1. Le competenze di scrittura
nell’osservazione antropologica
Una programmazione interdisciplinare nel Liceo delle Scienze Umane
Il caso del ragazzo
selvaggio dell’Aveyron
Materiali di Carlo Mariani
ISIS «Pontormo» - Empoli
Classe Terza - Sezione E - Anno scolastico 2013-2014
2. I temi chiave di questo percorso
Perché questo percorso?
Per quanto tempo?
A che scopo?
In che modo?
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3. I temi chiave di questo percorso
Interdisciplinarità: parola chiave della scuola,
quasi mai effettivamente coltivata e
sperimentata.
Perché?
Provincialismo della scuola italiana.
Scarsa preparazione dei docenti poco inclini a
mettere in gioco i loro saperi e a confrontarsi con
le sfide della complessità. È preferibile chiudersi
nei propri programmi da svolgere; seguire il
manuale attraverso una lettura-commento dei
capitoli; non rischiare di avventurarsi in territori
sconosciuti.
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4. I temi chiave di questo percorso
Scuola delle competenze: locuzione
postmoderna che significa non solo imparare
nozioni (che è quello che si fa seguendo i
docenti descritti nel paragrafo precedente) ma
soprattutto imparare ad adoperare le
nozioni (e i concetti, i metodi, le parole, le
strutture, i metodi) in un contesto diverso da
quello scolastico, e che qui chiameremo
scenario pedagogico.
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5. Che cos’è uno scenario pedagogico?
Che cos’è uno scenario pedagogico?
È un contesto nel quale a scuola si riproduce una
situazione operativa (e, ad esempio, lavorativa) in
cui uno studente viene chiamato a fare finta di
essere… un antropologo, uno psicologo, un
pedagogista (se siamo al liceo delle scienze
umane); oppure …un segretario contabile, un
impiegato di banca (se siamo all’istituto tecnico
commerciale); un … agronomo (se siamo al
tecnico agrario). E così via.
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6. Che cos’è uno scenario pedagogico?
In uno scenario pedagogico lo studente
dovrebbe imparare ad utilizzare – in un
particolare contesto – i ferri del suo mestiere,
cioè i saperi disciplinari che si insegnano a
scuola, per poi declinarli e adattarli, per
coniugarli e applicarli in una situazione molto
simile a quella in cui si troverà una volta uscito
dalla secondaria superiore, quando entrerà nel
mondo del lavoro.
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7. Che cos’è uno scenario pedagogico?
Sembra un’esperienza finalizzata al lavoro,
ma non lo è. Perché? Perché è molto di più.
Primo aspetto: le competenze sono
conoscenze e saperi di lunga durata, che
necessitano di essere metabolizzate (cioè
ingerite, assimilate e conservate) per poi
trovare la possibilità di venire nuovamente
impiegate in altre situazioni e ricollocate
in contesti analoghi.
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8. La competenza linguistica
La principale di queste
competenze è quella linguistica.
Esempio? Prendete i verbi che ho
usato in queste prime slides.
Vedrete che dalla mia competence
linguistica (cioè dal mio
vocabolario personale) ho tirato
fuori una serie di verbi che
appartengono ad un medesimo
campo semantico.
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10. La competenza linguistica
Come si fa ad imparare l’uso di quei
verbi-struttura del linguaggio specifico di
una determinata disciplina? Cioè di quelle
forme verbali attorno alle quali possiamo
costruire discorsi, argomentazioni critiche,
descrizioni, rappresentazioni della realtà,
analisi deduttive.
Come si fa? Si adoperano.
Ma non solo nei classici temi che si fanno
(quando si fanno) a scuola.
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11. Che cos’è uno scenario pedagogico?
Seconda questione: le competenze si
articolano e si snodano dentro
situazioni di scambio-condivisione.
Nel mondo della vita si vive e si lavora
in gruppo.
Siamo dentro una società in cui il filesharing è un dato di fatto.
Parola d’ordine: collaborare.
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12. Il nostro scenario
Bisogna allora inventarsi degli
scenari operativi che inducano a
scrivere relazioni, rapporti di
ricerca, forme saggistiche brevi,
papers (come dicono gli inglesi),
commenti, riassunti (abstract o
resumé).
