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Passione e creatività
studioEdesign nasce da una passione condivisa per la creatività, nata durante
gli studi e maturata attraverso numerose esperienze professionali in agenzie
di pubblicità.
A partire da queste esperienze abbiamo aperto studioEdesign, con l’obiettivo
di curare ciascun progetto creativo con passione, rispettando elevati standard
di qualità.
Oggi studioEdesign segue ogni singolo lavoro dalla fase di progettazione
fino alla realizzazione finale: graphic design, packaging design, corporate
identity, webdesign, eco design.
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via castel di leva, 253 H-I
00134 roma
tel/fax 06 71354388
studio_e_design@libero.it
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Editoriale
C
on il primo numero della rivista riprendiamo le linee di quel percorso ‘programmati-
co’ già tracciato con il numero precedente, consapevoli che nello studio del mondo
antico è fondamentale interrogare e valorizzare tutte le fonti disponibili. Ben note sono
del resto le connessioni e le interazioni tra archeologia, epigrafia, numismatica e storia, che negli
ultimi decenni hanno contribuito a conferire una vocazione interdisciplinare alla ricerca scientifi-
ca, favorendo una collaborazione tra studiosi e specialisti delle diverse discipline. Proprio in que-
sta prospettiva si inserisce il primo articolo, dedicato ai sepolcri di età tardo-repubblicana scoperti
tra il 1916 e il 1919 lungo il lato meridionale di via Statilia, in cui l’analisi delle iscrizioni incise
o murate sulle fronti prospicienti la strada permette di integrare i dati forniti dal contesto archeo-
logico, rivelando i nomi dei proprietari (e destinatari) dei monumenti, i loro reciproci rapporti di
parentela e/o di dipendenza, il mestiere svolto in vita e la categoria sociale di appartenenza.
Rappresentativo del rapporto tra storia e archeologia è invece il contributo dedicato al complesso
periodo storico noto come anarchia militare (235-284 d.C.) e caratterizzato da generali acclamati
imperatori direttamente dalle loro legioni: la personalità e la propaganda politica dei diversi prota-
gonisti che si avvicendarono alla guida dell’Impero viene qui delineata attraverso le fonti lettera-
rie e i monumenti eretti a Roma - archi onorari e trionfali, templi, ville suburbane e mausolei - ai
quali gli stessi affidarono la loro autorappresentazione.
Un confronto tra i dettagliati resoconti relativi ai ritrovamenti archeologici effettuati nel cen-
tro storico e nel suburbio di Roma grazie ai carotaggi e agli scavi stratigrafici condotti durante i
lavori per la Linea C della Metropolitana, i cui dati preliminari sono stati presentati nella sede
romana di Palazzo Massimo in occasione di due giornate di studio incentrate sul tema Archeologia
e Infrastrutture, e la cronaca degli scavi settecenteschi che portarono alla scoperta di Ercolano,
rende invece immediatamente evidente la distanza tra la moderna ricerca archeologica e quella del
passato, disattenta al contesto archeologico e interessata soprattutto al recupero di opere d’arte con
cui arricchire le collezioni borboniche. Emblematica a questo proposito è la prassi, inaugurata dallo
scultore francese Joseph Canart, di ‘ritagliare’ le scene figurate ritenute di pregio dalle decorazio-
ni parietali degli edifici ercolanesi per farne «tanti bei Quadri per la Galleria del Re» Carlo III di
Borbone. Nella stessa epoca, sempre per iniziativa di Carlo III, iniziò anche la migrazione a Napoli
delle sculture e delle iscrizioni appartenenti alla collezione Farnese, ereditata dal re per via mater-
na, di cui è stato recentemente curato un nuovo allestimento presso il Museo Archeologico
Nazionale di Napoli che racconta le vicende formative della raccolta e tiene conto del criterio espo-
sitivo voluto dai Farnese.
Chiude la rivista un contributo dedicato agli straordinari manufatti marmorei con decorazio-
ne policroma provenienti da scavi clandestini effettuati in un’area sepolcrale daunia, situata nel
territorio dell’antica Ausculum (odierna Ascoli Satriano, in provincia di Foggia) e databile nella
seconda metà del IV sec. a.C., che sono stati recuperati grazie all’intervento del Comando
Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e della Guardia di Finanza di Foggia e oggi sono tempo-
raneamente esposti nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma.
La redazione
4
82
DIRETTORE RESPONSABILE
MARIA TERESA GARAU
DIRETTORE ESECUTIVO
ROBERTO LUCIGNANI
COMITATO SCIENTIFICO
Paolo Arata
Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma
Alessandra Capodiferro
Funzionario Soprintendenza Archeologica di Roma
Fiorenzo Catalli
Funzionario Soprintendenza Archeologica di Roma
Paola Chini
Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma
Vincenzo Fiocchi Nicolai
Prof. Archeologia Cristiana Univ. Tor Vergata di Roma
Gian Luca Gregori
Prof. Ordinario di Antichità Romane, ed Epigrafia Latina,
Facoltà Scienze Umanistiche, Univ. Sapienza di Roma
Eugenio La Rocca
Prof. Ordinario Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana,
Univ. Sapienza di Roma
Annamaria Liberati
Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma
Luisa Musso
Prof. Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana e
Archeologia delle Provincie Romane, Univ. Roma Tre
Silvia Orlandi
Prof. associato di Epigrafia Latina presso la Facoltà di Scienze
Umanistiche, Univ. Sapienza di Roma
Claudio Parisi Presicce
Direttore Musei Archeologici e d’Arte Antica Comune di Roma
Giandomenico Spinola
Responsabile Antichità Classiche e
Dipartimento di Archeologia Musei Vaticani
Lucrezia Ungaro
Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma
CAPO REDATTORE
ALESSANDRA CLEMENTI
REDAZIONE
LAURA BUCCINO - ALBERTO DANTI - GIOVANNA DI GIACOMO
LUANA RAGOZZINO - GABRIELE ROMANO
DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA
ROBERTO LUCIGNANI
TRADUZIONE
DANIELA WILLIAMS
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
STUDIOEDESIGN - ROMA
WEB MASTER – PUBBLICITA’
MARIA TERESA GARAU
REDAZIONE E
AMMINISTRAZIONE
Via Orazio Antinori, 4 - ROMA
È vietata la riproduzione in alcun modo senza il consenso scritto
dell’Associazione Rumon Tiber
ANCORA SUL CORRED
EPIGRAFICO DEI SEPOL
REPUBBLICANI DI VIA STA
LA COLLEZIONE FARN
30 62
100 110
SOMMARIO
DO
LCRI
ATILIA
LA SCOPERTA DI ERCOLANO ANARCHIA MILITARE
ESE IL SEGRETO DI MARMO
ARCHEOLOGIA E
INFRASTRUTTURE
6
IL RINVENIMENTO
copo di
questo con-
tributo è pre-
sentare un’e-
d i z i o n e
aggiornata delle iscrizioni incise
o murate sulla fronte dei sepolcri
di età tardo-repubblicana situati
lungo il lato meridionale di via
Statilia, all’incrocio con via di S.
Croce in Gerusalemme. Dopo la
prima pubblicazione, curata da
Fornari e Gatti tra il 1917 e il
1919, queste iscrizioni sono state
infatti riprese - anche singolar-
mente - da Colini (1943),
Degrassi (1965) e Solin (2000),
che ne hanno ampliato, miglio-
rato e corretto la lettura con
emendamenti che restano tutto-
ra ignoti ai numerosi visitatori
del complesso archeologico per-
ché sfuggiti alla copiosa lettera-
tura divulgativa dedicata ai
monumenti di Roma.
Naturalmente un’edizione che
vuole essere aggiornata, oltre a
riunire i contributi apportati dai
diversi studiosi alla lettura dei
SI SEPOLCRI
REPUBBLICANI
DI VIA STATILIA
In alto, al centro: Fronte composto dai
sepolcri scoperti nel 1899 lungo il lato
meridionale di via Statilia, in occasione dei
lavori di allargamento della sede stradale
A destra: Pianta dell'area necropolare
attestata lungo la cd. via Caelimontana
(oggi via Statilia) con la localizzazione (*)
dei sepolcri di età tardo-repubblicana
scoperti negli anni 1916-1919 (rielabo-
razione grafica da VON HESBERG 2005)
testi, non può prescindere da un
nuovo controllo autoptico dei
monumenti epigrafici, che ho
effettuato durante quattro
sopralluoghi all’area archeologi-
ca, giovando in una di queste
occasioni anche della presenza
di Silvia Orlandi, docente di
Epigrafia presso la “Sapienza”
di Roma, e del dott. David
7
Nonnis. Rispetto alle prime edi-
zioni, il controllo diretto delle
iscrizioni ha permesso di riscon-
trare da un lato, la perdita di
qualche lettera in seguito al dete-
rioramento subito dalle aree
iscritte, dall’altro ha reso possi-
bile ampliare e migliorare leg-
germente le precedenti trascri-
zioni, individuare probabili
aggiunte epigrafiche fatte in
antico e introdurre qualche
osservazione aggiuntiva che
offre nuovi spunti di riflessione.
Vista la natura di questo contri-
buto, ho tuttavia ritenuto oppor-
tuno ridurre gli apparati critici
in calce alle trascrizioni dei testi
agli elementi essenziali, riser-
vando ad altra sede la loro pub-
blicazione integrale.
Prima di ritornare sul corredo
epigrafico dei sepolcri, vorrei
riassumere brevemente le circo-
stanze relative alla loro scoperta,
avvenuta tra il 1916 e il 1917,
durante i lavori condotti dal
Comune di Roma sull’Esquilino
per l’allargamento della sede
stradale di via di S. Croce in
Gerusalemme. In questa occasio-
ne vennero alla luce i primi quat-
tro sepolcri (A, B, BI, C) con le
fronti allineate sulla via Statilia e
le celle incassate nelle pendici
dell’altura tufacea, in parte arti-
ficiale, sulla quale sorge Villa
Wolkonsky-Campanari, oggi
sede dell’ambasciata inglese.
Il lato anteriore di un quinto
monumento del tipo ad altare,
poi inglobato in una tomba a
camera (D), fu invece scoperto
nel 1919 durante le opere di
sistemazione e protezione dell’a-
rea mediante la costruzione di
un arco sostruttivo collegato al
muraglione di contenimento del
terrapieno della Villa.
Immediatamente a destra del
sepolcro ad altare, fu infine indi-
viduato nel 1943 lo spigolo ante-
riore sinistro di un altro sepolcro
della stessa tipologia (E), impo-
stato su un alto basamento e
decorato da lesene angolari.
Riguardo al contesto topogra-
fico di rinvenimento, la linea
frontale continua che i sei monu-
menti compongono sulla via
8
Statilia, insieme ai basoli rinve-
nuti nel 1888 presso Villa
Wolkonsky, testimoniano che la
strada moderna in questo tratto
ribatte il percorso di un asse
antico, la cd. via Caelimontana,
che - fiancheggiando le arcate
neroniane dell’Aqua Claudia -
attraversava il Celio in senso
ovest-est per raggiungere la
località denominata ad Spem
Veterem presso Porta Maggiore.
Nel tratto coincidente con via
Statilia, la percorrenza esterna
alle mura ‘serviane’ della
Caelimontana e il suo ruolo di
asse generatore di questo settore
dell’area sepolcrale esquilina
risultarono evidenti anche dal
ritrovamento di altre tombe che
fiancheggiavano la strada, tra
cui il monumento dell’architetto
Tiberio Claudio Vitale, scoperto
casualmente nel 1866 presso il
casino di Villa Wolkonsky, il
sepolcro dei Servilii, venuto alla
luce nel 1881 a poca distanza dal
monumento ad altare E, e la fila
di sepolcri individuati nel 1899
in occasione dei lavori di allarga-
mento di via Statilia, immediata-
mente ad est dell’incrocio con
via di S. Croce in Gerusalemme.
Sopra: Fronte composto dai sepolcri
tardo-repubblicani scoperti nel 1916 lungo
il lato meridionale di via Statilia, in seguito
all'allargamento di via di S. Croce in
Gerusalemme. Da sinistra a destra: sepol-
cro dei Quinctii (A), cd. sepolcro Gemino
(B-BI) e cd. colombario Anonimo (C)
Sotto: Pianta dei sepolcri scoperti tra il
1916 e il 1919 sul lato meridionale di via
Statilia (rielaborazione grafica da COLINI
1943): sepolcro dei Quinctii (A), cd. sepol-
cro Gemino (B- BI), cd. colombario
Anonimo (C), monumento ad altare, poi
inglobato nel sepolcro dei Caesonii (D)
9
IL SEPOLCRO DEI
QUINCTII (A)
Il primo sepolcro della serie,
situato in corrispondenza del-
l’incrocio tra via Statilia e via di
S. Croce in Gerusalemme, è un
edificio di modeste dimensioni
composto di una facciata in
opera quadrata di tufo (m 3,54)
che si appoggia ad una cella
quasi quadrata (m 2,80 x 2,95),
incassata nella falda tufacea del-
l’altura retrostante. Il piano
pavimentale della cella è tagliato
direttamente nel banco tufaceo,
mentre pareti laterali, muro di
fondo e bassa copertura a volta
sono costruiti in opera cementi-
zia priva di paramento, ma rive-
stita all’interno con un sottile
strato di intonaco. Predisposta
originariamente per il rito dell’i-
numazione, la cella è occupata in
tutta la sua larghezza da tre
fosse perpendicolari alla facciata
(a, b, c), scavate direttamente nel
pavimento tufaceo, e da un
muretto in calcestruzzo parallelo
alla parete di fondo, forse
costruito in seconda battuta, che
delimita un bancone intagliato
nel tufo (d), entro il quale furono
trovati i resti di una quarta inu-
mazione. Le fosse erano coperte
da tegole disposte in piano, rin-
venute sia in opera sotto il pavi-
mento, sia frammiste alla terra
di riempimento insieme a balsa-
mari per uso rituale. Ad una
seconda fase di utilizzazione
appartengono invece le quattro
nicchie aperte nella parete di
fondo per altrettante olle cinera-
rie di terracotta, che attestano un
cambiamento di rito forse legato
alla necessità di ricavare nuovi
posti di sepoltura nell’esiguo
spazio disponibile.
La facciata in blocchi di tufo
del sepolcro, forse in origine
coronata da una cornice agget-
tante, poggia su un alto stereo-
bate e su fondazioni in calce-
struzzo, lasciate a vista dopo i
lavori di scavo. La porta d’in-
gresso, bassa e leggermente
decentrata, è decorata da una
cornice incisa a doppio listello
che marca architrave e piedritti.
