Presentazione delle prospettive dell\'economia brasiliana esposta da Luciano Coutinho - Presidente BNDES - presso l\'Ambasciata Brasiliana a Roma. 19 Aprile 2010
Gli Internazionali BNL d'Italia ospiti alla Social Media Week di Roma per la sessione "Why did Internazionali BNL d’Italia win the match in the social media arena last month?"
Sono intervenuti:
Diego Nepi Molineris - Direttore operativo Internazionali BNL d’Italia, Direttore Marketing e Sviluppo CONI
Annalisa De Luca - Digital Chief Internazionali BNL d'Italia, Attività di Presidenza CONI
Luca La Mesa - Social Media Manager Internazionali BNL d'Italia 2015, Wengage
Una sintesi sul Social banking in Italia; cosa stanno facendo le banche (e sopratutto cosa potrebbero fare ma che ancora non fanno) con i Social media? Alcuni esempi e casi di successo tratti da recenti ricerche e studi dello IULM e Università Catolica di Milano.
La presentazione di Davide Geraci descrive la strategia di comunicazione - adottata dal Gruppo BNP Paribas - nella campagna digitale dedicata al Mutuo BNL 2in1.
ISBF14 e BNL - Il dialogo tra brand e persona. Costruire la fiducia sui socia...Social Minds
La case history di BNL presentata all'Italian Social Banking Forum 2014 #ISBF14 dal titolo "Il dialogo tra brand e persona. Costruire la fiducia sui social media". Relatore: Marco Scarsella, Comunicazione Retail BNL
Presentazione delle prospettive dell\'economia brasiliana esposta da Luciano Coutinho - Presidente BNDES - presso l\'Ambasciata Brasiliana a Roma. 19 Aprile 2010
Gli Internazionali BNL d'Italia ospiti alla Social Media Week di Roma per la sessione "Why did Internazionali BNL d’Italia win the match in the social media arena last month?"
Sono intervenuti:
Diego Nepi Molineris - Direttore operativo Internazionali BNL d’Italia, Direttore Marketing e Sviluppo CONI
Annalisa De Luca - Digital Chief Internazionali BNL d'Italia, Attività di Presidenza CONI
Luca La Mesa - Social Media Manager Internazionali BNL d'Italia 2015, Wengage
Una sintesi sul Social banking in Italia; cosa stanno facendo le banche (e sopratutto cosa potrebbero fare ma che ancora non fanno) con i Social media? Alcuni esempi e casi di successo tratti da recenti ricerche e studi dello IULM e Università Catolica di Milano.
La presentazione di Davide Geraci descrive la strategia di comunicazione - adottata dal Gruppo BNP Paribas - nella campagna digitale dedicata al Mutuo BNL 2in1.
ISBF14 e BNL - Il dialogo tra brand e persona. Costruire la fiducia sui socia...Social Minds
La case history di BNL presentata all'Italian Social Banking Forum 2014 #ISBF14 dal titolo "Il dialogo tra brand e persona. Costruire la fiducia sui social media". Relatore: Marco Scarsella, Comunicazione Retail BNL
A dicembre 2014, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari rappresentano circa l’8% del Pil e il 3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Gli iscritti ammontano a circa 6,6 milioni e le risorse destinate alle prestazioni hanno raggiunto i 126 mld di euro. Il tasso di partecipazione ha raggiunto il 25,6% rispetto alla forza lavoro e il 29,5% rispetto agli occupati, tuttavia, solo il 15% per cento della forza di lavoro al di sotto dei 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
A fine 2013 lo stock di investimenti dei fondi pensione indirizzati in Italia ammontava a circa 30 mld di euro, di questi solo 2,1 mld erano indirizzati alle imprese italiane. Per convogliare una maggiore quota del risparmio previdenziale nell’economia reale italiana occorre superare alcuni limiti tecnici ed incentivare l’investimento in strumenti come i fondi chiusi attraverso i quali investire in private equity, mini-bond ed energie rinnovabili, presenti in misura marginale solo nel portafoglio di alcuni fondi pensione preesistenti.
A dicembre ha prevalso l’incertezza sui mercati finanziari globali. Un’incertezza alimentata so- prattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. La discesa dell’oro nero, iniziata a fine estate, si è intensificata dopo la riunione di novembre dell’Opec nella quale è stato deciso di mante- nere invariati gli attuali livelli di produzione. E così il greggio ha continuato a perdere terreno, salvo qualche breve sosta, fino a toccare i mini- mi a oltre cinque anni. Uno scenario appesantito dalle tensioni in Russia con il rublo che è crolla- to ai minimi storici. Mosca paga principalmente proprio la caduta dei prezzi del petrolio che ha acuito i timori di una recessione nel 2015. Nel frattempo in Europa si attende con rinnovato in- teresse la prossima riunione della Bce (22 gen- naio). Dal 2015 la Bce terrà, infatti, i suoi meeting ogni sei settimane e non più a inizio mese. A gen- naio potrebbero arrivare indicazioni più puntuali sulle nuove possibili misure non convenzionali da attuare per contrastare il rischio deflazione.
