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CONOSCERE IL BALDO – GARDA
II° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI
AMBIENTALI
1° INCONTRO: GIOVEDI’ 03 MARZO 2016
“CONOSCERE IL PERCORSO DEL NORDIC WALKING PARK DI
BRENZONE”
RELATORE: PROF. MAURIZIO DELIBORI
Brenzone tra Lago e Baldo, valori ambientali e storici.
Questa sera facciamo la prima carrellata perché effettivamente, come ogni territorio ma in particolare
il vostro territorio di Brenzone è, da questo punto di vista, abbastanza fortunato perché ha una serie di
ambienti diversi e mette insieme lago e montagna, perché partendo dal lago, a 65 metri a livello marino
fino a 2200 metri di Cima Telegrafo, è un po’ tutto un excursus di zone, di fasce vegetali, che vedremo
nella prossima lezione, ma anche di paesaggi e di contrade, di territori veramente diversi e in un certo
senso unici, perché pochi comuni possono vantare un territorio così ampio, non tanto come ampiezza di
superficie ma di caratterizzazioni diverse, di paesaggi diversi. Già solo il fatto di dire partiamo dal lago
e in giornata, per buoni camminatori, si può arrivare fin sulle creste, è una caratteristica che in pochi
altri comuni è presente. Questo territorio, estremamente vario, estremamente ricco, ha appunto una
serie di valori, naturalistici prima di tutto, che cercheremo di vedere questa sera dal punto di vista
“aspetti geologici, geografici, ecc.” e poi vedremo anche quelli antropici * che riguardano tutta la fascia
degli insediamenti, che è soprattutto quella medio-bassa e quindi fino a circa 1000 metri, tenendo però
presente che anche sopra questa quota c’è la fascia delle malghe, che sono poche però ci sono, e quindi
tutto il territorio è stato antropizzato. Qualcuno potrebbe dire che forse le creste un po’ meno, in
realtà anche queste sono state antropizzate: se pensiamo 100 anni fa, durante la Prima Guerra
Mondiale, della quale stiamo celebrando il Centenario appunto, erano proprio frequentatissime,
addirittura la mulattiera di cresta e le strade che salgono verso il Rifugio Telegrafo, che peraltro non
hanno mai raggiunto, per fortuna, perché si sono fermate nella Val delle Nogare, erano strade militari
che a quel tempo stavano pensando di costruire per arrivare addirittura fino al Telegrafo. Quindi tutta
la montagna era stata “antropizzata” e quindi cercheremo di vedere anche questi aspetti storici che ci
sono su questo territorio.
La prima cosa che si fa, e voi che fate pratica di escursionismo, veloce o meno veloce non ha
importanza, è quello proprio di “vedere” i territori, perché è la prima percezione che noi abbiamo
quando andiamo in un qualsiasi territorio e il vostro è particolarmente evidente, non dico bello, ma
* L'antropizzazione (dal greco ànthrōpos uomo) in geografia ed ecologia è l'insieme degli
interventi dell'uomo sull'ambiente naturale, con lo scopo di trasformarlo o adattarlo, o anche
alterarlo.
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particolarmente evidente perché mettendo insieme una vasta quantità di acqua come quella del lago,
i rilievi che ha alle spalle con il Monte Baldo e anche quelli di fronte che comunque creano scenografia,
creano paesaggio, ed elementi antropici che emergono, il geografo Eugenio Turri (SCHEDA 1) li
chiamava “iconemi*” cioè le immagini della memoria che una persona si ricorda, per esempio un campanile
si ricorda sempre perché è un punto evidente, alto, emerge; allo stesso modo potrebbe essere la torre
come la Torre Colombara di Biaza, il campanile di Sant’Antonio o altri posti nei vari centri, e direi di più:
addirittura noi ci ricordiamo certi colori. Pensiamo alla fascia dell’oliveto con quel colore caratteristico,
unico, che ha l’oliveto, è un inserimento antropico in quanto non è sempre esistito ma c’è dall’epoca
Romana. E’ un inserimento che fa parte di questo tipo di paesaggio che non troviamo in altri contesti, è
una rarità, un qualche cosa di specifico che crea una identità. Quindi gli icomeni, queste immagini della
memoria, sono quindi le immagini della nostra identità ed è quello che noi dovremmo percepire subito, in
un territorio. Cercare quindi, anche automaticamente, di vedere ma non solo con gli occhi, capire cosa
c’è dietro l’immagine di questi emblemi che ci sono sul territorio.
Il territorio di Brenzone è veramente vasto; va dalle sponde del lago, e qua ci sarebbe da dire le sponde
attuali del lago, quelle che vediamo adesso, che non erano così trent’anni fa e non erano così
cinquant’anni fa, e ci sarebbe tutto un discorso da fare sulla trasformazione del paesaggio, che c’entra
nel discorso nel momento in cui noi vogliamo vedere un territorio in modo intelligente, e questo significa
che a volte bisognerebbe prendere la fotografia di cento anni fa e cominciare a confrontare cosa è
successo in questi cento anni, vedere le trasformazioni, non per dire che questo lo buttiamo via, ma per
capire come si è trasformato il territorio. Perché la realtà è che il territorio si è trasformato. Capiamo
in che tempi ciò è avvenuto. Si potrà vedere che le trasformazioni principali non sono quelle di
50/60/70 anni fa, ma sono avvenute negli ultimi 30/40 anni, anzi, più verso i 30. Quindi, capire anche
come si è velocizzata questa trasformazione, al di là del bello o del brutto, che possa piacere o meno, ci
fa porre una domanda: possiamo velocizzare sempre di più queste trasformazioni o dobbiamo
rallentare? Questo è un ragionamento che può venir fatto.
Altra cosa, il paesaggio noi dobbiamo vederlo non solo dal di dentro ma anche spostandoci al di fuori,
quindi andare qualche volta anche nell’altra sponda del lago perchè così ci rendiamo conto di come
effettivamente è il nostro territorio. Vediamo questa asperità, con la montagna che sale brutalmente
quasi, per 2000 metri alle spalle del lago e, nello stesso tempo, in questi giorni la possiamo vedere metà
imbiancata e metà no. Questo ovviamente dipende da un fattore climatico che vedremo la prossima
volta, che sta cambiando, perché adesso la vediamo così ma se l’avessimo vista 30 anni fa la neve si
sarebbe potuta trovare fino addirittura sulle sponde del lago. Questo dipende da circa un mezzo grado
e anche un grado di temperatura in più che è un discorso globale e non specificatamente di questo
luogo, e la prima che ne risente è proprio la neve: basta un grado, se invece di aver zero gradi ce n’è uno
non nevica ma piove.
Un altro paesaggio che troviamo è Campo, raggiungibile attraverso mulattiere, altro iconema del
paesaggio, le mulattiere tradizionali che risalgono verso la zona di Prada. A parte il carico di significati
che è stato dato a questo borgo, perché disabitato, non raggiunto da strade percorribili, perché si
vuole tentare di mantenerlo, con fatica perché il fatto di mantenere un centro che è raggiungibile quasi
*ICONEMA: Con il termine iconema si definiscono quelle unità elementari di percezione, quei
quadri particolari di riferimento sui quali costruiamo la nostra immagine di un paese.
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esclusivamente a piedi non è facile e non è facile poi recuperare tutti gli insediamenti che ci sono,
pensiamo all’ex castello di Campo che si dovrà arrivare a sistemarlo.
Altre osservazioni che si possono fare:
siamo al limite dell’oliveto, che termina con Campo, poi con lo scalino superiore comincia la vegetazione
dell’orno ostrieto dove vedremo che anche lì c’è un cambiamento abbastanza interessante.
Se però noi andiamo a vedere all’interno dei territori, andiamo per esempio nella Chiesetta di San
Pietro, ci troviamo altre immagini che sicuramente abbiamo visto, cioè il circolo delle pitture che ci sono
all’interno, che sono bellissime e al di là di bellissime, sono molto importanti dal punto di vista anche
storico-artistico perché ci danno un’idea di come questo territorio, nel 1400 – 1500 fosse frequentato,
utilizzato, era importante per le popolazioni di allora che si potevano permettere anche una decorazione
così ricca all’interno di una chiesetta.
Comunque se parliamo di questi centri che sono ormai posti all’altezza di Campo, quindi siamo tra i 200 e
i 300 metri di quota: i vecchi borghi. Biaza, Fasor, Campo e andiamo avanti fino a Sommavilla, sempre
comunque non sul lago ma un po’ più in alto, ma perché questo? Perché erano i centri più antichi che, in
modo intelligente, sono stati costruiti non direttamente sul lago ma un po’ sopra perché esisteva
un’economia mista, che faceva leva sicuramente sulla fascia dell’uliveto che era presente, ma che nello
stesso tempo permetteva di scendere velocemente fino al lago ai pescatori (un po’ tutti i contadini
facevano anche i pescatori) ma nello stesso tempo permetteva di salire nella montagna, i Mont non a
caso si chiamano così, fino in Prada ma anche sopra per l’utilizzo del bosco, per l’utilizzo del castagno,
per l’utilizzo dei pascoli, quindi una sistemazione intermedia che, tra l’altro, era anche più difendibile,
dove passava l’antica, unica, mulattiera di costa, che da S. Vigilio a Garda, attraverso i Castèi, Crero,
Pai, continua fino ad arrivare a Malcesine restando sempre in quota. Il lago non aveva la strada, è stata
portata tardi, negli anni Venti del secolo scorso in certi tratti, addirittura tra Malcesine e Riva negli
anni Trenta, quindi molto tardi; lo stesso vale per l’altro versante. Questo perché allora il modo più
importante di spostarsi era via lago, con le imbarcazioni. Allora ci viene un’altra domanda: perché le
nostre popolazioni parlano un dialetto che prende molto, come vocaboli, come termini, dal Bresciano,
come lo stesso quelli dell’altra parte prendono da questa? Perché c’è stata una comunicazione molto
veloce, trasversale, via imbarcazioni. Ma c’era un legame economico, si può dire anche socio-economico.
Quando c’era bisogno di manodopera, da una parte o dall’altra, si andava a prenderla, quindi lo scambio
era molto maggiore in questo senso. Se oggi dovessimo guardare i traghetti o le comunicazioni che
abbiamo, effettivamente è molto modesto rispetto a quello che era una volta. In barca, in qualche ora si
arrivava dall’altra parte senza nessun problema.
Quindi si vede quanti elementi da lettura del paesaggio possiamo ricavare.
Il territorio di Brenzone, come sappiamo, non era un unico centro, tra l’altro Brenzone non esiste,
sappiamo che è un policentro, ossia un centro composto da tanti borghi con nomi diversi, dove il centro
comunale è Magugnano. Brenzone quindi indica come terminologia un territorio ma non un paese. Quindi
c’è anche questa polifunzionalità policentrica, e il fatto stesso che Castelletto sia stato effettivamente
Comune autonomo, fino a non tantissimo tempo fa, circa un secolo, quando è stato poi assorbito dal
territorio e inserito in quello che diventerà Brenzone, ma era comunità autonoma e quasi tutti i centri
di Brenzone sono stati, soprattutto in epoca Veneta, delle piccole comunità autonome. Qua ci sarebbe
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tutto un discorso da fare sulla fine dell’800 che è stata importantissima: i Santi che noi abbiamo a
Castelletto, dove abbiamo avuto la fortuna che si sia creata in questo centro, una particolare religiosità
che ha portato poi alla Congregazione e a questi Santi che qui sono vissuti, negli ultimi decenni dell’800
appunto e che hanno creato quella che poi diventerà la Comunità religiosa che vediamo adesso.
Se noi ci spostiamo da Castelletto verso Sud arriviamo a San Zeno de l’Oselet, altro iconema: il
campanile di San Zeno de l’Oselet si può vedere da qualunque posizione si sia, anche da quasi 1800 metri
di altezza, se andate all’inizio di alcuni cicli glaciali, per esempio quello delle Buse, da lì si vede il
campanile della chiesetta. Il nome San Zeno de l’Oselet deriva dalla tradizione popolare, appunto
perché l’Oselet era visibile da ogni posto, non a caso gli scavi che hanno portato alla scoperta, intorno
agli anni 200, di questa villa romana, ci dicono che, proprio perché era un luogo importante anche dal
punto di vista strategico, era abitato e frequentato già in epoca romana e quindi la persistenza della
chiesa si somma ad una precedente.
Spostandoci un po’ più a Nord, Porto sembra quasi una punta con il Baldo alle spalle, visto dal lago si
osserva tutto il territorio di Brenzone, partendo dal lago fin sulla cresta. Si notano anche le diversità
di colore delle fasce altimetriche. Vediamo però come la fascia dell’uliveto, che è la prima, sia stata
molto antropizzata, si vedono le nuove costruzioni inserite all’interno. Queste cose dobbiamo essere in
grado di osservarle nel momento che andiamo a vedere un territorio.
Altri iconemi tradizionali: strutture spesso in legno che erano attaccate alle case, aggiunte in un certo
senso, le strutture stesse delle abitazioni, alcune corti o corticelle fortificate all’interno dei paesini, la
caratteristica di avere le abitazioni in buona parte con un porticato al piano terra, a volta o anche con
la cantina a volto, l’abitazione al primo piano con la scala esterna, sono tutti motivi ricorrenti
tradizionali che noi ritroviamo nelle costruzioni tipiche di tutto il territorio di Brenzone, e questi
dobbiamo saperli riconoscere, così come riconosciamo chiaramente le chiesette, i campanili che si
vedono in quanto collocate in punti dove era non soltanto importante vederli ma anche sentirli; una cosa
che purtroppo stiamo perdendo è l’udito, una volta le campane segnavano la giornata e quindi era
importante sentirle, era importante quindi collocare i campanili, e quindi le chiese a loro vicine, in posti
che potessero rimandare il suono, che era importante sentire perché era proprio l’orologio che scandiva
la giornata, ma non solo, scandiva anche la vita del paese: quando nasceva un bambino o moriva una
persona, c’erano dei suoni di campana che erano come dei messaggi, la gente, anche a un chilometro di
distanza, sapeva che era successo qualcosa. Questo l’abbiamo perso completamente, oggi non è più come
allora, c’è ancora il suono delle campane ma non ha più questa motivazione.
Terminiamo con Assenza dove c’è un’altra chiesetta che è un gioiello proprio per il ciclo di pitture che
sono all’interno, che fra l’altro sono probabilmente le più antiche come tipologia di affreschi che sono
stati fatti nel territorio di Brenzone.
