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PROGETTO 
Materia : Lingua Italiana 
Tema : La Moda Italiana 
Alunno : Sara Keçi 
Docente : Silva Aleksi
1941 – 1950 : Una nuova geografia internazionale della moda. 
Dopo la parentesi bellica, Parigi torna ad essere la capitale mondiale della moda con Christian 
Dior (1905-1957) che nel 1947 lancia il New Look. 
In Italia, incomincia a farsi strada l’idea che la moda italiana possa non solo emanciparsi da 
quella francese, ma persino competere con essa. 
Mentre la haute couture francese sembrava sempre meno adeguata ad adattarsi alle esigenze del 
mercato americano, la moda italiana possedeva esattamente le caratteristiche richieste per poterle 
soddisfare: una lunga tradizione artigianale, garanzia della qualità dei materiali e della confezione, 
forza lavoro abbondante e a basso costo. L’influenza politica e culturale esercitata dagli Stati Uniti 
sull’Europa, uscita a pezzi dal conflitto, rese l’Italia uno dei maggiori beneficiari del declino relativo 
cui era andata incontro Parigi, al punto che, nella nuova geografia internazionale della moda che si 
stava delineando in quegli anni, riuscì a farsi largo Roma. Gli abiti confezionati dalle più importanti 
sartorie della capitale – Simonetta, Fabiani,Carosa, Sorelle Fontana salite alla ribalta 
internazionale nel 1947 con la creazione dell’abito nuziale di Lynda Christian sposatasi con Tyron 
Power – indossati dalle attrici dentro e fuori la scena, fecero del cinema uno dei più efficaci 
strumenti di promozione della moda italiana. 
1951 – 1960 : La nascita della moda italiana. 
Il 12 Febbraio 1951 una sfilata organizzata da Giovanni Battista Giorgini (1898-1971) entusiasma 
giornalisti e buyer americani: è la nascita della moda italiana. 
A Parigi due giovani talenti creativi – Pierre Cardin (1922) e Yves Saint Laurent (1936-2008) – si 
impadroniscono della scena dell’haute couture. 
Il 12 febbraio 1951 Giovanni Battista Giorginiorganizzò nella propria residenza fiorentina – Villa 
Torrigiani – una sfilata alla quale si fa convenzionalmente risalire la nascita della moda italiana. Le 
ragioni dell’importanza di quell’evento sono molteplici. Sulla passerella sfilarono creazioni 
sartoriali esclusivamente italiane di alcune fra le più importanti case di moda fiorentine, milanesi e 
romane, che accettarono di presentare i loro modelli in una sfilata collettiva. Inoltre, la 
manifestazione si svolse immediatamente dopo gli appuntamenti di moda parigini, un espediente
pensato per incuriosire i compratori americani e indurli a prolungare il loro viaggio europeo sino a 
Firenze. Ai rappresentanti dei più importanti department store d’oltreoceano – I. Magnin di San 
Francisco, Henry Morgan di Montreal, B. Altman, Bergdorf Goodman e Leto Cohn Lo Balbo di New 
York – doveva essere ben chiaro che a Firenze li attendevano collezioni del tutto nuove, dal 
momento che alle case di moda italiane era mancato materialmente il tempo necessario per 
recepire ed elaborare le nuove tendenze lanciate dalle passerelle parigine. Di origini nobili, nel 
periodo fra le due guerre, Giovanni Battista Giorgini si era dedicato all’attività di rappresentante 
dei prodotti dell’artigianato toscano – paglie, maioliche, biancheria ricamata per la casa – che 
aveva commercializzato negli Stati Uniti, acquisendo una conoscenza molto approfondita del 
mercato e dei gusti americani. Sapeva che la produzione delle case di moda italiane – dall’alta 
sartoria ai modelli boutique, dalle creazioni per lo sport a quelle per il tempo libero – aveva tutte le 
carte in regola per soddisfare le esigenze di un mercato in cui la ricchezza diffusa aveva creato 
bisogni di consumo che non potevano essere appagati dalle creazioni esclusive ed elitarie proposte 
dagliatelier parigini. Da un articolo pubblicato dal magazine americano «Time» a commento della 
sfilata fiorentina, i lettori appresero che i modelli italiani costavano circa la metà di quelli francesi, 
ai quali non avevano nulla da invidiare. «Cause for worry», concludeva il giornalista: gli italiani 
stavano incominciando a impensierire seriamente i couturier francesi. A Firenze per l’Alta Moda 
romana sfilarono Simonetta, Carosa,Alberto Fabiani, le sorelle Fontana ed Emilio 
Schuberth (1904-1972) che, con l’accostamento dei colori e dei materiali delle sue creazioni, diede 
alla sfilata un contributo di gusto mediterraneo e di profonda conoscenza delle tradizioni sartoriali 
napoletane. Milano era presente con le creazioni delle sartorie Vanna eNoberasco, con le pellicce 
di Jole Veneziani(1901-1989), e con Germana Marucelli (1905-1983). Quest’ultima, considerata 
dagli storici della moda l’anticipatrice del New Look di Christian Dior, con l’aiuto di Franco 
Marinotti(fondatore della Snia Viscosa), era subentrata alla storica casa Ventura aprendo un 
proprioatelier, divenuto cenacolo di architetti, pittori, scultori, poeti. Per la 
moda boutique sfilarono i sarti milanesi Giorgio Avolio, le cui creazioni si caratterizzavano per i 
colori, i disegni e il taglio classico, e Franco Bertoli (1910-1960) che, al contrario, si distingueva per 
originalità e fantasia, doti affinate durante gli anni Trenta, quando la scarsità delle materie prime 
aveva costretto a far largo impiego di materiali di fortuna. Presentò i propri modelli anche Emilio 
Pucci (1914-1992), che a quell’epoca si era già aperto un varco nel mercato statunitense attraverso 
la stampa di moda e i grandi magazzini che commercializzavano i suoi modelli con il marchio 
Emilio. Vissuto all’insegna della conquista dei mercati internazionali, il decennio si concluse 
ribadendo la centralità della capitale: a Roma nel 1958 fu fondata la Camera sindacale della Moda 
italiana e, sempre a Roma, nel 1959 Valentino (1932) aprì la propria casa di moda.
