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20
La gestione dei rischi nell’asset
management
L’attività di risk management attraverso la misurazione, l’interpretazione e la valutazione
dei risultati conseguiti è diventata sempre più attività imprescindibile per chi opera
nell’asset management e intende servire al meglio la propria clientela. Tale necessità deri-
va principalmente dall’effetto delle dinamiche caratterizzanti i mercati finanziari, delle ini-
ziative normative e/o regolamentari assunte dalle autorità e dell’accresciuto e consapevole
bisogno di processi disciplinati di costruzione dei portafogli.
La diffusione della cultura del rischio associato al rendimento è diventato un elemento
cardine nella gestione strategica e tattica dei portafogli.
Obiettivo del capitolo è quello di evidenziare i principali risk presenti e futuri e suggerire
dei punti di attenzione al fine di mitigarli e gestirli consapevolmente.
Temi di discussione
In questo capitolo discuteremo di:
• l’importanza della gestione dei rischi nell’asset management;
• i top risks dell’asset management;
• il rischio di controparte e il rischio operativo;
• suggerimenti per la gestione dei rischi presenti e futuri.
di Joseph Orzano e Fabio Marchetto
392 Capitolo 20
20.1 L’importanza della gestione dei rischi nell’asset manage-
ment
L’evoluzione del risparmio gestito, complice la recente crisi finanziaria, ha portato ad
analizzare con sempre maggiore approfondimento tutti i fattori che incidono sulle
performance di questo settore di business. A questa maggior attenzione si è affiancato
il crescente interesse da parte dei regulators nei confronti di un comparto la cui opera-
tività influenza sensibilmente la stabilità finanziaria del sistema sociale. Le aziende
che offrono servizi di risparmio gestito stanno assumendo caratteristiche organizzati-
ve e strutturali sempre più articolate e complesse senza perdere di vista la necessità di
mantenere processi operativi snelli e veloci in maniera da adattare velocemente, anche
in senso tattico, le scelte strategiche in relazione ai repentini movimenti del mercato
sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta.
Si assiste quindi ad un crescente sviluppo di attività e professionalità che non era-
no del tutto presenti, o lo erano solo parzialmente, nell’industria dell’asset manage-
ment e che in alcuni casi sono state mutuate dall’esperienza bancaria ovvero
dell’investment banking. Altre funzioni sono del tutto innovative nel panorama osser-
vato e nascono per permettere l’analisi e la gestione di problematiche legate a vari ri-
schi che fino a tempi molto recenti erano affrontate in generale con modalità molto
destrutturate.
L’obiettivo del presente capitolo è fornire un quadro di riferimento di come una
società di gestione del risparmio complessa ed articolata approcci gli aspetti legati al
rischio e come progressivamente i processi legati a queste attività si siano integrati
nell’azienda.
L’industria della gestione del risparmio opera, per definizione, nell’ambito di
mandati conferiti da investitori terzi. L’asset manager si trova quindi ‘al riparo’ da
possibili minusvalenze che possono insorgere per effetto della sfavorevole evoluzione
delle variabili di mercato, ‘protetto’ dalla regola contrattuale (tipica dell’attività in
oggetto) che limita la sua responsabilità patrimoniale al valore di mercato degli attivi.
Si tratta di una situazione oggettivamente molto diversa da quella del banchiere, ed in
particolare dell’investment banker, che opera con risorse proprie (conferite dagli
azionisti o raccolte sul mercato del capitale di debito) nell’intento di conseguire utili
correnti o in conto capitale attraverso una superiore capacità di selezione del portafo-
glio. Conseguentemente, si potrebbe pensare che il controllo dei rischi relativi a pos-
sibili perdite sui patrimoni gestiti non rientri tra le priorità strategiche di un gestore,
proprio perché tali perdite non sono di sua diretta pertinenza, ma gravano sul cliente
finale. In effetti, è innegabile che l’industria dell’asset management si sia accostata
con un certo ritardo agli strumenti di misura prospettica dei rischi impliciti in una data
composizione di portafoglio, strumenti che hanno visto la specifica genesi proprio
presso le grandi banche d’investimento Tuttavia, da alcuni anni ormai è in atto una
diffusa presa di coscienza circa l’utilità di un’adeguata attività di risk management
all’interno di una società di gestione del risparmio.
Con riferimento al nostro Paese, si registrano una crescente attenzione verso
l’adozione di strumenti di analisi del rischio e una progressiva diffusione di tecniche
quantitative di misura e controllo dei rischi finanziari.
La gestione dei rischi nell’asset management 393
Le ragioni di tale diffusione sono molteplici, ma possono essere sintetizzate in tre mo-
tivi. In primo luogo, un’erosione del controvalore dei patrimoni amministrati, se pure
non conduce nell’immediato a perdite finanziarie, rappresenta una minaccia per
l’industria del risparmio gestito. Il ‘fatturato’ del settore dipende infatti, in buona mi-
sura, da commissioni proporzionali agli asset under management (AUM); di conse-
guenza, la riduzione delle masse gestite comporta un calo dei profitti che, data la rigi-
dità di talune voci di costo, può addirittura risultare più che proporzionale. Qualora
tale minore profittabilità venisse ritenuta di natura permanente, lo stesso valore eco-
nomico delle società di gestione del risparmio dovrebbe essere rettificato verso il bas-
so. Esiste quindi un legame preciso, ancorché indiretto, tra perdite sul patrimonio dei
clienti e valore del patrimonio di un asset manager.
In secondo luogo, la rapida introduzione di strutture di risk management presso le
società di gestione del risparmio è giustificata anche dalla necessità di mantenere sot-
to controllo la rischiosità relativa al rispetto al benchmark, che rappresenta un obietti-
vo strategico dell’attività di gestione. In effetti, dato il trend delle quotazioni dei mer-
cati borsistici (ed a maggior ragione se tale trend è negativo), la difesa delle quote di
mercato passa attraverso il mantenimento di un adeguato differenziale di rendimento
rispetto ad una strategia passiva ‘pura’; tale differenziale (sovente indicato come ‘al-
fa’ nella letteratura sul risparmio gestito) consente di giustificare i costi del servizio e
di accrescere la reputazione ed il brand della società di gestione. È dunque necessario
disporre di tutti gli strumenti necessari per quantificare, controllare, gestire il rischio
legato al conseguimento di un alfa negativo, senza per questo ripiegare su una strate-
gia d’investimento perfettamente allineata rispetto al parametro oggettivo di riferi-
mento.
Infine, alle fortune del risk management nelle società di gestione italiane ha cer-
tamente concorso anche un mutamento qualitativo della clientela. Non soltanto si è
diffusa una maggiore consapevolezza del rischio presso gli investitori retail, ma va
guadagnando spessore il mercato istituzionale che, nel nostro Paese comprende so-
prattutto fondi pensione negoziali, fondazioni, assicuratori e gestori terzi. Al mercato
dei clienti istituzionali si associa, da un lato, una maggiore preparazione tecnica, che
li porta a conferire notevole importanza alla capacità di misurare, monitorare, rappre-
sentare in modo trasparente e tempestivo il livello di rischio implicito in un determi-
nato asset mix; dall’altro, si riscontra una maggiore reattività che li conduce a sanzio-
nare in modo puntuale (e talvolta pesante) eventuali errori del gestore, sottraendogli il
mandato ed eventualmente facendo ricorso alle vie legali. È evidente quindi che tale
categoria di clienti rappresenta una sorta di ‘pungolo’ di forte incentivo.
Per meglio spiegare le evoluzioni delle tematiche fin qui spiegate in modo ‘con-
creto’ è interessante citare una survey sviluppata nei primi mesi del 2013 dalla società
di consulenza Ernst & Young (si veda la Figura 20.1).
394 Capitolo 20
Figura 20.1 Analisi dell’importanza delle motivazioni che spingono alla gestione del
rischio. Fonte: Ernst & Young (2013)
Il veloce ritmo del cambiamento normativo, il desiderio di evitare l’impatto reputa-
zionale e la necessità di gestire la complessità delle sovrapposizione tra le direttive
regolamentari erano e sono rimasti i temi di maggior preoccupazione nel 2013 come
nel 2012. Si è invece ridotta la preoccupazione per eventi estremi quali la tenuta
dell’euro.
20.2 Il ruolo del risk management nella creazione dei prodotti
di asset management
Il rischio di investimento è comunemente definito come una deviazione positiva o ne-
gativa di un risultato previsto (Ernst & Young, 2013). Gli asset manager in genere
considerano il rischio di investimento come la misura del rendimento atteso dato il
La gestione dei rischi nell’asset management 395
livello di tolleranza al rischio. Un elemento chiave del quadro complessivo sul rischio
di investimento è la chiara identificazione, documentazione e comunicazione della
propensione al rischio del cliente. Per tale motivo, la funzione che gestisce il rischio
di investimento è un componente critico nel processo di creazione di un prodotto.
Accettare che l’attività di rivedere ogni portafoglio su base giornaliera, come parte
del processo di gestione degli investimenti in corso, sia assegnata ad una figura indi-
pendente, quella del risk manager, per evitare conflitti di interesse e assicurare indi-
pendenza di valutazione, è un importante passaggio culturale avvenuto nel corso degli
ultimi anni.
