1. STORIA DELLA MODASTORIA DELLA MODA
Il fenomeno della moda ha origini remote, antecedenti l'età classica. Lo si fa risalire addirittura alla
preistoria. E probabile che a parità di clima le prime vesti si somigliassero molto, ma non appena
cominciò a svilupparsi, per ragioni connesse alla razza e all'ambiente, un diverso senso della
religiosità e del gusto nei vari gruppi etnici, anche la foggia del vestire si differenziò. Bassorilievi
policromi rinvenuti in Mesopotamia, considerata la culla della civiltà, testimoniano la ricchezza
delle vesti, la varietà dei tessuti, la fastosità degli ornamenti usati dagli Assiri e dai Babilonesi. Gli
Egizi, fin dalle prime dinastie, grazie a un artigianato espertissimo nella filatura, tessitura e tintura
del lino e nella confezione, furono all'avanguardia dell'eleganza. Di volta in volta Cinesi, Cretesi,
Greci e poi Etruschi e Romani si contesero il primato nell'arte dell'abbigliamento.
La moda, mortificata nel basso Medio Evo, rifiorì nel Duecento fino a raggiungere nel Tre e nel
Quattrocento una grazia particolare. Dopo il Rinascimento cominciò a denunciare alcuni eccessi,
che assunsero nel Settecento aspetti ridicoli. Appare evidente, specie in questo periodo, quanto
sia errato il concetto che la moda sia fenomeno prettamente femminile. Va invece considerato
contributo positivo della moda il diffondersi sempre più sentito del gusto e del decoro nel vestire
tra le classi meno abbienti. In tutta l'Europa si manifestò la tendenza a creare costumi caratteristici
popolari di eleganza originale e gradevole. Nell'età contemporanea le molteplici attività dell'uomo,
cui partecipano ambedue i sessi, il senso sempre più sviluppato della praticità e dell'igiene e
soprattutto le nuove conquiste della scienza e della tecnica nel campo tessile, hanno contribuito a
offrire alla moda un dominio sempre più vasto e vario.
Tracciando una storia della moda femminile di questo secolo si scopre che, in fondo, è un cerchio
che si chiude: passando disinvoltamente attraverso le stampe, i colori densi e polverosi, il profumo
dell'emergenza bellica nei tessuti grigi e spessi degli anni Quaranta, i pastelli dei Cinquanta, e
ancora le campiture geometriche dei Sessanta e i fiori dei turbolenti anni Settanta, le spalle grosse
degli anni Ottanta e la prevalenza del nero minimale, diventato un classico degli anni Novanta. Si
tra abbandoni e ritorni, è proprio un cerchio che ruota attorno a se stesso.
Ma, scoperto ciò, va anche detto che i veri grandi momenti creativi nella moda femminile risalgono
all'inizio del secolo. Un inesorabile processo di emancipazione avvenne tra l'Ottocento e il
Novecento. La libertà di movimento richiesta sui luoghi di lavoro e sui campi sportivi condizionò
2. l'abbigliamento femminile. Tra il 1900 e il 1908 la silhouette della donna lasciò a poco a poco il
profilo rigido a "S". Ancora pochi decenni prima, tra il 1870 e l'80, i concetti di estetica e salute
erano associati, il che appare evidente anche nelle opere degli artisti preraffaelliti. Si ricercavano
le armonie delle proporzioni dell'abito greco. Questo ideale fu la spinta dell'evoluzione
vestimentaria femminile sviluppata da Paul Poiret e Mariano Fortuny che liberarono ufficialmente
le donne dal busto.
Condividendo separatamente l'interesse per i cromatismi violenti e puri dei fauves, i due grandi
che si ispirarono all'Art Nouveau, allora in auge. le loro tuniche incrostate di perline segnarono
un'epoca. Per essere riprese, alla fine degli anni Ottanta, nelle prime collezioni di Romeo Gigli.
Contemporaneamente si affermava uno stile classico venato di esotismo, di ogni genere:
l'ispirazione arrivava anche da Cina e Giappone. Le riviste pubblicavano racconti ambientati in
Paesi lontani e un'importante mostra sull'arte sovietica, organizzata a Parigi nel 1906 da Sergei
Pavlovic Djaghilev con la collaborazione di Leon Bakst, pittore di Pietroburgo, costumista e
decoratore delle scene dei Ballets Russes, influenzò fortemente il lavoro dei sarti francesi
emergenti.
L'idea di libertà del corpo nella danza era stata già espressa e aveva ottenuto i consensi dei
movimenti di liberazione femminile: Isadora Duncan, ideatrice delle linee morbide, sciolte, delle
danze improvvise a piedi scalzi, riproponeva in realtà immagini greche. La leggerezza della
manica a kimono, e l'uso della mussola trasparente, motivo di scandalo per i benpensanti di allora,
durò fino allo scoppio della guerra. Tra le pietre miliari della sartoria, ci sono poi gli abiti di
Madeleine Vionnet, con il loro irripetibile ritmo e l'equilibrio dei drappeggi, degli sbiechi. Che, però,
non fermarono l'evoluzione verso fogge più funzionali. Dopo il primo conflitto mondiale una grande
quantità di donne iniziò a rivendicare i diritti sociali e politici; l'ingresso nel mondo del lavoro
imponeva fisiologici cambiamenti. Cosi, tra il 1910 e il 1930, si ebbero due fenomeni decisivi per la
storia del costume: da una parte il Futurismo, dall'altra l'inevitabile evoluzione sociale e di costume
provocata dalla rivoluzione russa del 1917.
