos'è che lei non sa?».
Intravidero ancora per un istante il picchio, smunto e ingobbito, in un angolo del negozio.
«Certo che mi fa delle belle domande!», lo sentirono ancora dire.
Va bene anche così, pensò l’airone, ma non era questo che intendevo.
E mentre lo scoiattolo era ancora lì che dormiva tranquillo, l’airone
scostò ancora una volta la ninfea e con un profondo sospiro mangiò
per l’ennesima volta il pesce rosso.
Dana Martelli
Sofia Maeva Pesenti
Una volta che lo scoiattolo dormiva in mezzo all'erba alta sulla riva del canale, il pesce
rosso chiese all'airone: «Cosa ti succede? Oggi mi lasci nuotare in pace».
«Ah...», rispose l'airone. «Sei malato?», chiese il pesce rosso. «Non è da te».
«No», disse l'airone. Sospirò e poi riprese: «Ti ho già mangiato cento volte».
«Credo almeno mille volte», disse il pesce rosso. «Ma lasciamo perdere. Va avanti».
«Sì, mille volte», disse l'airone. «E appena ti ho finito sono molto soddisfatto. Ma
neanche un'ora dopo ho fame di nuovo e ti vedo che nuoti qui un'altra volta. Sembra che
non finisca mai...». «E quale dovrebbe essere la fine?», lo interruppe il pesce rosso.
«Non lo so», disse l'airone, alzando il becco sconsolato al cielo, «perché non ci si arriva
mai». «Continua». «Si tratta sempre e soltanto delle stesse due cose: la fame e te.
Ti mangio e sparite tutti e due. Faccio un sonnellino, mi sveglio ed eccovi di nuovo qui:
la fame, da qualche parte in fondo al becco, e tu, lì accanto alle ninfee, dietro la tifa,
poi ti mangio di nuovo, mi addormento un'altra volta... Come se fossi la pioggia!
Ma io non sono la pioggia!».
«No», disse il pesce rosso. «Io sono l'airone». «Sì», disse il pesce rosso. «E non voglio mai
più avere fame». «Sì» disse il pesce rosso. «E voglio mangiarti per l'ultima volta».
«Sì... hmm... voglio dire, no... o forse, sì...», disse il pesce rosso.
«Ma poi mi lascerai in pace?». «Poi mi metterò a studiare. Con questa fame non si
combina mai niente. Penso che mi metterò a studiare per diventare trapanatore di legno
o cavaterra. Mi sembra molto interessante il sottosuolo. E col mio tipo di becco ci sono
certo portato». «Allora d'accordo», disse il pesce rosso e si fece ingoiare per l'ultima
volta. «Se con questa fosse davvero finita una buona volta...», esclamò, mentre scivolava
giù per la lunga gola contorta dell'airone. Il sole splendeva e l'airone sonnecchiava
soddisfatto in riva al canale che scorreva tra il prato e il bosco. Ma quando più tardi riaprì
gli occhi vide il pesce rosso che nuotava di nuovo e agitava una pinna verso di lui in segno
di ammonimento. Va bene anche così, pensò l'airone, ma non era questo che intendevo.
E mentre lo scoiattolo era ancora lì che dormiva tranquillo, l'airone scostò ancora una
volta la ninfea e con un profondo sospiro mangiò per l'ennesima volta il pesce rosso.
«Non è giusto...», gridò di nuovo il pesce rosso.
Caro gufo,
Sai, devo pensare sempre un po’ a te.
Voglio dire d’ora in avanti. Perché mi sei
simpatico. Mi scriverai presto una lettera?
Ciao !
Scoiattolo
Luca Bettoni
Cristiano Veronelli
Lo scoiattolo era sconsolato. Il vento lo aveva saltato un'altra volta senza portargli
nessuna lettera. Nessuno mi pensa, diceva tra sé. Mentre lui invece pensava a mille altri
animali. Pensava alla formica e all'ippopotamo e alla zanzara, e pensava alla lontra e al
leone e alla gazza, all'orso, alla vespa, all'elefante, al passero. Pensava a tutti.
A chi mai non pensava?
«A me», disse una voce. Lo scoiattolo sobbalzò e guardò fuori.
Pioveva e non si vedeva nessuno. «Uhu», gridò. «Uhu», rispose la voce.
«Dove sei, cioè, chi sei?» gridò lo scoiattolo. «Sono qui». «Qui?».
Allora lo scoiattolo vide il gufo, tutto rannicchiato in un angolino buio, accanto alla porta.
«Ah, sei tu», disse lo scoiattolo.
«Vedi?», disse il gufo. «Non mi pensavi, e invece io è da giorni che penso a te!».
«A me??». «A te!», disse il gufo. «Guarda».
Aprì le ali e lo scoiattolo lesse da una punta all'altra:
Ciao scoiattolo, come vanno le cose? Qui va tutto bene, cioè, magari non tanto,
perché non mi pensi mai. Mi pensi ogni tanto? Ciao ciao! Gufo
Quindi il gufo ripiegò le ali, si scrollò un paio di volte e poi le riaprì. Erano bianche. Serio,
con gli occhi che gli luccicavano, porse un ramoscello allo scoiattolo che scrisse:
Caro gufo, sai, devo pensare sempre un po' a te. Voglio dire: d'ora in avanti.
Perché mi sei simpatico. Mi scriverai presto un'altra lettera? Ciao! Scoiattolo
Il gufo ripiegò le ali con gran cura, spiccò il volo e se ne andò.
Lo scoiattolo rientrò in casa per andare a sedersi alla finestra e riflettere un po'.
Devo aiutarla, pensò lo scoiattolo. Scivolò in
un baleno giù dal suo ramo e corse nel bosco.
“Mosca… mosca… dove sei… sto arrivando…”
gridò rallentando ben presto la sua corsa
essendo finito in un cespuglio.
Andrea Monti
Tommaso Schiavio
Lo scoiattolo si stropicciò gli occhi. Era stato svegliato di soprassalto da un urlo,
o da un grido. Aveva forse sognato? Aguzzò le orecchie...
«Ahiiiiiii...». Udì di nuovo lo stesso grido. Ora ne era certo. Era il grido della mosca, che
doveva avere bisogno di aiuto. Tirò giù le zampe e poi la coda dal letto e andò alla
finestra. Ma era notte fonda, una notte di luna nuova, e lo scoiattolo non riusciva a
vedere niente. Aprì la porta e scrutò fuori più intensamente che poteva. Sembrava quasi
che gli occhi gli si crepassero, ma non riusciva a vedere nulla. E udiva soltanto il lieve
fruscio della pioggia contro le foglie del suo albero. Accidenti, pensò, un altro falso
allarme. Anche la mosca se ne starà in casa stasera. Forse ha ronzato troppo un'altra
volta, e la forbicina le è salita su un'antenna, oppure… «Ahiii... ahiii... ahiii...», risuonò
nuovamente il grido, ma stavolta più lamentoso e più vicino. Devo aiutarla, pensò lo
scoiattolo. Scivolò in un baleno giù dal suo ramo e corse nel bosco. «Mosca… mosca...
dove sei... sto arrivando...», gridò rallentando ben presto la sua corsa essendo finito in
un cespuglio. «Ahiiiii... ahi...». D'un tratto si trovò davanti alla mosca, la riconobbe dal suo
modo di sospirare. «Che cosa ti succede?», domandò lo scoiattolo.
