Questo è solamente uno dei primi POWERPOINT che pubblicherò quì! Per altri bellissimi Powerpoint vi invito a seguirvi sulla mia pagina Instangram SchoolP.
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Esegesi dell'Inno di Mameli realizzata da Elena, Giuseppe, Saverio, Willy, Gionata, Alice, Benedetta ed Elisabetta della classe IIIA della scuola media Giovanni Paolo II di Affile (Roma).
Professoressa Simona Martini
Da dove proviene la lingua italiana, quali sono stati i primi usi nella lingua comune e nella letteratura. Dall'indovinello veronese al placito capuano, fino al Cantico delle Creature di San Francesco.
This presentation is done by Lara Dioquino as one of her projects on ITALIAN REGIONS in her Italian 10 class (AY 2013-2014) at the University of the Philippines under Prof. Emanuela Adesini.
Esegesi dell'Inno di Mameli realizzata da Elena, Giuseppe, Saverio, Willy, Gionata, Alice, Benedetta ed Elisabetta della classe IIIA della scuola media Giovanni Paolo II di Affile (Roma).
Professoressa Simona Martini
Da dove proviene la lingua italiana, quali sono stati i primi usi nella lingua comune e nella letteratura. Dall'indovinello veronese al placito capuano, fino al Cantico delle Creature di San Francesco.
This presentation is done by Lara Dioquino as one of her projects on ITALIAN REGIONS in her Italian 10 class (AY 2013-2014) at the University of the Philippines under Prof. Emanuela Adesini.
Giornate di studio nell’ambito del progetto nazionale “Archivi della moda del Novecento”, Milano, 7 marzo 2013
"Il portale “Archivi della moda. Nuove iniziative e nuovi contenuti”, Mauro Tosti Croce, Direzione Generale per gli Archivi, MIBAC
Info e programma: moda.san.beniculturali.it/wordpress/?news=convegno-pagine-di-moda
Progetto Archivi della Moda: moda.san.beniculturali.it/wordpress/
Album fotografico:
https://picasaweb.google.com/117290793877692021380/ConvegnoPagineDiModaMilano2013?authuser=0&feat=directlink
Tesi di laurea grazia falsone - la moda che vive due volteGrazia Falsone
Analisi di un caso aziendale legato al vintage. Ho affrontato lo studio specifico di un’azienda che ha fondato la sua storia, e vive il suo presente, nella passione per il recupero e la valorizzazione della memoria, e ha realizzato attorno ad essi un modello di successo. L’azienda in questione è A.N.G.E.L.O. Srl di Lugo, in provincia di Ravenna, pioniere per il settore dell’abbigliamento vintage, che oggi ne riveste un ruolo di primissima importanza.
This powerpoint deals with Brand's history of Louis Vuitton. It describes the most important moments that marked the history of brand LV. In particular, I focused what happened to enterprise when Marc Jacobs was appointed fashion designer of prêt-à-porter.
IL RIUSO DEL DENIM come esempio di costruzione di un brand a partire dal capo usato. Workshop operativo dedicato agli studenti e ai neo laureati dell’ABA di Frosinone e abbinato alla partecipazione al convegno internazionale sulla Moda Critica del 7 e 8 maggio 2009 all' Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
PRESENTAZIONE DEL PROGETTO
Biografia dell'artista e critico d'arte Andrea SpezialiAndrea Speziali
Andrea Speziali (28 settembre 1988, Rimini) è un docente di grafica, autore letterario, artista e critico d'arte al tempo stesso. Ha fondato l'associazione culturale Italia Liberty di cui è presidente. Nel 2023 è stato nominato direttore del Museo del Liberty a Sarnico, primo in Italia oltre a ricoprire la carica di funzionario alla Bellezza nel medesimo comune.
Andrea Speziali, capelli biondi, occhi marroni è alto 1,8 metri, figlio dei coniugi Rodolfo Speziali e Daniela Pesaresi. Ha un fratello, Mattia Speziali.
Speziali si è laureato all'Accademia di Belle Arti di Urbino nel 2014.
Tra i libri pubblicati si segnalano: "Una Stagione del Liberty a Riccione", "Romagna Liberty", "Mario Mirko Vucetich. Architettura, scultura, pittura, disegno".
1. PROGETTO
Materia : Lingua Italiana
Tema : La Moda Italiana
Alunno : Sara Keçi
Docente : Silva Aleksi
2. 1941 – 1950 : Una nuova geografia internazionale della moda.