Le linee scivolate sui fianchi e una vitalità nuova trovavano conforto e supporto nel movimento
modernista dei Futuristi, appunto, ma anche nella linearità del Bauhaus, nella scom posizione
della figura dei Costruttivisti russi. Vere rivoluzioni concettuali si trasformavano in nuove forme:
accorciare i capelli e le gonne rappresentava un gesto ben più significativo allora, intorno al Venti,
3. di quello compiuto da Mary Quant negli anni Sessanta. Attraverso un dinamismo sconosciuto fino
ad allora, il mondo stava cercando l'essenza, voleva ridefinire una nuova morale.
Erano i tempi delle utopie naturalistiche. E, negli anni Sessanta e Settanta, ritroveremo tutte le
tensioni emotive ed estetiche dei primi decenni del Novecento. Gli stilemi delle avanguardie di
inizio secolo si intravedono perfino nel rinvigorimento apportato alla moda dai designer giapponesi
negli anni Ottanta: le geometrie e i volumi di Miyake, Comme des Garcons, Yamamoto. Per
sottolineare la modernità, l'importanza e la forza dirompente del primo Novecento pensiamo al
"vestito simultaneo" di Sonia Delaunay del 1913, agli studi di Balla - rivisti recentemente in una
mostra organizzata da Laura lilagiotti - o alla tuta futurista di Thayaht, datata 1919.
Per non parlare dell'importanza che ricopriva per i Costruttivisti russi l'abbigliamento sportivo:
partendo dal desiderio di diffusione, di condivisibilità estetica la forma passa al servizio del sociale,
in un momento in cui le correnti artistiche producevano effetti realmente significativi. Lo
sportswear attuale, gli accessori anatomici sembrano l'evoluzione tecnologica della tuta sportiva di
Varvara Stepanova, del 1923.
Di segno differente, ma altrettanto fondamentale per la storia della moda, sono le intuizioni di
Coco Chanel. Antesignana del minimalismo sontuoso, inventò il tubino nero, immaginò le più
gentili ed eterne contarninazioni tra il guardaroba maschile e quello femminile, introdusse il
concetto di bigiotteria, di gioiello come iperbole, di audacia estetica che - parlando di stile e di vita
- congiungeva i due poli opposti: sogno e praticità. Inventando nel 1921 il più celebre dei suoi
profumi, la fragranza Numero 5, Chanel ha attraversato tutto il Novecento lasciando una scia
inconfondibile. Compiendo la rivoluzione più lussuosa e duratura, Coco è sopravvissuta a se
stessa.
Dunque, tornando alla nostra storia del gusto e delle tendenze, notiamo che i picchi più alti, quelli
che hanno apportato un cambiamento sostanziale, hanno tutti la stessa radice e si sviluppano
intorno alle medesime tensioni: il nuovo si ispira e si combina sempre con un desiderio sociale,
profondo ed esistenziale. Prima i costumisti e i couturier, poi gli stilisti traducevano gli umori e i
cambiamenti sociali in sguardi bistrati, bocche turgide, capelli cotonati. Una volta, certo, i tempi
delle mode erano più lunghi. Ricordiamo l'importanza del New Look di Christian Dior, l'ottimismo
estetico proposto nel dopoguerra (1947). Con una grande quantità di tessuto, la vita stretta e il
busto segnato, si dichiarava concluso il tempo del dolore e ci si riappropriava del gusto di vivere,
4. di colorare la quotidianità di tinte pastello. Un'importante affermazione di stile che solo per le classi
più abbienti diventava moda. Ma il senso di liberta ritrovata andava ben oltre il capo di sartoria. Si
percorsero tutti gli anni Cinquanta con una fierezza e una leggerezza enfatizzati dalle commedie
americane. E' con il pret-à-porter, nato negli anni Sessanta, che la moda si pone di fronte
all'insolubile dicotomia tra esclusivita e diffùsione. Delle caratteristiche di quegli anni si sa tutto: la
minigonna, la moda fumetto, l'arte pop, le geometrie di Courrèges e Paco Rabanne, Pierre Cardin
e gli altri.
L'idea di futuro influenza la creatività. La chimica assume una grande importanza. È in quel
decennio che sono stati compiuti i passi più importanti: i materiali utilizzati oggi sono spesso le
sintesi ultratecnologiche di elementi inventati allora. Nasce la controcultura e la messa in
discussione dei valori. L'antimoda degli anni Settanta si contrappone all'affacciarsi sulla scena di
personaggi e marchi che hanno fatto il made in Italy: Walter Albini, Basile, Armani, Krizia, Missoni.
Con gli anni Ottanta, poi, si arriva all'esasperazione del concetto di griffe e dell'artificiosità: spalle
grosse, corpi perfetti. Versace rappresenta autorevolmente il periodo. È l'era della bellezza di
plastica, ma anche delle giacche decostruite. Il maschile e il femminile si avvicinano (Basile e
Armani). Persiste il ricordo di Marlene Dietrich, degli anni Quaranta, dei tessuti spessi. Poi
compare Romeo Gigli: toglie le spalline e ingentilisce la figura, fa tornare alla memoria gli anni
Venti. Si affaccia sulle passerelle il romanticismo nomade con riferimenti etnici. Poi, e siamo a ora,
con la serialità e le severe esigenze della produzione industriale, la moda diventa prodotto.
Sempre più ricercato e perfetto: ma "abbigliamento", non più "moda". C'è sempre meno spazio per
la ricerca, tranne per quella che riguarda la materia, il tessuto. La pochezza di idee diventa
minimalismo estetico.
