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Riciclaggio
neuronale.
Come si è evoluta
la nostra mente
Prof.ssa Francesca Federico
A chi non è mai
capitato
l’imbarazzante
sbaglio di
presentarsi
due volte alla
stessa persona
senza averla
riconosciuta? B
eh, se non
sapeste
leggere magari
potreste
risparmiarvelo.
E’ quanto emerge da una ricerca
condotta da Stanislas Dehaene presso
il Dipartimento Neuro-Cognitivo di
Saclay, in Francia, e sviluppata
seguendo il filo logico della cosiddetta
teoria del “Riciclaggio Neuronale”: si
tratta di una esplorazione
approfondita del cervello umano al
fine di disegnarne una mappa di base
che spieghi quali regioni
intervengono nell’attuazione di certi
comportamenti piuttosto che altri.
Dehaene e i suoi colleghi hanno effettuato una risonanza magnetica su un
campione di persone, di cui 10 incapaci di leggere, 22 che avevano
imparato solo in età adulta e 31 con un regolare approccio alla lettura fin
dall’infanzia; i ricercatori hanno così tentato di comprendere quali aree
del cervello venivano attivate durante la stimolazione tramite testi e
immagini. Le scansioni così effettuate hanno naturalmente confermato il
coinvolgimento dell’area della forma visiva delle parole, la
cosiddetta VWFA (Visual Word Form Area): è quella preposta alla lettura,
all’associazione immediata di simoboli a suoni definiti.
Nel corso della lettura il terzo gruppo di volontari ha presentato un grado
di attività di gran lunga maggiore in quest’area rispetto agli altri, mentre
di fronte a una serie di immagini di facce non è accaduto lo stesso:
l’attività celebrale risultava infatti ridotta.
A seguito di queste sperimentazioni, Dehaene e il suo
team di ricerca hanno quindi ipotizzato che, almeno
all’interno della VWFA, le attività di lettura e
riconoscimento dei volti sono in concorrenza fra loro e
probabilmente la capacità di leggere ha in qualche
modo “dirottato” una rete di neuroni, intralciando
l’abilità nel focalizzare facce.
La speculazione in merito ai risultati della
sperimentazione è tuttora in corso: si tratta di ipotesi
ancora da verificare, ma i dati appena conquistati
rappresentano un nuovo, interessante punto di
partenza.
• Le Neuroscienze cognitive hanno l’ambizioso obiettivo
teorico di individuare e comprendere, dunque spiegare
ed eventualmente – ove la patologia lo rendesse
necessario – modificare, i meccanismi neurobiologici
della mente, presupponendone la cosiddetta
“emergenza” come prodotto dell’interazione costitutiva
tra specifici processi cerebrali, corpo, e ambiente
dell’organismo.
La mente è embodied ed embedded, incarnata in
un contesto corporeo, interno, e al tempo stesso
costitutivamente inserita in un contesto
relazionale, esterno; incarnata e relazionale,
queste le due caratteristiche fondamentali della
mente.
• Lo scopo è dunque quello di comprendere in quali modi
si dia questa emergenza delle funzioni mentali a partire
dalle proprietà del cervello come sistema complesso,
dinamico e plastico, nelle sue interazioni con l’intero
corpo dell’organismo e con il suo “ambiente di vita”
inteso anche, e per certi versi soprattutto, come
ambiente sociale e culturale.
• “La mente è il prodotto delle interazioni fra esperienze interpersonali e strutture e
funzioni del cervello (…) emerge da processi che modulano flussi di energia e di
informazioni all’interno del cervello e fra cervelli diversi (…) si forma all’interno
delle interazioni fra processi neurofisiologici interni ed esperienze interpersonali. Lo
sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende dalle modalità con cui le
esperienze, e in particolare quelle legate a relazioni interpersonali, influenzano e
modellano i programmi di maturazione geneticamente determinati del sistema
nervoso. In altre parole, le ‘connessioni’ umane plasmano lo sviluppo delle
connessioni nervose che danno origine alla mente”
In questo contesto teorico di riferimento due cardini fondamentali
della concezione attuale del sistema cognitivo e del cervello sono la
differenziazione e l’integrazione; due concetti che hanno avuto fin
dall’Ottocento una storia significativa nella storia delle Neuroscienze e
una grandissima valenza propulsiva per lo sviluppo di teorie e modelli
della mente e del comportamento
• Il cervello non può essere concepito come una macchina
neuronale, astratto ed “estratto” dal corpo e
dall’organismo nella sua interezza, dalle relazioni e
dall’ambiente: “gran parte della fisiologia cerebrale non
è né hardware,né software. Piuttosto è una ‘fisiologia
umida’, come fluidi, ormoni, trasmettitori, sostanze
biochimiche ed endocrine – tutte cose per le quali il
cervello risulta essenzialmente connesso con il corpo
intero e con il resto della fisiologia nella sua globalità”.
Cervello ad architettura aperta
• Differenziazione e integrazione caratterizzano gli stati di
coscienza, la loro peculiare enorme variabilità e al tempo
stesso la chiara dimensione unitaria della mente nel suo
complesso; e le Neuroscienze cognitive ne indagano i
meccanismi neurali e li individuano nelle caratteristiche del
cervello come organo “ad architettura aperta”. È l’eterno
tentativo umano di entrare nei grovigli, e scioglierli, del
“nodo cosmico” (Schopenhauer 1813).