Sopra la porta, un’iscrizione
incisa su più blocchi contigui e
inquadrata ai lati da una coppia
di clipei a rilievo, ricorda la
famiglia proprietaria del monu-
mento [AE 1917/18, 120 = CIL, I2
2527a, cfr. p. 979 = ILLRP 795 =
AE 2000, 181]:
L’iscrizione è composta dal-
Sotto: Sepolcro dei Quinctii (A), fronte in
opera quadrata di tufo con iscrizione sepol-
crale tra due clipei a rilievo
l’elenco nominativo dei tre desti-
natari del sepolcro, tutti di con-
dizione libertina, legati tra loro
da vincoli di parentela e affettivi
nati da un originario rapporto di
comune dipendenza o patrona-
to: P. Quinctius, che esercitò il
mestiere di copista e/o di com-
merciante di libri, e la moglie
Quinctia furono infatti mano-
messi dal medesimo patrono, un
T. Quinctius, mentre Quinctia
R. 2 Uxsor in luogo di uxor; r. 3 Agatea in luogo di Agathea. Sulla scorta dell’impaginazione della r. 2, centrata rispetto ai
margini laterali del blocco (da notare il termine uxsor allineato a destra nel tentativo di riequilibrare una riga che altrimenti
sarebbe stata troppo sbilanciata a sinistra rispetto a quella superiore), la sequenza -erta del termine liberta in r. 3, incisa - tran-
ne la lettera E - al di fuori della linea di contorno del blocco, sembrerebbe aggiunta dal lapicida in corso d’opera per evitare
possibili fraintendimenti tra lo scioglimento dell’abbreviazione lib. per liberta e lo scioglimento di libr. per librarius in r. 1, qui
favoriti dalla presenza nella nomenclatura di Agathea del patronato P(ubli) l(iberta), che rendeva superfluo ripetere il termine
liberta a corredo del cognome; r. 4 `concubina´, aggiunta epigrafica in lettere nane.
Agathea deve la propria libertà al
primo personaggio, di cui in
seguito divenne concubina.
Proprio i legami intercorsi tra
questi personaggi, deducibili sia
dall’onomastica (uguale gentilizio;
formule di patronato), sia dalla
qualifica di uxor (moglie legittima)
e di concubina (convivente), que-
st’ultima significativamente ag-
giunta in un secondo momento,
permettono di ricostruire in via
ipotetica la storia di questo nucleo
famigliare allargato.
Il rapporto tra P. Quinctius e
Quinctia nacque probabilmente
come contubernium (coabitazione
senza rilievo giuridico) tra due
schiavi alle dipendenze dello
stesso padrone, T. Quinctius, e fu
trasformato in conubium (nozze
legittime) quando la coppia -
grazie alla sopraggiunta mano-
missione - acquisì con lo status
libertino la capacità giuridica di
contrarre un matrimonio legal-
mente riconosciuto. Solo allora
P. Quinctius liberò la schiava
In basso, a sinistra: Sepolcro dei Quinctii
(A), bassa copertura a volta in opera
cementizia della cella
In basso, a destra: Sepolcro dei Quinctii
(A), veduta interna della cella con tre fosse
(a, b, c) scavate nel pavimento tufaceo
Nella pagina accanto: Sepolcro dei
Quinctii (A), prime edizioni dell'iscrizione
sepolcrale incisa sulla fronte
11
Agathea, insieme alla quale lui e
la moglie costruirono il sepolcro,
commissionando ad un’officina
lapidaria l’iscrizione che sanciva
e garantiva il loro diritto di pro-
prietà. Dopo la morte di
Quinctia, P. Quinctius iniziò a
vivere con Agathea in concubina-
to, una forma di convivenza sta-
bile, ma giuridicamente illegitti-
ma, che differiva dal matrimonio
perché mancava l’affectio marita-
lis, ovvero la reciproca volontà
delle parti di vivere come marito
e moglie per la durata dell’intera
esistenza (il che non implicava
che il matrimonio dovesse essere
perpetuo e indissolubile: l’affec-
tio maritalis poteva venire meno
in uno o in ambedue i coniugi e,
conseguentemente, la conviven-
za si interrompeva con il divor-
zio). Nonostante questa premes-
sa, la lunga durata dell’unione
tra i due liberti è provata dal
comune monumento sepolcrale
e, in particolare, dall’aggiorna-
mento dell’iscrizione incisa sulla
facciata, in cui la qualifica di con-
cubina, impaginata in lettere
nane nell’esiguo spazio disponi-
bile tra la riga 3 e la cornice del-
l’architrave, fu aggiunta in coda
all’onomastica della donna.
Le ragioni che indussero P.
Quinctius e Quinctia Agathea,
giuridicamente capaci di con-
trarre nozze legittime, a scegliere
questa forma stabile di convi-
venza furono probabilmente
legate, come ancora oggi accade,
alle condizioni previste per la
costituzione del matrimonio e
alle conseguenze giuridiche che
esso determinava, tali da rende-
re il concubinato frequente
anche tra i ceti elevati (PLIN.
Epist. 8, 18).
Chiude l’iscrizione la formula
sepulcrum heredes ne sequatur con
cui P. Quinctius, Quinctia e
Quinctia Agathea sancivano l’ina-
lienabilità del sepolcro, esclu-
dendolo dalla devoluzione ere-
ditaria. Naturalmente questa
clausola non impediva ai tre pro-
prietari di estendere il diritto di
sepoltura a persone scelte nel-
l’ambito della loro famiglia e/o
ad estranei, come del resto sug-
gerisce il numero di sepolture
predisposte all’interno della
cella, quattro inumazioni ricava-
te nel pavimento tufaceo (tre
delle quali presumibilmente
occupate dagli stessi Quinctii:
COLINI) e quattro nicchie con olle
fittili nella parete di fondo.
Riguardo alla professione
esercitata dal liberto P. Quinctius,
non è possibile precisare se con-
templasse solo l’attività di copi-
sta di lettere, documenti e libri,
svolta in proprio o al servizio del
patrono, oppure se includesse
anche la gestione di una bottega
per la rivendita di libri in qual-
che quartiere di Roma, come era
il caso di P. Cornelius Celadus,
librarius ab extra porta Trigemina
(CIL, VI 9515), la cui taberna si
trovava nella pianura subaventi-
na e, precisamente, nell’area
immediatamente all’esterno del-
la porta Trigemina, e di Cn.
Pompeius Phrixus (CIL, VI 3413*),
forse legato al grammatico
Pompeius Lenaeus, a sua volta
liberto di Pompeo Magno, che
svolse sulla via Sacra nel Foro
Romano non solo l’attività di
copista e commerciante di libri,
ma anche quella di maestro ver-
sato nell’uso delle arti e delle let-
12
tere (doctor librarius). Ulteriori
contributi alla ricostruzione
della geografia crematistica del
settore librario vengono dalle
fonti letterarie, che localizzano
in età imperiale numerose riven-
dite di libri proprio nei quartieri
limitrofi al Foro Romano, come
l’Argiletum (MART. 1, 3, 1-2) e il
vicus Sandalarius, dove si concen-
travano - oltre i calzolai da cui il
distretto prendeva nome - la
maggior parte dei librai della
capitale (GELL. 18, 4, 1), tanto che
non lontano i Cataloghi
Regionari di età costantiniana
posizionano anche gli horrea
Chartaria (depositi per la carta).
Sotto il profilo onomastico,
oltre la rarità del nome di origine
greca Agathea, attestato a Roma
solo in un’altra iscrizione (CIL,
VI 33422), si può notare l’omis-
sione del cognome nella nomen-
clatura di P. Quinctius e Quinctia,
significativa soprattutto se con-
sideriamo che il ceto libertino
aveva iniziato ad impiegare l’ex
nome servile con funzione di
cognome già nel II sec. a.C. (il
primo esempio datato è del 113
a.C.) e che questa prassi era
divenuta ormai abituale nel
corso dell’ultimo secolo dell’età
repubblicana. I motivi di questa
omissione volontaria, attestata
anche in altri documenti, ma qui
resa particolarmente evidente
dall’indicazione del cognome
Agathea, sono stati spiegati con
un’operazione di mimesi ono-
mastica (PANCIERA) attraverso la
quale i liberti - nel tentativo di
mascherare sia la loro origine
non latina, sia la loro estrazione
servile (entrambe denunziate da
grecanici come Agathea) - imita-
vano le formule onomastiche
coeve dei liberi di nascita (inge-
nui), che erano ancora prive di
cognome (gli ultimi casi di inge-
nui senza cognome appartengo-
no ai primi decenni del I sec.
d.C.) e utilizzavano in funzione
quasi cognominale e indivi-
duante termini di relazione
parentale. Proprio per analogia
con l’onomastica degli ingenui, è
probabile che i due Quinctii
abbiano supplito all’omissione
del cognome sulla fronte del loro
sepolcro ricorrendo, in sua vece,
alle qualifiche distintive di uxor
e librarius.
IL CD. SE
GEMIN
Alla destra del sepolcro dei
Quinctii si appoggia, leggermen-
te arretrato nella linea della fron-
te, il «sepolcro Gemino», così
denominato perché si tratta di
due edifici con ingressi e celle
distinte (B-BI), che furono
costruiti insieme su un’unica
fondazione, condividendo fac-
Sotto: Sepolcro dei Quinctii (A),
trascrizione a disegno dell'iscrizione sepol-
crale con lettura migliorata rispetto alle
prime edizioni (in evidenza i margini oriz-
zontali e verticali dei blocchi)
A destra: Cd. sepolcro Gemino (B-BI),
fronte in opera quadrata di tufo con
iscrizioni sepolcrali e busti-ritratto a rilievo
dei defunti
13
EPOLCRO
O (B-BI)
ciata, parete intermedia e muro
posteriore. Il pavimento e la
copertura sono perduti, ma l’a-
nalisi delle strutture murarie
superstiti permette di ricostruire
almeno due fasi edilizie, a cui
corrispondono alcune modifiche
nell’articolazione degli spazi
interni. L’ingresso primitivo alle
celle sepolcrali avveniva infatti
attraverso due stretti corridoi, i
cui muri esterni in blocchi di
tufo furono in seguito demoliti e
rasati per creare due ambienti a
pianta rettangolare semplice (B,
m 3,05 x 3,85 x 3,20 x 3,59; BI,
3,30 x 3,77 x 3,41 x 3,85). Le pare-
ti laterali e quella intermedia,
realizzate originariamente in
blocchi di cappellaccio (resta
qualche blocco in corrisponden-
za del piano di spiccato dei
muri), furono ricostruite in
opera reticolata e dotate di nic-
chie contenenti due olle fittili
ciascuna. Dopo la costruzione
del cd. colombario Anonimo (C),
la cella ad esso contigua (BI) fu
ampliata con la demolizione
della parete destra, nella cui fon-
dazione fu scavata una fossa a
inumazione (d). Ad un interven-
to di restauro che interessò
anche i monumenti adiacenti
appartiene invece la sopraeleva-
zione in opera reticolata della
parete di fondo in blocchi di cap-
pellaccio, che si prolunga alle
spalle del sepolcro dei Quinctii
(A) e si appoggia all’angolo
posteriore sinistro, sempre in
opera reticolata, del cd. colom-
bario Anonimo (C). Anche in
14
questi sepolcri assistiamo a un
cambiamento nel rituale: le
numerose olle cinerarie fittili,
rinvenute in opera (B) o posate
tra la terra in corrispondenza
delle pareti (BI), testimoniano
che le due celle erano in origine
riservate al rito della cremazione
e solo in un secondo momento
furono adattate all’inumazione
mediante l’escavazione di tre
fosse, una ricavata nella fonda-
zione della parete destra (BI, d),
due scavate nel pavimento e
coperte da un piano di mattoni
bipedali (B, a-b).
La massiccia parete anteriore
del monumento è composta da
un nucleo in calcestruzzo rivesti-
to all’interno di blocchi di cap-
pellaccio e all’esterno di blocchi
di tufo. Il prospetto, raccordato
allo stereobate da una gola dirit-
ta e coronato in alto da una gola
rovescia, è diviso in due parti
speculari e simmetriche da un
listello verticale a forma di lan-
cia: ai lati di questo asse centrale
si aprono le porte d’ingresso alle
celle gemelle, mentre alle estre-
mità di queste - sopra gli archi-
travi delle porte - sono incassati
due rilievi rettangolari di traver-
tino con i busti-ritratto dei titola-
ri del sepolcro.
Nel rilievo inserito nella metà
sinistra della facciata (B), entro
tre nicchie, sono rappresentati -
in modo rigidamente frontale -
una donna, un giovane e un
uomo maturo. La donna è avvol-
ta nella palla che le copre anche il
capo e presenta una pettinatura a
scriminatura centrale formata da
ciocche lisce che lasciano scoper-
te le orecchie. I due uomini indos-
sano invece tunica e toga, dal cui
lembo ripiegato sul petto esce la
mano destra; le teste sono massic-
ce con capelli corti e aderenti alla
calotta, il naso largo, le labbra
serrate e le orecchie sporgenti.
Al di sotto dei busti-ritratto,
un’iscrizione incisa su più blocchi
contigui e ampiamente rimaneg-
giata, restituisce i nomi dei tre per-
sonaggi effigiati, a cui si aggiunse-
ro - in seconda battuta - i nomi di
altri due destinatari del sepolcro
[AE 1917/18, 121 = CIL, I2
2527b =
ILLRP 952 = AE 2000, 182]:
15
Nella pagina accanto, in alto: Cd. sepol-
cro Gemino (B-BI), veduta interna delle
celle dal sepolcro dei Quinctii (A). In
primo piano, ricostruzione in opera retico-
lata della parete laterale sinistra in blocchi
di cappellaccio (B); in secondo piano, fronte
anteriore con nucleo in calcestruzzo
rivestito all'interno di blocchi di cappellac-
cio e parete divisoria in blocchi di cappel-
laccio, poi sopraelevata in reticolato
Nella pagina accanto, al centro: Cd.
sepolcro Gemino (B-BI), fronte anteriore
con nucleo in calcestruzzo foderato all'in-
terno di blocchi di cappellaccio; in basso a
destra, parete divisoria tra le porte d'in-
gresso alle celle, di cui oggi resta solo il
piano di spiccato con un filare di blocchi di
cappellaccio
A destra: Cd. sepolcro Gemino (BI), par-
ticolare del fronte anteriore con nucleo in
calcestruzzo rivestito all'interno di blocchi
di cappellaccio
16
Il rilievo inserito nella metà
destra della facciata (BI), ritrae
- entro apposite nicchie - due
donne che indossano tunica e
mantello (palla), nel cui risvolto
è appoggiata la mano destra. I
loro volti, caratterizzati da
naso largo, labbra serrate e
orecchie sporgenti, sono incor-
niciati da pettinature diverse:
la figura a destra, con il capo
velato, presenta i capelli divisi
da una scriminatura centrale in
due bande ondulate, mentre
quella a sinistra esibisce una
singolare acconciatura, tratte-
nuta sulla fronte da un nastro e
rigonfia sulle spalle. Sotto il
rilievo, in corrispondenza dei
busti-ritratto, un’iscrizione
impaginata su due colonne
restituisce i nomi delle due
destinatarie del sepolcro [CIL,
I2
2527c = AE 2000, 183]:
A dispetto del progetto archi-
tettonico unitario alla base dei
due sepolcri gemelli, i rispettivi
proprietari appartengono a
famiglie diverse che non sem-
brano avere alcuna relazione
reciproca. I diversi gentilizi non
permettono neppure di precisare
il rapporto esistente tra le liberte
Caelia Apollonia e Plotia [- - -]s[- -
-?], che pure figurano come con-
titolari del sepolcro BI, o quello
tra i destinatari del monumento
B, fatta eccezione per i liberti
Clodia Stacte e N. Clodius Trupho,
entrambi manomessi da un N.