1961 – 1970 : I giovani. 
L’industria dell’abbigliamento confezionato in serie diventa una realtà capace di influenzare gusti 
e consumi della popolazione italiana. 
Mentre Parigi si apre ai contributi di una nuova generazione di designer giapponesi, il mini abito 
di Mary Quant e il corpo da adolescente di Twiggy diventano i simboli del look degli anni 
Sessanta. 
Sulla scia dei successi raccolti nel decennio precedente, la moda italiana consolidò la propria fama 
internazionale grazie sia alle iniziative di firme ormai note che alle idee di giovani talenti creativi. 
Tra le prime sono da annoverare le sorelle Fendi, la cui pellicceria attiva a Roma sin dal 1925 salì 
alla ribalta internazionale grazie alla collaborazione con Karl Lagerfeld (1933), che innovò taglio e 
materiali. Tra i secondi spiccano Mariuccia Mandelli (Krizia, 1935) e Ottavio (1921) e Rosita 
Missoni (1931), che a Firenze presentarono le loro prime collezioni di maglieria. Nel 1962, venne 
ricostituita la Camera nazionale della Moda – nata nel 1958 ma rimasta poi inattiva –, da subito 
impegnata a fronteggiare i primi segnali di crisi che offuscavano il successo della moda italiana, tra 
cui le rivalità e i dissidi che contrapponevano Firenze e Roma, e le difficoltà economiche in cui si 
dibatteva l’Alta Moda, che risentiva di costi di gestione troppo elevati, ripartiti su un numero di 
creazioni troppo esiguo. Alcune case di moda decisero in quegli anni di compiere il passo verso la 
produzione diprêt-à-porter di lusso. Per l’Italia, la grande novità del decennio è tuttavia 
rappresentata dall’affermazione dell’industria dell’abbigliamento confezionato in serie, che porta a 
maturazione il ciclo delle innovazioni introdotte nella seconda metà egli anni Cinquanta con la 
“rivoluzione delle taglie”. Per la prima volta, anche per il consumatore italiano, venne così a 
esistere un’alternativa alla produzione sartoriale. Nonostante gli ostacoli culturali e commerciali – 
in Italia “abito pronto” era ancora sinonimo di “abito usato” e l’arretratezza del sistema distributivo 
giocava a sfavore della diffusione dell’abito confezionato –, le imprese che producevano 
abbigliamento si moltiplicarono e realizzarono ingenti investimenti in capitale fisso,marketing e 
distribuzione. Gruppo Finanziario Tessile, Max Mara, Marzotto posero le basi delle realtà 
industriali che, nei decenni successivi, diventeranno i principali interlocutori di stilisti italiani e 
stranieri.
1971 – 1980 : Il trionfo della prêt – á – porter. 
Mentre il ritmo di avvicendamento delle mode subisce una forte accelerazione, il rapporto fra 
stilismo e industria imprime una svolta alla storia della moda italiana e proietta Milano nella 
geografia internazionale della moda. 
In Francia il processo di democratizzazione della moda si concentra intorno al gruppoCréateurs 
et Industriels. In Inghilterra nasce il punk. 
Il decennio è caratterizzato dal persistere di gravi incertezze economiche che si ripercuotono sulla 
produzione e sul consumo di abbigliamento. Per diminuire i costi, le grandi imprese che si erano 
formate nel corso degli anni Sessanta avviarono un processo di rinnovamento che le portò a ridurre 
il numero degli addetti, a investire in nuove tecnologie, a snellire la propria struttura ricorrendo al 
decentramento di intere fasi del processo produttivo. L’industria italiana dell’abbigliamento 
assunse di conseguenza una configurazione del tutto nuova rispetto al passato: il numero medio 
degli addetti per unità produttiva calò sensibilmente e il tessuto fatto di piccole e piccolissime 
imprese specializzate, flessibili, e agglomerate nei “distretti” che emerse in quegli anni diventò la 
cifra distintiva del sistema industriale italiano, particolarmente nel settore del tessile e 
dell’abbigliamento. Sul fronte dei consumi, la contrapposizione generazionale si acuì ma i giovani 
incominciarono a non essere più gli unici a esprimere forti istanze di cambiamento. Anche tra gli 
adulti si diffuse il rifiuto dell’omologazione dei gusti che la standardizzazione della produzione di 
abbigliamento confezionato aveva inevitabilmente imposto. In Italia, Walter Albini (1941-1983) fu 
il primo a intuire che la risposta al cambiamento nei gusti e nei comportamenti di consumo di 
abbigliamento doveva andare nella direzione di una maggiore personalizzazione del prodotto 
industriale, ottenuta attraverso la collaborazione fra stilismo e industria nella fase della 
progettazione del prodotto e del processo produttivo per realizzarlo. Albini aveva in mente una 
moda industriale così diversa dalle creazioni artigianali che sfilavano sulle passerelle fiorentine e 
dall’Alta Moda romana da necessitare di un nuovo trampolino di lancio. Artefice del primo esempio 
di collaborazione fra moda e industria spinta fino alla creazione di intere collezioni, preceduta da 
un’intensa attività di studio e modifica delle macchine e dei tessuti in funzione dei progetti stilistici, 
all’inizio del decennio Walter Albini decise di presentare a Milano le proprie creazioni disegnate 
per cinque diverse case di moda (Basile, Escargots, Callaghan , Misterfox, Diamant’s, alla quale 
subentrò dopo breve tempo Sportmax), specializzate in differenti produzioni (giacche, 
maglieria, jersey, abiti, camicie) fra loro complementari. Il distacco dalle passerelle fiorentine – 
condiviso da Krizia, Jean Baptiste Caumont (1932), Missoni, Ken Scott (1919-1991) – segnò una 
svolta nella storia della moda italiana. Fu in quegli anni infatti che Milano si affermò come una 
delle principali capitali internazionali della moda grazie a stilisti con spiccate doti imprenditoriali e 
manageriali del calibro di Albini che, nel 1975, presentò una collezione maschile con il proprio 
marchio, precorrendo ancora una volta i tempi; di Gianni Versace (1946-1997), che debuttò 
disegnando la collezione Complice di Girombelli; di Giorgio Armani (1934) che, dopo aver lavorato 
a lungo per la Hitman di Cerruti, inaugurò nel 1978 con il Gruppo Finanziario Tessile una nuova 
forma di collaborazione con l’industria basata sui contratti di licensing.
