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MERO E LA QUESTIONE OMERICA
UNA FIGURA AVVOLTA NEL MISTERO
Dell’autore non si sa nulla: secondo una tradizione più antica, Omero era un aedo, cioè un cantore
cieco dotato di straordinaria capacità poetica.
Sin dall’età ellenistica (fine IV-III secolo a.C.), si cominciò a mettere in dubbio che un solo autore
avesse potuto comporre due opere così ampie e differenti tra loro per molti aspetti (dedicata a
imprese di guerra e impregnata di mentalità eroica l’Iliade, più avventurosa e fiabesca l’Odissea).
La prima ipotesi , fu che Omero avesse composti due poemi in fasi differenti della sua vita (l’Iliade
nella giovinezza, l’Odissea durante la vecchiaia;
altri commentatori, detti korìzontes, cioè separatori, distinguevano invece nettamente due autori,
uno per ciascun opera.
LA NASCITA DELLA “QUESTIONE OMERICA”
Nell’Ottocento iniziano ed emergere due linee: quella degli analisti che sostengono la presenza di
una pluralità di autori e quella degli unitari per i quali esiste un unico autore per ciascuna o
entrambe le opere.
La critica analista fu inaugurata da Friedrich August Wolf, osservando la presenza nei poemi di vari
elementi appartenenti a epoche diverse, concludeva che Omero era soltanto il più famoso tra molti
aedi autori di diversi canti, poi fusi insieme attorno a due temi principali (l’ira per l’Iliade e il ritorno
per l’Odissea). Secondo Wolf, questo era avvenuto nel VI secolo a.C.
Di opinione analoga Adolf Kirchhofdf che in particolare si concentrò sull’Odissea, individuando tre
tipi di narrazioni differenti: uno dedicatoalle vicendedi Telemaco, uno al viaggio di ritorno di
Odisseo e uno imperniato sulla vicenda dell’eroe contro gli usurpatori in patria) e poi messa
insieme da una maldestro compilatore.
La critica analista era costituita dal fatto che le stratificazioni e gli elementi di canti differenti, essa
poi faticava a spiegare l’unità presente in entrambi i poemi.
Omero non poteva quindi spiegare la complessità e l’unità interna delle opere.
La figura più rappresentativa della critica unitaria fu quella di Wolfgang Schadewaldt, che in un
saggio, dedicato in particolareall’Iliade, arrivò a considerare ciascun poema come opera di un
unico cantore, cioè di un vero e proprio poeta e non di un semplice redattore o compilatore. Lui
riuscì a capirlo vista la fitta rete di rapporti interni all’Iliade(parallelismi, richiami, anticipazioni…) e
quindi non poteva che essere frutto di un’unica mente.
OMERO E LA QUESTIONE OMERICA
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GLI STUDI SULL’ORALITÀ DI MILMAN PARRY
Di particolare importanza per la critica omerica hanno gli studi di Milman Parry che giunsero a
identificare formulee ripetizioni. La presenza di versi ripetuti o di episodi identici non doveva più
essere interpretata come un errore di un mediocre compilatore, come sosteneva la critica analista,
ma come un insieme di fenomeni che dipendevano dall’improvvisazione, dalla necessità di
memorizzazione per il cantore e di riconoscimento immediato per il pubblico e quindi a concludere
che l’Iliade e l’Odissea siano state composte oralmente ma anche questa teoria presenta molti
oppositori.
Gli aedi erano cantori di professione che componevano canti epici e li recitavano in occasione di
banchetti nella case dei nobili. La trasmissione di questi canti avveniva attraverso l’oralità e l’aedo
univa abilità mnemoniche a capacità di improvvisazione e di creazione poetica autonoma.
Il canto dell’aedo è ascoltatocon grande concentrazione: chi sta attorno tace, perché deve seguire
una storia appassionante ma complessa, raccontata oralmente. Il pubblico non può distrarsi,
altrimenti perde il filo della vicenda.
L’araldo sedeva su un trono a borchie d’argento al centro dei convitati e venivano messi a
disposizione cibo e vino quando il cuore voleva (Odissea, libro VIII).
Il cibo e il vino messi a disposizione dell’aedo sono un altro tributo di onore: come un ospite
gradito, così che può saziarsi e bere, prima di accontentare le richieste del pubblico.
Insieme all’aedo c’è l’araldo che porta lo strumento musicale con il quale egli accompagnerà il
canto; inoltre fa in modo che il cantore possa prendere da solo la cetra in mano. Anche questo
particolare contribuiscea delineare la sacralità dell’aedo:
non tutti possono toccare la cetra, ma solo una figura di una certa importanza come l’araldo
(sarebbe quasi una profanazione se lo strumento fosse sfiorato o staccato dal chiodo da un servo o
da un personaggio qualunque).
L’aedo canta stando in piedi; chiunque tra i commensali può rivolgersi a lui e chiedergli di intonare
un particolare episodio, ma solo il padrone di casa può ordinargli di smettere, se il canto non è
gradito per qualche ragione a un ospite. La funzione dellapoesia infatti è quella di dilettare, di
sollevare dalle pene. La fama e la gloria, insiemecon il cibo e il vino, sono la ricompensa promessa
al cantore, che spera di essere accolto e apprezzato in più corti.
AEDI E RAPSODI
(L’aedo quindi ha il compito di informare sulle vicende degli eroi, è una figura di grande prestigio e
inoltre conosce il pensiero divino).
(Il canto ha il compito di educare e trascinare l’anima quindi ha funzione psicopedagogica e
psicagogica).
Dopo che i canti epici assunsero forma scritta, alla figura dell’aedo si sostituì quella del rapsodo, un
artista che si limitava a riprodurre nel canto i testi scritti senza modificarli, “cucendo”
semplicemente tra loro differenti episodi.
Nei poemi omerici gli dèi hanno un ruolo fondamentale. Essi, pur essendo numerosi e diversi tra di
loro, hanno una serie di caratteristiche comuni:
 ANTROPOMORFISMO: il loro aspetto è simile a quello di uomini e donne solo più potenti.
 IMMORTALITÀ: gli dei sono nati e cresciuti, ma una volta raggiunta la propria maturità non
invecchiano né muoiono.
 RELATIVISMO ETICO: essi hanno le virtù ma anche i vizi degli uomini; dunque, non
incarnano esclusivamente le forze del bene oppure quelle del male, ma in ognuno di loro le
azioni possono essere dettate sia dalla benevolenza sia dall’odio.
Possono anche assegnare casualmente agli uomini doni e disgrazie ad esempio Zeus che
attinge dal vaso dei doni buoni e dei doni cattivi.
 POTERI STRAORDINARI MA NON ILLIMITATI: ogni divinità domina un ambito specifico
(mare, cielo, Inferi) o dell’esperienza umana (amore, guerra, tecnica, commercio). Io ogni
caso tutti gli dèi devono sottostare al Fato (Moira, Destino, Necessità) e si tratta dell’Anàke
ovvero “ciò che non può essere diversamente”, una forza superiore a quella degli dèi. Il fato
è spesso personificato da tre Moire/Parche dette anche Chere, anziane filatrici che tessono,
intorcigliano e tagliano i fili della vita umana.
 CONSUETUDINI: essi risiedono sul monte Olimpo, in Grecia, ma prediligono luoghi
particolari dove si trovano santuari a loro dedicati e gradiscono sacrifici da parte degli
uomini; amano i banchetti, durante i quali si riuniscono di ambrosia e nettare. Spesso si
riuniscono anche per discutere questioni che riguardano il mondo umano.
LE CARATTERISTICHE DELI DÈI
ILIADE
LA STRUTTURA
L’Iliade è un poema epico in versi esametri (ogni accento si matte un piede), trae il proprio titoloda
Ilio, uno dei nomi con cui veniva indicata la città di Troia, città dell’Asia Minore (teatro di una lunga
guerra fra i Greci e i Troiani). L’opera è divisa in 24 libri, è scritta in greco e si concentra su un
episodio avvenuto nell’ultimo anno del decennale conflitto, ossia l’ira dell’eroe greco Achille.
L’ANTEFATTO: LA CONTESA E LA GUERRA
Secondo il mito, durante le nozze dei genitori di Achille, Peleo e Teti, la dea Eris (la Discordia),
offesa per non essere stata invitata, suscita una forte contesa gettando sulla mensa un frutto d’oro
(peplo), destinato alla più bella tra le dee dell’Olimpo. Subito Era, Atena e Afrodite rivendicano
ciascuna per sé il primato; gli altri dèi, per liberarsi dell’imbarazzo della decisone, chiamano come
giudice il mortale Paride, figli del re di Troia Priamo. A lui Era offre la potenza, Atena la sapienza e
Afrodite l’amore della donna più bella del mondo. Paride scegliequest’ultimo dono (gheras) e
attribuisce ad Afrodite la vittoria, suscitando contro di sé e contro i Troiani l’odio implacabile delle
altre due divinità; poi con l’aiuto della dea, rapisce Elena, moglie di Menelaore di Sparta, e la
conduce a Troia con sé. Menelao, insieme al fratello Agamennone, raduna allora una vasta
coalizione, cui prendono parte i principali eroi e sovrani delle città greche con i rispettivi eserciti:
Achille, Odisseo, Diomede, Aiace, Nestore e molti altri. L’armata greca salpa per Troia con
l’intenzione di recuperare rapidamente la donna rapita, ma l’assedio della città dura ben dieci anni.
L’ARGOMENTO
Durante il decimo anno della guerra contro Troia, Achille, sdegnato per un affronto contro il suo
onore(aretè), si ritira dai combattimenti, lascia che l’esercito greco subisca gravi perdite, torna
infine in battaglia per vendicare la morte dell’amicoPatroclo. Achille affronta il duellol’eroe troiano
Ettore, lo uccide e ne strazia il corpo; dopo alcuni giorni, tuttavia, accetta di restituire il cadavere al
vecchio re Priamo. Il poema di chiude con la celebrazione dei funerali di Ettore.
LO SPAZIO
Il narratore si limita a presentare in modo essenziale e stilizzatolo scenario dellevicende.
La pianura davanti a Troia, percorsa dai fiumi Scamandro e Simoenta, è lo spazio dove avvengono i
combattimenti, tra la città e il mare. Di Troia sono citate le mura con le porte Scee (punto più solido
della città), la rocca, il tempiodi Atena, il palazzo realee pochi altri particolari; è evidente
comunque che si tratta di una città ricca, appetibile preda di saccheggio e bottino.
L’altro luogo fondamentale è l’accampamento greco, con le tende dei comandanti e le navi
protette da un muro di difesa.
IL TEMPO
La storia, si colloca nel 59esimo giorno del decimoe ultimo anno della guerra contro Troia (dal
momento in cui il dio Apollo scatena la pestilenza nel campo grecosino ai funerali di Ettore).
I PERSONAGGI
Gli eroi, di entrambi gli schieramenti, sono uomini dotati di forza, bellezza e coraggio. Aspirano alla
glori, ripudiano il tradimento e la viltà, preferiscono la morte al disonore.
Non sono mai tormentati da dubbi: posso avere qualche lieve esitazione, ma decidono sempre di
agire e di andare fino in fondo alle proprie scelte, pronti a pagarne il prezzo.
Su questi aspetti comuni a tutti i personaggi, si innestano le specificità che caratterizzano ciascuno:
tra i Greci, Achille è l’eroe dell’eccesso e della dismisura, perché le sue passioni (l’ira, il dolore, la
vendetta), non conoscono limiti e rifiutano qualsiasi compromesso; Agamennone è un capo, ma si
dimostra avido e arrogante; Odisseo è l’eroe abile nella parola e accorto; Diomede è il guerriero
feroce e implacabile, che non si trattiene neppure dal ferire gli dèi.
Fra i Troiani, Ettore è il più strenuo difensore della città, capace di anteporre il rispetto per il proprio
dovere agli affetti familiari; Paride è bello ma poco coraggioso, più dedito all’amore e al piacere
che alla guerra; Priamo è il vecchio re straziato dal dolore per la perdita dei figli, ma risoluto a
mantenere la propria funzione di capo.