Clodius. Qualche informazione si
ricava invece dall’aspetto grafico
e dai rimaneggiamenti subiti
dalla lista onomastica del sepol-
17
Nella pagina accanto, in alto: Cd. sepol-
cro Gemino (B-BI), muro posteriore e
parete divisoria delle celle realizzati in bloc-
chi di cappellaccio e ricostruiti in opera
reticolata; in primo piano, filare di blocchi
di tufo appartenente al muro, poi rasato,
del corridoio d'ingresso; tra il filare di bloc-
chi e la parete divisoria, fossa rettangolare
foderata di tegole (c) che al momento della
scoperta era sigillata da una mezza anfora e
conteneva ossa cremate
Nella pagina accanto, al centro: Cd.
sepolcro Gemino (B-BI), muro posteriore in
blocchi di cappellaccio con sopraelevazione
in opera reticolata e parete divisoria tra le
due celle, di cui oggi si conserva solo il
piano di spiccato con un filare di blocchi di
cappellaccio
Sopra: Cd. sepolcro Gemino (BI), muro pos-
teriore in blocchi di cappellaccio che si appog-
gia all'angolo posteriore sinistro in opera reti-
colata del cd. colombario nonimo (C)
In alto: Cd. sepolcro Gemino (B), partico-
lare della fronte con iscrizioni e busti-ritratto
a rilievo dei tre titolari
Al centro: Cd. sepolcro Gemino (B), fronte
con iscrizioni sepolcrali e busti-ritratto a
rilievo dei tre titolari del monumento
Sopra: Cd. sepolcro Gemino (B), particolare
della tabellina disegnata ad incisione con let-
tera P nell'ansa sinistra
18
cro B, che suggeriscono la possi-
bilità che la tomba sia stata
costruita dai liberti Clodia Stacte,
N. Clodius Trupho e C. Annaeius
Quinctio, a cui in un secondo
momento si aggiunsero in veste
di comproprietari L. Marcius
Arm(- - -) e M. Annius Hilarus.
Questa eventualità sembra
confortata prima di tutto dal-
l’impaginazione dei nomi Clodia
Stacte (a), N. Clodius Trupho (b) e
C. Annaeius Quinctio (c) su tre
colonne posizionate - alla stre-
gua di didascalie identificative -
nello spazio sottostante i tre
busti-ritratto allo scopo di realiz-
zare una perfetta corrisponden-
za tra iscrizioni e immagini, e, in
secondo luogo, dalla probabile
aggiunta dei nomi di L. Marcius
Arm(- - -) e M. Annius Hilarus
nello spazio compreso tra la r. 1
(a) e la formula di chiusura hoc
monumentum heredes ne sequatur
alle rr. 4-5 (a), rispettando il
cognome Trupho già inciso alla r.
2 (b). Una conferma indiretta
circa il frazionamento della pro-
prietà originaria viene del resto
dal rapporto numerico tra busti-
ritratto e nomi, che evidenzia
come L. Marcius Arm(- - -) e M.
Annius Hilarus non fossero pre-
visti nell’apparato figurativo
commissionato e predisposto al
momento della fondazione del
sepolcro.
Proprio l’apparato figurativo
e, in particolare, lo schema com-
positivo e la resa fisionomica dei
ritratti (donna - giovane - uomo),
nonché il rapporto di comune
dipendenza che legava Clodia
Stacte e N. Clodius Trupho, gene-
rano anche il sospetto che i tre
liberti effigiati in facciata siano
madre, figlio e padre. In questa
prospettiva, Trupho, liberato
insieme alla madre da un N.
Clodius, nacque verosimilmente
quando i due genitori erano
ancora schiavi, elemento che
spiegherebbe sia la condizione
libertina del giovane (i figli nati
dal matrimonio tra due liberti
erano infatti cittadini romani
ingenui), sia il differente gentili-
zio rispetto al padre C. Annaeius
Quinctio, affrancato da un altro
patrono (un C. Annaeius). Se vale
questa ipotesi, avremmo allora
un sepolcro fondato da un
nucleo familiare di tre liberti, che
successivamente fu in parte ven-
duto, ceduto o donato a due
individui apparentemente estra-
nei ai primi titolari, L. Marcius
Arm(- - -) e M. Annius Hilarus,
con il conseguente aggiorna-
mento onomastico dell’iscrizio-
ne in facciata. Al frazionamento
della proprietà originaria si
devono forse collegare sia la
tabellina ansata disegnata a inci-
sione sotto la clausola hoc monu-
mentum heredes ne sequatur, che
fu verosimilmente predisposta
per un sesto nome (nell’ansa
sinistra resta una P), sia le due
fasi edilizie del monumento con
le modifiche nell’organizzazione
interna degli spazi ad esse con-
nesse.
Nella pagina, in alto: Cd. sepolcro
Gemino (BI), particolare della fronte con
iscrizioni sepolcrali e busti-ritratto a rilievo
delle due titolari del monumento
Nella pagina, in basso: Cd. sepolcro
Gemino (B-BI), prime edizioni delle
iscrizioni sepolcrali incise sulla fronte
Sopra: Cd. sepolcro Gemino (B-BI),
trascrizione a disegno delle iscrizioni sepol-
crali con lettura emendata e ampliata
rispetto alle precedenti edizioni, che non
tiene conto del reale stato di conservazione
delle singole lettere (in evidenza i margini
orizzontali e verticali dei blocchi)
Sotto: A sinistra, facciata in opera quadra-
ta di tufo del cd. sepolcro Gemino (BI); a
destra, cd. colombario Anonimo (C), resti
dell'angolo sinistro della fronte in opera
quadrata di peperino con stipite e due soglie
sovrapposte che poggiano su un blocco di
tufo del basamento, a sua volta impostato
su fondazioni in calcestruzzo coperte da un
filare di blocchi di cappellaccio
20
IL CD. COLOMBARIO
ANONIMO (C)
In corrispondenza dell’arco
che sostiene il terrapieno di Villa
Wolkonsky, alla destra del cd.
sepolcro Gemino (BI), sono visi-
bili i resti di un quarto sepolcro
(m 4,82 x m 4, 66), denominato
«colombario Anonimo» per la
mancanza di un corredo epigrafi-
co. La facciata, quasi completa-
mente distrutta, è in opera qua-
drata di peperino e si imposta su
una fondazione in calcestruzzo
coperta da un filare continuo di
blocchi di cappellaccio, alle cui
estremità si conservano ancora in
opera due blocchi del basamento
tufaceo; sopra il blocco di tufo
collocato presso l’angolo sinistro
dell’edificio, poggiano tre blocchi
di peperino appartenenti all’alza-
to vero e proprio della facciata. Si
tratta dello stipite sinistro e delle
due soglie, sovrapposte, della
porta, la cui posizione - decentra-
ta rispetto all’asse mediano della
facciata - mostra che l’ingresso
del sepolcro si apriva lateralmen-
te. Al prospetto in blocchi di
peperino si appoggia una cella
rettangolare, costruita in opera
reticolata e coperta originaria-
mente a volta, il cui muro laterale
sinistro divenne comune al cd.
sepolcro Gemino (B-BI), quando
questo fu ampliato mediante la
demolizione della parete destra
(BI).
Da un punto di vista stratigra-
fico la presenza di due soglie
sovrapposte indica che il cd.
colombario Anonimo fu interes-
sato da almeno due fasi edilizie,
scandite da una sopraelevazione
del pavimento e forse precedute -
come sembrano suggerire i diver-
si sistemi costruttivi e materiali
impiegati nella facciata e nelle
pareti - da una riedificazione in
opera reticolata della cella alle
spalle della primitiva fronte in
blocchi di peperino (COLINI).
Tenendo conto di questa even-
tualità, nella prima (o seconda)
fase edilizia la cella era probabil-
mente divisa in due ambienti da
un muro in opera reticolata paral-
lelo alla facciata, poi parzialmen-
te demolito, e i resti dei defunti
erano sistemati all’interno di
loculi aperti lungo la perduta
parete di fondo (COLINI), anche se
non si può escludere una loro
deposizione nel pavimento (CO-
21
LINI), dove fu rinvenuta una fossa
a inumazione infantile (a), coper-
ta di tegole, con due campanelli
di bronzo e un balsamario fittile
come corredo. Solo nella seconda
(o terza) fase edilizia la cella fu
provvista di nuovi posti di sepol-
tura ricavati nello spessore dei
muri laterali in reticolato tramite
l’apertura di almeno tre nicchie
nella parete destra e di tre loculi
per olle nella parete sinistra, che
in questa occasione fu anche
foderata con una cortina in lateri-
zio. Riguardo alla decorazione
parietale, qualche traccia si
distingue ancora lungo la parete
destra e, in particolare, all’interno
della nicchia centrale, rivestita da
una conchiglia in stucco di colore
verde e azzurro. Sempre nello
stesso lato si conserva anche una
porzione della copertura a volta,
traforata da una finestrella trian-
golare funzionale all’illuminazio-
ne e all’aerazione del sepolcro.
Nella pagina accanto: Cd. colombario
Anonimo (C), resti della fronte in opera
quadrata di peperino, impostata su un
basamento in blocchi di tufo che poggia su
un filare di blocchi di cappellaccio e su fon-
dazioni in calcestruzzo
Al centro: Cd. colombario Anonimo (C),
particolare interno dell'ingresso con stipite
sinistro e due soglie sovrapposte di peperino
In alto, a sinistra: Cd. colombario
Anonimo (C), resti della porzione angolare
sinistra della fronte in opera quadrata di
peperino. In primo piano, ingresso con
stipite sinistro e due soglie sovrapposte di
peperino; in secondo piano, fronte del cd.
sepolcro Gemino (B-BI)
In alto, a destra: Cd. colombario Anonimo
(C), particolare esterno dell'ingresso con
stipite sinistro e due soglie sovrapposte di
peperino impostate su un blocco di tufo del
basamento
22
23
IL SEPOLCRO DEI
CAESONII (D)
Da un punto di vista struttu-
rale e tipologico l’ultimo sepol-
cro della serie, scoperto nel 1919
a destra del cd. colombario
Anonimo (C) e scavato solo par-
zialmente, sembra rientrare nella
classe dei monumenti funerari
che ripetono la forma di un alta-
re (COLINI; VON HESBERG).
Realizzato in opera quadrata di
peperino, il monumento è costi-
tuito da un basamento di due
filari di blocchi e da un dado
parallelepipedo, che doveva
essere coronato sulla sommità
da un epistilio destinato a soste-
nere una coppia di pulvini ad
imitazione delle are. Il dado è
definito inferiormente da uno
zoccolo con cornice modanata e
presenta sulla fronte uno spec-
chio rettangolare, scorniciato e
inquadrato da due elementi
decorativi a rilievo, parzialmen-
te abrasi, il cui profilo ricorda
quello dei bucrani. A causa della
profonda sfaldatura che ha inte-
ressato la superficie, non è possi-
bile precisare se lo specchio fosse
riservato ad un’altra decorazio-
ne a rilievo oppure, come sem-
bra più probabile sulla base di
confronti con monumenti simili,
ad un’iscrizione sepolcrale.
Le indagini e i saggi archeolo-
gici hanno inoltre evidenziato
che il sepolcro sorse isolato al
centro di un’area larga sulla
fronte 18 piedi (m 5,32 ca.), come
mostra, in particolare, lo zoccolo
sagomato anche lateralmente.
Solo successivamente il piccolo
monumento fu ampliato e ria-
dattato in tomba a camera con la
costruzione di una parete in
opera reticolata che ne inglobò il
nucleo originario (dado e basa-
mento) e lo congiunse all’adia-
cente colombario Anonimo (C),
diventando la fronte del nuovo
edificio. Alle spalle di questa fac-
ciata, inquadrata a sinistra (e
forse anche destra?) da una lese-
na angolare di peperino e sor-
montata da un architrave liscio
con cornice a doppia linea incisa
lungo il margine superiore, fu
costruita una piccola cella in
opera reticolata, oggi coperta dal
terrapieno di Villa Wolkonsky-
Campanari, i cui loculi contenen-
ti olle si intravedono attraverso
la parete destra del cd. colomba-
rio Anonimo. Sulla sommità del
dado originario, un blocco ret-
tangolare di travertino (cm 60 x
137), che riprende e continua la
linea del contiguo architrave,
ricorda i nomi dei destinatari del
sepolcro [GATTI in Not. Sc., 16,
1919, p. 38 - non ripresa nei prin-
cipali corpora epigrafici]:
Nella pagina accanto: Cd. colombario
Anonimo (C), parete destra in opera retico-
lata con tre nicchie per urne rivestite in
stucco; in alto, porzione della copertura a
volta traforata da finestrella di aerazione;
in basso, quattro loculi per olle dell'adia-
cente sepolcro dei Caesonii (D)
24
I nomi dei tre titolari del
sepolcro sono elencati secondo
un ordine gerarchico fondato
verosimilmente sulla loro condi-
zione giuridica: il primo della
lista, A. Caesonius Paetus, è infat-
ti un cittadino romano nato libe-
ro, come si evince da patronimi-
co e tribù, nonché il patrono del
secondo titolare, A. Caesonius
Philemo. Philumina condivide
con quest’ultimo la condizione
libertina, ma deve la propria
libertà ad un P. Telgennius.
Appartenendo a una famiglia
diversa dalla Caesonia, il suo rap-
porto con gli altri due fondatori
del sepolcro potrebbe essere
legato al matrimonio (o al concu-
binato) con A. Caesonius Philemo
(se la donna fosse coniuge o
compagna di A. Caesonius Paetus
il suo nome avrebbe probabil-
mente occupato la seconda posi-
zione dell’elenco).
Particolare interesse suscita
l’onomastica dei tre personaggi.