Dopo la parentesi bellica, Parigi torna ad essere la capitale mondiale della moda con Christian
Dior (1905-1957) che nel 1947 lancia il New Look.
In Italia, incomincia a farsi strada l’idea che la moda italiana possa non solo emanciparsi da
quella francese, ma persino competere con essa.
Mentre la haute couture francese sembrava sempre meno adeguata ad adattarsi alle esigenze del
mercato americano, la moda italiana possedeva esattamente le caratteristiche richieste per poterle
soddisfare: una lunga tradizione artigianale, garanzia della qualità dei materiali e della confezione,
forza lavoro abbondante e a basso costo. L’influenza politica e culturale esercitata dagli Stati Uniti
sull’Europa, uscita a pezzi dal conflitto, rese l’Italia uno dei maggiori beneficiari del declino relativo
cui era andata incontro Parigi, al punto che, nella nuova geografia internazionale della moda che si
stava delineando in quegli anni, riuscì a farsi largo Roma. Gli abiti confezionati dalle più importanti
sartorie della capitale – Simonetta, Fabiani,Carosa, Sorelle Fontana salite alla ribalta
internazionale nel 1947 con la creazione dell’abito nuziale di Lynda Christian sposatasi con Tyron
Power – indossati dalle attrici dentro e fuori la scena, fecero del cinema uno dei più efficaci
strumenti di promozione della moda italiana.
1951 – 1960 : La nascita della moda italiana.
Il 12 Febbraio 1951 una sfilata organizzata da Giovanni Battista Giorgini (1898-1971) entusiasma
giornalisti e buyer americani: è la nascita della moda italiana.
A Parigi due giovani talenti creativi – Pierre Cardin (1922) e Yves Saint Laurent (1936-2008) – si
impadroniscono della scena dell’haute couture.
Il 12 febbraio 1951 Giovanni Battista Giorginiorganizzò nella propria residenza fiorentina – Villa
Torrigiani – una sfilata alla quale si fa convenzionalmente risalire la nascita della moda italiana. Le
ragioni dell’importanza di quell’evento sono molteplici. Sulla passerella sfilarono creazioni
sartoriali esclusivamente italiane di alcune fra le più importanti case di moda fiorentine, milanesi e
romane, che accettarono di presentare i loro modelli in una sfilata collettiva. Inoltre, la
manifestazione si svolse immediatamente dopo gli appuntamenti di moda parigini, un espediente
3. pensato per incuriosire i compratori americani e indurli a prolungare il loro viaggio europeo sino a
Firenze. Ai rappresentanti dei più importanti department store d’oltreoceano – I. Magnin di San
Francisco, Henry Morgan di Montreal, B. Altman, Bergdorf Goodman e Leto Cohn Lo Balbo di New
York – doveva essere ben chiaro che a Firenze li attendevano collezioni del tutto nuove, dal
momento che alle case di moda italiane era mancato materialmente il tempo necessario per
recepire ed elaborare le nuove tendenze lanciate dalle passerelle parigine. Di origini nobili, nel
periodo fra le due guerre, Giovanni Battista Giorgini si era dedicato all’attività di rappresentante
dei prodotti dell’artigianato toscano – paglie, maioliche, biancheria ricamata per la casa – che
aveva commercializzato negli Stati Uniti, acquisendo una conoscenza molto approfondita del
mercato e dei gusti americani. Sapeva che la produzione delle case di moda italiane – dall’alta
sartoria ai modelli boutique, dalle creazioni per lo sport a quelle per il tempo libero – aveva tutte le
carte in regola per soddisfare le esigenze di un mercato in cui la ricchezza diffusa aveva creato
bisogni di consumo che non potevano essere appagati dalle creazioni esclusive ed elitarie proposte
dagliatelier parigini. Da un articolo pubblicato dal magazine americano «Time» a commento della
sfilata fiorentina, i lettori appresero che i modelli italiani costavano circa la metà di quelli francesi,
ai quali non avevano nulla da invidiare. «Cause for worry», concludeva il giornalista: gli italiani
stavano incominciando a impensierire seriamente i couturier francesi. A Firenze per l’Alta Moda
romana sfilarono Simonetta, Carosa,Alberto Fabiani, le sorelle Fontana ed Emilio
Schuberth (1904-1972) che, con l’accostamento dei colori e dei materiali delle sue creazioni, diede