Gli antieroi come Tersite e Dolone, sono brutti, sprovveduti o comunque incapaci di riconoscere i
propri limiti e per questo derisi e punti.
Gli dèi hanno un ruolo fondamentale: intervengono in aiuto di alcuni eroi e contro altri.
Nell’Iliade gli di partecipano direttamente ai combattimenti, creano alleanze, chiedono favori per i
loro protetti e conservano il ricordo degli affronti subiti.
Dalla parte dei Greci sono schierati Atena, Era, Ermes, Poseidone ed Efesto.
Dalla parte dei Troiani: Apollo, Ares, Artemide, Latona e Afrodite.
Il re degli dèi, Zeus, favorisce i Troiani fino a quando l’onore (aretè) di Achille non ottiene il
risarcimento dovuto.
I TEMI
Si possono identificarecome temi fondamentali del poema:
o L’onore (aretè) e la gloria. Ciò che spinge gli eroi ad agire è la rierca individualedell’aretè e
della gloria; tuttavia essi sono legati a una comunità, di cui temono il giudizio e la
condanna, in quanto soltanto il riconoscimento pubblicopuò garantire l’aretè di un eroe. La
condotta del singolo deve rispettare un severo codice di comportamento, la violazione del
quale determina l’accusa di viltà. Il codice eroicoprevede lalealtà, la necessita di vendetta,
l’assenza di pietà per il nemico, la capacità di affrontare con coraggio la morte.
o L’ira (mènis). Ed è questa la pa parola con cui si apre il poema: si tratta di una passione
incontrollabile, dagli effetti devastanti. L’ira di Achillesi rivolge prima contro Agamennone e
poi contro Ettore: nel primo caso è motivo di morte per molti compagni greci, privati del
sostegno di Achille in battaglia; nel secondo porterà la morte al nemico e lo strazio
disumano del suo corpo.
o La sottrazione della donna. All’origine della guerra di Troia vi è il rapimento di Elena, ma il
tòpos (tema ricorrente) della “sposa rapita” si ripresenta più volte, sia pure con variazioni:
basti pensare che la lite tra Agamennone e Achille trae origine dalla sottrazione della
schiava Criseide al primo e poi di Briseide al secondo.
LA VOCE NARRANTE
Il narratore è onnisciente, oggettivo: racconta in terza persona fatti cui non ha preso parte e che si
sono svolti in un passato lontano; conosce tutte le vicende dei protagonisti, il loro passato e il loro
destino futuro, cui fa riferimento attraverso brevi flashback e anticipazioni; presenta situazioni e
personaggi senza esprimere giudizi né partecipazione emotiva, tranne in pochi casi (ad esempio la
simpatia che trapela per Patroclo nel momento della sua morte o la commiserazione perla fine di
Ettore).
Il fatto che il narratore sia onnisciente e oggettivo non significa certo che sia privo di una propria
visione del mondo: Omero, infatti, esprime i valori dell’aristocrazia guerriera della Grecia arcaica,
ossia l’aspirazione della gloria, la difesa dell’onore, la necessità del riconoscimento pubblico del
proprio valore…
I libro
IL PROEMIO, LA PESTE, L’IRA
I primi 7 versi che costituiscono il proemio, ossia l’esordio nel quale il poeta si rivolge alla dea
(Calliope) che può ispirarlo nel canto e indica l’argomento al quale verterà la sua opera si tratta
di un sentimento: l’ira, del più forte guerriero greco impegnato nella guerra di Troia, Achille.
Poi viene narrato l’antefatto: ovvero che nell’accampamento greco sopraggiunge il sacerdote
del dio Apollo, Crise, il quale tenta di farsi restituire la figlia Criseide, in cambio di un forte
riscatto. Il capo dello schieramento greco, Agamennone, rifiuta aspramente di cedere la donna,
suo bottino di guerra, e respinge il sacerdote in modo offensivo. A questo punto Apollo,
invocato da Crise, interviene per punire l’atto empio e scatena una terribile pestilenza che
durerà nove giorni.
Così Apollo scese dal monte Olimpo e iniziò a scagliare le sue frecce dal con il suo arco
d’argento, colpendo prima gli animali e poi gli uomini.
I greci provati da nove giorni di peste, si riuniscono in assemblea, cercando un modo per porre
termine al flagello. L’indovino Calcante lascia intendere di conoscere la causa che ha scatenato
l’ira di Apollo, ma non è disposto a rivelarla se prima il forte Achille non garantisce di
proteggerlo, perché egli sa bene che le sue parole daranno molto fastidio a un potente. Achille
promette il proprio aiuto e Calcante spiega che l’offesa fatta da Agamennone al sacerdote
Crise è la ragione della vendetta del dio: unico modo per porre fine alla pestilenza è restituire
Criseide al padre. Come infatti l’indovino ha previsto, il suo discorso irrita profondamente
Agamennone. Gli Achei dovranno anche fare un sacrificio al dio Apollo.
Così Agamennone disse a Calcante che per lui riserva solo cosa brutte e mai cose buone e
sostiene anche pubblicamente di amare e stimare Criseide più della propria
sposa, Clitennestra. Tuttavia, si dichiara pronto a restituire Criseide al padre se questa è la
condizione per salvare l’esercito, ma a un patto: ovvero che gli sia subito dato un altro dono.
Achille gli risponde che tutto il bottino era già stato diviso e che se lui avesse restituito il suo
gheras (Criseide) loro Achei la riscatteranno tra, quattro volte se Zeus gli concede di
distruggere la città di Troia.
Agamennone ricambia dicendo che è facile parlare quando lui il dono lo ha ancora e che se gli
Achei non mi daranno un dono al mio desiderio, che faccia compenso andrà a prendere
proprio quello di Achille, quello di Aiace o quello d’Odisseo e se lo porterà via. Poi si
interrompe e dice di preparare una nave nera di spingerla nel mare divino, di mettere il
numero di rematori giusto, imbarcare gli animali per il dio Apollo, fare salire Criseide (guancia
graziosa) e di farla guidar da uno dei capi consiglieri (o Aiace, o Idomeneo, Odisseo (luminoso)
o Pelide.
A questo punto inizia a scatenarsi l’ira di Achille, perché Agamennone decide di prendersi
proprio Briseide, già assegnata ad Achille dagli Achei (loro d’accordo sul suo gheras). Lui ha
combattuto ma ha avuto il gheras più piccolo di quello di Agamennone, dichiara anche non
può accettare ordini dal prepotente sovrano e sdegnato giura di ritirarsi dalla guerra.
Agamennone gli dice di andarsene e che non gli dirà di restare perché tanto ci sono altri che
gli fanno onore e soprattutto c’è Zeus dalla sua parte. Gli dice anche che non lo teme e che
non si preoccupa di lui e dichiara che siccome il dio Apollo gli ha tolto il suo gheras andrà
personalmente nella tenda di Achille a prendersi Briseide, in modo tale da far capire ad Achille
chi è il più forte.
*Achille sfoga il suo dolore isolandosi sulla riva del mare; qui invoca la madre divina Teti, che
emerge dalle acque per ascoltare lo sfogo del figlio e confortarlo. Teti promette al figlio di
portare a Zeus la sua richiesta: che i Greci siano sconfitti e subiscano un massacro presso le
navi, perché tutti paghino le conseguenze del comportamento di Agamennone e Achille riceva
grandissimo onore.Teti rivolge a Zeus la supplica. Il dio resta a lungo incerto, preoccupato per
le conseguenze, ma infine acconsente. Durante il banchetto degli dèi, la moglie Era lo accusa
con dure parole di tramare in segreto la sconfitta dei Greci; Zeus si adira, le rivolge minacce e
le impone di tacere. Il violento litigio rischia di turbare la gioia del banchetto; interviene allora
il dio Efesto, figlio di Era: consiglia alla madre di non contrastare i piani di Zeus e per
confortarla le offre una coppa piena della bevanda degli dèi. Il banchetto riprende gioioso, tra
le risate allegre degli dèi.
* L'ecatombe è una cerimonia sacra caratterizzata dall'uccisione di animali offerti in sacrificio a una
divinità.
II libro
TERSITE
UN SOGNO INGANNEVOLE INDUCE Agamennone a credere che gli dèi lo sostengano e a
preparare l’attacco decisivo contro Troia. Si tratta in realtà di uno stratagemma di Zeus che, per
compiacere la ninfa Teti, madre di Achille, intende mettere in difficoltà i greci perché capiscano
l’importanza dell’eroe sul campo di battaglia. Il capo della spedizione greca riferisce agli
anziani il sogno ad essi ed essi approvano la decisione di muovere all’assalto; prima, però, il
sovrano vuole sperimentare la fedeltà dell’esercito: finge perciò di rinunciare al lungo assedio e
invita tutti quanti a fare ritorno in patria. Gli uomini, provati da anni alla guerra, corrono alle
navi, ma Odisseo, istruito dalla dea Atena, li trattiene e li rimprovera per la loro viltà. I guerrieri
subito recuperano la propria compostezza e si mettono a sedere, in attesa di istruzioni.
Qualcuno, però, continua a parlare (gracchiare), contestando l’autorità di Agamennone: è il
soldato Tersite, il più spregevole, fra tutti i venuti all’assedio di Troia, che verrà duramente
messo a tacere da Odisseo.
(Tersite aveva le gambe storte, zoppo da un piede, le spalle ricurve, cadenti sul petto; sopra le
spalle aveva la testa a pera e ci crescevano radi i capelli)…(vv. 220)
Tersite, storpio e d’animo spregevole, contesta la decisione di continuare la guerra poiché
incoraggiava i soldati a tornare in patria dalle propriemogli e dai propri figli abbandonandocosì la
conquista di Troia, a questo punto c’è l’intervento deciso di Odisseo, che lo percuote con lo
scettro, (da vv.260 a 264) in modo da costringerlo a tacere e ad adeguarsi. Gli però pur
dispiaciuti, ne risero di cuore e ciascuno diceva ricolto al vicino (qualcosa)…
III libro
ELENA, LA DONNA CONTESA
Elena, la donna contesa fra Greci e Troiani, è protagonista di due episodi del terzo libro.
Mentre si compiono i preparativi per il duello tra Paride e Menelao, che dovrebbe decidere
finalmente le sorti della guerra, la donna si reca sulle mura della città per osservare il campo di
battaglia e indicare a Priamo il nome dei guerrieri più forti; poi, dopo l’interruzione del duello, per
ordine di Afrodite Elena accoglienella stanza da letto Paridesconfitto.
Iri si tramuta nella cognata, sposa di Antenorìde. E la vide tessere una grande tela, doppia, di
porpora che ricamava le molte prove dei Teucri (domatori di cavalli) e Achei (chitoni di bronzo) (…)
dicendo così la dea le mise in cuor dolce desio del suo prima marito, dei genitori, della città (vv.
140: CLIMAX= crescente dal più moderato al più intenso o viceversa).
Quando uscì dalla stanza, versando una lacrima, la seguivano due ancelle, Etra figlia di Pitteo e
Climene occhi grandi e giunsero in fretta alle porte Scee.
Quando arrivò c’erano seduti sulle porte Scee gli Anziani (Priamo, Pàntoo, Timete, Lampo, Clitio,
Icetàone (rampollo d’Ares), Ucalègonte e Antènore (tutti saggi):
per la vecchiaia hanno smesso di combattere (fare guerra) ma erano parlatori nobili, simili alle
cicale (animali sacri, riportavano la voce degli dèi –come Odisseo per la capacità di parlare) che in
mezzo al bosco stando sopra una pianta mandavano voce fiorita (similitudine).
Essi videro Elena venire verso la torre e a bassa voce tra loro dicevano parole fugaci: (vv. 156 a 161).