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13. Il nostro scenario
Il ritrovamento di un ragazzo dell’età di undicidodici anni che per molto tempo è stato lontano
dalle forme e dai modi tradizionali (occidentali)
della civiltà umana (l’educazione, la famiglia, il
gruppo sociale, i giochi, la scuola, lo sport).
Il caso del ragazzo selvaggio dell’Aveyron.
La civiltà illuministica.
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14. Il nostro scenario
Per ricostruire questa situazione ci serviremo di fonti
di informazione (già, come si utilizzano le fonti?):
un film (che peraltro è già il risultato-sintesi di una
rielaborazione di fonti precedenti);
un saggio molto dettagliato e specifico (il cui autore
è stato un importante docente universitario di storia
della filosofia; esperto del Settecento e
dell’illuminismo);
altre fonti reperibili in biblioteca (ad esempio le
Memorie di Itard sul ragazzo selvaggio
dell’Aveyron), oppure on line come approfondimento
del problema e corollario del contesto di riferimento.
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15. Mission impossible
Come se voi foste operatori sociali (psicologi,
pedagogisti, ecc.) di un centro di recupero educativo il
vostro compito finale è quello di stendere una
relazione in cui vengano evidenziati:
Il contesto in cui si sviluppò il dibattito sul ragazzo
selvaggio dell’Aveyron (il quadro storico, le teorie
filosofiche che lo influenzarono, gli autori che
direttamente o indirettamente vennero chiamati in
causa, ecc.).
I temi, gli aspetti specifici (psicologici, medici,
riabilitativi), i materiali culturali che un lavoro del
genere dovette portare alla luce come motivi di
discussione alla comunità scientifica dell’epoca.
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16. Mission impossible
Gli obiettivi che – all’epoca – si erano prefissi i veri
specialisti che furono coinvolti a vario titolo in questa
complessa operazione.
I risultati che vennero ottenuti.
La riproducibilità o meno di quell’intervento; i punti
di forza e i punti di debolezza che possono
emergere: questa parte necessita quindi di riadattare
e di ricontestualizzare quell’intervento alla luce delle
nostre conoscenze di oggi. Ovvero. In un contesto
simile, oggi come agiremmo? Quale lezione ci
insegna la vicenda che abbiamo studiato e
approfondito?
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17. La nascita delle scienze umane
Le scienze umane sono il risultato
di quella complessa
riorganizzazione dei saperi che
si mette in moto a partire dalla fine
dell’Ottocento con la dissoluzione
della filosofia in quelle che Dilthey
chiamò scienze dello spirito.
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18. La nascita delle scienze umane
Alla fine del XIX secolo questa
rottura produsse come
conseguenza l’autonomia delle
«scienze dello spirito»: una
terminologia con cui si intendevano
in realtà quelle che noi oggi
chiamiamo «scienze umane»
(antropologia, pedagogia,
psicologia, sociologia).
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19. La nascita delle scienze umane
In realtà le basi e le premesse per
la costituzione epistemologica di
queste scienze – di tutte queste
scienze, in quanto scienze
dell’uomo e sull’uomo – ha
un’origine più lontana.
E questa gestazione avviene
dentro l’incubatore culturale
dell’illuminismo, nel corso del
XVIII secolo.
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20. La nascita delle scienze umane
Nel Settecento si collocano:
le prime ricerche antropologiche (legate
ai viaggi, alla dimensione dell’esotismo,
all’esperienza esplorativa di un continente
come l’Oceania);
i primi tentativi di sistematizzare la
psicologia (Herbart);
le nuove teorie sull’educazione del
bambino (da Rousseau a Pestalozzi);
importanti innovazioni nell’ambito della
clinica.
