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LUCA MORETTI. LA STORIA DE “IL CANARO”. LA MAGLIANA 1988”
Venerdì 29 giugno è stato presentato presso la libreria La Librellula di Gioia del Colle il libro di Luca
Moretti «Il Canaro. Magliana 1988: storia di una vendetta» (Red Star Press); moderatore della serata lo
scrittore gioiese Marco Cardetta, coadiuvato dallo scrittore/chef Antonio Bufi, amico di Moretti.
Cardetta ha brevemente introdotto gli ospiti, ricordando di averli conosciuti grazie alla comune
amicizia con Luciano Funetta e alla loro appartenenza al collettivo letterario Terra Nullius, un gruppo
di amici con la passione per i libri, nato nel 2003 e attivo sul sito e sulla rivista omonima.
Un gruppo dove ciascuno pensa solo a fare il proprio lavoro di scrittore senza preoccuparsi troppo della
fase editoriale.
Ha ricordato anche la profonda differenza tra lo scrivere per amore della narrazione, del concetto di
letteratura e la logica da fabbrica che oggi spesso permea il mondo editoriale.
Nel 2012 Moretti ha appena pubblicato «Il senso del piombo», libro/inchiesta sui NAR di Giusva
Fioravanti e sta cominciando a raccogliere materiale per un nuovo progetto dedicato al caso del
«canaro» della Magliana.
Una storia difficile che tanti hanno finora raccontato concentrandosi sulla spettacolarizzazione della
vicenda, spesso inventando particolari raccapriccianti per tenere viva l'attenzione del pubblico.
Moretti non riusciva a terminare il libro, a trovare un modo per raccontare la storia in maniera diversa.
Si chiede come poter raccontare una storia di cui ancora non sono chiare tutte le vicende, non esiste una
verità definitiva.
Nel frattempo il suo editore lo sollecitava a chiudere il libro, proponendolo già in prenotazione alle
librerie, quasi per costringere l'autore a non perdere altro tempo.
Per un caso fortuito in quel periodo il regista Matteo Garrone capita in una libreria di Roma, chiedendo
testi che parlino della vicenda e Luciano Funetta gli parla anche del testo che Luca sta scrivendo,
indirizzandolo a lui per maggiori informazioni.
Da questo incontro nasce una collaborazione e i due progetti procedono paralleli, pur nella loro
diversità, ricavando sostegno reciproco e motivazione per terminare il lavoro.
Moretti confessa di non aver mai amato scrivere le storie in prima persona; lo considerava una
narrazione da bambini piccoli, limitata, perché ci sono due soli occhi che guardano.
La narrazione in terza persona consente invece più punti di vista, di dare maggiori informazioni.
Il libro parte dal breve memoriale di 7 pagine che «il canaro» ha scritto in carcere subito dopo la
vicenda e consegnato a uno dei giudici, scelta che ha suggerito l'opportunità di narrare la storia in
prima persona.
Moretti presta la sua voce al protagonista, usando inizialmente uno stile più alto, poi ridimensionato in
fase di editing per adattarlo al personaggio.
L'uso del registro mediano ha permesso di togliere il carattere pittoresco e vedere tutti gli strati della
vicenda, di raccontare il protagonista con grande umanità e limpidezza, usando un linguaggio semplice.
Spesso Moretti si è chiesto se «il canaro» potesse davvero parlare in maniera così complessa.
Durante le sue ricerche non ha mai avuto modo di incontrarlo personalmente, ma ha analizzato tutti i
documenti che parlano di lui, visto il suo mondo, incontrato le persone che lo conoscevano.
Riepiloghiamo un po' la vicenda, che a distanza di trent'anni non tutti ricordano ancora.
Il 19 febbraio del 1988 venne ritrovato in una discarica di Roma un pacco fumante contenente i resti di
un piccolo boss del quartiere della Magliana soprannominato «er pugile», ucciso, evirato, fatto a pezzi
con pratiche da macelleria e infine bruciato nella discarica.
Il presunto responsabile aveva subito varie umiliazioni da parte del «pugile», che lo aveva costretto ad
essere suo complice in una rapina e più volte minacciato.