E Priamo chiamò a voce alta Elena e gli dice di sedersi vicino a lui a guardare il suo primo marito,
gli alleati e gli amici: gli dice che non è lei la causa della guerra ma bensì degli dèi. Elena gli rispose
che se la morte avesse preso sopravvento, quando qui seguii suo figlio, lascandotalamo, amici, la
figlioletta (Ermione) e le compagne amabili.
Ma questo non avvenne e per questo piango molto egli disse ciò che voleva sapere Priamo: è il
figlio d’Atreo, il potente Agamennone, sovrano nobile e guerriero…era cognatosuo, di lei cagna (si
vergogna di aver perso la buona fama, che alla donna deriva essenzialmente dalla fedeltà del
marito e alla sua casa).
Elena fornisce a Priamo anche notizie su Odisseo, di cui ricorda l’abilità a tessere inganni, sul
possente Aiace, su Idomeneo e sugli altri guerrieri. Compiuti i sacrifici rituali e stabiliti i patti, il
duello ha inizio. Vengono scagliate le lance, ma senza risultato. Menelao colpisce l’elmodi Paride
con la spada, ma questa si spezza; l’eroe greco dunque afferra con le mani il nemico per l’elmo e lo
trascina sul terreno. Interviene Afrodite, che sgancia la fibbia e libera la gola del Troiano. Menelao
resta con l’elmo vuoto in mano e non riesce più a trovare Paride, che la dea avvolge in una fitta
nebbia e riporta al sicuro nel palazzo. Quindi Afrodite assume le sembianzedi una vecchia filatrice
ed esorta Elena a raggiungere Paride nella stanza da letto.
Elena, che ha riconosciuto la dea, tenta di reagire, ma Afrodite la minaccia di abbandonarla, di
toglierle tutto il suo fascino e magari lasciarla morire in nuovi conflitti tra i due popoli, suscitati
da intrighi amorosi.
Elena viene presa dalla paura; riesce con l’aiuto della dea a scivolare via inosservata. Giunta a
casa inizialmente esprime disprezzo per Paride e stima per Menelao; invita ironicamente
l’amante a riprendere il duello, ma nello stesso tempo gli consiglia di non combattere, per non
perdere la vita.
Paride cerca di minimizzare la sua sconfitta, parlando di un aiuto divino che Menelao avrebbe
ricevuto e della possibilità di prendere una rivincita. Poi la invita a raggiungerlo a letto e di
godere insieme dell’amore. Elena non resiste alla sua proposta. Paride conquista così la donna
che doveva essere il premio per il vincitore del duello.
Intanto, sul campo di battaglia c’è grande confusione. Agamennone proclama la vittoria di
Menelao e pretende subito il pagamento di enormi ricchezze come risarcimento per le spese
di guerra. Anche i Troiani, delusi e sconcertati per l’andamento del duello, cercano Paride, ma
nessuno lo trova.
VI libro
L’INCONTRO TRA GLAUCO E DIOMEDE
Intanto sul campo di battaglia, in mezzo ai due eserciti si fanno avanti Glauco, nobile guerriero
dei Lici, e Diomede, guerriero orgoglioso e consapevole della propria forza.
Egli, abituato a non avere stima per i nemici, sceglie questa volta di non attaccare colui che ha di
fronte, ma di rivolgergli prima la parola.
Diomede riconosce in lui qualità familiari: la fierezza, il coraggio, l’ardoredella battaglia (entrambi
avidi di combattere), al punto che il greco ipotizza di trovarsi davanti a un dio. Dopo aver rievocato
un esempio di empietà punita (che sua singolare perché in altre circostanze lo stesso Diomede non
si era fatto scrupolo a ferire Afrodite e Ares in persona), il greco conclude con una frase
Diomede dice di sfida, dicendosi pronto ad uccidere il nemico, se questo è un mortale-.
Glauco è disposto a svelare il proprio nome, pur consapevole che per gli uomini nomi e famiglie
sono inafferrabili come le foglie, che ora sono gettate a terra dal vento, ora invece rinascono sui
rami. La sua risposta contiene la celebrazione dell’antenatopiù glorioso della sua stirpe, ossia l’eroe
Bellerofonte. A questo punto Diomede cambia improvvisamente tono (con parole di miele) e si
rallegra poiché ha scoperto un vincolo di amicizia tra suo nonno Oineo e Bellerofonte, antenato del
suo avversario. Oineo infatti, molto tempo prima, aveva ospitato Bellerofonte nel proprio palazzo
per venti giorni, e i due si erano scambiati preziosi doni ospitali (Oineodiede una fascia di porpora
e Bellerofonte una coppa d’oro con due manici) al momento del congedo.
Propone perciò a Glauco di evitare ogni combattimento, di stringersi le mani in segno di
amicizia (giuramento) e di scambiarsi le armi (come gesto di cortesia e amicizia e per rendere
evidente anche agli altri il prezioso vincolo che sussiste tra loro), sebbene l’armatura d’oro di
Glauco valga molto di più(100 buoi) di quella bronzea di Diomede(9 buoi).
VI libro
ETTORE E ANDROMACA
Il tentativo di decidere le sorti della guerra con un duello tra Menelao e Paride è stato
interrotto dalla dea Afrodite, che ha messo in salvo il giovane troiano, la battaglia esplode
allora in tutta la sua violenza, coinvolgendo entrambi gli schieramento. Si distingue per ardore
il greco Diomede, che semina lo scompiglio fra i Troiani e non si trattiene nemmeno dal ferire
gli stessi dèi, placando la sua furia solo di fronte a Glauco, un alleato dei troiani , cui scopre di
essere legato da vincoli di ospitalità.
Nel frattempo la battaglia continua e sembra volgere al peggio per i troiani. Eleno, figlio di
Priamo e dotato di facoltà divinatorie, suggerisce a Ettore di compattare le file dei combattenti
e di rientrare, lui solo, in città per predisporre un sacrificio alla dea Atena. Ettore segue il
consiglio e dopo aver chiesto alla madre Ecuba di offrire un dono alla divinità, approfitta della
breva pausa per incontrare Andromaca, salita sulla torre più alta delle porte Scee per seguire
con apprensione le sorti dello scontro.
Quando Ettore ha attraversato la città, giunse alle porte Scee dove gli venne incontro con
l’ancella portando in braccio il bimbo, la moglie Andromaca (figlia di Eezione).
Ettore lo chiamava Scamandrio, ma gli altri Astianatte (re di una città) perché Ettore salvava
Ilio da solo.
Egli, guardando il bambino sorrise: ma Andromaca gli andò vicino piangendo e gli prese la
mano e disse: che il suo coraggio lo avrebbe ucciso (predicazione), che non ha compassione
del figlio e di lei che presto sarà vedova perché presto lo uccideranno gli Achei (lei ha visto
come si svolge la guerra perché nella parte alta della città). Per lei è meglio morire perché se
lui muore il suo destino è riservato a solo pene. Non ha ne la madre ne il padre. Suo padre
l’ha ucciso Achille ma non lo spogliò e lo fece bruciare con le sue armi e lo seppellì. Aveva
sette fratelli ma li uccise Achille. Sua madre la liberò ma volle un forte riscatto ma morì
improvvisamente (Artemide responsabile).
Per Andromaca Ettore è tutta la sua famiglia e quindi gli dice di rimanere lì sulla torre;
STACCO NETTO, ROVESCIAMENTO DEL RUOLO DI ANDROMACA: PRIMA ERA UNA DONNA
SVENTURATA MA NEGLI ULTIMI VERSI TUTTO IL CONTRARIO, ADESSO DA UN CONSIGLIO
TATTICO…DONNA STRATEGA/GUERRIERA, PARI DI SUO MARITO (FEDI).
Gli dice di fermare l’esercito presso il fico selvatico dov’e facile assalire la città.
Ettore le disse che anche lui pensa a tutto questa ma ha troppa vergogna dei Teucri e delle
Troiani se resta lontano dalla guerra. Né lo vuole lui perché ha capito di essere forte a
combattere in mezzo ai Troiani e procurando tanta gloria come padre e sé stesso. Quando io
sarà distrutta lui non proverà dolore per nessuno tranne che per lei per la paura che un Acheo
le porti via la libertà: vivendo ad Argo (Agamennone) dovrà tessere la tela e portare l’acqua di
Messeide (Laconia= Menelao) o Iperea (Achille). E qualcuno vedendola dirà:…..
Ma una volta morto spero di non sentire le tue grida. E dicendo così tese le braccia a suo figlio:
ma il bambino si tirò indietro si piegò con un grido, all’aspetto del padre, spaventato dal
bronzo e dall’elmo che vedeva ondeggiare in cima all’elmo.
Ettore sorrise e anche Andromaca. E subito Ettore si tolse l’elmo dalla testa (compie un gesto
umano = no più kleos non più guerriero) e lo posò a terra, baciò il figlio e lo sollevò e disse
supplicando a Zeus e agli altri dèi: si augura che suo figlio diventi come lui e signore della città
e anche molto più forte di lui (sta sognando ad occhi aperti).
Dopo lo rimise in braccio ad Andromaca e lo strinse sorridendo fra il pianto (elementi
contrapposti), Ettore si intenerì e la accarezzò e le disse che non si deve affliggere se il destino
vuole che lui muore è destino…non si può evitare.
RITORNO AI RUOLI
Torna a casa e pensa a ciò che devi fare e alla guerra ci enserà lui.
Poi si rimise l’elmo in testa, Andromaca si diresse verso casa ma si voltò indietro piangendo e
quando giunse a casa trovò dentro le molte ancelle e ad esso tutte provocò il pianto:
piangevano Ettore ancor vivo, non speravano più che sarebbe tornato vivo dalla battaglia,
suggendo al furore dei Danai.
X libro
L’AVVENTURA NOTTURNA DI ODISSEO E DIOMEDE
La guerra sembra volgere al meglio per i Troiani: dopo uno sfortunato attacco, i Greci sono
stati costretti ad arretrare verso le navi e i guerrieri troiani, insieme con i loro alleati, hanno
occupato vaste proporzioni della pianura antistante la città. Anche il tentativo di persuadere
Achille a tornare in battaglia è fallito e Agamennone raduna nella notte i principali eroi greci
per chieder consiglio. Il vecchio e saggio Nestore propone che qualcuno si insinui nel campo
troiano per capire informazioni e promette gloria e doni all’uomo che accetterà un tale
compito. Subito Diomede si dichiara pronto all’impresa ma vuole con sé un compagno; tra i
molti disposti a seguirlo sceglie Odisseo perché sa pensare bene. Anche nel campo troiani si
svolge una scena analoga: Ettore, infatti cerca qualche guerriero che voglia andare a spiare i
Greci. Si fa avanti Dolone, brutto d’aspetto, veloce di piedi, che pretende una ricompensa
straordinaria: i cavalli (Balio e Xanto) e il carro di Achille. Ettore acconsente e Dolone, da solo, si
allontana nella notte in direzione della navi greche; Odisseo, tuttavia, accortosi del nemico, si
prepara a tendergli una trappola.
Nestore, il saggio re di Pilo che ha sempre fornito il consiglio più adatto a risolvere le situazioni
più disperate, propone di inviare esploratori nel campo troiano per spiarne mosse e intenzioni.
Egli promette agli eroi che realizzeranno questa impresa la gloria tra le genti e un (ciascun
principe acheo darà loro una pecora nera con il suo agnello).
Si offre per la sortita notturna Diomede, che sceglie come compagno Odisseo. I due eroi si
armano e si allontanano dal campo facendosi largo tra i cadaveri che giacciono nella piana.
Una decisione simile matura contemporaneamente nel campo dei Troiani, ma ben diversa è la
promessa che Ettore fa a chi tra i suoi accetterà l’incarico di esplorare il campo greco: costui
avrà come ricompensa il carro e i cavalli più belli che i Troiani sottrarranno agli Achei.
Dolone ( “inganno”), che si offre per l’incursione nel campo nemico, pretende per sé
nientemeno che il carro e i cavalli di Achille (sono Balìo e Xanto, cavalli immortali donati dagli
dèi a Peleo, padre di Achille, in occasione delle sue nozze con la dea Teti). Dolone, per
mimetizzarsi nella notte, si copre con una pelle di lupo grigio e calza un elmo rivestito di pelle
di donnola (un piccolo animale dalla pelliccia scura).Dolone avanza verso il campo acheo.