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21. L’intera Africa e i suoi numerosi abitanti, singolari per il carattere
quanto per il colorito, restano ancora da studiare; tutta la terra è piena di
popoli che conosciamo solo di nome, e pretendiamo di dar giudizi sul
genere umano! Supponiamo che un Montesquieu, un Buffon, un Diderot,
un Duclos, un d’Alembert, un Condillac, o altri uomini della loro tempra, si
mettano a viaggiare per istruire i loro compatrioti, osservando e
descrivendo come sanno fare la Turchia, l’Egitto, la Barberia, l’impero del
Marocco, la Guinea, i paesi dei Cafri, l’interno dell’Africa e le sue coste
orientali, il Malabar, il Mogol, le rive del Gange, i regni del Siam, del Pegù
e dell’Ava, la Cina, la Tartaria e soprattutto il Giappone; poi, nell’altro
emisfero, il Messico, il Perù, il Cile, le terre di Magellano, senza
dimenticare i patagoni, veri o falsi, il Tucuman, possibilmente il Paraguai,
il Brasile, infine i Caraibi, la Florida e tutte le contrade selvagge […];
supponiamo che questi novelli Ercoli, tornando dalle loro memorande
peregrinazioni, scrivessero poi, con comodo, la storia naturale, morale e
politica delle cose viste: anche noi vedremmo uscire dalla loro penna un
mondo nuovo e ci servirebbe per imparare a conoscere il nostro.
Jean-Jacques Rousseau, Discorso sull’origine della disuguaglianza, nota L.
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22. La nascita delle scienze umane
Cosa scrive Claude Lévi-Strauss a
proposito del brano precedente?
Non è forse l’etnologia contemporanea, con il
suo programma e i suoi metodi, quella che
vediamo qui profilarsi? E i nomi citati da
Rousseau, non sono forse gli stessi che gli etnografi
d’oggi si propongono come modelli, senza
pretendere di eguagliarli, ma convinti che solo
seguendone l’esempio potranno garantire alla loro
scienza un rispetto che così a lungo le è stato
lesinato?
C. Lévi-Strauss, Jean-Jacques Rousseau, fondatore delle scienze dell’uomo,
postfazione a Jean-Jacques Rousseau, Emilio, Milano, Mondadori, 1997, p. 702.
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23. La nascita delle scienze umane
Perfino una disciplina come la pedagogia
vede nascere settori specifici e branche
trasversali rispetto al proprio statuto
generale:
gli interventi a sostegno dei minorati fisici e
psichici danno il via alla pedagogia
speciale;
i nuovi strumenti della ricerca che
accompagna l’economia politica favorisce
l’impiego dei metodi statistici e delle
indagini quantitative che avranno in seguito
una notevole importanza nelle scienze sociali
(con le inchieste, con le ricerche sul campo).
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24. La nascita delle scienze umane
Quali sono le condizioni in cui
matura questa nuova scienza
dell’uomo?
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25. La nascita delle scienze umane
1. La
moltiplicazione
epistemologica
6. La scoperta
dell’altro
2. L’osservazione
sensibile
Le condizioni
3. La riduzione
dell’uomo a
oggetto di studio
5. La scoperta
dell’ambiente
4. La riabilitazione
del corpo e della
corporeità
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26. La nascita delle scienze umane
La prima condizione è di carattere
filosofico.
Nel Settecento si assiste ad una
liberazione delle energie interne
allo spirito di ricerca con un
costante susseguirsi di teorie,
anche sperimentali: è quello che gli
storici hanno chiamato il fenomeno
della moltiplicazione
epistemologica.
L’opera più rappresentativa di
questa straordinaria stagione
culturale è stata la Encyclopédie.
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27. La nascita delle scienze umane
Da questa situazione vengono fuori numerose
conseguenze:
Si mette in crisi e si ridiscute la centralità e
l’egemonia del metodo matematico come unico
strumento di indagine nelle scienze dell’uomo.
Si assiste ad una costruzione empirico-induttiva e
non più formale-deduttiva (dal generale al particolare)
dei modelli esplicativi, cioè partendo da singoli casi
particolari si cerca di stabilire una legge universale.
La descrizione dei fenomeni, la loro documentazione
a partire dall’esperienza diventano parte integrante della
metodologia della ricerca.
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28. La nascita delle scienze umane
Il secondo fenomeno che si registra è
quello dell’osservazione sensibile.
Il Settecento ha inventato – per così dire –
una sorta di epistemologia dello
sguardo con cui la scienza indaga e
registra, permette di cogliere le differenze
ma soprattutto di confrontare i casi
specifici, i singoli soggetti, le situazioni
particolari.
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29. La nascita delle scienze umane
L’osservazione è poi sempre collegata ad un altro
grande principio-guida della ricerca illuministica,
quello della comparaison: la comparazione, il
confronto, la messa in relazione di un caso
specifico con altri casi analoghi, in modo da
costruire strutture, collegamenti e riferimenti.