Le basi neurali della coscienza e delle diverse funzioni
cognitive sono individuate nei complessi processi
sistemici che plasmano continuamente la fisionomia del
cervello in relazione al suo funzionamento (o alle sue
disfunzioni). Dunque la plasticità, la variabilità, così come
la dimensione storica e costitutivamente relazionale, sono
considerate caratteristiche essenziali del cervello e della
mente, nel loro consentire all’organismo di interagire con
l’ambiente nelle innumerevoli e imprevedibili circostanze
che possono verificarsi.
• Come fa il cervello a organizzare,
generalizzare e integrare informazioni e
azioni, percorsi sinaptici e circuiti neurali?
L’assunto di base è la natura non meccanica
del sistema nervoso: piuttosto che un sistema
reattivo basato sul meccanismo input-output,
stimolo-risposta, esso è un sistema dinamico
che si auto-organizza, “un sistema nel quale
un cambiamento nel funzionamento di una
singola parte può causare una
riorganizzazione radicale dell’intero sistema”.
• Gerald Edelman formula una teoria selezionistica
del cervello– che potremmo assumere come
relativamente emblematica, se non proprio
paradigmatica, rispetto allo stato attuale delle
Neuroscienze cognitive – in cui ridondanza,
complessità, plasticità, dimensione storica e
individuale si pongono come termini fondamentali
per una concezione dello sviluppo del cervello e
del suo funzionamento fortemente stocastica ed
epigenetica.
• Ogni cervello è necessariamente unico quanto a
struttura anatomica e dinamica poiché le mappe e
le connessioni sono continuamente modificate non
solo da ciò che percepiamo, ma anche da come ci
muoviamo, dalla nostra esperienza quotidiana nel
mondo e dalle nostre relazioni sociali.
• Strutture o circuiti corticali diversi possono svolgere la
stessa funzione o produrre lo stesso output. Edelman si
riferisce a questa caratteristica col termine degeneracy,
che indica proprio una caratteristica dei sistemi
complessi per cui in certe situazioni strutture diverse
possono produrre lo stesso risultato; e in base a questa
caratteristica egli spiega come le reti cerebrali
straordinariamente complesse e degenerate siano
incarnate in un modo che tramite processi di carattere
epigenetico determina innumerevoli repertori di
variabilità al livello delle strutture anatomiche e nei
collegamenti fra gruppi di neuroni, variando di fatto da
individuo a individuo.
• La degeneracy emerge come proprietà fondamentale
dell’evoluzione stessa, al tempo stesso una condizione di
possibilità e un prodotto della selezione naturale:
“L’evoluzione e la selezione naturale sono
necessariamente accompagnate dalla degeneracy. Essa
è un prerequisito della selezione naturale perché questa
può operare solo in una popolazione di organismi
geneticamente differenti, poiché in tutti i sistemi
selettivi di regola esistono molti modi differenti, non
necessariamente identici in senso strutturale, mediante il
quale si può manifestare un segnale in uscita.
• Ciò si pone come condizione di possibilità della
“evolvability” di un sistema: l’intersezione
funzionale dinamica delle strutture nervose e la
loro riconfigurazione costante in funzione dei
cambiamenti ambientali consentono infatti di
modificare funzioni, capacità e comportamenti.
•
E nello stesso tempo la degenerazione delle reti
nervose consente gli “aggiustamenti” compensativi
che si verificano in molti disturbi neurologici:
lesioni cerebrali localizzate, infatti, rivelano spesso
percorsi alternativi che possono produrre
comportamenti simili.
• In un sistema degenerato, vi sono molti modi
diversi per generare un determinato segnale in
uscita, e il cervello ha percorsi diversi per produrre
uno stesso comportamento nell’organismo.
• L’enorme variabilità e individualità della
struttura e della funzione dei singoli
cervelli dei vertebrati si basa su
cambiamenti che riguardano
l’organizzazione cerebrale a tutti i livelli,
dalla biochimica alla morfologia
macroscopica, cambiamenti che
modificano incessantemente in funzione
dell’esperienza il numero e la “forza” delle
miriadi di sinapsi che collegano circuiti e
percorsi nervosi.
• Con una recente tecnica di imaging, la
“microscopia a due fotoni”, è stato
possibile osservare che le sinapsi si creano
e vengono eliminate nel corso di tutta la
vita, e che le sinapsi variano la loro forza
col cambiamento nelle dimensioni delle
spine dendritiche.
• “Per quanto intricata possa essere le microstruttura delle connessioni neuronali, questa intricatezza è
ulteriormente accresciuta dal numero di interazioni diverse, nello spazio e nel tempo, che possono
generarsi nella trasmissione sinaptica. Il cervello contiene una varietà di sostanze chimiche diverse,
dette neurotrasmettitori e neuromodulatori, che si legano a una varietà di recettori e agiscono su vari
percorsi biochimici. L’identità chimica di questi neurotrasmettitori e dei loro recettori, la statistica del
loro rilascio, il tempo e il luogo delle interazioni elettriche e biochimiche, tutti questi fattori
determinano le soglie di risposta dei neuroni in un modo straordinariamente complesso e variabile.