Quante altre forme di religiosità abbiamo sul nostro territorio?
Tutti i capitelli che segnano i punti importanti di incrocio, perché era lì che bisognava fare i capitelli,
non lungo la strada, dove venivano fatti se succedeva qualche disgrazia o per ex voto, ma se non c’erano
queste motivazioni impellenti, il capitello andava posizionato dove la gente era costretta a passare e
quindi venivano creati proprio negli incroci, nei punti di maggior passaggio. Ce ne sono tanti nel
territorio di Brenzone proprio sulle direttrici che vanno verso l’alto, nelle vie trasversali, e va ricordato
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anche tutto il lavoro che è stato fatto, anche dal CTG, di recupero e di restauro di questi capitelli, che
sono una testimonianza, una memoria che non deve essere dimenticata.
La pietra di Castelletto è una delle memorie più antiche che abbiamo nel nostro territorio e andrebbe
valorizzata ancora di più.
Riusciamo a risalire all’Età del Bronzo con le incisioni più antiche che ci sono su questa pietra, che poi
sono state modificate anche da altre perché le pietre incise, che ci sono un po’ su tutto il territorio da
San Vigilio a Malcesine, sono state a volte proprio ripercorse dalle persone che le frequentavano che
quindi continuavano ad incidere anche perché trovavano già la forma incisa precedentemente e la
modificavano. Però le più antiche le troviamo, per esempio le armi, questi grandi spadoni, queste asce
che sono fra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro, queste sono importantissime. Anche le piccole figure
umane stilizzate sono una testimonianza. Sarebbe da fare una testimonianza anche con le pitture che
abbiamo detto prima che sono risalenti al 1100 al 1200 al 1300 e che danno un’idea della raffigurazione
umana nel corso di millenni e noi abbiamo la fortuna di averla in questo territorio. Quindi qua parliamo
non soltanto più di immagini della memoria ma di immagini simbolo, di simbologie che ci sono nel nostro
territorio e che noi dovremmo cercare di riconoscere e collocarle in modo intelligente nel territorio nei
loro significati originari.
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In seguito c’è tutta la architettura popolare. Quando noi vediamo una calchèra, che oggi non è più
utilizzata ma che una volta erano di fondamentale importanza, soprattutto in quella fascia tra i 200 e i
300 metri, se una famiglia decideva di costruirsi una casa, se non aveva la calce, se non aveva la
possibilità di avere a disposizione queste calchère, difficilmente riusciva a farsela.
Abbiamo fatto alcuni flash per dire come il territorio di Brenzone sia ricco di simbologie, è ricco di
testimonianze che noi, nel momento che lo percorriamo a piedi, che è poi lo scopo che ci poniamo,
dobbiamo saper riconoscere, prima di tutto per noi ma anche per poterle presentare alle persone che
vengono con noi, in quanto il compito degli animatori è quello di farsi da tramite fra quello che si
conosce e le persone che si avvicinano a questo territorio.
In modo sistematico sono circa 50 chilometri quadrati di territorio, quindi è un bel territorio. 2500
abitanti, non sono tantissimi per questo territorio ma … in estate quanti sono gli abitanti? Rendiamoci
conto di questo: 50 kmq di territorio per 2500 persone sono più che sufficienti anzi la densità non è
elevatissima ma teniamo presente del “fattore turismo” che è fondamentale. E’ la fonte del clima di
benessere di questo territorio, non bisogna nasconderlo, è stata ed è la fonte prima di benessere. Però
il turismo va governato, non dico regolamentato, perché altrimenti rischia di prenderci la mano e di
diventare ingovernabile, nel senso che se noi non lo programmiamo rischiamo veramente di avere un
sovraffollamento che può arrivare a distruggerci il bene del nostro territorio. Si tratta quindi di
essere intelligenti e di dire che il territorio lo programmiamo, non serve chiudere niente, bisogna solo
programmare il territorio nel tempo; questo significa programmarlo perché lo possiamo usufruire noi,
ma anche i nostri figli e anche le generazioni successive, perché anche loro avranno diritto e dovere di
utilizzare questo territorio.
Detto questo, si può vedere che c’è un confine netto con Malcesine. Il confine è la Valle del Torrente,
che è una valle perpendicolare al lago e che sale praticamente fino al Telegrafo. E’ una valle netta che
separa il territorio di Brenzone da quello di Malcesine. A Sud arriviamo praticamente verso Pai con il
territorio di Torri. Nella fascia intermedia abbiamo sempre Torri in parte ma soprattutto abbiamo san
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Zeno di Montagna che fa da confine Sud Orientale. In questa larga fascia c’è una costa abbastanza
lunga che comprende quelli che una volta erano i due comuni, quello di Castelletto e Magugnano,
Marniga, Porto messi insieme, che erano un’altra comunità e che alla fine fondendosi insieme hanno
creato il Comune di Brenzone. Al di là di questo noi dobbiamo tener presente che questa zona è
innanzitutto una zona con una pendenza moto accentuata e che viene suddivisa come si vede in questa
immagine ….. fatta dalla Pro loco con vista dall’altra sponda dove ci si rende conto di come sono fatte le
vallate e che cosa c’è dietro ai centri della costa: intanto la fascia fino ai 200 – 300 metri e queste
profonde valli di cui la Valle del Torrente è quella a Nord, poi c’è la Val Mazzana, la Valle delle Nogare,
molto profonda che va su fino al Telegrafo, ma in mezzo ci sono queste punte, queste grandi pale e qui
vedremo perché ci sono. Poi si vede che a un certo punto, intorno ai 1000 metri, c’è come un ripiano,
cessa la pendenza, e quel ripiano è stato fondamentale per lo sviluppo antropico e l’utilizzo della
montagna da parte degli abitanti di Brenzone perché in questo modo, lì potevano fermarsi ed è nata
quella che sarà Prada, da lì e in parte anche più sopra sono nate le malghe che ci sono ancora adesso nel
territorio di Brenzone. Quindi è un territorio molto segnato da delle forme ben evidenti e, tra l’altro, di
difficile percorso, perché trasversalmente, a parte la mulattiera che è alla base, peraltro è un sentiero
del CAI, non ci sono sentieri. Dalla Valle del Torrente c’è un unico sentiero che è da recuperare, che,
dall’Eremo dei Santi Benigno e Caro, scende nella Valle del Torrente appunto e risale a Malga Brione.
Diciamo che c’era perché adesso è quasi impraticabile. Ma era l’unica strada che attraversava, a una
quota di circa 800 – 900 metri, in quota. Altrimenti non ci sono attraversamenti, se non sopra le creste
o sotto. Questo perché ci sono questi valloni che chiudono la possibilità di un attraversamento. Tra
l’altro sono valloni terribili, ogni tanto qualche turista si perde, magari da una pala vedono il lago,
scendono nella valle sottostante e diventa molto pericoloso, perché ci sono dei salti rocciosi che magari
all’inizio sono facili da fare ma se succede qualcosa poi si rimane là, come è successo più di una volta.
Non si riesce più a risalire e nemmeno a scendere. Sono dei limiti invalicabili del nostro territorio e
bisogna tener conto anche di quello. Ma la nostra gente, in passato, lo sapeva. Lì non ci sono sentieri,
non ci sono possibilità di attraversamento e loro lo avevano capito.
Più sopra si arriva al Telegrafo, alla sommità della Valle delle Nogare si ha un Circolo Glaciale, nella
parte più alta infatti abbiamo i Circoli glaciali oltre che alle Pale, quindi una morfologia che è veramente
unica.
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A questo punto però inseriamo il nostro territorio, lo inseriamo in un contesto che guarda sia il Lago di
Garda che il Monte Baldo. Noi facciamo parte di tutti e due gli ambienti. Guardando da una grande
distanza si può vedere che il nostro territorio non è verticale, ma diagonale: Nord-Est Sud-Ovest.
Tutto il Lago di Garda, il Monte Baldo, ma anche tutta la Val d’Adige sono in diagonale, questa non è una
cosa normale. Infatti questo è dovuto alla compressione che il cuneo della Lessinia che, nel momento in
cui il nostro territorio si stava sollevando, si è venuta a incastrare e ha cominciato a spingere; per cui la
dorsale del Monte Baldo e il Lago di Garda, che inizialmente erano in verticale, sotto questa spinta si
sono inclinati, e questa spinta continua ancora adesso e la faglia che c’è nel Lago di Garda in realtà c’è
sempre stata, è una faglia molto profonda e molto antica ed è una fessurazione in cui ancora adesso
presenta degli scorrimenti fra gli strati rocciosi, da qui i piccoli terremoti che noi abbiamo, non c’entra
il Monte Baldo/vulcano, non è un vulcano e non lo è mai stato, non ha rocce di natura vulcanica, se non un
3 – 4%. E’ invece soggetto a queste continue spinte, a dieci, quindici chilometri di profondità, che
muovono anche di due, tre millimetri gli strati rocciosi della faglia e quindi provocano il terremoto in
superficie. Si spera che siano modesti, ma abbiamo avuto anche dei terremoti disastrosi anche in
epoche recenti: 1700, fine ‘800, appunto perché in questa zona c’è questa faglia e questa continua
spinta.
Il Lago di Garda ha due forme: una stretta e allungata dove siamo noi, ma poi si distende nella parte
meridionale in un golfo. Anche questo si può vedere fisicamente se andiamo verso le creste vediamo il
Lago di Garda con queste due forme. Verso Riva è come un fiordo e nella parte meridionale invece si
allarga formando un golfo tra le colline.
Il nostro territorio in realtà è a metà strada tra l’Adriatico e il Piemonte, a siamo su una via di
comunicazione che taglia le Alpi, attraverso il Brennero e il Passo di Resia c’è il taglio delle catene
alpine. Prima ancora dell’uomo che poi ha scoperto queste valli e ha fatto strade in epoca Romana e
autostrade adesso. Pensate che le piante e la microfauna avevano già scoperto questa via, le
colonizzazioni più antiche che noi abbiamo di queste piante sul Monte Baldo, tra l’altro sono anche le più
rare, sono piante che vengono o dal Nord, o dal Sud o addirittura dall’Est e dall’Ovest e qui sul Monte
Baldo, quando sono arrivate, hanno trovato delle condizioni climatiche che hanno permesso loro di
rimanere. Ni siamo al centro di una situazione molto particolare, tra la pianura, quindi tra una zona
mediterranea e una zona centro europea più fresca che è quella alpina, ma siamo anche tra l’Est, tra i
Balcani e l’Ovest, addirittura abbiamo delle specie che vengono dalla Spagna così come dai Balcani. Non
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solo nei tempi antichi, per esempio c’è lo Sciacallo dorato che viene qui da noi, che non c’è mai stato sul
Monte Baldo ed è una specie che viene dai Balcani ed è stato trovato sul Monte Baldo appunto una
decina di anni fa. I lupi che sono arrivati in Lessinia arriveranno anche sul Baldo prima o poi, in parte
arrivano dalla Slovenia, uno arriva anche dall’arco alpino perché ha fatto il giro, i lupi camminano molto.
Gli orsi che ogni tanto vengono sul Monte Baldo, vengono dal Trentino. Da qui si vede come il nostro
territorio sia una via di comunicazione, anche se sembra modesto è molto importante, e la natura lo
aveva capito molto tempo prima dell’uomo. Pensiamo poi l’Autostrada del Brennero o la Serenissima ai
piedi del nostro lago. Sono posizioni importanti per capire la collocazione del nostro territorio e come
esso si sia evoluto, perché è così ricco di specie e di endemismi che sono di una e dell’altra parte,
appunto perché qua sono riuscite a trovare le condizioni ideali.
Come dicevo è importante vedere il nostro territorio da distante. Se noi andiamo nella parte bassa del
lago dall’altra sponda, e guardiamo verso questa in una bella giornata, si vede nitidamente come il Monte
Baldo viene su “di brutto” rispetto al lago e anche alla Val d’Adige. Si pensi che questa visione, che
avevano soprattutto gli abitanti della Pianura Padana, che vedevano spesso il Monte Baldo così
incappucciato, coperto di nubi, e pensavano appunto che fosse un vulcano, al contrario il “cappuccio di
nubi” è dovuto all’evaporazione dell’acqua del lago. D’estate, fino alle 9 circa del mattino è bello limpido
poi cominciano ad arrivare le prime nuvolette perché l’acqua evapora e si condensa; quando sono le 5 e
mezza – sei del pomeriggio si dissolve e le sere sono di nuovo belle ed è normale. Però per chi lo vedeva
dalla pianura non era normale, vedevano sempre quel “cappello” e si diceva “El Monte Baldo el gà el
capèl, o che piove o che fa bèl” e voleva dire che tutti ci indovinavano. Vedendo questo cappello,
soprattutto per il fatto che c’erano anche questi frequenti terremoti, lo consideravano un vulcano, da lì
la tradizione che lo sia, in realtà no. Salendo in alto si vede bene il fiordo. Se siete stati nei fiordi
norvegesi, noterete una diversità, non solo della forma, ma anche dei colori, noi abbiamo colori verdi,
azzurri tenui, in Norvegia verde scuro, blu intenso, a parte che è mare e non lago, quindi completamente
diverso anche se le forme potrebbero essere similari in molti casi, per cui, quando era arrivato Goethe
alla fine del 1700 si era innamorato di questo azzurro del nostro lago, un azzurro tenue che non aveva
trovato in altre parti. E’ una caratteristica unica, il Lago di Garda si differenzia dal Lago Maggiore, dal
Lago di Como, questa trasparenza, questo azzurro delle acque è dovuta al fatto che abbiamo un bacino
idrografico poco esteso, non abbiamo un grande territorio che riversa le sue acque nel lago ma piccolo.