Odisseo ode un rumore di passi e intuisce che si tratta di una spia nemica; propone a Diomede
di lasciare inoltrare il Troiano nella pianura e di chiudergli poi la possibilità di ritirarsi ( Odisseo
dice di aspettare che lui venga in modo da saltargli addosso). Ma se gli sfuggisse correndo
mandalo lontano dal campo minacciandolo purchè non scappi in città.
Loro parlarono ma Dolone passò di corsa, rapida e stoltamente (avverbio) caratteristica di
Dolone: la rapidità è sia una dote (risposte immediate ma anche segno di viltà (disposto a
scappare il prima possibile).
Ma quando fu lontano i due gli corsero addosso; lui si fermò sperando che per ordine di
Ettore i suoi compagni lo andassero a salvare.
Dolone quando fu vicino a loro capì che erano nemici così iniziò a fuggire e loro iniziarono a
seguirlo.
SIMILITUDINE CHE VA DAL VV. 360 AL 364: paragonati a due cani con rabbia ostinata; di solito
introdotte dal come e come primo termine di paragono introdotte dal così.
Grazie alla dea Atene Diomede è primeggiato così arriva prima lui di Dolone.
Diomede balzò davanti a Dolone e gli disse che non per molto sarebbe sfuggito alla sorte della
sua mano. Così disse e scagliò la lancia e lo mancò apposta (seguì il consiglio di Odisseo); sulla
spalla la punta della lancia si fermò: Dolone si fermò e iniziò a balbettare e a diventar verde per
lo spavento (atteggiamento come quello di Tersite= suoni non gradevoli); essi giunsero e gli
afferrarono le braccia e parlò piangendo: se lo avessero lasciato vivo gli avrebbe offerto un
grosso riscatto (bronzo, oro (molto difficile da lavorare) e ferro).
Odisseo gli disse che non deve avere paura di morire e che deve parlare senza mentire: gli
chiede quando dormono i troiani e se è stato Ettore a mandarlo o il suo cuore.
Dolone rispose tremando in ginocchio: Ettore mi ha mandato e mi ha fatto accettare questo
compito con molte illusioni (Dolone si rende conto che ciò che ha chiesto non succederà mai)
(RISPOSTA MOLTO PRECISA)
Odisseo gli risponde mettendosi a ridere che non avrebbe mai potuto domare i cavalli di
Achille.
Poi ribadisce di rivelargli senza mentire cosa vuole fare Ettore…
Dolone risponde punto per punto.
Poi Odisseo gli chiede se si trovano vicino o lontano ai troiani.
Dolone rispose con delle popolazioni dell’Asia Minore per difendrla e gli da’ un suggerimento
e gli dice di andaare a verificare se tutto ciò che ha detto è vero.
Diomede gli risponde dii non pensare alla fuga perché lui ormai era nelle loro mani; se lo
lascassero andare lui tornerebbe alle navi per spiarli o combatterli contro.
Se perde la vita ucciso dalla sua mano non potrebbe dare più fastidi agli Argivi.
Così lo colpì in pieno collo mentre parlava ancora e la testa rotolò nella polvere.
*PROFEZIA:Troianon sarebbe stataconquistatase i cavalli di Resoavesserobevutol’acquadel fiume
Scamandro;
*dolone è mortoanche se magari non ha fattonulla;ma perché infliggergli unapunizione tale?Perché sono
degli antieroi e meritanosoloquestafine…è l’unnicodestinoche aspettaall’antieroe
XVI libro
LA RICHIESTA DI PATROCLO
Mentre i combattenti volgonoal peggioper i Greci, Patroclo si reca in lacrime da Achille(chiuso
nel suo orgoglio w non vuole partecipare alla attaglia)per fargli una richiesta.
Primo verso c’è l’apostrofe in cui Omero si rivolge direttamente a Patroclo.
Patroclo dice ad Achille, figlio di Peleo, l’eroe più forte degli Achei, non adirarti, molte disgrazie
sono giunte agli Achei. Tutti coloro che erano più forti sono stati feriti: è stato colpito Diomede
ferito da Odisseo e Agamennone, è stato colpito anche Euripilo;
i guaritori di molti rimedi (i medici del campo) si danno da fare per loro, curando le ferite; qui gli dà
ad Achille dell’insensibile (inizia la CLIMAX). Che non mi prenda mai l’ira che tu possiedi,
DISTRUTTORE (continuo della CLIMAX). Se adesso non difendi gli achei come pensi di avere dei
discendenti (Patroclo conosce la profezia: o di avere una vita breve e gloriosa o una vita lunga e in
anonimato).
Spietato (qui finisce la CLIMAX CRESCENTE) com’è possibileche tuo padre è Peleo cavaliere nobile
e tua madre Teti che è una divinità: ti ha partorito il bianco mare p le rocce (METAFORA: Achille ha
un animo duro, impenetrabile, il mare sommerge non si sa si cosa porta via). Se cerchi di evitare
questo desino che ti ha predetto tua madre da parte di Zeus, almeno manda me, e fa che segua io
l’esercito dei Mirmidoni, in modo tale da portare luce agli Achei. Permetti che io possa indossare le
tua armi e far scappare gli avversari per la paura. Loro facilmente spingeranno via le gli avversari in
città, via dalle navi e dalle tende perché è da tempo che non combattono (freschi) e dà tanto
tempo che sono lì per questa guerra (uomini stanchi di lotta).
Altra apostrofe (vv.44) egli stava a supplicare per sé la sua morte e il suo destino (Patroclo
scendendo in battaglia firma il destino di morte imminente.
XVI libro
LA MORTE DI PATROCLO E IL DOLORE (STRAZIANTE) DI ACHILLE
I Troiani, favoriti dagli dei, sono arrivati a minacciare le navi greche. Patroclo, compagno e amico di
Achille, chiede allora all’eroeil permesso di indossare le sue armi e di condurre i Mirmidoni in
battaglia, per risollevare le sorti degli Achei. Achille, che continua a rifiutarsi di combattere,
concede quanto richiesto, raccomandando però all’amico di non addentrarsi troppo nella mischia.
Patroclo semina quindi il panico fra i Troiani, ma, trascurando il monito di Achille, insegue i nemici
sino alle mura della città e va così incontro al proprio destino.
(In questa sezione vengono presentati due brani: il primo racconta la morte di Patroclo, mentre nel
secondo Achille esprime tutto il suo dolore, appena saputa la tragica notizia).
All’inizio del brano nei primi tre versi, è presentata un’iperbole da omero per esaltare la dote fisica
di Patroclo.
Patroclo si lanciò verso i Troiani, come Ares ardente (similitudine), tre volte ammazzònove uomini.
Ma quando balzò alla quarta, che sembrava un dio, lì apparve la fine della sua vita (APOSTROFE):
Apollo nascosto nella nebbia si fermò dietro e lo colpì alle spalle e Patroclo per il dolore gli gira la
testa non vede niente. Apollo gli togliel’elmo il quale rotola fra il sangue e la polvere (ad Achille
non è mai caduto: poiché era metà divinità e lo proteggeva mentre a Patroclo sì perché mortale):
allora Zeus lo dona a Ettore (gli cade perché servirà come bottino ad Ettore sennò Achille non
rientra in battaglia).
Poi gli si spezzò in mano la lancia greve, solida, grossa, armata di punta (ma per volere degli dei
perché una lancia così non si potrebbe mai spezzare), dalla sue spalle gli cadeper terra lo scudo
(era legato alle spalle e si slaccia!: nudo di fronte ai nemici).
Poi gli venne una vertigine (ha paura, non ha più niente, poi paura e poi si sconvolto si fermò
(CLIMAX CRESCENTE): dietro la schiena con la lancia lo colpisce proditoriamente (colpo a
tradimento) Euforbo (figlio di Pantoo e Frontide) che era il più bravo con l’asta, con i cavalli e anche
a scappare (piedi veloci. Si racconta di lui che appena entrato in guerra ha ucciso 20 uomini.
Lui lanciò per primo l’asta ma non lo uccise e corse indietro in mezzo alla folla (atteggiamento vile
di Euforbo), recuperata l’asta (conficcata nella schiena di Patroclo) non provò a sfidarlo neanche
nudo (disarmato) era troppo valoroso.
Patroclo colpito prima da Apollo e poi da Euforbo, si ritirò indietro tra i compagni per sfuggire al
destino di morte.
Ettore, come vide Patroclo tirarsi indietro, gli balzòaddosso e lo colpì al basso ventre: lo trapassò
con lancia )lo colpiscesolo quando è più ce certo di vincere.
Cadde a terra con fragore e e straziò il cuore dell’esercito Acheo.
Dal vv. 823 al vv. 828 similitudine (Patroclo= leone, Cinghiale= Patroclo: due animali selvaggi che
hanno sete di gloria per l’esercito e quindi combattono per la stessa pozzanghera e Meneziade
(Patroclo; figliodi Menezio) fu privato della vita da Ettore e gli disse vantandosi: Patrcolo speravi di
distruggere la nostra città, di privare della libertà (c’è un eco del discorso tra Ettore e Adromaca: tra
le paure maggiori dell’eroe vi è quella che sua moglie cadda in schiavitù dagli Achei delledonne
troiane e di condurle sopra le navi per portarle nella tua patria, sciocco! Per esse i veloci cavalli
d’Ettore si tendono sopra i garretti a combattere: Ettore eccelletra tutti i troiani e così li difendo
dalla morte, ma tu sarai mangiato dagli avvoltoi.
PAZZO! Achille anche se forte, non ti potrà proteggere e che prima che tu partissi ti disse molte
cose: Patroclo non tornare finché non avrai staccato la tunica insanguinata di Ettore, così convinto
ti disse, sciocco e persuase il suo il cuore.
E Patroclo rispose (APOSTOFRE): Ettore vantati pure ma tu non mi hai sconfitto per le tue capacità
perché prima ti hanno aiutato gli dei, che mi hanno abbattuto facilmente (Patrocloconsapevole):
mi hanno tolto le armi. Se mi avessero assalito 20 guerrieri come te io li avrei sconfitti, sconfitti
dalla mia lancia; ma io sono morto per il destino fatale e per Apollo (figliodi Latona), e tra gli
uomini Euforbo: tu mi uccidi per terzo (lui gli ha dato il colpo finale).
Ti voglio di un’altra cosa e tienila a mente: tu non andrai molto lontano, il tuo la tua morte e il tuo
destino invincibile cadranno per mano di Achille, dell’Eacide(Eaco nonno di Achille) perfetto.
Mentre parlava così la morte lo avvolse e la vita scese nell’Ade, piangendo il suo destino, lasciando
la giovinezza e il vigore.
Ettore rispose: Patroclo perché predici il mio destino? Chissà se Achille non mi precede nel perdere
la vita, colto dalla mia lancia? (discorso brutto)
(…)= parte conclusiva del 16esimo libro, 17esimo e inizio 18esimo
Dal vv.22 del 18esimo libro…
…Antiloco disse così (gli porto la notizia ad Achillee una nube di strazio (come il
dolore)(METAFORA) nera lo avvolse: prese con tutte e due le mani la cenere arsa e se la versò sulla
testa,, insudiciò il volto bello; la cenere nera sporcò la tunica nettarea (fa parte del rituale) (nettare=
cibo degli dei) e poi si distese nella polvere e sfigurava con le mani i capelli (prefiche= donne
pagate in onore del morto: battevano il petto e gesto dei capelli). Le schiave di Achille e Patroclo
straziate di cuore (lo sono per davvero=affezionate a lui perché le trattavano bene), ulularono (versi
tipici del rituale) e corsero fuori da Achille e con le mani battevano il petto; a tutte si sciolsero le
gambe (anche a Patroclo si sciolsero le gambe quando gli dei avevanodecretatola sua morte).