L'uomo lavorava in un lavaggio per cani per cui la giornalista Mariella Regoli inventa per lui il
soprannome «il canaro», poi ripreso da tutti gli altri organi di informazione.
Dopo un anno di carcere il «canaro» viene dichiarato «incapace di intendere e di volere» e rimesso in
libertà.
Dopo la scarcerazione la giornalista Regoli riesce ad accompagnare l'uomo a casa e a intervistarlo,
pubblicando un'intervista intitolata «Lo rifarei» in cui l'uomo ribadisce le ragioni del suo gesto,
considerandosi una sorta di giustiziere.
Dopo tante polemiche suscitate dalla scarcerazione e dal contenuto provocatorio dell'intervista «il
canaro» viene rinchiuso in una struttura psichiatrica dove sconta 16 anni di reclusione.
La Magliana è un quartiere residenziale costruito negli anni '70 sotto il livello del Tevere. In questa
zona Pasolini ha ambientato alcune scene del suo film «Uccellacci e uccellini».
Poi l'arrivo dei cosiddetti «palazzinari» lo ha negli anni trasformato in un agglomerato di casermoni.
L'autore ribadisce la responsabilità di alcuni giornalisti e scrittori nel distruggere l'immagine del
quartiere della Magliana, già minata dalla presenza dell'omonima Banda, raccontando in maniera
morbosa questa vicenda violentissima, quasi mitizzata come la vendetta del debole contro il gigante.
La Magliana è stata definita da alcuni giornalisti come «il Bronx in riva al Tevere», senza alcun rispetto
verso chi abita questo quartiere emarginato dalla politica capitolina.
Nel film «Dogman» Garrone estrapola la relazione psicologica tra assassino e vittima, distaccandosi in
parte dalle vicende giudiziarie e dalla storia reale.
Moretti invece all'inizio si è un po' impantanato nella realtà dei fatti, confrontandosi sia col memoriale
scritto dall'assassino (poi rivelatosi pieno di inesattezze e esagerazioni, scritte forse sotto l'effetto della
cocaina), sia con i documenti dell'epoca e i tanti libri e giornali che in maniera diversa hanno provato a
raccontare questa storia.
Si è detto a volte che i romani subiscono il fascino della violenza. In effetti il delitto del «canaro»
sembra rappresentare la sintesi dei mali di Roma, città sempre sul punto di esplodere.
Ancora oggi nella capitale la vicenda è molto conosciuta ed in qualche modo appartiene all'epica della
città, al cattivo passato. Il «canaro» viene rappresentato come un eroe per aver ucciso il cattivo di turno.
C'è stata una mitizzazione del personaggio, preso a esempio del tipico «paraculo romano», sempre
convinto di essere più furbo degli altri.
Ancora oggi se uno si comporta da prepotente, i romani commenteranno che «farà la fine del pugile»,
segno di quanto l'episodio sia anche entrato nel linguaggio comune.
È una storia romana, ma anche universale del debole che sbotta dopo essere stato umiliato e offeso
nella propria dignità. Il «canaro» ha raccontato di essere stato preso a schiaffi davanti alla figlia, cosa
che alla fine lo ha spinto a reagire in maniera violenta. Una storia non solo di Roma, ma di tutte le
periferie emarginate del mondo.
Lo chef/scrittore Antonio Bufi, ha ricordato le sue esperienze letterarie con la Wu Ming Foundation e i
tre anni vissuti a Roma, dove ha conosciuto Luca; insieme hanno scritto «L'Orata spudorata» e «l'Orata
innamorata».
Secondo lui Roma ha il fascino della decadenza, decadenza che si esprime sia nei monumenti e nelle
grandi statue antiche, sia nel disfacimento attuale della città.
Anche lui ha ricordato quanto questo episodio violento sia stato spettacolarizzato, visto come una
rivincita del debole nei confronti del suo aguzzino.
Quando ha letto la prima stesura del romanzo, Bufi si è meravigliato che Luca avesse cominciato a
scrivere in prima persona, conoscendo la sua avversione per questo tipo di narrazione.
In effetti l'intento del libro non è fare una cronistoria della vicenda, su cui forse non si riuscirà mai a
scoprire tutta la verità, separandola dalle tante invenzioni giornalistiche ed esagerazioni «mitologiche».