Inoltre, come conseguenza del rilascio dei neurotrasmettitori, non solo si produce il segnale elettrico,
ma si producono anche cambiamenti nella biochimica e perfino nell’espressione genica dei neuroni
coinvolti. Questa ‘intricatezza’ molecolare e le dinamiche che ne derivano sovrappongono molti livelli
ulteriori di variabilità a quello neuroanatomico, contribuendo a quella che può essere chiamata la
unicità storica di ciascun cervello. Metaforicamente, possiamo dire di ospitare una giungla nelle
nostre teste”[15].
Variabilità, differenziazione e al tempo stesso integrazione, caratterizzano il nostro cervello tanto
quanto la coscienza. E cambia senza sosta lo schema complessivo delle connessioni tra i neuroni del
nostro sistema nervoso: il cosiddetto “connettoma”[16].
• “Connettoma” è un nuovo termine che chiaramente richiama la Genomica, non
l’Ingegneria (“diagramma di cablaggio”), proprio a indicare la natura dinamica, plastica e
non deterministica del funzionamento cerebrale.
• Considerando centrali per l’organizzazione e il funzionamento del cervello
plasticità, degeneracy e neuromodulazione (in quanto caratteristiche del sistema), la
connettomica si propone di studiare le “circuit properties” e il modo in cui funzionano i
circuiti nervosi, individuando delle “wiring maps” che incorporino nella struttura
l’informazione sulla propria attività in continuo cambiamento.
• L’obbiettivo è duplice: individuare nella connettività neurale patterns di connettività, e
correlare la connettività neurale con il comportamento.
• Una “connection map” si pone naturalmente come
sistema dinamico altamente complesso: “Molti
percorsi di scarica possono contribuire a
determinare proprietà di un circuito non facilmente
prevedibili. In aggiunta, ci sono molti ‘percorsi in
parallelo’ in cui due neuroni sono connessi tramite
due o più vie sinaptiche, una diretta e varie altre
indirette. (…) Sebbene sappiamo come operi la
maggior parte dei neuroni, non sappiamo come
agisca la maggior parte delle connessioni, non
sappiamo quali connessioni chimiche siano
eccitatorie o inibitorie, e non possiamo prevedere
facilmente dal diagramma di scarica quali siano le
connessioni più importanti”[
• Si conoscono quattro tipi fondamentali di cambiamento
neuronale: i neuroni adattano, o “ripesano”, le loro
connessioni rinforzandole, oppure indebolendole; si
“riconnettono” creando ed eliminando sinapsi;
riformano i circuiti (si “ricablano”) facendo crescere e
ritraendo le ramificazioni; infine, nuovi neuroni sono
creati mentre quelli esistenti vengono eliminati
attraverso la “rigenerazione”.
• Geni ed esperienza forgiano il nostro connettoma in
base a quattro modalità di cambiamento di cui godono
le sinapsi: Ripesatura, Riconnessione, Ricablaggio e
Rigenerazione.
• Richiamando le riflessioni di William James (1890) sul
carattere mutevole e al tempo stesso unitario della
coscienza e sul suo flusso continuo, oggi chi guarda al
connettoma vi vede il possibile substrato
neurobiologico: “ogni fiume ha un letto, e senza questo
solco nella terra l’acqua non saprebbe in quale direzione
scorrere. Ecco… dal momento che il connettoma
definisce le vie di scorrimento dell’attività neurale,
possiamo considerarlo il letto del fiume della coscienza.
È una metafora molto potente. Nel lungo periodo, come
l’acqua del fiume plasma lentamente il letto, così
l’attività neurale cambia il connettoma”.
• Nel secolo scorso, col rinnovato interesse
della Psicologia per il corpo e il cervello
dopo la fine dell’egemonia
comportamentista che li aveva di fatto
esclusi dall’indagine psicologica, la
riformulazione “scientifica” del principio
dell’associazione/connessione avviene per
opera di Hebb (1949) che conia
l’espressione “assemblee cellulari”
proprio per indicare il valore
fondamentale dell’associazione e della
integrazione fra neuroni per le funzioni
cognitive superiori. Kandel in seguito ne fa
il meccanismo esplicativo per una
concezione dinamica e costruttiva della
memoria e dell’apprendimento
• Ma proprio la specificità del cervello, la complessità dinamica della sua
organizzazione e del suo funzionamento, richiamano l’attenzione sulle
difficoltà teoriche, in alcuni casi logiche, del progetto di mappare l’attività
neurale e collegarla al comportamento.
“Ciascun diagramma di scarica codifica molti possibili output di un
circuito (…) ci sono ‘percorsi paralleli’, vale a dire molteplici percorsi tramite
i quali un neurone può influenzarne un altro. Simili percorsi paralleli possono
essere concepiti come degenerati, poiché possono creare molteplici
meccanismi tramite i quali l’output di rete può modificarsi in stati
diversi. (…) Circuiti divergenti hanno un punto di avvio comune e producono
risultati differenti. (…) Non è possibile ‘leggere’ un connettoma se esso è
intrinsecamente ambiguo, codificando due comportamenti diversi.