alla sfilata un contributo di gusto mediterraneo e di profonda conoscenza delle tradizioni sartoriali
napoletane. Milano era presente con le creazioni delle sartorie Vanna eNoberasco, con le pellicce
di Jole Veneziani(1901-1989), e con Germana Marucelli (1905-1983). Quest’ultima, considerata
dagli storici della moda l’anticipatrice del New Look di Christian Dior, con l’aiuto di Franco
Marinotti(fondatore della Snia Viscosa), era subentrata alla storica casa Ventura aprendo un
proprioatelier, divenuto cenacolo di architetti, pittori, scultori, poeti. Per la
moda boutique sfilarono i sarti milanesi Giorgio Avolio, le cui creazioni si caratterizzavano per i
colori, i disegni e il taglio classico, e Franco Bertoli (1910-1960) che, al contrario, si distingueva per
originalità e fantasia, doti affinate durante gli anni Trenta, quando la scarsità delle materie prime
aveva costretto a far largo impiego di materiali di fortuna. Presentò i propri modelli anche Emilio
Pucci (1914-1992), che a quell’epoca si era già aperto un varco nel mercato statunitense attraverso
la stampa di moda e i grandi magazzini che commercializzavano i suoi modelli con il marchio
Emilio. Vissuto all’insegna della conquista dei mercati internazionali, il decennio si concluse
ribadendo la centralità della capitale: a Roma nel 1958 fu fondata la Camera sindacale della Moda
italiana e, sempre a Roma, nel 1959 Valentino (1932) aprì la propria casa di moda.
4. 1961 – 1970 : I giovani.
L’industria dell’abbigliamento confezionato in serie diventa una realtà capace di influenzare gusti
e consumi della popolazione italiana.
Mentre Parigi si apre ai contributi di una nuova generazione di designer giapponesi, il mini abito
di Mary Quant e il corpo da adolescente di Twiggy diventano i simboli del look degli anni
Sessanta.
Sulla scia dei successi raccolti nel decennio precedente, la moda italiana consolidò la propria fama
internazionale grazie sia alle iniziative di firme ormai note che alle idee di giovani talenti creativi.
Tra le prime sono da annoverare le sorelle Fendi, la cui pellicceria attiva a Roma sin dal 1925 salì
alla ribalta internazionale grazie alla collaborazione con Karl Lagerfeld (1933), che innovò taglio e
materiali. Tra i secondi spiccano Mariuccia Mandelli (Krizia, 1935) e Ottavio (1921) e Rosita
Missoni (1931), che a Firenze presentarono le loro prime collezioni di maglieria. Nel 1962, venne
ricostituita la Camera nazionale della Moda – nata nel 1958 ma rimasta poi inattiva –, da subito
impegnata a fronteggiare i primi segnali di crisi che offuscavano il successo della moda italiana, tra
cui le rivalità e i dissidi che contrapponevano Firenze e Roma, e le difficoltà economiche in cui si
dibatteva l’Alta Moda, che risentiva di costi di gestione troppo elevati, ripartiti su un numero di
creazioni troppo esiguo. Alcune case di moda decisero in quegli anni di compiere il passo verso la
produzione diprêt-à-porter di lusso. Per l’Italia, la grande novità del decennio è tuttavia
rappresentata dall’affermazione dell’industria dell’abbigliamento confezionato in serie, che porta a
maturazione il ciclo delle innovazioni introdotte nella seconda metà egli anni Cinquanta con la
“rivoluzione delle taglie”. Per la prima volta, anche per il consumatore italiano, venne così a
esistere un’alternativa alla produzione sartoriale. Nonostante gli ostacoli culturali e commerciali –
in Italia “abito pronto” era ancora sinonimo di “abito usato” e l’arretratezza del sistema distributivo
giocava a sfavore della diffusione dell’abito confezionato –, le imprese che producevano
abbigliamento si moltiplicarono e realizzarono ingenti investimenti in capitale fisso,marketing e
distribuzione. Gruppo Finanziario Tessile, Max Mara, Marzotto posero le basi delle realtà
industriali che, nei decenni successivi, diventeranno i principali interlocutori di stilisti italiani e
stranieri.
5. 1971 – 1980 : Il trionfo della prêt – á – porter.
Mentre il ritmo di avvicendamento delle mode subisce una forte accelerazione, il rapporto fra
stilismo e industria imprime una svolta alla storia della moda italiana e proietta Milano nella
geografia internazionale della moda.