Moretti si è messo nei panni del «canaro» per raccontare la sua verità, una verità diversa sia da quella
processuale, che da quella emersa dopo la perizia psichiatrica.
La verità di un uomo oppresso, umiliato nella sua dignità, deriso che ha voluto liberarsi dalla sua
schiavitù e liberare il mondo da una presenza negativa. Con un gesto estremo ha messo fine a una serie
di situazioni negative, di vessazioni non più sopportabili.
Quando è uscito dal carcere a un anno dal delitto si aspettava di essere accolto da eroe, di trovare degli
striscioni di benvenuto nel suo quartiere.
«Siamo tutti nati innocenti, ma tutti possiamo diventare colpevoli», scrive Moretti nel libro. Nel libro
non ci chiediamo mai perché lo ha fatto, sembra quasi che l'omicidio sia lo sbocco naturale dei soprusi
subiti.
L'autore ha fatto un preciso lavoro di investigazione psicologica sul protagonista, basata sulle pagine
del suo breve memoriale.
Pagine non sempre aderenti alla realtà dei fatti, scritte probabilmente ancora sotto l'influsso della
cocaina.
Il libro di Luca Moretti è frutto di una ricerca durata 15 anni; non offre risposte, ma lascia al lettore il
compito di capire tutta la complessità della vicenda.
L'autore presta la sua voce al personaggio, tirando fuori la sua umanità, senza mai farlo sentire un eroe
(o un mostro).
Il «canaro» prima del delitto era una persona tranquilla, ferma nei propri principi morali.
Ha scelto di lasciare il lavoro all'Enel quando qualcuno lo ha accusato di essere un raccomandato,
leggeva libri di psicocibernetica, novità del periodo.
La gente comune ha dei pregiudizi inconsci nei confronti di chi proviene dalle periferie, visto sempre
come un possibile problema. Prima entrare nelle periferie era molto pericoloso, o almeno te lo
facevano credere, alimentando tanti pregiudizi.
Bufi ha provato a fare un confronto tra la periferia romana narrata del libro e, per esempio, Bari
vecchia, posto che fino a qualche anno fa era considerato impraticabile.
Il concetto di periferia a volte prescinde dal luogo geografico: per molti di noi Bari vecchia è un
quartiere periferico, pur essendo ubicata al centro della città.
Moretti si dichiara fortunato di vivere a Ostia, un po' l'estrema periferia romana, si potrebbe dire, in un
quartiere tranquillo che somiglia molto alla Magliana, cosa che gli ha permesso di capire meglio la
situazione delle periferie e le sue dinamiche.
La periferia è un luogo di frizione, dove nascono eroi e antieroi.
Per scrivere la storia in maniera obiettiva bisogna liberarsi dai pregiudizi, superare i luoghi comuni
creati da un certo giornalismo d'effetto.
Gli abitanti del quartiere della Magliana sono stanchi di essere associati alla omonima Banda, che ha
preso questo nome solo perché il suo capo Giuseppucci ha vissuto per pochi mesi nella zona. Poi si è
arricchito e si è trasferito in centro, ma il nome, il marchio d'infamia per il quartiere è rimasto.
È stato chiamato «il Bronx in riva al Tevere», definizione che dà molto fastidio agli abitanti e presenta
un'immagine distorta del quartiere, visto come un girone infernale, un mattatoio.
La Magliana in questi anni ha fatto molta fatica a ricostruire la sua identità e ogni nuovo libro o articolo
su queste storie del passato riapre ferite mai del tutto cicatrizzate.
Nei confronti del quartiere c'è stata un'esagerata spettacolarizzazione degli aspetti macabri della
vicenda, un discorso di tipo coloniale che ha penalizzato il quartiere.
Il libro non cerca di assolvere il «canaro», ma si pone l'obiettivo di ripristinare i fatti, raccontando
anche ciò che non è stato ancora detto.
Nella narrazione ufficiale ci sono molti grandi assenti: la figlia e la moglie del «canaro», la mamma del
«pugile».