Nell’area euro, il peggioramento della congiuntura economica ha un carattere comune a tutti i principali paesi: la debolezza degli investimenti . In Italia, il taglio ha interessato con particolare intensità la componente pubblica, ridottasi di oltre un terzo negli ultimi quattro anni.
Sono una minoranza (il 38%) gli Italiani disposti a sacrificarsi per sostenere il rilancio del Paese. I sacrifici più duri da accettare sarebbero quelli relativi al welfare, all’aumento dell’età pensionabile e al peggioramento delle condizioni di lavoro, sia in termini di contratto, che di salario. In generale, viene preferita una riduzione di tasse su imprese e lavoro a fronte di un aumento di quelle su consumi e ricchezza patrimoniale. E anche l’ipotesi dell’Iva al 25% risulta più digeribile, sempre a patto che l’imposizione fiscale sul lavoro e sulle attività produttive venga mitigata. Quanto al grado di fiducia, il suo livello resta stabile: a ottobre si è attestato a 3,45 punti, contro i 3,54 del mese precedente. Sul tema del risparmio, negli ultimi 30 giorni si registra un calo della propensione, con il 14,2% degli Italiani che si dice pronto ad aumentare la quota di risorse messe da parte, contro il 15,5 di settembre.
A settembre scorso l’ammontare dei prestiti nell’area euro è risultato inferiore di 200 miliardi rispetto a un anno prima (-1,2%) tornando ai valori di maggio 2008. Rispetto al picco massimo di settembre 2011, lo stock dei finanziamenti è diminuito di 718 miliardi attestandosi a 10.581 miliardi.
In presenza di un contesto economico divenuto estremamente complesso l’Ocse già
prima dello scoppio della crisi dei mutui subprima suggeriva di introdurre
l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Solo dopo il 2007 tuttavia
l’esigenza di dotare le giovani generazioni di un bagaglio utile in campo finanziario ha
spinto molti paesi ad adottare programmi di educazione specifici. A metà 2014 erano
circa 50 i governi che avevano intrapreso programmi di educazione finanziaria o che
avevano in progetto di avviarne
Settore auto: un andamento a più velocità
Il settore automotiv e a livello globale sembra essere tornato su valori di crescita interessanti. I dati sulla produzione di nuovi veicoli evidenziano un incremento del 4% nel 2013 che potrebbe confermarsi anche per il 2014. Gli Stati Uniti nel 2013 sono tornati ai livelli produttivi pre-crisi. Il mercato europeo, pur avendo registrato nei primi nove mesi del 2014 un incremento del 5,8% delle immatricolazioni, rimane 25 punti percentuali sotto il livello del 2007 con ampie differenze tra i paesi. Ponendo pari a 100 le auto immatricolate nel 2007, la Germania nel 2013 ha raggiunto quota 92, il Regno Unito 91, la Spagna 75, la Francia 58; l’Italia si è fermata a 52.
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.
E’ l’immigrazione la grande preoccupazione delle famiglie Italiane. Una su due, la ritiene la criticità più rilevante: le notizie che da mesi arrivano dal Canale di Sicilia angosciano in profondità il Paese, per i loro drammatici risvolti umanitari. Sul fronte interno, il 44% degli Italiani nei prossimi 12 mesi si aspetta che vengano approvate le riforme di cui tanto si è discusso: da quella del lavoro a quella della pubblica amministrazione; da quella della giustizia a quella della scuola. Per quanto riguarda il grado di fiducia, il dato resta stabile sui valori dei mesi precedenti: 3,54 punti, contro i 3,53 di agosto e i 3,55 di luglio.
Risale la propensione al risparmio: il 15,5 degli italiani lo aumenterà nei prossimi 12 mesi. A settembre, si era impegnato in questa direzione il 13,1.
A dicembre 2014, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari rappresentano circa l’8% del Pil e il 3% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Gli iscritti ammontano a circa 6,6 milioni e le risorse destinate alle prestazioni hanno raggiunto i 126 mld di euro. Il tasso di partecipazione ha raggiunto il 25,6% rispetto alla forza lavoro e il 29,5% rispetto agli occupati, tuttavia, solo il 15% per cento della forza di lavoro al di sotto dei 35 anni è iscritto a una forma pensionistica complementare.
A fine 2013 lo stock di investimenti dei fondi pensione indirizzati in Italia ammontava a circa 30 mld di euro, di questi solo 2,1 mld erano indirizzati alle imprese italiane. Per convogliare una maggiore quota del risparmio previdenziale nell’economia reale italiana occorre superare alcuni limiti tecnici ed incentivare l’investimento in strumenti come i fondi chiusi attraverso i quali investire in private equity, mini-bond ed energie rinnovabili, presenti in misura marginale solo nel portafoglio di alcuni fondi pensione preesistenti.