Il gentilizio di Philumina, raro in
assoluto, occorre nella forma
Telgennia solo in questa iscrizio-
ne, mentre altrove (CIL, VI 1829,
2282, 27136-27138) è attestata la
scrittura Telegennia/Telegennius
con l’inserimento di una vocale
di appoggio tra le consonanti L e
G per facilitare la pronuncia
(anaptissi); il ramo gentilizio di
cui fa parte la donna, i Publii
Telgennii, e quello degli Aulii
Caesonii, cui appartengono
Paetus e il suo liberto Philemo,
non risultano altrimenti noti a
Roma. Sotto il profilo paleografi-
co, grazie alla presenza delle
sigle θ e V, adoperate tra gli inizi
del I sec. a.C. e la metà del I sec.
d.C. per contraddistinguere le
persone morte o vive al momen-
to della costruzione del sepolcro
in iscrizioni composte - come la
nostra - da un semplice elenco di
nomi, sappiamo che A. Caesonius
Paetus, il cui nome è preceduto
dal segno θ per mortuus, era già
deceduto, mentre Philumina, il
cui cognome è seguito dalla let-
tera V per v(iva), era ancora in
vita quando fu inciso - o meglio
reinciso - il testo.
Un attento controllo autoptico
mostra infatti che la nostra iscri-
zione è stata impaginata sul bloc-
co dopo l’erasione di un testo
precedente e l’accurata levigatu-
ra della superficie in cui era
iscritto, come documentano sia
la presenza in posizione margi-
nale di lettere palesemente estra-
nee ad essa, sia la cornice a listel-
lo piatto in cui queste sono inci-
se, creata proprio in seguito all’a-
sportazione di uno strato di tra-
vertino profondo quanto i solchi
del testo cancellato. Di quest’ulti-
mo si conservano, sul listello di
sinistra, le lettere iniziali di cin-
que righe, mentre su quello di
destra gli ultimi quattro caratteri
della prima riga, impaginati in
sequenza verticale a causa della
mancanza di spazio:
In alto, a sinistra: Rilievo della fronte del
monumento ad altare (in grigio), poi inglo-
bato nel sepolcro dei Caesonii (D), tra il cd.
colombario Anonimo (C) e il monumento
ad altare individuato nel 1943 (E) (rielabo-
razione grafica da COLINI 1944)
Nella pagina accanto: A sinistra, angolo
anteriore destro del monumento ad altare,
poi inglobato nel sepolcro dei Caesonii (D);
a destra, spigolo anteriore sinistro del
sepolcro ad altare scoperto nel 1943 (E),
impostato su un alto basamento e decorato
da lesene angolari
25
Il lavoro di scalpellatura è
stato effettuato dal lapicida
con molta diligenza, tanto che
all’interno della cornice non
restano vestigia dei caratteri
erasi o tracce di solchi rettilinei
o curvilinei. Tuttavia, sulla
scorta delle lettere visibili sui
listelli laterali, in corrispon-
denza delle rr. 1-3, mi sembra
plausibile ipotizzare che l’i-
scrizione scalpellata fosse una
prima versione di quella con-
servata: la lettera A e la
sequenza -+TVS in r. 1 potreb-
bero infatti appartenere,
rispettivamente, al prenome
Aulus e alle lettere finali del
cognome Paetus del primo tito-
lare del sepolcro, A. Caesonius
Paetus; similmente la lettera A
in r. 2 potrebbe essere perti-
nente al prenome Aulus di A.
Caesonius Philemo, mentre la T
in r. 3 all’iniziale del gentilizio
Telgennia della liberta
Philumina. Di qui la possibilità
di integrare le prime tre righe
del testo eraso come segue:
Da questa ricostruzione si
ricava non solo che la prima
redazione dell’iscrizione aveva
una diversa impaginazione, in
cui ciascuno dei tre nomi - inciso
in caratteri di altezza minore -
occupava una sola riga, ma
anche che il testo era molto più
lungo, come suggeriscono le let-
tere IN- e T-, incise sul listello di
sinistra, all’altezza delle rr. 4-5,
che potrebbero riferirsi tanto
all’onomastica di altri due titola-
ri della tomba, quanto ad una
formula di chiusura.
La prima soluzione desta qual-
che perplessità se rapportata al
panorama onomastico urbano,
dove la sequenza IN- figura a
Roma solo come iniziale dei gen-
tilizi Insteia ed Instania, attestati in
un numero limitato di iscrizioni.
Non crea invece alcun problema
la lettera T- nella riga successiva,
in cui potremmo riconoscere sia
l’iniziale del prenome Titus o
Tiberius, se il nome in lacuna fosse
di pertinenza maschile, sia l’ini-
ziale di uno dei numerosi gentili-
zi attestati nell’Urbe (Terentia,
Tullia, ecc.), se fosse invece fem-
minile, quantunque, in base al
contesto, appaia più probabile
l’integrazione T[[[elgennia]]], pen-
sando ad una seconda donna
appartenente - come Philumina -
al ramo dei Publii Telgennii.
Pensare invece ad una formu-
la di chiusura, più plausibile,
implica diverse, possibili, inte-
grazioni, che dipendono da
numerose variabili, quali l’impa-
ginazione dell’iscrizione scalpel-
lata, le dimensioni della lacuna e
il formulario. Riguardo al primo
aspetto, la resa grafica del testo
cancellato doveva essere piutto-
sto accurata se ragioni estetiche
costrinsero il lapicida a incidere
le lettere finali -+TVS della r. 1 in
posizione marginale, l’una sotto
l’altra e in caratteri più minuti,
allo scopo di ovviare all’errato
calcolo delle spazio evitando un
inelegante accapo nel corpo del
cognome. Relativamente alle
dimensioni della lacuna, nella
prospettiva di una duplice ver-
sione della stessa iscrizione, l’in-
tegrazione che ho proposto per
26
le prime tre linee del testo e l’al-
tezza delle lettere conservate sul
listello sinistro del supporto per-
mettono di calcolare approssi-
mativamente tra i 17 e i 19 carat-
teri mancanti per ogni riga, tran-
ne alla r. 4, dove il modulo leg-
germente inferiore della sequen-
za IN- potrebbe essere indizio di
una lacuna formata da un nume-
ro maggiore di lettere.
Tenendo conto di questi dati è
possibile proporre in via del
tutto ipotetica - sulla scorta di
uno schema testuale già noto a
Roma (CIL, VI 17494, 22500) -
un’integrazione delle ultime due
linee del testo con una formula
del tipo in fronte pedes - - -, in agro
pedes - - -, arbitratu / Telgenniae
P(ubli) l(iberta) - - -, in cui l’indi-
cazione delle misure dell’area
sepolcrale precede la menzione
dell’istituto dell’arbitrato con cui
i tre fondatori del sepolcro affi-
davano ad una donna della gens
Telgennia, forse la stessa
Philumina, il compito di sovrin-
tendere e controllare che la
costruzione del monumento
avvenisse secondo le loro dispo-
sizioni testamentarie:
In linea con l’ipotesi di un’e-
pigrafe rinnovata, resta infine da
chiarire il motivo dell’accurata
erasione e reincisione del testo.
Se l’iscrizione originaria com-
prendeva un elenco di cinque
destinatari del sepolcro, la scal-
segnati dal reimpiego edilizio
del più antico monumento ad
altare, come testimonia l’incisio-
ne del segno θ, riferibile per
posizione ad A. Caesonius Paetus,
sull’architrave che incornicia la
nuova facciata. Sembra inoltre
sepolcro Gemino (B-BI) tra le
tombe a camera, ma tra i recinti
sepolcrali chiusi (il che implica
l’assenza di una copertura) con
fronte coronata superiormente
da una trabeazione e provvista
di vere e proprie porte d’ingres-
pellatura potrebbe dipendere
proprio dalla rinuncia a tale tito-
larità - a seguito di donazione,
cessione o vendita - da parte
degli ultimi due personaggi
della lista, e dalla conseguente
esigenza di aggiornare il regime
giuridico di proprietà della
tomba. Se invece il testo cancel-
lato conteneva in calce le misure
in piedi dell’area sepolcrale
abbinate alla menzione dell’arbi-
trato (o un’altra formula di chiu-
sura), la reincisione dello stesso
testo - seppure ridotto ai soli
nomi dei tre titolari del sepolcro
- si spiega forse con la necessità
di realizzare una nuova copia
dell’iscrizione che sostituisse
quella più antica, malandata o
semidistrutta, oppure rifiutata
dai committenti.
Indipendentemente dalle ipo-
tesi di integrazione, la commis-
sione ad un’officina lapidaria del
testo rinnovato avvenne dopo la
morte di A. Caesonius Paetus per
iniziativa di Telgennia Philumina,
ancora viva, e forse del liberto
Philemo, e si deve verosimilmen-
te inquadrare nei lavori di
ampliamento del sepolcro,
assai probabile che anche il testo
cancellato fosse pertinente alla
medesima fase edilizia, almeno a
giudicare dalle dimensioni del
blocco, la cui altezza è uguale a
quella del contiguo architrave, e
dallo specchio ricavato sulla
fronte del primitivo sepolcro ad
altare, riservato verosimilmente
ad un’iscrizione che fu abrasa
proprio in occasione del suo
reimpiego edilizio. Non è invece
possibile stabilire se i proprietari
di quest’ultimo monumento fos-
sero sempre i Caesonii e i
Telgennii, o se questi lo avessero
ricevuto in dono o comprato da
terzi per inglobarlo nella fronte
del nuovo sepolcro.
Prima di concludere, vorrei
soffermarmi su alcuni aspetti di
carattere più generale che
riguardano in primo luogo la
tipologia e la cronologia dei
sepolcri.
Recentemente Henner von
Hesberg, in uno studio dedicato
all’origine e alla diffusione dei
recinti sepolcrali a Roma in età
repubblicana, non ha incluso il
sepolcro dei Quinctii (A) e il cd.
27
so (recinto con facciata), e ha con-
siderato il monumento ad altare,
poi trasformato dai Caesonii in
una tomba a camera (D), parte
integrante di un altro tipo di
recinto sepolcrale, in cui l’ara era
posizionata al centro del muro
anteriore verso la strada (recinto
con altare).
Non meno problematici
appaiono i tempi di costruzione
dei sepolcri, che necessiterebbe-
ro di un attento riesame per veri-
ficare se la successione cronolo-
gica suggerita dalle iscrizioni è
confermata anche dall’evidenza
archeologica e dai dati di scavo.
Un’analisi complessiva del cor-
redo epigrafico (onomastica, for-
mulario, paleografia, aspetti lin-
guistici e officinali), insieme alla
tecnica edilizia e ai materiali
impiegati, suggerisce comunque
di collocare approssimativamen-
te i nostri monumenti tra gli inizi
del I sec. a.C. (PANCIERA: prima
metà del I sec. a.C.; diversamen-
te COLINI: seconda metà del II
sec. a.C.) e gli ultimi decenni
dello stesso secolo.
Il più antico della serie è il
sepolcro dei Quinctii (A), databi-
le forse agli inizi del I sec. a.C.,
alla cui parete destra si appog-
gia, probabilmente intorno alla
metà dello stesso secolo (PAN-
CIERA), il cd. sepolcro Ge-mino
(B-BI), che presenta un’analoga
fronte in opera quadrata di tufo
e pareti in blocchi di cappellac-
cio, poi restaurate in opera reti-
colata. Segue il cd. colombario
Anonimo (C) con prospetto in
opera quadrata di peperino e
pareti rivestite da un paramento
in reticolato. L’ultimo in ordine
di tempo è il sepolcro dei
Caesonii (D), realizzato negli ulti-
mi decenni del I sec. a.C. in
opera reticolata, ad eccezione
della facciata che riutilizza il
precedente sepolcro ad ara in
blocchi di peperino ed è definita
superiormente e lateralmente da
elementi architettonici nello stes-
so materiale.
L’organizzazione interna
delle celle riflette il rituale adot-
tato per la sepoltura, il cui cam-
biamento sembra quasi seguire
la successione cronologica dei
monumenti, se il sepolcro più
antico, quello dei Quinctii (A),
era originariamente destinato al
solo rito dell’inumazione entro
fosse scavate direttamente nel
pavimento tufaceo, mentre gli
altri quattro (B-BI, C, D) furono
progettati in funzione della cre-
mazione - il rito prevalente dalla
tarda età repubblicana soprattut-
to in ambito colombariale - e
provvisti di loculi contenenti
una o due olle fittili ciascuno
lungo le pareti. Più difficile risul-
ta invece stabilire la datazione di
ampliamenti (BI), rifacimenti (B-
BI, C) e adattamenti interni
(apertura di nicchie per olle nel
sepolcro dei Quinctii e nelle
pareti laterali del cd. sepolcro
Anonimo; fosse scavate nei cd.
sepolcri Gemino e Anonimo)
perché potevano essere eseguiti
anche a poca distanza di tempo
dalla costruzione della tomba
stessa, come testimoniano - ad
esempio - il probabile aggiorna-
mento onomastico dell’elenco
dei proprietari sulla fronte del
cd. sepolcro Gemino (B), che
forse coincise con qualche modi-
fica all’interno della cella, il
reimpiego edilizio del monu-
mento ad altare nella facciata del
monumento dei Caesonii (D) e
Sopra: Sepolcro dei Caesonii (D), blocco
di travertino con iscrizione sepolcrale
incisa dopo l'erasione di un testo prece-
dente, di cui restano alcune lettere sui lis-
telli laterali
28
l’eventualità, qui prospettata in
via ipotetica, della commissione
di una nuova iscrizione in sosti-
tuzione di quella originaria. Il
rivestimento in opera laterizia
della parete sinistra del cd.
colombario Anonimo (C), insie-
me ai bolli su mattoni e lucerne
rinvenuti durante gli scavi (A, B-
BI), documentano comunque un
uso e una frequentazione dei
sepolcri ancora nella prima età
imperiale.
La destinazione prevalente-
mente familiare dei monumenti
si desume dalle epigrafi incise o
murate sulle facciate prospicienti
la moderna via Statilia, alle quali
era delegato il compito di perpe-
tuare il nome e la memoria dei
titolari e di tutelarne giuridica-
mente la proprietà. I testi epigra-
fici, schematici e molto lontani
dall’evoluzione che il formulario
registrerà già in età augustea (27
a.C.-14 d.C.), contengono infatti
l’elenco al nominativo (o geniti-
vo) dei fondatori dei sepolcri,
congiunti tra loro da vincoli di
parentela o da rapporti di patro-
nato e/o dipendenza, cui si
aggiunge nel sepolcro dei
Quinctii (A) e in quello cd.
Gemino (B) la formula stereotipa
sepulcrum/hoc monumentum here-
des ne sequatur che sancisce l’ina-
lienabilità e quindi la destinazio-
ne esclusivamente familiare dei
monumenti. Il ricorso a questa
clausola non esclude la facoltà
dei proprietari di vendere, cede-
re o donare a terzi, apparente-
mente estranei al nucleo familia-
re originario, un posto di sepol-
tura o una quota del sepolcro,
come forse accade nel cd. sepol-
cro Gemino (B), dove la probabi-
le aggiunta epigrafica dei nomi
di L. Marcius Arm(- - -) e M.