Quest'ultima ancora oggi sostiene l'esistenza di altri responsabili ancora sconosciuti, che l'esile
«canaro» non avrebbe mai potuto uccidere suo figlio da solo e che si è preso la colpa solo per
proteggere qualcuno che lo ha aiutato o forse lo minaccia.
Questi personaggi, finora inascoltati dalle indagini ufficiali, per anni si sono parlati solo attraverso i
giornali.
La verità non è un discorso letterario; non è competenza dell'autore stabilire chi sia colpevole o come si
siano svolti realmente i fatti. Sono questioni di competenza di preti, guardie e forse dei giudici.
La vicenda del «canaro» ha fatto nascere una sorta di mito, un'epica di un piccolo personaggio che si
ribella alle umiliazioni.
Moretti ha cercato di raccontare le vicende così come le ha vissute il protagonista, soffermandosi anche
su quello che è accaduto prima, tutte le angherie subite, senza esagerare, evitando la
spettacolarizzazione.
Nel libro i personaggi non vengono presentati con i loro nomi veri; si è preferito utilizzare nomi fittizi
legati al loro ruolo nella vicenda, un po' per evitare problemi legali, un po' per concentrarsi più sulla
storia che sui singoli individui
Moretti non giustifica il comportamento del «canaro», non lo condanna, né lo assolve. Cerca di mettere
ordine nella vicenda, finora spesso presentata in maniera poco chiara, lasciando al lettore la possibilità
di interpretare la storia.
Il protagonista viene presentato come un uomo onesto, ligio ai suoi principi che racconta la sua storia e
le vicende che hanno portato a quell'epilogo tragico.
L'autore non dà giudizi, è al di là del bene e del male.
La figura della vittima «er pugile» viene presentata come il classico prepotente megalomane, convinto
di essere grande e di poter fare qualsiasi cosa restando impunito. Uno che utilizzava anche la violenza
dei simboli: la moto, il giubbotto di pelle, la macchina lasciata volontariamente aperta per far credere di
essere intoccabile.
A Roma il prefisso «er» indica un'accezione negativa del termine; in realtà «er pugile» aveva disputato
solo pochi incontri, non vantava una carriera particolarmente brillante.
Entrambi i protagonisti sono vittima e carnefice nello stesso tempo, entrambi forse sotto l'effetto della
cocaina al momento del delitto.
Nel libro sono presenti due personaggi chiave per le indagini, Baffone e la donna giudice, ispirati ai
giudici Antonio Del Greco e Olga Capasso che per primi si sono occupati della vicenda.
Baffone racconta che le cose aggiunte, i particolari macabri erano già presenti nel verbale dell'arresto,
prima della scrittura del memoriale.
Inizialmente il «canaro» era silenzioso, reticente e aveva cercato di depistare le indagini sulla pista
della criminalità organizzata.
Baffone volutamente lo provoca per indurlo a parlare e lui comincia a raccontare, calcando la mano
sulle parti più scabrose per presentarsi come una specie di vendicatore.
La storia finora è stata sempre presentata in chiave maschilista, puntando sul rapporto conflittuale tra
«pugile» e «canaro», ma ci sono anche molte protagoniste femminili, finora rimaste nascoste.
Molti si sono chiesti come mai questo libro non sia stato pubblicato come meritava da una grande casa
editrice.
Moretti ha spiegato che la presentazione del film di Garrone a Cannes, il clamore mediatico suscitato
dalla pellicola e l'uscita del film nelle sale hanno costretto l'autore ad accelerare i tempi per poter uscire
in contemporanea al film.
Una grossa casa editrice avrebbe richiesto sicuramente tempi più lunghi per cui insieme al suo editor
Cristiano Armati, con cui aveva già lavorato in passato con Castelvecchi, Moretti ha deciso di
pubblicare con la giovane «Red Star Press», di cui Armati era da poco responsabile.
La conoscenza tra autore e editor, l'aver già lavorato insieme, l'aver già avuto modo di leggere la prima
stesura, la struttura più agile di una piccola casa editrice hanno consentito di abbreviare i tempi.
