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“Entanglement”, Empatia e Coesione di Squadra: nuove frontiere
 teoriche?

Il termine “entanglement” è traducibile letteralmente con “intreccio”.
E’ mutuato dalla fisica quantistica e indica una condizione di legame indissolubile fra
due particelle elementari, elettroni o fotoni, che abbiano interagito almeno una volta.
Ciò significa che entrambe le particelle, a qualunque distanza si trovino l’una
dall’altra (non località), si comportano simultaneamente come un tutt’uno.
Il fisico austriaco Erwin Schrodinger introdusse l’ipotesi dell’ “entanglement
quantistico” in uno scritto del 1935, ispirato da un esperimento proposto nello stesso
anno da Albert Einstein con i suoi collaboratori Boris Podolsky e Nathan Rosen,
noto come “Paradosso EPR”, secondo il quale una misura eseguita su una parte di
un sistema quantistico può produrre istantaneamente un effetto sul risultato di
un’altra misura eseguita su un’altra parte dello stesso sistema, indipendentemente
dalla distanza che le separa. Ciò dava luogo a quella che Einstein stesso chiamò
“una non ragionevole definizione di realtà”, incompatibile con il principio di
località e il postulato della velocità ristretta, poichè la velocità della luce è il limite
oltre il quale non può viaggiare nessun tipo di informazione.
In seguito Alain Aspect (1982) e Gerbach Hergerfeldt (1993) osservarono come il
cambiamento di una proprietà, quale la polarizzazione nella prima particella,
comportasse un simultaneo e uguale mutamento di stato anche nella seconda.
Attualmente le ricerche sull’entanglement sono finalizzate particolarmente alla
creazione di computer quantistici (quantum computer), che consentirebbero il
trasferimento immediato di interi flussi di informazione.
Inquietante e sfuggente, l’ipotesi dell’entanglement, più che dato scientificamente
dimostrabile, è divenuta una metafora filosofica idonea a spiegare tutti i fenomeni di
“non località”, sincronicità, trasmissione indiretta dell’informazione e comunicazione
inconscia.
 Modelli teorici recenti di “neurodinamica quantistica”, basati sullo studio
dell’attività cerebrale tramite tecniche di neuroimaging, ipotizzano che i microtuboli
che costituiscono la struttura di base dei neuroni funzionino in uno stato di
“entanglement orchestrato” fra loro e svolgano un ruolo centrale nella genesi
dell’atto di coscienza.
 La conseguenza più interessante di queste ricerche è che i collegamenti
 fra i neuroni (sinapsi), grazie alla citoarchitettura costituita dai microtuboli,
potrebbero avere la possibilità di funzionare secondo due diverse modalità: quella
tradizionalmente nota e ad una sorta di metalivello quantico,chiamato da Hameroff
“superposition”, in cui il cervello avrebbe la possibilità di processare flussi
simultanei di informazione come un computer quantistico (quantum computer) e
operare una scelta fra molteplici possibilità.



                                                                                          1
Penrose e Hameroff (2007), nella loro Teoria Orch-Or, suggeriscono che il collasso
della funzione d’onda nei microtuboli dia origine al flusso della coscienza e ad una
“orchestrazione”, cioè a processi di computazione quantica che si auto-organizzano.
Ciò implica che quanto chiamiamo “realtà” non sia altro che una “scelta” fra le tante
possibili.
Questo secondo tipo di funzionamento sarebbe all’origine di fenomeni fino ad ora
non spiegabili come l’intuizione e la telepatia e dei disturbi del pensiero che si
riscontrano nelle psicosi (Stuart Hameroff 2006, 2010; Dean Radin 2006).
Fisici teorici come il Premio Nobel Brian Josephson (2008) e Michio Kaku (2008,
2010) e psicologi sperimentali come Dean Radin (2006) e Roger Nelson (2002)
ritengono che i cosiddetti fenomeni di “coscienza collettiva” rappresentino una
condizione di entanglement fra le coscienze di due o più persone, anche spazialmente
separate, che riescono a comunicare senza che avvenga un’interazione diretta.
Alcuni ricercatori del Max Planck Insitute di Berlino e dell’Università di Salisburgo
(2008, 2010) hanno dimostrato che i cervelli di due o più persone, coinvolte in un
compito comune o fra loro legate da un rapporto emotivo, possono raggiungere una
condizione simultanea di sincronizzazione dell’attività elettrica interemisferica.
Si ipotizza che nel conseguimento di questo risultato un importante ruolo sia svolto
dai neuroni specchio, dato che a consentire una sorta di connessione interpersonale
non è la razionalità, ma le emozioni connesse all’empatia e alla condivisione di un
obiettivo comune.
I neuroni specchio, scoperti dapprima nei macachi da Giacomo Rizzolati e Vittorio
Gallese del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, si trovano nella
corteccia cerebrale frontale e parietale e sono alla base della capacità di comprendere
e imitare le azioni altrui. Funzionano proprio come uno specchio, riproducendo nel
cervello comportamenti e stati d’animo osservati in un altro individuo.