La Figura 20.2 evidenzia come le funzioni di risk management vengano coinvolte
in maniera sempre più significativa nell’intero ciclo di creazione del prodotto, in varie
forme a seconda della tipologia di rischio sottostante che deve essere monitorato.
La Figura 20.3 mostra che il 51% degli intervistati nell’ambito della survey di
Ernst & Young (2013) ha potuto attestare l’indipendenza della funzione di rischio di
investimento, con cifre notevolmente più elevate nel Regno Unito rispetto ad alcuni
paesi dell'Europa continentale.
Altri punti da notare riguardano le grandi disparità tra le aziende nelle modalità di
gestire il rischio di investimento. Per esempio, il 56% degli intervistati ha evidenziato
la specifica dedizione di risorse esperte di gestione dei rischi coinvolte nella fase di
ingegnerizzazione del prodotto. Solo il 40% degli intervistati ha dimostrato un pro-
cesso avanzato per il risk budgeting, il processo di allocazione del rischio complessi-
vo di un portafoglio nei suoi vari elementi generatori.
Figura 20.2 Il coinvolgimento delle funzioni di rischio nel ciclo di vita del prodotto.
Fonte: Ernst & Young (2013)
396 Capitolo 20
Figura 20.3 Principali temi di attenzione nella gestione del rischio d’investimento.
Fonte: Ernst & Young (2013)
Il 60% delle imprese ha dimostrato di possedere un sistema di monitoraggio del ri-
schio sia a livello un aggregato che granulare mentre il 47% ha dichiarato di utilizzare
nella gestione quotidiana una modellazione dinamica (per esempio, portafogli di co-
pertura in tempo reale o quasi).
Le strutture di gestione dei rischi hanno lo scopo di presidiare il rischio di inve-
stimento in funzione dei seguenti obiettivi principali:
• sviluppare un adeguato framework di gestione dei rischi; elemento cardine per
l’istituzione di una serie di buone guidelines relative alla gestione dei rischi è quello
di strutturare una risk policy, ove tale definizione comporta: la scelta di indicatori
chiave per la misurazione dei rischi, la scelta di un orizzonte di calcolo per tali indi-
catori, la determinazione di un target, o di un valore massimo, per tali indicatori di
rischio sull’orizzonte temporale prescelto, la stima ex-ante degli indicatori, il confron-
to periodico e sistematico tra la stima ex-ante ed il target e la conseguente variazione
dei pesi, in modo che il rischio del portafoglio sia in linea con il target;
• sviluppare la capacità di reporting e di analisi del rischio per supportare i profes-
sionisti nella gestione degli investimenti all’interno dei loro portafogli;
• condurre recensioni indipendenti sull’analisi del rischio di investimento all’interno
dei prodotti, modelli e portafogli;
La gestione dei rischi nell’asset management 397
• definire un adeguato risk appetite, punto di riferimento per la calibrazione e la
creazione delle autonomie operative e dei limiti finanziari di tutti gli aspetti del mer-
cato, di credito, di liquidità e del rischio operativo.
La necessità di soddisfare l’eterogeneità delle linee di business è la considerazione
basilare per decidere le dimensioni e skill del team.
Qualità e non solo quantità è l’elemento caratterizzante le scelte di composizione
del team principalmente basata sulle difficoltà intrinseche nella strutturazione dei
prodotti ed nei mercati interessati, a prescindere dallo stile dell’azienda, dalla sua di-
mensione e dalla sua diversificazione geografica.
La Figura 20.4 mostra come la maggior parte del tempo dedicato dalle figure di
risk management sia speso in attività di definizione delle guidelines per costruire il
framework di controllo e di monitoraggio dei rischi; il rischio di controparte e il ri-
schio legato a tematiche di regolamentazione sono quelli maggiormente presidiati.
Figura 20.4 Le priorità nella gestione dei rischi. Fonte: Ernst & Young (2013)
398 Capitolo 20
20.3 Quali sono i principali rischi nell’asset management?
I venti rischi che ricevono maggiore attenzione dai Chief Risk Officer (CRO) secondo
la ricerca di Ernst & Young (2013) sono elencati nella Figura 20.5. Il rischio principa-
le, definito degli intervistati della survey, è il rischio regolamentare con un incremento
dal 67% del 2012 al 76% del 2013. Le nuove normative stanno creando una comples-
sa rete di obblighi regolamentari in tutto il mondo, in conseguenza del fatto che i re-
golatori nazionali stanno intensificando le loro procedure di controllo e di esecuzione.
Tale argomento è stato ampiamente trattato nel Capitolo 2, interamente dedicato alle
evoluzioni normative. In questa sede evidenziamo solo la Figura 20.6, che ricorda le
principali novità legislative e regolamentari.
Nella classifica segue il rischio di credito e di controparte, mentre cala
l’importanza percepita del rischio operativo, che scende dal primo al terzo posto.
Figura 20.5 Principali rischi percepiti nell’asset management. Fonte: Ernst & Young
(2013)
La gestione dei rischi nell’asset management 399
Figura 20.6 Novità normative di grande attenzione negli ultimi mesi: priorità e impat-
to per gli asset manager. Fonte: Ernst & Young (2013)
Il counterparty risk è il rischio di credito legato alla possibilità che una controparte
‘latu sensu’ (emittente, broker ecc.) possa non adempiere ai propri obblighi contrat-
tuali nei confronti di un veicolo di investimento (un fondo, una Sicav ecc.). Si tratta di
una forma specifica di rischio di credito, che caratterizza le transazioni in strumenti
derivati, in particolare quelli non scambiati su mercati organizzati (over-the-counter).
A seguito di quanto detto si rende necessario seguire puntualmente tutti gli eventi le-
gati all’insolvenza o all’inadempimento della controparte.
Al counterparty risk, vista la sua complessa natura, e scarsa conoscenza all’interno
del sistema, abbiamo deciso di dedicare di seguito un ampio approfondimento.
20.4 Il rischio di controparte
Un contratto derivato è uno strumento finanziario che ‘deriva’ il suo valore da un
altro strumento di mercato chiamato sottostante. I derivati sono esistiti fin dall’inizio
della civiltà semplicemente perché tentano di soddisfare un bisogno umano
fondamentale, ovvero la certezza rispetto ad un futuro incerto. Non appena vi fu la
capacità di produrre più del fabbisogno giornaliero di cibo, grano per esempio,
nacque la necessità di fissare il valore futuro di quel prodotto. Non appena qualcuno
ha capito che avrebbe potuto posizionarsi sull’altro lato della transazione, è nato il
contratto derivato.
I derivati ad oggi facilitano l’attività del commercio anche se a causa della loro
complessità sono spesso stati descritti come pericolosi. Nel contesto moderno
vengono comunemente usati in diverse attività, per fissare il costo del mutuo di
acquisto di una casa, di una materia prima per un prodotto che non è stato ancora
realizzato ma per il quale la produzione è prevista in futuro, o per ridurre la perdita
potenziale su un portafoglio di risparmi.
400 Capitolo 20
I derivati nella loro complessità possono essere visti dal pubblico come prodotti
occulti e incomprensibili. Piccole modifiche alle loro condizioni possono provocare
notevoli e impreviste differenze di valore, facilitando l’assunzione di rischi tramite la
leva finanziaria e la speculazione. I derivati over the counter (OTC) a volte sono stati
sotto l’attenzione per mancanza di trasparenza ma allo stesso modo sono stati
utilizzati come strumenti utili a fornire flessibilità, e comunque rimangono strumenti
finanziari estremamente diffusi, come testimonia la Tabella 20.1. L’elenco dei
soggetti che hanno mal gestito gli strumenti derivati è lungo e purtroppo tende ad
ottenere più pubblicità rispetto agli utenti che ne beneficiano ogni giorno, il che non è
una notizia, a meno che il beneficio ottenuto dalle parti coinvolte sia del tutto
eccezionale. Infatti, i media spesso presentano i guadagni come semplici trasferimenti
di denaro senza alcun beneficio per la ricchezza della società nel suo complesso,
come se la possibilità di scambiare e gestire i rischi non fosse utile.
Che un acquirente e il venditore, chi paga e chi riceve, in un mercato libero ed
equo, ricevano entrambi un beneficio è una verità economica ed un fatto conclamato.
Coprire i rischi implica sempre una visione del futuro che contiene una decisione;
non coprirli è comunque una decisione che comporta rischi e ritorni.
Tabella 20.1 Valore nozionale dei contratti derivati over-the-counter esistenti a livello
mondiale: evoluzione fra il 2011 e il 2013. Fonte: Bank for International Settlements (BIS)
La gestione dei rischi nell’asset management 401
Da una parte i derivati possono contribuire al raggiungimento di alcuni obiettivi (per
esempio la copertura dei rischi di mercato per migliorare i profitti), ma dall’altra
espongono gli utenti al rischio di controparte. Esso emerge quando un derivato risulta
‘in the money’ (sopra il prezzo obiettivo, e quindi generando potenzialmente un
payoff positivo) e la controparte della transazione risulta inadempiente. Innanzitutto si
nota che il rischio di controparte è uguale in valore assoluto al rischio di mercato
della controparte, cioè i rischi di controparte e di mercato si rispecchiano a vicenda.