«Eh», disse la mosca, «vorrei tanto saperlo anch'io». «Ma ti ho sentito gridare... ahi... o
ahiii... o ahiiiii... non so, non sono tanto bravo a gridare».
«Sì, l'ho sentito anch'io». «Ma allora cosa c'è?». «Non lo so». «Ma stavi gridando».
«E allora? Non devo mica sapere anche perché, no?». «Ma eri tu che gridavi?!!».
«Eh eh, lo so bene. Tutto qui quel che sai dirmi? Non devi essere mica tanto sveglio. Ti sei
di certo addormentato di nuovo. Sì sì». Se fosse stato giorno anche da molto lontano si
sarebbe visto lo scoiattolo gonfiarsi poco a poco fino al punto di scoppiare. «Lascia
stare», disse in un soffio. «Lascia stare cosa?» chiese la mosca. «Che stavi dormendo, o
che l'unica cosa che sai dire è che mi hai sentito gridare, quando l'avrebbe sentito anche
una campana?». «Lascia stare», sussurrò lo scoiattolo con un filo sempre più sottile di
voce. «Ti ho chiesto: lascia stare cosa?». «Niente». «Niente cosa?».
«Niente vuol dire niente». «Allora non mi servi a niente. Avresti almeno potuto
immaginare qualcosa». A quel punto lo scoiattolo scoppiò. Tutti gli animali si svegliarono
di colpo. La formica giunse per prima sul luogo del disastro e raccolse i pezzi dello
scoiattolo come meglio poté. «Cosa è successo?», domandò.
«Non lo so», disse la mosca. «Qualcosa lo ha infastidito. Ma cosa? Non saprei proprio. Ho
cercato di chiedergli cosa c'era, ma era rimasto quasi senza voce e continuava a
bisbigliare: lascia stare, lascia stare...». «Capisco», disse la formica, che aveva i suoi
sospetti. Si caricò lo scoiattolo in spalla, lo legò con un ramoscello e lo portò a casa sua.
Lì lo incollò di nuovo tutto intero. Lo scoiattolo dormì fino a tardi il giorno dopo. Non
raccontò mai a nessuno i fatti di quella notte. E quando incontrava la mosca la salutava
amichevolmente e faceva finta di aver perso la memoria nello scoppio. Ma non era così.
Al mattino dell’ottavo giorno il cinghialesi ritrovò all’alba nella radurain
mezzo al bosco a gridare: “Dov’è la luna?Voglio la luna!
Esigo la luna!Aiutatemi! Riportate qui la luna! Prendeteil ladro! Hofame!
Aiuto!”
Gianluca Molinari
Lorenzo Corti
Correva voce nel bosco che la rana si fosse mangiata la luna. In primo luogo erano già
sette notti che la luna non si vedeva, e in secondo luogo la rana era più gonfia che mai.
Di notte nel bosco era buio pesto e chi andava in giro poteva star certo di inciampare, di
sbattere da qualche parte, di cadere dentro qualcosa, di sbagliare strada e di non arrivare
a destinazione. Chi proprio non riusciva a sopportarlo era il cinghiale. Siccome era quasi
sempre affamato, non saltava mai un compleanno, fosse di chi fosse, e perciò doveva
mettersi ogni sera in cammino. Ora erano ormai sette notti che usciva invano. La formica,
il coleottero, il tordo, la giraffa, il luccio, il porcospino e la zanzara avevano sentito la sua
mancanza ai loro compleanni. Al mattino dell'ottavo giorno si ritrovò all'alba nella radura
in mezzo al bosco a gridare: «Dov'è la luna? Voglio la luna! Esigo la luna! Aiutatemi!
Riportate qui la luna! Prendete il ladro! Ho fame! Aiuto!».
Andò avanti così fino a mezzogiorno, finché gli animali che abitavano nei dintorni della
radura non ne poterono più e lo imbavagliarono con una foglia di quercia.
Lui continuò a grugnire lo stesso, ma così non disturbava più nessuno. Nel tardo
pomeriggio se ne tornò a casa. Lo scoiattolo lo vide trottare sconsolato e grugnire
sottovoce. Gli faceva pena e disse al merlo: «Così non va. Stasera la luna deve
assolutamente tornare. Altrimenti, temo che in questo bosco non ci sarà più posto per
tutti». Il merlo era d'accordo con lui e lo disse all'usignolo, che compose una canzone
sull'argomento e la cantò al cervo, mentre il cervo la sussurrò in un orecchio al ragno, lì
dietro la zampa anteriore sinistra. E il ragno la scrisse con dei grossi fili tesi tra il castagno
e la quercia: stasera la luna deve tornare.
Ora, che fosse stata o meno la rana a mangiarsela, o ci fosse lo zampino di qualcun altro,
non importa: quella sera appena il sole fu tramontato, sottile sottile, pallida e
tremolante, sopra la riva del lago dove forse abitava la rana, spuntò finalmente la luna.
Un sospiro di sollievo percorse il bosco, mentre l'orso osservava accigliato il primo degli
invitati al suo compleanno, che grugniva sonoramente e con pochi sapienti bocconi si
pappava tutte e tre le sue torte al miele, prima ancora di avergli fatto gli auguri.
Piegò la lettera e la gettò al
vento,
e il vento soffiò la lettera al di là
del mare verso la steppa dove
abitava l’uccello segretario, che
giorno dopo giorno scriveva
lettere ai quattro angoli del
Elena Prodi
Ivan Meneghini
Carlo Gasparini
Lo scoiattolo si sedette a tavolino, leccò la penna, la intinse in una galla, ci pensò su,
aggrottò le sopracciglia, arrotolò la coda e scrisse:
Egregio uccello segretario,
sono lo scoiattolo e abito nel bosco. Mi piace scrivere lettere, ma nessuno mi risponde.
Ora, ho la sensazione che lei non faccia altro che rispondere alle lettere.
Sarebbe così gentile da rispondere anche a me una volta?
Distinti saluti,
Scoiattolo
Piegò la lettera e la gettò al vento, e il vento soffiò la lettera al di là del mare verso la
steppa dove abitava l'uccello segretario, che giorno dopo giorno
scriveva lettere ai quattro angoli del mondo.
Già il giorno dopo lo scoiattolo ricevette la risposta.
Egregio scoiattolo, sì.