 Secondo Gallese (2003,2006a, 2007) implicano la capacità intersoggettiva di
“trasferire significati da una persona all’altra utilizzando il corpo come veicolo di
questo trasferimento, sia dal punto di vista dell’espressione del significato, che da
quello della capacità di decodificarlo qualora ne siano spettatori” (1). A proposito di
tale modalità, lo stesso Gallese parla di soggettività che si definisce esclusivamente
nell’intersoggettività, ovvero in una “consonanza” con il mondo degli altri, dove i
meccanismi che sottendono la relazione interpersonale implicano un “trasferimento di
significato ante-predicativo, pre-verbale, implicito”(2).
Tali processi di comunicazione non consapevole venivano interpretati fino a pochi
anni fa come il prodotto dei molteplici messaggi non- verbali e para-verbali che il
cervello umano registra ed elabora continuamente. Il problema si è però rivelato più
complesso perchè il medesimo tipo di scambio dell’informazione è stato riscontrato
anche in altri organismi biologici, in cui non può avvenire con le modalità ipotizzate
per gli esseri umani.
Da tempo gli etologi studiano le geometrie armoniose e sincrone create dagli stormi
degli uccelli in migrazione e dai branchi di pesci. Le “formazioni” disegnate da
alcune specie di uccelli e pesci sembrano infatti essere coordinate da una sola mente.
I cambiamenti improvvisi di direzione e le virate simultanee, avvengono senza che ci
                                                                                     2
sia un ordine impartito da un “capo formazione”. Il processo di condivisione delle
informazioni motorie è collettivo e istantaneo.
Il delfino tursiope (Tursiops Truncatus) vive in branchi chiamati “pods”, costituiti da
due o più individui fino ad un massimo di dodici. Al loro interno le femmine formano
associazioni mutuali simbiotiche definite “fission-fusion” allo scopo di proteggere la
prole dai predatori, mentre quelle fra maschi sarebbero “alleanze”. Tutti i membri di
un “pods”, sia maschi che femmine, mostrano comportamenti sincronizzati come
respirazione, salti e “breaching”. La comunicazione avviene attraverso l’emissione di
suoni di frequenze diverse e ciascuno emette un fischio caratteristico, una sorta di
firma (Signature Whistle) che lo distingue dagli altri.
Il cervello, fortemente specializzato nel processare gli stimoli acustici, è grande
quanto quello di una scimmia antropomorfa e dotato di due emisferi cerebrali che
lavorano in indipendenza funzionale e reciproca anche durante il sonno.
 Secondo le ricerche l’emisfero destro è preposto all’elaborazione globale delle
informazioni, mentre il sinistro dei dettagli . A unirli è un corpo calloso molto sottile.
Ciò che è davvero singolare sono i risultati degli studi sulla capacità di imitazione e
sincronia motoria del delfino . Il singolo individuo, pur avendo una consapevolezza
di sè di tipo quasi umano, per mantenersi in salute ha bisogno di definire la propria
soggettività nel rapporto con gli altri componenti del branco e ciò avviene anche
nella relazione interspecifica, come ad esempio con l’uomo, di cui il delfino ha la
capacità di percepire sentimenti e sensazioni.
Sempre più le ricerche scientifiche di diversi ambiti disciplinari sembrano avallare
l’ipotesi di una “mente unica universale” e l’interrelazione di tutti gli elementi
dell’universo, se non addirittura la loro indistinzione (oneness), incluse le scienze
sociali che cercano da tempo di spiegare quali siano i meccanismi che permettono ai
membri di un gruppo di influenzare gli altri anche quando si trovano al di fuori della
portata dei comuni mezzi sensoriali di comunicazione.
Vi sarebbero dunque due diverse potenzialità conoscitive del sistema neuropercettivo
umano e di alcune specie animali: la prima “per separazione” e la seconda “per
unione”.
 Nel corso dell’evoluzione, dalla prima sarebbe derivato il pensiero logico-razionale-
analitico e dalla seconda il pensiero emotivo-simbolico-analogico.
 La cultura occidentale ha fino ad ora convalidato soltanto la modalità logico-
razionale, mentre ha screditato gli aspetti intuitivi e irrazionali della conoscenza.
La mancata integrazione delle due componenti ha dato luogo a una visione della
realtà basata sulla separazione e la contrapposizione dualistica.
Secondo la fisica quantistica una particella può assumere sembianze corpuscolari o
ondulatorie a seconda del modo in cui viene osservata. In quanto particella appare
distinta e separata dal resto come una goccia è separata dal mare, mentre come onda
costituisce un’increspatura nell’oceano ed è evidente la sua interdipendenza da esso.
La percezione per separazione produce allora particelle, individualità, oggetti distinti,
mentre quella per unione rileva increspature, onde, flussi, cioè processi dinamici
collegati senza soluzione di continuità.


                                                                                         3
Alcune squadre, appartenenti a varie discipline sportive, nei momenti di “grazia”
riescono a stabilire sincronie simili a quelle presenti nel mondo animale.
I singoli giocatori in questi casi affermano di sentirsi una sola cosa con il gruppo-
squadra e di sperimentare una sorta di comunicazione globale, intuitiva, empatica,
anche se indiretta, con i propri compagni.