1981 – 1990 : Stilismo e industria. 
Con l’estensione dei contratti di licenza di uso del marchio dall’abbigliamento ai profumi e agli 
accessori incomincia una nuova era della storia del successo internazionale, conquistato dalle 
grandi firme italiane della moda. 
La moda diventa sempre più internazionale: non più solo dalla Francia e dall’Europa, ma anche 
dagli Stati Uniti e dal Giappone provengono nuovi stili e nuove mode. 
La parola d’ordine del decennio è apparire. È il trionfo dell’immagine usata come mezzo di 
comunicazione, come leva delle strategie dimarketing e come “filosofia” di comportamento 
espressa dal total look, uno stile studiato dalla testa ai piedi in cui tutto è coerente dal più piccolo 
accessorio al capospalla. Nelle strategie di crescita e di diversificazione delle imprese, il trionfo 
dell’immagine ha trovato il proprio corrispettivo nell’importanza assunta dal brand, il segno 
distintivo che soddisfa un bisogno di consumo edonistico indifferente alle qualità intrinseche del 
prodotto. Sostenuto da una filiera produttiva che integra il tessile e le industrie correlate 
all’abbigliamento, il successo internazionale del “sistema moda” italiano in quegli anni si è 
consolidato grazie all’apporto di creatività e di idee imprenditoriali e manageriali di stilisti ormai 
affermati e di nuovi talenti. Fra le giovani promesse della moda italiana vi erano il sarto Domenico 
Dolce e il grafico Stefano Gabbana, che nel 1986 presentarono a Milano la loro prima collezione, e 
Franco Moschino (1950-1994) che, dopo una gavetta trascorsa disegnando la produzione di prêt-à-porter 
di alcune fra le più importanti imprese dell’abbigliamento italiane, debuttò con i 
marchiMoschino Couture, Moschino Jeans, eCheap&Chic. Il successo internazionale della moda 
italiana degli anni Ottanta si identifica con Giorgio Armani e con la giacca destrutturata su cui 
facevano indifferentemente perno le collezioni maschili e femminili. Realizzato per l’uomo con 
colori e tagli inediti, il blazer diventò componente essenziale del guardaroba femminile in un’epoca 
in cui le donne accedevano sempre più numerose al mondo del lavoro. Nel 1982, il magazine 
americano «Time» dedicò ad Armani e alla sua giacca destrutturata la copertina. A quella data, la 
moda Armani era già ben nota negli Stati Uniti. La linea Giorgio Armani Le Collezioni per uomo e 
per donna era commercializzata attraverso i più lussuosidepartment store. Il marchio e il 
logo Emporio Armani erano segno distintivo al tempo stesso di una collezione e di un canale 
distributivo monomarca. Il guardaroba maschile disegnato da Armani per Richard Gere, interprete 
diAmerican Gigolo (1980), aveva contribuito a estendere la notorietà dello stilista ben oltre i 
confini dei tradizionali mercati. Saldamente radicata nel mercato americano, l’impresa fondata da 
Giorgio Armani diventò un modello di crescita e di diversificazione basato su solidi pilastri: la
collaborazione con l’industria, fondamentale per trasformare la creatività stilistica in innovazioni di 
successo, l’uso delleroyalties generate dai contratti di licenza d’uso del marchio – sottoscritti nel 
1980 con L’Oréal e nel 1988 con Safilo – per finanziare gli investimenti pubblicitari, la 
realizzazione della rete di negozi monomarca e l’internazionalizzazione dell’impresa, che dal 1987 
fece il proprio ingresso in Giappone. 
1991 – 2000 : Globalizzazione. 
Il sistema produttivo su cui la moda italiana aveva costruito il suo successo incomincia a 
manifestare segnali di crisi e la direzione di alcune grandi imprese della moda italiane e francesi 
si apre agli apporti di direttori creativi stranieri: due segnali, fra i tanti, dei cambiamenti che il 
fenomeno della globalizzazione sta portando nel mondo della moda. 