Questo vuol dire che le acque per ricambiarsi nel Lago di Garda impiegano circa 27 anni, significa che i
sedimenti tendono ad andare sul fondo, a differenza del Lago Maggiore o del Lago di Como dove le
acque sono più torbide, più blu scure, meno trasparenti, raggiungiamo anche i 20-25 metri di
trasparenza con acqua calma, è uno dei laghi con le acque più trasparenti. Purtroppo adesso si cerca di
rovinarlo il più possibile, è giusto che ce ne rendiamo conto, siamo arrivati, nel giro di quarant’anni, al
terzo impianto di depurazione, vuol dire che i primi impianti non funzionavano e probabilmente nemmeno
questo perché si sta già pensando ad un quarto, dopo i milioni spesi per fare questi impianti di
collettamento, la depurazione si fa a Salionze, sembra che ora si faccia più di un depuratore, comunque
si sono accorti che tutti i lavori sono stati fatti male. Abbiamo la fortuna che non c’è nessuna industria
chimica intorno al nostro lago, a differenza di quello che c’è in altri laghi. Abbiamo però un grande
carico umano perché quando parliamo solo di turismo parliamo di oltre 20 milioni di presenze stabili da
alcuni anni sommando tutte e tre le sponde. Quando l collettore non funziona gli scarichi finiscono nel
lago che è grande, riesce a diluire ma non del tutto. Dobbiamo quindi renderci conto che è un bene di
tutti noi e lo dobbiamo preservare in modo intelligente cercando di non distruggerlo. Vediamo già che il
lago è cambiato anche a livello di pesci, per esempio le àgole non ci sono più, non è solo questione di
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inquinamento ma anche di temperatura, ma non ci sono più così come il carpione, invece troviamo dei
molluschi che vengono da altre parti, che non c’erano e che si stanno diffondendo. Troviamo il granchio
che è americano invece del nostro. Queste cose incidono su un bene che dobbiamo preservare anche per
il futuro.
CARTOGRAFIE
Il nostro territorio, il territorio di Brenzone, è stato rappresentato per la prima volta in una carta che
è nell’Archivio di Stato di Brescia, siamo intorno alla fine del 1300.
Ci sono i paesetti, con il castelletto dove c’era, la chiesetta. Cinquant’anni dopo, nella la carta di
Almagià, comincia ad esserci una certa fisionomia delle montagne anche se si è ancora molto imprecisi,
Sirmione è enorme rispetto a tutto il Lago di Garda, ma cominciamo ad avere qualche tratto più
particolare, tra l’altro in questa carta c’è anche il passaggio delle galee veneziane nella Valle del Loppio,
che è stata un’impresa avvenuta nel 1437-1439.
Nelle carte poi del 1500 comincia ad essere migliore la qualità, i paesini sono sempre con il campanile,
che identificava il centro, e c’è già il confine tra la Repubblica di Venezia, sotto, e il territorio dei
Vescovi Conti di Trento che hanno tutta la parte superiore che poi diventerà confine tra Austria e
Venezia e ora tra il Trentino e il Veneto con la Provincia di Verona. Nello stesso tempo, in questo
periodo, siamo nel 1500, nasce anche un mito sul Monte Baldo che diventa “Hortus Europae”. Questo
avviene perché un noto personaggio, Calzolari, farmacista di Verona, uno speziale come si chiamavano
allora i farmacisti che facevano le medicine, prendendo le erbe e mettendone insieme i principi attivi,
erano solo quelle le medicine del tempo perché ovviamente non c’erano quelle chimiche, ha fatto una
descrizione del Monte Baldo e soprattutto delle piante di cui si serviva per costruire le proprie
medicine e questo viaggio “da Verona al Monte Baldo” ha fatto il giro d’Europa, tutti i botanici si sono
impossessati di questo diario e sono venuti di persona, da Rovereto andavano sul Baldo a prendere le
erbe sul posto dove lui diceva che esistevano ed esistono ancora salvo alcune, e se le portavano per
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utilizzarle. Da lì nasce questo mito di Giardino d’Europa che nel 1600 viene ingigantito da Pona con il suo
libro “Monte Baldo”, siamo nel 1617, e poi praticamente fino ai nostri giorni.
L’ingegner Turra è stato uno degli ultimi ma potremmo dire che l’ultimo “cantore” in un certo senso è
Filippo Prosser che è un botanico di Rovereto, il quale ha fatto il censimento delle piante che ci sono sul
Monte Baldo. Ne aveva censite quasi 1950, in realtà adesso sono già 2000, perché in questi ultimi dieci
anni, ogni anno se ne scoprono sempre di nuove. Questo perché in pochi vanno dentro nei valloni glaciali
e là ci sono delle specie endemiche che non troviamo in altre parti. Ma anche in zone più basse a volte,
non solo nelle parti più elevate, Da lì è quindi nata questa nomea di “Giardino d’Europa”; in effetti è
veramente consistente perché se si pensa a 2000 specie botaniche significa un terzo delle specie che ci
sono in Italia, solo sul Monte Baldo. Questo perché si va dal Lago fino ai 2000 metri, nella stessa
montagna, ce ne sono poche che hanno questa caratteristica, cioè quella di avere un territorio non solo
esteso, ma anche climaticamente diversificato, dal Mediterraneo alla zona alpina praticamente.
Il nome Benàco: se fosse vero quello che ci dicono gli studiosi, cioè che deriva da bennaccus che a sua
volta derivava da un termine celtico bennac e che vorrebbe dire cornuto, cioè fatto a corni,
guardandolo dal satellite effettivamente vediamo che ha golfi, rientranze che somigliano a corni ma
2500 anni fa non esistevano i satelliti per cui difficilmente hanno potuto vederlo in questo modo e se
quindi l termine bennac sia proprio l’origine di questo nome. Quello che è sicuro è che nell’ottavo/nono
secolo comincia ad essere usato il termine Garda, perché non tanto il paese di Garda ma la Rocca di
Garda, che era fortificata, assume una grande importanza dal punto di vista amministrativo: diritti di
pesca soprattutto, diritti di decima in tutta la parte meridionale del lago passano per Garda e quindi il
lago comincia ad essere “di Garda”. Alla fine Benàco è rimasto solo in alcune terminologie ma quello
sarebbe il nome antico.
Il Monte Baldo da “Wald”. Wald era un “bosco fiscale” probabilmente un termine Longobardo
addirittura. In effetti era molto boscoso come lo è ancora adesso, se guardate qualche immagine di un
centinaio di anni fa di certe zone del Monte Baldo era pelato, adesso sta ritornando il bosco, anche
troppo. Soprattutto in territorio di Brenzone il suolo dove sta ritornando il bosco è troppo modesto.
Significa che a volte c’è mezzo metro, non di più di terreno, perché sotto ci sono le rocce e quindi non si
è riusciti a formare un suolo, che si muove perché con queste pendenze basta una pioggia disastrosa e
tutto viene portato in basso. Qui da noi quindi i boschi sono nell’abbandono più assoluto, la Forestale,
anche per motivi economici non segue più i boschi così spesso, per cui ci troviamo con un patrimonio che
va riconsiderato e rivisto.
12
Facciamo ora una piccola panoramica relativamente alle sponde, partendo da Riva con il piccolo
anfiteatro del Monte Brione, tra Riva e Torbole, dove c’è la foce del Sarca che è l’immissario del Lago
di Garda, poi si scende dalla sponda veronese verso Malcesine. Guardando Malcesine dall’alto si ha l’idea
di dove siano nati gli insediamenti sul lago, sono delle “conoidi” e questo significa che quando l’ultima
glaciazione si è ritirata, i torrenti che scendevano hanno portato dei materiali che hanno riempito,
hanno formato come dei coni e lì sono nati i paesi, perché lì avevano terreno a disposizione, altrimenti
spesso c’era un terreno roccioso e non c’era la possibilità di costruire. Dalla parte bresciana sono
infatti molto più svantaggiati da quel punto di vista rispetto a noi. Campione che è di fronte a
Malcesine, per esempio, ha un fazzolettino di terra dove c’è la spaccatura e c’è il torrente che scende
dalla zona di Tremosine e che ha formato questa piccola conoide dove è stato possibile ma dalle altre
parti il terreno è talmente ripido che nelle zone di costa non c’è la possibilità di costruire.
Limone, posizione incantevole, è anche una conoide, è riparata dai venti, soleggiata, non a caso è stata la
culla della produzione degli agrumi del territorio gardesano. Agrumi la cui produzione è cessata nella
prima metà dell’800, una delle cause è stato lo sviluppo delle ferrovie in quanto arrivavano gli agrumi
dalla Sicilia che erano economicamente molto più competitivi rispetto ai nostri e quindi le limonaie, di
cui la sponda bresciana è piena, sono state eliminate. Dalla parte veronese ce ne sono meno, la più
famosa è quella del museo di Torri dove c’è il castello.
Sempre dalle immagini prese dall’alto si può vedere come il nostro territorio sia strutturato con questi
lastroni, queste pale che dividono il territorio più elevato della nostra zona. Tra l’altro si può notare
come sia visibile la strada che porta da Borago a Zovèl e a Prada, è una strada militare costruita
proprio cento anni fa, caratterizzata da pendenze regolari anche se accentuate, doveva infatti
superare un dislivello di 1000 metri, arriva fino a Val Trovaj, nell’ultima curva salendo dopo Zovello dove
comincia il tratto piano che porta appunto a Val Trovaj la strada continua fino a Valoare (Valle delle
Nogare). Sono riusciti a costruirla fino a lì, a 1300 metri, l’intenzione era di proseguire, c’è un sentiero
che sale ai Forcellini e prosegue per il Telegrafo, c’era l’intenzione appunto di portarla fino al Telegrafo
ma si sono fermati perché nel 1916 per fortuna il fronte era molto distante e non avevano uomini da
destinare a queste costruzioni, altrimenti avremmo una strada fino al Telegrafo.
La parte più bassa del nostro lago è caratterizzata da queste forme dolci, tra l’altro adesso piene di
insediamenti, se si va da Maderno e si fa tutto il giro fino a Garda non si trova uno spazio libero lungo le
sponde che sono ormai completamente antropizzate, tutto questo negli ultimi trent’anni, anche i villaggi
che ci sono tra Desenzano e Salò risalgono agli ultimi 20/25 anni, prima non c’erano. Questo è il
risultato che può portare l’insediamento umano. Nel nostro territorio questo non è avvenuto perché è
molto più pendente, più aspro, e si è un po’ rallentato l’insediamento, però anche qua, se pensiamo alle
ville che ci sono nell’entroterra tra Torri e Albisano, ma anche nella stessa Malcesine, si vede che c’è
stato un notevole sviluppo.
San Vigilio è uno dei luoghi più singolari e suggestivi del Lago di Garda.
Il bacino idrografico è circa sei volte la superficie del Lago di Garda, è quindi piccolo, quindi abbiamo un
lento ricambio delle acque. Quindi la trasparenza delle acque del Lago di Garda dipende da questo
fattore, dal lento ricambio delle acque. E’ una trasparenza a volte veramente significativa, in alcuni casi
arriva fino a 25 metri. Il nostro lago ha anche la caratteristica dei venti, ci sono ovviamente delle onde
che sono mosse da questi venti. A parte avere dei movimenti regolari che si chiamano “sesse” che non
13
sono maree, ma sono comunque degli innalzamenti ed abbassamenti, che se vengono ad associarsi al lago
in tempesta, provocano le cosiddette “lagheggiate” che sono veramente distruttive. Quando Catullo
diceva che da Sirmione il lago a volte assomiglia al mare, aveva ragione perché in quei giorni è meglio
stare distanti dalle rive.
Il Lago di Garda è alimentato da 27 torrenti che vi versano le proprie acque, tutti modesti, a parte
naturalmente il Sarca che è un fiume, e a parte l’Aril che viene considerato un altro fiume comunque
modestissimo. Il Mincio invece porta fuori le acque, ne porta fuori una quantità superiore di quelle che
immette il Sarca e, facendo la somma con gli altri torrenti, non saremmo in equilibrio, eppure il nostro
lago c’è ancora, questo vuol dire che ci sono sorgenti sub-lacuali, non le vediamo ma ci accorgiamo che ci
sono quando sentiamo le correnti fredde che ci sono spesso all’interno del lago che sono appunto anche
di derivazione di queste sorgenti. Abbiamo visto che c’è anche questa spaccatura di cui abbiamo
parlato, ma si sapeva che c’erano delle spaccature e questo non vuol dire che l’acqua del lago scende
come se si levasse un tappo, l’acqua non va da nessuna parte. Si pensi che in 12000 anni il livello del lago
si è abbassato di circa una quindicina di metri, perché subito dopo la glaciazione il livello delle acque era
un po’ più alto. Questo in 12000 anni non è significativo, si può dire che sostanzialmente è in equilibrio.
Un lago effettivamente è un contenitore di acque in equilibrio, in entrata e in uscita e fin che c’è questo
equilibrio il lago rimane. Sappiamo che è regolato dalla diga di Salionze quindi è un equilibrio in parte
deciso e destinato dall’uomo.
Poi abbiamo i venti, molto importanti, ce ne sono due in particolare, quelli più di lungo corso. C’è l’òra che
viene da Sud e spira da mezzogiorno fino al pomeriggio inoltrato e poi c’è il baliv o pelèr come volete
chiamarlo che da Nord scende verso Sud tra la notte e il mattino. Oltre a questi c’è tutta una serie di
venti locali che si vengono a creare perché il riscaldamento solare di questa grande massa d’acqua crea
degli scompensi di temperatura, il vento nasce proprio a seguito di scompensi di temperatura infatti, da
zone più fredde a zone più calde. In più abbiamo la montagna, il Monte Baldo, che ulteriormente
raffredda l’aria, quindi tutte queste varianti sommate insieme creano una serie di venti che è anche
abbastanza costante, infatti sono riportati nelle carte nautiche in quanto fondamentali anche per la
navigazione, una volta erano molto più conosciuti di quanto li conosciamo noi adesso.
Torniamo al nostro Monte Baldo e parliamo delle rocce che lo costituiscono, cosa sono e perché ci sono,
queste rocce particolari con una forma slanciata verso l’alto?
Queste forme che noi possiamo vedere nel territorio di Brenzone, che si chiamano Pale o Mitre, sono
dei triangoli rocciosi, come delle sbucciature di quello che è il nucleo della montagna, che si sono
separate dal corpo centrale, sono quasi verticali, in alcuni casi, e sono instabili. Queste sono l’origine dei
micro terremoti, non dei terremoti di cui parlavamo prima che derivano dalla nostra zona sismica che
avvengono per compressione di zolle, ma i circa 300 micro terremoti all’anno che noi abbiamo e che
vengono registrati solo dagli strumenti, non ce ne accorgiamo nemmeno. Questi sono dovuti appunto alle
Pale che ogni tanto si spostano verso il basso creando appunto dei piccoli terremoti. I rumori che ogni
tanto si sentono, il fatto che l’Aril versi o non versi acqua, tutto si rifà a queste pale in quanto la zona è
carsica, sotto ci sono delle cavità e questi movimenti delle Pale provocano alterazioni all’interno,
alterazioni nelle acque e possono provocare dei rumori in certe condizioni come è spesso successo. Non
c’entra niente il vulcanesimo: i vulcani non hanno niente a che fare con il Monte Baldo. Se andiamo sopra
la punta delle Pale e un sentiero impegnativo ma molto bello è quello che da Malcesine porta a Cima
Valdritta e si può fare al contrario scendendo, porta proprio sulla cima delle Pale, si vedono le punte
14
delle Pale che si immergono ed è molto suggestivo. Queste Pale in realtà si stanno staccando. La Pala di
San Zeno è quella dell’Eremo di San Benigno e Caro, sopra Cassone, loro avevano scelto un posto
eccezionale all’epoca, si parla del IX Secolo, questa è una delle Pale più grandi e si sta staccando, siamo
nel Comune di Malcesine, subito dopo il confine segnato dalla Valle del Torrente. Tra una Pala e l’altra ci
sono queste valli. In tutte queste valli si trovano delle “Marmitte dei Giganti” che sono segni di
escavazione provocati dall’acqua in quota, non in basso, sulle pareti, come per esempio nella Val Trovaj.