Un manager del rischio di controparte deve cercare di capire se l’altra parte sarà
in grado di gestire il rischio di mercato assunto da scambi di derivati. Mentre
sappiamo che il rischio odierno di un derivato è il suo valore attuale (denominato
mark-to-market, MTM), il suo rischio di controparte può essere stimato. Questa stima
dipende dal valore futuro di tutte le variabili di mercato che influenzano il prezzo del
contratto compresa l'attività sottostante. Di per sé, tali valori non sono mai
perfettamente prevedibili, qualunque modello venga utilizzato, e questo è il limite
della stima.
La definizione del modello di solito consiste nel valutare lo sviluppo atteso del
MTM per ogni variabile che influenza il prezzo del contratto derivato, stimarne la
volatilità e inserire tutti i dati nel modello per le varie scadenze del derivato. Si
andranno quindi a costruire un numero di diversi scenari previsionali. Gli scenari in
cui l’operazione si conclude a sfavore del soggetto interessato sono considerati avere
un valore pari a zero dal punto di vista del rischio di controparte, perché in questi casi
non vi è alcuna esposizione. Gli scenari che generano un rischio di controparte
vengono invece mediati per ottenere la stima dell’esposizione di controparte
(counterparty exposure estimate, CEE).
Questo framework si basa su un forte stress della volatilità al fine di misurare
l’adeguatezza patrimoniale. Il primo passo per una valutazione qualitativa della CEE
è quello di determinare l’intervallo teorico in cui cadrà. Per esempio, se si compra
una put option su un singolo sottostante, il range dell’esposizione varierà fra il 100%
del nozionale (lo strike price moltiplicato per il numero delle azioni sottostanti) e
zero. Se si compra una call l’intervallo a rischio non ha invece limiti superiori.
Gli intervalli teorici possono essere corretti basandosi sulle evidenze storiche
(dato che i valori sottostanti non possono effettivamente raggiungere l’infinito). Non
esiste una regola ben definita e rapida in quest’ambito: spesso gli aggiustamenti sono
basati sul giudizio personale. Per esempio, per un Eurobond italiano, dato che l’euro
esiste solo dal 2001, si potrebbero guardare ai prezzi massimi dei titoli emessi ai
tempi della lira negli anni Novanta e usare quel numero come limite massimo.
Effettuare transazioni con controparti centrali (clearing house) riduce al minimo il
rischio di controparte. Gli utenti beneficiano di trasparenza dei prezzi e di liquidità
pur con i margini di variazione e arbitraggio che si devono ai mercati finanziari.
Relativamente a questo tema si rimanda al Capitolo 2 ed agli approfondimenti relativi
alla normativa EMIR (European Market Infrastructure Regulation) che cambierà non
poco il mercato dei derivati over-the-counter.
È poi necessario considerare la correlazione tra il valore del derivato e la
solvibilità della controparte. Questa analisi richiede la conoscenza delle condizioni
finanziarie e del modello di business della controparte. C’è una correlazione positiva
402 Capitolo 20
alta se le condizioni di mercato che creano un valore positivo alto (un’alta
esposizione) nel derivato possono anche causare un aumento del prezzo delle azioni
della controparte (un indicatore di solvibilità). In altre parole, la controparte soffrirà
una perdita sul derivato, ma sarà in grado di pagare data la sua forte condizione
finanziaria. Allo stesso tempo, se l’azione della controparte scendesse a zero (un
indicatore di default) il derivato non avrebbe alcun valore. Questi scenari sono
considerati trades a correlazione positiva e può essere assegnata una CEE pari a zero
(che è praticamente l’esposizione che si ipotizza quando la controparte entra in default).
D’altro lato, se le condizioni di mercato che favorirebbero il default della controparte
potessero anche causare un alto valore del derivato, si è in presenza di un trade a
correlazione negativa. In questi casi il gestore del rischio di controparte deve
riconoscere la rischiosità aggiuntiva e correggere verso l’alto la CEE (l’esposizione
stimata al momento del default). Infine, se ci fosse una bassa correlazione si può
usare la CEE stimata dal modello.
Consideriamo un esempio. La controparte è una holding company con una forte
leva finanziaria di debito, ma che vanta partecipazioni azionarie rilevanti in Europa.
Su una delle sue partecipazioni, che rappresenta una percentuale significativa degli
asset totali, la controparte desidera comprare un put spread (si veda la Figura 20.7).
Per la controparte questa strategia consiste nel comprare una put con strike vicino al
prezzo di mercato e vendere una put con strike al 40% del prezzo di mercato. Dopo
che il premio è stato pagato, per esempio due giorni dopo la data di trade, non si ha
probabilmente rischio di controparte, in quanto il potenziale payoff da pagare alla
controparte varia tra zero e il 60% del prezzo attuale del sottostante. Se, invece,
l’opzione comprata dalla controparte è di tipo americano mentre quella venduta è di
tipo europeo, il rischio diventa di correlazione negativa.
Figura 20.7 Contratto di put spread considerato nell’esempio
K
40% K
60% K
0
Long put
Short put
Payoff finale
La gestione dei rischi nell’asset management 403
In pratica, se il prezzo dell’azione scendesse e di conseguenza la solvibilità della
holding si deteriorasse, la controparte, per fare cassa, potrebbe avere la tentazione di
esercitare anticipatamente l’opzione che possiede; la rimanente opzione put europea
può essere quindi considerata a correlazione negativa e la relativa CEE potrebbe
essere stressata fino al 40% del nozionale originario.
Se la stessa controparte vendesse un’opzione call su una delle sue partecipazioni e
destinasse la partecipazione stessa come collaterale, il rischio sarebbe a correlazione
positiva con esposizione nulla. Se invece una società quotata vendesse un’opzione
put sulle sue stesse azioni (o in generale su azioni di aziende affiliate o appartenenti
allo stesso settore industriale), questo costituirebbe un rischio a correlazione negativa.
20.4.1 I rischi nella gestione del collaterale
La fiducia è una buona cosa: l’economia mondiale non funzionerebbe senza di essa,
ma l’atteggiamento più saggio consiste nel limitare il livello di fiducia ad un livello di
sicurezza. Dopo tutto le sorprese accadono: Forbes riporta che dal 2007 al 2012 le
operazioni di ‘correzioni’ di bilancio dovute a errori attuati dalle maggiori compagnie
statunitensi sono risultate in crescita (245 nel 2012, dopo il picco di 1.771 nel 2006),
anche se l’entità delle stesse è in declino (forse è il risultato delle riforme
regolamentari per una più veloce correzione degli errori). Se il management può
commettere errori nella contabilità, così di conseguenza anche gli analisti di credito
possono fallire nella stima dei rating di solvibilità. Questo porta a preferire i trades
collateralizzati laddove possibile, cosa che però apre spazio a una serie di altri
possibili rischi da gestire:
1. market risk del collaterale, che può essere gestito con l’applicazione di
coefficienti (haircuts) o eliminato richiedendo denaro contante;
2. cure period risk: è il possibile aumento dell’esposizione (non coperta da
collaterale) tra il momento in cui la controparte non riesce più a effettuare pagamenti
ed entra in default, e quello in cui il portafoglio dei derivati viene chiuso e convertito
in un credito di ammontare fisso;
3. correlation risk; è necessario controllare il collaterale che è correlato con la
solvibilità della controparte (rischio di correlazione negativa). Accettare un
collaterale con alta probabilità di avere valore nullo quando la controparte entra in
default sarebbe del tutto inutile;
4. re-hypothecation risk: rappresenta il rischio che la controparte abbia usato il
collaterale fornito e non sia più in grado di restituirlo quando dovuto. Una potenziale
soluzione al re-hyphotecation risk è richiedere un CSA (ISDA standard Credit
Support Annex) unilaterale solo a vostro favore. Il CSA è un accordo bilaterale
attraverso il quale le due controparti aventi operatività reciproca in derivati over-the-
counter si impegnano a versare reciprocamente un importo di collateral (usualmente
cash) pari al mark-to-market dei derivati, in modo da annullare l’esposizione netta in
caso di default di una delle due controparti, esattamente come avviene per i contratti
scambiati sui mercati borsistici. Occorre essere in una posizione negoziale forte per
ottenere un CSA unilaterale, ma se il rating creditizio è migliore di quello della
controparte o se la controparte ne è priva, è opportuno negoziare un regime
404 Capitolo 20
unilaterale di marginazione. Un’altra via per ottenere lo stesso effetto è mantenere
una soglia di esposizione maggiore rispetto a quella della controparte. Assumendo il
denaro contante come collaterale eligible, si otterrà l’effetto di contenere sia il rischio
di mercato che di correlazione. In alternativa si può conferire un collaterale al conto
di un depositario (segregato) e destinarlo per la controparte senza diritti d’uso. Questo
consente di creare un CSA unilaterale sul portafoglio di trading. Questo
accorgimento limita il rischio di controparte in entrambe le direzioni. Si rimane però
esposti al rischio di default del depositario, quindi è buona norma sceglierne uno che
abbia un buon rating (magari un affiliato della controparte);
5. legal risk: si riferisce al rischio che il datore della garanzia diventi insolvente e le
garanzie fornite in precedenza vengano meno a causa di una revocatoria fallimentare.