La particolarità della moda degli anni Novanta consiste nella mancanza di una tendenza estetica 
univoca. È moda tutto quello che creano i grandicouturier francesi e gli stilisti italiani, ed è moda 
tutto quello che si acquista nelle boutique o nei grandi magazzini, purché sia soggetto ad una 
rapida obsolescenza. La moda contribuisce ancora a creare personalità individuali e a disegnare 
linee di demarcazione sociali, ma le forme concrete che essa assume cambiano sempre più 
rapidamente e si mescolano in combinazioni inedite e contraddittorie: l’abbigliamento sportivo 
elegante, il lusso povero, lo stile “chic-trasandato”. Ai grandi fenomeni della moda italiana degli 
anni Novanta appartengono case di moda che vantano una lunga tradizione nell’ambito della 
produzione di abbigliamento e di accessori, e stilisti che avevano incominciato a muovere i primi 
passi nel mondo della moda soltanto da pochi anni. Dopo la crisi degli anni Settanta e Ottanta, 
Gucci è risorta grazie aldesigner americano Tom Ford (1961), che ne ha assunto la direzione 
creativa imprimendo un radicale rinnovamento all’impresa. Per Miuccia Prada, subentrata alla fine
degli anni Settanta nella gestione dell’impresa fondata nel 1913, la fama arrivò alla metà del 
decennio dopo i primi successi ottenuti con il nuovo design di zaini e borse, e con il lancio di una 
collezione di prêt-à-porter nel 1985. Nel 1999, con l’acquisto di una quota dell’azienda della stilista 
tedesca Jil Sander, il marchio Prada si è affermato anche a livello internazionale. Gianni Versace, 
Dolce e Gabbana, che vestirono la popstar Madonna nellatournée del 1993, Gianfranco Ferrè, cui 
fu affidata la direzione della Maison Dior, sono solo alcuni fra i tanti che contribuirono ad 
alimentare la fama della moda italiana in un periodo in cui il sistema produttivo su cui essa aveva 
costruito il suo successo incominciava a manifestare segnali di crisi. Per le economie 
industrializzate, il modello produttivo italiano era facilmente riproducibile, soprattutto per quanto 
concerne le lavorazioni a minor contenuto artigianale. Le imprese italiane, a loro volta, misero in 
atto strategie di delocalizzazione della produzione per abbattere i costi. Sul mercato internazionale 
iniziò ad avvertirsi sempre più aggressiva la concorrenza dei Paesi a basso costo del lavoro, capace 
di spiazzare le aziende italiane produttrici di abbigliamento confezionato. 
2001 – 2010 : Un decennio di crisi: 
Dal crollo delle Torri Gemelle alla recessione internazionale dell’ultimo biennio, l’inizio del nuovo 
millennio è coinciso con un periodo di gravi turbolenze per l’economia in generale e per il 
mercato dei beni dell’abbigliamento e del lusso in particolare. 
La crisi non ha risparmiato il sistema moda italiano, all’interno del quale è in corso un processo 
di severa selezione delle imprese più solide ed efficienti. 
Il decennio è coinciso con un periodo di gravi turbolenze per l’economia in generale e per il 
mercato dei beni dell’abbigliamento e del lusso in particolare. Dal 2001 in poi l’instabilità ha 
prevalso sui mercati internazionali. Il clima di incertezza scaturito dal deterioramento del quadro 
politico internazionale si è riflesso come prevedibile sulla dinamica dei consumi, ma si è anche 
manifestato attraverso fenomeni di altra natura tra i quali l’accentuazione della volatilità tipica 
dell’industria della moda, in cui non sono inconsueti clamorosi successi di brevissima durata, il 
forte rallentamento della crescita dei mercati dei Paesi più sviluppati, la tendenza a spostare la 
produzione verso i Paesi in cui il costo del lavoro è più basso (Cina, Hong Kong, Taiwan e le
Filippine). Complessivamente, con riferimento all’ultimo decennio, si può comunque parlare di 
crescita del mercato globale della moda alimentata da due fenomeni che hanno caratterizzato 
l’economia internazionale del nuovo millennio. Il primo è rappresentato dall’aumento della 
domanda proveniente dalla regione asiatico-pacifica (Australia, Cina, Giappone, India, Singapore, 
Corea del Sud e Taiwan), che nel 2007 ha superato l’Europa per valore delle vendite totali (34% 
contro il 30%), compensando la stagnazione del potere d’acquisto nei mercati sviluppati. Il secondo 
è costituito dal progressivo ampliamento della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, che in 
molte economie sviluppate, come gli Stati Uniti, sta generando un divario sempre più marcato tra 
ricchi e poveri. Questo significa che, anche se il potere di spesa globale di un’area economica è 
limitato, i consumatori della fascia alta dello spettro socio-economico possiedono comunque 
redditi per mantenere vivace la dinamica della domanda di beni di lusso. Sebbene sia ancora 
prematura una valutazione degli effetti della crisi che si è manifestata nell’ultimo biennio con 
intensità e ampiezza di raggio d’azione tali da essere paragonata alla Grande depressione del 1929, 
non c’è alcun dubbio che il decennio sia coinciso con un periodo estremamente critico per le 
imprese della moda italiane, segnato da clamorosi dissesti finanziari, da acquisizioni da parte dei 
due grandi poli del lusso francesi, da dolorose ristrutturazioni aziendali. Le imprese che godono di 
buona salute sono poche e fra queste spicca l’impero fondato da Giorgio Armani, che negli ultimi 
anni è stato protagonista di acquisizioni delle imprese manifatturiere licenziatarie del marchio. Si 
tratta di una strategia di carattere tutt’altro che difensivo, che sembra voler indicare nella 
riscoperta e nella valorizzazione delle origini manifatturiere del successo della moda italiana una 
via di uscita dalla crisi e una prospettiva di recupero della competitività internazionale del sistema 
moda italiano.