Tra le svolte più salienti avvenute recentemente nell'evoluzione del gusto c'è la legittimazione
dell'errore, che ha permesso l'attuale libertà di stili. In un momento in cui la regola era il bello
esplicitato, venivano imprevedibilmente rinnegate la perfezione patinata, i corpi scultorei,
abbronzati, inarrivabili, hollywoodiani. il segreto e l'importanza del fenomeno Prada sta nell'avere
introdotto improvvisamente l'idea di un'estetica sommessa, misteriosa e indecifrabile, che
richiedeva una ginnastica mentale per essere compresa. Ma, attenzione: non è l'intimismo di Gigli,
già eversivo in un mondo di Barbie.
5. E ora si riscopre la libertà di fare a meno di tutto, anche delle punizioni. Si attinge al grande
supermarket delle emozioni e degli stili, ci si permette perfino la frivolezza. Si coltiva l'individualità.
Ormai gli stilisti suggeriscono, non impongono. Questa è l'epoca del vintage, del bricolage. Per
questo la sfida di chi propone la moda, oggi, è particolarmente stimolante. L'urgenza di nuove
soluzioni è intensa come negli anni Venti. Purtroppo, però, non esistono fermenti culturali
altrettanto forti. Lo spessore delle cose si è assottigliato, la storia del gusto si srotola davanti a noi.
Per adesso le nuove interpretazioni del già visto, in attesa di possibili intuizioni, sembrano
riguardare solo le possibilità infinite di combinazioni analogiche. Negli ultimi anni il mix di proposte
non conosce più confini: si va dal rètro al bricolage, dal tecno all'orientale, al neo anni Venti. E per
gli stilisti la sfida è ancora più stimolante.
I Tacchi
La forma e soprattutto i tacchi delle calzature (in special modo quelle femminili) da sempre sono
l’elemento che contraddistingue un periodo. Si potrebbe quasi dire “dimmi che tacco che forma ha
la tua calzatura e ti dirò di che anno è”. Se però la forma può variare entro poche variabili, i tacchi
invece offrono molte più scelte e disegni. Vediamo quindi cosa si usava 25 o 30 anni fa. Da una
analisi generale emerge che la comodità di un piede relativamente poco caricato è prevalente su
fattori estetici e di moda. Insomma negli anni 70 si calzava molto più comodo degli anni precedenti
e seguenti. Anche per le zattere o zeppe, che contrariamente a quello che si è portati a credere,
hanno rappresentato un periodo abbastanza esiguo della moda anni 70, e che come abbiamo già
visto in precedenza su questa rubrica, erano di stretta derivazione dello zoccolo, (E tutti sappiamo
i vantaggi di un plantare in legno – basti pensare alle calzature dei medici ed infermieri negli
ospedali) è facile immaginare come la bassa differenza di altezza tra tacco e suola fosse poco
affaticante per il piede. Ma nel dettaglio, cosa si usava prima e dopo le zeppe ? I tacchi
com’erano?
6. Il passaggio dai 60 ai 70 vede una calzatura dal tacco basso, di 2 o 3 cm. e dalla sezione
orizzontale quadrata, cioè un tacco tanto largo quanto lungo. Immaginate più o meno un cubo
tagliato orizzontalmente a metà, forse con la parte inferiore leggermente più larga. Si proveniva da
un periodo di tacchi a spillo, gli anni 60, per cui vi era una necessità più che altro di una calzatura
comoda che non affaticasse il piede. Da qui, cioè dalla seconda metà dei 60, quindi, ecco un
tacco alla portata di tutti e senza particolari impegni di postura del piede. Un tacco che andrà
avanti fino ai primi anni 70. In alternatica tacchi ancora più bassi e larghi, tipici più di calzature da
uomo.
Poi verso il 1973 il tacco si inizia leggermente ad alzare acquistando sempre più la forma del
cubo. Da questo periodo in parallelo si alzano anche le suole anteriori dando vita alle zeppe. Tutto
questo fino verso la metà del decennio. Infatti verso il 1975-76 mentre le zeppe scendono verso
suole normali, i tacchi continuano leggermente a salire ma soprattutto a restringersi. Da un tacco
simil-cubico andiamo verso il 1976-77 e verso un tacco molto stretto a trapezio rovesciato. La
discomusic impazza e le scarpettine da ballo sembrano avere parzialmente ritrovato lo stile di 15-
20 anni prima senza però quegli estremismi a spillo che tanto affaticamento arrecavano ai
metatarso dei piedi. A dire la verità in questo periodo (1977) i tacchi a spillo una breve comparsa
l’hanno fatta ma secondo me non sufficientemente significativa da rappresentare anche solo
parzialmente gli anni 70.
Proseguendo con gli anni, vediamo un 1978 in cui il tacco permane si alto ma perde molto della
sua forma a stretto trapezio rovesciato, portandosi quasi su una forma rettangolare. In pratica si
allarga la base di appoggio conferendo forse una maggiore stabilità del piede. In questo periodo
anche i tacchi delle calzature maschili hanno una leggera tendenza al rialzo. Naturalmente in
maniera modica. Ed è in questo periodo che anche il modo di costruire il tacco sia maschile che
femminile viene modificato. Se fino al primo lustro i tacchi erano pieni, nella seconda metà, anche
per alleggerirne la struttura e quindi il passo, si parte con i tacchi tamburati. Una struttura vuota,
con due o tre centine per lato intrecciate al fine di conferire una certa resistenza, e ricoperta di
materiale analogo alla calzatura. Naturalmente i limiti erano palesi. Su un tacco femminile alto e
stretto non si potevano certo applicare queste tecnologie che ricordavano il nido d’ape, tuttavia
dove il tacco era ancora abbastanza cubico, la cosa era possibile e anche vantaggiosa.