Antiloco piangeva dall’altra parte tenendo le mani di Achille (siccome è straziato, prova empatia ma
soprattutto perché ha paura che con le mani si potesse togliere la vita (si tagliasse la gole col
ferro=lancia). Gridava terribilmente. (CAVALLI piangono per primi). Sentì la madre la madre Teti
seduta negli abissi del mare, accanto a Zeus e pianse ella pure; le dee si misero intorno, tutte le
Nereidi (figliedi Nereo) nell’abisso del mare.

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  • 1. MERO E LA QUESTIONE OMERICA UNA FIGURA AVVOLTA NEL MISTERO Dell’autore non si sa nulla: secondo una tradizione più antica, Omero era un aedo, cioè un cantore cieco dotato di straordinaria capacità poetica. Sin dall’età ellenistica (fine IV-III secolo a.C.), si cominciò a mettere in dubbio che un solo autore avesse potuto comporre due opere così ampie e differenti tra loro per molti aspetti (dedicata a imprese di guerra e impregnata di mentalità eroica l’Iliade, più avventurosa e fiabesca l’Odissea). La prima ipotesi , fu che Omero avesse composti due poemi in fasi differenti della sua vita (l’Iliade nella giovinezza, l’Odissea durante la vecchiaia; altri commentatori, detti korìzontes, cioè separatori, distinguevano invece nettamente due autori, uno per ciascun opera. LA NASCITA DELLA “QUESTIONE OMERICA” Nell’Ottocento iniziano ed emergere due linee: quella degli analisti che sostengono la presenza di una pluralità di autori e quella degli unitari per i quali esiste un unico autore per ciascuna o entrambe le opere. La critica analista fu inaugurata da Friedrich August Wolf, osservando la presenza nei poemi di vari elementi appartenenti a epoche diverse, concludeva che Omero era soltanto il più famoso tra molti aedi autori di diversi canti, poi fusi insieme attorno a due temi principali (l’ira per l’Iliade e il ritorno per l’Odissea). Secondo Wolf, questo era avvenuto nel VI secolo a.C. Di opinione analoga Adolf Kirchhofdf che in particolare si concentrò sull’Odissea, individuando tre tipi di narrazioni differenti: uno dedicatoalle vicendedi Telemaco, uno al viaggio di ritorno di Odisseo e uno imperniato sulla vicenda dell’eroe contro gli usurpatori in patria) e poi messa insieme da una maldestro compilatore. La critica analista era costituita dal fatto che le stratificazioni e gli elementi di canti differenti, essa poi faticava a spiegare l’unità presente in entrambi i poemi. Omero non poteva quindi spiegare la complessità e l’unità interna delle opere. La figura più rappresentativa della critica unitaria fu quella di Wolfgang Schadewaldt, che in un saggio, dedicato in particolareall’Iliade, arrivò a considerare ciascun poema come opera di un unico cantore, cioè di un vero e proprio poeta e non di un semplice redattore o compilatore. Lui riuscì a capirlo vista la fitta rete di rapporti interni all’Iliade(parallelismi, richiami, anticipazioni…) e quindi non poteva che essere frutto di un’unica mente. OMERO E LA QUESTIONE OMERICA @letycreation.plus (insta) @letycreationplus (Youtube)
  • 2. GLI STUDI SULL’ORALITÀ DI MILMAN PARRY Di particolare importanza per la critica omerica hanno gli studi di Milman Parry che giunsero a identificare formulee ripetizioni. La presenza di versi ripetuti o di episodi identici non doveva più essere interpretata come un errore di un mediocre compilatore, come sosteneva la critica analista, ma come un insieme di fenomeni che dipendevano dall’improvvisazione, dalla necessità di memorizzazione per il cantore e di riconoscimento immediato per il pubblico e quindi a concludere che l’Iliade e l’Odissea siano state composte oralmente ma anche questa teoria presenta molti oppositori. Gli aedi erano cantori di professione che componevano canti epici e li recitavano in occasione di banchetti nella case dei nobili. La trasmissione di questi canti avveniva attraverso l’oralità e l’aedo univa abilità mnemoniche a capacità di improvvisazione e di creazione poetica autonoma. Il canto dell’aedo è ascoltatocon grande concentrazione: chi sta attorno tace, perché deve seguire una storia appassionante ma complessa, raccontata oralmente. Il pubblico non può distrarsi, altrimenti perde il filo della vicenda. L’araldo sedeva su un trono a borchie d’argento al centro dei convitati e venivano messi a disposizione cibo e vino quando il cuore voleva (Odissea, libro VIII). Il cibo e il vino messi a disposizione dell’aedo sono un altro tributo di onore: come un ospite gradito, così che può saziarsi e bere, prima di accontentare le richieste del pubblico. Insieme all’aedo c’è l’araldo che porta lo strumento musicale con il quale egli accompagnerà il canto; inoltre fa in modo che il cantore possa prendere da solo la cetra in mano. Anche questo particolare contribuiscea delineare la sacralità dell’aedo: non tutti possono toccare la cetra, ma solo una figura di una certa importanza come l’araldo (sarebbe quasi una profanazione se lo strumento fosse sfiorato o staccato dal chiodo da un servo o da un personaggio qualunque). L’aedo canta stando in piedi; chiunque tra i commensali può rivolgersi a lui e chiedergli di intonare un particolare episodio, ma solo il padrone di casa può ordinargli di smettere, se il canto non è gradito per qualche ragione a un ospite. La funzione dellapoesia infatti è quella di dilettare, di sollevare dalle pene. La fama e la gloria, insiemecon il cibo e il vino, sono la ricompensa promessa al cantore, che spera di essere accolto e apprezzato in più corti. AEDI E RAPSODI
  • 3. (L’aedo quindi ha il compito di informare sulle vicende degli eroi, è una figura di grande prestigio e inoltre conosce il pensiero divino). (Il canto ha il compito di educare e trascinare l’anima quindi ha funzione psicopedagogica e psicagogica). Dopo che i canti epici assunsero forma scritta, alla figura dell’aedo si sostituì quella del rapsodo, un artista che si limitava a riprodurre nel canto i testi scritti senza modificarli, “cucendo” semplicemente tra loro differenti episodi. Nei poemi omerici gli dèi hanno un ruolo fondamentale. Essi, pur essendo numerosi e diversi tra di loro, hanno una serie di caratteristiche comuni:  ANTROPOMORFISMO: il loro aspetto è simile a quello di uomini e donne solo più potenti.  IMMORTALITÀ: gli dei sono nati e cresciuti, ma una volta raggiunta la propria maturità non invecchiano né muoiono.  RELATIVISMO ETICO: essi hanno le virtù ma anche i vizi degli uomini; dunque, non incarnano esclusivamente le forze del bene oppure quelle del male, ma in ognuno di loro le azioni possono essere dettate sia dalla benevolenza sia dall’odio. Possono anche assegnare casualmente agli uomini doni e disgrazie ad esempio Zeus che attinge dal vaso dei doni buoni e dei doni cattivi.  POTERI STRAORDINARI MA NON ILLIMITATI: ogni divinità domina un ambito specifico (mare, cielo, Inferi) o dell’esperienza umana (amore, guerra, tecnica, commercio). Io ogni caso tutti gli dèi devono sottostare al Fato (Moira, Destino, Necessità) e si tratta dell’Anàke ovvero “ciò che non può essere diversamente”, una forza superiore a quella degli dèi. Il fato è spesso personificato da tre Moire/Parche dette anche Chere, anziane filatrici che tessono, intorcigliano e tagliano i fili della vita umana.  CONSUETUDINI: essi risiedono sul monte Olimpo, in Grecia, ma prediligono luoghi particolari dove si trovano santuari a loro dedicati e gradiscono sacrifici da parte degli uomini; amano i banchetti, durante i quali si riuniscono di ambrosia e nettare. Spesso si riuniscono anche per discutere questioni che riguardano il mondo umano. LE CARATTERISTICHE DELI DÈI
  • 4. ILIADE LA STRUTTURA L’Iliade è un poema epico in versi esametri (ogni accento si matte un piede), trae il proprio titoloda Ilio, uno dei nomi con cui veniva indicata la città di Troia, città dell’Asia Minore (teatro di una lunga
  • 5. guerra fra i Greci e i Troiani). L’opera è divisa in 24 libri, è scritta in greco e si concentra su un episodio avvenuto nell’ultimo anno del decennale conflitto, ossia l’ira dell’eroe greco Achille. L’ANTEFATTO: LA CONTESA E LA GUERRA Secondo il mito, durante le nozze dei genitori di Achille, Peleo e Teti, la dea Eris (la Discordia), offesa per non essere stata invitata, suscita una forte contesa gettando sulla mensa un frutto d’oro (peplo), destinato alla più bella tra le dee dell’Olimpo. Subito Era, Atena e Afrodite rivendicano ciascuna per sé il primato; gli altri dèi, per liberarsi dell’imbarazzo della decisone, chiamano come giudice il mortale Paride, figli del re di Troia Priamo. A lui Era offre la potenza, Atena la sapienza e Afrodite l’amore della donna più bella del mondo. Paride scegliequest’ultimo dono (gheras) e attribuisce ad Afrodite la vittoria, suscitando contro di sé e contro i Troiani l’odio implacabile delle altre due divinità; poi con l’aiuto della dea, rapisce Elena, moglie di Menelaore di Sparta, e la conduce a Troia con sé. Menelao, insieme al fratello Agamennone, raduna allora una vasta coalizione, cui prendono parte i principali eroi e sovrani delle città greche con i rispettivi eserciti: Achille, Odisseo, Diomede, Aiace, Nestore e molti altri. L’armata greca salpa per Troia con l’intenzione di recuperare rapidamente la donna rapita, ma l’assedio della città dura ben dieci anni. L’ARGOMENTO Durante il decimo anno della guerra contro Troia, Achille, sdegnato per un affronto contro il suo onore(aretè), si ritira dai combattimenti, lascia che l’esercito greco subisca gravi perdite, torna infine in battaglia per vendicare la morte dell’amicoPatroclo. Achille affronta il duellol’eroe troiano Ettore, lo uccide e ne strazia il corpo; dopo alcuni giorni, tuttavia, accetta di restituire il cadavere al vecchio re Priamo. Il poema di chiude con la celebrazione dei funerali di Ettore. LO SPAZIO Il narratore si limita a presentare in modo essenziale e stilizzatolo scenario dellevicende. La pianura davanti a Troia, percorsa dai fiumi Scamandro e Simoenta, è lo spazio dove avvengono i combattimenti, tra la città e il mare. Di Troia sono citate le mura con le porte Scee (punto più solido della città), la rocca, il tempiodi Atena, il palazzo realee pochi altri particolari; è evidente comunque che si tratta di una città ricca, appetibile preda di saccheggio e bottino. L’altro luogo fondamentale è l’accampamento greco, con le tende dei comandanti e le navi protette da un muro di difesa. IL TEMPO
  • 6. La storia, si colloca nel 59esimo giorno del decimoe ultimo anno della guerra contro Troia (dal momento in cui il dio Apollo scatena la pestilenza nel campo grecosino ai funerali di Ettore). I PERSONAGGI Gli eroi, di entrambi gli schieramenti, sono uomini dotati di forza, bellezza e coraggio. Aspirano alla glori, ripudiano il tradimento e la viltà, preferiscono la morte al disonore. Non sono mai tormentati da dubbi: posso avere qualche lieve esitazione, ma decidono sempre di agire e di andare fino in fondo alle proprie scelte, pronti a pagarne il prezzo. Su questi aspetti comuni a tutti i personaggi, si innestano le specificità che caratterizzano ciascuno: tra i Greci, Achille è l’eroe dell’eccesso e della dismisura, perché le sue passioni (l’ira, il dolore, la vendetta), non conoscono limiti e rifiutano qualsiasi compromesso; Agamennone è un capo, ma si dimostra avido e arrogante; Odisseo è l’eroe abile nella parola e accorto; Diomede è il guerriero feroce e implacabile, che non si trattiene neppure dal ferire gli dèi. Fra i Troiani, Ettore è il più strenuo difensore della città, capace di anteporre il rispetto per il proprio dovere agli affetti familiari; Paride è bello ma poco coraggioso, più dedito all’amore e al piacere che alla guerra; Priamo è il vecchio re straziato dal dolore per la perdita dei figli, ma risoluto a mantenere la propria funzione di capo. Gli antieroi come Tersite e Dolone, sono brutti, sprovveduti o comunque incapaci di riconoscere i propri limiti e per questo derisi e punti. Gli dèi hanno un ruolo fondamentale: intervengono in aiuto di alcuni eroi e contro altri. Nell’Iliade gli di partecipano direttamente ai combattimenti, creano alleanze, chiedono favori per i loro protetti e conservano il ricordo degli affronti subiti. Dalla parte dei Greci sono schierati Atena, Era, Ermes, Poseidone ed Efesto. Dalla parte dei Troiani: Apollo, Ares, Artemide, Latona e Afrodite. Il re degli dèi, Zeus, favorisce i Troiani fino a quando l’onore (aretè) di Achille non ottiene il risarcimento dovuto. I TEMI Si possono identificarecome temi fondamentali del poema: o L’onore (aretè) e la gloria. Ciò che spinge gli eroi ad agire è la rierca individualedell’aretè e della gloria; tuttavia essi sono legati a una comunità, di cui temono il giudizio e la