Distinti saluti, Uccello segretario
Tutto orgoglioso, lo scoiattolo mostrò la lettera alla formica. Era la prima lettera che
avesse mai ricevuto. La formica lesse la lettera e non restò molto impressionata dalle
parole dell'uccello segretario. «Questo poteva anche dirlo, no? Non c'era mica bisogno di
scriverlo», disse. «E come faceva a dirlo?», disse lo scoiattolo. «Abita dall'altra parte del
mare!». «Magari poteva urlare?». «Non è possibile». «E gridare sìììììììììì?», gridò la
formica. Allo scoiattolo vennero le lacrime agli occhi. Stava lì con la sua lettera, scritta su
carta fatta a mano candida e lucida, arrivata in una solenne busta grigia con l'interno
decorato a fiori, mentre la formica continuava a gridare, con le lacrime che le colavano
lungo le guance per lo sforzo. La formica gridò ancora per qualche ora, finché divenne
rauca e restò senza lacrime. Tossì e se ne andò a casa. Lo scoiattolo continuava a
rileggersi la lettera, di notte la posava accanto al letto e di giorno l'appendeva dietro la
porta. Trovava che «sì» fosse la parola e la frase più bella che conoscesse. Tre giorni dopo
ricevette un'altra lettera, in una busta un po' più grigia.
Egregio scoiattolo,
è da molto che non ho sue notizie. Non le è mica accaduto qualcosa di grave?
Spero di sapere da lei quanto prima qualcosa di preciso.
Con i più cordiali saluti,
Uccello segretario.
Con un sorriso di stupore il
cammello morse il pane e lo trovò
squisito, mentre la formica
sbadigliando gli augurò un paio di
volte con decisione la buonanotte.
Viola Franchi
Narmina Eriksen
La farfalla stava sul fiore e si addormentò. Faceva caldo, era pomeriggio inoltrato e quel
giorno aveva avuto molto da fare. Il fiore era stanco quanto la farfalla e voleva andare a
dormire anche lui. Esitò un po', scosse i petali, ma la farfalla dormiva della grossa e non si
accorse di nulla. A quel punto il fiore non riuscì più a tenere aperto il calice e si chiuse. Il
fiore dormiva, e dentro il fiore dormiva la farfalla. E al di sopra del fiore sonnecchiava il
faggio, nel tepore di un tardo pomeriggio estivo. Su un ramo del faggio c'era lo scoiattolo
che riposava. E poco dopo si addormentò. Il bosco era immerso in un placido, profondo
silenzio. Chi non dormiva era il cammello. Al margine del bosco aspettava la farfalla che
doveva spiegargli come arrivare al deserto attraversando il fiume e i campi. Laggiù, aveva
sentito dire, era sempre asciutto, e non c'era cosa che il cammello detestasse quanto la
pioggia. Il cammello aspettava, aspettava e la farfalla non veniva. Scese il buio e il
cammello capì che quel giorno la farfalla non sarebbe venuta. Di tanto in tanto cadevano
alcune gocce di pioggia mentre in lontananza scoppiava un temporale.
A parte la pioggia quel che il cammello detestava di più erano le lacrime. Tremava già al
solo pensiero della sensazione umida e scivolosa delle gocce salate che gli colavano lungo
le guance. Ma ora non riusciva a trattenerle, era troppo triste. Una dietro l'altra le lacrime
gli colarono dagli occhi giù per le guance e caddero a terra.
La formica si svegliò quando ormai il suo pavimento non si distingueva più sotto il fiume
di lacrime del cammello. Nel frattempo si era fatta mezzanotte. La formica salì su un
ramoscello e remò controcorrente finché raggiunse il cammello, immerso nelle sue stesse
lacrime fino alla cintura. «Che succede?», chiese la formica. Ma il cammello non riusciva
a pronunciare una parola attraverso quella cortina di lacrime.
La formica staccò una foglia dal cespuglio lì sotto e asciugò le lacrime del cammello.
«Grazie», singhiozzò ancora il cammello, «grazie, davvero».
Ma aveva ancora l'aria molto triste. Il fiume di lacrime penetrò lentamente nel terreno.
«Sai una cosa?», disse la formica che un po' temeva che il cammello si mettesse di nuovo
a piangere e un po' aveva voglia di tornarsene a casa. «No», disse il cammello.
«Se vieni con me ti darò una cosa buona da mangiare». «Ma io non ho mai fame», disse il
cammello. Tuttavia seguì la formica e percorsero il sentiero salato e scivoloso che
attraversava il bosco, mentre la luna splendeva su di loro dal cielo sereno.
A casa della formica il cammello ricevette un tozzo di pane così secco che il serpente con
le sue spire non era riuscito a strizzarne fuori neppure una goccia di umidità. Con un
sorriso di stupore il cammello morse il pane e lo trovò squisito, mentre la formica
sbadigliando gli augurò un paio di volte con decisione la buonanotte.

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  • 2. Presentazione realizzata da Classe 2A Scuola Prandoni a.s. 2018-19 Settimana della lettura “Secondo me – disse lo scoiattolo – io adesso sono felice. Penso che non potrò mai essere più felice di così”. “Be’…- disse la formica. – E se adesso vedessi volare una torta al miele?”. Lo scoiattolo restò in silenzio. Guardò l’acqua luccicante e pensò: dunque non sono poi così felice…
  • 3. STRADA CHIUSA, diceva un cartello lungo il sentiero laterale. Assai controvoglia lo scoiattolo prese quel sentiero che ben presto terminò in un folto cespuglio spinoso. Patrick Di Mauro Luca Durini
  • 4. Non passava giorno senza che lo scoiattolo se ne andasse in giro. Al mattino si lasciava cadere sul muschio giù dal faggio oppure, a volte, dalla punta di un ramo finiva nello stagno proprio sul dorso della libellula, che poi senza fiatare lo portava sull'altra riva. Prendeva sempre la prima strada che gli si parava davanti. Ma se poi gli capitava un viottolo laterale lo imboccava, e se gli riusciva di scordarsi dei progetti che aveva per la giornata, se li scordava. Così un giorno stava andando dall'elefante, che traslocava e aveva bisogno di aiuto, quand'ecco che vide un sentiero sabbioso tutto pieno di curve. Lo prese. C'era un cartello che diceva: STRADA VERSO IL LIMITE. È lì che voglio andare!, pensò lo scoiattolo. Ma con gran dispiacere incontrò subito un'altra deviazione che non poteva proprio trascurare, anche se avrebbe tanto voluto. STRADA CHIUSA, diceva un cartello lungo il sentiero laterale. Assai controvoglia lo scoiattolo prese quel sentiero che ben presto terminò in un folto cespuglio spinoso. Lo scoiattolo si graffiò tutto ed ebbe un bel da fare per districarsi. Poi rotolò in un fosso e dormì sotto una coltre di foglie secche.
  • 5. Quando si svegliò era sera e poté mettersi di nuovo a dormire. Il mattino seguente raggiunse una strada che lo portò alla spiaggia senza deviazioni né altri viottoli laterali. Lì trovò una barca pronta. Lo scoiattolo salì a bordo e navigò verso l'orizzonte, e poi oltre ancora per mari agitati, attraverso archi scavati negli iceberg e sul pelo dell'acqua ghiacciata, verso sempre nuovi orizzonti. A volte colava a picco sul filo di un gorgo gigantesco, altre volte volava di cresta in cresta sopra le onde spumeggianti. Il sole diventava sempre più grande, o forse era solo che si avvicinava sempre di più. Infine un'onda gettò lo scoiattolo su una costa dove gli capitarono delle avventure, così tante e così meravigliose che quando poco dopo tornò a casa ne parlò per settimane. Finché un giorno la formica e il porcospino, due suoi amici, non ne poterono più e finirono per dirglielo. «E ovunque laggiù...», provò a insistere lo scoiattolo. «Basta!», gridò la formica.