Sono evidenti le potenzialità agonistiche derivanti dallo sviluppo e dall’incremento di
una tale condizione in alcuni sport di squadra come il nuoto sincronizzato, la
pallavolo, il basket, il rugby, il calcio.
Aumentare la coesione del gruppo attraverso il lavoro sulle emozioni e la
motivazione è uno dei compiti principali e più difficili della psicologia dello sport,
che deve senz’altro trarre spunto anche da ricerche ancora ritenute “di confine” e
aprirsi a una integrazione eclettica con altre discipline.
Con il concetto psicosociologico di coesione si intende un processo dinamico che si
riflette nella tendenza di un gruppo a rimanere unito al fine di raggiungere degli
obiettivi comuni e soddisfare un bisogno socio-affettivo di appartenenza (Carron,,
1998).
Le caratteristiche di un gruppo coeso sono i ruoli ben definiti, la condivisione di
obiettivi, norme, responsabilità, il rispetto degli altri e il desiderio di cooperare,
l’identificazione di ciascun membro con il gruppo e una buona comunicazione
sinergica.
Una modalità già collaudata per accrescere il senso di unità e di appartenenza in una
squadra è l’utilizzazione di rituali collettivi pre-gara.
A tutti sono noti e ben visibili i giochi di mani e i circoli formati dalle pallavoliste o i
canti e le danze rituali dei rugbisti.
L’Haka-Ka Mate dei Maori è divenuto il simbolo della squadra di rugby
neozelandese “All Blacks”.
 La danza consiste nel battito ritmato di mani, piedi, gambe, estroflessione della
lingua e rotazione degli occhi, mentre i movimenti sono accompagnati da un canto
gridato, ripetitivo e mantrico. Il rituale è finalizzato all’espressione spettacolarizzata
di forza, vitalità, energia, coraggio e vuole essere propiziatorio dello spirito di
squadra. Originariamente era inscenato dalle popolazioni Maori allo scopo di
conciliare i conflitti interni alla comunità. Il testo del canto è un ringraziamento alla
benevolenza dell’universo e degli dei.
Recentemente anche l’Ho’Oponopono, un rituale dell’antica civiltà hawaiana Huna, è
entrato a far parte della routine pre-gara di alcune squadre americane di football.
Canti e balli collettivi richiedono coordinazione e armonia che rafforzano l’unione.
Comportamenti simili si riscontrano anche in alcune specie animali. Le scimmie
urlatrici, i gibboni e i lemuri del Madagascar si impegnano spesso in cori che hanno il
senso di rafforzare l’unità del gruppo.
Coordinarsi in un’attività che richiede di muoversi all’unisono come in una danza, ma
che di per sè è poco utile o inutile, secondo l’etologia è un sistema generale per creare
un legame fra più individui.
 Le interazioni che hanno come scopo la coesione sono del tutto particolari perchè
non hanno altra ricompensa oltre il piacere dell’appartenenza e sembrano dunque
                                                                                          4
soddisfare un bisogno di livello superiore rispetto a quelli riferiti alla soggettività
individuale.
Le tecniche di accrescimento del legame di squadra vengono chiamate team building
o team work e hanno il fine di costruire e accrescere il senso di unità del gruppo,
stimolandone la produttività e l’orientamento verso un risultato.
I passaggi di qualunque programma di team building prevedono attività volte a
facilitare la comunicazione, incrementare la collaborazione, aumentare il livello di
fiducia, il senso di autoefficacia e la motivazione. Inoltre creano integrazione,
empatia, ascolto e veicolano mission e valori, distribuendo ruoli appropriati e
condivisi secondo le potenzialità e attitudini di ciascuno.
Gli strumenti utili per generare un forte “spirito di squadra” sono i più vari e vanno
dallo storytelling, il role-playing e l’apprendimento cooperativo alla condivisione di
momenti comuni di carattere ludico ed extrasportivo.
Lo storytelling è una metodologia ormai consolidata che fonda i propri presupposti
sulla constatazione di come la struttura narrativa sia la base del linguaggio e della
naturale rappresentazione cognitiva di un concetto. Ogni esperienza è infatti
elaborata in un “incipit” (inizio), sviluppo, “climax” (momento di massima
tensione), “lisis” (scioglimento o risoluzione). Tale modalità è sempre utilizzata nel
processo di esplorazione, comprensione e relazione con noi stessi, con gli altri e con
gli eventi.
 La creazione di storie è una forma di comunicazione naturale e intuitiva, capace di
coinvolgere, consentire possibili soluzioni ai problemi, attribuire nuovi significati agli
accadimenti, veicolare valori e accrescere le motivazioni, generando un clima di
condivisione emotiva.
In un team sportivo si possono costruire storie che rappresentino simbolicamente il
bagaglio esperienziale della squadra e che consentano ai suoi componenti di sentirsi
parte di qualcosa che va oltre la propria individualità. Per ottenere il massimo impatto
occorre fare leva su tutti e cinque i sensi, sull’emozione più che sulla razionalità. Il
famosissimo discorso di Steve Jobs “ Stay Hungry, Stay Foolish” è l’esempio più
noto e citato di storytelling poichè contiene gli elementi cardine della storia perfetta:
fallimento, sogno, riscatto e successo.