Quando si sono sciolte le glaciazioni, la quantità di acqua che scendeva era talmente enorme che faceva
ruotare questi ciottoli che con il tempo hanno creato queste specie di vasche, queste “marmitte”. Il
Balòc tacà via probabilmente è una di quelle situazioni di una frana all’interno delle pareti molto
verticali e strette dove dei massi si sono incastrati e lì sono rimasti, tra l’altro creando uno spettacolo
davvero bello.
Nella parte sopra i 1800 metri abbiamo i “circhi glaciali” che sono altre caratteristiche del Monte
Baldo, si vede quindi che diversità abbiamo su questa montagna. Dai 1800 ai 2200 metri abbiamo 7
circhi glaciali, sono 7 scodelle che erano riempite di ghiaccio durante l’ultima glaciazione, poi i ghiacci si
sono sciolti e ora c’è qualche nevaio che difficilmente supera l’estate. Sono delle semi scodelle, perché
sono tagliate verso il lago dove c’era una lingua che scendeva verso il basso. Nel territorio di Brenzone
abbiamo quella della Val delle Nogare e quella del Telegrafo e Valle delle Buse, praticamente sono due
circoli glaciali, il circolo del Telegrafo è doppio quindi ci sono tre circhi glaciali a Brenzone, gli altri sono
soprattutto in quello di Malcesine e in quello di Brentonico, sull’altro versante che è molto diverso dal
nostro che si affaccia sul lago, è un versante “a imbuti” detti “imbuti nivali” dove ogni tanto si accumula
la neve e possono provocare delle slavine.
Per tornare a noi, nella parte più occidentale, cosa ha formato il Monte Baldo e in che periodo? Negli
ultimo 200 milioni di anni, siamo nell’Era Secondaria. In origine il Monte Baldo non era emerso dal mare,
c’era un grande bacino, la Piattaforma di Trento, sommersa, e in questo territorio sommerso si
riversavano sedimenti da grandi fiumi e acque di mare che cominciavano a far sedimentare le rocce e le
rocce più antiche che abbiamo dono rocce di Dolomia. Siamo intorno a 190 – 200 milioni di anni fa, sono
le rocce più antiche che adesso troviamo sulle creste più alte, qualcosa abbiamo anche nel territorio di
Brenzone, dove c’era la fabbrica di Magnesia in loc. Vàs, lì c’è una “lente” di rocce di tipo dolomitico che
venivano sfruttate perché le rocce dolomitiche sono carbonati di calcio e di magnesio e venivano
impiegate per ricavare la magnesia. Nel nostro territorio del Baldo abbiamo solo una 3-4% di rocce
vulcaniche, quelle nere, si trovano soprattutto nella parte settentrionale, in territorio trentino. Se
fosse stato un vulcano avremmo un 60-70% di rocce di tipo vulcanico, quindi non lo è mai stato. Questi
basalti, tra l’altro, sono rocce che hanno dai 40 ai 50 milioni di anni, mentre la Dolomia l’avevamo molto
prima. La gran parte delle pale e della struttura del Monte Baldo sono rocce di calcari grigi che si hanno
dai 190 ai 170 milioni di anni fa e calcari olitici e arriviamo a circa 150 milioni di anni fa. Sempre nell’Era
secondaria e sempre sotto il livello marino. Si cominciavano a sedimentare, insieme con le rocce, anche
animali, soprattutto molluschi, cefalopodi che potevano essere le ammoniti e quelle le troviamo nei
fossili che poi spesso rinveniamo nel nostro territorio, tra l’altro anche molto belli; le ammoniti sono dei
molluschi che adesso non esistono più perché alla fine dell’Era Secondaria sono scomparse. Troviamo
anche delle rocce metamorfiche, sono le Selci, di vario colore sono dei silicati, contengono silicio che è
una roccia che per le temperature e le pressioni enormi a cui è stata assoggettata si è modificata nella
sua costituzione diventando appunto un silicato, roccia vetrosa e metamorfica.
15
Alla fine dell’Era Secondaria, intorno a 70 milioni di anni fa, probabilmente l’impatto di un grande
meteorite, (la Terra ne ha subiti diversi anche in epoche precedenti), ha spostato l’asse terrestre
improvvisamente, ha fatto scomparire migliaia di specie fra cui i grandi dinosauri che non sono stati in
grado di adattarsi al repentino cambiamento di temperatura, essendo a sangue freddo, e ha spostato
anche il movimento della crosta terrestre e da allora è iniziato questo movimento della Zolla Africana
verso quella Europea che è ancora in corso. Per alcuni milioni di anni è stato un movimento veloce e
quindi ha inciso maggiormente e intorno a 30 milioni di anni fa abbiamo avuto la gran parte
dell’emersione del Monte Baldo appunto sotto questa spinta, così come la gran parte delle Alpi, si pensi
che in questi periodi, 30-40 milioni di anni fa probabilmente il Monte Baldo era molto più alto di quello
che è ora, secondo i geologi arrivava anche ai 3000 metri, poi a causa dell’erosione ha raggiunto
l’altezza attuale, addirittura in alcuni casi le rocce si sono ripiegate nella zona Orientale. Questo
perché il Monte Baldo è nato per compressione tra la Zolla Sud Africana che si inseriva attraverso la
Lessinia da Oriente e la controspinta che veniva dalle Prealpi Bresciane, si trovava in mezzo, queste
spinte hanno provocato l’innalzamento e il ripiegamento, la piega però ogni tanto si spezza quindi nel
nostro versante esistono le pale mentre dall’altra parte c’è stato il rovesciamento, che si può vedere
nella zona di Ferrara di Monte Baldo. Ogni tanto avvengono delle rotture, faglie, una a livello dle pale,
una a livello di Ferrara di Monte Baldo e ce n’è una terza che è a metà del lago, quella è ancora più
profonda, è denominata Faglia di Ballino, va da Salò fino a Ballino, una diramazione sotterranea più
profonda va verso Verona, quella è la zona che si muove maggiormente, la sismicità degli ultimi 200 anni
è lungo questo tratto, perché c’è questa compressione e si libera energia dove c’è già la rottura.
Guardando il Monte Baldo dall’alto si vedono gli strati ripiegati e ogni tanto c’è una fessura perché lì si
spaccano e nascono le pale che poi scendono sul versante. Sopra i 1800 metri ci sono queste mezze
scodelle che sono i circhi glaciali che sono una rarità e una caratteristica, pensate ai microclimi che si
vengono a creare, ci sono le pareti a Nord, in cui non batte mai il sole che hanno degli endemismi sia
floreali che di animali che se facciamo 200 metri di distanza non li troviamo più, sono circoscritti a quel
piccolo luogo. Ci sono delle farfalle che vivono solo in due circhi glaciali, ci sono dei coleotteri che vivono
solo in un circo glaciale. Quindi abbiamo delle rarità dovute alle condizioni climatiche e dovute
soprattutto alle ultime glaciazioni, che sono state quelle che hanno modificato in gran parte il nostro
territorio, dal punto di vista dall’ultima grande erosione ed invasione anche fredda, però il Monte Baldo
ha avuto la fortuna di emergere dal ghiacciaio che arrivava a circa 800 metri a Malcesine, nella zona di
Brenzone arrivava sotto Prada, quindi sui 700 metri poi a San Zeno di Montagna quindi si abbassava sui
500 metri e poi arrivava sui 300 metri nella zona di San Vigilio e verso Peschiera era solo 150 metri di
spessore. Tutta la parte del Monte Baldo che era libera prima dei piccoli ghiacciai di cresta era una
parte dove le specie hanno potuto sopravvivere per circa 50-60 mila anni, la durata dell’ultima
glaciazione, questo vuol dire creare nuove specie. La speciazione in natura ci impiega 35-40 mila anni
per creare una nuova specie. Il fatto poi che non hanno potuto entrare in contatto con altre piante o
animali simili appunto perché c’era il ghiacciaio intorno, si sono adattate e hanno creato delle modifiche
che entrano geneticamente nelle discendenze e si creano nuove specie. Adesso in laboratorio bastano
dei giorni per creare delle specie. Quindi nel Monte Baldo, nell’ultima glaciazione, abbiamo avuto delle
speciazioni nuove.
Anche qui troviamo una parte morenica, tutti i suoli che ci sono nel territorio di Brenzone sono suoli
morenici, lasciati dal ghiacciaio sotto la zona di Prada, appunto perché sopra Prada non arrivavano, ma il
ghiacciaio ha lisciato gli strati rocciosi. Quando si è ritirato i materiali incoerenti sono scesi ma poco
materiale si è fissato sotto queste pietre, se guardiamo gli uliveti che abbiamo fino ai 200 300 metri
16
vediamo che c’è una modesta quantità di suolo. L’uomo quindi ha cercato in tutti i modi di coltivare,
creando terrazzamenti per fermare il suolo che scendeva, quindi un lavoro immane in 1000 – 1500 anni
per cercare di fermare il suolo, quando ci sono le frane a causa di allagamenti si vede che dalle valli
scende di tutto, è sempre successo e quindi bisognava fermare il terreno. Quindi grande lavoro per
conquistarsi fazzolettini di terreno che rimane modesto, in molti casi si arriva a 20 – 30 centimetri di
terra e quindi è anche faticoso coltivare in queste condizioni.
Relativamente alla fascia vegetazionale, abbiamo cinque settori dove costruiamo il paesaggio vegetale
che completa dal punto di vista naturalistico questo nostro grande valore che diamo al nostro territorio.
C’è tutto l’aspetto antropico e ne parleremo nel prossimo incontro.
17
SCHEDA 1
Eugenio Turri
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Eugenio Turri (Grezzana, 1927 – Verona, 2005) è stato un geografo, scrittore e viaggiatore italiano.
È noto per essere stato uno dei maggiori esperti del paesaggio italiano[1] e per averne documentato i
cambiamenti nel periodo del Miracolo economico italiano degli anni sessanta.
Biografia
Eugenio Turri è nato nel 1927 a Grezzana in provincia di Verona e trascorse la giovinezza a Villa
Arvedi dove il padre lavorava come castaldo (amministratore economico). Fu proprio il padre a
trasmettergli l'amore per la Valpantena e in generale per il paesaggio, che diventerà il tema principale
della sua futura attività.
A Milano ha vissuto per tutta la vita lavorando come geografo per l'Istituto Geografico De Agostini e
scrivendo numerosi libri e saggi sul paesaggio, tra cui Antropologia del paesaggio (1974, 1981,
2008), Semiologia del paesaggio italiano (1979, 1990), Il paesaggio come teatro (1998), La megalopoli
padana (2000) e Il paesaggio e il silenzio (2004).
Ha viaggiato in tutto il mondo, approfondendo soprattutto le aree desertiche dell'Asia centrale,
il Sahara e il Sahel. Ha dedicato una particolare attenzione ai temi del nomadismo,
della desertificazione e alle problematiche tra Nord e Sud del mondo, ma anche alla storia del
paesaggio italiano e alla pianificazione territoriale. Dei suoi viaggi è rimasta memoria in un cospicuo
archivio fotografico. È stato docente di Geografia del Paesaggio al Politecnico di Milano e consulente
alla Pianificazione paesistica della Regione Lombardia. Fu membro effettivo dell'Accademia di
Agricoltura Scienze e Lettere di Verona.
Bibliografia
La presente è una selezione di opere e non rappresenta l'intero corpus dell'opera di Turri, consultabile
nel libro L'occhio del geografo sulla montagna a cura della figlia Lucia Turri.
• Viaggio all'isola Maurizio, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1962
• Viaggio a Samarcanda, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1963
• Il diario del geologo, Rebellato, Padova 1967
• La Lessinia. La natura e l'uomo nel paesaggio, Edizioni di Vita Veronese, Verona 1969
• Il Monte Baldo, Corev, Verona 1971
• Antropologia del paesaggio, Edizioni di Comunità, Milano 1974; riedizione nel 1981, terza edizione
per Marsilio 2008
18
• Villa Veneta. Conte sior paron castaldo fittavolo contadin. Agonia del mondo mezzadrile e
messaggio neotecnico, Bertani, Verona 1977
• Nomadi. Gli uomini dei grandi spazi, Fabbri, Milano 1978
• Semiologia del paesaggio italiano, Longanesi, Milano 1979; riedizione nel 1990; terza edizione per
Marsilio 2014.
• L'italia ieri e oggi, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1981
• Dentro il paesaggio. Caprino e il Monte Baldo. Ricerche su un territorio comunale, Bertani, Verona
1982
• Gli uomini delle tende. I pastori nomadi tra ecologia e storia, tra deserto e bidonville, Edizioni di
Comunità, Milano 1983
• La Via della Seta, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1983
• Il Bangher. La montagna e l'utopia, Bertani, Verona 1988
• L'Italia vista dal cielo, A. Vallardi Editore, Milano 1988
• Weekend nel Mesozoico, Cierre Edizioni, Verona 1992
• Miracolo economico. Dalla villa veneta al capannone industriale, Cierre Edizioni, Verona 1995
• Il paesaggio come teatro, Marsilio, Venezia 1998; riedizioni nel 2003 e 2006
• Il Monte Baldo, Cierre Edizioni, Verona 1999
• La megalopoli padana, Marsilio, Venezia 2000; riedizione nel 2004
• La conoscenza del territorio. Metodologia per un'analisi storico-geografica, Marsilio, Venezia 2002
• Villa Veneta. Agonia di una civiltà, Cierre Edizioni, Verona 2002
• Gli uomini delle tende. Dalla Mongolia alla Mauritania, Bruno Mondadori, Milano 2003
• Il paesaggio degli uomini. La natura, la cultura, la storia, Zanichelli, Bologna 2003
• Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia 2004
• Il viaggio di Abdu. Dall'Oriente all'Occidente, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2004
• Viaggio a Samarcanda, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2004
• Taklimakan. Il deserto da cui non si torna indietro, Tararà, Ginevra 2005
Note
1. ^ Eugenio Turri, Semiologia del paesaggio italiano, Milano, Longanesi, 1990, ISBN 978-88-304-0960-6.