Film e libro si sono in qualche modo trainati a vicenda, l'uno riaccendendo la curiosità su questa storia,
l'altro permettendo di approfondire la storia che Matteo Garrone ha volutamente un po' romanzato per
non doversi attenere strettamente al caso di cronaca.
GIOVANNI CAPOTORTO

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“Il Canaro” di Luca Moretti

  • 1. LUCA MORETTI. LA STORIA DE “IL CANARO”. LA MAGLIANA 1988” Venerdì 29 giugno è stato presentato presso la libreria La Librellula di Gioia del Colle il libro di Luca Moretti «Il Canaro. Magliana 1988: storia di una vendetta» (Red Star Press); moderatore della serata lo scrittore gioiese Marco Cardetta, coadiuvato dallo scrittore/chef Antonio Bufi, amico di Moretti. Cardetta ha brevemente introdotto gli ospiti, ricordando di averli conosciuti grazie alla comune amicizia con Luciano Funetta e alla loro appartenenza al collettivo letterario Terra Nullius, un gruppo di amici con la passione per i libri, nato nel 2003 e attivo sul sito e sulla rivista omonima. Un gruppo dove ciascuno pensa solo a fare il proprio lavoro di scrittore senza preoccuparsi troppo della fase editoriale. Ha ricordato anche la profonda differenza tra lo scrivere per amore della narrazione, del concetto di letteratura e la logica da fabbrica che oggi spesso permea il mondo editoriale. Nel 2012 Moretti ha appena pubblicato «Il senso del piombo», libro/inchiesta sui NAR di Giusva Fioravanti e sta cominciando a raccogliere materiale per un nuovo progetto dedicato al caso del «canaro» della Magliana. Una storia difficile che tanti hanno finora raccontato concentrandosi sulla spettacolarizzazione della vicenda, spesso inventando particolari raccapriccianti per tenere viva l'attenzione del pubblico. Moretti non riusciva a terminare il libro, a trovare un modo per raccontare la storia in maniera diversa. Si chiede come poter raccontare una storia di cui ancora non sono chiare tutte le vicende, non esiste una verità definitiva. Nel frattempo il suo editore lo sollecitava a chiudere il libro, proponendolo già in prenotazione alle librerie, quasi per costringere l'autore a non perdere altro tempo. Per un caso fortuito in quel periodo il regista Matteo Garrone capita in una libreria di Roma, chiedendo testi che parlino della vicenda e Luciano Funetta gli parla anche del testo che Luca sta scrivendo, indirizzandolo a lui per maggiori informazioni. Da questo incontro nasce una collaborazione e i due progetti procedono paralleli, pur nella loro diversità, ricavando sostegno reciproco e motivazione per terminare il lavoro. Moretti confessa di non aver mai amato scrivere le storie in prima persona; lo considerava una narrazione da bambini piccoli, limitata, perché ci sono due soli occhi che guardano. La narrazione in terza persona consente invece più punti di vista, di dare maggiori informazioni. Il libro parte dal breve memoriale di 7 pagine che «il canaro» ha scritto in carcere subito dopo la vicenda e consegnato a uno dei giudici, scelta che ha suggerito l'opportunità di narrare la storia in prima persona. Moretti presta la sua voce al protagonista, usando inizialmente uno stile più alto, poi ridimensionato in fase di editing per adattarlo al personaggio. L'uso del registro mediano ha permesso di togliere il carattere pittoresco e vedere tutti gli strati della vicenda, di raccontare il protagonista con grande umanità e limpidezza, usando un linguaggio semplice. Spesso Moretti si è chiesto se «il canaro» potesse davvero parlare in maniera così complessa. Durante le sue ricerche non ha mai avuto modo di incontrarlo personalmente, ma ha analizzato tutti i documenti che parlano di lui, visto il suo mondo, incontrato le persone che lo conoscevano. Riepiloghiamo un po' la vicenda, che a distanza di trent'anni non tutti ricordano ancora. Il 19 febbraio del 1988 venne ritrovato in una discarica di Roma un pacco fumante contenente i resti di un piccolo boss del quartiere della Magliana soprannominato «er pugile», ucciso, evirato, fatto a pezzi con pratiche da macelleria e infine bruciato nella discarica. Il presunto responsabile aveva subito varie umiliazioni da parte del «pugile», che lo aveva costretto ad essere suo complice in una rapina e più volte minacciato. L'uomo lavorava in un lavaggio per cani per cui la giornalista Mariella Regoli inventa per lui il soprannome «il canaro», poi ripreso da tutti gli altri organi di informazione.