Annius Hilarus potrebbe riflettere
un mutamento nel regime di pro-
prietà del monumento, che divie-
ne comune a cinque individui.
Per quanto riguarda invece la
condizione sociale dei fondatori,
tranne L. Marcius Arm(- - -) (B) ed
A. Caesonius Paetus (D), che
patronimico e tribù qualificano
come cittadini romani ingenui, si
tratta sempre di individui appar-
tenenti al dinamico ceto liberti-
no, che hanno raggiunto, insieme
alla posizione sociale, una dispo-
nibilità economica tale da con-
sentirgli l’investimento di risorse
pecuniarie nella costruzione di
tombe di un certo livello.
Relativamente all’evoluzione
dell’onomastica romana, mi
sembra interessante rilevare l’a-
dozione da parte di P. Quinctius
T.l. librarius (A) di un prenome
diverso rispetto a quello del suo
patrono (T. Quinctius). Questa
consuetudine onomastica, tipica
dell’età repubblicana, si rendeva
necessaria proprio per distin-
guere i liberti dai responsabili
della loro manomissione in un’e-
poca in cui, i primi, presentava-
no ancora una nomenclatura
priva di cognome o, viceversa,
pur avendo il cognome, erano
soliti ometterlo per imitare le
formule onomastiche degli inge-
nui (mimesi onomastica). Nel
nostro caso la differenza di pre-
nome rispetto al patrono diventa
anche un indicatore cronologico
a favore della maggiore antichità
del sepolcro dei Quinctii rispetto
agli altri, i cui proprietari di con-
dizione libertina - secondo un
uso che si affermerà definitiva-
mente in età imperiale - portano
tutti lo stesso prenome del loro
manomissore (B, D) e impiegano
il cognome come elemento indi-
viduante.
Oltre questo aspetto, il corre-
do epigrafico dei sepolcri offre
una visione diacronica privile-
giata per seguire le soluzioni
adottate dalle officine lapidarie
urbane nell’impaginazione dei
testi, un’operazione da cui
dipendeva da un lato, l’impatto
visivo che l’iscrizione avrebbe
avuto una volta ultimata, dall’al-
tro la sua capacità comunicativa.
Sulla facciata del monumento
dei Quinctii (A), la bottega
segue, nella disposizione dell’e-
pigrafe, uno schema tradizionale
che aveva avuto grande fortuna
soprattutto nel III sec. a.C.
(PANCIERA), in cui gli attacchi
delle righe, tutte di lunghezza
differente, sono allineati secon-
do una verticale, ad eccezione
del primo e del penultimo attac-
co, che - sporgendo a sinistra -
generano una struttura «para-
grafata» (PANCIERA). Riflette
invece una tendenza prevalente
proprio nel corso del I sec. a.C.
l’ordinamento scelto per il testo
inciso sulla metà sinistra della
fronte del cd. sepolcro Gemino
(B), in corrispondenza del busto-
29
ritratto di donna (a), e per l’iscri-
zione erasa del sepolcro dei
Caesonii (D), in cui le righe, di
differente (B) o uguale lunghez-
za (D?), presentano tutte gli
attacchi rigidamente allineati in
perpendicolare a sinistra.
L’ultimo stadio di questa evolu-
zione è rappresentato dalle altre
epigrafi del cd. sepolcro Gemino
(B, b-c; BI, a-b) e, in particolare,
dal testo più recente del monu-
mento dei Caesonii (D), in cui
l’officina lapidaria adotta un
accorgimento innovativo che
avrà predominanza assoluta in
età imperiale: la disposizione
speculare delle righe rispetto ad
un asse mediano verticale.
Un secondo aspetto riguarda
invece il campo in cui le iscrizio-
ni sono state impaginate. Nei
primi tre sepolcri (A, B- BI) l’offi-
cina non impiega alcun artificio
per predisporre e delimitare l’a-
rea della facciata destinata ad
accogliere il testo e incide l’iscri-
zione direttamente sui blocchi
già posti in opera, come è reso
evidente dalla presenza di lette-
re sulle commessure verticali tra
un blocco e l’altro. Tuttavia, nel
cd. sepolcro Gemino possiamo
apprezzare - rispetto al più anti-
co sepolcro dei Quinctii (A) - una
qualche, embrionale, attenzione
del lapicida nel disporre o far
rientrare le righe (o almeno gli
attacchi delle stesse) all’interno
dei margini verticali dei blocchi.
Una tappa successiva è invece
rappresentata dall’iscrizione
scalpellata sulla fronte del sepol-
cro dei Caesonii (D), in cui il testo
è posto in risalto e isolato dal
monumento cui appartiene uti-
lizzando come supporto scritto-
rio un blocco di materiale (e
quindi colore) diverso, le cui
linee di contorno assumono, in
nuce, la funzione di cornice. Lo
stesso blocco, dopo il reimpiego
epigrafico, riflette anche lo svi-
luppo conclusivo di questa pro-
cedura: la nuova iscrizione inci-
sa sulla superficie scalpellata si
presenta infatti evidenziata e
delimitata - anche se forse non
intenzionalmente - con una cor-
nice a listello piatto, elemento
che troverà un organico inseri-
Nella pagina accanto: Sepolcro dei
Caesonii (D), prima edizione e facsimile
dell'iscrizione sepolcrale
In alto: Prospetto e pianta dei sepolcri di
via Statilia secondo l'interpretazione di
Henner von Hesberg (rielaborazione grafica
da VON HESBERG 2005). Da destra a sinis-
tra: recinto con facciata dei Quinctii (A),
recinto con facciata del cd. sepolcro Gemino
(B-BI), recinto con altare, poi inglobato nel
sepolcro dei Caesonii (D)
mento nella prassi officinale
urbana proprio a partire dall'età
augustea. I
32
TUTTO EBBE INIZIO...
trecento
anni esatti
dalla scoper-
ta casuale di
E r c o l a n o
(1709-2009),
si continua a
rimanere stupiti di fronte alle
meraviglie che a poco a poco
iniziarono ad emergere dai
primi scavi. Una recente
mostra, svoltasi al Museo
Nazionale Archeologico di
Napoli, ha illustrato le fasi più
importanti di questa scoperta,
esponendo bronzi e affreschi
provenienti dall’antica
Herculaneum.
Tutto ebbe inizio un giorno,
quando un contadino di
Resina, un certo Giovanna
Battista Nocerino detto
Enzecchetta, nel fare i lavori al
suo pozzo, sfondando parecchi
strati di pietra durissima, si
trovò con grande stupore di
fronte a una varietà di marmi.
Il contadino raccolse i marmi
che gli sembrarono più belli e li
vendette a un cosiddetto mar-
moraro, che li utilizzò per fare
statue di santi.
ALA RISCOPERTA
DI ERCOLANO
A destra: Nella foto d'epoca l'eruzione del
Vesuvio nel 1872
In alto, a destra: Nella foto d'epoca uno
dei pozzi scavati
Proprio in quel periodo, il
principe di Elboeuf, in previ-
sione delle sue nozze, aveva
intenzione di costruire una
residenza estiva. Per questa
occasione aveva chiamato dalla
Francia un celebre artigiano
che sapeva fabbricare, con resi-
dui di marmo, una specie di
cemento porcellanato più duro
e più brillante del marmo.
Insieme, i due capitarono nella
33
bottega del marmista cliente di
Enzecchetta, che mostrò loro
gli oggetti in suo possesso. Il
principe intuì che i pezzi di
marmo che gli venivano offerti
erano di origine romana e li
comprò in blocco facendoli tra-
sportare nella sua villa.
Consultato il suo architetto, il
principe ebbe conferma che si
trattava di pezzi di epoca
romana e allora decise di com-
34
prare il campo con il pozzo e
continuare gli scavi a proprie
spese.
Partendo dal pozzo, inizia-
rono a scavare alcuni cunicoli
sotterranei e, dopo pochi gior-
ni, gli scavatori si imbatterono
in un ambiente che conteneva
una statua di Ercole in marmo
pario; e poi ancora in colonne
di alabastro e statue di ottima
fattura. Inizialmente il principe
d’Elboeuf credette di aver
messo mano su un tempio
dedicato ad Ercole e proseguì
gli scavi con ardore. Dopo tre
giorni vennero alla luce tre sta-
tue muliebri praticamente inte-
gre e questo convinse ancor di
più il principe che si trattava di
un tempio di Ercole. Ma la sua
convinzione era errata.
Nonostante tutte le precauzio-
ni per cercare di mantenere
segreti questi scavi, l’intera
città di Napoli non parlava che
delle sensazionali scoperte,
anche se nel 1720 - a dispetto
degli scavi (non certo sistema-
tici) del principe - non si era
ancora riusciti a stabilire con
certezza che cosa si fosse recu-
perato. Negli anni seguenti il
principe fu chiamato parecchie
volte a Vienna, dove trascorse
lunghi periodi, e per questo
nessuno si fece più carico di
riprendere gli scavi.
Nel 1734 le truppe spagnole
si impadronirono di Napoli e
del territorio circostante. Poco
dopo giunse sul luogo l’Infante
di Spagna, Carlo III di Borbone,
allora diciottenne, amante
della caccia e della pesca. Egli
volle acquistare una proprietà
che gli offrisse la possibilità di
esercitare i suoi due sport pre-
feriti e seppe che era in vendita
la proprietà del principe di
Elboeuf. La acquistò e vi trovò
le antichità recuperate dal prin-
cipe che lo interessarono così
tanto da ripromettersi di
riprendere gli scavi non appe-
na la situazione si fosse stabi-
lizzata. Intanto nel 1727 il
Vesuvio aveva dato luogo ad
una nuova eruzione. L’anno
dopo, Carlo III fece riprendere i
lavori nello stesso punto dove
il principe aveva trovato le sta-
tue. L’impresa non era facile,
poiché le antichità erano sepol-
te sotto una massa pietrificata
spessa dai quindici ai venti
metri. Quindi non rimaneva
altro che continuare a procede-
re alla cieca per mezzo di galle-
rie, ma utilizzando una mano-
dopera più numerosa e mezzi
più efficaci. Partendo di nuovo
dal pozzo già scoperto nei pre-
cedenti scavi, emersero fram-
menti di due statue equestri in
bronzo. Ne venne informato
subito il marchese Don
Marcello Venuti, umanista
toscano, al quale il re aveva
affidato la direzione della sua
biblioteca di Napoli e della
Galleria d’Arte ereditata dalla
madre Elisabetta Farnese. Il
marchese Venuti discese diret-
tamente nelle gallerie dove gli
operai stavano disseppellendo
una scalinata e ne dedusse che
ci si trovava in presenza del
podio di un teatro o della gra-
dinata di un anfiteatro. Nel
dicembre del 1738 vennero
estratti i frammenti di un’iscri-
35
zione attestante che un certo
Lucio Annio Mammiano Rufo
aveva finanziato la costruzione
del Teatro. Non c’erano più
dubbi: si trattava del theatrum
Herculanense!
Il lavoro di recupero, per
meglio dire lo scavo dei cunico-
li, intanto procedeva e nel 1739
si estrasse una magnifica statua
equestre in marmo, che un’i-
scrizione rivelò essere il ritratto
di Marco Nonio Balbo, uno dei
principali magistrati di
Ercolano, poi governatore di
Creta e della provincia
d’Africa. Per quanto ingenua e
poco versata in questioni
archeologiche, la corte difende-
va gelosamente il monopolio
degli scavi: la consegna era for-
male e nessuno poteva intra-
prendere anche il più innocen-
te lavoro di sterro senza incor-
rere in severe ammende. Ben
presto, tuttavia, Carlo III si rese
conto che il direttore degli
scavi, Alcubierre, eccellente
tecnico ma incompetente in
questioni archeologiche, com-
metteva degli sbagli gravissi-
mi. Il re decise quindi di affian-
Nella pagina accanto: Stampa del XVIII
secolo rappresentante reperti rinvenuti
durante gli scavi
Sopra: Nella foto d'epoca uno dei cunicoli
scavati
Sotto: Nella foto d'epoca un particolare
della cavea del Teatro
36
A sinistra: Nella foto d'epoca particolare
della scena del Teatro
Al centro e in basso: Incisioni di
Francesco Piranesi del XVIII secolo, rela-
tive al Teatro di Ercolano
Nella pagina accanto: Foto d'epoca rela-
tiva alla statua equestre di M. Nonio Balbo
cargli un luminare della scien-
za, un certo Monsignor Ottavio
Antonio Bayardi, che godeva
della fama di erudito.
Intorno al 1745 i lavori di
scavo giunsero a una fase
morta: il rendimento era nullo
e gli animi erano turbati dalla
minaccia di un’invasione delle
truppe imperiali, incaricate di
rimettere gli Asburgo sul trono
di Napoli.
Alla metà del Settecento,
l’ingegner Weber aveva trasfe-
rito la sua attività nella zona di
Ercolano ed era stato adibito
alla «sorveglianza e manuten-
zione delle gallerie sotterra-
nee»; egli ultimò una pianta
della rete dei cunicoli e un pro-
getto per il disseppellimento
completo del teatro. Ben pre-
sto, infatti, ne mise in luce il
palcoscenico. Quando ebbe
notizia delle importanti scoper-
te di Resina, si buttò con ardo-
re in questa nuova impresa:
venne alla luce un peristilio di
sessantaquattro colonne che
circondava una vasta piscina
rettangolare. Weber non crede-
va ai suoi occhi quando a que-
sta scoperta seguì il rinveni-
mento di una vera e propria
collezione di oggetti d’arte di
fattura greca e romana, in bron-
zo e in marmo. Fu subito evi-
37
38
dente che la villa racchiudeva
tesori inestimabili. Era molto
estesa e comprendeva stanze di
soggiorno decorate ed arreda-
te, logge, verande, porticati,
atri, tutto perfettamente con-
servato e intatto dopo circa
diciassette secoli di sepoltura.
La corte di Portici andò in deli-
rio e il re dimenticò la caccia e
la pesca per passare le sue gior-
nate sui cantieri di scavo e
ammirare le statue che veniva-
no via via estratte. Non si era
ancora potuto stabilire a chi
fosse appartenuta la villa quan-
do, nel 1752, venne fatta una
nuova scoperta, ancora più
sensazionale: gli operai sbuca-
rono in una cameretta circon-
data tutt’intorno da scaffali car-
bonizzati contenenti strani
oggetti cilindrici che facevano
pensare a pezzi di carbone di
legna tagliati simmetricamen-
te. Si trattava di rotoli di papiro
e poiché ve n’erano tanti radu-
nati insieme, ci si trovava in
presenza di una vera e propria
biblioteca. Il vero problema era
riuscire a svolgere quei papiri
senza che si disfacessero com-
pletamente. Passarono anni
senza che si riuscisse a svolge-
re un solo rotolo di papiro e
tutti i tentativi fatti causarono
solo la distruzione parziale o
totale di un nuovo rotolo.