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Conoscere il percorso del Nordic Walking Park di Brenzone sul Garda

  • 1. 1 CONOSCERE IL BALDO – GARDA II° CORSO DI FORMAZIONE PER ANIMATORI TURISTICI AMBIENTALI 1° INCONTRO: GIOVEDI’ 03 MARZO 2016 “CONOSCERE IL PERCORSO DEL NORDIC WALKING PARK DI BRENZONE” RELATORE: PROF. MAURIZIO DELIBORI Brenzone tra Lago e Baldo, valori ambientali e storici. Questa sera facciamo la prima carrellata perché effettivamente, come ogni territorio ma in particolare il vostro territorio di Brenzone è, da questo punto di vista, abbastanza fortunato perché ha una serie di ambienti diversi e mette insieme lago e montagna, perché partendo dal lago, a 65 metri a livello marino fino a 2200 metri di Cima Telegrafo, è un po’ tutto un excursus di zone, di fasce vegetali, che vedremo nella prossima lezione, ma anche di paesaggi e di contrade, di territori veramente diversi e in un certo senso unici, perché pochi comuni possono vantare un territorio così ampio, non tanto come ampiezza di superficie ma di caratterizzazioni diverse, di paesaggi diversi. Già solo il fatto di dire partiamo dal lago e in giornata, per buoni camminatori, si può arrivare fin sulle creste, è una caratteristica che in pochi altri comuni è presente. Questo territorio, estremamente vario, estremamente ricco, ha appunto una serie di valori, naturalistici prima di tutto, che cercheremo di vedere questa sera dal punto di vista “aspetti geologici, geografici, ecc.” e poi vedremo anche quelli antropici * che riguardano tutta la fascia degli insediamenti, che è soprattutto quella medio-bassa e quindi fino a circa 1000 metri, tenendo però presente che anche sopra questa quota c’è la fascia delle malghe, che sono poche però ci sono, e quindi tutto il territorio è stato antropizzato. Qualcuno potrebbe dire che forse le creste un po’ meno, in realtà anche queste sono state antropizzate: se pensiamo 100 anni fa, durante la Prima Guerra Mondiale, della quale stiamo celebrando il Centenario appunto, erano proprio frequentatissime, addirittura la mulattiera di cresta e le strade che salgono verso il Rifugio Telegrafo, che peraltro non hanno mai raggiunto, per fortuna, perché si sono fermate nella Val delle Nogare, erano strade militari che a quel tempo stavano pensando di costruire per arrivare addirittura fino al Telegrafo. Quindi tutta la montagna era stata “antropizzata” e quindi cercheremo di vedere anche questi aspetti storici che ci sono su questo territorio. La prima cosa che si fa, e voi che fate pratica di escursionismo, veloce o meno veloce non ha importanza, è quello proprio di “vedere” i territori, perché è la prima percezione che noi abbiamo quando andiamo in un qualsiasi territorio e il vostro è particolarmente evidente, non dico bello, ma * L'antropizzazione (dal greco ànthrōpos uomo) in geografia ed ecologia è l'insieme degli interventi dell'uomo sull'ambiente naturale, con lo scopo di trasformarlo o adattarlo, o anche alterarlo.
  • 2. 2 particolarmente evidente perché mettendo insieme una vasta quantità di acqua come quella del lago, i rilievi che ha alle spalle con il Monte Baldo e anche quelli di fronte che comunque creano scenografia, creano paesaggio, ed elementi antropici che emergono, il geografo Eugenio Turri (SCHEDA 1) li chiamava “iconemi*” cioè le immagini della memoria che una persona si ricorda, per esempio un campanile si ricorda sempre perché è un punto evidente, alto, emerge; allo stesso modo potrebbe essere la torre come la Torre Colombara di Biaza, il campanile di Sant’Antonio o altri posti nei vari centri, e direi di più: addirittura noi ci ricordiamo certi colori. Pensiamo alla fascia dell’oliveto con quel colore caratteristico, unico, che ha l’oliveto, è un inserimento antropico in quanto non è sempre esistito ma c’è dall’epoca Romana. E’ un inserimento che fa parte di questo tipo di paesaggio che non troviamo in altri contesti, è una rarità, un qualche cosa di specifico che crea una identità. Quindi gli icomeni, queste immagini della memoria, sono quindi le immagini della nostra identità ed è quello che noi dovremmo percepire subito, in un territorio. Cercare quindi, anche automaticamente, di vedere ma non solo con gli occhi, capire cosa c’è dietro l’immagine di questi emblemi che ci sono sul territorio. Il territorio di Brenzone è veramente vasto; va dalle sponde del lago, e qua ci sarebbe da dire le sponde attuali del lago, quelle che vediamo adesso, che non erano così trent’anni fa e non erano così cinquant’anni fa, e ci sarebbe tutto un discorso da fare sulla trasformazione del paesaggio, che c’entra nel discorso nel momento in cui noi vogliamo vedere un territorio in modo intelligente, e questo significa che a volte bisognerebbe prendere la fotografia di cento anni fa e cominciare a confrontare cosa è successo in questi cento anni, vedere le trasformazioni, non per dire che questo lo buttiamo via, ma per capire come si è trasformato il territorio. Perché la realtà è che il territorio si è trasformato. Capiamo in che tempi ciò è avvenuto. Si potrà vedere che le trasformazioni principali non sono quelle di 50/60/70 anni fa, ma sono avvenute negli ultimi 30/40 anni, anzi, più verso i 30. Quindi, capire anche come si è velocizzata questa trasformazione, al di là del bello o del brutto, che possa piacere o meno, ci fa porre una domanda: possiamo velocizzare sempre di più queste trasformazioni o dobbiamo rallentare? Questo è un ragionamento che può venir fatto. Altra cosa, il paesaggio noi dobbiamo vederlo non solo dal di dentro ma anche spostandoci al di fuori, quindi andare qualche volta anche nell’altra sponda del lago perchè così ci rendiamo conto di come effettivamente è il nostro territorio. Vediamo questa asperità, con la montagna che sale brutalmente quasi, per 2000 metri alle spalle del lago e, nello stesso tempo, in questi giorni la possiamo vedere metà imbiancata e metà no. Questo ovviamente dipende da un fattore climatico che vedremo la prossima volta, che sta cambiando, perché adesso la vediamo così ma se l’avessimo vista 30 anni fa la neve si sarebbe potuta trovare fino addirittura sulle sponde del lago. Questo dipende da circa un mezzo grado e anche un grado di temperatura in più che è un discorso globale e non specificatamente di questo luogo, e la prima che ne risente è proprio la neve: basta un grado, se invece di aver zero gradi ce n’è uno non nevica ma piove. Un altro paesaggio che troviamo è Campo, raggiungibile attraverso mulattiere, altro iconema del paesaggio, le mulattiere tradizionali che risalgono verso la zona di Prada. A parte il carico di significati che è stato dato a questo borgo, perché disabitato, non raggiunto da strade percorribili, perché si vuole tentare di mantenerlo, con fatica perché il fatto di mantenere un centro che è raggiungibile quasi *ICONEMA: Con il termine iconema si definiscono quelle unità elementari di percezione, quei quadri particolari di riferimento sui quali costruiamo la nostra immagine di un paese.
  • 3. 3 esclusivamente a piedi non è facile e non è facile poi recuperare tutti gli insediamenti che ci sono, pensiamo all’ex castello di Campo che si dovrà arrivare a sistemarlo. Altre osservazioni che si possono fare: siamo al limite dell’oliveto, che termina con Campo, poi con lo scalino superiore comincia la vegetazione dell’orno ostrieto dove vedremo che anche lì c’è un cambiamento abbastanza interessante. Se però noi andiamo a vedere all’interno dei territori, andiamo per esempio nella Chiesetta di San Pietro, ci troviamo altre immagini che sicuramente abbiamo visto, cioè il circolo delle pitture che ci sono all’interno, che sono bellissime e al di là di bellissime, sono molto importanti dal punto di vista anche storico-artistico perché ci danno un’idea di come questo territorio, nel 1400 – 1500 fosse frequentato, utilizzato, era importante per le popolazioni di allora che si potevano permettere anche una decorazione così ricca all’interno di una chiesetta. Comunque se parliamo di questi centri che sono ormai posti all’altezza di Campo, quindi siamo tra i 200 e i 300 metri di quota: i vecchi borghi. Biaza, Fasor, Campo e andiamo avanti fino a Sommavilla, sempre comunque non sul lago ma un po’ più in alto, ma perché questo? Perché erano i centri più antichi che, in modo intelligente, sono stati costruiti non direttamente sul lago ma un po’ sopra perché esisteva un’economia mista, che faceva leva sicuramente sulla fascia dell’uliveto che era presente, ma che nello stesso tempo permetteva di scendere velocemente fino al lago ai pescatori (un po’ tutti i contadini facevano anche i pescatori) ma nello stesso tempo permetteva di salire nella montagna, i Mont non a caso si chiamano così, fino in Prada ma anche sopra per l’utilizzo del bosco, per l’utilizzo del castagno, per l’utilizzo dei pascoli, quindi una sistemazione intermedia che, tra l’altro, era anche più difendibile, dove passava l’antica, unica, mulattiera di costa, che da S. Vigilio a Garda, attraverso i Castèi, Crero, Pai, continua fino ad arrivare a Malcesine restando sempre in quota. Il lago non aveva la strada, è stata portata tardi, negli anni Venti del secolo scorso in certi tratti, addirittura tra Malcesine e Riva negli anni Trenta, quindi molto tardi; lo stesso vale per l’altro versante. Questo perché allora il modo più importante di spostarsi era via lago, con le imbarcazioni. Allora ci viene un’altra domanda: perché le nostre popolazioni parlano un dialetto che prende molto, come vocaboli, come termini, dal Bresciano, come lo stesso quelli dell’altra parte prendono da questa? Perché c’è stata una comunicazione molto veloce, trasversale, via imbarcazioni. Ma c’era un legame economico, si può dire anche socio-economico. Quando c’era bisogno di manodopera, da una parte o dall’altra, si andava a prenderla, quindi lo scambio era molto maggiore in questo senso. Se oggi dovessimo guardare i traghetti o le comunicazioni che abbiamo, effettivamente è molto modesto rispetto a quello che era una volta. In barca, in qualche ora si arrivava dall’altra parte senza nessun problema. Quindi si vede quanti elementi da lettura del paesaggio possiamo ricavare. Il territorio di Brenzone, come sappiamo, non era un unico centro, tra l’altro Brenzone non esiste, sappiamo che è un policentro, ossia un centro composto da tanti borghi con nomi diversi, dove il centro comunale è Magugnano. Brenzone quindi indica come terminologia un territorio ma non un paese. Quindi c’è anche questa polifunzionalità policentrica, e il fatto stesso che Castelletto sia stato effettivamente Comune autonomo, fino a non tantissimo tempo fa, circa un secolo, quando è stato poi assorbito dal territorio e inserito in quello che diventerà Brenzone, ma era comunità autonoma e quasi tutti i centri di Brenzone sono stati, soprattutto in epoca Veneta, delle piccole comunità autonome. Qua ci sarebbe
  • 4. 4 tutto un discorso da fare sulla fine dell’800 che è stata importantissima: i Santi che noi abbiamo a Castelletto, dove abbiamo avuto la fortuna che si sia creata in questo centro, una particolare religiosità che ha portato poi alla Congregazione e a questi Santi che qui sono vissuti, negli ultimi decenni dell’800 appunto e che hanno creato quella che poi diventerà la Comunità religiosa che vediamo adesso. Se noi ci spostiamo da Castelletto verso Sud arriviamo a San Zeno de l’Oselet, altro iconema: il campanile di San Zeno de l’Oselet si può vedere da qualunque posizione si sia, anche da quasi 1800 metri di altezza, se andate all’inizio di alcuni cicli glaciali, per esempio quello delle Buse, da lì si vede il campanile della chiesetta. Il nome San Zeno de l’Oselet deriva dalla tradizione popolare, appunto perché l’Oselet era visibile da ogni posto, non a caso gli scavi che hanno portato alla scoperta, intorno agli anni 200, di questa villa romana, ci dicono che, proprio perché era un luogo importante anche dal punto di vista strategico, era abitato e frequentato già in epoca romana e quindi la persistenza della chiesa si somma ad una precedente. Spostandoci un po’ più a Nord, Porto sembra quasi una punta con il Baldo alle spalle, visto dal lago si osserva tutto il territorio di Brenzone, partendo dal lago fin sulla cresta. Si notano anche le diversità di colore delle fasce altimetriche. Vediamo però come la fascia dell’uliveto, che è la prima, sia stata molto antropizzata, si vedono le nuove costruzioni inserite all’interno. Queste cose dobbiamo essere in grado di osservarle nel momento che andiamo a vedere un territorio. Altri iconemi tradizionali: strutture spesso in legno che erano attaccate alle case, aggiunte in un certo senso, le strutture stesse delle abitazioni, alcune corti o corticelle fortificate all’interno dei paesini, la caratteristica di avere le abitazioni in buona parte con un porticato al piano terra, a volta o anche con la cantina a volto, l’abitazione al primo piano con la scala esterna, sono tutti motivi ricorrenti tradizionali che noi ritroviamo nelle costruzioni tipiche di tutto il territorio di Brenzone, e questi dobbiamo saperli riconoscere, così come riconosciamo chiaramente le chiesette, i campanili che si vedono in quanto collocate in punti dove era non soltanto importante vederli ma anche sentirli; una cosa che purtroppo stiamo perdendo è l’udito, una volta le campane segnavano la giornata e quindi era importante sentirle, era importante quindi collocare i campanili, e quindi le chiese a loro vicine, in posti che potessero rimandare il suono, che era importante sentire perché era proprio l’orologio che scandiva la giornata, ma non solo, scandiva anche la vita del paese: quando nasceva un bambino o moriva una persona, c’erano dei suoni di campana che erano come dei messaggi, la gente, anche a un chilometro di distanza, sapeva che era successo qualcosa. Questo l’abbiamo perso completamente, oggi non è più come allora, c’è ancora il suono delle campane ma non ha più questa motivazione. Terminiamo con Assenza dove c’è un’altra chiesetta che è un gioiello proprio per il ciclo di pitture che sono all’interno, che fra l’altro sono probabilmente le più antiche come tipologia di affreschi che sono stati fatti nel territorio di Brenzone. Quante altre forme di religiosità abbiamo sul nostro territorio? Tutti i capitelli che segnano i punti importanti di incrocio, perché era lì che bisognava fare i capitelli, non lungo la strada, dove venivano fatti se succedeva qualche disgrazia o per ex voto, ma se non c’erano queste motivazioni impellenti, il capitello andava posizionato dove la gente era costretta a passare e quindi venivano creati proprio negli incroci, nei punti di maggior passaggio. Ce ne sono tanti nel territorio di Brenzone proprio sulle direttrici che vanno verso l’alto, nelle vie trasversali, e va ricordato
  • 5. 5 anche tutto il lavoro che è stato fatto, anche dal CTG, di recupero e di restauro di questi capitelli, che sono una testimonianza, una memoria che non deve essere dimenticata. La pietra di Castelletto è una delle memorie più antiche che abbiamo nel nostro territorio e andrebbe valorizzata ancora di più. Riusciamo a risalire all’Età del Bronzo con le incisioni più antiche che ci sono su questa pietra, che poi sono state modificate anche da altre perché le pietre incise, che ci sono un po’ su tutto il territorio da San Vigilio a Malcesine, sono state a volte proprio ripercorse dalle persone che le frequentavano che quindi continuavano ad incidere anche perché trovavano già la forma incisa precedentemente e la modificavano. Però le più antiche le troviamo, per esempio le armi, questi grandi spadoni, queste asce che sono fra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro, queste sono importantissime. Anche le piccole figure umane stilizzate sono una testimonianza. Sarebbe da fare una testimonianza anche con le pitture che abbiamo detto prima che sono risalenti al 1100 al 1200 al 1300 e che danno un’idea della raffigurazione umana nel corso di millenni e noi abbiamo la fortuna di averla in questo territorio. Quindi qua parliamo non soltanto più di immagini della memoria ma di immagini simbolo, di simbologie che ci sono nel nostro territorio e che noi dovremmo cercare di riconoscere e collocarle in modo intelligente nel territorio nei loro significati originari.