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La moda italiana

  • 1. PROGETTO Materia : Lingua Italiana Tema : La Moda Italiana Alunno : Sara Keçi Docente : Silva Aleksi
  • 2. 1941 – 1950 : Una nuova geografia internazionale della moda. Dopo la parentesi bellica, Parigi torna ad essere la capitale mondiale della moda con Christian Dior (1905-1957) che nel 1947 lancia il New Look. In Italia, incomincia a farsi strada l’idea che la moda italiana possa non solo emanciparsi da quella francese, ma persino competere con essa. Mentre la haute couture francese sembrava sempre meno adeguata ad adattarsi alle esigenze del mercato americano, la moda italiana possedeva esattamente le caratteristiche richieste per poterle soddisfare: una lunga tradizione artigianale, garanzia della qualità dei materiali e della confezione, forza lavoro abbondante e a basso costo. L’influenza politica e culturale esercitata dagli Stati Uniti sull’Europa, uscita a pezzi dal conflitto, rese l’Italia uno dei maggiori beneficiari del declino relativo cui era andata incontro Parigi, al punto che, nella nuova geografia internazionale della moda che si stava delineando in quegli anni, riuscì a farsi largo Roma. Gli abiti confezionati dalle più importanti sartorie della capitale – Simonetta, Fabiani,Carosa, Sorelle Fontana salite alla ribalta internazionale nel 1947 con la creazione dell’abito nuziale di Lynda Christian sposatasi con Tyron Power – indossati dalle attrici dentro e fuori la scena, fecero del cinema uno dei più efficaci strumenti di promozione della moda italiana. 1951 – 1960 : La nascita della moda italiana. Il 12 Febbraio 1951 una sfilata organizzata da Giovanni Battista Giorgini (1898-1971) entusiasma giornalisti e buyer americani: è la nascita della moda italiana. A Parigi due giovani talenti creativi – Pierre Cardin (1922) e Yves Saint Laurent (1936-2008) – si impadroniscono della scena dell’haute couture. Il 12 febbraio 1951 Giovanni Battista Giorginiorganizzò nella propria residenza fiorentina – Villa Torrigiani – una sfilata alla quale si fa convenzionalmente risalire la nascita della moda italiana. Le ragioni dell’importanza di quell’evento sono molteplici. Sulla passerella sfilarono creazioni sartoriali esclusivamente italiane di alcune fra le più importanti case di moda fiorentine, milanesi e romane, che accettarono di presentare i loro modelli in una sfilata collettiva. Inoltre, la manifestazione si svolse immediatamente dopo gli appuntamenti di moda parigini, un espediente
  • 3. pensato per incuriosire i compratori americani e indurli a prolungare il loro viaggio europeo sino a Firenze. Ai rappresentanti dei più importanti department store d’oltreoceano – I. Magnin di San Francisco, Henry Morgan di Montreal, B. Altman, Bergdorf Goodman e Leto Cohn Lo Balbo di New York – doveva essere ben chiaro che a Firenze li attendevano collezioni del tutto nuove, dal momento che alle case di moda italiane era mancato materialmente il tempo necessario per recepire ed elaborare le nuove tendenze lanciate dalle passerelle parigine. Di origini nobili, nel periodo fra le due guerre, Giovanni Battista Giorgini si era dedicato all’attività di rappresentante dei prodotti dell’artigianato toscano – paglie, maioliche, biancheria ricamata per la casa – che aveva commercializzato negli Stati Uniti, acquisendo una conoscenza molto approfondita del mercato e dei gusti americani. Sapeva che la produzione delle case di moda italiane – dall’alta sartoria ai modelli boutique, dalle creazioni per lo sport a quelle per il tempo libero – aveva tutte le carte in regola per soddisfare le esigenze di un mercato in cui la ricchezza diffusa aveva creato bisogni di consumo che non potevano essere appagati dalle creazioni esclusive ed elitarie proposte dagliatelier parigini. Da un articolo pubblicato dal magazine americano «Time» a commento della sfilata fiorentina, i lettori appresero che i modelli italiani costavano circa la metà di quelli francesi, ai quali non avevano nulla da invidiare. «Cause for worry», concludeva il giornalista: gli italiani stavano incominciando a impensierire seriamente i couturier francesi. A Firenze per l’Alta Moda romana sfilarono Simonetta, Carosa,Alberto Fabiani, le sorelle Fontana ed Emilio Schuberth (1904-1972) che, con l’accostamento dei colori e dei materiali delle sue creazioni, diede alla sfilata un contributo di gusto mediterraneo e di profonda conoscenza delle tradizioni sartoriali napoletane. Milano era presente con le creazioni delle sartorie Vanna eNoberasco, con le pellicce di Jole Veneziani(1901-1989), e con Germana Marucelli (1905-1983). Quest’ultima, considerata dagli storici della moda l’anticipatrice del New Look di Christian Dior, con l’aiuto di Franco Marinotti(fondatore della Snia Viscosa), era subentrata alla storica casa Ventura aprendo un proprioatelier, divenuto cenacolo di architetti, pittori, scultori, poeti. Per la moda boutique sfilarono i sarti milanesi Giorgio Avolio, le cui creazioni si caratterizzavano per i colori, i disegni e il taglio classico, e Franco Bertoli (1910-1960) che, al contrario, si distingueva per originalità e fantasia, doti affinate durante gli anni Trenta, quando la scarsità delle materie prime aveva costretto a far largo impiego di materiali di fortuna. Presentò i propri modelli anche Emilio Pucci (1914-1992), che a quell’epoca si era già aperto un varco nel mercato statunitense attraverso la stampa di moda e i grandi magazzini che commercializzavano i suoi modelli con il marchio Emilio. Vissuto all’insegna della conquista dei mercati internazionali, il decennio si concluse ribadendo la centralità della capitale: a Roma nel 1958 fu fondata la Camera sindacale della Moda italiana e, sempre a Roma, nel 1959 Valentino (1932) aprì la propria casa di moda.