Nel 1755 Bayardi diede
finalmente alle stampe il primo
inventario del museo, pubbli-
cato in una veste editoriale
sfarzosa, ma diffuso e prolisso,
in cui dava descrizione di 738
Nella pagina accanto, in alto: Foto d'e-
poca della staua equestre del figlio di M.
Nonio Balbo
Nella pagina accanto, in basso: Pianta
degli scavi di Ercolano
Sopra: Nella foto storica di Giorgio
Sommer gli scavi nel 1861
Sotto: Nella foto d'epoca gli scavi del XIX
secolo
Sopra: Nella foto d'epoca, un cardo tra le
insule II e III
In basso, a sinistra: Particolare dei papiri
rinvenuti
In basso, a destra: Una veduta di
Ercolano prima dei nuovi scavi
Nella pagina accanto: Scavi lungo il cos-
tone est dell'insula IV
40
affreschi, 350 statue e 1647
manufatti di minore importan-
za. Nello stesso anno il re, con-
sigliato anche da eruditi, decise
di fondare la Regia Accademia
Ercolanense, che doveva radu-
nare tutti gli intellettuali di
Napoli ferrati in antichità e in
letteratura greca e latina.
Purtroppo l’Accademia non
arrecò alcun miglioramento
alla tecnica degli scavi, né
impedì che si perpetrassero gli
stessi scempi del passato.
Per questi motivi a Napoli si
diceva con malignità che il
Vesuvio, il quale dal 1755
aveva ripreso la sua attività,
sputava fuori lava per protesta-
re contro la lentezza con cui si
41
42
rimetteva in ordine ciò che in
soli due giorni era riuscito a
livellare al suolo.
Dopo anni di interruzione, i
lavori ripresero nel 1828, sotto
il regno di Francesco I di
Borbone. Per la prima volta
furono condotti scavi ‘a cielo
aperto’, diretti fino al 1855 dal-
l’architetto Bonucci. In questo
frangente, vennero messi in
luce due isolati di case, tra cui il
peristilio della Casa d’Argo. La
generale scarsità dei ritrova-
menti determinò tuttavia una
nuova interruzione. In seguito i
lavori ripresero grazie all’inte-
ressamento del re Vittorio
Emanuele II e all’iniziativa di
Giuseppe Fiorelli. Purtroppo,
anche questa volta, la porzione
di città messa in luce fu molto
modesta, anche a causa delle
Sopra: Nella foto d'epoca una strada di
Ercolano
Sotto: Il re Vittorio Emanuele II inaugura
l'inizio degli scavi del 1869
Nella pagina accanto: Nella foto d'epoca
particolare del decumano
43
abitazioni della moderna Resina
che vi incombevano sopra.
Fu solo nel 1924 che
Amedeo Maiuri, divenuto
Soprintendente agli Scavi e alle
Antichità della Campania,
provvide ad arrestare l’espan-
sione della moderna Resina al
di sopra dell’antica Ercolano,
imponendo una serie di vincoli
sulle aree ancora libere.
I nuovi scavi iniziarono nel
1927 e furono inaugurati dal re
Vittorio Emanuele III. La gran-
de impresa, diretta da Maiuri
A sinistra: Nella foto d'epoca, particolare
del peristilio della Casa d'Argo negli scavi
del 1828
In basso, a sinistra: Il re Vittorio
Emanuele III in visita agli scavi
Sotto: Il rinvenimento dei tetti delle
abitazioni
45
In basso: Il debutto dei nuovi scavi del
1927
A destra: Particolare degli scavi del 1929
con abili maestranze e un’ecce-
zionale organizzazione dei
cantieri di lavoro, si protrasse
fino al 1958, anche se già nel
1942 quasi tutta l’area che
costituisce l’odierno parco
archeologico, era stata riporta-
ta alla luce.
Tra il 1960 e il 1969, ulteriori
lavori furono condotti nella zona
settentrionale e sul Decumano
Massimo, con la scoperta della
Casa degli Augustali e del quartie-
re dell’atrio della Casa del Salone
Nero.
Negli ultimi venti anni del
Novecento, è stata esplorata
l’antica spiaggia, nella cui area
sono emersi 12 ambienti con
ingresso ad arco, i cd. Fornici,
ricoveri per barche e magazzini
dove molti Ercolanesi avevano
cercato invano riparo.
Nuovi e accuratissimi rilievi
sono stati eseguiti nel 1993 e
quindi nel biennio 1997-1998
dagli architetti Alfredo Balasco
46
Sopra: Lo sviluppo degli scavi
Sotto: Il rinvenimento di una imbarcazione
Nella pagina accanto: Le difficoltà
incontrate durante il consolidamento delle
abitazioni
e Alfredo Maciariello e dal geo-
metra Pietro Cifone, sotto la
direzione di Mario Pagano,
funzionario della
Soprintendenza Archeologica
di Pompei. Durante l’esecuzio-
ne di questi rilievi sono stati
effettuati due piccolissimi scavi
per mettere interamente allo
scoperto un’iscrizione dipinta e
recuperare alcuni frammenti di
una scultura in bronzo e di una
cornice angolare marmorea del
sacello centrale posto sulla
sommità della cavea, vicino il
pozzo grande.
Anche oggi rimane il proble-
ma del moderno abitato che
preme su parte dell’area
archeologica, costituendo una
barriera a possibili nuovi scavi.
Questo vuol dire che la scoper-
ta di Ercolano non è ancora
finita: altre meraviglie attendo-
no di essere ammirate dal
mondo intero!
47
48
IL TEATRO DI
ERCOLANO
Il teatro fu costruito in età
augustea in una zona di
Ercolano urbanizzata e popola-
ta probabilmente già dalla fine
dell’età repubblicana. Con que-
sta cronologia concordano sia
lo stile dei capitelli e delle cor-
nici della scena, sia la tecnica
edilizia. L’edificio è posto in
prossimità del Foro e per que-
sto motivo era considerato uno
degli edifici pubblici più
importanti della città. Esso
poteva contenere all’incirca
In basso: Nella foto d'epoca particolare dei
resti della scena del Teatro
Nella pagina accanto in alto: Nella foto
d'epoca un particolare della cavea
Nella pagina accanto al centro:
Particolare di scritte graffite sull'intonaco
delle pareti del Teatro
Nella pagina accanto in basso:
Incisione del XVIII secolo di Francesco
Piranesi raffigurante una ricostruzione, in
sezione, del Teatro
49
2500 persone. È orientato da
nord-est a sud-ovest, con la
cavea rivolta verso est, ha un
diametro massimo di 54 m ed è
interamente costruito in opera
reticolata e cementizia, fatta
eccezione per la scena e la fac-
ciata esterna del corridoio anu-
lare che sono in laterizio.
Sulle pareti del teatro riman-
gono firme in varie lingue,
testimonianza dei viaggiatori
del Settecento e dell’Ottocento,
e i segni dei picconi degli sca-
vatori borbonici.
Nella cavea, lungo i percorsi
attualmente praticabili, si
50
incontrano cunicoli chiusi da
materiale vulcanico e scavati
nel Settecento per indagare
parte della cavea e dei podi. La
parte alta della scaletta radiale
centrale è attraversata dal
grande pozzo del 1750. Il corri-
doio che costeggia la sommità
della media cavea era coperto da
volta a botte decorata con stuc-
co perfettamente conservatosi
e serviva a disciplinare l’afflus-
so degli spettatori dall’emiciclo
sottostante alle scalette che
conducono alla summa cavea.
La summa cavea, già indagata in
età borbonica, si compone di
tre gradini ed è divisa in quat-
tro settori da altrettante scalette
radiali. Al centro e ai lati di
essa erano tre edicole che servi-
vano ad accogliere statue eque-
stri in bronzo dorato, recupera-
te in stato frammentario nel
Settecento.
Scendendo nell’ima cavea,
formata da quattro gradini di
marmo e un tempo separata
dalla media cavea da una tran-
senna di lastre marmoree, inte-
ramente asportate, si giunge
all’orchestra, che ha una forma
semicircolare ed era rivestita
da lastre di marmo giallo anti-
co di cui rimangono alcuni
51
frammenti. Da qui si giunge al
pulpitum, cioè la fronte del pal-
coscenico, realizzato in lateri-
zio rivestito di marmo; il muro
presenta alle estremità due sca-
lette che consentivano agli atto-
ri di salire sul tavolato del
palco dove si svolgeva la rap-
presentazione. Il fronte scena
(frons scenae) era costruito inte-
ramente in opera laterizia e
rivestito di marmi pregiati di
cui rimangono solo pochi ele-
menti. Sul podio del fronte
scena si impostavano dieci
colonne che inquadravano tre
porte e quattro nicchie qua-
drangolari che ospitavano le
statue ritrovate nei primi scavi
del principe d’Elboeuf.
La decorazione scultorea
della scena comprendeva sta-
tue femminili, inserite in nove
nicchie rettangolari, di cui ci
sono pervenute la Piccola e la
Grande Ercolanese, oggi conser-
vate a Dresda.
Le tre grandi porte del fron-
te scena immettevano in una
camera, forse adibita a spoglia-
Nella pagina accanto in alto:
Particolare del corridoio che costeggiava la
media cavea
Nella pagina accanto in basso:
Iscrizione dedicata dagli ercolanesi a Marco
Nonio Balbo
Sopra: Resti di affreschi delle volte
In alto a destra: Iscrizione dedicata dopo
la morte a Claudius Pulcher amico di
cicerone
In basso: Particolare del fronte scena del
Teatro
52
Sopra: la cd. Grande Ercolanese, conserva-
ta a Dresda
A destra in alto e al centro: Le cd.
Piccole Ercolanesi, conservate a Dresda
Nella pagina accanto in alto a sinistra:
Statua in bronzo di M. Calatorius Quartio,
dal Teatro. Museo Archeologico Nazionale
di Napoli
Nella pagina accanto al centro: Lapide
del XIX secolo indicante l'ingresso al
Teatro
Nella pagina accanto, in alto a destra:
Statua in bronzo di Agrippina Minore, dal
Teatro. Museo Archeologico Nazionale di
Napoli
Nella pagina accanto in basso:
Modellino in scala del Teatro
toio per gli attori. Nella parte
retrostante la scena sono rico-
noscibili le due scale per mezzo
delle quali si raggiungevano i
tribunalia attraverso un solaio
di legno di cui rimangono le
travi carbonizzate.
Dietro la lunghezza della
scena correva una porticus post
scaenam, che aveva una fila di
colonne in laterizio rivestite da
stucco bianco. Dell’emiciclo del
teatro, costituito da diciassette
arcate, è visibile la parte bassa
dei pilastri del primo ordine.
I locali d’accesso al teatro,
già sistemati nel 1750 all’inizio
delle campagne di scavo, furo-
no risistemati nel 1849 e restau-
rati nel 1865 su iniziativa di
Giuseppe Fiorelli. Nella stanza
di ingresso sono state recente-
mente esposte le fotografie
delle varie piante dell’edificio,
tra cui quella più antica, realiz-
zata dall’Alcubierre. Altre foto-
grafie mostrano le statue che
decoravano la scena del teatro
e alcuni protagonisti degli
scavi e degli studi su Ercolano.
53
Al centro della stanza si trova
un plastico eseguito nel 1808,
forse a scopo didattico, e nella
saletta adiacente sono stati
esposti i primi ritrovamenti
marmorei dell’epoca borboni-
ca, tra cui un capitello corinzio
con palmette.
«TANTI BEI QUADRI PER
LA GALLERIA DEL RE…»
Nel 1739, durante gli scavi
dei cunicoli di Ercolano che
portarono alla scoperta del
Teatro, ci si imbatté in un fregio
dipinto. Carlo III di Borbone
acconsentì a staccarlo e lo scul-
tore francese Joseph Canart ini-
ziò a ‘ritagliare’ le scene figura-
te dalla parete. Questo primo
stacco inaugurò la prassi di
ritagliare dalle pareti degli edi-
fici ercolanesi e pompeiani, con
l’ausilio di scalpelli, solo la
parte affrescata ritenuta di
54
A sinistra: Giocatrici di astragali. Dipinto
su marmo rinvenuto ad Ercolano nel
Maggio 1746. Museo Archeologico
Nazionale di Napoli
Sopra: Scena di Banchetto. Affresco, da
Ercolano. Museo Archeologico Nazionale
di Napoli
Sotto: Predella e Pannello. Frammento di
affresco. Rinvenuto ad Ercolano nel
Dicembre del 1947. Museo Archeologico
Nazionale di Napoli
maggior pregio, che veniva
chiusa in cassette e trasportata
nei laboratori di restauro. Lì la
superficie dipinta veniva libe-
rata dalla terra dello scavo e si
assottigliava la porzione di
muro rimasta attaccata, sten-
dendo su di essa uno strato di
gesso o di ardesia per irrigidir-
la. Il lato posteriore del pannel-
lo staccato era poi chiuso con
assi di legno e la cassetta veni-
va rifinita con cornici di casta-
gno dipinte in rosso con bordo
A destra: Scenografia Teatrale. Affresco.
Rinvenuto ad Ercolano nel Luglio 1743.
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
In alto a destra: Infanzia ed educazione di
Dioniso, particolare, Affresco da Ercolano.
Museo Archeologico Nazionale di Napoli
nero, sulle quali era riportata in
caratteri romani l’iniziale della
città di provenienza. La preoc-
cupazione non era pertanto
quella di conservare l’intera
parete, ma di realizzare ‘qua-
dri’ e ‘quadretti’ con cui arric-
chire la collezione di Carlo III.
Come scriveva lo storico e
archeologo Ridolfino Venuti
nel 1739, quando il Canart ese-
guì il primo stacco: «Si taglie-
ranno, e se ne farà tanti bei
Quadri per la Galleria del Re!».
Nel 1771 i dipinti recuperati e
conservati erano già 1400.
Per i primi decenni non ven-
55
56
nero applicate alle pitture stac-
cate né integrazioni, né rico-
struzioni pittoriche, seguendo
un criterio prettamente moder-
no. La selezione degli affreschi
da staccare per il sovrano fu
affidata a Camillo Paderni,
custode del Museo Ercolanese
di Portici, che decideva anche
quali distruggere: «Carnat o i
suoi aiutanti staccavano le pit-
ture, ma la decisione circa la
pittura da staccare o da rompe-
re spettava a Paderni» (A.
ALLROGGEN-BEDEL - H.