In Francia il processo di democratizzazione della moda si concentra intorno al gruppoCréateurs
et Industriels. In Inghilterra nasce il punk.
Il decennio è caratterizzato dal persistere di gravi incertezze economiche che si ripercuotono sulla
produzione e sul consumo di abbigliamento. Per diminuire i costi, le grandi imprese che si erano
formate nel corso degli anni Sessanta avviarono un processo di rinnovamento che le portò a ridurre
il numero degli addetti, a investire in nuove tecnologie, a snellire la propria struttura ricorrendo al
decentramento di intere fasi del processo produttivo. L’industria italiana dell’abbigliamento
assunse di conseguenza una configurazione del tutto nuova rispetto al passato: il numero medio
degli addetti per unità produttiva calò sensibilmente e il tessuto fatto di piccole e piccolissime
imprese specializzate, flessibili, e agglomerate nei “distretti” che emerse in quegli anni diventò la
cifra distintiva del sistema industriale italiano, particolarmente nel settore del tessile e
dell’abbigliamento. Sul fronte dei consumi, la contrapposizione generazionale si acuì ma i giovani
incominciarono a non essere più gli unici a esprimere forti istanze di cambiamento. Anche tra gli
adulti si diffuse il rifiuto dell’omologazione dei gusti che la standardizzazione della produzione di
abbigliamento confezionato aveva inevitabilmente imposto. In Italia, Walter Albini (1941-1983) fu
il primo a intuire che la risposta al cambiamento nei gusti e nei comportamenti di consumo di
abbigliamento doveva andare nella direzione di una maggiore personalizzazione del prodotto
industriale, ottenuta attraverso la collaborazione fra stilismo e industria nella fase della
progettazione del prodotto e del processo produttivo per realizzarlo. Albini aveva in mente una
moda industriale così diversa dalle creazioni artigianali che sfilavano sulle passerelle fiorentine e
dall’Alta Moda romana da necessitare di un nuovo trampolino di lancio. Artefice del primo esempio
di collaborazione fra moda e industria spinta fino alla creazione di intere collezioni, preceduta da
un’intensa attività di studio e modifica delle macchine e dei tessuti in funzione dei progetti stilistici,
all’inizio del decennio Walter Albini decise di presentare a Milano le proprie creazioni disegnate
per cinque diverse case di moda (Basile, Escargots, Callaghan , Misterfox, Diamant’s, alla quale
subentrò dopo breve tempo Sportmax), specializzate in differenti produzioni (giacche,
maglieria, jersey, abiti, camicie) fra loro complementari. Il distacco dalle passerelle fiorentine –
condiviso da Krizia, Jean Baptiste Caumont (1932), Missoni, Ken Scott (1919-1991) – segnò una
svolta nella storia della moda italiana. Fu in quegli anni infatti che Milano si affermò come una
delle principali capitali internazionali della moda grazie a stilisti con spiccate doti imprenditoriali e
manageriali del calibro di Albini che, nel 1975, presentò una collezione maschile con il proprio
marchio, precorrendo ancora una volta i tempi; di Gianni Versace (1946-1997), che debuttò
disegnando la collezione Complice di Girombelli; di Giorgio Armani (1934) che, dopo aver lavorato
a lungo per la Hitman di Cerruti, inaugurò nel 1978 con il Gruppo Finanziario Tessile una nuova
forma di collaborazione con l’industria basata sui contratti di licensing.
6. 1981 – 1990 : Stilismo e industria.
Con l’estensione dei contratti di licenza di uso del marchio dall’abbigliamento ai profumi e agli
accessori incomincia una nuova era della storia del successo internazionale, conquistato dalle
grandi firme italiane della moda.
La moda diventa sempre più internazionale: non più solo dalla Francia e dall’Europa, ma anche
dagli Stati Uniti e dal Giappone provengono nuovi stili e nuove mode.