Il role-playing, o gioco di ruolo, consiste invece in una drammatizzazione delle
problematiche e relazioni presenti nel gruppo. E’ una rappresentazione di ruoli in
interazione, mentre alcuni partecipanti fungono da osservatori e commentatori dei
contenuti e dei processi manifestati.
 Si tratta di una tecnica mutuata dallo “psicodramma” e permette di affrontare
difficoltà, problemi, emozioni e conciliare eventuali conflitti.
 “Mettersi nei panni degli altri” attraverso l’identificazione, incrementa l’empatia e
favorisce il contenimento di possibili dinamiche interferenti con il rendimento
sportivo.
L’apprendimento cooperativo, infine, è utile soprattutto nelle prime fasi di
formazione di una squadra perchè facilita la collaborazione, il superamento degli
individualismi e il coinvolgimento di ciascuno nell’impegno a raggiungere un
obiettivo comune.
                                                                                        5
Alcuni protocolli di mental training, come ad esempio il Modello SFERA, ideato
dallo psicologo Giuseppe Vercelli, seppure creati per essere applicati al singolo atleta,
possono essere adattati proficuamente allo sport di squadra e inseriti in un
programma di apprendimento cooperativo.
SFERA è un acronimo che indica i cinque fattori fondamentali sia nell’allenamento
fisico che mentale e cioè: Sincronia, punti di Forza, Energia, Ritmo, Attivazione.
Sincronia significa essere concentrati nel presente sull’azione di gioco, in una totale
connessione mente-corpo.
 I punti di Forza, nel caso di una squadra, riguardano la sinergia fra reciproci ruoli e
abilità tecnico-tattiche di ciascuno, mentre l’Energia consente di utilizzare al meglio
le risorse costituite dai punti di forza.
 Il Ritmo genera il giusto flusso nella sequenza dei movimenti e degli schemi.
 L’ Attivazione è la condizione fisica e mentale percepita come ottimale durante una
partita ed è fortemente legata ai rituali e al clima creato dall’intero gruppo-squadra.
Essere nella SFERA, secondo Vercelli, vuol dire creare i presupposti per accedere a
risorse inaspettate provenienti dalla noosfera , ovvero andare oltre le proprie
potenzialità attingendo a una sorta di competenze innate : “ ...a qualcosa di
impersonale che va oltre l’individuo, una specie di fonte comune, alimentata dalla
collettività e attingibile da tutti”(3).
In questo modello si fa riferimento alle teorie del mistico gesuita Pierre Teilhard de
Chardin, che usa il termine “noosfera” per indicare una sorta di coscienza collettiva,
creata dalle interazioni fra le menti umane nel corso della storia.
Secondo il filosofo francese, più l’umanità si organizza in reti sociali complesse, più
la noosfera si arricchisce e acquista consapevolezza. A tale concetto si è recentemente
sovrapposta l’ipotesi di una “coscienza globale” formulata dalla pseudoscienza
noetica(4), secondo la quale esisterebbe un campo unificato di coscienza in grado di
produrre variazioni significative nei Generatori di Numeri Casuali in relazione a
eventi e fatti di cronaca di importanza mondiale. E’ evidente che, se ciò fosse vero, le
emozioni giocherebbero un ruolo primario nei processi di correlazione fra le menti
individuali. Questo può essere particolarmente vero nel caso di una squadra che a
volte riesca a giocare come fosse una sola unità e le motivazioni scientifiche in grado
di spiegare tale fenomeno forse, come abbiamo visto, non sono troppo remote.

Note

    1- Gallese, V., “Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale: Meccanismi neurofisiologici
       dell’intersoggettività”, Rivista di Psicoanalisi, 2007, LIII, 197-208
    2- Ibidem
    3- Vercelli, G., L’intelligenza Agonistica, Affrontare le sfide nella vita, nel lavoro, nello sport,
       Ponte alle Grazie, Milano 2009 p.47
    4- Zarkadakis, G., “Noetics: A proposal for a Heretical approach to consciousness”, Proceedings
       of International Conference “Toward a Science of Consciousness and its place in Nature”,
       Sweden 2001, University of Skoude, Sweden, 7-11 August 2001



.