  • 4. 1961 – 1970 : I giovani. L’industria dell’abbigliamento confezionato in serie diventa una realtà capace di influenzare gusti e consumi della popolazione italiana. Mentre Parigi si apre ai contributi di una nuova generazione di designer giapponesi, il mini abito di Mary Quant e il corpo da adolescente di Twiggy diventano i simboli del look degli anni Sessanta. Sulla scia dei successi raccolti nel decennio precedente, la moda italiana consolidò la propria fama internazionale grazie sia alle iniziative di firme ormai note che alle idee di giovani talenti creativi. Tra le prime sono da annoverare le sorelle Fendi, la cui pellicceria attiva a Roma sin dal 1925 salì alla ribalta internazionale grazie alla collaborazione con Karl Lagerfeld (1933), che innovò taglio e materiali. Tra i secondi spiccano Mariuccia Mandelli (Krizia, 1935) e Ottavio (1921) e Rosita Missoni (1931), che a Firenze presentarono le loro prime collezioni di maglieria. Nel 1962, venne ricostituita la Camera nazionale della Moda – nata nel 1958 ma rimasta poi inattiva –, da subito impegnata a fronteggiare i primi segnali di crisi che offuscavano il successo della moda italiana, tra cui le rivalità e i dissidi che contrapponevano Firenze e Roma, e le difficoltà economiche in cui si dibatteva l’Alta Moda, che risentiva di costi di gestione troppo elevati, ripartiti su un numero di creazioni troppo esiguo. Alcune case di moda decisero in quegli anni di compiere il passo verso la produzione diprêt-à-porter di lusso. Per l’Italia, la grande novità del decennio è tuttavia rappresentata dall’affermazione dell’industria dell’abbigliamento confezionato in serie, che porta a maturazione il ciclo delle innovazioni introdotte nella seconda metà egli anni Cinquanta con la “rivoluzione delle taglie”. Per la prima volta, anche per il consumatore italiano, venne così a esistere un’alternativa alla produzione sartoriale. Nonostante gli ostacoli culturali e commerciali – in Italia “abito pronto” era ancora sinonimo di “abito usato” e l’arretratezza del sistema distributivo giocava a sfavore della diffusione dell’abito confezionato –, le imprese che producevano abbigliamento si moltiplicarono e realizzarono ingenti investimenti in capitale fisso,marketing e distribuzione. Gruppo Finanziario Tessile, Max Mara, Marzotto posero le basi delle realtà industriali che, nei decenni successivi, diventeranno i principali interlocutori di stilisti italiani e stranieri.
  • 5. 1971 – 1980 : Il trionfo della prêt – á – porter. Mentre il ritmo di avvicendamento delle mode subisce una forte accelerazione, il rapporto fra stilismo e industria imprime una svolta alla storia della moda italiana e proietta Milano nella geografia internazionale della moda. In Francia il processo di democratizzazione della moda si concentra intorno al gruppoCréateurs et Industriels. In Inghilterra nasce il punk. Il decennio è caratterizzato dal persistere di gravi incertezze economiche che si ripercuotono sulla produzione e sul consumo di abbigliamento. Per diminuire i costi, le grandi imprese che si erano formate nel corso degli anni Sessanta avviarono un processo di rinnovamento che le portò a ridurre il numero degli addetti, a investire in nuove tecnologie, a snellire la propria struttura ricorrendo al decentramento di intere fasi del processo produttivo. L’industria italiana dell’abbigliamento assunse di conseguenza una configurazione del tutto nuova rispetto al passato: il numero medio degli addetti per unità produttiva calò sensibilmente e il tessuto fatto di piccole e piccolissime imprese specializzate, flessibili, e agglomerate nei “distretti” che emerse in quegli anni diventò la cifra distintiva del sistema industriale italiano, particolarmente nel settore del tessile e dell’abbigliamento. Sul fronte dei consumi, la contrapposizione generazionale si acuì ma i giovani incominciarono a non essere più gli unici a esprimere forti istanze di cambiamento. Anche tra gli adulti si diffuse il rifiuto dell’omologazione dei gusti che la standardizzazione della produzione di abbigliamento confezionato aveva inevitabilmente imposto. In Italia, Walter Albini (1941-1983) fu il primo a intuire che la risposta al cambiamento nei gusti e nei comportamenti di consumo di abbigliamento doveva andare nella direzione di una maggiore personalizzazione del prodotto industriale, ottenuta attraverso la collaborazione fra stilismo e industria nella fase della progettazione del prodotto e del processo produttivo per realizzarlo. Albini aveva in mente una moda industriale così diversa dalle creazioni artigianali che sfilavano sulle passerelle fiorentine e dall’Alta Moda romana da necessitare di un nuovo trampolino di lancio. Artefice del primo esempio di collaborazione fra moda e industria spinta fino alla creazione di intere collezioni, preceduta da un’intensa attività di studio e modifica delle macchine e dei tessuti in funzione dei progetti stilistici, all’inizio del decennio Walter Albini decise di presentare a Milano le proprie creazioni disegnate per cinque diverse case di moda (Basile, Escargots, Callaghan , Misterfox, Diamant’s, alla quale subentrò dopo breve tempo Sportmax), specializzate in differenti produzioni (giacche, maglieria, jersey, abiti, camicie) fra loro complementari. Il distacco dalle passerelle fiorentine – condiviso da Krizia, Jean Baptiste Caumont (1932), Missoni, Ken Scott (1919-1991) – segnò una svolta nella storia della moda italiana. Fu in quegli anni infatti che Milano si affermò come una delle principali capitali internazionali della moda grazie a stilisti con spiccate doti imprenditoriali e manageriali del calibro di Albini che, nel 1975, presentò una collezione maschile con il proprio marchio, precorrendo ancora una volta i tempi; di Gianni Versace (1946-1997), che debuttò disegnando la collezione Complice di Girombelli; di Giorgio Armani (1934) che, dopo aver lavorato a lungo per la Hitman di Cerruti, inaugurò nel 1978 con il Gruppo Finanziario Tessile una nuova forma di collaborazione con l’industria basata sui contratti di licensing.