  • 2. Dopo un anno di carcere il «canaro» viene dichiarato «incapace di intendere e di volere» e rimesso in libertà. Dopo la scarcerazione la giornalista Regoli riesce ad accompagnare l'uomo a casa e a intervistarlo, pubblicando un'intervista intitolata «Lo rifarei» in cui l'uomo ribadisce le ragioni del suo gesto, considerandosi una sorta di giustiziere. Dopo tante polemiche suscitate dalla scarcerazione e dal contenuto provocatorio dell'intervista «il canaro» viene rinchiuso in una struttura psichiatrica dove sconta 16 anni di reclusione. La Magliana è un quartiere residenziale costruito negli anni '70 sotto il livello del Tevere. In questa zona Pasolini ha ambientato alcune scene del suo film «Uccellacci e uccellini». Poi l'arrivo dei cosiddetti «palazzinari» lo ha negli anni trasformato in un agglomerato di casermoni. L'autore ribadisce la responsabilità di alcuni giornalisti e scrittori nel distruggere l'immagine del quartiere della Magliana, già minata dalla presenza dell'omonima Banda, raccontando in maniera morbosa questa vicenda violentissima, quasi mitizzata come la vendetta del debole contro il gigante. La Magliana è stata definita da alcuni giornalisti come «il Bronx in riva al Tevere», senza alcun rispetto verso chi abita questo quartiere emarginato dalla politica capitolina. Nel film «Dogman» Garrone estrapola la relazione psicologica tra assassino e vittima, distaccandosi in parte dalle vicende giudiziarie e dalla storia reale. Moretti invece all'inizio si è un po' impantanato nella realtà dei fatti, confrontandosi sia col memoriale scritto dall'assassino (poi rivelatosi pieno di inesattezze e esagerazioni, scritte forse sotto l'effetto della cocaina), sia con i documenti dell'epoca e i tanti libri e giornali che in maniera diversa hanno provato a raccontare questa storia. Si è detto a volte che i romani subiscono il fascino della violenza. In effetti il delitto del «canaro» sembra rappresentare la sintesi dei mali di Roma, città sempre sul punto di esplodere. Ancora oggi nella capitale la vicenda è molto conosciuta ed in qualche modo appartiene all'epica della città, al cattivo passato. Il «canaro» viene rappresentato come un eroe per aver ucciso il cattivo di turno. C'è stata una mitizzazione del personaggio, preso a esempio del tipico «paraculo romano», sempre convinto di essere più furbo degli altri. Ancora oggi se uno si comporta da prepotente, i romani commenteranno che «farà la fine del pugile», segno di quanto l'episodio sia anche entrato nel linguaggio comune. È una storia romana, ma anche universale del debole che sbotta dopo essere stato umiliato e offeso nella propria dignità. Il «canaro» ha raccontato di essere stato preso a schiaffi davanti alla figlia, cosa che alla fine lo ha spinto a reagire in maniera violenta. Una storia non solo di Roma, ma di tutte le periferie emarginate del mondo. Lo chef/scrittore Antonio Bufi, ha ricordato le sue esperienze letterarie con la Wu Ming Foundation e i tre anni vissuti a Roma, dove ha conosciuto Luca; insieme hanno scritto «L'Orata spudorata» e «l'Orata innamorata». Secondo lui Roma ha il fascino della decadenza, decadenza che si esprime sia nei monumenti e nelle grandi statue antiche, sia nel disfacimento attuale della città. Anche lui ha ricordato quanto questo episodio violento sia stato spettacolarizzato, visto come una rivincita del debole nei confronti del suo aguzzino. Quando ha letto la prima stesura del romanzo, Bufi si è meravigliato che Luca avesse cominciato a scrivere in prima persona, conoscendo la sua avversione per questo tipo di narrazione. In effetti l'intento del libro non è fare una cronistoria della vicenda, su cui forse non si riuscirà mai a scoprire tutta la verità, separandola dalle tante invenzioni giornalistiche ed esagerazioni «mitologiche». Moretti si è messo nei panni del «canaro» per raccontare la sua verità, una verità diversa sia da quella processuale, che da quella emersa dopo la perizia psichiatrica.