A dicembre ha prevalso l’incertezza sui mercati finanziari globali. Un’incertezza alimentata so- prattutto dalla caduta del prezzo del petrolio. La discesa dell’oro nero, iniziata a fine estate, si è intensificata dopo la riunione di novembre dell’Opec nella quale è stato deciso di mante- nere invariati gli attuali livelli di produzione. E così il greggio ha continuato a perdere terreno, salvo qualche breve sosta, fino a toccare i mini- mi a oltre cinque anni. Uno scenario appesantito dalle tensioni in Russia con il rublo che è crolla- to ai minimi storici. Mosca paga principalmente proprio la caduta dei prezzi del petrolio che ha acuito i timori di una recessione nel 2015. Nel frattempo in Europa si attende con rinnovato in- teresse la prossima riunione della Bce (22 gen- naio). Dal 2015 la Bce terrà, infatti, i suoi meeting ogni sei settimane e non più a inizio mese. A gen- naio potrebbero arrivare indicazioni più puntuali sulle nuove possibili misure non convenzionali da attuare per contrastare il rischio deflazione.
Nell’area euro, il peggioramento della congiuntura economica ha un carattere comune a tutti i principali paesi: la debolezza degli investimenti . In Italia, il taglio ha interessato con particolare intensità la componente pubblica, ridottasi di oltre un terzo negli ultimi quattro anni.
Sono una minoranza (il 38%) gli Italiani disposti a sacrificarsi per sostenere il rilancio del Paese. I sacrifici più duri da accettare sarebbero quelli relativi al welfare, all’aumento dell’età pensionabile e al peggioramento delle condizioni di lavoro, sia in termini di contratto, che di salario. In generale, viene preferita una riduzione di tasse su imprese e lavoro a fronte di un aumento di quelle su consumi e ricchezza patrimoniale. E anche l’ipotesi dell’Iva al 25% risulta più digeribile, sempre a patto che l’imposizione fiscale sul lavoro e sulle attività produttive venga mitigata. Quanto al grado di fiducia, il suo livello resta stabile: a ottobre si è attestato a 3,45 punti, contro i 3,54 del mese precedente. Sul tema del risparmio, negli ultimi 30 giorni si registra un calo della propensione, con il 14,2% degli Italiani che si dice pronto ad aumentare la quota di risorse messe da parte, contro il 15,5 di settembre.
A settembre scorso l’ammontare dei prestiti nell’area euro è risultato inferiore di 200 miliardi rispetto a un anno prima (-1,2%) tornando ai valori di maggio 2008. Rispetto al picco massimo di settembre 2011, lo stock dei finanziamenti è diminuito di 718 miliardi attestandosi a 10.581 miliardi.
In presenza di un contesto economico divenuto estremamente complesso l’Ocse già
prima dello scoppio della crisi dei mutui subprima suggeriva di introdurre
l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Solo dopo il 2007 tuttavia
l’esigenza di dotare le giovani generazioni di un bagaglio utile in campo finanziario ha
spinto molti paesi ad adottare programmi di educazione specifici. A metà 2014 erano
circa 50 i governi che avevano intrapreso programmi di educazione finanziaria o che
avevano in progetto di avviarne
Settore auto: un andamento a più velocità
Il settore automotiv e a livello globale sembra essere tornato su valori di crescita interessanti. I dati sulla produzione di nuovi veicoli evidenziano un incremento del 4% nel 2013 che potrebbe confermarsi anche per il 2014. Gli Stati Uniti nel 2013 sono tornati ai livelli produttivi pre-crisi. Il mercato europeo, pur avendo registrato nei primi nove mesi del 2014 un incremento del 5,8% delle immatricolazioni, rimane 25 punti percentuali sotto il livello del 2007 con ampie differenze tra i paesi. Ponendo pari a 100 le auto immatricolate nel 2007, la Germania nel 2013 ha raggiunto quota 92, il Regno Unito 91, la Spagna 75, la Francia 58; l’Italia si è fermata a 52.
Negli anni più recenti le imprese di maggiore dimensione hanno fortemente accentuato la propensione a detenere riserve di liquidità. Per l’intensità raggiunta questa propensione alla liquidità viene indicata tra i fattori corresponsabili (e non in misura marginale) della sterilizzazione degli stimoli monetari adottati dalle autorità dei principali paesi per favorire una più rapida uscita dalla crisi.
E’ l’immigrazione la grande preoccupazione delle famiglie Italiane. Una su due, la ritiene la criticità più rilevante: le notizie che da mesi arrivano dal Canale di Sicilia angosciano in profondità il Paese, per i loro drammatici risvolti umanitari. Sul fronte interno, il 44% degli Italiani nei prossimi 12 mesi si aspetta che vengano approvate le riforme di cui tanto si è discusso: da quella del lavoro a quella della pubblica amministrazione; da quella della giustizia a quella della scuola. Per quanto riguarda il grado di fiducia, il dato resta stabile sui valori dei mesi precedenti: 3,54 punti, contro i 3,53 di agosto e i 3,55 di luglio.