Giungiamo infine verso la fine del nostro periodo di considerazione, dove il tacco scende di nuovo
7. verso i 3-4 cm. restringendosi alla base e rendendola praticamente puntiforme. Abbiamo perciò un
tacco praticamente triangolare che accompagnerà la moda calzatura per i primi anni 80.
Naturalmente questo particolare fa si che io abbia un certo distaccamento da queste forme,
proprio perché rappresentative forse più dei primi anni 80. E d'altronde è comprensibile che se si
amano gli anni 70 per tutti i suoi significativi contenuti sociali e di costume, si respingono gli anni
80 con tutti i suoi insignificanti contenuti sociali e, perché no, anche di costume.
Moda Montagna
Ripensando a come andavamo a sciare 30 fa, balzano subito alla mente alcuni particolari che, se
da un lato fanno sorridere, dall’altro mi riempiono di emozioni e aumentano ulteriormente la mia
voglia di possedere la fantomatica macchina del tempo.
Lo sci era uno sport decisamente meno di massa e quindi le piste erano molto più vuote. Ciò era
anche dovuto agli impianti di risalita che portavano su molta meno gente. Infatti la maggior parte
8. delle seggiovie era ad un posto, per cui, per a fronte di piste meno intasate era facile trovare fila
per risalire. Se questo da un lato comportava attese stressanti, da un altro, garantendo più spazio
tra gli sciatori, assicurava sicuramente meno incidenti. Ecco quindi che le cause di tutti questi
incidenti sulla neve di cui i media parlano oggi, non sono solo dovuti ad imperizia degli utenti.
Stringendo il concetto sull’attrezzatura e sulla moda, ricordiamo che gli scarponi (soprattutto nei
primi anni 70) non erano ancora in materia plastica (Solo nel 66 Bob Lange aveva creato il primo
paio di scarponi interamente in plastica) e quindi il materiale base era il cuoio duro, con 4 o 5
allacciature in fibbie metalliche. Ricordo che servivano grossi calzettoni di lana per garantire il
giusto tepore ai piedi, e quindi, limitatamente all’aspetto termico, non rimpiango il passato (C’è
sempre una prima volta, no?).
I materiali sintetici infatti non erano sviluppati come oggi e non esistevano tutte quelle fibre
elasticizzate che fanno caldo pur garantendo impermeabilità e traspirazione della pelle. Era quindi
molto più facile sudare o aver freddo, soprattutto se si cadeva.
Le tute erano di nylon imbottito per cui bastava una caduta disgraziata contro un oggetto duro e
spigoloso, o anche la strisciata contro il proprio sci e il proprio attacco, per lacerare il tessuto
sintetico. A proposito di attacchi: avete mai ipotizzato di sciare senza ski stop? Oppure di sciare
con due lacci legati agli scarponi. Se all’epoca cadevi e ti andava bene, lo sci si sganciava e
rimaneva legato ai piedi, rischiando anche di colpirti (e magari romperti la tuta), se invece ti
andava male o eri senza ski stop, lo sci prendeva giù per il versante e… Nella sfortuna, non ho
mai perso definitamene lo sci, ma ho scarpinato montagne per andarli a recuperare… Un altro
punto in più agli sci del 2000 (E oggi son già 2 i punti).
Negli anni 70 il copricapo più usato per sciare, così come oggi è tornato di moda, era la cuffia,
solo che era rigorosamente senza pon pon, contrariamente ad oggi che questa estremità va di
moda lunghissima, quasi come una coda di cavallo. Se guardate qualche foto di Gustavo Thoeni o
Pierino Gros potrete vedere le cuffie prive di pon pon.
Potremo parlare delle giacche a vento strette e attillate, come la moda del periodo imponeva,
potremo parlare degli alti maglioni a girocollo, potremo parlare degli occhiali a specchio in stile
Ray Ban (un must degli anni 70), ma l’elemento sci-neve clou non può che essere il doposci in
pelo. I famosi Moon Boot interamente sintetici, avrebbero monopolizzato il mercato solo alla fine
9. degli anni 70, con il loro disegno simile a quello di oggi, cancellando un decennio di doposci in
pelo tipo barboncino.
Effettivamente io li chiamavo così: barboncini, perché avevano il pelo lungo tipo un cane
pechinese, e all’epoca non è che mi piacessero poi più di tanto. Tanto è vero che quando uscirono
i famosi Moon Boot, i pelosi doposci sparirono in pochi anni. I “barboncini” avevano la peculiarità
di essere, così come i doposci di oggi, unisex, con la sola differenza che se oggi c’è un doposci da
uomo e uno da donna, questo è dovuto solo ad una tonalità di rosa o di blu, all’epoca il colore
unisex riprendeva quello tipico dei capelli umani: dal nero al biondo, passando per tutte le tonalità
di marrone. Magari potevano esistere quelli dal pelo più lungo o dal pelo quasi raso, come ancora
oggi difficilmente si può trovare. L’unico grosso neo era che si sporcavano facilmente e la pulizia
era ovviamente molto più difficoltosa rispetto ad un doposci di oggi.