  • 6. Erano tutti riuniti al banchetto. Non sapevano cosa stessero festeggiando, ma cosa mangiavano lo sapevano eccome. Jacopo Sala Ibrahim Sabhir
  • 7. Erano tutti riuniti a banchetto. Non sapevano cosa stessero festeggiando, ma cosa mangiavano lo sapevano eccome. Lo scoiattolo appoggiato sui gomiti beveva rumorosamente del succo di ghiande di faggio con una cannuccia, tagliata in riva al fiume, e accanto a lui sedeva la formica. Tra le mani teneva una gigantesca zolletta di zucchero che succhiava e ogni tanto mordeva, poi a un certo punto fece: «Hmm», e sembrò quasi che grugnisse. Seduto poco più in là, il cervo aveva una grande foglia di farfaro nel piatto e con coltello e forchetta la tagliava a pezzettini, che poi si infilava in bocca uno a uno. Era molto contento di trovarsi lì. Di fronte a lui c'era l'ape che reggeva un calice d'ortica e senza badare a nient'altro beveva del miele dolcissimo. «Ape, ape, ape!», gridava ogni tanto il cinghiale accanto a lei, ma l'ape non lo sentiva. Il cinghiale si mangiò un piatto di pastone, e quando ebbe finito prese anche un secchio pieno di tozzi di pane immersi nel latte acido. Vicino a lui sedeva l'afide, che si era portato il suo cibo, e accanto c'era il corvo, che beccava una fettuccia di liquirizia nera e lucida, mentre più in là il persico galleggiava pigramente sul dorso in un letto d'acqua in cui fluttuavano delle alghe che succhiava di tanto in tanto. A volte sussurrava qualcosa all'orecchio della giraffa, che allora abbandonava per un attimo il suo dessert di rose rosa e cardi e annuiva cortese.
  • 8. Poco più in là c'era anche l'elefante che si deliziava con dei grossi pezzi di corteccia adagiati su un vassoio di abete: corteccia di betulla, di castagno, di faggio, di olmo, di pino, di quercia, di salice e di tiglio, che mangiava in ordine alfabetico. La iena stava lì tra loro un po' sperduta, con un piatto vuoto davanti a sé, e accennava appena un risolino insulso. La zanzara pungeva la punta di un naso che aveva nel piatto ed era visibilmente soddisfatta. A capotavola sedeva il coleottero, che con le zampette si dava da fare a tirar fuori una pietanza nera da una scatola, mentre la rana e il rospo, seduti vicini per la prima volta, bevevano alla loro salute e decidevano di frequentarsi più spesso. Il cielo sopra il bosco era azzurro e il sole si rifletteva mille e mille volte nei bicchieri scintillanti degli animali presenti, seduti in file interminabili. A ogni istante uno di loro pronunciava una sola parola: «Amici», disse la colomba. Tutti applaudirono una sola volta e poi ripresero a mangiare. «Noi», disse la vespa. «Oh», disse il rinoceronte. Se qualcuno avesse parlato più a lungo, tanto di quel cibo sarebbe diventato freddo che sarebbe stato un peccato, perché in fondo il vero motivo della festa era mangiare, e oltre a quello ce n'era tutt'al più un altro, ma meno importante, di cui nessuno sapeva granché. Quando si fece buio la lucciola si accese e il leopardo lasciò vagare lo sguardo sui tavoli. Gli alberi e il vento provvidero alla musica. Al sorgere del sole erano ancora seduti lì, ma la maggior parte di loro dormiva. Solo la formica continuava ancora a succhiare la sua zolletta gigantesca. I raggi caldi del sole sciolsero gli ultimi pezzetti di ghiaccio rimasti nella coppa del tricheco.
  • 9. “ALLORA FAI UNPO’ COMETIPARE“ disse la mosca, che puntò bruscamente verso l’alto, fece una stretta virata e poi scese giù in picchiata. Lo scoiattolo perse la presa e volò per aria. Michele Piu Cristiano Avanzi
  • 10. Un bel giorno lo scoiattolo e la formica partirono per un lungo viaggio verso il nord. Traversarono il mare e si ritrovarono ben presto in mezzo agli iceberg. Faceva così freddo che avevano la bocca irrigidita e non riuscivano più a dirsi che avrebbero fatto meglio a tornare a casa. Così ripresero il viaggio. Alla fine dato che non riuscivano più a muoversi, si sdraiarono su una lastra di ghiaccio che galleggiava in mezzo al mare gelato. Dopo molto tempo la lastra di ghiaccio li portò alla deriva verso sud. Cominciò a fare caldo, il ghiaccio si sciolse e infine raggiunsero a nuoto la riva, non lontano dal bosco. Faceva un tempo così bello che perfino lo squalo cantava, quando di tanto in tanto sporgeva la testa al di sopra della superficie piatta e immobile dell'acqua. Ma la formica e lo scoiattolo erano sfiniti. La formica riuscì ancora a strisciare verso casa, ma lo scoiattolo restò sdraiato dove si trovava. D'un tratto avvertì qualcosa di morbido sulla faccia. Rotolò su un fianco e si accorse che era l'ala della mosca. «Vieni con me?», chiese la mosca. «Sono appena tornato», rispose lo scoiattolo. «E allora?», disse la mosca. «Sono stanco». «Ma puoi dormire, in groppa a me!», disse la mosca. A fatica lo scoiattolo si issò sul dorso della mosca. Ma appena si fu seduto e vide il bosco sotto di sé, si sentì di nuovo in forma.
  • 11. Raggiunsero l'airone che battendo le ampie ali volava sopra il fiume, che rifletteva i raggi del sole. E là in basso passava l'elefante. Sembra proprio un aspirapolvere! pensò lo scoiattolo. E laggiù c'era il coleottero, che non aveva mai avuto un così bel luccichio. Lo scoiattolo sul dorso della mosca saltava da una parte all'altra per non perdersi nulla. «Non fare così», disse la mosca. Ma lo scoiattolo si mise a testa in giù, appeso a un'ala per le zampe, di modo che a terra tutti si fermarono a guardare stupiti verso l'alto, e non diede retta alla mosca. «Allora fai un po' come ti pare», disse la mosca, che puntò bruscamente verso l'alto, fece una stretta virata e poi scese giù in picchiata. Lo scoiattolo perse la presa e volò per aria. Disegnando un'elegante traiettoria ad arco, che gli guadagnò l'ammirazione di decine di animali, finì nello stagno, dove la rana stava giusto per mettersi a fare cra cra. Allora la rana aspettò ancora un istante e poi gracidò: «Buongiorno signore, molto lieta...». Ma non riuscì a dire altro, perché lo scoiattolo le si appoggiò pesantemente sul dorso e la trascinò sott'acqua.