Risale la propensione al risparmio: il 15,5 degli italiani lo aumenterà nei prossimi 12 mesi. A settembre, si era impegnato in questa direzione il 13,1.
Alla ripresa autunnale lo scenario economico si presenta a due facce.
Quella rassicurante di conferma delle buone dinamiche e prospettive extra-europee.
E quella preoccupante di deterioramento del quadro già debole nell’Eurozona e in Italia.
Il contesto rimane caratterizzato dai cambiamenti su scala globale portati dalla crisi: minore ampliamento
dei commerci internazionali, investimenti frenati dalla perdurante incertezza e condizioni
più selettive del credito bancario1.
Tutti fattori che abbassano il profilo dello sviluppo mondiale.
Tempo di riforme
I nuovi dati innalzano intorno al 44 per cento il valore raggiunto in Italia dal tasso disoccupazione giovanile. Oltre al problema della disoccupazione, le difficoltà del mercato giovanile del lavor o sono riscontrabili nella consistente riduzione tra gli occupati di età inferiore ai 35 anni dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
I migranti e la crisi economica
Le tensioni geo-politiche ai confini dell’Europa e il protrarsi della debolezza del ciclo economico in molti paesi dell’area hanno contribuito a modificare i flussi migratori interni e internazionali sia in termini di numerosità sia nella scelta dei paesi di destinazione. L’allargamento a est dei paesi aderenti all’Unione e il perdurare di elevati tassi di disoccupazione in molte economie della zona euro hanno favorito la dinamica delle migrazioni interne, con una polarizzazione verso la Germania che nel 2013 è divenuto il primo paese di destinazione in Europa e il secondo tra le economie sviluppate dopo gli Stati Uniti.
Negli ultimi anni una serie di fenomeni economici e politici hanno portato molti a ritenere che l’ordine economico mondiale disegnato a partire da Bretton Woods sia ormai da rivedere. L’idea è che il concetto stesso di libero scambio, che del vecchio ordine rappresentava uno dei pilastri portanti, sia destinato nel prossimo futuro ad avere un ruolo progressivamente meno centrale nello stimolare la crescita mondiale.
Le famiglie italiane spenderanno in media 710 € per l’istruzione dei figli, circa 10 € in più rispetto allo scorso anno. E il 5% di queste dovrà ricorrere a un prestito per farvi fronte.
Il risparmio gestito nel corso del 2014 ha continuato ad evidenziare una dinamica di sviluppo molto positiva. Il patrimonio a luglio ha toccato un nuovo massimo pari a 1.480 mld di euro, un valore dell’11% superiore a quello di dicembre 2013. Nei primi sette mesi del 2014 la raccolta netta ha raggiunto i 75,7 miliardi, un valore superiore a quello relativo all'intero 2013 (62 mld di euro) che già costituiva il miglior risultato dal 1999. Nel 2014 sono stati i fondi comuni a trainare la raccolta del risparmio gestito.
1. Banca Nazionale del Lavoro
Gruppo BNP Paribas
Via Vittorio Veneto 119
00187 Roma
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 159/2002
del 9/4/2002
Le opinioni espresse
non impegnano la
responsabilità
della banca.
Primi 10 paesi al mondo per produzione
manifatturiera nel 2011 e quota nel 2007
25
21,7
20
14,5
15
10 9,4
6,3
5 4 3,5 3,3 3,3 2,9 2,3
0
2011 2007
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Confindustria.
La testa della classifica mondiale nella produzione manifatturiera si gioca ormai dal
2007 tra Cina e Stati Uniti. Nel 2011 la Cina occupava la prima posizione, con una
quota di mercato del 21,7%, seguita dagli Stati Uniti 14,5%. L’Italia compare insieme
all’India in settima posizione (era quarta nel 2007), con una quota del 3,3%. Oggi nel
nostro paese il comparto rappresenta il 15,5% del valore aggiunto complessivo (era il
20,1% nel 2000) e occupa il 17,8% del totale addetti nell’economia. Il manifatturiero
italiano si caratterizza ancora per un livello di produttività superiore rispetto a quello
degli altri settori. Secondo i dati Istat, il valore aggiunto per addetto nel 2010 (ultimo
05
dato disponibile) era pari a 51mila euro, contro i 33mila delle costruzioni e i 38mila dei
servizi.
Il calo del peso del manifatturiero ha accomunato gran parte dei paesi sviluppati, ma
8 febbraio il fenomeno è risultato evidente soprattutto negli Stati Uniti. Il paese, che produceva il
40% dei manufatti mondiali all’indomani della II guerra mondiale, ha visto la sua quota
2013 di mercato gradualmente erosa prima dalla concorrenza europea e giapponese, e poi
da Corea del Sud, Taiwan e Cina. Tuttavia molte sono le analisi che indicano entro
Direttore responsabile: pochi anni una nuova stagione per il comparto americano che potrebbe addirittura
Giovanni Ajassa tornare a competere con la Cina.
tel. 0647028414
giovanni.ajassa@bnlmail.com
2. 8 febbraio 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Vecchi e nuovi protagonisti nel manifatturiero mondiale
S. Costagli 06-47027054 – simona.costagli@bnlmail.com
A lungo relegato al ruolo di settore in declino, tipico di una fase di sviluppo
intermedia e quindi più adatto alle economie dei paesi emergenti e in via di
sviluppo, il manifatturiero viene oggi visto quasi ovunque come la chiave di
crescita grazie alla sua capacità di creare posti di lavoro e attirare investimenti in
ricerca e sviluppo.