  • 7. condanna, in quanto soltanto il riconoscimento pubblicopuò garantire l’aretè di un eroe. La condotta del singolo deve rispettare un severo codice di comportamento, la violazione del quale determina l’accusa di viltà. Il codice eroicoprevede lalealtà, la necessita di vendetta, l’assenza di pietà per il nemico, la capacità di affrontare con coraggio la morte. o L’ira (mènis). Ed è questa la pa parola con cui si apre il poema: si tratta di una passione incontrollabile, dagli effetti devastanti. L’ira di Achillesi rivolge prima contro Agamennone e poi contro Ettore: nel primo caso è motivo di morte per molti compagni greci, privati del sostegno di Achille in battaglia; nel secondo porterà la morte al nemico e lo strazio disumano del suo corpo. o La sottrazione della donna. All’origine della guerra di Troia vi è il rapimento di Elena, ma il tòpos (tema ricorrente) della “sposa rapita” si ripresenta più volte, sia pure con variazioni: basti pensare che la lite tra Agamennone e Achille trae origine dalla sottrazione della schiava Criseide al primo e poi di Briseide al secondo. LA VOCE NARRANTE Il narratore è onnisciente, oggettivo: racconta in terza persona fatti cui non ha preso parte e che si sono svolti in un passato lontano; conosce tutte le vicende dei protagonisti, il loro passato e il loro destino futuro, cui fa riferimento attraverso brevi flashback e anticipazioni; presenta situazioni e personaggi senza esprimere giudizi né partecipazione emotiva, tranne in pochi casi (ad esempio la simpatia che trapela per Patroclo nel momento della sua morte o la commiserazione perla fine di Ettore). Il fatto che il narratore sia onnisciente e oggettivo non significa certo che sia privo di una propria visione del mondo: Omero, infatti, esprime i valori dell’aristocrazia guerriera della Grecia arcaica, ossia l’aspirazione della gloria, la difesa dell’onore, la necessità del riconoscimento pubblico del proprio valore… I libro IL PROEMIO, LA PESTE, L’IRA
  • 8. I primi 7 versi che costituiscono il proemio, ossia l’esordio nel quale il poeta si rivolge alla dea (Calliope) che può ispirarlo nel canto e indica l’argomento al quale verterà la sua opera si tratta di un sentimento: l’ira, del più forte guerriero greco impegnato nella guerra di Troia, Achille. Poi viene narrato l’antefatto: ovvero che nell’accampamento greco sopraggiunge il sacerdote del dio Apollo, Crise, il quale tenta di farsi restituire la figlia Criseide, in cambio di un forte riscatto. Il capo dello schieramento greco, Agamennone, rifiuta aspramente di cedere la donna, suo bottino di guerra, e respinge il sacerdote in modo offensivo. A questo punto Apollo, invocato da Crise, interviene per punire l’atto empio e scatena una terribile pestilenza che durerà nove giorni. Così Apollo scese dal monte Olimpo e iniziò a scagliare le sue frecce dal con il suo arco d’argento, colpendo prima gli animali e poi gli uomini. I greci provati da nove giorni di peste, si riuniscono in assemblea, cercando un modo per porre termine al flagello. L’indovino Calcante lascia intendere di conoscere la causa che ha scatenato l’ira di Apollo, ma non è disposto a rivelarla se prima il forte Achille non garantisce di proteggerlo, perché egli sa bene che le sue parole daranno molto fastidio a un potente. Achille promette il proprio aiuto e Calcante spiega che l’offesa fatta da Agamennone al sacerdote Crise è la ragione della vendetta del dio: unico modo per porre fine alla pestilenza è restituire Criseide al padre. Come infatti l’indovino ha previsto, il suo discorso irrita profondamente Agamennone. Gli Achei dovranno anche fare un sacrificio al dio Apollo. Così Agamennone disse a Calcante che per lui riserva solo cosa brutte e mai cose buone e sostiene anche pubblicamente di amare e stimare Criseide più della propria sposa, Clitennestra. Tuttavia, si dichiara pronto a restituire Criseide al padre se questa è la condizione per salvare l’esercito, ma a un patto: ovvero che gli sia subito dato un altro dono. Achille gli risponde che tutto il bottino era già stato diviso e che se lui avesse restituito il suo gheras (Criseide) loro Achei la riscatteranno tra, quattro volte se Zeus gli concede di distruggere la città di Troia. Agamennone ricambia dicendo che è facile parlare quando lui il dono lo ha ancora e che se gli Achei non mi daranno un dono al mio desiderio, che faccia compenso andrà a prendere proprio quello di Achille, quello di Aiace o quello d’Odisseo e se lo porterà via. Poi si interrompe e dice di preparare una nave nera di spingerla nel mare divino, di mettere il numero di rematori giusto, imbarcare gli animali per il dio Apollo, fare salire Criseide (guancia graziosa) e di farla guidar da uno dei capi consiglieri (o Aiace, o Idomeneo, Odisseo (luminoso) o Pelide. A questo punto inizia a scatenarsi l’ira di Achille, perché Agamennone decide di prendersi proprio Briseide, già assegnata ad Achille dagli Achei (loro d’accordo sul suo gheras). Lui ha combattuto ma ha avuto il gheras più piccolo di quello di Agamennone, dichiara anche non può accettare ordini dal prepotente sovrano e sdegnato giura di ritirarsi dalla guerra.
  • 9. Agamennone gli dice di andarsene e che non gli dirà di restare perché tanto ci sono altri che gli fanno onore e soprattutto c’è Zeus dalla sua parte. Gli dice anche che non lo teme e che non si preoccupa di lui e dichiara che siccome il dio Apollo gli ha tolto il suo gheras andrà personalmente nella tenda di Achille a prendersi Briseide, in modo tale da far capire ad Achille chi è il più forte. *Achille sfoga il suo dolore isolandosi sulla riva del mare; qui invoca la madre divina Teti, che emerge dalle acque per ascoltare lo sfogo del figlio e confortarlo. Teti promette al figlio di portare a Zeus la sua richiesta: che i Greci siano sconfitti e subiscano un massacro presso le navi, perché tutti paghino le conseguenze del comportamento di Agamennone e Achille riceva grandissimo onore.Teti rivolge a Zeus la supplica. Il dio resta a lungo incerto, preoccupato per le conseguenze, ma infine acconsente. Durante il banchetto degli dèi, la moglie Era lo accusa con dure parole di tramare in segreto la sconfitta dei Greci; Zeus si adira, le rivolge minacce e le impone di tacere. Il violento litigio rischia di turbare la gioia del banchetto; interviene allora il dio Efesto, figlio di Era: consiglia alla madre di non contrastare i piani di Zeus e per confortarla le offre una coppa piena della bevanda degli dèi. Il banchetto riprende gioioso, tra le risate allegre degli dèi. * L'ecatombe è una cerimonia sacra caratterizzata dall'uccisione di animali offerti in sacrificio a una divinità. II libro TERSITE
  • 10. UN SOGNO INGANNEVOLE INDUCE Agamennone a credere che gli dèi lo sostengano e a preparare l’attacco decisivo contro Troia. Si tratta in realtà di uno stratagemma di Zeus che, per compiacere la ninfa Teti, madre di Achille, intende mettere in difficoltà i greci perché capiscano l’importanza dell’eroe sul campo di battaglia. Il capo della spedizione greca riferisce agli anziani il sogno ad essi ed essi approvano la decisione di muovere all’assalto; prima, però, il sovrano vuole sperimentare la fedeltà dell’esercito: finge perciò di rinunciare al lungo assedio e invita tutti quanti a fare ritorno in patria. Gli uomini, provati da anni alla guerra, corrono alle navi, ma Odisseo, istruito dalla dea Atena, li trattiene e li rimprovera per la loro viltà. I guerrieri subito recuperano la propria compostezza e si mettono a sedere, in attesa di istruzioni. Qualcuno, però, continua a parlare (gracchiare), contestando l’autorità di Agamennone: è il soldato Tersite, il più spregevole, fra tutti i venuti all’assedio di Troia, che verrà duramente messo a tacere da Odisseo. (Tersite aveva le gambe storte, zoppo da un piede, le spalle ricurve, cadenti sul petto; sopra le spalle aveva la testa a pera e ci crescevano radi i capelli)…(vv. 220) Tersite, storpio e d’animo spregevole, contesta la decisione di continuare la guerra poiché incoraggiava i soldati a tornare in patria dalle propriemogli e dai propri figli abbandonandocosì la conquista di Troia, a questo punto c’è l’intervento deciso di Odisseo, che lo percuote con lo scettro, (da vv.260 a 264) in modo da costringerlo a tacere e ad adeguarsi. Gli però pur dispiaciuti, ne risero di cuore e ciascuno diceva ricolto al vicino (qualcosa)… III libro ELENA, LA DONNA CONTESA
  • 11. Elena, la donna contesa fra Greci e Troiani, è protagonista di due episodi del terzo libro. Mentre si compiono i preparativi per il duello tra Paride e Menelao, che dovrebbe decidere finalmente le sorti della guerra, la donna si reca sulle mura della città per osservare il campo di battaglia e indicare a Priamo il nome dei guerrieri più forti; poi, dopo l’interruzione del duello, per ordine di Afrodite Elena accoglienella stanza da letto Paridesconfitto. Iri si tramuta nella cognata, sposa di Antenorìde. E la vide tessere una grande tela, doppia, di porpora che ricamava le molte prove dei Teucri (domatori di cavalli) e Achei (chitoni di bronzo) (…) dicendo così la dea le mise in cuor dolce desio del suo prima marito, dei genitori, della città (vv. 140: CLIMAX= crescente dal più moderato al più intenso o viceversa). Quando uscì dalla stanza, versando una lacrima, la seguivano due ancelle, Etra figlia di Pitteo e Climene occhi grandi e giunsero in fretta alle porte Scee. Quando arrivò c’erano seduti sulle porte Scee gli Anziani (Priamo, Pàntoo, Timete, Lampo, Clitio, Icetàone (rampollo d’Ares), Ucalègonte e Antènore (tutti saggi): per la vecchiaia hanno smesso di combattere (fare guerra) ma erano parlatori nobili, simili alle cicale (animali sacri, riportavano la voce degli dèi –come Odisseo per la capacità di parlare) che in mezzo al bosco stando sopra una pianta mandavano voce fiorita (similitudine). Essi videro Elena venire verso la torre e a bassa voce tra loro dicevano parole fugaci: (vv. 156 a 161). E Priamo chiamò a voce alta Elena e gli dice di sedersi vicino a lui a guardare il suo primo marito, gli alleati e gli amici: gli dice che non è lei la causa della guerra ma bensì degli dèi. Elena gli rispose che se la morte avesse preso sopravvento, quando qui seguii suo figlio, lascandotalamo, amici, la figlioletta (Ermione) e le compagne amabili. Ma questo non avvenne e per questo piango molto egli disse ciò che voleva sapere Priamo: è il figlio d’Atreo, il potente Agamennone, sovrano nobile e guerriero…era cognatosuo, di lei cagna (si vergogna di aver perso la buona fama, che alla donna deriva essenzialmente dalla fedeltà del marito e alla sua casa). Elena fornisce a Priamo anche notizie su Odisseo, di cui ricorda l’abilità a tessere inganni, sul possente Aiace, su Idomeneo e sugli altri guerrieri. Compiuti i sacrifici rituali e stabiliti i patti, il duello ha inizio. Vengono scagliate le lance, ma senza risultato. Menelao colpisce l’elmodi Paride con la spada, ma questa si spezza; l’eroe greco dunque afferra con le mani il nemico per l’elmo e lo trascina sul terreno. Interviene Afrodite, che sgancia la fibbia e libera la gola del Troiano. Menelao resta con l’elmo vuoto in mano e non riesce più a trovare Paride, che la dea avvolge in una fitta nebbia e riporta al sicuro nel palazzo. Quindi Afrodite assume le sembianzedi una vecchia filatrice ed esorta Elena a raggiungere Paride nella stanza da letto. Elena, che ha riconosciuto la dea, tenta di reagire, ma Afrodite la minaccia di abbandonarla, di toglierle tutto il suo fascino e magari lasciarla morire in nuovi conflitti tra i due popoli, suscitati da intrighi amorosi.