  • 6. 1981 – 1990 : Stilismo e industria. Con l’estensione dei contratti di licenza di uso del marchio dall’abbigliamento ai profumi e agli accessori incomincia una nuova era della storia del successo internazionale, conquistato dalle grandi firme italiane della moda. La moda diventa sempre più internazionale: non più solo dalla Francia e dall’Europa, ma anche dagli Stati Uniti e dal Giappone provengono nuovi stili e nuove mode. La parola d’ordine del decennio è apparire. È il trionfo dell’immagine usata come mezzo di comunicazione, come leva delle strategie dimarketing e come “filosofia” di comportamento espressa dal total look, uno stile studiato dalla testa ai piedi in cui tutto è coerente dal più piccolo accessorio al capospalla. Nelle strategie di crescita e di diversificazione delle imprese, il trionfo dell’immagine ha trovato il proprio corrispettivo nell’importanza assunta dal brand, il segno distintivo che soddisfa un bisogno di consumo edonistico indifferente alle qualità intrinseche del prodotto. Sostenuto da una filiera produttiva che integra il tessile e le industrie correlate all’abbigliamento, il successo internazionale del “sistema moda” italiano in quegli anni si è consolidato grazie all’apporto di creatività e di idee imprenditoriali e manageriali di stilisti ormai affermati e di nuovi talenti. Fra le giovani promesse della moda italiana vi erano il sarto Domenico Dolce e il grafico Stefano Gabbana, che nel 1986 presentarono a Milano la loro prima collezione, e Franco Moschino (1950-1994) che, dopo una gavetta trascorsa disegnando la produzione di prêt-à-porter di alcune fra le più importanti imprese dell’abbigliamento italiane, debuttò con i marchiMoschino Couture, Moschino Jeans, eCheap&Chic. Il successo internazionale della moda italiana degli anni Ottanta si identifica con Giorgio Armani e con la giacca destrutturata su cui facevano indifferentemente perno le collezioni maschili e femminili. Realizzato per l’uomo con colori e tagli inediti, il blazer diventò componente essenziale del guardaroba femminile in un’epoca in cui le donne accedevano sempre più numerose al mondo del lavoro. Nel 1982, il magazine americano «Time» dedicò ad Armani e alla sua giacca destrutturata la copertina. A quella data, la moda Armani era già ben nota negli Stati Uniti. La linea Giorgio Armani Le Collezioni per uomo e per donna era commercializzata attraverso i più lussuosidepartment store. Il marchio e il logo Emporio Armani erano segno distintivo al tempo stesso di una collezione e di un canale distributivo monomarca. Il guardaroba maschile disegnato da Armani per Richard Gere, interprete diAmerican Gigolo (1980), aveva contribuito a estendere la notorietà dello stilista ben oltre i confini dei tradizionali mercati. Saldamente radicata nel mercato americano, l’impresa fondata da Giorgio Armani diventò un modello di crescita e di diversificazione basato su solidi pilastri: la
  • 7. collaborazione con l’industria, fondamentale per trasformare la creatività stilistica in innovazioni di successo, l’uso delleroyalties generate dai contratti di licenza d’uso del marchio – sottoscritti nel 1980 con L’Oréal e nel 1988 con Safilo – per finanziare gli investimenti pubblicitari, la realizzazione della rete di negozi monomarca e l’internazionalizzazione dell’impresa, che dal 1987 fece il proprio ingresso in Giappone. 1991 – 2000 : Globalizzazione. Il sistema produttivo su cui la moda italiana aveva costruito il suo successo incomincia a manifestare segnali di crisi e la direzione di alcune grandi imprese della moda italiane e francesi si apre agli apporti di direttori creativi stranieri: due segnali, fra i tanti, dei cambiamenti che il fenomeno della globalizzazione sta portando nel mondo della moda. La particolarità della moda degli anni Novanta consiste nella mancanza di una tendenza estetica univoca. È moda tutto quello che creano i grandicouturier francesi e gli stilisti italiani, ed è moda tutto quello che si acquista nelle boutique o nei grandi magazzini, purché sia soggetto ad una rapida obsolescenza. La moda contribuisce ancora a creare personalità individuali e a disegnare linee di demarcazione sociali, ma le forme concrete che essa assume cambiano sempre più rapidamente e si mescolano in combinazioni inedite e contraddittorie: l’abbigliamento sportivo elegante, il lusso povero, lo stile “chic-trasandato”. Ai grandi fenomeni della moda italiana degli anni Novanta appartengono case di moda che vantano una lunga tradizione nell’ambito della produzione di abbigliamento e di accessori, e stilisti che avevano incominciato a muovere i primi passi nel mondo della moda soltanto da pochi anni. Dopo la crisi degli anni Settanta e Ottanta, Gucci è risorta grazie aldesigner americano Tom Ford (1961), che ne ha assunto la direzione creativa imprimendo un radicale rinnovamento all’impresa. Per Miuccia Prada, subentrata alla fine