La testa della classifica mondiale nella produzione manifatturiera si gioca ormai
dal 2007 tra Cina e Stati Uniti. Nel 2011 (ultimo anno disponibile) la Cina
occupava la prima posizione, con una quota di mercato del 21,7%, seguita dagli
Stati Uniti che con il 14,5% hanno ceduto quasi quattro punti percentuali rispetto
al 2007 e oltre dieci rispetto all’inizio degli anni Duemila. L’Italia compare insieme
all’India in settima posizione (era quarta nel 2007), con una quota del 3,3%.
Il calo del peso del manifatturiero ha accomunato gran parte dei paesi sviluppati,
ma il fenomeno è risultato evidente soprattutto negli Stati Uniti. Il paese, che
produceva il 40% dei manufatti mondiali all’indomani della II guerra mondiale, ha
visto la sua quota di mercato gradualmente erosa prima dalla concorrenza
europea e giapponese, e poi da Corea del Sud, Taiwan e Cina. Tuttavia molte
sono le analisi che indicano entro pochi anni una nuova stagione per il comparto
americano che potrebbe addirittura tornare a competere con la Cina.
In Italia nel 2011 il valore aggiunto prodotto dal settore manifatturiero è risultato
pari a 225,5 miliardi di euro, il 16,7% dell’intera produzione dell’area euro. Nel
nostro paese al calo della quota sulla produzione mondiale ha corrisposto una
riduzione del peso del settore sia in termini di valore aggiunto realizzato sul
totale economia sia in termini di addetti. Oggi il comparto rappresenta il 15,5%
del valore aggiunto complessivo (era il 20,1% nel 2000) una percentuale che per
la prima volta dall’inizio degli anni Duemila è inferiore alla media dell’area euro.
La quota di addetti sul totale è scesa al 17,8%.
Il manifatturiero italiano si caratterizza ancora per un livello di produttività
ampiamente superiore rispetto a quello degli altri settori. Secondo i dati Istat, il
valore aggiunto per addetto nel 2010 (ultimo dato disponibile) era pari a 51mila
euro, contro i 33mila delle costruzioni e i 38mila dei servizi.
La difficile ripresa dell’economia reale nei paesi sviluppati e la pesante eredità che la
grande recessione ha lasciato sul mercato del lavoro mondiale hanno riproposto con
forza il comparto manifatturiero come motore di sviluppo. A lungo relegato al ruolo di
settore in declino, tipico di una fase di sviluppo intermedia e quindi più adatto alle
economie di paesi emergenti, il manifatturiero viene oggi visto quasi ovunque come la
chiave di crescita grazie alla sua capacità di creare posti di lavoro e attirare
investimenti in ricerca e sviluppo.
Il dibattito sul tema è vivace soprattutto negli Stati Uniti, dove una parte importante
della recente campagna elettorale si è giocata sulla proposta di riportare in patria molte
produzioni delocalizzate all’estero per dare il via a un vero e proprio rinascimento
manifatturiero. Ma il rilancio del settore è sull’agenda di molti altri paesi, a cominciare
dall’Italia − dove si discute dell’opportunità di riportarne il peso sul totale dell’economia
nazionale oltre la soglia del 20% del valore aggiunto complessivo − e in Cina, dove il
2
3. 8 febbraio 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
vertiginoso aumento dei costi di produzione comincia a frenare il settore e rischia di
comprometterne il primato mondiale.
La testa della classifica mondiale nella produzione manifatturiera si gioca ormai dal
2007 tra Cina e Stati Uniti. Nel 2011 (ultimo anno disponibile) la Cina occupava la
prima posizione, con una quota di mercato del 21,7%, in notevole crescita dal 14% del
2007 e dall’8,3% del 2000. In seconda posizione gli Stati Uniti che con il 14,5% cedono
quasi quattro punti percentuali rispetto al 2007 e oltre dieci rispetto dall’inizio degli anni
Duemila. In terza posizione compare il Giappone, con una quota del 9,4% seguito dalla
Germania con il 6,3% (un punto percentuale in meno rispetto al 2007). L’Italia compare
in settima posizione, con una quota del 3,3%, perdendo tre posizioni rispetto al 2007 e,
in termini di quota di mercato, 1,2 punti dal 2007 e 0,7 dal 2000. L’aspetto più evidente,
nella graduatoria dei primi venti paesi per produzione manifatturiera (espressa in valori
correnti e pertanto soggetta a movimenti relativi dei prezzi e a oscillazioni dei cambi) è
il notevole guadagno di peso degli emergenti. Solo tre paesi avanzati (Giappone,
Corea del Sud e Australia) hanno saputo reggere l’urto consolidando le rispettive
posizioni. Insieme alla Germania, si tratta di paesi che hanno avuto una visione di
sostegno del comparto più costante nel tempo. Dal 2007 al 2011 l’India ha scavalcato
Francia e Regno Unito, raggiungendo l’Italia in settima posizione, il Brasile ha
guadagnato quattro posizioni raggiungendo il sesto posto, mentre la Russia
scavalcando Spagna e Regno Unito nel 2011 ha occupato la decima posizione. Tra i
primi dieci produttori di manufatti la quota di mercato dei BRIC nei quattro anni tra il
2007 e il 2011 è passata dal 21,6% al 30,8%, mentre quella dei paesi avanzati è scesa
dal 47,5 al 40,4%.