  • 12. Il sole splendeva, qualche piccolissima nuvola vagava per il cielo e loro quel giorno non avevano niente di speciale da fare. n Jacopo Bella Niccolò Trombetta
  • 13. Un bel pomeriggio lo scoiattolo e la formica decisero di fare una gara. Il sole splendeva, qualche piccolissima nuvola vagava per il cielo e loro quel giorno non avevano niente di speciale da fare. Per prima cosa pensarono a quale avrebbe dovuto essere il primo premio, ma non riuscirono a farsi venire un'idea. Poi cominciarono a pensare a che tipo di gara avrebbero fatto. La maggior parte delle cose non li attirava per niente: correre, trascinare rami, scavare, arrampicarsi, cantare, strisciare, saltare, fare la verticale: di tutto questo non avevano alcuna voglia. «Andiamo prima a mangiare», disse infine lo scoiattolo. «Ecco una buona idea», disse la formica. «Io ho ancora una ghianda», disse lo scoiattolo, e ne tirò fuori una bella grossa e luccicante. «E io ho ancora un tocco di zucchero», disse la formica tirando fuori un magnifico tocco di zucchero dalla tasca. Lo scoiattolo stava già cominciando a rosicchiare, ma la formica lo fermò e disse: «Conto fino a tre e poi, via. Chi se ne pappa di più vince. Uno, due, tre». Con gran voracità si lanciarono sulle loro leccornie. Lo scoiattolo era il più avido. Il rumore dei suoi denti che rosicchiavano riecheggiava in mezzo agli alberi, e intanto gli brillavano gli occhi. La formica era la più meticolosa e succhiava con gran cura il suo tocco di zucchero tutt'intorno. Sembrava proprio che lo facesse in punta di piedi. Si teneva il collo con una delle zampette davanti, per puro piacere, mentre le altre luccicavano tutte. Continuarono a mangiare così per lungo tempo.
  • 14. «Finito», disse lo scoiattolo ripulendosi le ultime briciole dagli angoli della bocca. «Anch'io», disse la formica lasciandosi cadere all’indietro soddisfatta. Restarono a lungo in silenzio. Poi si ricordarono della gara. La formica, visto che non avevano un primo premio, propose di assegnare a entrambi il secondo. Lo scoiattolo si disse d'accordo. Poi la formica propose di tenere l'indomani un'altra sfida, nello stesso posto e alle stesse condizioni. Anche su questo lo scoiattolo fu pienamente d'accordo. «Io ho ancora una pannocchia di zucchero», disse la formica. «E io ho qualcosa di cui non so il nome», disse lo scoiattolo. «Allora non è una ghianda?», chiese la formica. «No, di quella il nome lo so». «Liquirizia, forse?», chiese la formica. «No, neppure». «Lupini cremolati? Un pan di meringa? Una meraviglia candita?» chiese la formica sempre più incuriosita. «No, non so proprio com'è che si chiama», disse lo scoiattolo. «Ma tanto lo vedrai domani». «Fluido magico? Panna?» chiese ancora la formica. Ma lo scoiattolo se n'era già andato verso casa, deciso a fare anche l'indomani un'impareggiabile scorpacciata. «Una gomma?», girando ancora dietro la formica. «Una gomma ripiena??».
  • 15. Quella sera faceva ancora caldo. La formica e lo scoiattolo stavano sdraiati sul dorso in silenzio uno accanto all’altro a guardare le stelle. Videro L’Orsa maggiore, e Orione, che sembrava volesse scappar via. Ma dove? Silvia Invernizzi Kiara Ramirez
  • 16. Era una giornata calda e lo scoiattolo pensava a una sola cosa: nuotare. Si diresse alla piscina che il castoro e il topo avevano costruito al margine del bosco, e dove il serpente faceva il bagnino. Si era infilato il costume e stava per tuffarsi in quell'acqua così invitante, quando il serpente strisciò verso di lui. «Fammi vedere un po' i piedi!», sibilò. «Aha! Non sono puliti». «Ma sono sempre così!», disse lo scoiattolo. Ma sapeva che era inutile contraddire il serpente. «E dov'è la cuffia per la coda?», chiese il serpente. «Cuffia per la coda?». «Non è mica una bella cosa, così con la coda nuda...», sussurrò il serpente. «Ma...». «E piena di peli annodati. Guarda. Aha». E fece scorrere la sua coda su e giù accanto a quella dello scoiattolo. «Io voglio fare il bagno! Adesso!», disse lo scoiattolo. Ma il serpente era inflessibile e agitava minaccioso la lingua. Così dopo un po' lo scoiattolo si ripresentò sul bordo della piscina con i piedi puliti e una cuffia viola sulla coda. Intanto si era fatto ancora più caldo e senza esitare si tuffò in acqua.
  • 17. Ah, che bello, pensava. Tirò fuori la testa per prendere fiato e udì il serpente sibilare: «È ora! Tutti fuori!». L'elefante, che lavorava lì temporaneamente come custode, svuotò immediatamente la piscina risucchiando tutta l'acqua e lo scoiattolo si ritrovò all'improvviso sul fondo prosciugato. Gli vennero le lacrime agli occhi. «Se vuoi piangere, pensa prima a qualcosa di triste», disse il serpente. «Ma questo è triste». Disse lo scoiattolo singhiozzando. «Che cosa?». «Che non posso fare il bagno. Mentre fa un caldo tale che suda perfino il coleottero». «Triste è dover essere sempre di malumore, come me», disse il serpente. «È vero», disse lo scoiattolo. Osservò attentamente il serpente e gli parve di scorgere persino una lacrima che luccicava in uno dei suoi occhi malevoli. Ma forse stava solo guardando attraverso una delle sue stesse lacrime. «Ah...», disse il serpente. «Lascia stare. Piuttosto vattene! È ora no? Cosa fai ancora lì? Fuori!». Il serpente puntò la lingua contro lo scoiattolo che a quel punto pensò solo ad arrampicarsi in fretta sul bordo e a sparire nella sua cabina. Quella sera faceva ancora caldo. La formica e lo scoiattolo stavano sdraiati sul dorso in silenzio uno accanto all'altro a guardare le stelle. Videro l'Orsa maggiore, e Orione, che sembrava volesse scappar via. Ma dove?
  • 18. LO SCOIATTOLO NON RIUSCIVA PIÙA TOGLIERSI I PANTALONI E STRISCIANDO E INCIAMPANDO RUZZOLO’ FUORI DALLA PORTA SUL MARCIAPIEDE, NON RIUSCÌ A RIMETTERSI IN PIEDI E STRISCIO’ CON TUTTI I PANTALONI FINO ALLO STAGNO DOVE, CONTINUANDO A DIMENARSI, FINÌ SUL DORSO DELLA RANA E SPARÌ SOTT’ACQUA Angelica Mauri Emma Cavadini
  • 19. Lo scoiattolo si trovava nel negozio del picchio. Si provava dei pantaloni mentre il picchio gli reggeva lo specchio. «Uhm», disse lo scoiattolo, «non lo so». «Dai», disse il picchio, «su, prendilo un po', almeno fai un piacere a me». «Non so, non so», disse lo scoiattolo. Suonò il campanello e la giraffa entrò nel negozio. «Avete anche lacci da scarpe?», domandò. «Hmm», disse il picchio, «me lo chiedo anch'io, ma si accomodi un attimo. Ho senz'altro qualcosa per lei, anche se non sono dei lacci». Entrò il coleottero, che voleva un cappello. «Un cappello nero piccolo così, con una penna di velluto sulla sinistra, un bottone di rame in mezzo e un bordino giallo in basso, taglia quattro e mezzo». «Mi lasci pensare», disse il picchio. «No», disse la giraffa, «lei può pensare a una sola cosa per volta. Almeno per me è così. Non so se per lei è diverso». «No, anche per me è così», disse il picchio. «Quanto costa un cappello così?», chiese il coleottero, «Non dev’essere troppo caro». «Lo pensavo anch'io», disse la giraffa. «Ma a cosa sta pensando adesso?». «Lo trovo davvero troppo stretto», disse lo scoiattolo. Suonò il campanello e il serpente strisciò dentro. Chiese se poteva solo guardarsi un istante allo specchio.