  • 3. La verità di un uomo oppresso, umiliato nella sua dignità, deriso che ha voluto liberarsi dalla sua schiavitù e liberare il mondo da una presenza negativa. Con un gesto estremo ha messo fine a una serie di situazioni negative, di vessazioni non più sopportabili. Quando è uscito dal carcere a un anno dal delitto si aspettava di essere accolto da eroe, di trovare degli striscioni di benvenuto nel suo quartiere. «Siamo tutti nati innocenti, ma tutti possiamo diventare colpevoli», scrive Moretti nel libro. Nel libro non ci chiediamo mai perché lo ha fatto, sembra quasi che l'omicidio sia lo sbocco naturale dei soprusi subiti. L'autore ha fatto un preciso lavoro di investigazione psicologica sul protagonista, basata sulle pagine del suo breve memoriale. Pagine non sempre aderenti alla realtà dei fatti, scritte probabilmente ancora sotto l'influsso della cocaina. Il libro di Luca Moretti è frutto di una ricerca durata 15 anni; non offre risposte, ma lascia al lettore il compito di capire tutta la complessità della vicenda. L'autore presta la sua voce al personaggio, tirando fuori la sua umanità, senza mai farlo sentire un eroe (o un mostro). Il «canaro» prima del delitto era una persona tranquilla, ferma nei propri principi morali. Ha scelto di lasciare il lavoro all'Enel quando qualcuno lo ha accusato di essere un raccomandato, leggeva libri di psicocibernetica, novità del periodo. La gente comune ha dei pregiudizi inconsci nei confronti di chi proviene dalle periferie, visto sempre come un possibile problema. Prima entrare nelle periferie era molto pericoloso, o almeno te lo facevano credere, alimentando tanti pregiudizi. Bufi ha provato a fare un confronto tra la periferia romana narrata del libro e, per esempio, Bari vecchia, posto che fino a qualche anno fa era considerato impraticabile. Il concetto di periferia a volte prescinde dal luogo geografico: per molti di noi Bari vecchia è un quartiere periferico, pur essendo ubicata al centro della città. Moretti si dichiara fortunato di vivere a Ostia, un po' l'estrema periferia romana, si potrebbe dire, in un quartiere tranquillo che somiglia molto alla Magliana, cosa che gli ha permesso di capire meglio la situazione delle periferie e le sue dinamiche. La periferia è un luogo di frizione, dove nascono eroi e antieroi. Per scrivere la storia in maniera obiettiva bisogna liberarsi dai pregiudizi, superare i luoghi comuni creati da un certo giornalismo d'effetto. Gli abitanti del quartiere della Magliana sono stanchi di essere associati alla omonima Banda, che ha preso questo nome solo perché il suo capo Giuseppucci ha vissuto per pochi mesi nella zona. Poi si è arricchito e si è trasferito in centro, ma il nome, il marchio d'infamia per il quartiere è rimasto. È stato chiamato «il Bronx in riva al Tevere», definizione che dà molto fastidio agli abitanti e presenta un'immagine distorta del quartiere, visto come un girone infernale, un mattatoio. La Magliana in questi anni ha fatto molta fatica a ricostruire la sua identità e ogni nuovo libro o articolo su queste storie del passato riapre ferite mai del tutto cicatrizzate. Nei confronti del quartiere c'è stata un'esagerata spettacolarizzazione degli aspetti macabri della vicenda, un discorso di tipo coloniale che ha penalizzato il quartiere. Il libro non cerca di assolvere il «canaro», ma si pone l'obiettivo di ripristinare i fatti, raccontando anche ciò che non è stato ancora detto. Nella narrazione ufficiale ci sono molti grandi assenti: la figlia e la moglie del «canaro», la mamma del «pugile». Quest'ultima ancora oggi sostiene l'esistenza di altri responsabili ancora sconosciuti, che l'esile «canaro» non avrebbe mai potuto uccidere suo figlio da solo e che si è preso la colpa solo per proteggere qualcuno che lo ha aiutato o forse lo minaccia.