KAMMERER GROTHAUS 1983).
Ma questo scempio non durò a
lungo, perché il Winckelmann
informò le altri corti europee di
quanto si stava compiendo ai
danni dei dipinti ritrovati e nel
1763 il re di Borbone, per salva-
guardare il suo buon nome, fu
costretto a vietare questa prassi.
Intanto si cercava di ovviare
ad un problema di non facile
risoluzione: i colori brillanti
delle pitture antiche, una volta
tolta la terra che li ricopriva,
tendevano ad opacizzarsi. Si
tentarono diversi procedimenti
conservativi e alla fine prevalse
la scelta di stendere sulle
superfici una specie di ‘vernice’
liquida trasparente, ideata dal
capitano di artiglieria Stefano
Moriconi, anche se questa, a
lungo andare, tendeva ad
ingiallirsi. Nel 1811 il pittore
Andrea Celestino individuò le
cause del degrado degli affre-
schi vesuviani e presentò una
relazione al Direttore del
Museo di Napoli. In maniera
intuitiva egli distinse anche il
diverso modo di operare sui
‘quadri’ conservati nel Museo e
sulle pitture ancora in situ. La
preparazione della ‘vernice’ di
Celestino era molto elaborata,
ma indubbiamente ha dato
notevoli risultati, poiché ha
protetto a lungo gli affreschi
dall’attacco degli agenti esterni.
Per questo nel 1813 il Direttore
del Museo di Napoli decise di
adottare, per la salvaguardia
delle pitture vesuviane, questo
nuovo procedimento.
A sinistra: Volto di fanciulla. Particolare
di affresco, da Ercolano. Museo
Archeologico Nazionale di Napoli
In basso: Pannello con medaglioni raffig-
uranti Sileno, Menade e Satiro. Affresco da
Ercolano. Museo Archeologico Nazionale
di Napoli
Nella pagina accanto: Cerimonia Isiaca.
Particolare di affresco da Ercolano. Museo
Archeologico Nazionale di Napoli
57
GLI AFFRESCHI
DELL’AUGUSTEUM
La cd. Basilica di Ercolano,
oggi meglio nota come
Augusteum, è ancora sepolta
sotto la città moderna. Per
avere un’idea dell’organizza-
zione architettonica del com-
plesso, uno spazio porticato
che occupava un settore del
Decumano Massimo, bisogna
pertanto ricorrere alla docu-
mentazione degli scavi sette-
centeschi. Sappiamo che - oltre
alle statue e alle iscrizioni - l’e-
dificio ha restituito quattro
grandi pannelli ad affresco con
profilo concavo: il Teseo liberato-
re dei giovani Ateniesi, Ercole e
Telefo, Achille e il centauro
Chirone, Pan (o Marsia) e il gio-
vane Olimpo.
Il primo pannello raffigura
l’episodio finale del mito di
Teseo, figlio di Egeo ed Etra,
che si era unito alla spedizione
con cui Atene si era impegnata
a mandare a Minosse, re di
Creta, un tributo di sette fan-
ciulli e sette fanciulle da servire
in pasto al Minotauro. Teseo,
sbarcato a Creta, riuscì ad ucci-
dere il Minotauro e ad uscire
58
dal Labirinto con l’aiuto di
Arianna, liberando così gli
Ateniesi dal pesante tributo.
Nell’Ercole e Telefo è rappresen-
tato il momento del ritrova-
mento da parte di Ercole del
figlioletto Telefo, che la madre,
la principessa Auge, aveva
esposto sul Monte Partenio in
Arcadia, dove il bambino fu
allattato da una cerva e alleva-
to dai pastori della regione, qui
personificata come figura fem-
minile seduta su una roccia che
tiene un bastone nodoso nella
mano sinistra. Nel pannello che
ritrae Pan (o Marsia) e Olimpo, il
giovane Olimpo, mitico musici-
sta, sta apprendendo l’uso del
flauto da un Sileno. Nell’ultimo
affresco, Achille e il centauro
Chirone, sono infine rappresen-
tati l’eroe Achille, ancora adole-
scente, che impara a suonare la
lira dal suo maestro, il saggio
centauro Chirone, raffigurato
con orecchie equine e pelle feri-
na sulle spalle.
Quando vennero scoperti, il
25 novembre del 1739, questi
affreschi suscitarono un gran-
dissimo interesse, tanto che
furono le prime pitture pubbli-
cate nelle Antichità di Ercolano.
Poiché si trattava di quadri di
grande formato e con soggetto
mitologico, alimentarono nel
mondo accademico vivaci
discussioni. Dai rendiconti
dello scavo del 1739 si ricavano
putroppo scarsi elementi per
dedurre la posizione originaria
dei quadri sulle murature del-
l’edificio. Infatti, nelle relazioni
di scavo, dopo il distacco di
una sacerdotessa, non ci sono
altre notizie riguardanti deco-
razioni parietali ad affresco.
Tuttavia, sulla base del pro-
filo concavo dei quadri, sembra
oggi accertata la loro prove-
nienza dalle nicchie absidate
59
Nella pagina accanto in basso: Disegno
raffigurante i resti dell'augusteum di
Ercolano
Sopra: Teseo libera i fanciulli ateniesi.
Affresco dall'Augusteum di Ercolano, cm.
155 X 194. Museo Archeologico Nazionale
di Napoli
A destra: Eracle e Telefo. Affresco
dall'Augusteum di Ercolano, cm. 182 X
218. Museo Archeologico Nazionale di
Napoli
A pag. 60: Chirone e Achille. Affresco
dall'Augusteum di Ercolano, cm. 127 X
125. Museo Archeologico Nazionale di
Napoli
A pag. 61: Marsia e Olimpo. Affresco
dall'Augusteum di Ercolano, cm. 112 X
126. Museo Archeologico Nazionale di
Napoli
poste sul lato di fondo
dell’Augusteum, anche se il
primo problema è rappresenta-
to dal fatto che ci sono due nic-
chie e quattro quadri ad affre-
sco. Domenico Esposito, calco-
lando le misure delle pitture
ricurve, ha ipotizzato che in
ciascuna nicchia absidata fosse-
ro collocati un grande quadro a
soggetto mitologico fiancheg-
giato da due pitture come quel-
la con il centauro Chirone e
Achille. Ma questa ipotesi susci-
ta qualche perplessità.
Nel 1761 l’Augusteum fu
nuovamente esplorato e in
questo frangente venne distac-
cata una serie di pitture dispo-
ste nella zona superiore, tra cui
i quadri con le fatiche di Ercole.
Ancora oggi la loro cronologia
e interpretazione sono oggetto
di discussione. Per quanto
riguarda la datazione, purtrop-
po non abbiamo l’intero ciclo
pittorico ma solo frammenti,
per cui potrebbe trattarsi del
primo allestimento dell’edifi-
cio, risalente alla metà del I sec.
d.C. (età claudia).
Da vari elementi, l’ipotesi
oggi accreditata è che le due
grandi pitture curvilinee, raffi-
guranti il Teseo liberatore ed
Ercole e Telefo (entrambi conser-
vati al Museo Archeologico
Nazionale di Napoli), rivestis-
sero le pareti delle due nicchie
absidate. Data la loro posizio-
ne, non c’è dubbio che dovesse-
ro avere un ruolo di grande
importanza nel programma
decorativo dell’intero edificio.
Il quadro con il piccolo Telefo
allattato da una cerva sul
monte Partenio, alla presenza
di Ercole, mitico fondatore di
Ercolano, e quello con Teseo,
fondatore di Atene, hanno in
comune l’esaltazione dell’eroe
fondatore e il tema del miraco-
loso salvataggio di giovinetti.
Una diversa ipotesi inter-
pretativa, riguardo i due affre-
schi, è stata proposta da
60
Françoise Gury, che nel quadro
di Ercole e Telefo identifica la
maestosa figura femminile
seduta davanti l’eroe nella
Magna Mater, riconoscendo
nella rappresentazione anche
un’allusione al restauro del
tempio di Ercolano, dedicato
alla stessa dea, realizzato dal-
l’imperatore Vespasiano nel 76
d.C. Il quadro con Teseo liberato-
re, nella sua ambientazione cre-
tese, conterrebbe invece un
riferimento sia a Marco Nonio
Balbo, che fu proconsole di
Creta e Cirene, sia a
Vespasiano, anch’egli procon-
sole di Creta e Cirene. La stu-
diosa è inoltre convinta che la
c.d. Basilica di Ercolano sia
quella costruita da Balbo e
restaurata da Vespasiano, inter-
pretando l’edificio come luogo
dedicato al culto imperiale.
Recentemente Mario Torelli
ha proposto una nuova lettura
dei quattro pannelli, che sareb-
bero stati creati con l’intento di
celebrare il culto imperiale,
interpretando le scene mitolo-
giche rappresentate come un’e-
vocazione dell’atmosfera del
ginnasio, luogo riservato in
Grecia alla preparazione fisica
e all’educazione dei giovani: il
piccolo Telefo, i giovani
Ateniesi, Achille e Olimpo rap-
presenterebbero pertanto i
diversi stadi di crescita e for-
mazione degli iuvenes (giova-
ni). Seguendo l’interpretazione
di Torelli, è possibile che l’edifi-
cio fosse proprio destinato al
culto imperiale, lasciando spa-
zio anche a funzioni commer-
ciali. Ed è anche per questo che
il nome Augusteum sembra
essere appropriato. I
61
64
IL CONTRASTATO PERIODO
DELL’IMPERO ROMANO
TRA STORIA E ARCHEOLOGIA
l termine
anarchia mili-
tare definisce
solitamente
quel momen-
to storico
dell’epoca
imperiale caratterizzato da
imperatori-soldati che erano per
lo più eletti dalle proprie legioni
di appartenenza e con grande
rapidità, spesso in conseguenza
di eventi favorevoli o sfavore-
voli alle diverse milizie, e veni-
vano destituiti mediate morte
violenta o per tradimento.
Questo periodo si colloca tradi-
zionalmente tra il principato di
Massimino il Trace (235 d.C.) e
l’avvento al potere di
Diocleziano nel 284 d.C.
Le origini di questo partico-
lare degrado culturale e politico
sono state ricondotte da diversi
storici già al principato di
Settimio Severo, salito al trono
nel 193 d.C. in maniera rocam-
bolesca e per acclamazione delle
legioni della Pannonia
Superiore (di cui Settimio era
legato propretore), a cui presto
si unirono quelle della Dacia,
IANARCHIA
MILITARE
Sopra: Aureo di Settimio Severo e Giulia
Domna
A destra: Il Foro di Leptis Magna
Nella pagina accanto, in alto a sinis-
tra: Busto ritratto di Settimio Severo
(Roma, Musei Capitolini)
Nella pagina accanto, in alto a destra:
Testa in bronzo di Settimio Severo
del Norico, della Germania e
della Rezia. Settimio Severo si
trovò di fronte a un impero che
viveva la sua peggior crisi eco-
nomica, politica e militare dalla
sua nascita e malgrado fosse
ispirato da nobili ideali, dovette
presto adottare misure drastiche
per porre rimedio al clima di
disfacimento dello Stato. Di
certo, era lontana l’idea dell’im-
pero così come venne elaborata
da Augusto, accolta e praticata
dalla maggior parte dei suoi
successori: quella di un governo
fondato sulla cooperazione tra il
princeps, quale sovrano indi-
scusso, e tutte le forze politiche,
economiche e istituzionali,
anche a livello periferico, e in
cui l’esercito non era che uno
dei tanti mezzi utile al raggiun-
gimento di questa idea, che si
potrebbe definire democratica
per la partecipazione di tutti a
un fine supremo e che fino alla
fine del II sec. d.C. aveva dato i
suoi ambitissimi frutti.
Settimio Severo era anche
65
uno statista freddo, pratico, lun-
gimirante. Comprese immedia-
tamente che lo Stato romano era
ormai divenuto una macchina
preparata per la guerra e diede
tutto il suo sostegno all’esercito
mediate cure e benefici del tutto
nuovi e, per certi aspetti, inatte-
si. Questa opera di profonda
militarizzazione si rese necessa-
ria anche per le sempre più
pressanti minacce delle popola-
zioni barbariche ai confini del-
l’impero, ma soprattutto permi-
se al nuovo imperatore di con-
cretizzare la sua visione assolu-
tistica dello Stato, che proprio
nell’esercito vedeva la sua mag-
giore forza. La vecchia aristo-
crazia, i ceti medi e ricchi, l’ordi-
ne equestre e non da ultimo, il
senato, venivano a ricoprire
ruoli sempre più secondari e di
etichetta, lasciando così alle
milizie il ruolo preminente nella
vita dello Stato romano. Da que-
sto momento in poi sarà quasi
sempre l’esercito a decidere
l’imperatore di turno e con esso
la politica, divenuta ormai mili-
tare, da seguire nel decidere le
diverse operazioni belliche che
dovevano essere condotte e per-
seguendo, in genere, finalità
economiche e personalistiche
legate ai diversi bottini di guer-
ra da poter conquistare. Le lotte
intestine tra legioni per la
supremazia dell’una o dell’altra
66
al fine di acclamare i loro gene-
rali alla porpora, fra tradimenti,
congiure e complotti, completa-
no infine il quadro di questi
decenni torbidi della storia
romana, per concludersi con
quella crisi nell’unità dell’impe-
ro che sfocerà nella sua divisio-
ne e nella fine di Roma quale
capitale di un solo Stato.
Questo nuovo sistema fonda-
to sull’esercito venne ufficializ-
zato da Settimio Severo attra-
verso alcuni interventi che ave-
vano lo scopo di dare il massi-
mo favore al benessere dei sol-
dati.
È il caso, ad esempio, delle
cleruchie, ossia l’assegnazione di
terre coltivabili ai soldati che in
genere le cedevano ad appalta-
tori per il loro mantenimento.
Venne poi concesso all’esercito
il controllo sulle confische dei
beni, sui pagamenti all’erario e
su tasse speciali, come
l’Annona, istituita in Egitto, che
veniva per lo più pagata in
natura. Ai soldati venne anche
elargito l’anulus aureus affinché
67
Nella pagina accanto, in alto: L'Arco di
Settimio Severo a Leptis Magna
Nella pagina accanto, in basso: Lo
splendido Teatro di Leptis Magna
Sopra: Uno dei pannelli dell'Arco di
Settimio Severo con rappresentazione di
soldati
Sotto: Particolare del Foro Romano, sulla
destra l'Arco di Settimio Severo
potessero essere aggregati nel-
l’ordine equestre e, infine, data
la notevole svalutazione mone-
taria di quel periodo, il loro sti-
pendio venne quasi raddoppia-
to. Ma la concessione forse più
singolare e rivoluzionaria fu che
i legionari potevano arruolarsi
anche se sposati e vivere con le
loro mogli in villaggi prossimi
agli accampamenti, venendosi
così a infrangere la netta separa-
zione esistente fra il castrum e il
mondo civile. La lungimiranza
di Settimio Severo, tuttavia, lo
portò a escludere da quest’ulti-
mo beneficio i suoi fedeli e pre-
diletti pretoriani, che continua-
rono ad essere sottoposti a una
rigida disciplina.