  • 20. «Ma che bel soffitto che ha», disse alzando beato gli occhi verso l'alto. «Sono travi autentiche», disse il picchio. «Cos'è che le avevo chiesto?», domandò la giraffa. «Posso prendere un momento lo specchio, per dopo, per il mio cappello?», disse il coleottero togliendo lo specchio al serpente che si era alzato in tutta la sua lunghezza proprio in quell'istante e stava per guardarsi. «No», disse lo scoiattolo. «Non lo prendo. Non è esattamente della mia misura». «Ha proprio ragione», disse il picchio, «se non è della sua misura. Sarebbe molto sciocco». «Allora non se lo ricorda più?», domandò la giraffa. «Ma sì, sì», disse il picchio stavolta rivolto a tutti quanti insieme. Il serpente scivolò fuori inosservato e scoraggiato. Non sapeva ancora che aspetto aveva di preciso. «Una volta aveva anche delle cravatte lucide», disse il coleottero. «Sì è vero», disse il picchio, «sono contento che se ne sia ricordato». «Con quei fermagli smaltati», continuò il coleottero. «No, non me lo ricordo più», disse il picchio e si voltò verso la giraffa che lo aveva afferrato per le spalle. «Ma dove avete la testa!», urlò la giraffa. « Sì», disse il picchio, «hai ragione».
  • 21. Lo scoiattolo non riusciva più a togliersi i pantaloni e strisciando e inciampando ruzzolò fuori della porta sul marciapiede, non riuscì a rimettersi in piedi e strisciò con tutti i pantaloni fino allo stagno dove, continuando a dimenarsi, finì sul dorso della rana e sparì sott'acqua. «Come facevi a sapere che dovevi trovarti proprio in quel punto per salvarmi?», chiese più tardi lo scoiattolo. «Fai un po' attenzione», disse la rana. Poco dopo il coleottero uscì fuori barcollando. Indossava uno strano cappello nero che non riusciva più ad alzare sopra gli occhi, cadde in acqua e venne salvato. Grondanti e infreddoliti lo scoiattolo e il coleottero tornarono a terra. Udirono la giraffa che ancora gridava: «Ma saprà almeno una buona volta cos'è che è così? Come stanno davvero le cose? Perché, e cos'è che cerco? E cos'è che lei non sa?». Intravidero ancora per un istante il picchio, smunto e ingobbito, in un angolo del negozio. «Certo che mi fa delle belle domande!», lo sentirono ancora dire.
  • 22. Va bene anche così, pensò l’airone, ma non era questo che intendevo. E mentre lo scoiattolo era ancora lì che dormiva tranquillo, l’airone scostò ancora una volta la ninfea e con un profondo sospiro mangiò per l’ennesima volta il pesce rosso. Dana Martelli Sofia Maeva Pesenti
  • 23. Una volta che lo scoiattolo dormiva in mezzo all'erba alta sulla riva del canale, il pesce rosso chiese all'airone: «Cosa ti succede? Oggi mi lasci nuotare in pace». «Ah...», rispose l'airone. «Sei malato?», chiese il pesce rosso. «Non è da te». «No», disse l'airone. Sospirò e poi riprese: «Ti ho già mangiato cento volte». «Credo almeno mille volte», disse il pesce rosso. «Ma lasciamo perdere. Va avanti». «Sì, mille volte», disse l'airone. «E appena ti ho finito sono molto soddisfatto. Ma neanche un'ora dopo ho fame di nuovo e ti vedo che nuoti qui un'altra volta. Sembra che non finisca mai...». «E quale dovrebbe essere la fine?», lo interruppe il pesce rosso. «Non lo so», disse l'airone, alzando il becco sconsolato al cielo, «perché non ci si arriva mai». «Continua». «Si tratta sempre e soltanto delle stesse due cose: la fame e te. Ti mangio e sparite tutti e due. Faccio un sonnellino, mi sveglio ed eccovi di nuovo qui: la fame, da qualche parte in fondo al becco, e tu, lì accanto alle ninfee, dietro la tifa, poi ti mangio di nuovo, mi addormento un'altra volta... Come se fossi la pioggia! Ma io non sono la pioggia!».
  • 24. «No», disse il pesce rosso. «Io sono l'airone». «Sì», disse il pesce rosso. «E non voglio mai più avere fame». «Sì» disse il pesce rosso. «E voglio mangiarti per l'ultima volta». «Sì... hmm... voglio dire, no... o forse, sì...», disse il pesce rosso. «Ma poi mi lascerai in pace?». «Poi mi metterò a studiare. Con questa fame non si combina mai niente. Penso che mi metterò a studiare per diventare trapanatore di legno o cavaterra. Mi sembra molto interessante il sottosuolo. E col mio tipo di becco ci sono certo portato». «Allora d'accordo», disse il pesce rosso e si fece ingoiare per l'ultima volta. «Se con questa fosse davvero finita una buona volta...», esclamò, mentre scivolava giù per la lunga gola contorta dell'airone. Il sole splendeva e l'airone sonnecchiava soddisfatto in riva al canale che scorreva tra il prato e il bosco. Ma quando più tardi riaprì gli occhi vide il pesce rosso che nuotava di nuovo e agitava una pinna verso di lui in segno di ammonimento. Va bene anche così, pensò l'airone, ma non era questo che intendevo. E mentre lo scoiattolo era ancora lì che dormiva tranquillo, l'airone scostò ancora una volta la ninfea e con un profondo sospiro mangiò per l'ennesima volta il pesce rosso. «Non è giusto...», gridò di nuovo il pesce rosso.
  • 25. Caro gufo, Sai, devo pensare sempre un po’ a te. Voglio dire d’ora in avanti. Perché mi sei simpatico. Mi scriverai presto una lettera? Ciao ! Scoiattolo Luca Bettoni Cristiano Veronelli
  • 26. Lo scoiattolo era sconsolato. Il vento lo aveva saltato un'altra volta senza portargli nessuna lettera. Nessuno mi pensa, diceva tra sé. Mentre lui invece pensava a mille altri animali. Pensava alla formica e all'ippopotamo e alla zanzara, e pensava alla lontra e al leone e alla gazza, all'orso, alla vespa, all'elefante, al passero. Pensava a tutti. A chi mai non pensava? «A me», disse una voce. Lo scoiattolo sobbalzò e guardò fuori. Pioveva e non si vedeva nessuno. «Uhu», gridò. «Uhu», rispose la voce. «Dove sei, cioè, chi sei?» gridò lo scoiattolo. «Sono qui». «Qui?». Allora lo scoiattolo vide il gufo, tutto rannicchiato in un angolino buio, accanto alla porta. «Ah, sei tu», disse lo scoiattolo.