                                                                                                       6
Bibliografia

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Vercelli, G., L’intelligenza Agonistica, Affrontare le sfide nella vita, nel lavoro, nello
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  • 1. “Entanglement”, Empatia e Coesione di Squadra: nuove frontiere teoriche? Il termine “entanglement” è traducibile letteralmente con “intreccio”. E’ mutuato dalla fisica quantistica e indica una condizione di legame indissolubile fra due particelle elementari, elettroni o fotoni, che abbiano interagito almeno una volta. Ciò significa che entrambe le particelle, a qualunque distanza si trovino l’una dall’altra (non località), si comportano simultaneamente come un tutt’uno. Il fisico austriaco Erwin Schrodinger introdusse l’ipotesi dell’ “entanglement quantistico” in uno scritto del 1935, ispirato da un esperimento proposto nello stesso anno da Albert Einstein con i suoi collaboratori Boris Podolsky e Nathan Rosen, noto come “Paradosso EPR”, secondo il quale una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico può produrre istantaneamente un effetto sul risultato di un’altra misura eseguita su un’altra parte dello stesso sistema, indipendentemente dalla distanza che le separa. Ciò dava luogo a quella che Einstein stesso chiamò “una non ragionevole definizione di realtà”, incompatibile con il principio di località e il postulato della velocità ristretta, poichè la velocità della luce è il limite oltre il quale non può viaggiare nessun tipo di informazione. In seguito Alain Aspect (1982) e Gerbach Hergerfeldt (1993) osservarono come il cambiamento di una proprietà, quale la polarizzazione nella prima particella, comportasse un simultaneo e uguale mutamento di stato anche nella seconda. Attualmente le ricerche sull’entanglement sono finalizzate particolarmente alla creazione di computer quantistici (quantum computer), che consentirebbero il trasferimento immediato di interi flussi di informazione. Inquietante e sfuggente, l’ipotesi dell’entanglement, più che dato scientificamente dimostrabile, è divenuta una metafora filosofica idonea a spiegare tutti i fenomeni di “non località”, sincronicità, trasmissione indiretta dell’informazione e comunicazione inconscia. Modelli teorici recenti di “neurodinamica quantistica”, basati sullo studio dell’attività cerebrale tramite tecniche di neuroimaging, ipotizzano che i microtuboli che costituiscono la struttura di base dei neuroni funzionino in uno stato di “entanglement orchestrato” fra loro e svolgano un ruolo centrale nella genesi dell’atto di coscienza. La conseguenza più interessante di queste ricerche è che i collegamenti fra i neuroni (sinapsi), grazie alla citoarchitettura costituita dai microtuboli, potrebbero avere la possibilità di funzionare secondo due diverse modalità: quella tradizionalmente nota e ad una sorta di metalivello quantico,chiamato da Hameroff “superposition”, in cui il cervello avrebbe la possibilità di processare flussi simultanei di informazione come un computer quantistico (quantum computer) e operare una scelta fra molteplici possibilità. 1
  • 2. Penrose e Hameroff (2007), nella loro Teoria Orch-Or, suggeriscono che il collasso della funzione d’onda nei microtuboli dia origine al flusso della coscienza e ad una “orchestrazione”, cioè a processi di computazione quantica che si auto-organizzano. Ciò implica che quanto chiamiamo “realtà” non sia altro che una “scelta” fra le tante possibili. Questo secondo tipo di funzionamento sarebbe all’origine di fenomeni fino ad ora non spiegabili come l’intuizione e la telepatia e dei disturbi del pensiero che si riscontrano nelle psicosi (Stuart Hameroff 2006, 2010; Dean Radin 2006). Fisici teorici come il Premio Nobel Brian Josephson (2008) e Michio Kaku (2008, 2010) e psicologi sperimentali come Dean Radin (2006) e Roger Nelson (2002) ritengono che i cosiddetti fenomeni di “coscienza collettiva” rappresentino una condizione di entanglement fra le coscienze di due o più persone, anche spazialmente separate, che riescono a comunicare senza che avvenga un’interazione diretta. Alcuni ricercatori del Max Planck Insitute di Berlino e dell’Università di Salisburgo (2008, 2010) hanno dimostrato che i cervelli di due o più persone, coinvolte in un compito comune o fra loro legate da un rapporto emotivo, possono raggiungere una condizione simultanea di sincronizzazione dell’attività elettrica interemisferica. Si ipotizza che nel conseguimento di questo risultato un importante ruolo sia svolto dai neuroni specchio, dato che a consentire una sorta di connessione interpersonale non è la razionalità, ma le emozioni connesse all’empatia e alla condivisione di un obiettivo comune. I neuroni specchio, scoperti dapprima nei macachi da Giacomo Rizzolati e Vittorio Gallese del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, si trovano nella corteccia cerebrale frontale e parietale e sono alla base della capacità di comprendere e imitare le azioni altrui. Funzionano proprio come uno specchio, riproducendo nel cervello comportamenti e stati d’animo osservati in un altro individuo. Secondo Gallese (2003,2006a, 2007) implicano la capacità intersoggettiva di “trasferire significati da una persona all’altra utilizzando il corpo come veicolo di questo trasferimento, sia dal punto di vista dell’espressione del significato, che da quello della capacità di decodificarlo qualora ne siano spettatori” (1). A proposito di tale modalità, lo stesso Gallese parla di soggettività che si definisce esclusivamente nell’intersoggettività, ovvero in una “consonanza” con il mondo degli altri, dove i meccanismi che sottendono la relazione interpersonale implicano un “trasferimento di significato ante-predicativo, pre-verbale, implicito”(2). Tali processi di comunicazione non consapevole venivano interpretati fino a pochi anni fa come il prodotto dei molteplici messaggi non- verbali e para-verbali che il cervello umano registra ed elabora continuamente. Il problema si è però rivelato più complesso perchè il medesimo tipo di scambio dell’informazione è stato riscontrato anche in altri organismi biologici, in cui non può avvenire con le modalità ipotizzate per gli esseri umani. Da tempo gli etologi studiano le geometrie armoniose e sincrone create dagli stormi degli uccelli in migrazione e dai branchi di pesci. Le “formazioni” disegnate da alcune specie di uccelli e pesci sembrano infatti essere coordinate da una sola mente. I cambiamenti improvvisi di direzione e le virate simultanee, avvengono senza che ci 2
  • 3. sia un ordine impartito da un “capo formazione”. Il processo di condivisione delle informazioni motorie è collettivo e istantaneo. Il delfino tursiope (Tursiops Truncatus) vive in branchi chiamati “pods”, costituiti da due o più individui fino ad un massimo di dodici. Al loro interno le femmine formano associazioni mutuali simbiotiche definite “fission-fusion” allo scopo di proteggere la prole dai predatori, mentre quelle fra maschi sarebbero “alleanze”. Tutti i membri di un “pods”, sia maschi che femmine, mostrano comportamenti sincronizzati come respirazione, salti e “breaching”. La comunicazione avviene attraverso l’emissione di suoni di frequenze diverse e ciascuno emette un fischio caratteristico, una sorta di firma (Signature Whistle) che lo distingue dagli altri. Il cervello, fortemente specializzato nel processare gli stimoli acustici, è grande quanto quello di una scimmia antropomorfa e dotato di due emisferi cerebrali che lavorano in indipendenza funzionale e reciproca anche durante il sonno. Secondo le ricerche l’emisfero destro è preposto all’elaborazione globale delle informazioni, mentre il sinistro dei dettagli . A unirli è un corpo calloso molto sottile. Ciò che è davvero singolare sono i risultati degli studi sulla capacità di imitazione e sincronia motoria del delfino . Il singolo individuo, pur avendo una consapevolezza di sè di tipo quasi umano, per mantenersi in salute ha bisogno di definire la propria soggettività nel rapporto con gli altri componenti del branco e ciò avviene anche nella relazione interspecifica, come ad esempio con l’uomo, di cui il delfino ha la capacità di percepire sentimenti e sensazioni. Sempre più le ricerche scientifiche di diversi ambiti disciplinari sembrano avallare l’ipotesi di una “mente unica universale” e l’interrelazione di tutti gli elementi dell’universo, se non addirittura la loro indistinzione (oneness), incluse le scienze sociali che cercano da tempo di spiegare quali siano i meccanismi che permettono ai membri di un gruppo di influenzare gli altri anche quando si trovano al di fuori della portata dei comuni mezzi sensoriali di comunicazione. Vi sarebbero dunque due diverse potenzialità conoscitive del sistema neuropercettivo umano e di alcune specie animali: la prima “per separazione” e la seconda “per unione”. Nel corso dell’evoluzione, dalla prima sarebbe derivato il pensiero logico-razionale- analitico e dalla seconda il pensiero emotivo-simbolico-analogico. La cultura occidentale ha fino ad ora convalidato soltanto la modalità logico- razionale, mentre ha screditato gli aspetti intuitivi e irrazionali della conoscenza. La mancata integrazione delle due componenti ha dato luogo a una visione della realtà basata sulla separazione e la contrapposizione dualistica. Secondo la fisica quantistica una particella può assumere sembianze corpuscolari o ondulatorie a seconda del modo in cui viene osservata. In quanto particella appare distinta e separata dal resto come una goccia è separata dal mare, mentre come onda costituisce un’increspatura nell’oceano ed è evidente la sua interdipendenza da esso. La percezione per separazione produce allora particelle, individualità, oggetti distinti, mentre quella per unione rileva increspature, onde, flussi, cioè processi dinamici collegati senza soluzione di continuità. 3