La parola d’ordine del decennio è apparire. È il trionfo dell’immagine usata come mezzo di
comunicazione, come leva delle strategie dimarketing e come “filosofia” di comportamento
espressa dal total look, uno stile studiato dalla testa ai piedi in cui tutto è coerente dal più piccolo
accessorio al capospalla. Nelle strategie di crescita e di diversificazione delle imprese, il trionfo
dell’immagine ha trovato il proprio corrispettivo nell’importanza assunta dal brand, il segno
distintivo che soddisfa un bisogno di consumo edonistico indifferente alle qualità intrinseche del
prodotto. Sostenuto da una filiera produttiva che integra il tessile e le industrie correlate
all’abbigliamento, il successo internazionale del “sistema moda” italiano in quegli anni si è
consolidato grazie all’apporto di creatività e di idee imprenditoriali e manageriali di stilisti ormai
affermati e di nuovi talenti. Fra le giovani promesse della moda italiana vi erano il sarto Domenico
Dolce e il grafico Stefano Gabbana, che nel 1986 presentarono a Milano la loro prima collezione, e
Franco Moschino (1950-1994) che, dopo una gavetta trascorsa disegnando la produzione di prêt-à-porter
di alcune fra le più importanti imprese dell’abbigliamento italiane, debuttò con i
marchiMoschino Couture, Moschino Jeans, eCheap&Chic. Il successo internazionale della moda
italiana degli anni Ottanta si identifica con Giorgio Armani e con la giacca destrutturata su cui
facevano indifferentemente perno le collezioni maschili e femminili. Realizzato per l’uomo con
colori e tagli inediti, il blazer diventò componente essenziale del guardaroba femminile in un’epoca
in cui le donne accedevano sempre più numerose al mondo del lavoro. Nel 1982, il magazine
americano «Time» dedicò ad Armani e alla sua giacca destrutturata la copertina. A quella data, la
moda Armani era già ben nota negli Stati Uniti. La linea Giorgio Armani Le Collezioni per uomo e
per donna era commercializzata attraverso i più lussuosidepartment store. Il marchio e il
logo Emporio Armani erano segno distintivo al tempo stesso di una collezione e di un canale
distributivo monomarca. Il guardaroba maschile disegnato da Armani per Richard Gere, interprete
diAmerican Gigolo (1980), aveva contribuito a estendere la notorietà dello stilista ben oltre i
confini dei tradizionali mercati. Saldamente radicata nel mercato americano, l’impresa fondata da
Giorgio Armani diventò un modello di crescita e di diversificazione basato su solidi pilastri: la
7. collaborazione con l’industria, fondamentale per trasformare la creatività stilistica in innovazioni di
successo, l’uso delleroyalties generate dai contratti di licenza d’uso del marchio – sottoscritti nel
1980 con L’Oréal e nel 1988 con Safilo – per finanziare gli investimenti pubblicitari, la
realizzazione della rete di negozi monomarca e l’internazionalizzazione dell’impresa, che dal 1987
fece il proprio ingresso in Giappone.
1991 – 2000 : Globalizzazione.
Il sistema produttivo su cui la moda italiana aveva costruito il suo successo incomincia a
manifestare segnali di crisi e la direzione di alcune grandi imprese della moda italiane e francesi
si apre agli apporti di direttori creativi stranieri: due segnali, fra i tanti, dei cambiamenti che il
fenomeno della globalizzazione sta portando nel mondo della moda.
La particolarità della moda degli anni Novanta consiste nella mancanza di una tendenza estetica
univoca. È moda tutto quello che creano i grandicouturier francesi e gli stilisti italiani, ed è moda
tutto quello che si acquista nelle boutique o nei grandi magazzini, purché sia soggetto ad una
rapida obsolescenza. La moda contribuisce ancora a creare personalità individuali e a disegnare
linee di demarcazione sociali, ma le forme concrete che essa assume cambiano sempre più
rapidamente e si mescolano in combinazioni inedite e contraddittorie: l’abbigliamento sportivo
elegante, il lusso povero, lo stile “chic-trasandato”. Ai grandi fenomeni della moda italiana degli
anni Novanta appartengono case di moda che vantano una lunga tradizione nell’ambito della
produzione di abbigliamento e di accessori, e stilisti che avevano incominciato a muovere i primi
passi nel mondo della moda soltanto da pochi anni. Dopo la crisi degli anni Settanta e Ottanta,
Gucci è risorta grazie aldesigner americano Tom Ford (1961), che ne ha assunto la direzione
creativa imprimendo un radicale rinnovamento all’impresa. Per Miuccia Prada, subentrata alla fine
8. degli anni Settanta nella gestione dell’impresa fondata nel 1913, la fama arrivò alla metà del
decennio dopo i primi successi ottenuti con il nuovo design di zaini e borse, e con il lancio di una
collezione di prêt-à-porter nel 1985. Nel 1999, con l’acquisto di una quota dell’azienda della stilista
tedesca Jil Sander, il marchio Prada si è affermato anche a livello internazionale. Gianni Versace,
Dolce e Gabbana, che vestirono la popstar Madonna nellatournée del 1993, Gianfranco Ferrè, cui
fu affidata la direzione della Maison Dior, sono solo alcuni fra i tanti che contribuirono ad
alimentare la fama della moda italiana in un periodo in cui il sistema produttivo su cui essa aveva
costruito il suo successo incominciava a manifestare segnali di crisi. Per le economie
industrializzate, il modello produttivo italiano era facilmente riproducibile, soprattutto per quanto
concerne le lavorazioni a minor contenuto artigianale. Le imprese italiane, a loro volta, misero in
atto strategie di delocalizzazione della produzione per abbattere i costi. Sul mercato internazionale
iniziò ad avvertirsi sempre più aggressiva la concorrenza dei Paesi a basso costo del lavoro, capace
di spiazzare le aziende italiane produttrici di abbigliamento confezionato.