E come in tutte le cose che caratterizzavano gli anni 70, anche in questo storico capo calzaturiero
esistevano le eccezioni. Riprendendo la moda degli stivali alti oltre il ginocchio, anche il doposci in
pelo lungo fu fatto alto a mezza coscia. Credo che questo rappresenti una vera rarità tra le
persone che raccolgono eredità della moda anni 70.
Oggi vado a sciare nelle stesse località di 30 anni fa. Nuovi impianti dalle portate decuplicate,
nuove mode, sci supertecnologici, scarponi spaziali, guanti termoriscaldati… Solo le montagne
sono rimaste come allora, conservando forse l’antico sapore dei ricordi e facendomi ancora
illudere che tutto sia rimasto come all’epoca. E una lacrima stenta a scendere, ma subito
l’asciugo.
10. Abbigliamento da Mare
Sebbene la cosa potrà sembrare strana, gli anni 70 hanno lasciato il segno anche per quanto
riguarda la moda mare. Sfido chiunque a riconoscere un costume da bagno datato 1990 da un
altro datato 2000. Salvo casi rari, la cosa è davvero difficile per chi non è del mestiere tutti i giorni.
Ma basta chiudere gli occhi e spostare le lancette mentali indietro di 30 anni e subito ci appaiono
quei bikini dai tagli inconfondibili e quei costumi interi che oggi farebbero un po’ sorridere e che
l’opinione comune li vede solo addosso alle più anziane.
Partiamo subito parlando della ripartizione tra il costume intero e il due pezzi. Oggi la forma fisica
e l’allenamento sportivo hanno portato il costume intero (notoriamente usato dalle nuotatrici
agonistiche per agevolare gli attriti con l’acqua) ad un livello di diffusione (anche tra le
giovanissime) molto alto. Più che mai, quindi, un costume intero dal taglio sportivo, può significare
un fisico atletico, performante e in forma.
Naturalmente 30 anni fa queste associazioni ideologiche non esistevano. Allora il fisico “da
spiaggia” dalla linea perfetta era quello che si poteva permettere il bikini. Per tutte le altre invece,
un bel costume ultra alto e iper rinforzato. Si, perché proprio perché destinato a “fisici di serie B” i
costumi interi avevano le coppe dei seni con dei rinforzi interni che facevano stare perfettamente
in posizione i seni. In più il doppio strato elastico davanti all’addome, permetteva di occultare
qualche Kg. In più. Infine la cerniera dietro ai reni permetteva di stringere in vita migliorando
ulteriormente la linea ai fianchi.
Il bikini, che permetteva di sfoggiare in tutta la sua bellezza un fisico prestante, aveva lo slip a
fianchi (ovviamente) bassi (praticamente stringeva su di essi, al punto massimo) e la sgambatura
non era eccessiva, per cui si aveva uno slip di “altezza” media (lo spessore laterale dello slip). Il
reggiseno invece era molto alto e sufficientemente scollato, coprendo praticamente solo 2/3 dei
seni. Naturalmente i colori più in voga erano le fantasie floreali, ma anche le tinta unita non erano
da meno. Colori molto sgargianti come l’arancione e il verde pisello, erano tra i più comuni, ma
ricordo di una parente che se non aveva il suo due pezzi marrone non andava in spiaggia.
Naturalmente alcune delle caratteristiche viste sopra, valevano anche per il costume intero: una
moderata sgambatura era l’elemento prioritario. I tessuti erano un poliestere spugnoso molto
diverso dalle fibre che abbiamo oggi. Il peggior difetto era che col tempo, i prodotti più economici,
11. tendevano a perdere l’elasticità. Fortunatamente le decine di costumi che appartengono alla mia
collezione, sembrano resistere bene al tempo.
Anche la moda maschile aveva una linea inconfondibile. Infatti i costumi erano praticamente
senza sgambatura, facendoli rassomigliare più ad un paio di pantaloncini aderenti, che non a ceri
costumi dalla tipica forma triangolare. La regola dei colori fantasia valeva anche per i signori,
magari con qualche fiorellino in meno (ovviamente) e molti motivi geometrici in più. I materiali
erano gli stessi di quelli usati per i costumi da donna.
Un particolare, anzi due, che accomunano i costumi mare nei primi anni settanta erano la forte
presenza di lacci e laccetti (naturalmente spesso a scopo solo estetico) e la cintura conglobata
nello slip del bikini da donna. Era stata lanciata almeno 8-10 anni prima da Ursula Andress nel
mitico primo 007 e per alcuni anni non ebbe ripercussioni sulla moda mare. Si dovettero attendere
i primissimi anni 70 per rivederla.
Nella seconda metà del decennio invece, cambiano i materiali, meno spugnosi e completamente
“lisci”, aumentano le sgambature e soprattutto si riducono incredibilmente le coppe dei seni tenute
tra loro solo praticamente da una cordicella filiforme. E’ la caratteristica maggiore che distingue
due lustri dello stesso decennio, ma soprattutto la caratteristica che porterà la moda mare agli
anni 80. E come tutte le mode che hanno traghettato i mitici 70 negli (da me odiati) 80, anche
questa si prende (sempre a mio sindacabilissimo giudizio) il cartellino rosso, rea di segnare la fine
di un periodo d’oro.
Le parrucche
Parlare di anni 70 senza parlare di parrucche è quasi impossibile. Si, perché questo accessorio
moda dell’epoca è stato fortemente legato agli anni 60 e 70.
Infatti come tantissimi elementi legati agli anni 70, anche la moda delle parrucche è partita nel
decennio precedente. Quindi già nel 1970 la moda è ai vertici massimi. E quando dico moda
intendo proprio moda.