  • 4. Alcune squadre, appartenenti a varie discipline sportive, nei momenti di “grazia” riescono a stabilire sincronie simili a quelle presenti nel mondo animale. I singoli giocatori in questi casi affermano di sentirsi una sola cosa con il gruppo- squadra e di sperimentare una sorta di comunicazione globale, intuitiva, empatica, anche se indiretta, con i propri compagni. Sono evidenti le potenzialità agonistiche derivanti dallo sviluppo e dall’incremento di una tale condizione in alcuni sport di squadra come il nuoto sincronizzato, la pallavolo, il basket, il rugby, il calcio. Aumentare la coesione del gruppo attraverso il lavoro sulle emozioni e la motivazione è uno dei compiti principali e più difficili della psicologia dello sport, che deve senz’altro trarre spunto anche da ricerche ancora ritenute “di confine” e aprirsi a una integrazione eclettica con altre discipline. Con il concetto psicosociologico di coesione si intende un processo dinamico che si riflette nella tendenza di un gruppo a rimanere unito al fine di raggiungere degli obiettivi comuni e soddisfare un bisogno socio-affettivo di appartenenza (Carron,, 1998). Le caratteristiche di un gruppo coeso sono i ruoli ben definiti, la condivisione di obiettivi, norme, responsabilità, il rispetto degli altri e il desiderio di cooperare, l’identificazione di ciascun membro con il gruppo e una buona comunicazione sinergica. Una modalità già collaudata per accrescere il senso di unità e di appartenenza in una squadra è l’utilizzazione di rituali collettivi pre-gara. A tutti sono noti e ben visibili i giochi di mani e i circoli formati dalle pallavoliste o i canti e le danze rituali dei rugbisti. L’Haka-Ka Mate dei Maori è divenuto il simbolo della squadra di rugby neozelandese “All Blacks”. La danza consiste nel battito ritmato di mani, piedi, gambe, estroflessione della lingua e rotazione degli occhi, mentre i movimenti sono accompagnati da un canto gridato, ripetitivo e mantrico. Il rituale è finalizzato all’espressione spettacolarizzata di forza, vitalità, energia, coraggio e vuole essere propiziatorio dello spirito di squadra. Originariamente era inscenato dalle popolazioni Maori allo scopo di conciliare i conflitti interni alla comunità. Il testo del canto è un ringraziamento alla benevolenza dell’universo e degli dei. Recentemente anche l’Ho’Oponopono, un rituale dell’antica civiltà hawaiana Huna, è entrato a far parte della routine pre-gara di alcune squadre americane di football. Canti e balli collettivi richiedono coordinazione e armonia che rafforzano l’unione. Comportamenti simili si riscontrano anche in alcune specie animali. Le scimmie urlatrici, i gibboni e i lemuri del Madagascar si impegnano spesso in cori che hanno il senso di rafforzare l’unità del gruppo. Coordinarsi in un’attività che richiede di muoversi all’unisono come in una danza, ma che di per sè è poco utile o inutile, secondo l’etologia è un sistema generale per creare un legame fra più individui. Le interazioni che hanno come scopo la coesione sono del tutto particolari perchè non hanno altra ricompensa oltre il piacere dell’appartenenza e sembrano dunque 4
  • 5. soddisfare un bisogno di livello superiore rispetto a quelli riferiti alla soggettività individuale. Le tecniche di accrescimento del legame di squadra vengono chiamate team building o team work e hanno il fine di costruire e accrescere il senso di unità del gruppo, stimolandone la produttività e l’orientamento verso un risultato. I passaggi di qualunque programma di team building prevedono attività volte a facilitare la comunicazione, incrementare la collaborazione, aumentare il livello di fiducia, il senso di autoefficacia e la motivazione. Inoltre creano integrazione, empatia, ascolto e veicolano mission e valori, distribuendo ruoli appropriati e condivisi secondo le potenzialità e attitudini di ciascuno. Gli strumenti utili per generare un forte “spirito di squadra” sono i più vari e vanno dallo storytelling, il role-playing e l’apprendimento cooperativo alla condivisione di momenti comuni di carattere ludico ed extrasportivo. Lo storytelling è una metodologia ormai consolidata che fonda i propri presupposti sulla constatazione di come la struttura narrativa sia la base del linguaggio e della naturale rappresentazione cognitiva di un concetto. Ogni esperienza è infatti elaborata in un “incipit” (inizio), sviluppo, “climax” (momento di massima tensione), “lisis” (scioglimento o risoluzione). Tale modalità è sempre utilizzata nel processo di esplorazione, comprensione e relazione con noi stessi, con gli altri e con gli eventi. La creazione di storie è una forma di comunicazione naturale e intuitiva, capace di coinvolgere, consentire possibili soluzioni ai problemi, attribuire nuovi significati agli accadimenti, veicolare valori e accrescere le motivazioni, generando un clima di condivisione emotiva. In un team sportivo si possono costruire storie che rappresentino simbolicamente il bagaglio esperienziale della squadra e che consentano ai suoi componenti di sentirsi parte di qualcosa che va oltre la propria individualità. Per ottenere il massimo impatto occorre fare leva su tutti e cinque i sensi, sull’emozione più che sulla razionalità. Il famosissimo discorso di Steve Jobs “ Stay Hungry, Stay Foolish” è l’esempio più noto e citato di storytelling poichè contiene gli elementi cardine della storia perfetta: fallimento, sogno, riscatto e successo. Il role-playing, o gioco di ruolo, consiste invece in una drammatizzazione delle problematiche e relazioni presenti nel gruppo. E’ una rappresentazione di ruoli in interazione, mentre alcuni partecipanti fungono da osservatori e commentatori dei contenuti e dei processi manifestati. Si tratta di una tecnica mutuata dallo “psicodramma” e permette di affrontare difficoltà, problemi, emozioni e conciliare eventuali conflitti. “Mettersi nei panni degli altri” attraverso l’identificazione, incrementa l’empatia e favorisce il contenimento di possibili dinamiche interferenti con il rendimento sportivo. L’apprendimento cooperativo, infine, è utile soprattutto nelle prime fasi di formazione di una squadra perchè facilita la collaborazione, il superamento degli individualismi e il coinvolgimento di ciascuno nell’impegno a raggiungere un obiettivo comune. 5