  • 27. «Vedi?», disse il gufo. «Non mi pensavi, e invece io è da giorni che penso a te!». «A me??». «A te!», disse il gufo. «Guarda». Aprì le ali e lo scoiattolo lesse da una punta all'altra: Ciao scoiattolo, come vanno le cose? Qui va tutto bene, cioè, magari non tanto, perché non mi pensi mai. Mi pensi ogni tanto? Ciao ciao! Gufo Quindi il gufo ripiegò le ali, si scrollò un paio di volte e poi le riaprì. Erano bianche. Serio, con gli occhi che gli luccicavano, porse un ramoscello allo scoiattolo che scrisse: Caro gufo, sai, devo pensare sempre un po' a te. Voglio dire: d'ora in avanti. Perché mi sei simpatico. Mi scriverai presto un'altra lettera? Ciao! Scoiattolo Il gufo ripiegò le ali con gran cura, spiccò il volo e se ne andò. Lo scoiattolo rientrò in casa per andare a sedersi alla finestra e riflettere un po'.
  • 28. Devo aiutarla, pensò lo scoiattolo. Scivolò in un baleno giù dal suo ramo e corse nel bosco. “Mosca… mosca… dove sei… sto arrivando…” gridò rallentando ben presto la sua corsa essendo finito in un cespuglio. Andrea Monti Tommaso Schiavio
  • 29. Lo scoiattolo si stropicciò gli occhi. Era stato svegliato di soprassalto da un urlo, o da un grido. Aveva forse sognato? Aguzzò le orecchie... «Ahiiiiiii...». Udì di nuovo lo stesso grido. Ora ne era certo. Era il grido della mosca, che doveva avere bisogno di aiuto. Tirò giù le zampe e poi la coda dal letto e andò alla finestra. Ma era notte fonda, una notte di luna nuova, e lo scoiattolo non riusciva a vedere niente. Aprì la porta e scrutò fuori più intensamente che poteva. Sembrava quasi che gli occhi gli si crepassero, ma non riusciva a vedere nulla. E udiva soltanto il lieve fruscio della pioggia contro le foglie del suo albero. Accidenti, pensò, un altro falso allarme. Anche la mosca se ne starà in casa stasera. Forse ha ronzato troppo un'altra volta, e la forbicina le è salita su un'antenna, oppure… «Ahiii... ahiii... ahiii...», risuonò nuovamente il grido, ma stavolta più lamentoso e più vicino. Devo aiutarla, pensò lo scoiattolo. Scivolò in un baleno giù dal suo ramo e corse nel bosco. «Mosca… mosca... dove sei... sto arrivando...», gridò rallentando ben presto la sua corsa essendo finito in un cespuglio. «Ahiiiii... ahi...». D'un tratto si trovò davanti alla mosca, la riconobbe dal suo modo di sospirare. «Che cosa ti succede?», domandò lo scoiattolo. «Eh», disse la mosca, «vorrei tanto saperlo anch'io». «Ma ti ho sentito gridare... ahi... o ahiii... o ahiiiii... non so, non sono tanto bravo a gridare».
  • 30. «Sì, l'ho sentito anch'io». «Ma allora cosa c'è?». «Non lo so». «Ma stavi gridando». «E allora? Non devo mica sapere anche perché, no?». «Ma eri tu che gridavi?!!». «Eh eh, lo so bene. Tutto qui quel che sai dirmi? Non devi essere mica tanto sveglio. Ti sei di certo addormentato di nuovo. Sì sì». Se fosse stato giorno anche da molto lontano si sarebbe visto lo scoiattolo gonfiarsi poco a poco fino al punto di scoppiare. «Lascia stare», disse in un soffio. «Lascia stare cosa?» chiese la mosca. «Che stavi dormendo, o che l'unica cosa che sai dire è che mi hai sentito gridare, quando l'avrebbe sentito anche una campana?». «Lascia stare», sussurrò lo scoiattolo con un filo sempre più sottile di voce. «Ti ho chiesto: lascia stare cosa?». «Niente». «Niente cosa?». «Niente vuol dire niente». «Allora non mi servi a niente. Avresti almeno potuto immaginare qualcosa». A quel punto lo scoiattolo scoppiò. Tutti gli animali si svegliarono di colpo. La formica giunse per prima sul luogo del disastro e raccolse i pezzi dello scoiattolo come meglio poté. «Cosa è successo?», domandò. «Non lo so», disse la mosca. «Qualcosa lo ha infastidito. Ma cosa? Non saprei proprio. Ho cercato di chiedergli cosa c'era, ma era rimasto quasi senza voce e continuava a bisbigliare: lascia stare, lascia stare...». «Capisco», disse la formica, che aveva i suoi sospetti. Si caricò lo scoiattolo in spalla, lo legò con un ramoscello e lo portò a casa sua. Lì lo incollò di nuovo tutto intero. Lo scoiattolo dormì fino a tardi il giorno dopo. Non raccontò mai a nessuno i fatti di quella notte. E quando incontrava la mosca la salutava amichevolmente e faceva finta di aver perso la memoria nello scoppio. Ma non era così.
  • 31. Al mattino dell’ottavo giorno il cinghialesi ritrovò all’alba nella radurain mezzo al bosco a gridare: “Dov’è la luna?Voglio la luna! Esigo la luna!Aiutatemi! Riportate qui la luna! Prendeteil ladro! Hofame! Aiuto!” Gianluca Molinari Lorenzo Corti
  • 32. Correva voce nel bosco che la rana si fosse mangiata la luna. In primo luogo erano già sette notti che la luna non si vedeva, e in secondo luogo la rana era più gonfia che mai. Di notte nel bosco era buio pesto e chi andava in giro poteva star certo di inciampare, di sbattere da qualche parte, di cadere dentro qualcosa, di sbagliare strada e di non arrivare a destinazione. Chi proprio non riusciva a sopportarlo era il cinghiale. Siccome era quasi sempre affamato, non saltava mai un compleanno, fosse di chi fosse, e perciò doveva mettersi ogni sera in cammino. Ora erano ormai sette notti che usciva invano. La formica, il coleottero, il tordo, la giraffa, il luccio, il porcospino e la zanzara avevano sentito la sua mancanza ai loro compleanni. Al mattino dell'ottavo giorno si ritrovò all'alba nella radura in mezzo al bosco a gridare: «Dov'è la luna? Voglio la luna! Esigo la luna! Aiutatemi! Riportate qui la luna! Prendete il ladro! Ho fame! Aiuto!». Andò avanti così fino a mezzogiorno, finché gli animali che abitavano nei dintorni della radura non ne poterono più e lo imbavagliarono con una foglia di quercia.