Primi 10 paesi al mondo per produzione
manifatturiera nel 2011 e quota nel 2007
25
21,7
20
14,5
15
10 9,4
6,3
5 4 3,5 3,3 3,3 2,9 2,3
0
2011 2007
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Confindustria
Il calo del peso del manifatturiero ha accomunato gran parte dei paesi sviluppati nella
seconda metà del secolo scorso, ma il fenomeno è risultato evidente soprattutto negli
Stati Uniti. Il paese, che produceva il 40% dei manufatti mondiali all’indomani della II
guerra mondiale, ha visto la sua quota di mercato gradualmente erosa prima dalla
concorrenza europea e, soprattutto, giapponese,1 e poi, a causa del processo di
1
Tra gli anni Settanta e Ottanta il dibattito sulla concorrenza proveniente dal Giappone, e sul peso che
questo paese avrebbe avuto in futuro, spinse anche a ipotizzare la possibilità di inserire l’insegnamento
della lingua giapponese nelle scuole statunitensi.
3
4. 8 febbraio 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
delocalizzazione, da Corea del Sud, Taiwan e Cina. Oggi l’output manifatturiero
americano è pari a 2,5 volte quello di inizio anni Settanta (espresso in valori costanti),
anche se il settore rispetto a quella data occupa il 33% di addetti in meno. Tuttavia
molte sono le analisi che indicano entro pochi anni una nuova stagione di ripresa per il
comparto americano, che potrebbe addirittura tornare a competere con la Cina.
Secondo stime recenti, nell’arco di cinque anni il costo di produzione di molti manufatti
nelle città cinesi della costa risulterà solo del 10-15% inferiore che in alcuni stati degli
USA; una volta considerate anche le difficoltà di trasporto e stoccaggio, il Sud Carolina,
l’Alabama e il Tennessee risulterebbero siti più convenienti per la localizzazione di
nuove imprese manifatturiere.2 In Cina d’altro canto la progressione dei salari nel corso
degli ultimi anni è stata notevole: dal 2000 al 2005 la paga media è cresciuta del 10%
l’anno, e del 19% l’anno nel quinquennio successivo. In alcuni settori come
l’automobilistico e l’elettronica nelle aree a maggiore industrializzazione il processo di
chiusura del gap con l’occidente procede a passo ancora più spedito: la retribuzione
complessiva di un operaio cinese specializzato nel delta dello Yangtze (che include
anche la provincia Shangai) nei prossimi 4 anni dovrebbe arrivare a 6,3 dollari l’ora
(era 72 centesimi nel 2000) contro i 15,81 dollari l’ora di un omologo americano degli
stati del Sud. All’aumento dei salari non ha corrisposto un analogo incremento della
produttività, che pure è cresciuta del 10% circa negli ultimi dieci anni (nei prossimi anni
ci si aspetta una crescita intorno all’8% annuo). Il salario orario cinese corretto per la
produttività nel 2015, nel delta dello Yangtze dovrebbe arrivare a 15,03 dollari l’ora,
contro i 24,81 dollari del Sud Carolina. Se si tiene conto che il costo del lavoro
rappresenta nel manifatturiero una porzione variabile tra il 7 e il 25% dei costi
complessivi, e che in Cina anche gli altri costi sono in aumento (terra ed energia
soprattutto), è facile ipotizzare che nei prossimi anni gli statunitensi valuteranno con
maggiore attenzione la possibilità di aprire nuovi impianti nei confini nazionali
accrescendo la loro quota sulla produzione mondiale.
I paesi europei e l’Italia
Trai primi dieci produttori al mondo di manufatti compaiono solo tre paesi europei:
Germania, Italia e Francia, tutti con quote di mercato e posizioni in discesa rispetto al
2007. I tre paesi rappresentano insieme circa il 69% della produzione manifatturiera
dell’area euro. Il primato spetta di gran lunga alla Germania, che nel 2011 ha realizzato
beni per 524 miliardi in euro correnti, coprendo da sola il 39% della produzione
dell’intera area dell’euro, seguono a distanza l’Italia, con un valore aggiunto prodotto di
225,5 miliardi e una quota del 16,7% e la Francia, con 180,7 miliardi di euro e una
quota del 13,4%.