  • 6. Alcuni protocolli di mental training, come ad esempio il Modello SFERA, ideato dallo psicologo Giuseppe Vercelli, seppure creati per essere applicati al singolo atleta, possono essere adattati proficuamente allo sport di squadra e inseriti in un programma di apprendimento cooperativo. SFERA è un acronimo che indica i cinque fattori fondamentali sia nell’allenamento fisico che mentale e cioè: Sincronia, punti di Forza, Energia, Ritmo, Attivazione. Sincronia significa essere concentrati nel presente sull’azione di gioco, in una totale connessione mente-corpo. I punti di Forza, nel caso di una squadra, riguardano la sinergia fra reciproci ruoli e abilità tecnico-tattiche di ciascuno, mentre l’Energia consente di utilizzare al meglio le risorse costituite dai punti di forza. Il Ritmo genera il giusto flusso nella sequenza dei movimenti e degli schemi. L’ Attivazione è la condizione fisica e mentale percepita come ottimale durante una partita ed è fortemente legata ai rituali e al clima creato dall’intero gruppo-squadra. Essere nella SFERA, secondo Vercelli, vuol dire creare i presupposti per accedere a risorse inaspettate provenienti dalla noosfera , ovvero andare oltre le proprie potenzialità attingendo a una sorta di competenze innate : “ ...a qualcosa di impersonale che va oltre l’individuo, una specie di fonte comune, alimentata dalla collettività e attingibile da tutti”(3). In questo modello si fa riferimento alle teorie del mistico gesuita Pierre Teilhard de Chardin, che usa il termine “noosfera” per indicare una sorta di coscienza collettiva, creata dalle interazioni fra le menti umane nel corso della storia. Secondo il filosofo francese, più l’umanità si organizza in reti sociali complesse, più la noosfera si arricchisce e acquista consapevolezza. A tale concetto si è recentemente sovrapposta l’ipotesi di una “coscienza globale” formulata dalla pseudoscienza noetica(4), secondo la quale esisterebbe un campo unificato di coscienza in grado di produrre variazioni significative nei Generatori di Numeri Casuali in relazione a eventi e fatti di cronaca di importanza mondiale. E’ evidente che, se ciò fosse vero, le emozioni giocherebbero un ruolo primario nei processi di correlazione fra le menti individuali. Questo può essere particolarmente vero nel caso di una squadra che a volte riesca a giocare come fosse una sola unità e le motivazioni scientifiche in grado di spiegare tale fenomeno forse, come abbiamo visto, non sono troppo remote. Note 1- Gallese, V., “Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale: Meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività”, Rivista di Psicoanalisi, 2007, LIII, 197-208 2- Ibidem 3- Vercelli, G., L’intelligenza Agonistica, Affrontare le sfide nella vita, nel lavoro, nello sport, Ponte alle Grazie, Milano 2009 p.47 4- Zarkadakis, G., “Noetics: A proposal for a Heretical approach to consciousness”, Proceedings of International Conference “Toward a Science of Consciousness and its place in Nature”, Sweden 2001, University of Skoude, Sweden, 7-11 August 2001 . 6
  • 7. Bibliografia Aczel Amir, D., Entanglement- Il più grande mistero della fisica, Raffaello Cortina, Milano 2004 Baaquie, B., Martin, F., “Quantum Psyche-Quantum Field Theory of the Human Psyche”, in: Neuroquantology, vol.3 (1), March 2005, pp.7-42 Bejder, L. (2006), “Synchrony, Social Behaviour and Alliance Affiliation in Indian Ocean Bottlenose Dolphins, Tursiops Aduncus”, in: Animal Behaviour, 72, 2006 Gallese, V., Migone, P., Morris, M. E., (2006), “La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività e alcune implicazioni per la psicoanalisi”,in: Psicoterapia e Scienze Umane, n.3, 2006, pp.543-580 Hameroff, S., Penrose, R., “Conscious events as orchestrated space-time selections”, in: Neuroquantology, 2003, vol.1 (1), pp.10-35 Harley, H. E., Fallner, W., Stamper, A., (2010), “Cognitive Research with Dolphins (Tursiops Truncatus) at Disney’s The Seas: A program for Enrichment, Science, Education and Conservation”, in: International Journal of Comparative Psychology, 2010, 23, pp.331-343 Kezwer, G. P., Meditation, Oneness and Physics, Lantern Books, New York 2003 Penrose, R. (1996), Shadow of the Mind. A Search for the Mining Science of Counsciousness, Oxford University Press Radin, D.(2006), Entangled Minds, Ed. Paraview, New York 2006 Rizzolati, G., Craighero, L., (2004), “The Mirror Neuron System”, in: Annual Review of Neurosciences, 27, pp.169-192 Siegel, D. J.(1999), La mente relazionale, Raffaello Cortina, Milano 2001 Vercelli, G., Vincere con la mente, Ponte alle Grazie, Milano 2005 Vercelli, G., S.F.E.R.A Training, Manuale di Allenamento, Edizioni Libreria dello Sport, Milano 2007 Vercelli, G., L’intelligenza Agonistica, Affrontare le sfide nella vita, nel lavoro, nello sport, Ponte alle Grazie, Milano 2009 7