  • 33. Lui continuò a grugnire lo stesso, ma così non disturbava più nessuno. Nel tardo pomeriggio se ne tornò a casa. Lo scoiattolo lo vide trottare sconsolato e grugnire sottovoce. Gli faceva pena e disse al merlo: «Così non va. Stasera la luna deve assolutamente tornare. Altrimenti, temo che in questo bosco non ci sarà più posto per tutti». Il merlo era d'accordo con lui e lo disse all'usignolo, che compose una canzone sull'argomento e la cantò al cervo, mentre il cervo la sussurrò in un orecchio al ragno, lì dietro la zampa anteriore sinistra. E il ragno la scrisse con dei grossi fili tesi tra il castagno e la quercia: stasera la luna deve tornare. Ora, che fosse stata o meno la rana a mangiarsela, o ci fosse lo zampino di qualcun altro, non importa: quella sera appena il sole fu tramontato, sottile sottile, pallida e tremolante, sopra la riva del lago dove forse abitava la rana, spuntò finalmente la luna. Un sospiro di sollievo percorse il bosco, mentre l'orso osservava accigliato il primo degli invitati al suo compleanno, che grugniva sonoramente e con pochi sapienti bocconi si pappava tutte e tre le sue torte al miele, prima ancora di avergli fatto gli auguri.
  • 34. Piegò la lettera e la gettò al vento, e il vento soffiò la lettera al di là del mare verso la steppa dove abitava l’uccello segretario, che giorno dopo giorno scriveva lettere ai quattro angoli del Elena Prodi Ivan Meneghini Carlo Gasparini
  • 35. Lo scoiattolo si sedette a tavolino, leccò la penna, la intinse in una galla, ci pensò su, aggrottò le sopracciglia, arrotolò la coda e scrisse: Egregio uccello segretario, sono lo scoiattolo e abito nel bosco. Mi piace scrivere lettere, ma nessuno mi risponde. Ora, ho la sensazione che lei non faccia altro che rispondere alle lettere. Sarebbe così gentile da rispondere anche a me una volta? Distinti saluti, Scoiattolo Piegò la lettera e la gettò al vento, e il vento soffiò la lettera al di là del mare verso la steppa dove abitava l'uccello segretario, che giorno dopo giorno scriveva lettere ai quattro angoli del mondo. Già il giorno dopo lo scoiattolo ricevette la risposta. Egregio scoiattolo, sì. Distinti saluti, Uccello segretario
  • 36. Tutto orgoglioso, lo scoiattolo mostrò la lettera alla formica. Era la prima lettera che avesse mai ricevuto. La formica lesse la lettera e non restò molto impressionata dalle parole dell'uccello segretario. «Questo poteva anche dirlo, no? Non c'era mica bisogno di scriverlo», disse. «E come faceva a dirlo?», disse lo scoiattolo. «Abita dall'altra parte del mare!». «Magari poteva urlare?». «Non è possibile». «E gridare sìììììììììì?», gridò la formica. Allo scoiattolo vennero le lacrime agli occhi. Stava lì con la sua lettera, scritta su carta fatta a mano candida e lucida, arrivata in una solenne busta grigia con l'interno decorato a fiori, mentre la formica continuava a gridare, con le lacrime che le colavano lungo le guance per lo sforzo. La formica gridò ancora per qualche ora, finché divenne rauca e restò senza lacrime. Tossì e se ne andò a casa. Lo scoiattolo continuava a rileggersi la lettera, di notte la posava accanto al letto e di giorno l'appendeva dietro la porta. Trovava che «sì» fosse la parola e la frase più bella che conoscesse. Tre giorni dopo ricevette un'altra lettera, in una busta un po' più grigia. Egregio scoiattolo, è da molto che non ho sue notizie. Non le è mica accaduto qualcosa di grave? Spero di sapere da lei quanto prima qualcosa di preciso. Con i più cordiali saluti, Uccello segretario.
  • 37. Con un sorriso di stupore il cammello morse il pane e lo trovò squisito, mentre la formica sbadigliando gli augurò un paio di volte con decisione la buonanotte. Viola Franchi Narmina Eriksen
  • 38. La farfalla stava sul fiore e si addormentò. Faceva caldo, era pomeriggio inoltrato e quel giorno aveva avuto molto da fare. Il fiore era stanco quanto la farfalla e voleva andare a dormire anche lui. Esitò un po', scosse i petali, ma la farfalla dormiva della grossa e non si accorse di nulla. A quel punto il fiore non riuscì più a tenere aperto il calice e si chiuse. Il fiore dormiva, e dentro il fiore dormiva la farfalla. E al di sopra del fiore sonnecchiava il faggio, nel tepore di un tardo pomeriggio estivo. Su un ramo del faggio c'era lo scoiattolo che riposava. E poco dopo si addormentò. Il bosco era immerso in un placido, profondo silenzio. Chi non dormiva era il cammello. Al margine del bosco aspettava la farfalla che doveva spiegargli come arrivare al deserto attraversando il fiume e i campi. Laggiù, aveva sentito dire, era sempre asciutto, e non c'era cosa che il cammello detestasse quanto la pioggia. Il cammello aspettava, aspettava e la farfalla non veniva. Scese il buio e il cammello capì che quel giorno la farfalla non sarebbe venuta. Di tanto in tanto cadevano alcune gocce di pioggia mentre in lontananza scoppiava un temporale. A parte la pioggia quel che il cammello detestava di più erano le lacrime. Tremava già al solo pensiero della sensazione umida e scivolosa delle gocce salate che gli colavano lungo le guance. Ma ora non riusciva a trattenerle, era troppo triste. Una dietro l'altra le lacrime gli colarono dagli occhi giù per le guance e caddero a terra.
  • 39. La formica si svegliò quando ormai il suo pavimento non si distingueva più sotto il fiume di lacrime del cammello. Nel frattempo si era fatta mezzanotte. La formica salì su un ramoscello e remò controcorrente finché raggiunse il cammello, immerso nelle sue stesse lacrime fino alla cintura. «Che succede?», chiese la formica. Ma il cammello non riusciva a pronunciare una parola attraverso quella cortina di lacrime. La formica staccò una foglia dal cespuglio lì sotto e asciugò le lacrime del cammello. «Grazie», singhiozzò ancora il cammello, «grazie, davvero». Ma aveva ancora l'aria molto triste. Il fiume di lacrime penetrò lentamente nel terreno. «Sai una cosa?», disse la formica che un po' temeva che il cammello si mettesse di nuovo a piangere e un po' aveva voglia di tornarsene a casa. «No», disse il cammello. «Se vieni con me ti darò una cosa buona da mangiare». «Ma io non ho mai fame», disse il cammello. Tuttavia seguì la formica e percorsero il sentiero salato e scivoloso che attraversava il bosco, mentre la luna splendeva su di loro dal cielo sereno. A casa della formica il cammello ricevette un tozzo di pane così secco che il serpente con le sue spire non era riuscito a strizzarne fuori neppure una goccia di umidità. Con un sorriso di stupore il cammello morse il pane e lo trovò squisito, mentre la formica sbadigliando gli augurò un paio di volte con decisione la buonanotte.