  • 8. degli anni Settanta nella gestione dell’impresa fondata nel 1913, la fama arrivò alla metà del decennio dopo i primi successi ottenuti con il nuovo design di zaini e borse, e con il lancio di una collezione di prêt-à-porter nel 1985. Nel 1999, con l’acquisto di una quota dell’azienda della stilista tedesca Jil Sander, il marchio Prada si è affermato anche a livello internazionale. Gianni Versace, Dolce e Gabbana, che vestirono la popstar Madonna nellatournée del 1993, Gianfranco Ferrè, cui fu affidata la direzione della Maison Dior, sono solo alcuni fra i tanti che contribuirono ad alimentare la fama della moda italiana in un periodo in cui il sistema produttivo su cui essa aveva costruito il suo successo incominciava a manifestare segnali di crisi. Per le economie industrializzate, il modello produttivo italiano era facilmente riproducibile, soprattutto per quanto concerne le lavorazioni a minor contenuto artigianale. Le imprese italiane, a loro volta, misero in atto strategie di delocalizzazione della produzione per abbattere i costi. Sul mercato internazionale iniziò ad avvertirsi sempre più aggressiva la concorrenza dei Paesi a basso costo del lavoro, capace di spiazzare le aziende italiane produttrici di abbigliamento confezionato. 2001 – 2010 : Un decennio di crisi: Dal crollo delle Torri Gemelle alla recessione internazionale dell’ultimo biennio, l’inizio del nuovo millennio è coinciso con un periodo di gravi turbolenze per l’economia in generale e per il mercato dei beni dell’abbigliamento e del lusso in particolare. La crisi non ha risparmiato il sistema moda italiano, all’interno del quale è in corso un processo di severa selezione delle imprese più solide ed efficienti. Il decennio è coinciso con un periodo di gravi turbolenze per l’economia in generale e per il mercato dei beni dell’abbigliamento e del lusso in particolare. Dal 2001 in poi l’instabilità ha prevalso sui mercati internazionali. Il clima di incertezza scaturito dal deterioramento del quadro politico internazionale si è riflesso come prevedibile sulla dinamica dei consumi, ma si è anche manifestato attraverso fenomeni di altra natura tra i quali l’accentuazione della volatilità tipica dell’industria della moda, in cui non sono inconsueti clamorosi successi di brevissima durata, il forte rallentamento della crescita dei mercati dei Paesi più sviluppati, la tendenza a spostare la produzione verso i Paesi in cui il costo del lavoro è più basso (Cina, Hong Kong, Taiwan e le
  • 9. Filippine). Complessivamente, con riferimento all’ultimo decennio, si può comunque parlare di crescita del mercato globale della moda alimentata da due fenomeni che hanno caratterizzato l’economia internazionale del nuovo millennio. Il primo è rappresentato dall’aumento della domanda proveniente dalla regione asiatico-pacifica (Australia, Cina, Giappone, India, Singapore, Corea del Sud e Taiwan), che nel 2007 ha superato l’Europa per valore delle vendite totali (34% contro il 30%), compensando la stagnazione del potere d’acquisto nei mercati sviluppati. Il secondo è costituito dal progressivo ampliamento della disuguaglianza nella distribuzione dei redditi, che in molte economie sviluppate, come gli Stati Uniti, sta generando un divario sempre più marcato tra ricchi e poveri. Questo significa che, anche se il potere di spesa globale di un’area economica è limitato, i consumatori della fascia alta dello spettro socio-economico possiedono comunque redditi per mantenere vivace la dinamica della domanda di beni di lusso. Sebbene sia ancora prematura una valutazione degli effetti della crisi che si è manifestata nell’ultimo biennio con intensità e ampiezza di raggio d’azione tali da essere paragonata alla Grande depressione del 1929, non c’è alcun dubbio che il decennio sia coinciso con un periodo estremamente critico per le imprese della moda italiane, segnato da clamorosi dissesti finanziari, da acquisizioni da parte dei due grandi poli del lusso francesi, da dolorose ristrutturazioni aziendali. Le imprese che godono di buona salute sono poche e fra queste spicca l’impero fondato da Giorgio Armani, che negli ultimi anni è stato protagonista di acquisizioni delle imprese manifatturiere licenziatarie del marchio. Si tratta di una strategia di carattere tutt’altro che difensivo, che sembra voler indicare nella riscoperta e nella valorizzazione delle origini manifatturiere del successo della moda italiana una via di uscita dalla crisi e una prospettiva di recupero della competitività internazionale del sistema moda italiano.