• La neuromodulazione riconfigura le proprietà di un circuito. Le connessioni
funzionali che costituiscono il risultato di un circuito specifico sono
specificate, o più propriamente ‘configurate’, dall’ambiente prodotto dalla
neuromodulazione. Ogni sinapsi e ogni neurone sono soggetti alla
neuromodulazione: il diagramma di connettività, in sé, stabilisce solamente
potenziali configurazioni di un circuito le cui proprietà dipendono
criticamente da quanti e quali neuromodulatori sono presenti in un dato
momento. In certe condizioni di modulazione, connessioni sinaptiche
anatomicamente ‘presenti’ possono essere funzionalmente silenti,
rafforzandosi e attivandosi solo in diverse condizioni modulatorie. (…) Gli
effetti della neuromodulazione possono attivare oppure silenziare un intero
circuito, cambiarne la frequenza e/o le relazioni di fase del pattern motorio
prodotto.
• I neuromodulatori sono di importanza fondamentale in tutti i sistemi
nervosi, e operano come mediatori-chiave di stati motivazionali ed
emozionali quali il sonno, l’eccitazione, lo stress, l’umore e il dolore. Per
arrivare a comprenderne le dinamiche di rilascio e i loro effetti sui circuiti,
sono necessari nuovi metodi che ci consentano di monitorare la
neuromodulazione in vivo. (…)L’esistenza di circuiti paralleli e della
neuromodulazione significa che la sola connettività non può fornirci
l’informazione sufficiente a prevedere il fisiologico output dei circuiti (…). Le
dinamiche neuronali plasmano l’attività dei circuiti”.
• E se le caratteristiche dei circuiti nervosi sono
complessità cellulare, interconnettività estensiva,
percorsi paralleli con sinapsi chimiche ed
elettriche, degeneracy e neuromodulazione,
evidentemente uno stesso wiring diagram può
produrre dinamiche anche molto diverse con
circuiti e parametri diversi, così come circuiti e
meccanismi diversi possono produrre dinamiche
oscillatorie simili.
• Il comportamento emerge dal sistema nervoso
nel suo complesso e l’approccio riduzionistico a
questo livello non è applicabile non essendo
possibile comprenderne i “singoli pezzi” in
isolamento e in una sorta di “fermo-immagine”.
• Ciò espone la connettomica, e più in
generale gli approcci volti a “localizzare
per capire”, a critiche epistemologiche
relative a presupposti teorici, approcci,
metodologie e obbiettivi conoscitivi;
“Molteplici sensazioni e comportamenti
diversi utilizzano gli stessi neuroni in modi
diversi. I neuroni possono cambiare
rapidamente il proprio ruolo funzionale in
risposta a segnali chimici come i peptidi, o
altri neuromodulatori o livelli di attività. A
causa di questa flessibilità non è possibile
attribuire una specifica funzione a un
neurone senza conoscere lo stato
comportamentale – qualcosa che è
invisibile nella connettomica”.
• E il riferimento al comportamento, all’esperienza individuale, alle relazioni e
alla cultura sottolinea le criticità dell’approccio neuro-scientifico a quelle
che già Vygotskij aveva definito “funzioni extracorticali” e che oggi
alimentano la cosiddetta Brain Plasticity Revolution con l’idea di un costante
“rimodellamento cerebrale tramite cambiamenti ‘plastici’ che rivedono
continuamente le capacità dettagliate di controllo operativo dei nostri
cervelli individuali e li dotano di enormi magazzini di informazione
culturalmente specifica”.
• Le Neuroscienze cognitive contemporanee guardano alla mente come a un insieme di
processi fisici radicati nel corpo di ogni individuo; processi frutto della selezione naturale e
della selezione dei gruppi neuronali. La coscienza è dunque una proprietà dinamica di un
tipo speciale di morfologia, l’architettura aperta del cervello alle esperienze dell’organismo
nelle sue interazioni con l’ambiente interno (sostanze nutritive, ormoni, tossine, farmaci,
presenza o assenza di ossigeno…) ed esterno.
La concezione del sistema nervoso come un complesso sistema selettivo caratterizzato da
un’organizzazione dinamica e stratificata fondamentalmente “degenerata”, apre così a una
sorta di “consilience” tra Neuroscienze e fenomenologia, fra Scienza e Filosofia nello studio
della mente e del cervello, in termini di dinamiche popolazionali, popolazioni di gruppi
neuronali e di sinapsi che si formano e si modificano durante la vita dell’organismo in
funzione della sua esperienza e della sua storia individuale.
• In After Phrenology, Anderson ha presentato la struttura del riutilizzo neurale, che si oppone sia
alle viste modulari che a quelle olistiche dell'architettura cerebrale.
• In termini evolutivi, il riutilizzo neurale afferma che il cervello si evolve, non aggiungendo
nuovi moduli specializzati, ma acquisendo nuove funzioni ricombinando le aree locali in modi
nuovi.