Nell’individuazione del metodo più adatto per valutare il rischio legale di un
determinato soggetto occorrerà inoltre tenere conto d’indicatori quantitativi e
qualitativi quali, tra l’altro: l’ammontare delle perdite subite a causa del rischio legale
negli ultimi anni, una serie storica dei reclami e dalle richieste di risarcimenti dei
danni presentate da clienti ed ex clienti, la situazione macro-economica e
l’andamento dei mercati finanziari. È fondamentale, inoltre, distinguere l’assessment
del rischio legale da altri processi di valutazione che possono a prima vista essere in
parte accostati (per esempio la revisione legale dei conti, il rating da parte di agenzie
esterne, o le certificazioni di qualità). Coloro che eseguono questi tipi di valutazioni
mancano però di un elemento imprescindibile per valutare il rischio legale:
l’indipendenza. Al fine di condurre una valutazione corretta ed utile del rischio legale
è invece di primaria importanza individuare un soggetto dotato non solo di specifiche
competenze approfondite e diversificate in ambito legale e regolamentare, ma
soprattutto di indipendenza di giudizio. Ne deriva un nuovo ruolo del consulente
legale, che non è più il semplice ‘litigator’ a cui ci si rivolge quando qualcosa non va,
ma un soggetto chiamato a svolgere un ruolo ben più ampio e articolato.
20.5 Il rischio operativo
In relazione all’operational risk è ormai chiaro a tutti gli addetti ai lavori il forte inte-
resse ed il diretto coinvolgimento dei regulators su tale argomento. È chiaro inoltre
come i modelli organizzativi delle aree di risk management si stiano evolvendo verso
l’individuazione di una figura specifica, facente capo al responsabile ultimo del risk
management, che si occupi di operational risk management e di tecniche e metodolo-
gie di misurazione (risk mapping, definizione dei key risk indicators, quantificazione
delle perdite e conseguente definizione di modelli previsionali per l’identificazione
del rischio operativo potenziale al fine della revisione ed aggiustamento dei processi
più critici ovvero dell’eventuale sottoscrizione di apposita polizza assicurativa).
Il Comitato di Basilea ha approfondito le tematiche afferenti il rischio operativo
con specifico riferimento alle istituzioni finanziarie considerate nel loro complesso (si
vedano i lavori del Basel Committee on Banking Supervision, 2014). All’interno dei
documenti del Comitato si fanno brevi cenni anche all’approccio che si dovrebbe te-
nere con riferimento alla quantificazione del rischio operativo per l’asset manage-
La gestione dei rischi nell’asset management 405
ment. A monte di tutto sta la concezione del business dell’asset management come
strettamente controllato dalla capogruppo di emanazione bancaria, il che è partico-
larmente vero nell’industria italiana. Quindi anche l’asset management, ancorché at-
tività considerata storicamente ‘low capital intensive’ assorbe capitale.
Il capitale assorbito può aumentare sia a causa della diffusione dei prodotti a ren-
dimento garantito, sia a causa dell’insorgere di rischi operativi come di seguito de-
scritti che possono causare danni economici per ripianare i quali la società di gestione
dei risparmi stessa può essere chiamata ad intervenire con il proprio patrimonio.
Il rischio operativo è, in estrema sintesi, la possibilità che si manifestino perdite
finanziarie in capo ai gestori derivanti da:
• fattori interni (breakdown o inadeguatezza dei processi, errori umani o frodi,
breakdown dei sistemi informativi, mancato rispetto di leggi e regolamenti ecc.);
• fattori esterni all’azienda (nuovi competitors, cambiamenti regolamentari, eventi
naturali ecc.).
Si sottolinea che questa classificazione ricomprende fattori di rischio non univo-
camente delineati dal Comitato di Basilea. Non esiste peraltro una allocazione unica e
delineata staticamente di questo tipo di rischio, dal momento che esso è presente a
tutti i livelli aziendali.
La gestione del rischio operativo è destinata ad assumere maggiore rilievo
all’interno dell’asset management per almeno tre ragioni. Innanzitutto va citata la
sempre più elevata interconnessione dei processi di front/back. In secondo luogo, il
principio della tutela del risparmio ribalta sulla società di gestione gran parte degli
errori operativi (errori nel calcolo del NAV, errata valorizzazione dei titoli ecc.). Infi-
ne si sottolinea la velocità di creazione di nuovi prodotti/servizi in un’industria come
quella dell’asset management, alla ricerca di fattori di stabilità contro la ciclicità dei
mercati per i sottoscrittori e per l’azionista, la quale può essere una fonte di rischio
non immediatamente percepibile (il cosiddetto ‘hidden risk’).
La gestione del rischio operativo deve essere effettuata mediante modelli organiz-
zativi che rispecchino l’enfasi data dal Comitato di Basilea ai principi e criteri di con-
trollo del rischio. In particolare tre sono le linee di controllo e difesa del rischio:
1. ogni business line è responsabile della gestione dei propri rischi;
2. è indispensabile una funzione indipendente che garantisca la gestione integrata
delle differenti tipologie di rischio (risk management);
3. è necessaria inoltre una funzione che raccolga e consolidi informazioni oggettive
sul livello di rischio assunto (risk controlling).
20.6 I futuri rischi di rilievo nell’asset management
Gestire la nuova regolamentazione e le complessità cross-giurisdizionali sarà la sfida
principale per i gestori di asset e patrimoni nei prossimi anni.
406 Capitolo 20
Figura 20.8 I futuri rischi di rilievo nell’asset management. Fonte: Ernst & Young
(2013)
L’indagine di Ernst & Young (2013) ha proposto un sondaggio su quali possano esse-
re in futuro i più rilevanti temi di attualità per la gestione dei rischi nell’asset mana-
gement; dai risultati emerge come le normative internazionali, regionali e locali siano
le tematiche che maggiormente sono destinate a incidere su asset manager e asset
service nel futuro. La Figura 20.8 mostra come le risposte al sondaggio rispecchino le
preoccupazioni sui temi sopra citati: in cima alla classifica vi sono le sfide derivanti
dalla complessità cross-giurisdizionali (82%) e dal crescente controllo normativo
(80%) seguite dalla paura di un susseguirsi di sovrapposizioni normative (76%) e da
complicazioni derivanti dal rispetto dei rischi legali (68%).
La gestione dei rischi nell’asset management 407
20.7 I consigli più importanti per battere i rischi
Riassumendo, i cinque consigli più importante per il risk management nella gestione
dei portafogli potrebbero essere i seguenti:
1. le istituzioni devono assicurarsi che il recepimento delle nuove regolamentazioni
non sia accolto solo dalle funzioni di controllo ma anche dalle funzioni di business
nell’ambito di una estensiva cultura del rischio, che deve essere integrata nella vista
commerciale con il recepimento di quadri di condotta in linea con le indicazioni rego-
lamentari e di tutela del cliente;
2. basandosi sulla ampliata struttura di presidio dei rischi, è necessario rivedere il
profilo di risk appetite, le tolleranze, i limiti e come si applicano nella pratica;
3. c’è ancora spazio per il miglioramento delle prestazioni relativamente alla crea-
zione e monitoraggio di risk budgeting, viste di singolo portafoglio, metriche di ri-
schio, performance monitoring, gestione della liquidità e trattamento dei rischi di mo-
dello;
4. adozioni di stress test più severi e calcolati su un orizzonte più lungo di quelli tra-
dizionalmente adottati;
5. la sicurezza dei dati è fondamentale, non solo per garantire una buona conformità
alle normative, ma anche in termini di innovazione offerta di servizi e migliorare il
servizio clienti.
Riepilogo
Le distribuzioni di probabilità delle variazioni dei prezzi dei mercati hanno dimostrato di
seguire lo stesso tipo di leggi di probabilità che regolano molti processi naturali che cau-
sano eventi come terremoti, uragani e onde anomale. Sappiamo approssimativamente
dove potranno colpire e relativamente quanto spesso, ma non la forza o il momento che
sono incognite conosciuti. La buona notizia è che gli eventi di mercato estremi possono
anche essere positivi. È essenziale che venga sviluppato uno stile di gestione del rischio
che permette di gestire ‘consapevolmente’ il pericolo di perdite da investimenti. Se si evi-
ta di conseguire le perdite estreme, tramite adeguati strumenti di misurazione, si potrà
invece beneficiare di eventi di mercato positivi in modo che i rendimenti medi saranno
massimizzati nel lungo periodo.
Una adeguata cultura del rischio, permeata in strutture indipendenti dedicate, è alla base
del successo nella gestione dei portafogli di asset management.
Riferimenti bibliografici
ASSOGESTIONI (1998), Rischio e rendimento nella gestione del risparmio: misura, controllo,
attribuzione, Quaderni di documentazione e ricerca.
APPETITI C. (1998), Il Risk Management in una asset management: la diffusione della cul-
tura e la nuova informative direzionale, Assogestioni – Quaderni di documentazione e
ricerca.
408 Capitolo 20
APPETITI C. - BILIARDO P. - FORTE M. (1998), Rischi di credito e rischi operative in una Asset
management company, Assogestioni – Quaderni di documentazione e ricerca.
BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION (2014), The standardized approach for measuring
counterparty credit risk exposures.
ERNST & YOUNG (2013), Risk management for asset management.