Oggi l’uso di parrucche è strettamente limitato al campo cinematografico teatrale, al costume di
chi fa animazione in discoteca e soprattutto alle sfortunate persone con gravi malattie. Ma 30 anni
fa non era assolutamente così.
12. La parrucca veniva vista dagli stilisti come un integrazione del completo vestito – calzatura. Un
tutt’uno con l’acconciatura. Basti pensare ali telefilm UFO per ricordare come i produttori
interpretassero la divisa su Base Luna con tanto di parrucche viola.
Erano anni in cui la moda cambiava moltissimo da un anno all’altro per cui anche la capigliatura
seguiva questo trend. Le tinture non avevano quegli standard di sicurezza di oggi ed ecco che la
parrucca risolveva un cambio di acconciatura. Chi non era propensa al cambiamento di look,
aveva una parrucca rigorosamente simile al proprio taglio di capelli, in modo da avere sempre una
testa pronta per le uscite, senza dover ricorrere alla messa in piega della parrucchiera.
Se si calcola che a cavallo tra gli anni 60 e 70 1 donna su 3 avesse almeno una parrucca, si ha le
dimensioni del fenomeno. Il posto preferito era il classico comò della camera su cui spuntava la
famosa testa di capelli. I materiali erano in sintetico o in capello naturale. E questo ovviamente
influiva sui costi. Anche di mantenimento. Una parrucca in fibra di kanekalon era sempre pronta
all’uso. Bastava al massimo una spazzolata, e… et voilà. Ma aveva il grosso handicap di non
poter essere cambiata la pettinatura. Il taglio e il colore era quello,punto e basta.
Ecco quindi che per le clienti più esigenti, vi erano (e vi sono tutt’oggi) le parrucche in capello
naturale. Se è vero che bisogna sempre mantenere la piega come per i propri capelli, è anche
vero che si può variare il tipo di piega, riccia o liscia, e anche il colore. Per cui la mano della
parrucchiera era fondamentale, e basta ricordare come i loro negozi abbondassero di testine in
polistirolo con la propria parrucca sopra.
Ma non erano solo le parrucchiere a vendere parrucche. Il fenomeno era talmente diffuso che
praticamente chiunque le vendeva: profumerie, supermercati e grandi magazzini e perfino Postal
Market. Come con i telefonini oggi. Addirittura vi erano le pubblicità sui giornali che con solo 5.000
acquistavi una parrucca per corrispondenza.
Naturalmente anche i parrucchini per uomo erano al top e la cosa sembra ovvia se si pensa che
erano ani in cui trionfavano i capelloni. Provate a chiedere ad un sessantenne di oggi, un ex
30enne all’epoca calvo e vedrete cosa vi risponderà.
Ma anche la moda dei capelli posticci come tutte le mode più rappresentative degli anni 70 è
13. andata sciamando verso la fine del decennio quando il fenomeno vide un forte
ridimensionamento. Vuoi perché non andava più la moda kitch (E le parrucche un po lo erano – e
lo dico con entusiasmo da fanatica del kitch anni 70) vuoi perché erano tramontati i look forti a
vantaggio di look molto più morbidi e naturali (Basta pensare al trucco) e vuoi perché le tinture per
capelli col tempo hanno visto sempre più ridimensionare gli effetti negativi sui capelli. Insomma,
con l’avvento degli anni 80 (Ancora un a volta loro!) delle parrucche praticamente non rimane più
traccia se non nelle impolverate soffitte di qualche persona gelosa del suo passato.
Ho un ricordo particolare delle parrucche degli anni 70 che va molto oltre la collezione. Una vera
mania, come è tipica di tutti noi amanti e nostalgici degli anni 70. Una nostalgia infinita e perenne
che solo una macchina del tempo o la bacchetta magica di qualche fata potrebbe lenire.
Cappelli
E' dunque il turno di un accessorio che oggi sembra quasi sparito dalle passerelle delle sfilate
moda e, dove presente, comunque solo in testa a qualche anziano pensionato. Sull’onda degli
anni 60, in cui i cappellini per signora godevano di molta fama, anche il primo lustro dei 70 ha dato
seguito a questa usanza, che come spesso in quel periodo, l’uso di un determinato accessorio era
dettato più dalla moda che non da una vera necessità.
Come erano dunque i cappelli negli anni 70? Sicuramente colorati ed esagerati, come un po’ tutta
la moda in quel periodo di fermento. Dai cappellini degli anni 60 infatti si era passati a cappelli di
medie e grandi dimensioni. Spesso le tese erano semispioventi e larghe con il cilindro centrale
tendenzialmente ovale. L’assenza di rinforzi interni conferiva al feltro una certa mobilità per cui le
tese oscillavano nei movimenti del capo.
Ma non vi erano solo cappelli dalle grandi tese. Molto in voga erano cappelli forse un po’ più ridotti
ma dalle fogge strane e quasi senza tese, che li ponevano tra i cappelli veri e propri e delle specie
di cuffie. Ricordavano vagamente i copricapo indiani formati da quell’avvolgente tessuto colorato.
Dalla moda hippy si importò poi quella che era l’antesignana dell’odierna bandana: una striscia di
14. tessuto che avvolgeva la testa e i capelli. Si usava spesso anche solo come fermacapelli, spesso
lunghi in quel periodo come era di moda.