• Ontogeneticamente, il riutilizzo neurale coinvolge i processi di differenziazione interattiva (le
aree locali hanno profili diversi e interagiscono in modi diversi in funzione dello sviluppo) e la
ricerca neurale (la sperimentazione attiva di più combinazioni neuronali fino a trovare quella più
appropriata per una specifica abilità, cioè la nicchia neurale di quell'abilità).

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  • 1. Riciclaggio neuronale. Come si è evoluta la nostra mente Prof.ssa Francesca Federico
  • 2. A chi non è mai capitato l’imbarazzante sbaglio di presentarsi due volte alla stessa persona senza averla riconosciuta? B eh, se non sapeste leggere magari potreste risparmiarvelo. E’ quanto emerge da una ricerca condotta da Stanislas Dehaene presso il Dipartimento Neuro-Cognitivo di Saclay, in Francia, e sviluppata seguendo il filo logico della cosiddetta teoria del “Riciclaggio Neuronale”: si tratta di una esplorazione approfondita del cervello umano al fine di disegnarne una mappa di base che spieghi quali regioni intervengono nell’attuazione di certi comportamenti piuttosto che altri.
  • 3. Dehaene e i suoi colleghi hanno effettuato una risonanza magnetica su un campione di persone, di cui 10 incapaci di leggere, 22 che avevano imparato solo in età adulta e 31 con un regolare approccio alla lettura fin dall’infanzia; i ricercatori hanno così tentato di comprendere quali aree del cervello venivano attivate durante la stimolazione tramite testi e immagini. Le scansioni così effettuate hanno naturalmente confermato il coinvolgimento dell’area della forma visiva delle parole, la cosiddetta VWFA (Visual Word Form Area): è quella preposta alla lettura, all’associazione immediata di simoboli a suoni definiti. Nel corso della lettura il terzo gruppo di volontari ha presentato un grado di attività di gran lunga maggiore in quest’area rispetto agli altri, mentre di fronte a una serie di immagini di facce non è accaduto lo stesso: l’attività celebrale risultava infatti ridotta.
  • 4. A seguito di queste sperimentazioni, Dehaene e il suo team di ricerca hanno quindi ipotizzato che, almeno all’interno della VWFA, le attività di lettura e riconoscimento dei volti sono in concorrenza fra loro e probabilmente la capacità di leggere ha in qualche modo “dirottato” una rete di neuroni, intralciando l’abilità nel focalizzare facce. La speculazione in merito ai risultati della sperimentazione è tuttora in corso: si tratta di ipotesi ancora da verificare, ma i dati appena conquistati rappresentano un nuovo, interessante punto di partenza.
  • 5. • Le Neuroscienze cognitive hanno l’ambizioso obiettivo teorico di individuare e comprendere, dunque spiegare ed eventualmente – ove la patologia lo rendesse necessario – modificare, i meccanismi neurobiologici della mente, presupponendone la cosiddetta “emergenza” come prodotto dell’interazione costitutiva tra specifici processi cerebrali, corpo, e ambiente dell’organismo.
  • 6. La mente è embodied ed embedded, incarnata in un contesto corporeo, interno, e al tempo stesso costitutivamente inserita in un contesto relazionale, esterno; incarnata e relazionale, queste le due caratteristiche fondamentali della mente. • Lo scopo è dunque quello di comprendere in quali modi si dia questa emergenza delle funzioni mentali a partire dalle proprietà del cervello come sistema complesso, dinamico e plastico, nelle sue interazioni con l’intero corpo dell’organismo e con il suo “ambiente di vita” inteso anche, e per certi versi soprattutto, come ambiente sociale e culturale.
  • 7. • “La mente è il prodotto delle interazioni fra esperienze interpersonali e strutture e funzioni del cervello (…) emerge da processi che modulano flussi di energia e di informazioni all’interno del cervello e fra cervelli diversi (…) si forma all’interno delle interazioni fra processi neurofisiologici interni ed esperienze interpersonali. Lo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende dalle modalità con cui le esperienze, e in particolare quelle legate a relazioni interpersonali, influenzano e modellano i programmi di maturazione geneticamente determinati del sistema nervoso. In altre parole, le ‘connessioni’ umane plasmano lo sviluppo delle connessioni nervose che danno origine alla mente”
  • 8. In questo contesto teorico di riferimento due cardini fondamentali della concezione attuale del sistema cognitivo e del cervello sono la differenziazione e l’integrazione; due concetti che hanno avuto fin dall’Ottocento una storia significativa nella storia delle Neuroscienze e una grandissima valenza propulsiva per lo sviluppo di teorie e modelli della mente e del comportamento • Il cervello non può essere concepito come una macchina neuronale, astratto ed “estratto” dal corpo e dall’organismo nella sua interezza, dalle relazioni e dall’ambiente: “gran parte della fisiologia cerebrale non è né hardware,né software. Piuttosto è una ‘fisiologia umida’, come fluidi, ormoni, trasmettitori, sostanze biochimiche ed endocrine – tutte cose per le quali il cervello risulta essenzialmente connesso con il corpo intero e con il resto della fisiologia nella sua globalità”.