MANDELBROT B.B. - HUDSON R.L (2008), The (mis)Behavior of Markets, Scrapbook.
RESTI A. (1998), Il risk management nell’asset management: una breve introduzione, As-
sogestioni – Quaderni di documentazione e ricerca.
TALEB N.N, (2007),The Black Swan: The Impact of the Highly Improbable, Random House.
TALEB N.N. (2012), Antifragile: Things That Gain from Disorder, Random House.

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capitolo20

  • 1. 20 La gestione dei rischi nell’asset management L’attività di risk management attraverso la misurazione, l’interpretazione e la valutazione dei risultati conseguiti è diventata sempre più attività imprescindibile per chi opera nell’asset management e intende servire al meglio la propria clientela. Tale necessità deri- va principalmente dall’effetto delle dinamiche caratterizzanti i mercati finanziari, delle ini- ziative normative e/o regolamentari assunte dalle autorità e dell’accresciuto e consapevole bisogno di processi disciplinati di costruzione dei portafogli. La diffusione della cultura del rischio associato al rendimento è diventato un elemento cardine nella gestione strategica e tattica dei portafogli. Obiettivo del capitolo è quello di evidenziare i principali risk presenti e futuri e suggerire dei punti di attenzione al fine di mitigarli e gestirli consapevolmente. Temi di discussione In questo capitolo discuteremo di: • l’importanza della gestione dei rischi nell’asset management; • i top risks dell’asset management; • il rischio di controparte e il rischio operativo; • suggerimenti per la gestione dei rischi presenti e futuri. di Joseph Orzano e Fabio Marchetto
  • 2. 392 Capitolo 20 20.1 L’importanza della gestione dei rischi nell’asset manage- ment L’evoluzione del risparmio gestito, complice la recente crisi finanziaria, ha portato ad analizzare con sempre maggiore approfondimento tutti i fattori che incidono sulle performance di questo settore di business. A questa maggior attenzione si è affiancato il crescente interesse da parte dei regulators nei confronti di un comparto la cui opera- tività influenza sensibilmente la stabilità finanziaria del sistema sociale. Le aziende che offrono servizi di risparmio gestito stanno assumendo caratteristiche organizzati- ve e strutturali sempre più articolate e complesse senza perdere di vista la necessità di mantenere processi operativi snelli e veloci in maniera da adattare velocemente, anche in senso tattico, le scelte strategiche in relazione ai repentini movimenti del mercato sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta. Si assiste quindi ad un crescente sviluppo di attività e professionalità che non era- no del tutto presenti, o lo erano solo parzialmente, nell’industria dell’asset manage- ment e che in alcuni casi sono state mutuate dall’esperienza bancaria ovvero dell’investment banking. Altre funzioni sono del tutto innovative nel panorama osser- vato e nascono per permettere l’analisi e la gestione di problematiche legate a vari ri- schi che fino a tempi molto recenti erano affrontate in generale con modalità molto destrutturate. L’obiettivo del presente capitolo è fornire un quadro di riferimento di come una società di gestione del risparmio complessa ed articolata approcci gli aspetti legati al rischio e come progressivamente i processi legati a queste attività si siano integrati nell’azienda. L’industria della gestione del risparmio opera, per definizione, nell’ambito di mandati conferiti da investitori terzi. L’asset manager si trova quindi ‘al riparo’ da possibili minusvalenze che possono insorgere per effetto della sfavorevole evoluzione delle variabili di mercato, ‘protetto’ dalla regola contrattuale (tipica dell’attività in oggetto) che limita la sua responsabilità patrimoniale al valore di mercato degli attivi. Si tratta di una situazione oggettivamente molto diversa da quella del banchiere, ed in particolare dell’investment banker, che opera con risorse proprie (conferite dagli azionisti o raccolte sul mercato del capitale di debito) nell’intento di conseguire utili correnti o in conto capitale attraverso una superiore capacità di selezione del portafo- glio. Conseguentemente, si potrebbe pensare che il controllo dei rischi relativi a pos- sibili perdite sui patrimoni gestiti non rientri tra le priorità strategiche di un gestore, proprio perché tali perdite non sono di sua diretta pertinenza, ma gravano sul cliente finale. In effetti, è innegabile che l’industria dell’asset management si sia accostata con un certo ritardo agli strumenti di misura prospettica dei rischi impliciti in una data composizione di portafoglio, strumenti che hanno visto la specifica genesi proprio presso le grandi banche d’investimento Tuttavia, da alcuni anni ormai è in atto una diffusa presa di coscienza circa l’utilità di un’adeguata attività di risk management all’interno di una società di gestione del risparmio. Con riferimento al nostro Paese, si registrano una crescente attenzione verso l’adozione di strumenti di analisi del rischio e una progressiva diffusione di tecniche quantitative di misura e controllo dei rischi finanziari.
  • 3. La gestione dei rischi nell’asset management 393 Le ragioni di tale diffusione sono molteplici, ma possono essere sintetizzate in tre mo- tivi. In primo luogo, un’erosione del controvalore dei patrimoni amministrati, se pure non conduce nell’immediato a perdite finanziarie, rappresenta una minaccia per l’industria del risparmio gestito. Il ‘fatturato’ del settore dipende infatti, in buona mi- sura, da commissioni proporzionali agli asset under management (AUM); di conse- guenza, la riduzione delle masse gestite comporta un calo dei profitti che, data la rigi- dità di talune voci di costo, può addirittura risultare più che proporzionale. Qualora tale minore profittabilità venisse ritenuta di natura permanente, lo stesso valore eco- nomico delle società di gestione del risparmio dovrebbe essere rettificato verso il bas- so. Esiste quindi un legame preciso, ancorché indiretto, tra perdite sul patrimonio dei clienti e valore del patrimonio di un asset manager. In secondo luogo, la rapida introduzione di strutture di risk management presso le società di gestione del risparmio è giustificata anche dalla necessità di mantenere sot- to controllo la rischiosità relativa al rispetto al benchmark, che rappresenta un obietti- vo strategico dell’attività di gestione. In effetti, dato il trend delle quotazioni dei mer- cati borsistici (ed a maggior ragione se tale trend è negativo), la difesa delle quote di mercato passa attraverso il mantenimento di un adeguato differenziale di rendimento rispetto ad una strategia passiva ‘pura’; tale differenziale (sovente indicato come ‘al- fa’ nella letteratura sul risparmio gestito) consente di giustificare i costi del servizio e di accrescere la reputazione ed il brand della società di gestione. È dunque necessario disporre di tutti gli strumenti necessari per quantificare, controllare, gestire il rischio legato al conseguimento di un alfa negativo, senza per questo ripiegare su una strate- gia d’investimento perfettamente allineata rispetto al parametro oggettivo di riferi- mento. Infine, alle fortune del risk management nelle società di gestione italiane ha cer- tamente concorso anche un mutamento qualitativo della clientela. Non soltanto si è diffusa una maggiore consapevolezza del rischio presso gli investitori retail, ma va guadagnando spessore il mercato istituzionale che, nel nostro Paese comprende so- prattutto fondi pensione negoziali, fondazioni, assicuratori e gestori terzi. Al mercato dei clienti istituzionali si associa, da un lato, una maggiore preparazione tecnica, che li porta a conferire notevole importanza alla capacità di misurare, monitorare, rappre- sentare in modo trasparente e tempestivo il livello di rischio implicito in un determi- nato asset mix; dall’altro, si riscontra una maggiore reattività che li conduce a sanzio- nare in modo puntuale (e talvolta pesante) eventuali errori del gestore, sottraendogli il mandato ed eventualmente facendo ricorso alle vie legali. È evidente quindi che tale categoria di clienti rappresenta una sorta di ‘pungolo’ di forte incentivo. Per meglio spiegare le evoluzioni delle tematiche fin qui spiegate in modo ‘con- creto’ è interessante citare una survey sviluppata nei primi mesi del 2013 dalla società di consulenza Ernst & Young (si veda la Figura 20.1).