Nella metà del decennio dilagò tra gli adolescenti la moda del cappellino “da baseball”: copricapo
avvolgente e visiera lunga. Era un must per ogni ragazzo del periodo, se non altro un modo per
sentirsi nel branco come ancora oggi capita tra i giovanissimi. L’ultima moda del decennio in fatto
di copricapo fu verso la fine, a cavallo con gli anni 80 quando tra le ragazze più giovani si impose
la moda della “cuffia”. Una vera e propria cuffia in materiale elasticizzato (simile per fattezze a
quelle usate in piscina) da portare con i capelli non raccolti e che fuoriuscivano dalle sue
estremità. Un colore fra tutti era più in voga: il color oro che furoreggiò fino ai primi anni 80.
Naturalmente la moda oggi ha completamente perso ogni ricordo dei copricapo di 30 anni fa Forse
solo l’odierna bandana ha conservato l’eredità lasciatagli dalla moda hippy. E’ un po’ poco per me
nostalgica dei 70, ma la convinzione che la moda passata prima o poi ritorna e ben più di una
speranza.
E' dunque il turno di un accessorio che oggi sembra quasi sparito dalle passerelle delle sfilate
moda e, dove presente, comunque solo in testa a qualche anziano pensionato. Sull’onda degli
anni 60, in cui i cappellini per signora godevano di molta fama, anche il primo lustro dei 70 ha dato
seguito a questa usanza, che come spesso in quel periodo, l’uso di un determinato accessorio era
dettato più dalla moda che non da una vera necessità.
Come erano dunque i cappelli negli anni 70? Sicuramente colorati ed esagerati, come un po’ tutta
la moda in quel periodo di fermento. Dai cappellini degli anni 60 infatti si era passati a cappelli di
medie e grandi dimensioni. Spesso le tese erano semispioventi e larghe con il cilindro centrale
tendenzialmente ovale. L’assenza di rinforzi interni conferiva al feltro una certa mobilità per cui le
tese oscillavano nei movimenti del capo.
Ma non vi erano solo cappelli dalle grandi tese. Molto in voga erano cappelli forse un po’ più ridotti
ma dalle fogge strane e quasi senza tese, che li ponevano tra i cappelli veri e propri e delle specie
di cuffie. Ricordavano vagamente i copricapo indiani formati da quell’avvolgente tessuto colorato.
Dalla moda hippy si importò poi quella che era l’antesignana dell’odierna bandana: una striscia di
15. tessuto che avvolgeva la testa e i capelli. Si usava spesso anche solo come fermacapelli, spesso
lunghi in quel periodo come era di moda.
Nella metà del decennio dilagò tra gli adolescenti la moda del cappellino “da baseball”: copricapo
avvolgente e visiera lunga. Era un must per ogni ragazzo del periodo, se non altro un modo per
sentirsi nel branco come ancora oggi capita tra i giovanissimi. L’ultima moda del decennio in fatto
di copricapo fu verso la fine, a cavallo con gli anni 80 quando tra le ragazze più giovani si impose
la moda della “cuffia”. Una vera e propria cuffia in materiale elasticizzato (simile per fattezze a
quelle usate in piscina) da portare con i capelli non raccolti e che fuoriuscivano dalle sue
estremità. Un colore fra tutti era più in voga: il color oro che furoreggiò fino ai primi anni 80.
Naturalmente la moda oggi ha completamente perso ogni ricordo dei copricapo di 30 anni fa Forse
solo l’odierna bandana ha conservato l’eredità lasciatagli dalla moda hippy. E’ un po’ poco per me
nostalgica dei 70, ma la convinzione che la moda passata prima o poi ritorna e ben più di una
speranza.
Bigiotteria
La bigiotteria negli anni 70 ha avuto grande lustro, come del resto (e come abbiamo già visto) tutti
gli accessori moda. Gli elementi ricorrenti erano costantemente due o tre: i fiori (nella prima metà
del decennio praticamente dappertutto nella moda) eredi diretti di una deceduta flower power che
generò il movimento hippy, le linee geometriche (Anch’esse ricorrentissime nella moda e non solo)
e un passeggero riferimento alla cultura indiana, durato qualche anno a cavallo tra i 60 e i 70.
Ecco quindi che collane (lunghe, lunghissime, qausi fino alla cintura) e bracciali, portati sia da lui
che da lei, potevano essere lavorati in metallo con l’aggiunta decorativa di qualche elemento
floreale (Tutt’oggi sulle bancarelle degli ambulanti è possibile trovare questa bigiotteria “freak”)
oppure potevano anche essere composte da fili metallici, e sempre intervallati da perline,
16. ciondolini o fiorellini i plastica o metallo. Anche gli anelli e gli orecchini pendenti riprendevano
questi motivi e anch’essi li possiamo ritrovare sulle bancarelle come 30 anni fa.
Quando l’influenza indiana e quella floreale non interessava la bigiotteria, allora vi erano le forme
geometriche. E se per la moda “freak” ancora oggi la ritroviamo te e quale come 30 anni fa, per la
bigiotteria geometrica” le cose sono totalmente diverse. Ritrovare qualche orecchino triangolare
giallo e blu, oppure tondo, verde a cerchi concentrici, ritrovare anelli con dischi viola grandi come
una moneta da due euro, magari in pandane con un top composto di materiale analogo, è una
cosa rarissima. Io la chiamo affettuosamente “moda pacchiana” e se per molti il kitch è sinonimo
di orrore, per me è delizia soave.