  • 9. Cervello ad architettura aperta • Differenziazione e integrazione caratterizzano gli stati di coscienza, la loro peculiare enorme variabilità e al tempo stesso la chiara dimensione unitaria della mente nel suo complesso; e le Neuroscienze cognitive ne indagano i meccanismi neurali e li individuano nelle caratteristiche del cervello come organo “ad architettura aperta”. È l’eterno tentativo umano di entrare nei grovigli, e scioglierli, del “nodo cosmico” (Schopenhauer 1813). Le basi neurali della coscienza e delle diverse funzioni cognitive sono individuate nei complessi processi sistemici che plasmano continuamente la fisionomia del cervello in relazione al suo funzionamento (o alle sue disfunzioni). Dunque la plasticità, la variabilità, così come la dimensione storica e costitutivamente relazionale, sono considerate caratteristiche essenziali del cervello e della mente, nel loro consentire all’organismo di interagire con l’ambiente nelle innumerevoli e imprevedibili circostanze che possono verificarsi.
  • 10. • Come fa il cervello a organizzare, generalizzare e integrare informazioni e azioni, percorsi sinaptici e circuiti neurali? L’assunto di base è la natura non meccanica del sistema nervoso: piuttosto che un sistema reattivo basato sul meccanismo input-output, stimolo-risposta, esso è un sistema dinamico che si auto-organizza, “un sistema nel quale un cambiamento nel funzionamento di una singola parte può causare una riorganizzazione radicale dell’intero sistema”.
  • 11. • Gerald Edelman formula una teoria selezionistica del cervello– che potremmo assumere come relativamente emblematica, se non proprio paradigmatica, rispetto allo stato attuale delle Neuroscienze cognitive – in cui ridondanza, complessità, plasticità, dimensione storica e individuale si pongono come termini fondamentali per una concezione dello sviluppo del cervello e del suo funzionamento fortemente stocastica ed epigenetica. • Ogni cervello è necessariamente unico quanto a struttura anatomica e dinamica poiché le mappe e le connessioni sono continuamente modificate non solo da ciò che percepiamo, ma anche da come ci muoviamo, dalla nostra esperienza quotidiana nel mondo e dalle nostre relazioni sociali.
  • 12. • Strutture o circuiti corticali diversi possono svolgere la stessa funzione o produrre lo stesso output. Edelman si riferisce a questa caratteristica col termine degeneracy, che indica proprio una caratteristica dei sistemi complessi per cui in certe situazioni strutture diverse possono produrre lo stesso risultato; e in base a questa caratteristica egli spiega come le reti cerebrali straordinariamente complesse e degenerate siano incarnate in un modo che tramite processi di carattere epigenetico determina innumerevoli repertori di variabilità al livello delle strutture anatomiche e nei collegamenti fra gruppi di neuroni, variando di fatto da individuo a individuo. • La degeneracy emerge come proprietà fondamentale dell’evoluzione stessa, al tempo stesso una condizione di possibilità e un prodotto della selezione naturale: “L’evoluzione e la selezione naturale sono necessariamente accompagnate dalla degeneracy. Essa è un prerequisito della selezione naturale perché questa può operare solo in una popolazione di organismi geneticamente differenti, poiché in tutti i sistemi selettivi di regola esistono molti modi differenti, non necessariamente identici in senso strutturale, mediante il quale si può manifestare un segnale in uscita.
  • 13. • Ciò si pone come condizione di possibilità della “evolvability” di un sistema: l’intersezione funzionale dinamica delle strutture nervose e la loro riconfigurazione costante in funzione dei cambiamenti ambientali consentono infatti di modificare funzioni, capacità e comportamenti. • E nello stesso tempo la degenerazione delle reti nervose consente gli “aggiustamenti” compensativi che si verificano in molti disturbi neurologici: lesioni cerebrali localizzate, infatti, rivelano spesso percorsi alternativi che possono produrre comportamenti simili. • In un sistema degenerato, vi sono molti modi diversi per generare un determinato segnale in uscita, e il cervello ha percorsi diversi per produrre uno stesso comportamento nell’organismo.
  • 14. • L’enorme variabilità e individualità della struttura e della funzione dei singoli cervelli dei vertebrati si basa su cambiamenti che riguardano l’organizzazione cerebrale a tutti i livelli, dalla biochimica alla morfologia macroscopica, cambiamenti che modificano incessantemente in funzione dell’esperienza il numero e la “forza” delle miriadi di sinapsi che collegano circuiti e percorsi nervosi. • Con una recente tecnica di imaging, la “microscopia a due fotoni”, è stato possibile osservare che le sinapsi si creano e vengono eliminate nel corso di tutta la vita, e che le sinapsi variano la loro forza col cambiamento nelle dimensioni delle spine dendritiche.