  • 6. 6 In seguito c’è tutta la architettura popolare. Quando noi vediamo una calchèra, che oggi non è più utilizzata ma che una volta erano di fondamentale importanza, soprattutto in quella fascia tra i 200 e i 300 metri, se una famiglia decideva di costruirsi una casa, se non aveva la calce, se non aveva la possibilità di avere a disposizione queste calchère, difficilmente riusciva a farsela. Abbiamo fatto alcuni flash per dire come il territorio di Brenzone sia ricco di simbologie, è ricco di testimonianze che noi, nel momento che lo percorriamo a piedi, che è poi lo scopo che ci poniamo, dobbiamo saper riconoscere, prima di tutto per noi ma anche per poterle presentare alle persone che vengono con noi, in quanto il compito degli animatori è quello di farsi da tramite fra quello che si conosce e le persone che si avvicinano a questo territorio. In modo sistematico sono circa 50 chilometri quadrati di territorio, quindi è un bel territorio. 2500 abitanti, non sono tantissimi per questo territorio ma … in estate quanti sono gli abitanti? Rendiamoci conto di questo: 50 kmq di territorio per 2500 persone sono più che sufficienti anzi la densità non è elevatissima ma teniamo presente del “fattore turismo” che è fondamentale. E’ la fonte del clima di benessere di questo territorio, non bisogna nasconderlo, è stata ed è la fonte prima di benessere. Però il turismo va governato, non dico regolamentato, perché altrimenti rischia di prenderci la mano e di diventare ingovernabile, nel senso che se noi non lo programmiamo rischiamo veramente di avere un sovraffollamento che può arrivare a distruggerci il bene del nostro territorio. Si tratta quindi di essere intelligenti e di dire che il territorio lo programmiamo, non serve chiudere niente, bisogna solo programmare il territorio nel tempo; questo significa programmarlo perché lo possiamo usufruire noi, ma anche i nostri figli e anche le generazioni successive, perché anche loro avranno diritto e dovere di utilizzare questo territorio. Detto questo, si può vedere che c’è un confine netto con Malcesine. Il confine è la Valle del Torrente, che è una valle perpendicolare al lago e che sale praticamente fino al Telegrafo. E’ una valle netta che separa il territorio di Brenzone da quello di Malcesine. A Sud arriviamo praticamente verso Pai con il territorio di Torri. Nella fascia intermedia abbiamo sempre Torri in parte ma soprattutto abbiamo san
  • 7. 7 Zeno di Montagna che fa da confine Sud Orientale. In questa larga fascia c’è una costa abbastanza lunga che comprende quelli che una volta erano i due comuni, quello di Castelletto e Magugnano, Marniga, Porto messi insieme, che erano un’altra comunità e che alla fine fondendosi insieme hanno creato il Comune di Brenzone. Al di là di questo noi dobbiamo tener presente che questa zona è innanzitutto una zona con una pendenza moto accentuata e che viene suddivisa come si vede in questa immagine ….. fatta dalla Pro loco con vista dall’altra sponda dove ci si rende conto di come sono fatte le vallate e che cosa c’è dietro ai centri della costa: intanto la fascia fino ai 200 – 300 metri e queste profonde valli di cui la Valle del Torrente è quella a Nord, poi c’è la Val Mazzana, la Valle delle Nogare, molto profonda che va su fino al Telegrafo, ma in mezzo ci sono queste punte, queste grandi pale e qui vedremo perché ci sono. Poi si vede che a un certo punto, intorno ai 1000 metri, c’è come un ripiano, cessa la pendenza, e quel ripiano è stato fondamentale per lo sviluppo antropico e l’utilizzo della montagna da parte degli abitanti di Brenzone perché in questo modo, lì potevano fermarsi ed è nata quella che sarà Prada, da lì e in parte anche più sopra sono nate le malghe che ci sono ancora adesso nel territorio di Brenzone. Quindi è un territorio molto segnato da delle forme ben evidenti e, tra l’altro, di difficile percorso, perché trasversalmente, a parte la mulattiera che è alla base, peraltro è un sentiero del CAI, non ci sono sentieri. Dalla Valle del Torrente c’è un unico sentiero che è da recuperare, che, dall’Eremo dei Santi Benigno e Caro, scende nella Valle del Torrente appunto e risale a Malga Brione. Diciamo che c’era perché adesso è quasi impraticabile. Ma era l’unica strada che attraversava, a una quota di circa 800 – 900 metri, in quota. Altrimenti non ci sono attraversamenti, se non sopra le creste o sotto. Questo perché ci sono questi valloni che chiudono la possibilità di un attraversamento. Tra l’altro sono valloni terribili, ogni tanto qualche turista si perde, magari da una pala vedono il lago, scendono nella valle sottostante e diventa molto pericoloso, perché ci sono dei salti rocciosi che magari all’inizio sono facili da fare ma se succede qualcosa poi si rimane là, come è successo più di una volta. Non si riesce più a risalire e nemmeno a scendere. Sono dei limiti invalicabili del nostro territorio e bisogna tener conto anche di quello. Ma la nostra gente, in passato, lo sapeva. Lì non ci sono sentieri, non ci sono possibilità di attraversamento e loro lo avevano capito. Più sopra si arriva al Telegrafo, alla sommità della Valle delle Nogare si ha un Circolo Glaciale, nella parte più alta infatti abbiamo i Circoli glaciali oltre che alle Pale, quindi una morfologia che è veramente unica.
  • 8. 8 A questo punto però inseriamo il nostro territorio, lo inseriamo in un contesto che guarda sia il Lago di Garda che il Monte Baldo. Noi facciamo parte di tutti e due gli ambienti. Guardando da una grande distanza si può vedere che il nostro territorio non è verticale, ma diagonale: Nord-Est Sud-Ovest. Tutto il Lago di Garda, il Monte Baldo, ma anche tutta la Val d’Adige sono in diagonale, questa non è una cosa normale. Infatti questo è dovuto alla compressione che il cuneo della Lessinia che, nel momento in cui il nostro territorio si stava sollevando, si è venuta a incastrare e ha cominciato a spingere; per cui la dorsale del Monte Baldo e il Lago di Garda, che inizialmente erano in verticale, sotto questa spinta si sono inclinati, e questa spinta continua ancora adesso e la faglia che c’è nel Lago di Garda in realtà c’è sempre stata, è una faglia molto profonda e molto antica ed è una fessurazione in cui ancora adesso presenta degli scorrimenti fra gli strati rocciosi, da qui i piccoli terremoti che noi abbiamo, non c’entra il Monte Baldo/vulcano, non è un vulcano e non lo è mai stato, non ha rocce di natura vulcanica, se non un 3 – 4%. E’ invece soggetto a queste continue spinte, a dieci, quindici chilometri di profondità, che muovono anche di due, tre millimetri gli strati rocciosi della faglia e quindi provocano il terremoto in superficie. Si spera che siano modesti, ma abbiamo avuto anche dei terremoti disastrosi anche in epoche recenti: 1700, fine ‘800, appunto perché in questa zona c’è questa faglia e questa continua spinta. Il Lago di Garda ha due forme: una stretta e allungata dove siamo noi, ma poi si distende nella parte meridionale in un golfo. Anche questo si può vedere fisicamente se andiamo verso le creste vediamo il Lago di Garda con queste due forme. Verso Riva è come un fiordo e nella parte meridionale invece si allarga formando un golfo tra le colline. Il nostro territorio in realtà è a metà strada tra l’Adriatico e il Piemonte, a siamo su una via di comunicazione che taglia le Alpi, attraverso il Brennero e il Passo di Resia c’è il taglio delle catene alpine. Prima ancora dell’uomo che poi ha scoperto queste valli e ha fatto strade in epoca Romana e autostrade adesso. Pensate che le piante e la microfauna avevano già scoperto questa via, le colonizzazioni più antiche che noi abbiamo di queste piante sul Monte Baldo, tra l’altro sono anche le più rare, sono piante che vengono o dal Nord, o dal Sud o addirittura dall’Est e dall’Ovest e qui sul Monte Baldo, quando sono arrivate, hanno trovato delle condizioni climatiche che hanno permesso loro di rimanere. Ni siamo al centro di una situazione molto particolare, tra la pianura, quindi tra una zona mediterranea e una zona centro europea più fresca che è quella alpina, ma siamo anche tra l’Est, tra i Balcani e l’Ovest, addirittura abbiamo delle specie che vengono dalla Spagna così come dai Balcani. Non
  • 9. 9 solo nei tempi antichi, per esempio c’è lo Sciacallo dorato che viene qui da noi, che non c’è mai stato sul Monte Baldo ed è una specie che viene dai Balcani ed è stato trovato sul Monte Baldo appunto una decina di anni fa. I lupi che sono arrivati in Lessinia arriveranno anche sul Baldo prima o poi, in parte arrivano dalla Slovenia, uno arriva anche dall’arco alpino perché ha fatto il giro, i lupi camminano molto. Gli orsi che ogni tanto vengono sul Monte Baldo, vengono dal Trentino. Da qui si vede come il nostro territorio sia una via di comunicazione, anche se sembra modesto è molto importante, e la natura lo aveva capito molto tempo prima dell’uomo. Pensiamo poi l’Autostrada del Brennero o la Serenissima ai piedi del nostro lago. Sono posizioni importanti per capire la collocazione del nostro territorio e come esso si sia evoluto, perché è così ricco di specie e di endemismi che sono di una e dell’altra parte, appunto perché qua sono riuscite a trovare le condizioni ideali. Come dicevo è importante vedere il nostro territorio da distante. Se noi andiamo nella parte bassa del lago dall’altra sponda, e guardiamo verso questa in una bella giornata, si vede nitidamente come il Monte Baldo viene su “di brutto” rispetto al lago e anche alla Val d’Adige. Si pensi che questa visione, che avevano soprattutto gli abitanti della Pianura Padana, che vedevano spesso il Monte Baldo così incappucciato, coperto di nubi, e pensavano appunto che fosse un vulcano, al contrario il “cappuccio di nubi” è dovuto all’evaporazione dell’acqua del lago. D’estate, fino alle 9 circa del mattino è bello limpido poi cominciano ad arrivare le prime nuvolette perché l’acqua evapora e si condensa; quando sono le 5 e mezza – sei del pomeriggio si dissolve e le sere sono di nuovo belle ed è normale. Però per chi lo vedeva dalla pianura non era normale, vedevano sempre quel “cappello” e si diceva “El Monte Baldo el gà el capèl, o che piove o che fa bèl” e voleva dire che tutti ci indovinavano. Vedendo questo cappello, soprattutto per il fatto che c’erano anche questi frequenti terremoti, lo consideravano un vulcano, da lì la tradizione che lo sia, in realtà no. Salendo in alto si vede bene il fiordo. Se siete stati nei fiordi norvegesi, noterete una diversità, non solo della forma, ma anche dei colori, noi abbiamo colori verdi, azzurri tenui, in Norvegia verde scuro, blu intenso, a parte che è mare e non lago, quindi completamente diverso anche se le forme potrebbero essere similari in molti casi, per cui, quando era arrivato Goethe alla fine del 1700 si era innamorato di questo azzurro del nostro lago, un azzurro tenue che non aveva trovato in altre parti. E’ una caratteristica unica, il Lago di Garda si differenzia dal Lago Maggiore, dal Lago di Como, questa trasparenza, questo azzurro delle acque è dovuta al fatto che abbiamo un bacino idrografico poco esteso, non abbiamo un grande territorio che riversa le sue acque nel lago ma piccolo. Questo vuol dire che le acque per ricambiarsi nel Lago di Garda impiegano circa 27 anni, significa che i sedimenti tendono ad andare sul fondo, a differenza del Lago Maggiore o del Lago di Como dove le acque sono più torbide, più blu scure, meno trasparenti, raggiungiamo anche i 20-25 metri di trasparenza con acqua calma, è uno dei laghi con le acque più trasparenti. Purtroppo adesso si cerca di rovinarlo il più possibile, è giusto che ce ne rendiamo conto, siamo arrivati, nel giro di quarant’anni, al terzo impianto di depurazione, vuol dire che i primi impianti non funzionavano e probabilmente nemmeno questo perché si sta già pensando ad un quarto, dopo i milioni spesi per fare questi impianti di collettamento, la depurazione si fa a Salionze, sembra che ora si faccia più di un depuratore, comunque si sono accorti che tutti i lavori sono stati fatti male. Abbiamo la fortuna che non c’è nessuna industria chimica intorno al nostro lago, a differenza di quello che c’è in altri laghi. Abbiamo però un grande carico umano perché quando parliamo solo di turismo parliamo di oltre 20 milioni di presenze stabili da alcuni anni sommando tutte e tre le sponde. Quando l collettore non funziona gli scarichi finiscono nel lago che è grande, riesce a diluire ma non del tutto. Dobbiamo quindi renderci conto che è un bene di tutti noi e lo dobbiamo preservare in modo intelligente cercando di non distruggerlo. Vediamo già che il lago è cambiato anche a livello di pesci, per esempio le àgole non ci sono più, non è solo questione di