È questa la tecnica della clinica, dell’antropologia,
dell’archeologia, dell’etnologia, della psicologia,
della pedagogia: in sintesi, di tutte le scienze
umane.
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Il caso del ragazzo selvaggio dell'Aveyron - Materiali di Carlo Mariani
30. La nascita delle scienze umane
La terza condizione è data dalla riduzione
dell’uomo a oggetto di studio.
La scienza del Settecento ha studiato i
fenomeni fisici e sociali (l’anatomia,
l’economia, la demografia, ecc.) e lo ha fatto
in modo razionale, rigoroso, matematico.
La stessa modalità è stata quindi adoperata
per lo studio dell’uomo e del suo
comportamento.
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31. La nascita delle scienze umane
Quarta condizione: la riabilitazione del
corpo e della corporeità.
Le scienze umane del Settecento hanno
indagato a lungo il corpo umano: non è un
caso che è proprio nel secolo dei lumi che
si afferma la nascita della clinica
moderna, della moderna introspezione
medica.
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32. La nascita delle scienze umane
Attorno alla metà del secolo si colloca un libro
estremamente interessante, L’homme machine
di La Mettrie, che ha studiato il funzionamento, la
fisiologia della macchina umana come se fosse un
marchingegno: lo scheletro è diventato una specie
di impalcatura; le articolazioni sono descritte come
il fulcro di leve meccaniche; le arterie e le vene
rappresentano l’apparato idraulico.
Poi, verso la fine del XVIII secolo, c’è una svolta
ulteriore a questi studi.
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33. La nascita delle scienze umane
Il corpo vivente è ancora più complesso di
una macchina, perché è un organismo
sensitivo e dinamico.
Non c’è bisogno di ipotizzare l’esistenza di
un’anima perché il cervello è già una materia
pensante, intellettiva e affettiva.
La scienza che studia l’uomo dal punto di vista
fisico e fisiologico (physique) deve collegarsi a
quelle scienze (la psicologia, l’antropologia)
che studiano l’uomo dal punto di vista del
comportamento (moral) individuale e collettivo.
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34. La nascita delle scienze umane
Quinta condizione: la scoperta dell’ambiente
L’uomo come essere fisico intrattiene relazioni con il
contesto esterno, con l’ambiente sociale di
provenienza, con la famiglia, con gli ambienti di
lavoro ecc. L’uomo cioè, interagisce con quello che i
francesi chiamarono milieu (Lamarck impiegò anche
i termini sinonimi di climat e di territoire) e che noi
oggi definiamo in vario modo (il background;
l’esperienza; l’ecologia dello sviluppo umano).
Il clima è insomma la cornice di riferimento
all’interno della quale l’uomo si muove e stabilisce le
sue relazioni; in cui si forma, si autoeduca e progetta
i suoi interessi (proprio nel senso dell’interagire).
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35. La nascita delle scienze umane
Sesta condizione: la scoperta dell’Altro.
Un romanzo è stato estremamente
significativo di questo fenomeno: il Robinson
Crusoe (1719) dell’inglese Daniel Defoe.
È il solo libro che Rousseau raccomanda
come lettura durante la formazione di Emilio
proprio perché riporta l’attenzione al mondo
della natura e all’incontro con l’altro da sé
(ovviamente il selvaggio Venerdì).
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36. La nascita delle scienze umane
Questa dimensione si collega nel Settecento alla
nascita dell’etnologia e dell’antropologia.
Ma ciò che cambiò fu soprattutto l’atteggiamento
di fronte alle civiltà diverse da quella europea: si
passò da un atteggiamento di curiosità verso
popoli e costumi eccentrici e meravigliosi ad un
atteggiamento scientifico di osservazione e analisi
che allargò di parecchio la concezione
dell’umanità, che spostò il baricentro
dell’attenzione da una visione eurocentrica
della cultura ad una visione policentrica.
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37. La nascita delle scienze umane
Fontenelle e Leopardi: Entretiens sur la
pluralité des mondes e il Dialogo di un
Folletto e di uno Gnomo
Ma chi è l’altro?
Ovviamente il selvaggio, il primitivo,
ma anche il diverso, lo straniero, il
diversamente abile, il malato,
l’alienato, il pazzo.
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