  • 4. 394 Capitolo 20 Figura 20.1 Analisi dell’importanza delle motivazioni che spingono alla gestione del rischio. Fonte: Ernst & Young (2013) Il veloce ritmo del cambiamento normativo, il desiderio di evitare l’impatto reputa- zionale e la necessità di gestire la complessità delle sovrapposizione tra le direttive regolamentari erano e sono rimasti i temi di maggior preoccupazione nel 2013 come nel 2012. Si è invece ridotta la preoccupazione per eventi estremi quali la tenuta dell’euro. 20.2 Il ruolo del risk management nella creazione dei prodotti di asset management Il rischio di investimento è comunemente definito come una deviazione positiva o ne- gativa di un risultato previsto (Ernst & Young, 2013). Gli asset manager in genere considerano il rischio di investimento come la misura del rendimento atteso dato il
  • 5. La gestione dei rischi nell’asset management 395 livello di tolleranza al rischio. Un elemento chiave del quadro complessivo sul rischio di investimento è la chiara identificazione, documentazione e comunicazione della propensione al rischio del cliente. Per tale motivo, la funzione che gestisce il rischio di investimento è un componente critico nel processo di creazione di un prodotto. Accettare che l’attività di rivedere ogni portafoglio su base giornaliera, come parte del processo di gestione degli investimenti in corso, sia assegnata ad una figura indi- pendente, quella del risk manager, per evitare conflitti di interesse e assicurare indi- pendenza di valutazione, è un importante passaggio culturale avvenuto nel corso degli ultimi anni. La Figura 20.2 evidenzia come le funzioni di risk management vengano coinvolte in maniera sempre più significativa nell’intero ciclo di creazione del prodotto, in varie forme a seconda della tipologia di rischio sottostante che deve essere monitorato. La Figura 20.3 mostra che il 51% degli intervistati nell’ambito della survey di Ernst & Young (2013) ha potuto attestare l’indipendenza della funzione di rischio di investimento, con cifre notevolmente più elevate nel Regno Unito rispetto ad alcuni paesi dell'Europa continentale. Altri punti da notare riguardano le grandi disparità tra le aziende nelle modalità di gestire il rischio di investimento. Per esempio, il 56% degli intervistati ha evidenziato la specifica dedizione di risorse esperte di gestione dei rischi coinvolte nella fase di ingegnerizzazione del prodotto. Solo il 40% degli intervistati ha dimostrato un pro- cesso avanzato per il risk budgeting, il processo di allocazione del rischio complessi- vo di un portafoglio nei suoi vari elementi generatori. Figura 20.2 Il coinvolgimento delle funzioni di rischio nel ciclo di vita del prodotto. Fonte: Ernst & Young (2013)
  • 6. 396 Capitolo 20 Figura 20.3 Principali temi di attenzione nella gestione del rischio d’investimento. Fonte: Ernst & Young (2013) Il 60% delle imprese ha dimostrato di possedere un sistema di monitoraggio del ri- schio sia a livello un aggregato che granulare mentre il 47% ha dichiarato di utilizzare nella gestione quotidiana una modellazione dinamica (per esempio, portafogli di co- pertura in tempo reale o quasi). Le strutture di gestione dei rischi hanno lo scopo di presidiare il rischio di inve- stimento in funzione dei seguenti obiettivi principali: • sviluppare un adeguato framework di gestione dei rischi; elemento cardine per l’istituzione di una serie di buone guidelines relative alla gestione dei rischi è quello di strutturare una risk policy, ove tale definizione comporta: la scelta di indicatori chiave per la misurazione dei rischi, la scelta di un orizzonte di calcolo per tali indi- catori, la determinazione di un target, o di un valore massimo, per tali indicatori di rischio sull’orizzonte temporale prescelto, la stima ex-ante degli indicatori, il confron- to periodico e sistematico tra la stima ex-ante ed il target e la conseguente variazione dei pesi, in modo che il rischio del portafoglio sia in linea con il target; • sviluppare la capacità di reporting e di analisi del rischio per supportare i profes- sionisti nella gestione degli investimenti all’interno dei loro portafogli; • condurre recensioni indipendenti sull’analisi del rischio di investimento all’interno dei prodotti, modelli e portafogli;
  • 7. La gestione dei rischi nell’asset management 397 • definire un adeguato risk appetite, punto di riferimento per la calibrazione e la creazione delle autonomie operative e dei limiti finanziari di tutti gli aspetti del mer- cato, di credito, di liquidità e del rischio operativo. La necessità di soddisfare l’eterogeneità delle linee di business è la considerazione basilare per decidere le dimensioni e skill del team. Qualità e non solo quantità è l’elemento caratterizzante le scelte di composizione del team principalmente basata sulle difficoltà intrinseche nella strutturazione dei prodotti ed nei mercati interessati, a prescindere dallo stile dell’azienda, dalla sua di- mensione e dalla sua diversificazione geografica. La Figura 20.4 mostra come la maggior parte del tempo dedicato dalle figure di risk management sia speso in attività di definizione delle guidelines per costruire il framework di controllo e di monitoraggio dei rischi; il rischio di controparte e il ri- schio legato a tematiche di regolamentazione sono quelli maggiormente presidiati. Figura 20.4 Le priorità nella gestione dei rischi. Fonte: Ernst & Young (2013)
  • 8. 398 Capitolo 20 20.3 Quali sono i principali rischi nell’asset management? I venti rischi che ricevono maggiore attenzione dai Chief Risk Officer (CRO) secondo la ricerca di Ernst & Young (2013) sono elencati nella Figura 20.5. Il rischio principa- le, definito degli intervistati della survey, è il rischio regolamentare con un incremento dal 67% del 2012 al 76% del 2013. Le nuove normative stanno creando una comples- sa rete di obblighi regolamentari in tutto il mondo, in conseguenza del fatto che i re- golatori nazionali stanno intensificando le loro procedure di controllo e di esecuzione. Tale argomento è stato ampiamente trattato nel Capitolo 2, interamente dedicato alle evoluzioni normative. In questa sede evidenziamo solo la Figura 20.6, che ricorda le principali novità legislative e regolamentari. Nella classifica segue il rischio di credito e di controparte, mentre cala l’importanza percepita del rischio operativo, che scende dal primo al terzo posto. Figura 20.5 Principali rischi percepiti nell’asset management. Fonte: Ernst & Young (2013)
  • 9. La gestione dei rischi nell’asset management 399 Figura 20.6 Novità normative di grande attenzione negli ultimi mesi: priorità e impat- to per gli asset manager. Fonte: Ernst & Young (2013) Il counterparty risk è il rischio di credito legato alla possibilità che una controparte ‘latu sensu’ (emittente, broker ecc.) possa non adempiere ai propri obblighi contrat- tuali nei confronti di un veicolo di investimento (un fondo, una Sicav ecc.). Si tratta di una forma specifica di rischio di credito, che caratterizza le transazioni in strumenti derivati, in particolare quelli non scambiati su mercati organizzati (over-the-counter). A seguito di quanto detto si rende necessario seguire puntualmente tutti gli eventi le- gati all’insolvenza o all’inadempimento della controparte. Al counterparty risk, vista la sua complessa natura, e scarsa conoscenza all’interno del sistema, abbiamo deciso di dedicare di seguito un ampio approfondimento. 20.4 Il rischio di controparte Un contratto derivato è uno strumento finanziario che ‘deriva’ il suo valore da un altro strumento di mercato chiamato sottostante. I derivati sono esistiti fin dall’inizio della civiltà semplicemente perché tentano di soddisfare un bisogno umano fondamentale, ovvero la certezza rispetto ad un futuro incerto. Non appena vi fu la capacità di produrre più del fabbisogno giornaliero di cibo, grano per esempio, nacque la necessità di fissare il valore futuro di quel prodotto. Non appena qualcuno ha capito che avrebbe potuto posizionarsi sull’altro lato della transazione, è nato il contratto derivato. I derivati ad oggi facilitano l’attività del commercio anche se a causa della loro complessità sono spesso stati descritti come pericolosi. Nel contesto moderno vengono comunemente usati in diverse attività, per fissare il costo del mutuo di acquisto di una casa, di una materia prima per un prodotto che non è stato ancora realizzato ma per il quale la produzione è prevista in futuro, o per ridurre la perdita potenziale su un portafoglio di risparmi.