  • 12. Elena viene presa dalla paura; riesce con l’aiuto della dea a scivolare via inosservata. Giunta a casa inizialmente esprime disprezzo per Paride e stima per Menelao; invita ironicamente l’amante a riprendere il duello, ma nello stesso tempo gli consiglia di non combattere, per non perdere la vita. Paride cerca di minimizzare la sua sconfitta, parlando di un aiuto divino che Menelao avrebbe ricevuto e della possibilità di prendere una rivincita. Poi la invita a raggiungerlo a letto e di godere insieme dell’amore. Elena non resiste alla sua proposta. Paride conquista così la donna che doveva essere il premio per il vincitore del duello. Intanto, sul campo di battaglia c’è grande confusione. Agamennone proclama la vittoria di Menelao e pretende subito il pagamento di enormi ricchezze come risarcimento per le spese di guerra. Anche i Troiani, delusi e sconcertati per l’andamento del duello, cercano Paride, ma nessuno lo trova. VI libro L’INCONTRO TRA GLAUCO E DIOMEDE Intanto sul campo di battaglia, in mezzo ai due eserciti si fanno avanti Glauco, nobile guerriero dei Lici, e Diomede, guerriero orgoglioso e consapevole della propria forza.
  • 13. Egli, abituato a non avere stima per i nemici, sceglie questa volta di non attaccare colui che ha di fronte, ma di rivolgergli prima la parola. Diomede riconosce in lui qualità familiari: la fierezza, il coraggio, l’ardoredella battaglia (entrambi avidi di combattere), al punto che il greco ipotizza di trovarsi davanti a un dio. Dopo aver rievocato un esempio di empietà punita (che sua singolare perché in altre circostanze lo stesso Diomede non si era fatto scrupolo a ferire Afrodite e Ares in persona), il greco conclude con una frase Diomede dice di sfida, dicendosi pronto ad uccidere il nemico, se questo è un mortale-. Glauco è disposto a svelare il proprio nome, pur consapevole che per gli uomini nomi e famiglie sono inafferrabili come le foglie, che ora sono gettate a terra dal vento, ora invece rinascono sui rami. La sua risposta contiene la celebrazione dell’antenatopiù glorioso della sua stirpe, ossia l’eroe Bellerofonte. A questo punto Diomede cambia improvvisamente tono (con parole di miele) e si rallegra poiché ha scoperto un vincolo di amicizia tra suo nonno Oineo e Bellerofonte, antenato del suo avversario. Oineo infatti, molto tempo prima, aveva ospitato Bellerofonte nel proprio palazzo per venti giorni, e i due si erano scambiati preziosi doni ospitali (Oineodiede una fascia di porpora e Bellerofonte una coppa d’oro con due manici) al momento del congedo. Propone perciò a Glauco di evitare ogni combattimento, di stringersi le mani in segno di amicizia (giuramento) e di scambiarsi le armi (come gesto di cortesia e amicizia e per rendere evidente anche agli altri il prezioso vincolo che sussiste tra loro), sebbene l’armatura d’oro di Glauco valga molto di più(100 buoi) di quella bronzea di Diomede(9 buoi). VI libro ETTORE E ANDROMACA Il tentativo di decidere le sorti della guerra con un duello tra Menelao e Paride è stato interrotto dalla dea Afrodite, che ha messo in salvo il giovane troiano, la battaglia esplode allora in tutta la sua violenza, coinvolgendo entrambi gli schieramento. Si distingue per ardore
  • 14. il greco Diomede, che semina lo scompiglio fra i Troiani e non si trattiene nemmeno dal ferire gli stessi dèi, placando la sua furia solo di fronte a Glauco, un alleato dei troiani , cui scopre di essere legato da vincoli di ospitalità. Nel frattempo la battaglia continua e sembra volgere al peggio per i troiani. Eleno, figlio di Priamo e dotato di facoltà divinatorie, suggerisce a Ettore di compattare le file dei combattenti e di rientrare, lui solo, in città per predisporre un sacrificio alla dea Atena. Ettore segue il consiglio e dopo aver chiesto alla madre Ecuba di offrire un dono alla divinità, approfitta della breva pausa per incontrare Andromaca, salita sulla torre più alta delle porte Scee per seguire con apprensione le sorti dello scontro. Quando Ettore ha attraversato la città, giunse alle porte Scee dove gli venne incontro con l’ancella portando in braccio il bimbo, la moglie Andromaca (figlia di Eezione). Ettore lo chiamava Scamandrio, ma gli altri Astianatte (re di una città) perché Ettore salvava Ilio da solo. Egli, guardando il bambino sorrise: ma Andromaca gli andò vicino piangendo e gli prese la mano e disse: che il suo coraggio lo avrebbe ucciso (predicazione), che non ha compassione del figlio e di lei che presto sarà vedova perché presto lo uccideranno gli Achei (lei ha visto come si svolge la guerra perché nella parte alta della città). Per lei è meglio morire perché se lui muore il suo destino è riservato a solo pene. Non ha ne la madre ne il padre. Suo padre l’ha ucciso Achille ma non lo spogliò e lo fece bruciare con le sue armi e lo seppellì. Aveva sette fratelli ma li uccise Achille. Sua madre la liberò ma volle un forte riscatto ma morì improvvisamente (Artemide responsabile). Per Andromaca Ettore è tutta la sua famiglia e quindi gli dice di rimanere lì sulla torre; STACCO NETTO, ROVESCIAMENTO DEL RUOLO DI ANDROMACA: PRIMA ERA UNA DONNA SVENTURATA MA NEGLI ULTIMI VERSI TUTTO IL CONTRARIO, ADESSO DA UN CONSIGLIO TATTICO…DONNA STRATEGA/GUERRIERA, PARI DI SUO MARITO (FEDI). Gli dice di fermare l’esercito presso il fico selvatico dov’e facile assalire la città. Ettore le disse che anche lui pensa a tutto questa ma ha troppa vergogna dei Teucri e delle Troiani se resta lontano dalla guerra. Né lo vuole lui perché ha capito di essere forte a combattere in mezzo ai Troiani e procurando tanta gloria come padre e sé stesso. Quando io sarà distrutta lui non proverà dolore per nessuno tranne che per lei per la paura che un Acheo le porti via la libertà: vivendo ad Argo (Agamennone) dovrà tessere la tela e portare l’acqua di Messeide (Laconia= Menelao) o Iperea (Achille). E qualcuno vedendola dirà:….. Ma una volta morto spero di non sentire le tue grida. E dicendo così tese le braccia a suo figlio: ma il bambino si tirò indietro si piegò con un grido, all’aspetto del padre, spaventato dal bronzo e dall’elmo che vedeva ondeggiare in cima all’elmo.
  • 15. Ettore sorrise e anche Andromaca. E subito Ettore si tolse l’elmo dalla testa (compie un gesto umano = no più kleos non più guerriero) e lo posò a terra, baciò il figlio e lo sollevò e disse supplicando a Zeus e agli altri dèi: si augura che suo figlio diventi come lui e signore della città e anche molto più forte di lui (sta sognando ad occhi aperti). Dopo lo rimise in braccio ad Andromaca e lo strinse sorridendo fra il pianto (elementi contrapposti), Ettore si intenerì e la accarezzò e le disse che non si deve affliggere se il destino vuole che lui muore è destino…non si può evitare. RITORNO AI RUOLI Torna a casa e pensa a ciò che devi fare e alla guerra ci enserà lui. Poi si rimise l’elmo in testa, Andromaca si diresse verso casa ma si voltò indietro piangendo e quando giunse a casa trovò dentro le molte ancelle e ad esso tutte provocò il pianto: piangevano Ettore ancor vivo, non speravano più che sarebbe tornato vivo dalla battaglia, suggendo al furore dei Danai. X libro L’AVVENTURA NOTTURNA DI ODISSEO E DIOMEDE La guerra sembra volgere al meglio per i Troiani: dopo uno sfortunato attacco, i Greci sono stati costretti ad arretrare verso le navi e i guerrieri troiani, insieme con i loro alleati, hanno
  • 16. occupato vaste proporzioni della pianura antistante la città. Anche il tentativo di persuadere Achille a tornare in battaglia è fallito e Agamennone raduna nella notte i principali eroi greci per chieder consiglio. Il vecchio e saggio Nestore propone che qualcuno si insinui nel campo troiano per capire informazioni e promette gloria e doni all’uomo che accetterà un tale compito. Subito Diomede si dichiara pronto all’impresa ma vuole con sé un compagno; tra i molti disposti a seguirlo sceglie Odisseo perché sa pensare bene. Anche nel campo troiani si svolge una scena analoga: Ettore, infatti cerca qualche guerriero che voglia andare a spiare i Greci. Si fa avanti Dolone, brutto d’aspetto, veloce di piedi, che pretende una ricompensa straordinaria: i cavalli (Balio e Xanto) e il carro di Achille. Ettore acconsente e Dolone, da solo, si allontana nella notte in direzione della navi greche; Odisseo, tuttavia, accortosi del nemico, si prepara a tendergli una trappola. Nestore, il saggio re di Pilo che ha sempre fornito il consiglio più adatto a risolvere le situazioni più disperate, propone di inviare esploratori nel campo troiano per spiarne mosse e intenzioni. Egli promette agli eroi che realizzeranno questa impresa la gloria tra le genti e un (ciascun principe acheo darà loro una pecora nera con il suo agnello). Si offre per la sortita notturna Diomede, che sceglie come compagno Odisseo. I due eroi si armano e si allontanano dal campo facendosi largo tra i cadaveri che giacciono nella piana. Una decisione simile matura contemporaneamente nel campo dei Troiani, ma ben diversa è la promessa che Ettore fa a chi tra i suoi accetterà l’incarico di esplorare il campo greco: costui avrà come ricompensa il carro e i cavalli più belli che i Troiani sottrarranno agli Achei. Dolone ( “inganno”), che si offre per l’incursione nel campo nemico, pretende per sé nientemeno che il carro e i cavalli di Achille (sono Balìo e Xanto, cavalli immortali donati dagli dèi a Peleo, padre di Achille, in occasione delle sue nozze con la dea Teti). Dolone, per mimetizzarsi nella notte, si copre con una pelle di lupo grigio e calza un elmo rivestito di pelle di donnola (un piccolo animale dalla pelliccia scura).Dolone avanza verso il campo acheo. Odisseo ode un rumore di passi e intuisce che si tratta di una spia nemica; propone a Diomede di lasciare inoltrare il Troiano nella pianura e di chiudergli poi la possibilità di ritirarsi ( Odisseo dice di aspettare che lui venga in modo da saltargli addosso). Ma se gli sfuggisse correndo mandalo lontano dal campo minacciandolo purchè non scappi in città. Loro parlarono ma Dolone passò di corsa, rapida e stoltamente (avverbio) caratteristica di Dolone: la rapidità è sia una dote (risposte immediate ma anche segno di viltà (disposto a scappare il prima possibile). Ma quando fu lontano i due gli corsero addosso; lui si fermò sperando che per ordine di Ettore i suoi compagni lo andassero a salvare. Dolone quando fu vicino a loro capì che erano nemici così iniziò a fuggire e loro iniziarono a seguirlo.