  • 15. • “Per quanto intricata possa essere le microstruttura delle connessioni neuronali, questa intricatezza è ulteriormente accresciuta dal numero di interazioni diverse, nello spazio e nel tempo, che possono generarsi nella trasmissione sinaptica. Il cervello contiene una varietà di sostanze chimiche diverse, dette neurotrasmettitori e neuromodulatori, che si legano a una varietà di recettori e agiscono su vari percorsi biochimici. L’identità chimica di questi neurotrasmettitori e dei loro recettori, la statistica del loro rilascio, il tempo e il luogo delle interazioni elettriche e biochimiche, tutti questi fattori determinano le soglie di risposta dei neuroni in un modo straordinariamente complesso e variabile. Inoltre, come conseguenza del rilascio dei neurotrasmettitori, non solo si produce il segnale elettrico, ma si producono anche cambiamenti nella biochimica e perfino nell’espressione genica dei neuroni coinvolti. Questa ‘intricatezza’ molecolare e le dinamiche che ne derivano sovrappongono molti livelli ulteriori di variabilità a quello neuroanatomico, contribuendo a quella che può essere chiamata la unicità storica di ciascun cervello. Metaforicamente, possiamo dire di ospitare una giungla nelle nostre teste”[15]. Variabilità, differenziazione e al tempo stesso integrazione, caratterizzano il nostro cervello tanto quanto la coscienza. E cambia senza sosta lo schema complessivo delle connessioni tra i neuroni del nostro sistema nervoso: il cosiddetto “connettoma”[16].
  • 16. • “Connettoma” è un nuovo termine che chiaramente richiama la Genomica, non l’Ingegneria (“diagramma di cablaggio”), proprio a indicare la natura dinamica, plastica e non deterministica del funzionamento cerebrale. • Considerando centrali per l’organizzazione e il funzionamento del cervello plasticità, degeneracy e neuromodulazione (in quanto caratteristiche del sistema), la connettomica si propone di studiare le “circuit properties” e il modo in cui funzionano i circuiti nervosi, individuando delle “wiring maps” che incorporino nella struttura l’informazione sulla propria attività in continuo cambiamento. • L’obbiettivo è duplice: individuare nella connettività neurale patterns di connettività, e correlare la connettività neurale con il comportamento.
  • 17. • Una “connection map” si pone naturalmente come sistema dinamico altamente complesso: “Molti percorsi di scarica possono contribuire a determinare proprietà di un circuito non facilmente prevedibili. In aggiunta, ci sono molti ‘percorsi in parallelo’ in cui due neuroni sono connessi tramite due o più vie sinaptiche, una diretta e varie altre indirette. (…) Sebbene sappiamo come operi la maggior parte dei neuroni, non sappiamo come agisca la maggior parte delle connessioni, non sappiamo quali connessioni chimiche siano eccitatorie o inibitorie, e non possiamo prevedere facilmente dal diagramma di scarica quali siano le connessioni più importanti”[
  • 18. • Si conoscono quattro tipi fondamentali di cambiamento neuronale: i neuroni adattano, o “ripesano”, le loro connessioni rinforzandole, oppure indebolendole; si “riconnettono” creando ed eliminando sinapsi; riformano i circuiti (si “ricablano”) facendo crescere e ritraendo le ramificazioni; infine, nuovi neuroni sono creati mentre quelli esistenti vengono eliminati attraverso la “rigenerazione”. • Geni ed esperienza forgiano il nostro connettoma in base a quattro modalità di cambiamento di cui godono le sinapsi: Ripesatura, Riconnessione, Ricablaggio e Rigenerazione. • Richiamando le riflessioni di William James (1890) sul carattere mutevole e al tempo stesso unitario della coscienza e sul suo flusso continuo, oggi chi guarda al connettoma vi vede il possibile substrato neurobiologico: “ogni fiume ha un letto, e senza questo solco nella terra l’acqua non saprebbe in quale direzione scorrere. Ecco… dal momento che il connettoma definisce le vie di scorrimento dell’attività neurale, possiamo considerarlo il letto del fiume della coscienza. È una metafora molto potente. Nel lungo periodo, come l’acqua del fiume plasma lentamente il letto, così l’attività neurale cambia il connettoma”.
  • 19. • Nel secolo scorso, col rinnovato interesse della Psicologia per il corpo e il cervello dopo la fine dell’egemonia comportamentista che li aveva di fatto esclusi dall’indagine psicologica, la riformulazione “scientifica” del principio dell’associazione/connessione avviene per opera di Hebb (1949) che conia l’espressione “assemblee cellulari” proprio per indicare il valore fondamentale dell’associazione e della integrazione fra neuroni per le funzioni cognitive superiori. Kandel in seguito ne fa il meccanismo esplicativo per una concezione dinamica e costruttiva della memoria e dell’apprendimento
  • 20. • Ma proprio la specificità del cervello, la complessità dinamica della sua organizzazione e del suo funzionamento, richiamano l’attenzione sulle difficoltà teoriche, in alcuni casi logiche, del progetto di mappare l’attività neurale e collegarla al comportamento. “Ciascun diagramma di scarica codifica molti possibili output di un circuito (…) ci sono ‘percorsi paralleli’, vale a dire molteplici percorsi tramite i quali un neurone può influenzarne un altro. Simili percorsi paralleli possono essere concepiti come degenerati, poiché possono creare molteplici meccanismi tramite i quali l’output di rete può modificarsi in stati diversi. (…) Circuiti divergenti hanno un punto di avvio comune e producono risultati differenti. (…) Non è possibile ‘leggere’ un connettoma se esso è intrinsecamente ambiguo, codificando due comportamenti diversi.