  • 10. 400 Capitolo 20 I derivati nella loro complessità possono essere visti dal pubblico come prodotti occulti e incomprensibili. Piccole modifiche alle loro condizioni possono provocare notevoli e impreviste differenze di valore, facilitando l’assunzione di rischi tramite la leva finanziaria e la speculazione. I derivati over the counter (OTC) a volte sono stati sotto l’attenzione per mancanza di trasparenza ma allo stesso modo sono stati utilizzati come strumenti utili a fornire flessibilità, e comunque rimangono strumenti finanziari estremamente diffusi, come testimonia la Tabella 20.1. L’elenco dei soggetti che hanno mal gestito gli strumenti derivati è lungo e purtroppo tende ad ottenere più pubblicità rispetto agli utenti che ne beneficiano ogni giorno, il che non è una notizia, a meno che il beneficio ottenuto dalle parti coinvolte sia del tutto eccezionale. Infatti, i media spesso presentano i guadagni come semplici trasferimenti di denaro senza alcun beneficio per la ricchezza della società nel suo complesso, come se la possibilità di scambiare e gestire i rischi non fosse utile. Che un acquirente e il venditore, chi paga e chi riceve, in un mercato libero ed equo, ricevano entrambi un beneficio è una verità economica ed un fatto conclamato. Coprire i rischi implica sempre una visione del futuro che contiene una decisione; non coprirli è comunque una decisione che comporta rischi e ritorni. Tabella 20.1 Valore nozionale dei contratti derivati over-the-counter esistenti a livello mondiale: evoluzione fra il 2011 e il 2013. Fonte: Bank for International Settlements (BIS)
  • 11. La gestione dei rischi nell’asset management 401 Da una parte i derivati possono contribuire al raggiungimento di alcuni obiettivi (per esempio la copertura dei rischi di mercato per migliorare i profitti), ma dall’altra espongono gli utenti al rischio di controparte. Esso emerge quando un derivato risulta ‘in the money’ (sopra il prezzo obiettivo, e quindi generando potenzialmente un payoff positivo) e la controparte della transazione risulta inadempiente. Innanzitutto si nota che il rischio di controparte è uguale in valore assoluto al rischio di mercato della controparte, cioè i rischi di controparte e di mercato si rispecchiano a vicenda. Un manager del rischio di controparte deve cercare di capire se l’altra parte sarà in grado di gestire il rischio di mercato assunto da scambi di derivati. Mentre sappiamo che il rischio odierno di un derivato è il suo valore attuale (denominato mark-to-market, MTM), il suo rischio di controparte può essere stimato. Questa stima dipende dal valore futuro di tutte le variabili di mercato che influenzano il prezzo del contratto compresa l'attività sottostante. Di per sé, tali valori non sono mai perfettamente prevedibili, qualunque modello venga utilizzato, e questo è il limite della stima. La definizione del modello di solito consiste nel valutare lo sviluppo atteso del MTM per ogni variabile che influenza il prezzo del contratto derivato, stimarne la volatilità e inserire tutti i dati nel modello per le varie scadenze del derivato. Si andranno quindi a costruire un numero di diversi scenari previsionali. Gli scenari in cui l’operazione si conclude a sfavore del soggetto interessato sono considerati avere un valore pari a zero dal punto di vista del rischio di controparte, perché in questi casi non vi è alcuna esposizione. Gli scenari che generano un rischio di controparte vengono invece mediati per ottenere la stima dell’esposizione di controparte (counterparty exposure estimate, CEE). Questo framework si basa su un forte stress della volatilità al fine di misurare l’adeguatezza patrimoniale. Il primo passo per una valutazione qualitativa della CEE è quello di determinare l’intervallo teorico in cui cadrà. Per esempio, se si compra una put option su un singolo sottostante, il range dell’esposizione varierà fra il 100% del nozionale (lo strike price moltiplicato per il numero delle azioni sottostanti) e zero. Se si compra una call l’intervallo a rischio non ha invece limiti superiori. Gli intervalli teorici possono essere corretti basandosi sulle evidenze storiche (dato che i valori sottostanti non possono effettivamente raggiungere l’infinito). Non esiste una regola ben definita e rapida in quest’ambito: spesso gli aggiustamenti sono basati sul giudizio personale. Per esempio, per un Eurobond italiano, dato che l’euro esiste solo dal 2001, si potrebbero guardare ai prezzi massimi dei titoli emessi ai tempi della lira negli anni Novanta e usare quel numero come limite massimo. Effettuare transazioni con controparti centrali (clearing house) riduce al minimo il rischio di controparte. Gli utenti beneficiano di trasparenza dei prezzi e di liquidità pur con i margini di variazione e arbitraggio che si devono ai mercati finanziari. Relativamente a questo tema si rimanda al Capitolo 2 ed agli approfondimenti relativi alla normativa EMIR (European Market Infrastructure Regulation) che cambierà non poco il mercato dei derivati over-the-counter. È poi necessario considerare la correlazione tra il valore del derivato e la solvibilità della controparte. Questa analisi richiede la conoscenza delle condizioni finanziarie e del modello di business della controparte. C’è una correlazione positiva
  • 12. 402 Capitolo 20 alta se le condizioni di mercato che creano un valore positivo alto (un’alta esposizione) nel derivato possono anche causare un aumento del prezzo delle azioni della controparte (un indicatore di solvibilità). In altre parole, la controparte soffrirà una perdita sul derivato, ma sarà in grado di pagare data la sua forte condizione finanziaria. Allo stesso tempo, se l’azione della controparte scendesse a zero (un indicatore di default) il derivato non avrebbe alcun valore. Questi scenari sono considerati trades a correlazione positiva e può essere assegnata una CEE pari a zero (che è praticamente l’esposizione che si ipotizza quando la controparte entra in default). D’altro lato, se le condizioni di mercato che favorirebbero il default della controparte potessero anche causare un alto valore del derivato, si è in presenza di un trade a correlazione negativa. In questi casi il gestore del rischio di controparte deve riconoscere la rischiosità aggiuntiva e correggere verso l’alto la CEE (l’esposizione stimata al momento del default). Infine, se ci fosse una bassa correlazione si può usare la CEE stimata dal modello. Consideriamo un esempio. La controparte è una holding company con una forte leva finanziaria di debito, ma che vanta partecipazioni azionarie rilevanti in Europa. Su una delle sue partecipazioni, che rappresenta una percentuale significativa degli asset totali, la controparte desidera comprare un put spread (si veda la Figura 20.7). Per la controparte questa strategia consiste nel comprare una put con strike vicino al prezzo di mercato e vendere una put con strike al 40% del prezzo di mercato. Dopo che il premio è stato pagato, per esempio due giorni dopo la data di trade, non si ha probabilmente rischio di controparte, in quanto il potenziale payoff da pagare alla controparte varia tra zero e il 60% del prezzo attuale del sottostante. Se, invece, l’opzione comprata dalla controparte è di tipo americano mentre quella venduta è di tipo europeo, il rischio diventa di correlazione negativa. Figura 20.7 Contratto di put spread considerato nell’esempio K 40% K 60% K 0 Long put Short put Payoff finale
  • 13. La gestione dei rischi nell’asset management 403 In pratica, se il prezzo dell’azione scendesse e di conseguenza la solvibilità della holding si deteriorasse, la controparte, per fare cassa, potrebbe avere la tentazione di esercitare anticipatamente l’opzione che possiede; la rimanente opzione put europea può essere quindi considerata a correlazione negativa e la relativa CEE potrebbe essere stressata fino al 40% del nozionale originario. Se la stessa controparte vendesse un’opzione call su una delle sue partecipazioni e destinasse la partecipazione stessa come collaterale, il rischio sarebbe a correlazione positiva con esposizione nulla. Se invece una società quotata vendesse un’opzione put sulle sue stesse azioni (o in generale su azioni di aziende affiliate o appartenenti allo stesso settore industriale), questo costituirebbe un rischio a correlazione negativa. 20.4.1 I rischi nella gestione del collaterale La fiducia è una buona cosa: l’economia mondiale non funzionerebbe senza di essa, ma l’atteggiamento più saggio consiste nel limitare il livello di fiducia ad un livello di sicurezza. Dopo tutto le sorprese accadono: Forbes riporta che dal 2007 al 2012 le operazioni di ‘correzioni’ di bilancio dovute a errori attuati dalle maggiori compagnie statunitensi sono risultate in crescita (245 nel 2012, dopo il picco di 1.771 nel 2006), anche se l’entità delle stesse è in declino (forse è il risultato delle riforme regolamentari per una più veloce correzione degli errori). Se il management può commettere errori nella contabilità, così di conseguenza anche gli analisti di credito possono fallire nella stima dei rating di solvibilità. Questo porta a preferire i trades collateralizzati laddove possibile, cosa che però apre spazio a una serie di altri possibili rischi da gestire: 1. market risk del collaterale, che può essere gestito con l’applicazione di coefficienti (haircuts) o eliminato richiedendo denaro contante; 2. cure period risk: è il possibile aumento dell’esposizione (non coperta da collaterale) tra il momento in cui la controparte non riesce più a effettuare pagamenti ed entra in default, e quello in cui il portafoglio dei derivati viene chiuso e convertito in un credito di ammontare fisso; 3. correlation risk; è necessario controllare il collaterale che è correlato con la solvibilità della controparte (rischio di correlazione negativa). Accettare un collaterale con alta probabilità di avere valore nullo quando la controparte entra in default sarebbe del tutto inutile; 4. re-hypothecation risk: rappresenta il rischio che la controparte abbia usato il collaterale fornito e non sia più in grado di restituirlo quando dovuto. Una potenziale soluzione al re-hyphotecation risk è richiedere un CSA (ISDA standard Credit Support Annex) unilaterale solo a vostro favore. Il CSA è un accordo bilaterale attraverso il quale le due controparti aventi operatività reciproca in derivati over-the- counter si impegnano a versare reciprocamente un importo di collateral (usualmente cash) pari al mark-to-market dei derivati, in modo da annullare l’esposizione netta in caso di default di una delle due controparti, esattamente come avviene per i contratti scambiati sui mercati borsistici. Occorre essere in una posizione negoziale forte per ottenere un CSA unilaterale, ma se il rating creditizio è migliore di quello della controparte o se la controparte ne è priva, è opportuno negoziare un regime