  • 10. 10 inquinamento ma anche di temperatura, ma non ci sono più così come il carpione, invece troviamo dei molluschi che vengono da altre parti, che non c’erano e che si stanno diffondendo. Troviamo il granchio che è americano invece del nostro. Queste cose incidono su un bene che dobbiamo preservare anche per il futuro. CARTOGRAFIE Il nostro territorio, il territorio di Brenzone, è stato rappresentato per la prima volta in una carta che è nell’Archivio di Stato di Brescia, siamo intorno alla fine del 1300. Ci sono i paesetti, con il castelletto dove c’era, la chiesetta. Cinquant’anni dopo, nella la carta di Almagià, comincia ad esserci una certa fisionomia delle montagne anche se si è ancora molto imprecisi, Sirmione è enorme rispetto a tutto il Lago di Garda, ma cominciamo ad avere qualche tratto più particolare, tra l’altro in questa carta c’è anche il passaggio delle galee veneziane nella Valle del Loppio, che è stata un’impresa avvenuta nel 1437-1439. Nelle carte poi del 1500 comincia ad essere migliore la qualità, i paesini sono sempre con il campanile, che identificava il centro, e c’è già il confine tra la Repubblica di Venezia, sotto, e il territorio dei Vescovi Conti di Trento che hanno tutta la parte superiore che poi diventerà confine tra Austria e Venezia e ora tra il Trentino e il Veneto con la Provincia di Verona. Nello stesso tempo, in questo periodo, siamo nel 1500, nasce anche un mito sul Monte Baldo che diventa “Hortus Europae”. Questo avviene perché un noto personaggio, Calzolari, farmacista di Verona, uno speziale come si chiamavano allora i farmacisti che facevano le medicine, prendendo le erbe e mettendone insieme i principi attivi, erano solo quelle le medicine del tempo perché ovviamente non c’erano quelle chimiche, ha fatto una descrizione del Monte Baldo e soprattutto delle piante di cui si serviva per costruire le proprie medicine e questo viaggio “da Verona al Monte Baldo” ha fatto il giro d’Europa, tutti i botanici si sono impossessati di questo diario e sono venuti di persona, da Rovereto andavano sul Baldo a prendere le erbe sul posto dove lui diceva che esistevano ed esistono ancora salvo alcune, e se le portavano per
  • 11. 11 utilizzarle. Da lì nasce questo mito di Giardino d’Europa che nel 1600 viene ingigantito da Pona con il suo libro “Monte Baldo”, siamo nel 1617, e poi praticamente fino ai nostri giorni. L’ingegner Turra è stato uno degli ultimi ma potremmo dire che l’ultimo “cantore” in un certo senso è Filippo Prosser che è un botanico di Rovereto, il quale ha fatto il censimento delle piante che ci sono sul Monte Baldo. Ne aveva censite quasi 1950, in realtà adesso sono già 2000, perché in questi ultimi dieci anni, ogni anno se ne scoprono sempre di nuove. Questo perché in pochi vanno dentro nei valloni glaciali e là ci sono delle specie endemiche che non troviamo in altre parti. Ma anche in zone più basse a volte, non solo nelle parti più elevate, Da lì è quindi nata questa nomea di “Giardino d’Europa”; in effetti è veramente consistente perché se si pensa a 2000 specie botaniche significa un terzo delle specie che ci sono in Italia, solo sul Monte Baldo. Questo perché si va dal Lago fino ai 2000 metri, nella stessa montagna, ce ne sono poche che hanno questa caratteristica, cioè quella di avere un territorio non solo esteso, ma anche climaticamente diversificato, dal Mediterraneo alla zona alpina praticamente. Il nome Benàco: se fosse vero quello che ci dicono gli studiosi, cioè che deriva da bennaccus che a sua volta derivava da un termine celtico bennac e che vorrebbe dire cornuto, cioè fatto a corni, guardandolo dal satellite effettivamente vediamo che ha golfi, rientranze che somigliano a corni ma 2500 anni fa non esistevano i satelliti per cui difficilmente hanno potuto vederlo in questo modo e se quindi l termine bennac sia proprio l’origine di questo nome. Quello che è sicuro è che nell’ottavo/nono secolo comincia ad essere usato il termine Garda, perché non tanto il paese di Garda ma la Rocca di Garda, che era fortificata, assume una grande importanza dal punto di vista amministrativo: diritti di pesca soprattutto, diritti di decima in tutta la parte meridionale del lago passano per Garda e quindi il lago comincia ad essere “di Garda”. Alla fine Benàco è rimasto solo in alcune terminologie ma quello sarebbe il nome antico. Il Monte Baldo da “Wald”. Wald era un “bosco fiscale” probabilmente un termine Longobardo addirittura. In effetti era molto boscoso come lo è ancora adesso, se guardate qualche immagine di un centinaio di anni fa di certe zone del Monte Baldo era pelato, adesso sta ritornando il bosco, anche troppo. Soprattutto in territorio di Brenzone il suolo dove sta ritornando il bosco è troppo modesto. Significa che a volte c’è mezzo metro, non di più di terreno, perché sotto ci sono le rocce e quindi non si è riusciti a formare un suolo, che si muove perché con queste pendenze basta una pioggia disastrosa e tutto viene portato in basso. Qui da noi quindi i boschi sono nell’abbandono più assoluto, la Forestale, anche per motivi economici non segue più i boschi così spesso, per cui ci troviamo con un patrimonio che va riconsiderato e rivisto.
  • 12. 12 Facciamo ora una piccola panoramica relativamente alle sponde, partendo da Riva con il piccolo anfiteatro del Monte Brione, tra Riva e Torbole, dove c’è la foce del Sarca che è l’immissario del Lago di Garda, poi si scende dalla sponda veronese verso Malcesine. Guardando Malcesine dall’alto si ha l’idea di dove siano nati gli insediamenti sul lago, sono delle “conoidi” e questo significa che quando l’ultima glaciazione si è ritirata, i torrenti che scendevano hanno portato dei materiali che hanno riempito, hanno formato come dei coni e lì sono nati i paesi, perché lì avevano terreno a disposizione, altrimenti spesso c’era un terreno roccioso e non c’era la possibilità di costruire. Dalla parte bresciana sono infatti molto più svantaggiati da quel punto di vista rispetto a noi. Campione che è di fronte a Malcesine, per esempio, ha un fazzolettino di terra dove c’è la spaccatura e c’è il torrente che scende dalla zona di Tremosine e che ha formato questa piccola conoide dove è stato possibile ma dalle altre parti il terreno è talmente ripido che nelle zone di costa non c’è la possibilità di costruire. Limone, posizione incantevole, è anche una conoide, è riparata dai venti, soleggiata, non a caso è stata la culla della produzione degli agrumi del territorio gardesano. Agrumi la cui produzione è cessata nella prima metà dell’800, una delle cause è stato lo sviluppo delle ferrovie in quanto arrivavano gli agrumi dalla Sicilia che erano economicamente molto più competitivi rispetto ai nostri e quindi le limonaie, di cui la sponda bresciana è piena, sono state eliminate. Dalla parte veronese ce ne sono meno, la più famosa è quella del museo di Torri dove c’è il castello. Sempre dalle immagini prese dall’alto si può vedere come il nostro territorio sia strutturato con questi lastroni, queste pale che dividono il territorio più elevato della nostra zona. Tra l’altro si può notare come sia visibile la strada che porta da Borago a Zovèl e a Prada, è una strada militare costruita proprio cento anni fa, caratterizzata da pendenze regolari anche se accentuate, doveva infatti superare un dislivello di 1000 metri, arriva fino a Val Trovaj, nell’ultima curva salendo dopo Zovello dove comincia il tratto piano che porta appunto a Val Trovaj la strada continua fino a Valoare (Valle delle Nogare). Sono riusciti a costruirla fino a lì, a 1300 metri, l’intenzione era di proseguire, c’è un sentiero che sale ai Forcellini e prosegue per il Telegrafo, c’era l’intenzione appunto di portarla fino al Telegrafo ma si sono fermati perché nel 1916 per fortuna il fronte era molto distante e non avevano uomini da destinare a queste costruzioni, altrimenti avremmo una strada fino al Telegrafo. La parte più bassa del nostro lago è caratterizzata da queste forme dolci, tra l’altro adesso piene di insediamenti, se si va da Maderno e si fa tutto il giro fino a Garda non si trova uno spazio libero lungo le sponde che sono ormai completamente antropizzate, tutto questo negli ultimi trent’anni, anche i villaggi che ci sono tra Desenzano e Salò risalgono agli ultimi 20/25 anni, prima non c’erano. Questo è il risultato che può portare l’insediamento umano. Nel nostro territorio questo non è avvenuto perché è molto più pendente, più aspro, e si è un po’ rallentato l’insediamento, però anche qua, se pensiamo alle ville che ci sono nell’entroterra tra Torri e Albisano, ma anche nella stessa Malcesine, si vede che c’è stato un notevole sviluppo. San Vigilio è uno dei luoghi più singolari e suggestivi del Lago di Garda. Il bacino idrografico è circa sei volte la superficie del Lago di Garda, è quindi piccolo, quindi abbiamo un lento ricambio delle acque. Quindi la trasparenza delle acque del Lago di Garda dipende da questo fattore, dal lento ricambio delle acque. E’ una trasparenza a volte veramente significativa, in alcuni casi arriva fino a 25 metri. Il nostro lago ha anche la caratteristica dei venti, ci sono ovviamente delle onde che sono mosse da questi venti. A parte avere dei movimenti regolari che si chiamano “sesse” che non
  • 13. 13 sono maree, ma sono comunque degli innalzamenti ed abbassamenti, che se vengono ad associarsi al lago in tempesta, provocano le cosiddette “lagheggiate” che sono veramente distruttive. Quando Catullo diceva che da Sirmione il lago a volte assomiglia al mare, aveva ragione perché in quei giorni è meglio stare distanti dalle rive. Il Lago di Garda è alimentato da 27 torrenti che vi versano le proprie acque, tutti modesti, a parte naturalmente il Sarca che è un fiume, e a parte l’Aril che viene considerato un altro fiume comunque modestissimo. Il Mincio invece porta fuori le acque, ne porta fuori una quantità superiore di quelle che immette il Sarca e, facendo la somma con gli altri torrenti, non saremmo in equilibrio, eppure il nostro lago c’è ancora, questo vuol dire che ci sono sorgenti sub-lacuali, non le vediamo ma ci accorgiamo che ci sono quando sentiamo le correnti fredde che ci sono spesso all’interno del lago che sono appunto anche di derivazione di queste sorgenti. Abbiamo visto che c’è anche questa spaccatura di cui abbiamo parlato, ma si sapeva che c’erano delle spaccature e questo non vuol dire che l’acqua del lago scende come se si levasse un tappo, l’acqua non va da nessuna parte. Si pensi che in 12000 anni il livello del lago si è abbassato di circa una quindicina di metri, perché subito dopo la glaciazione il livello delle acque era un po’ più alto. Questo in 12000 anni non è significativo, si può dire che sostanzialmente è in equilibrio. Un lago effettivamente è un contenitore di acque in equilibrio, in entrata e in uscita e fin che c’è questo equilibrio il lago rimane. Sappiamo che è regolato dalla diga di Salionze quindi è un equilibrio in parte deciso e destinato dall’uomo. Poi abbiamo i venti, molto importanti, ce ne sono due in particolare, quelli più di lungo corso. C’è l’òra che viene da Sud e spira da mezzogiorno fino al pomeriggio inoltrato e poi c’è il baliv o pelèr come volete chiamarlo che da Nord scende verso Sud tra la notte e il mattino. Oltre a questi c’è tutta una serie di venti locali che si vengono a creare perché il riscaldamento solare di questa grande massa d’acqua crea degli scompensi di temperatura, il vento nasce proprio a seguito di scompensi di temperatura infatti, da zone più fredde a zone più calde. In più abbiamo la montagna, il Monte Baldo, che ulteriormente raffredda l’aria, quindi tutte queste varianti sommate insieme creano una serie di venti che è anche abbastanza costante, infatti sono riportati nelle carte nautiche in quanto fondamentali anche per la navigazione, una volta erano molto più conosciuti di quanto li conosciamo noi adesso. Torniamo al nostro Monte Baldo e parliamo delle rocce che lo costituiscono, cosa sono e perché ci sono, queste rocce particolari con una forma slanciata verso l’alto? Queste forme che noi possiamo vedere nel territorio di Brenzone, che si chiamano Pale o Mitre, sono dei triangoli rocciosi, come delle sbucciature di quello che è il nucleo della montagna, che si sono separate dal corpo centrale, sono quasi verticali, in alcuni casi, e sono instabili. Queste sono l’origine dei micro terremoti, non dei terremoti di cui parlavamo prima che derivano dalla nostra zona sismica che avvengono per compressione di zolle, ma i circa 300 micro terremoti all’anno che noi abbiamo e che vengono registrati solo dagli strumenti, non ce ne accorgiamo nemmeno. Questi sono dovuti appunto alle Pale che ogni tanto si spostano verso il basso creando appunto dei piccoli terremoti. I rumori che ogni tanto si sentono, il fatto che l’Aril versi o non versi acqua, tutto si rifà a queste pale in quanto la zona è carsica, sotto ci sono delle cavità e questi movimenti delle Pale provocano alterazioni all’interno, alterazioni nelle acque e possono provocare dei rumori in certe condizioni come è spesso successo. Non c’entra niente il vulcanesimo: i vulcani non hanno niente a che fare con il Monte Baldo. Se andiamo sopra la punta delle Pale e un sentiero impegnativo ma molto bello è quello che da Malcesine porta a Cima Valdritta e si può fare al contrario scendendo, porta proprio sulla cima delle Pale, si vedono le punte