  • 17. SIMILITUDINE CHE VA DAL VV. 360 AL 364: paragonati a due cani con rabbia ostinata; di solito introdotte dal come e come primo termine di paragono introdotte dal così. Grazie alla dea Atene Diomede è primeggiato così arriva prima lui di Dolone. Diomede balzò davanti a Dolone e gli disse che non per molto sarebbe sfuggito alla sorte della sua mano. Così disse e scagliò la lancia e lo mancò apposta (seguì il consiglio di Odisseo); sulla spalla la punta della lancia si fermò: Dolone si fermò e iniziò a balbettare e a diventar verde per lo spavento (atteggiamento come quello di Tersite= suoni non gradevoli); essi giunsero e gli afferrarono le braccia e parlò piangendo: se lo avessero lasciato vivo gli avrebbe offerto un grosso riscatto (bronzo, oro (molto difficile da lavorare) e ferro). Odisseo gli disse che non deve avere paura di morire e che deve parlare senza mentire: gli chiede quando dormono i troiani e se è stato Ettore a mandarlo o il suo cuore. Dolone rispose tremando in ginocchio: Ettore mi ha mandato e mi ha fatto accettare questo compito con molte illusioni (Dolone si rende conto che ciò che ha chiesto non succederà mai) (RISPOSTA MOLTO PRECISA) Odisseo gli risponde mettendosi a ridere che non avrebbe mai potuto domare i cavalli di Achille. Poi ribadisce di rivelargli senza mentire cosa vuole fare Ettore… Dolone risponde punto per punto. Poi Odisseo gli chiede se si trovano vicino o lontano ai troiani. Dolone rispose con delle popolazioni dell’Asia Minore per difendrla e gli da’ un suggerimento e gli dice di andaare a verificare se tutto ciò che ha detto è vero. Diomede gli risponde dii non pensare alla fuga perché lui ormai era nelle loro mani; se lo lascassero andare lui tornerebbe alle navi per spiarli o combatterli contro. Se perde la vita ucciso dalla sua mano non potrebbe dare più fastidi agli Argivi. Così lo colpì in pieno collo mentre parlava ancora e la testa rotolò nella polvere. *PROFEZIA:Troianon sarebbe stataconquistatase i cavalli di Resoavesserobevutol’acquadel fiume Scamandro; *dolone è mortoanche se magari non ha fattonulla;ma perché infliggergli unapunizione tale?Perché sono degli antieroi e meritanosoloquestafine…è l’unnicodestinoche aspettaall’antieroe
  • 18. XVI libro LA RICHIESTA DI PATROCLO Mentre i combattenti volgonoal peggioper i Greci, Patroclo si reca in lacrime da Achille(chiuso nel suo orgoglio w non vuole partecipare alla attaglia)per fargli una richiesta. Primo verso c’è l’apostrofe in cui Omero si rivolge direttamente a Patroclo.
  • 19. Patroclo dice ad Achille, figlio di Peleo, l’eroe più forte degli Achei, non adirarti, molte disgrazie sono giunte agli Achei. Tutti coloro che erano più forti sono stati feriti: è stato colpito Diomede ferito da Odisseo e Agamennone, è stato colpito anche Euripilo; i guaritori di molti rimedi (i medici del campo) si danno da fare per loro, curando le ferite; qui gli dà ad Achille dell’insensibile (inizia la CLIMAX). Che non mi prenda mai l’ira che tu possiedi, DISTRUTTORE (continuo della CLIMAX). Se adesso non difendi gli achei come pensi di avere dei discendenti (Patroclo conosce la profezia: o di avere una vita breve e gloriosa o una vita lunga e in anonimato). Spietato (qui finisce la CLIMAX CRESCENTE) com’è possibileche tuo padre è Peleo cavaliere nobile e tua madre Teti che è una divinità: ti ha partorito il bianco mare p le rocce (METAFORA: Achille ha un animo duro, impenetrabile, il mare sommerge non si sa si cosa porta via). Se cerchi di evitare questo desino che ti ha predetto tua madre da parte di Zeus, almeno manda me, e fa che segua io l’esercito dei Mirmidoni, in modo tale da portare luce agli Achei. Permetti che io possa indossare le tua armi e far scappare gli avversari per la paura. Loro facilmente spingeranno via le gli avversari in città, via dalle navi e dalle tende perché è da tempo che non combattono (freschi) e dà tanto tempo che sono lì per questa guerra (uomini stanchi di lotta). Altra apostrofe (vv.44) egli stava a supplicare per sé la sua morte e il suo destino (Patroclo scendendo in battaglia firma il destino di morte imminente. XVI libro LA MORTE DI PATROCLO E IL DOLORE (STRAZIANTE) DI ACHILLE I Troiani, favoriti dagli dei, sono arrivati a minacciare le navi greche. Patroclo, compagno e amico di Achille, chiede allora all’eroeil permesso di indossare le sue armi e di condurre i Mirmidoni in battaglia, per risollevare le sorti degli Achei. Achille, che continua a rifiutarsi di combattere,
  • 20. concede quanto richiesto, raccomandando però all’amico di non addentrarsi troppo nella mischia. Patroclo semina quindi il panico fra i Troiani, ma, trascurando il monito di Achille, insegue i nemici sino alle mura della città e va così incontro al proprio destino. (In questa sezione vengono presentati due brani: il primo racconta la morte di Patroclo, mentre nel secondo Achille esprime tutto il suo dolore, appena saputa la tragica notizia). All’inizio del brano nei primi tre versi, è presentata un’iperbole da omero per esaltare la dote fisica di Patroclo. Patroclo si lanciò verso i Troiani, come Ares ardente (similitudine), tre volte ammazzònove uomini. Ma quando balzò alla quarta, che sembrava un dio, lì apparve la fine della sua vita (APOSTROFE): Apollo nascosto nella nebbia si fermò dietro e lo colpì alle spalle e Patroclo per il dolore gli gira la testa non vede niente. Apollo gli togliel’elmo il quale rotola fra il sangue e la polvere (ad Achille non è mai caduto: poiché era metà divinità e lo proteggeva mentre a Patroclo sì perché mortale): allora Zeus lo dona a Ettore (gli cade perché servirà come bottino ad Ettore sennò Achille non rientra in battaglia). Poi gli si spezzò in mano la lancia greve, solida, grossa, armata di punta (ma per volere degli dei perché una lancia così non si potrebbe mai spezzare), dalla sue spalle gli cadeper terra lo scudo (era legato alle spalle e si slaccia!: nudo di fronte ai nemici). Poi gli venne una vertigine (ha paura, non ha più niente, poi paura e poi si sconvolto si fermò (CLIMAX CRESCENTE): dietro la schiena con la lancia lo colpisce proditoriamente (colpo a tradimento) Euforbo (figlio di Pantoo e Frontide) che era il più bravo con l’asta, con i cavalli e anche a scappare (piedi veloci. Si racconta di lui che appena entrato in guerra ha ucciso 20 uomini. Lui lanciò per primo l’asta ma non lo uccise e corse indietro in mezzo alla folla (atteggiamento vile di Euforbo), recuperata l’asta (conficcata nella schiena di Patroclo) non provò a sfidarlo neanche nudo (disarmato) era troppo valoroso. Patroclo colpito prima da Apollo e poi da Euforbo, si ritirò indietro tra i compagni per sfuggire al destino di morte. Ettore, come vide Patroclo tirarsi indietro, gli balzòaddosso e lo colpì al basso ventre: lo trapassò con lancia )lo colpiscesolo quando è più ce certo di vincere. Cadde a terra con fragore e e straziò il cuore dell’esercito Acheo. Dal vv. 823 al vv. 828 similitudine (Patroclo= leone, Cinghiale= Patroclo: due animali selvaggi che hanno sete di gloria per l’esercito e quindi combattono per la stessa pozzanghera e Meneziade (Patroclo; figliodi Menezio) fu privato della vita da Ettore e gli disse vantandosi: Patrcolo speravi di distruggere la nostra città, di privare della libertà (c’è un eco del discorso tra Ettore e Adromaca: tra le paure maggiori dell’eroe vi è quella che sua moglie cadda in schiavitù dagli Achei delledonne troiane e di condurle sopra le navi per portarle nella tua patria, sciocco! Per esse i veloci cavalli
  • 21. d’Ettore si tendono sopra i garretti a combattere: Ettore eccelletra tutti i troiani e così li difendo dalla morte, ma tu sarai mangiato dagli avvoltoi. PAZZO! Achille anche se forte, non ti potrà proteggere e che prima che tu partissi ti disse molte cose: Patroclo non tornare finché non avrai staccato la tunica insanguinata di Ettore, così convinto ti disse, sciocco e persuase il suo il cuore. E Patroclo rispose (APOSTOFRE): Ettore vantati pure ma tu non mi hai sconfitto per le tue capacità perché prima ti hanno aiutato gli dei, che mi hanno abbattuto facilmente (Patrocloconsapevole): mi hanno tolto le armi. Se mi avessero assalito 20 guerrieri come te io li avrei sconfitti, sconfitti dalla mia lancia; ma io sono morto per il destino fatale e per Apollo (figliodi Latona), e tra gli uomini Euforbo: tu mi uccidi per terzo (lui gli ha dato il colpo finale). Ti voglio di un’altra cosa e tienila a mente: tu non andrai molto lontano, il tuo la tua morte e il tuo destino invincibile cadranno per mano di Achille, dell’Eacide(Eaco nonno di Achille) perfetto. Mentre parlava così la morte lo avvolse e la vita scese nell’Ade, piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore. Ettore rispose: Patroclo perché predici il mio destino? Chissà se Achille non mi precede nel perdere la vita, colto dalla mia lancia? (discorso brutto) (…)= parte conclusiva del 16esimo libro, 17esimo e inizio 18esimo Dal vv.22 del 18esimo libro… …Antiloco disse così (gli porto la notizia ad Achillee una nube di strazio (come il dolore)(METAFORA) nera lo avvolse: prese con tutte e due le mani la cenere arsa e se la versò sulla testa,, insudiciò il volto bello; la cenere nera sporcò la tunica nettarea (fa parte del rituale) (nettare= cibo degli dei) e poi si distese nella polvere e sfigurava con le mani i capelli (prefiche= donne pagate in onore del morto: battevano il petto e gesto dei capelli). Le schiave di Achille e Patroclo straziate di cuore (lo sono per davvero=affezionate a lui perché le trattavano bene), ulularono (versi tipici del rituale) e corsero fuori da Achille e con le mani battevano il petto; a tutte si sciolsero le gambe (anche a Patroclo si sciolsero le gambe quando gli dei avevanodecretatola sua morte). Antiloco piangeva dall’altra parte tenendo le mani di Achille (siccome è straziato, prova empatia ma soprattutto perché ha paura che con le mani si potesse togliere la vita (si tagliasse la gole col ferro=lancia). Gridava terribilmente. (CAVALLI piangono per primi). Sentì la madre la madre Teti seduta negli abissi del mare, accanto a Zeus e pianse ella pure; le dee si misero intorno, tutte le Nereidi (figliedi Nereo) nell’abisso del mare.