  • 21. • La neuromodulazione riconfigura le proprietà di un circuito. Le connessioni funzionali che costituiscono il risultato di un circuito specifico sono specificate, o più propriamente ‘configurate’, dall’ambiente prodotto dalla neuromodulazione. Ogni sinapsi e ogni neurone sono soggetti alla neuromodulazione: il diagramma di connettività, in sé, stabilisce solamente potenziali configurazioni di un circuito le cui proprietà dipendono criticamente da quanti e quali neuromodulatori sono presenti in un dato momento. In certe condizioni di modulazione, connessioni sinaptiche anatomicamente ‘presenti’ possono essere funzionalmente silenti, rafforzandosi e attivandosi solo in diverse condizioni modulatorie. (…) Gli effetti della neuromodulazione possono attivare oppure silenziare un intero circuito, cambiarne la frequenza e/o le relazioni di fase del pattern motorio prodotto.
  • 22. • I neuromodulatori sono di importanza fondamentale in tutti i sistemi nervosi, e operano come mediatori-chiave di stati motivazionali ed emozionali quali il sonno, l’eccitazione, lo stress, l’umore e il dolore. Per arrivare a comprenderne le dinamiche di rilascio e i loro effetti sui circuiti, sono necessari nuovi metodi che ci consentano di monitorare la neuromodulazione in vivo. (…)L’esistenza di circuiti paralleli e della neuromodulazione significa che la sola connettività non può fornirci l’informazione sufficiente a prevedere il fisiologico output dei circuiti (…). Le dinamiche neuronali plasmano l’attività dei circuiti”.
  • 23. • E se le caratteristiche dei circuiti nervosi sono complessità cellulare, interconnettività estensiva, percorsi paralleli con sinapsi chimiche ed elettriche, degeneracy e neuromodulazione, evidentemente uno stesso wiring diagram può produrre dinamiche anche molto diverse con circuiti e parametri diversi, così come circuiti e meccanismi diversi possono produrre dinamiche oscillatorie simili. • Il comportamento emerge dal sistema nervoso nel suo complesso e l’approccio riduzionistico a questo livello non è applicabile non essendo possibile comprenderne i “singoli pezzi” in isolamento e in una sorta di “fermo-immagine”.
  • 24. • Ciò espone la connettomica, e più in generale gli approcci volti a “localizzare per capire”, a critiche epistemologiche relative a presupposti teorici, approcci, metodologie e obbiettivi conoscitivi; “Molteplici sensazioni e comportamenti diversi utilizzano gli stessi neuroni in modi diversi. I neuroni possono cambiare rapidamente il proprio ruolo funzionale in risposta a segnali chimici come i peptidi, o altri neuromodulatori o livelli di attività. A causa di questa flessibilità non è possibile attribuire una specifica funzione a un neurone senza conoscere lo stato comportamentale – qualcosa che è invisibile nella connettomica”.
  • 25. • E il riferimento al comportamento, all’esperienza individuale, alle relazioni e alla cultura sottolinea le criticità dell’approccio neuro-scientifico a quelle che già Vygotskij aveva definito “funzioni extracorticali” e che oggi alimentano la cosiddetta Brain Plasticity Revolution con l’idea di un costante “rimodellamento cerebrale tramite cambiamenti ‘plastici’ che rivedono continuamente le capacità dettagliate di controllo operativo dei nostri cervelli individuali e li dotano di enormi magazzini di informazione culturalmente specifica”.
  • 26. • Le Neuroscienze cognitive contemporanee guardano alla mente come a un insieme di processi fisici radicati nel corpo di ogni individuo; processi frutto della selezione naturale e della selezione dei gruppi neuronali. La coscienza è dunque una proprietà dinamica di un tipo speciale di morfologia, l’architettura aperta del cervello alle esperienze dell’organismo nelle sue interazioni con l’ambiente interno (sostanze nutritive, ormoni, tossine, farmaci, presenza o assenza di ossigeno…) ed esterno. La concezione del sistema nervoso come un complesso sistema selettivo caratterizzato da un’organizzazione dinamica e stratificata fondamentalmente “degenerata”, apre così a una sorta di “consilience” tra Neuroscienze e fenomenologia, fra Scienza e Filosofia nello studio della mente e del cervello, in termini di dinamiche popolazionali, popolazioni di gruppi neuronali e di sinapsi che si formano e si modificano durante la vita dell’organismo in funzione della sua esperienza e della sua storia individuale.
  • 27. • In After Phrenology, Anderson ha presentato la struttura del riutilizzo neurale, che si oppone sia alle viste modulari che a quelle olistiche dell'architettura cerebrale. • In termini evolutivi, il riutilizzo neurale afferma che il cervello si evolve, non aggiungendo nuovi moduli specializzati, ma acquisendo nuove funzioni ricombinando le aree locali in modi nuovi. • Ontogeneticamente, il riutilizzo neurale coinvolge i processi di differenziazione interattiva (le aree locali hanno profili diversi e interagiscono in modi diversi in funzione dello sviluppo) e la ricerca neurale (la sperimentazione attiva di più combinazioni neuronali fino a trovare quella più appropriata per una specifica abilità, cioè la nicchia neurale di quell'abilità).