  • 14. 404 Capitolo 20 unilaterale di marginazione. Un’altra via per ottenere lo stesso effetto è mantenere una soglia di esposizione maggiore rispetto a quella della controparte. Assumendo il denaro contante come collaterale eligible, si otterrà l’effetto di contenere sia il rischio di mercato che di correlazione. In alternativa si può conferire un collaterale al conto di un depositario (segregato) e destinarlo per la controparte senza diritti d’uso. Questo consente di creare un CSA unilaterale sul portafoglio di trading. Questo accorgimento limita il rischio di controparte in entrambe le direzioni. Si rimane però esposti al rischio di default del depositario, quindi è buona norma sceglierne uno che abbia un buon rating (magari un affiliato della controparte); 5. legal risk: si riferisce al rischio che il datore della garanzia diventi insolvente e le garanzie fornite in precedenza vengano meno a causa di una revocatoria fallimentare. Nell’individuazione del metodo più adatto per valutare il rischio legale di un determinato soggetto occorrerà inoltre tenere conto d’indicatori quantitativi e qualitativi quali, tra l’altro: l’ammontare delle perdite subite a causa del rischio legale negli ultimi anni, una serie storica dei reclami e dalle richieste di risarcimenti dei danni presentate da clienti ed ex clienti, la situazione macro-economica e l’andamento dei mercati finanziari. È fondamentale, inoltre, distinguere l’assessment del rischio legale da altri processi di valutazione che possono a prima vista essere in parte accostati (per esempio la revisione legale dei conti, il rating da parte di agenzie esterne, o le certificazioni di qualità). Coloro che eseguono questi tipi di valutazioni mancano però di un elemento imprescindibile per valutare il rischio legale: l’indipendenza. Al fine di condurre una valutazione corretta ed utile del rischio legale è invece di primaria importanza individuare un soggetto dotato non solo di specifiche competenze approfondite e diversificate in ambito legale e regolamentare, ma soprattutto di indipendenza di giudizio. Ne deriva un nuovo ruolo del consulente legale, che non è più il semplice ‘litigator’ a cui ci si rivolge quando qualcosa non va, ma un soggetto chiamato a svolgere un ruolo ben più ampio e articolato. 20.5 Il rischio operativo In relazione all’operational risk è ormai chiaro a tutti gli addetti ai lavori il forte inte- resse ed il diretto coinvolgimento dei regulators su tale argomento. È chiaro inoltre come i modelli organizzativi delle aree di risk management si stiano evolvendo verso l’individuazione di una figura specifica, facente capo al responsabile ultimo del risk management, che si occupi di operational risk management e di tecniche e metodolo- gie di misurazione (risk mapping, definizione dei key risk indicators, quantificazione delle perdite e conseguente definizione di modelli previsionali per l’identificazione del rischio operativo potenziale al fine della revisione ed aggiustamento dei processi più critici ovvero dell’eventuale sottoscrizione di apposita polizza assicurativa). Il Comitato di Basilea ha approfondito le tematiche afferenti il rischio operativo con specifico riferimento alle istituzioni finanziarie considerate nel loro complesso (si vedano i lavori del Basel Committee on Banking Supervision, 2014). All’interno dei documenti del Comitato si fanno brevi cenni anche all’approccio che si dovrebbe te- nere con riferimento alla quantificazione del rischio operativo per l’asset manage-
  • 15. La gestione dei rischi nell’asset management 405 ment. A monte di tutto sta la concezione del business dell’asset management come strettamente controllato dalla capogruppo di emanazione bancaria, il che è partico- larmente vero nell’industria italiana. Quindi anche l’asset management, ancorché at- tività considerata storicamente ‘low capital intensive’ assorbe capitale. Il capitale assorbito può aumentare sia a causa della diffusione dei prodotti a ren- dimento garantito, sia a causa dell’insorgere di rischi operativi come di seguito de- scritti che possono causare danni economici per ripianare i quali la società di gestione dei risparmi stessa può essere chiamata ad intervenire con il proprio patrimonio. Il rischio operativo è, in estrema sintesi, la possibilità che si manifestino perdite finanziarie in capo ai gestori derivanti da: • fattori interni (breakdown o inadeguatezza dei processi, errori umani o frodi, breakdown dei sistemi informativi, mancato rispetto di leggi e regolamenti ecc.); • fattori esterni all’azienda (nuovi competitors, cambiamenti regolamentari, eventi naturali ecc.). Si sottolinea che questa classificazione ricomprende fattori di rischio non univo- camente delineati dal Comitato di Basilea. Non esiste peraltro una allocazione unica e delineata staticamente di questo tipo di rischio, dal momento che esso è presente a tutti i livelli aziendali. La gestione del rischio operativo è destinata ad assumere maggiore rilievo all’interno dell’asset management per almeno tre ragioni. Innanzitutto va citata la sempre più elevata interconnessione dei processi di front/back. In secondo luogo, il principio della tutela del risparmio ribalta sulla società di gestione gran parte degli errori operativi (errori nel calcolo del NAV, errata valorizzazione dei titoli ecc.). Infi- ne si sottolinea la velocità di creazione di nuovi prodotti/servizi in un’industria come quella dell’asset management, alla ricerca di fattori di stabilità contro la ciclicità dei mercati per i sottoscrittori e per l’azionista, la quale può essere una fonte di rischio non immediatamente percepibile (il cosiddetto ‘hidden risk’). La gestione del rischio operativo deve essere effettuata mediante modelli organiz- zativi che rispecchino l’enfasi data dal Comitato di Basilea ai principi e criteri di con- trollo del rischio. In particolare tre sono le linee di controllo e difesa del rischio: 1. ogni business line è responsabile della gestione dei propri rischi; 2. è indispensabile una funzione indipendente che garantisca la gestione integrata delle differenti tipologie di rischio (risk management); 3. è necessaria inoltre una funzione che raccolga e consolidi informazioni oggettive sul livello di rischio assunto (risk controlling). 20.6 I futuri rischi di rilievo nell’asset management Gestire la nuova regolamentazione e le complessità cross-giurisdizionali sarà la sfida principale per i gestori di asset e patrimoni nei prossimi anni.
  • 16. 406 Capitolo 20 Figura 20.8 I futuri rischi di rilievo nell’asset management. Fonte: Ernst & Young (2013) L’indagine di Ernst & Young (2013) ha proposto un sondaggio su quali possano esse- re in futuro i più rilevanti temi di attualità per la gestione dei rischi nell’asset mana- gement; dai risultati emerge come le normative internazionali, regionali e locali siano le tematiche che maggiormente sono destinate a incidere su asset manager e asset service nel futuro. La Figura 20.8 mostra come le risposte al sondaggio rispecchino le preoccupazioni sui temi sopra citati: in cima alla classifica vi sono le sfide derivanti dalla complessità cross-giurisdizionali (82%) e dal crescente controllo normativo (80%) seguite dalla paura di un susseguirsi di sovrapposizioni normative (76%) e da complicazioni derivanti dal rispetto dei rischi legali (68%).
  • 17. La gestione dei rischi nell’asset management 407 20.7 I consigli più importanti per battere i rischi Riassumendo, i cinque consigli più importante per il risk management nella gestione dei portafogli potrebbero essere i seguenti: 1. le istituzioni devono assicurarsi che il recepimento delle nuove regolamentazioni non sia accolto solo dalle funzioni di controllo ma anche dalle funzioni di business nell’ambito di una estensiva cultura del rischio, che deve essere integrata nella vista commerciale con il recepimento di quadri di condotta in linea con le indicazioni rego- lamentari e di tutela del cliente; 2. basandosi sulla ampliata struttura di presidio dei rischi, è necessario rivedere il profilo di risk appetite, le tolleranze, i limiti e come si applicano nella pratica; 3. c’è ancora spazio per il miglioramento delle prestazioni relativamente alla crea- zione e monitoraggio di risk budgeting, viste di singolo portafoglio, metriche di ri- schio, performance monitoring, gestione della liquidità e trattamento dei rischi di mo- dello; 4. adozioni di stress test più severi e calcolati su un orizzonte più lungo di quelli tra- dizionalmente adottati; 5. la sicurezza dei dati è fondamentale, non solo per garantire una buona conformità alle normative, ma anche in termini di innovazione offerta di servizi e migliorare il servizio clienti. Riepilogo Le distribuzioni di probabilità delle variazioni dei prezzi dei mercati hanno dimostrato di seguire lo stesso tipo di leggi di probabilità che regolano molti processi naturali che cau- sano eventi come terremoti, uragani e onde anomale. Sappiamo approssimativamente dove potranno colpire e relativamente quanto spesso, ma non la forza o il momento che sono incognite conosciuti. La buona notizia è che gli eventi di mercato estremi possono anche essere positivi. È essenziale che venga sviluppato uno stile di gestione del rischio che permette di gestire ‘consapevolmente’ il pericolo di perdite da investimenti. Se si evi- ta di conseguire le perdite estreme, tramite adeguati strumenti di misurazione, si potrà invece beneficiare di eventi di mercato positivi in modo che i rendimenti medi saranno massimizzati nel lungo periodo. Una adeguata cultura del rischio, permeata in strutture indipendenti dedicate, è alla base del successo nella gestione dei portafogli di asset management. Riferimenti bibliografici ASSOGESTIONI (1998), Rischio e rendimento nella gestione del risparmio: misura, controllo, attribuzione, Quaderni di documentazione e ricerca. APPETITI C. (1998), Il Risk Management in una asset management: la diffusione della cul- tura e la nuova informative direzionale, Assogestioni – Quaderni di documentazione e ricerca.
  • 18. 408 Capitolo 20 APPETITI C. - BILIARDO P. - FORTE M. (1998), Rischi di credito e rischi operative in una Asset management company, Assogestioni – Quaderni di documentazione e ricerca. BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION (2014), The standardized approach for measuring counterparty credit risk exposures. ERNST & YOUNG (2013), Risk management for asset management. MANDELBROT B.B. - HUDSON R.L (2008), The (mis)Behavior of Markets, Scrapbook. RESTI A. (1998), Il risk management nell’asset management: una breve introduzione, As- sogestioni – Quaderni di documentazione e ricerca. TALEB N.N, (2007),The Black Swan: The Impact of the Highly Improbable, Random House. TALEB N.N. (2012), Antifragile: Things That Gain from Disorder, Random House.