2001 – 2010 : Un decennio di crisi:
Dal crollo delle Torri Gemelle alla recessione internazionale dell’ultimo biennio, l’inizio del nuovo
millennio è coinciso con un periodo di gravi turbolenze per l’economia in generale e per il
mercato dei beni dell’abbigliamento e del lusso in particolare.
La crisi non ha risparmiato il sistema moda italiano, all’interno del quale è in corso un processo
di severa selezione delle imprese più solide ed efficienti.
Il decennio è coinciso con un periodo di gravi turbolenze per l’economia in generale e per il
mercato dei beni dell’abbigliamento e del lusso in particolare. Dal 2001 in poi l’instabilità ha
prevalso sui mercati internazionali. Il clima di incertezza scaturito dal deterioramento del quadro
politico internazionale si è riflesso come prevedibile sulla dinamica dei consumi, ma si è anche
manifestato attraverso fenomeni di altra natura tra i quali l’accentuazione della volatilità tipica
dell’industria della moda, in cui non sono inconsueti clamorosi successi di brevissima durata, il
forte rallentamento della crescita dei mercati dei Paesi più sviluppati, la tendenza a spostare la
produzione verso i Paesi in cui il costo del lavoro è più basso (Cina, Hong Kong, Taiwan e le
9. Filippine). Complessivamente, con riferimento all’ultimo decennio, si può comunque parlare di
crescita del mercato globale della moda alimentata da due fenomeni che hanno caratterizzato
l’economia internazionale del nuovo millennio. Il primo è rappresentato dall’aumento della
domanda proveniente dalla regione asiatico-pacifica (Australia, Cina, Giappone, India, Singapore,
Corea del Sud e Taiwan), che nel 2007 ha superato l’Europa per valore delle vendite totali (34%
contro il 30%), compensando la stagnazione del potere d’acquisto nei mercati sviluppati. Il secondo
è costituito dal progressivo ampliamento della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, che in
molte economie sviluppate, come gli Stati Uniti, sta generando un divario sempre più marcato tra
ricchi e poveri. Questo significa che, anche se il potere di spesa globale di un’area economica è
limitato, i consumatori della fascia alta dello spettro socio-economico possiedono comunque
redditi per mantenere vivace la dinamica della domanda di beni di lusso. Sebbene sia ancora
prematura una valutazione degli effetti della crisi che si è manifestata nell’ultimo biennio con
intensità e ampiezza di raggio d’azione tali da essere paragonata alla Grande depressione del 1929,
non c’è alcun dubbio che il decennio sia coinciso con un periodo estremamente critico per le
imprese della moda italiane, segnato da clamorosi dissesti finanziari, da acquisizioni da parte dei
due grandi poli del lusso francesi, da dolorose ristrutturazioni aziendali. Le imprese che godono di
buona salute sono poche e fra queste spicca l’impero fondato da Giorgio Armani, che negli ultimi
anni è stato protagonista di acquisizioni delle imprese manifatturiere licenziatarie del marchio. Si
tratta di una strategia di carattere tutt’altro che difensivo, che sembra voler indicare nella
riscoperta e nella valorizzazione delle origini manifatturiere del successo della moda italiana una
via di uscita dalla crisi e una prospettiva di recupero della competitività internazionale del sistema
moda italiano.