Verso la metà del decennio, l’imperversante moda tzigana aveva lanciato (Ma qualcuno invece
sostiene un origine hawaiana) un accessorio che oggi forse farebbe un po’ sorridere: il
fermacapelli fatto con fiore. Un grande fiore plastico o di seta attaccato ad una grande molletta a
clip che andava rigorosamente messo davanti lateralmente anche su quelle pettinature ricce
senza riga laterale come appunto usavano verso la metà dei 70. Solo più tardi le collane iniziarono
ad accorciarsi e sottigliarsi. Il kitch della moda pacchiana (Ahimè) stava lentamente scomparendo
e preparava la strada ad una bigiotteria anni 80 dai toni decisamente più sobri (Ahimè 2). Anche
qua col finire del decennio finisce una moda… E quante altre ne abbiamo già viste in passato?
Ecco perché gli anni 70 hanno segnato la storia della moda (E quindi anche della bigiotteria) in
maniera molto più significativa di ogni altro decennio: perché sono stati ricchi di contenuti, di
caratteristiche che si alternavano a ritmi velocissimi, contrariamente ad oggi dove una moda dura
almeno 3-5 anni.
Attualmente fra di esse è molto di moda portare cinture metalliche composte da grosse anelli
circolari, ovali, quadrati o rettangolari. Cinture per le quali posiamo parlare tranquillamente di
bigiotteria in quanto non sono ovviamente (date le dimensioni) inserite in passanti di pantaloni, ma
vengono portate solo a scopo di bellezza sopra un vestito o una gonna. Ebbene, questa moda
nacque nei primissimi anni 70, forse a cavallo tra gli anni 60 e gli anni 70 tra le spogliarelliste di
night, che le indossavano senza vestiti per adornare il loro conturbante corpo. Naturalmente la
moda, seppur in maniera non dilagante si estese anche alle non spogliarelliste, che
contrariamente le indossavano sopra gli abiti.
17. La bigiotteria negli anni 70 ha avuto grande lustro, come del resto (e come abbiamo già visto) tutti
gli accessori moda. Gli elementi ricorrenti erano costantemente due o tre: i fiori (nella prima metà
del decennio praticamente dappertutto nella moda) eredi diretti di una deceduta flower power che
generò il movimento hippy, le linee geometriche (Anch’esse ricorrentissime nella moda e non solo)
e un passeggero riferimento alla cultura indiana, durato qualche anno a cavallo tra i 60 e i 70.
Ecco quindi che collane (lunghe, lunghissime, qausi fino alla cintura) e bracciali, portati sia da lui
che da lei, potevano essere lavorati in metallo con l’aggiunta decorativa di qualche elemento
floreale (Tutt’oggi sulle bancarelle degli ambulanti è possibile trovare questa bigiotteria “freak”)
oppure potevano anche essere composte da fili metallici, e sempre intervallati da perline,
ciondolini o fiorellini i plastica o metallo. Anche gli anelli e gli orecchini pendenti riprendevano
questi motivi e anch’essi li possiamo ritrovare sulle bancarelle come 30 anni fa.
Quando l’influenza indiana e quella floreale non interessava la bigiotteria, allora vi erano le forme
geometriche. E se per la moda “freak” ancora oggi la ritroviamo te e quale come 30 anni fa, per la
bigiotteria geometrica” le cose sono totalmente diverse. Ritrovare qualche orecchino triangolare
giallo e blu, oppure tondo, verde a cerchi concentrici, ritrovare anelli con dischi viola grandi come
una moneta da due euro, magari in pandane con un top composto di materiale analogo, è una
cosa rarissima. Io la chiamo affettuosamente “moda pacchiana” e se per molti il kitch è sinonimo
di orrore, per me è delizia soave. E nei primi anni 70 il kitch furoreggiava. E i colori ovviamente si
sprecavano. Verso la metà del decennio, l’imperversante moda tzigana aveva lanciato (Ma
qualcuno invece sostiene un origine hawaiana) un accessorio che oggi forse farebbe un po’
sorridere: il fermacapelli fatto con fiore. Un grande fiore plastico o di seta attaccato ad una grande
molletta a clip che andava rigorosamente messo davanti lateralmente anche su quelle pettinature
ricce senza riga laterale come appunto usavano verso la metà dei 70. Solo più tardi le collane
iniziarono ad accorciarsi e sottigliarsi. Il kitch della moda pacchiana (Ahimè) stava lentamente
scomparendo e preparava la strada ad una bigiotteria anni 80 dai toni decisamente più sobri
(Ahimè 2). Anche qua col finire del decennio finisce una moda… E quante altre ne abbiamo già
viste in passato? Ecco perché gli anni 70 hanno segnato la storia della moda (E quindi anche della
bigiotteria) in maniera molto più significativa di ogni altro decennio: perché sono stati ricchi di
contenuti, di caratteristiche che si alternavano a ritmi velocissimi, contrariamente ad oggi dove una
moda dura almeno 3-5 anni.
Attualmente fra di esse è molto di moda portare cinture metalliche composte da grosse anelli
circolari, ovali, quadrati o rettangolari. Cinture per le quali posiamo parlare tranquillamente di
18. bigiotteria in quanto non sono ovviamente (date le dimensioni) inserite in passanti di pantaloni, ma
vengono portate solo a scopo di bellezza sopra un vestito o una gonna. Ebbene, questa moda
nacque nei primissimi anni 70, forse a cavallo tra gli anni 60 e gli anni 70 tra le spogliarelliste di
night, che le indossavano senza vestiti per adornare il loro conturbante corpo. Naturalmente la
moda, seppur in maniera non dilagante si estese anche alle non spogliarelliste, che
contrariamente le indossavano sopra gli abiti.