  • 14. 14 delle Pale che si immergono ed è molto suggestivo. Queste Pale in realtà si stanno staccando. La Pala di San Zeno è quella dell’Eremo di San Benigno e Caro, sopra Cassone, loro avevano scelto un posto eccezionale all’epoca, si parla del IX Secolo, questa è una delle Pale più grandi e si sta staccando, siamo nel Comune di Malcesine, subito dopo il confine segnato dalla Valle del Torrente. Tra una Pala e l’altra ci sono queste valli. In tutte queste valli si trovano delle “Marmitte dei Giganti” che sono segni di escavazione provocati dall’acqua in quota, non in basso, sulle pareti, come per esempio nella Val Trovaj. Quando si sono sciolte le glaciazioni, la quantità di acqua che scendeva era talmente enorme che faceva ruotare questi ciottoli che con il tempo hanno creato queste specie di vasche, queste “marmitte”. Il Balòc tacà via probabilmente è una di quelle situazioni di una frana all’interno delle pareti molto verticali e strette dove dei massi si sono incastrati e lì sono rimasti, tra l’altro creando uno spettacolo davvero bello. Nella parte sopra i 1800 metri abbiamo i “circhi glaciali” che sono altre caratteristiche del Monte Baldo, si vede quindi che diversità abbiamo su questa montagna. Dai 1800 ai 2200 metri abbiamo 7 circhi glaciali, sono 7 scodelle che erano riempite di ghiaccio durante l’ultima glaciazione, poi i ghiacci si sono sciolti e ora c’è qualche nevaio che difficilmente supera l’estate. Sono delle semi scodelle, perché sono tagliate verso il lago dove c’era una lingua che scendeva verso il basso. Nel territorio di Brenzone abbiamo quella della Val delle Nogare e quella del Telegrafo e Valle delle Buse, praticamente sono due circoli glaciali, il circolo del Telegrafo è doppio quindi ci sono tre circhi glaciali a Brenzone, gli altri sono soprattutto in quello di Malcesine e in quello di Brentonico, sull’altro versante che è molto diverso dal nostro che si affaccia sul lago, è un versante “a imbuti” detti “imbuti nivali” dove ogni tanto si accumula la neve e possono provocare delle slavine. Per tornare a noi, nella parte più occidentale, cosa ha formato il Monte Baldo e in che periodo? Negli ultimo 200 milioni di anni, siamo nell’Era Secondaria. In origine il Monte Baldo non era emerso dal mare, c’era un grande bacino, la Piattaforma di Trento, sommersa, e in questo territorio sommerso si riversavano sedimenti da grandi fiumi e acque di mare che cominciavano a far sedimentare le rocce e le rocce più antiche che abbiamo dono rocce di Dolomia. Siamo intorno a 190 – 200 milioni di anni fa, sono le rocce più antiche che adesso troviamo sulle creste più alte, qualcosa abbiamo anche nel territorio di Brenzone, dove c’era la fabbrica di Magnesia in loc. Vàs, lì c’è una “lente” di rocce di tipo dolomitico che venivano sfruttate perché le rocce dolomitiche sono carbonati di calcio e di magnesio e venivano impiegate per ricavare la magnesia. Nel nostro territorio del Baldo abbiamo solo una 3-4% di rocce vulcaniche, quelle nere, si trovano soprattutto nella parte settentrionale, in territorio trentino. Se fosse stato un vulcano avremmo un 60-70% di rocce di tipo vulcanico, quindi non lo è mai stato. Questi basalti, tra l’altro, sono rocce che hanno dai 40 ai 50 milioni di anni, mentre la Dolomia l’avevamo molto prima. La gran parte delle pale e della struttura del Monte Baldo sono rocce di calcari grigi che si hanno dai 190 ai 170 milioni di anni fa e calcari olitici e arriviamo a circa 150 milioni di anni fa. Sempre nell’Era secondaria e sempre sotto il livello marino. Si cominciavano a sedimentare, insieme con le rocce, anche animali, soprattutto molluschi, cefalopodi che potevano essere le ammoniti e quelle le troviamo nei fossili che poi spesso rinveniamo nel nostro territorio, tra l’altro anche molto belli; le ammoniti sono dei molluschi che adesso non esistono più perché alla fine dell’Era Secondaria sono scomparse. Troviamo anche delle rocce metamorfiche, sono le Selci, di vario colore sono dei silicati, contengono silicio che è una roccia che per le temperature e le pressioni enormi a cui è stata assoggettata si è modificata nella sua costituzione diventando appunto un silicato, roccia vetrosa e metamorfica.
  • 15. 15 Alla fine dell’Era Secondaria, intorno a 70 milioni di anni fa, probabilmente l’impatto di un grande meteorite, (la Terra ne ha subiti diversi anche in epoche precedenti), ha spostato l’asse terrestre improvvisamente, ha fatto scomparire migliaia di specie fra cui i grandi dinosauri che non sono stati in grado di adattarsi al repentino cambiamento di temperatura, essendo a sangue freddo, e ha spostato anche il movimento della crosta terrestre e da allora è iniziato questo movimento della Zolla Africana verso quella Europea che è ancora in corso. Per alcuni milioni di anni è stato un movimento veloce e quindi ha inciso maggiormente e intorno a 30 milioni di anni fa abbiamo avuto la gran parte dell’emersione del Monte Baldo appunto sotto questa spinta, così come la gran parte delle Alpi, si pensi che in questi periodi, 30-40 milioni di anni fa probabilmente il Monte Baldo era molto più alto di quello che è ora, secondo i geologi arrivava anche ai 3000 metri, poi a causa dell’erosione ha raggiunto l’altezza attuale, addirittura in alcuni casi le rocce si sono ripiegate nella zona Orientale. Questo perché il Monte Baldo è nato per compressione tra la Zolla Sud Africana che si inseriva attraverso la Lessinia da Oriente e la controspinta che veniva dalle Prealpi Bresciane, si trovava in mezzo, queste spinte hanno provocato l’innalzamento e il ripiegamento, la piega però ogni tanto si spezza quindi nel nostro versante esistono le pale mentre dall’altra parte c’è stato il rovesciamento, che si può vedere nella zona di Ferrara di Monte Baldo. Ogni tanto avvengono delle rotture, faglie, una a livello dle pale, una a livello di Ferrara di Monte Baldo e ce n’è una terza che è a metà del lago, quella è ancora più profonda, è denominata Faglia di Ballino, va da Salò fino a Ballino, una diramazione sotterranea più profonda va verso Verona, quella è la zona che si muove maggiormente, la sismicità degli ultimi 200 anni è lungo questo tratto, perché c’è questa compressione e si libera energia dove c’è già la rottura. Guardando il Monte Baldo dall’alto si vedono gli strati ripiegati e ogni tanto c’è una fessura perché lì si spaccano e nascono le pale che poi scendono sul versante. Sopra i 1800 metri ci sono queste mezze scodelle che sono i circhi glaciali che sono una rarità e una caratteristica, pensate ai microclimi che si vengono a creare, ci sono le pareti a Nord, in cui non batte mai il sole che hanno degli endemismi sia floreali che di animali che se facciamo 200 metri di distanza non li troviamo più, sono circoscritti a quel piccolo luogo. Ci sono delle farfalle che vivono solo in due circhi glaciali, ci sono dei coleotteri che vivono solo in un circo glaciale. Quindi abbiamo delle rarità dovute alle condizioni climatiche e dovute soprattutto alle ultime glaciazioni, che sono state quelle che hanno modificato in gran parte il nostro territorio, dal punto di vista dall’ultima grande erosione ed invasione anche fredda, però il Monte Baldo ha avuto la fortuna di emergere dal ghiacciaio che arrivava a circa 800 metri a Malcesine, nella zona di Brenzone arrivava sotto Prada, quindi sui 700 metri poi a San Zeno di Montagna quindi si abbassava sui 500 metri e poi arrivava sui 300 metri nella zona di San Vigilio e verso Peschiera era solo 150 metri di spessore. Tutta la parte del Monte Baldo che era libera prima dei piccoli ghiacciai di cresta era una parte dove le specie hanno potuto sopravvivere per circa 50-60 mila anni, la durata dell’ultima glaciazione, questo vuol dire creare nuove specie. La speciazione in natura ci impiega 35-40 mila anni per creare una nuova specie. Il fatto poi che non hanno potuto entrare in contatto con altre piante o animali simili appunto perché c’era il ghiacciaio intorno, si sono adattate e hanno creato delle modifiche che entrano geneticamente nelle discendenze e si creano nuove specie. Adesso in laboratorio bastano dei giorni per creare delle specie. Quindi nel Monte Baldo, nell’ultima glaciazione, abbiamo avuto delle speciazioni nuove. Anche qui troviamo una parte morenica, tutti i suoli che ci sono nel territorio di Brenzone sono suoli morenici, lasciati dal ghiacciaio sotto la zona di Prada, appunto perché sopra Prada non arrivavano, ma il ghiacciaio ha lisciato gli strati rocciosi. Quando si è ritirato i materiali incoerenti sono scesi ma poco materiale si è fissato sotto queste pietre, se guardiamo gli uliveti che abbiamo fino ai 200 300 metri
  • 16. 16 vediamo che c’è una modesta quantità di suolo. L’uomo quindi ha cercato in tutti i modi di coltivare, creando terrazzamenti per fermare il suolo che scendeva, quindi un lavoro immane in 1000 – 1500 anni per cercare di fermare il suolo, quando ci sono le frane a causa di allagamenti si vede che dalle valli scende di tutto, è sempre successo e quindi bisognava fermare il terreno. Quindi grande lavoro per conquistarsi fazzolettini di terreno che rimane modesto, in molti casi si arriva a 20 – 30 centimetri di terra e quindi è anche faticoso coltivare in queste condizioni. Relativamente alla fascia vegetazionale, abbiamo cinque settori dove costruiamo il paesaggio vegetale che completa dal punto di vista naturalistico questo nostro grande valore che diamo al nostro territorio. C’è tutto l’aspetto antropico e ne parleremo nel prossimo incontro.
  • 17. 17 SCHEDA 1 Eugenio Turri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Eugenio Turri (Grezzana, 1927 – Verona, 2005) è stato un geografo, scrittore e viaggiatore italiano. È noto per essere stato uno dei maggiori esperti del paesaggio italiano[1] e per averne documentato i cambiamenti nel periodo del Miracolo economico italiano degli anni sessanta. Biografia Eugenio Turri è nato nel 1927 a Grezzana in provincia di Verona e trascorse la giovinezza a Villa Arvedi dove il padre lavorava come castaldo (amministratore economico). Fu proprio il padre a trasmettergli l'amore per la Valpantena e in generale per il paesaggio, che diventerà il tema principale della sua futura attività. A Milano ha vissuto per tutta la vita lavorando come geografo per l'Istituto Geografico De Agostini e scrivendo numerosi libri e saggi sul paesaggio, tra cui Antropologia del paesaggio (1974, 1981, 2008), Semiologia del paesaggio italiano (1979, 1990), Il paesaggio come teatro (1998), La megalopoli padana (2000) e Il paesaggio e il silenzio (2004). Ha viaggiato in tutto il mondo, approfondendo soprattutto le aree desertiche dell'Asia centrale, il Sahara e il Sahel. Ha dedicato una particolare attenzione ai temi del nomadismo, della desertificazione e alle problematiche tra Nord e Sud del mondo, ma anche alla storia del paesaggio italiano e alla pianificazione territoriale. Dei suoi viaggi è rimasta memoria in un cospicuo archivio fotografico. È stato docente di Geografia del Paesaggio al Politecnico di Milano e consulente alla Pianificazione paesistica della Regione Lombardia. Fu membro effettivo dell'Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona. Bibliografia La presente è una selezione di opere e non rappresenta l'intero corpus dell'opera di Turri, consultabile nel libro L'occhio del geografo sulla montagna a cura della figlia Lucia Turri. • Viaggio all'isola Maurizio, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1962 • Viaggio a Samarcanda, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1963 • Il diario del geologo, Rebellato, Padova 1967 • La Lessinia. La natura e l'uomo nel paesaggio, Edizioni di Vita Veronese, Verona 1969 • Il Monte Baldo, Corev, Verona 1971 • Antropologia del paesaggio, Edizioni di Comunità, Milano 1974; riedizione nel 1981, terza edizione per Marsilio 2008
  • 18. 18 • Villa Veneta. Conte sior paron castaldo fittavolo contadin. Agonia del mondo mezzadrile e messaggio neotecnico, Bertani, Verona 1977 • Nomadi. Gli uomini dei grandi spazi, Fabbri, Milano 1978 • Semiologia del paesaggio italiano, Longanesi, Milano 1979; riedizione nel 1990; terza edizione per Marsilio 2014. • L'italia ieri e oggi, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1981 • Dentro il paesaggio. Caprino e il Monte Baldo. Ricerche su un territorio comunale, Bertani, Verona 1982 • Gli uomini delle tende. I pastori nomadi tra ecologia e storia, tra deserto e bidonville, Edizioni di Comunità, Milano 1983 • La Via della Seta, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1983 • Il Bangher. La montagna e l'utopia, Bertani, Verona 1988 • L'Italia vista dal cielo, A. Vallardi Editore, Milano 1988 • Weekend nel Mesozoico, Cierre Edizioni, Verona 1992 • Miracolo economico. Dalla villa veneta al capannone industriale, Cierre Edizioni, Verona 1995 • Il paesaggio come teatro, Marsilio, Venezia 1998; riedizioni nel 2003 e 2006 • Il Monte Baldo, Cierre Edizioni, Verona 1999 • La megalopoli padana, Marsilio, Venezia 2000; riedizione nel 2004 • La conoscenza del territorio. Metodologia per un'analisi storico-geografica, Marsilio, Venezia 2002 • Villa Veneta. Agonia di una civiltà, Cierre Edizioni, Verona 2002 • Gli uomini delle tende. Dalla Mongolia alla Mauritania, Bruno Mondadori, Milano 2003 • Il paesaggio degli uomini. La natura, la cultura, la storia, Zanichelli, Bologna 2003 • Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia 2004 • Il viaggio di Abdu. Dall'Oriente all'Occidente, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2004 • Viaggio a Samarcanda, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2004 • Taklimakan. Il deserto da cui non si torna indietro, Tararà, Ginevra 2005 Note 1. ^ Eugenio Turri, Semiologia del paesaggio italiano, Milano, Longanesi, 1990, ISBN 978-88-304-0960-6.