In Germania il peso del settore manifatturiero è consistente anche rispetto al totale
economia, ed è rimasto piuttosto stabile nel tempo nonostante la forte flessione del
2009 (interamente recuperata nel biennio successivo) intorno al 22,5%. In Francia la
quota sul totale economia è ferma al 10%, circa 5 punti percentuali in meno dell’inizio
degli anni Duemila, mentre in Spagna il comparto in dodici anni ha ceduto 3,4 punti
percentuali di peso arrivando a coprire nel 2012 il 13,5% del valore aggiunto. Minore
risulta la perdita di peso del manifatturiero greco (oggi al 9,6%), che era esiguo già nel
2000 (10,9%). Tra i paesi dell’Europa dell’Est il comparto manifatturiero ha un peso
rilevante soprattutto in Romania: 24,7% del valore aggiunto nel 2011 (ultimo dato
disponibile), un valore che risulta in crescita dall’indomani della crisi avviata nel 2007.
2
The Boston Consulting Group, Made in America, again. Why manufacturing will return to the US. 2011.
4
5. 8 febbraio 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Peso del valore aggiunto del manifatturiero sul
totale economia in alcuni paesi
(%)
25
23
21
19
17
15
13
11
9
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012*
Area euro Germania Spagna Francia Italia
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat
In Italia al calo della quota sulla produzione mondiale ha corrisposto una contrazione
del settore anche in termini di valore aggiunto realizzato sul totale economia. Dal 2000
al terzo trimestre del 2012 il settore ha perso 4,6 punti percentuali, e oggi copre il
15,5% del valore aggiunto complessivo, una percentuale che per la prima volta
dall’inizio degli anni Duemila è inferiore, anche se di poco, alla media dell’area euro
(pari al 15,9%). Il calo è maturato in modo piuttosto omogeneo nel corso degli anni, ma
ha subito una forte accelerazione nel 2009, quando in un solo anno la quota è scesa
del 10%.
Variazione del peso del valore aggiunto del
manifatturiero sul totale economia in Italia
(%)
4
2
0
-2
-4
-6
-8
-10
-12
2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012*
Var % del peso del valore aggiunto Var % del peso degli addetti
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat
Alla discesa in termini di valore aggiunto ha corrisposto un calo meno pronunciato in
termini di addetti: secondo i dati Eurostat nel 2012, la percentuale di addetti nel
comparto sul totale economia è risultata pari al 17,8% (era pari al 21,2% nel 2000), il
5
6. 8 febbraio 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
valore più alto tra i principali paesi europei (in Germania l’analogo rapporto è del
17,5%, mentre in Francia è del 10,7%).
Il settore in Italia è composto da 427mila imprese circa (dato al 2010, ultimo disponibile
di fonte Istat), e impiega 4 milioni di addetti. Nonostante le difficoltà attraversate a
partire dal 2007, il manifatturiero italiano si caratterizza ancora per un livello di
produttività ampiamente superiore rispetto a quello degli altri settori. Sempre secondo i
dati Istat, il valore aggiunto per addetto nel 2010 era pari a 51mila euro, contro i 33mila
delle costruzioni e i 38mila dei servizi. Il dato è frutto di un andamento estremamente
differenziato tra i vari settori, con un picco di 137mila euro nel caso della farmaceutica
e valori elevati anche in settori più legati alla tradizione del made in Italy come la
meccanica o la carta (61mila circa). Alla maggiore produttività corrisponde una
maggiore compenso per gli addetti: in Italia la retribuzione lorda per dipendente nel
comparto risultava (sempre nel 2010) pari a 27mila euro (con valori più elevati nei
settori a maggiore produttività), contro i 23mila dei servizi.
Tra le ragioni a favore di un possibile rinascimento del manifatturiero vi è inoltre la
maggiore propensione all’innovazione e agli investimenti in R&S che farebbe da volano
al resto dell’economia. Nel corso del 2010 le imprese manifatturiere italiane con più di
10 addetti hanno investito in innovazioni circa 17,7 miliardi di euro, contro poco meno
di 9 miliardi delle imprese attive nel comparto dei servizi con la stessa dimensione.
La speranza che una ripresa del manifatturiero stimoli una strutturale ripresa
dell’economia italiana ed europea è per ora frustrata dalla cattiva performance del
settore in quasi tutti i paesi. Nel corso del 2012 l’indice della produzione manifatturiera
a valori costanti in Italia ha registrato tutte variazioni negative. Quella di novembre
(ultimo dato disponibile) è la quindicesima variazione tendenziale consecutiva con il
segno meno. Il settore è oggi ben lontano dall’aver recuperato sia i valori pre-crisi, sia
soprattutto i valori di inizio anni Duemila. In Spagna novembre ha segnato la
diciottesima variazione negativa consecutiva, mentre in Francia i mesi consecutivi con
il segno meno si fermano a dodici.