  • 4. Questi personaggi, finora inascoltati dalle indagini ufficiali, per anni si sono parlati solo attraverso i giornali. La verità non è un discorso letterario; non è competenza dell'autore stabilire chi sia colpevole o come si siano svolti realmente i fatti. Sono questioni di competenza di preti, guardie e forse dei giudici. La vicenda del «canaro» ha fatto nascere una sorta di mito, un'epica di un piccolo personaggio che si ribella alle umiliazioni. Moretti ha cercato di raccontare le vicende così come le ha vissute il protagonista, soffermandosi anche su quello che è accaduto prima, tutte le angherie subite, senza esagerare, evitando la spettacolarizzazione. Nel libro i personaggi non vengono presentati con i loro nomi veri; si è preferito utilizzare nomi fittizi legati al loro ruolo nella vicenda, un po' per evitare problemi legali, un po' per concentrarsi più sulla storia che sui singoli individui Moretti non giustifica il comportamento del «canaro», non lo condanna, né lo assolve. Cerca di mettere ordine nella vicenda, finora spesso presentata in maniera poco chiara, lasciando al lettore la possibilità di interpretare la storia. Il protagonista viene presentato come un uomo onesto, ligio ai suoi principi che racconta la sua storia e le vicende che hanno portato a quell'epilogo tragico. L'autore non dà giudizi, è al di là del bene e del male. La figura della vittima «er pugile» viene presentata come il classico prepotente megalomane, convinto di essere grande e di poter fare qualsiasi cosa restando impunito. Uno che utilizzava anche la violenza dei simboli: la moto, il giubbotto di pelle, la macchina lasciata volontariamente aperta per far credere di essere intoccabile. A Roma il prefisso «er» indica un'accezione negativa del termine; in realtà «er pugile» aveva disputato solo pochi incontri, non vantava una carriera particolarmente brillante. Entrambi i protagonisti sono vittima e carnefice nello stesso tempo, entrambi forse sotto l'effetto della cocaina al momento del delitto. Nel libro sono presenti due personaggi chiave per le indagini, Baffone e la donna giudice, ispirati ai giudici Antonio Del Greco e Olga Capasso che per primi si sono occupati della vicenda. Baffone racconta che le cose aggiunte, i particolari macabri erano già presenti nel verbale dell'arresto, prima della scrittura del memoriale. Inizialmente il «canaro» era silenzioso, reticente e aveva cercato di depistare le indagini sulla pista della criminalità organizzata. Baffone volutamente lo provoca per indurlo a parlare e lui comincia a raccontare, calcando la mano sulle parti più scabrose per presentarsi come una specie di vendicatore. La storia finora è stata sempre presentata in chiave maschilista, puntando sul rapporto conflittuale tra «pugile» e «canaro», ma ci sono anche molte protagoniste femminili, finora rimaste nascoste. Molti si sono chiesti come mai questo libro non sia stato pubblicato come meritava da una grande casa editrice. Moretti ha spiegato che la presentazione del film di Garrone a Cannes, il clamore mediatico suscitato dalla pellicola e l'uscita del film nelle sale hanno costretto l'autore ad accelerare i tempi per poter uscire in contemporanea al film. Una grossa casa editrice avrebbe richiesto sicuramente tempi più lunghi per cui insieme al suo editor Cristiano Armati, con cui aveva già lavorato in passato con Castelvecchi, Moretti ha deciso di pubblicare con la giovane «Red Star Press», di cui Armati era da poco responsabile. La conoscenza tra autore e editor, l'aver già lavorato insieme, l'aver già avuto modo di leggere la prima stesura, la struttura più agile di una piccola casa editrice hanno consentito di abbreviare i tempi.
  • 5. Film e libro si sono in qualche modo trainati a vicenda, l'uno riaccendendo la curiosità su questa storia, l'altro permettendo di approfondire la storia che Matteo Garrone ha volutamente un po' romanzato per non doversi attenere strettamente al caso di cronaca. GIOVANNI CAPOTORTO