Andamento della produzione manifatturiera in
alcuni paesi europei
(Numero indice 2005 = 100)
120
115
110
105
100
95
90
85
80
75
Germania Spagna Francia Italia
70
2000M01
2000M07
2001M01
2002M01
2002M07
2003M01
2004M01
2004M07
2005M01
2005M07
2006M07
2007M01
2007M07
2008M01
2009M01
2009M07
2010M01
2010M07
2012M01
2012M07
2001M07
2003M07
2006M01
2008M07
2011M01
2011M07
Fonte: elaborazioni Servizio Studi BNL su dati Eurostat
A differenza degli altri principali paesi europei in Germania il comparto ha da tempo
recuperato i livelli pre-crisi. Tuttavia da aprile 2012 ha intrapreso un sentiero
6
7. 8 febbraio 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
discendente e quello di novembre è il quinto calo tendenziale. Un periodo così lungo di
flessione nel paese non si registrava dalla recessione del 2009.
7
8. 8 febbraio 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Un cruscotto della congiuntura: alcuni indicatori
Indice Itraxx Eu Financial Indice Vix
400
350 60
300
50
250
200 40
150 30
100
Index Itraxx EU Financial Sector
20
50
0 10
lug-12
set-12
nov-12
lug-11
set-11
nov-11
mar-12
mar-11
gen-12
mag-12
gen-13
gen-11
mag-11
0
gen-12
mag-12
gen-13
gen-11
mag-11
lug-12
set-12
nov-12
lug-11
set-11
nov-11
mar-12
mar-11
Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
I premi al rischio passano da 147 pb a 151 pb. L’indice Vix nell’ultima settimana scende
sotto quota 14.
Cambio euro/dollaro e quotazioni Brent Prezzo dell’oro
(Usd per barile) (Usd l’oncia)
130 1,5 2.000
125 1,45 1.900
120 1.800
1,4
115
1,35 1.700
110
1.600
1,3
105
1.500
1,25
100
Brent scala sin.(in Usd)
1.400
95 1,2
Cambio euro/dollaro sc.ds. 1.300
90 1,15
1.200
lug-12
set-12
nov-12
lug-11
set-11
nov-11
mar-12
mar-11
gen-12
mag-12
gen-13
gen-11
mag-11
Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
Il tasso di cambio €/$ sale a 1,35. Il petrolio di Il prezzo dell’oro si muove intorno ai 1.675
qualità Brent quota $117 al barile. dollari l’oncia.
8
9. 8 febbraio 2013
setesettembresette
SettsettembreAgost
o 2008
Borsa italiana: indice Ftse Mib Tassi dei benchmark decennali:
differenziale con la Germania
(punti base)
24.000
1.400
22.000 1.200
1.000
20.000
800
18.000
600
16.000 400
200
14.000
0
giu-12
lug-12
set-12
nov-12
giu-11
lug-11
set-11
nov-11
mar-12
apr-12
mar-11
apr-11
dic-12
dic-11
gen-12
feb-12
ott-12
feb-13
mag-12
ago-12
gen-13
gen-11
feb-11
mag-11
ago-11
ott-11
12.000
Italia Spagna Irlanda Portogallo
Fonte: Thomson Reuters Fonte: elab. Servizio Studi BNL su dati Thomson
Reuters
Il Ftse Mib flette a 16.600 da 17.439 della I differenziali con il Bund sono pari a 483 pb
scorsa settimana. per il Portogallo, 384 pb per la Spagna e 299
pb per l’Italia.
Indice Baltic Dry Euribor 3 mesi
(val. %)
12.000
1,8
10.000 1,6
1,4
8.000
1,2
6.000 1
0,8
4.000 0,6
0,4
2.000
0,2
0 0
gen-08
ott-08
gen-09
ott-09
gen-10
ott-10
gen-12
ott-12
gen-13
gen-11
ott-11
lug-08
lug-09
lug-10
lug-12
apr-08
apr-09
apr-10
lug-11
apr-12
apr-11
gen-10
gen-12
gen-13
mag-10
mag-12
gen-11
lug-10
set-10
mag-11
lug-12
set-12
nov-10
nov-12
lug-11
set-11
mar-10
nov-11
mar-12
mar-11
Fonte: Thomson Reuters Fonte: Thomson Reuters
L’indice, su valori minimi, nell’ultima L’euribor 3m rimane a 0,23%.
settimana tocca quota 740.
Il presente documento è stato preparato nell’ambito della propria attività di ricerca economica da BNL-
Gruppo Bnp Paribas. Le stime e le opinioni espresse sono riferibili al Servizio Studi di BNL-Gruppo BNP
Paribas e possono essere soggette a cambiamenti senza preavviso. Le informazioni e le opinioni riportate in
questo documento si basano su fonti ritenute affidabili ed in buona fede. Il presente documento è stato
divulgato unicamente per fini informativi. Esso non costituisce parte e non può in nessun modo essere
considerato come una sollecitazione alla vendita o alla sottoscrizione di strumenti finanziari ovvero come
un’offerta di acquisto o di scambio di strumenti finanziari.
9