In ultima analisi sono signifi-
cative, dopo tutte queste con-
cessioni elargite in vita, le ulti-
me parole che Settimio Severo
disse ai suoi figli, Caracalla e
Geta, poco prima di morire:
«Andate d’accordo, arricchite i
soldati, non preoccupatevi degli
altri».
Questo imperante strapotere
dell’esercito e il nuovo clima
esasperatamente militarizzato
non tardò a dare i suoi esiti pro-
prio durante gli anni di regno
della dinastia dei Severi.
Caracalla, infatti, nell’inver-
no del 216-217 d.C. si trovava ad
Edessa, suo quartier generale,
per prepararsi a sferrare un
nuovo attacco contro il re dei
Parti, Artabano V. I soldati che
erano già da tempo esasperati
per i ritardi e i costanti rinvii
nell’iniziare la nuova campagna
bellica, trovarono l’occasione
per sopprimerlo durante un suo
viaggio a Carrhae, nell’odierna
Turchia, supportati dal tradi-
mento del suo fidato prefetto
del pretorio, Macrino, che giun-
se addirittura ad intendersi con
i capi dell’opposizione a Roma
per avere la certezza della sua
elezione alla porpora dopo l’as-
sassinio di Caracalla.
La città di Carrhae, già teatro
di una dolorosa disfatta subita
nel lontano 53 a.C. dall’esercito
romano comandato da Licinio
Crasso contro i Parti, fu scelta, a
partire dalla metà del II sec.
d.C., quale avamposto e base
per le operazioni belliche verso
la Mesopotamia. Probabilmente
68
essa viene anche rappresentata
in uno dei pannelli a rilievo che
decorano l’Arco di Settimio
Severo nel Foro Romano, eleva-
to in memoria delle vittoriose
campagne partiche di questo
imperatore. Si tratta proprio del
pannello sinistro della fronte
dell’Arco che guarda il Foro, in
cui - dal basso verso l’alto - sono
raffigurate su tre registri le fasi
iniziali della prima campagna
partica con la partenza dell’e-
sercito romano dall’accampa-
mento di Carrhae, rappresentato
al centro con le sue poderose
mura. Il prestigio di questa città
crebbe moltissimo tanto che
divenne colonia e sede di una
importantissima zecca durante
il principato di Marco Aurelio,
raggiungendo il suo apogeo
proprio all’epoca di Caracalla
con emissioni bronzee che reca-
vano l’effige dell’imperatore e
immagini allusive al culto luna-
re della città. Proprio un devoto
pellegrinaggio verso questo
santuario fu fatale a Caracalla,
soppresso dai suoi fedeli colla-
boratori capeggiati da Macrino.
Era l’8 aprile del 217 d.C.
Marco Opelio Macrino era di
origine africana, nato da umile
famiglia. Le fonti lo descrivono
come un uomo ignobile e sordi-
do che svolse da giovane umili
mansioni presso la corte impe-
riale. Riuscì comunque a far car-
riera e a raggiungere l’alto
grado di prefetto del pretorio.
La sua acclamazione a impera-
tore non fu mai ben vista dal
Senato e dal popolo di Roma
che si trovava ad avere sul mas-
simo soglio imperiale, per la
prima volta, un personaggio
appartenente all’ordine eque-
Sopra: Particolare dei resti della città di
Edessa
Sotto: Particolare dei resti della città di
Carre
Nella pagina accanto: Busto dell'impera-
tore Marco Opellio Macrino (Musei
Capitolini - Roma)
69
70
Sopra: Iscrizione realizzata sull'architrave
dell'Arco degli Argentari. Roma
Sotto: Rilievo eseguito all'interno
dell'Arco degli Argentari raffigurante l'im-
peratore Settimio Severo e sua moglie
Giulia Domna
Nella pagina accanto, in alto: Denario
con l'immagine di Giulia Maesa, nonna di
Eliogabalo
Nella pagina accanto, al centro:
Denario con l'immagine di Giulia Soemia,
madre di Eliogabalo
Nella pagina accanto, in basso:
L'imperatore Eliogabalo rappresentato su
una moneta
stre. I tempi tuttavia erano vera-
mente difficili. Alla notizia della
morte di Caracalla e della ripre-
sa degli attacchi dei Parti, che
riconquistarono molti territori
in precedenza occupati dai
Romani, l’elezione di Macrino
fu accolta e questi restò a capo
degli eserciti presso le regioni
della Mesopotamia.
A Roma, frattanto, serpeggia-
va il malcontento, anche se,
malgrado la crisi congiunturale
e il momento di grande inquie-
tudine etica, l’Urbe continuava
a godere di numerosi privilegi
che sembravano aumentare con
l’accrescersi delle difficoltà
riscontrate dall’esercito nella
difesa dei confini. Questo è
anche testimoniato dal fatto che
alle consuete distribuzioni di
grano alla plebe, si aggiunsero
anche quelle di carne suina (caro
porcina), di cui si ha testimo-
nianza nel monumento, chiama-
to impropriamente Arco degli
Argentari, dedicato nel 204 d.C.
nel Foro Boario in onore di
Settimio Severo e della sua
famiglia dagli argentarii (ban-
chieri) e dai negotiantes boarii
(commercianti di carne bovina).
L’opera architettonica è infatti
da considerarsi una porta archi-
travata di accesso al Foro
Boario, che in seguito fu anche
legata all’istituzione, da parte di
Caracalla, del Foro Suario, dove
i boarii, come attestano le fonti,
si prestarono a una distribuzio-
Ancora sul corredo_epigrafico_dei_sepolc(1)
Ancora sul corredo_epigrafico_dei_sepolc(1)
Ancora sul corredo_epigrafico_dei_sepolc(1)
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Ancora sul corredo_epigrafico_dei_sepolc(1)

  • 1.
  • 2. studioEdesign Passione e creatività studioEdesign nasce da una passione condivisa per la creatività, nata durante gli studi e maturata attraverso numerose esperienze professionali in agenzie di pubblicità. A partire da queste esperienze abbiamo aperto studioEdesign, con l’obiettivo di curare ciascun progetto creativo con passione, rispettando elevati standard di qualità. Oggi studioEdesign segue ogni singolo lavoro dalla fase di progettazione fino alla realizzazione finale: graphic design, packaging design, corporate identity, webdesign, eco design. studioEdesign ECO DESIGN WEB DESIGN CORPORATE IDENTITY GRAPHIC DESIGN PACKAGING DESIGN via castel di leva, 253 H-I 00134 roma tel/fax 06 71354388 studio_e_design@libero.it studioedesignonline.it
  • 3. Editoriale C on il primo numero della rivista riprendiamo le linee di quel percorso ‘programmati- co’ già tracciato con il numero precedente, consapevoli che nello studio del mondo antico è fondamentale interrogare e valorizzare tutte le fonti disponibili. Ben note sono del resto le connessioni e le interazioni tra archeologia, epigrafia, numismatica e storia, che negli ultimi decenni hanno contribuito a conferire una vocazione interdisciplinare alla ricerca scientifi- ca, favorendo una collaborazione tra studiosi e specialisti delle diverse discipline. Proprio in que- sta prospettiva si inserisce il primo articolo, dedicato ai sepolcri di età tardo-repubblicana scoperti tra il 1916 e il 1919 lungo il lato meridionale di via Statilia, in cui l’analisi delle iscrizioni incise o murate sulle fronti prospicienti la strada permette di integrare i dati forniti dal contesto archeo- logico, rivelando i nomi dei proprietari (e destinatari) dei monumenti, i loro reciproci rapporti di parentela e/o di dipendenza, il mestiere svolto in vita e la categoria sociale di appartenenza. Rappresentativo del rapporto tra storia e archeologia è invece il contributo dedicato al complesso periodo storico noto come anarchia militare (235-284 d.C.) e caratterizzato da generali acclamati imperatori direttamente dalle loro legioni: la personalità e la propaganda politica dei diversi prota- gonisti che si avvicendarono alla guida dell’Impero viene qui delineata attraverso le fonti lettera- rie e i monumenti eretti a Roma - archi onorari e trionfali, templi, ville suburbane e mausolei - ai quali gli stessi affidarono la loro autorappresentazione. Un confronto tra i dettagliati resoconti relativi ai ritrovamenti archeologici effettuati nel cen- tro storico e nel suburbio di Roma grazie ai carotaggi e agli scavi stratigrafici condotti durante i lavori per la Linea C della Metropolitana, i cui dati preliminari sono stati presentati nella sede romana di Palazzo Massimo in occasione di due giornate di studio incentrate sul tema Archeologia e Infrastrutture, e la cronaca degli scavi settecenteschi che portarono alla scoperta di Ercolano, rende invece immediatamente evidente la distanza tra la moderna ricerca archeologica e quella del passato, disattenta al contesto archeologico e interessata soprattutto al recupero di opere d’arte con cui arricchire le collezioni borboniche. Emblematica a questo proposito è la prassi, inaugurata dallo scultore francese Joseph Canart, di ‘ritagliare’ le scene figurate ritenute di pregio dalle decorazio- ni parietali degli edifici ercolanesi per farne «tanti bei Quadri per la Galleria del Re» Carlo III di Borbone. Nella stessa epoca, sempre per iniziativa di Carlo III, iniziò anche la migrazione a Napoli delle sculture e delle iscrizioni appartenenti alla collezione Farnese, ereditata dal re per via mater- na, di cui è stato recentemente curato un nuovo allestimento presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli che racconta le vicende formative della raccolta e tiene conto del criterio espo- sitivo voluto dai Farnese. Chiude la rivista un contributo dedicato agli straordinari manufatti marmorei con decorazio- ne policroma provenienti da scavi clandestini effettuati in un’area sepolcrale daunia, situata nel territorio dell’antica Ausculum (odierna Ascoli Satriano, in provincia di Foggia) e databile nella seconda metà del IV sec. a.C., che sono stati recuperati grazie all’intervento del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e della Guardia di Finanza di Foggia e oggi sono tempo- raneamente esposti nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma. La redazione
  • 4. 4 82 DIRETTORE RESPONSABILE MARIA TERESA GARAU DIRETTORE ESECUTIVO ROBERTO LUCIGNANI COMITATO SCIENTIFICO Paolo Arata Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma Alessandra Capodiferro Funzionario Soprintendenza Archeologica di Roma Fiorenzo Catalli Funzionario Soprintendenza Archeologica di Roma Paola Chini Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma Vincenzo Fiocchi Nicolai Prof. Archeologia Cristiana Univ. Tor Vergata di Roma Gian Luca Gregori Prof. Ordinario di Antichità Romane, ed Epigrafia Latina, Facoltà Scienze Umanistiche, Univ. Sapienza di Roma Eugenio La Rocca Prof. Ordinario Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana, Univ. Sapienza di Roma Annamaria Liberati Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma Luisa Musso Prof. Archeologia e Storia dell’Arte Greca e Romana e Archeologia delle Provincie Romane, Univ. Roma Tre Silvia Orlandi Prof. associato di Epigrafia Latina presso la Facoltà di Scienze Umanistiche, Univ. Sapienza di Roma Claudio Parisi Presicce Direttore Musei Archeologici e d’Arte Antica Comune di Roma Giandomenico Spinola Responsabile Antichità Classiche e Dipartimento di Archeologia Musei Vaticani Lucrezia Ungaro Funzionario Sovraintendenza Comune di Roma CAPO REDATTORE ALESSANDRA CLEMENTI REDAZIONE LAURA BUCCINO - ALBERTO DANTI - GIOVANNA DI GIACOMO LUANA RAGOZZINO - GABRIELE ROMANO DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA ROBERTO LUCIGNANI TRADUZIONE DANIELA WILLIAMS GRAFICA E IMPAGINAZIONE STUDIOEDESIGN - ROMA WEB MASTER – PUBBLICITA’ MARIA TERESA GARAU REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE Via Orazio Antinori, 4 - ROMA È vietata la riproduzione in alcun modo senza il consenso scritto dell’Associazione Rumon Tiber ANCORA SUL CORRED EPIGRAFICO DEI SEPOL REPUBBLICANI DI VIA STA LA COLLEZIONE FARN
  • 5. 30 62 100 110 SOMMARIO DO LCRI ATILIA LA SCOPERTA DI ERCOLANO ANARCHIA MILITARE ESE IL SEGRETO DI MARMO ARCHEOLOGIA E INFRASTRUTTURE
  • 6.
  • 7.
  • 8. 6 IL RINVENIMENTO copo di questo con- tributo è pre- sentare un’e- d i z i o n e aggiornata delle iscrizioni incise o murate sulla fronte dei sepolcri di età tardo-repubblicana situati lungo il lato meridionale di via Statilia, all’incrocio con via di S. Croce in Gerusalemme. Dopo la prima pubblicazione, curata da Fornari e Gatti tra il 1917 e il 1919, queste iscrizioni sono state infatti riprese - anche singolar- mente - da Colini (1943), Degrassi (1965) e Solin (2000), che ne hanno ampliato, miglio- rato e corretto la lettura con emendamenti che restano tutto- ra ignoti ai numerosi visitatori del complesso archeologico per- ché sfuggiti alla copiosa lettera- tura divulgativa dedicata ai monumenti di Roma. Naturalmente un’edizione che vuole essere aggiornata, oltre a riunire i contributi apportati dai diversi studiosi alla lettura dei SI SEPOLCRI REPUBBLICANI DI VIA STATILIA In alto, al centro: Fronte composto dai sepolcri scoperti nel 1899 lungo il lato meridionale di via Statilia, in occasione dei lavori di allargamento della sede stradale A destra: Pianta dell'area necropolare attestata lungo la cd. via Caelimontana (oggi via Statilia) con la localizzazione (*) dei sepolcri di età tardo-repubblicana scoperti negli anni 1916-1919 (rielabo- razione grafica da VON HESBERG 2005) testi, non può prescindere da un nuovo controllo autoptico dei monumenti epigrafici, che ho effettuato durante quattro sopralluoghi all’area archeologi- ca, giovando in una di queste occasioni anche della presenza di Silvia Orlandi, docente di Epigrafia presso la “Sapienza” di Roma, e del dott. David
  • 9. 7 Nonnis. Rispetto alle prime edi- zioni, il controllo diretto delle iscrizioni ha permesso di riscon- trare da un lato, la perdita di qualche lettera in seguito al dete- rioramento subito dalle aree iscritte, dall’altro ha reso possi- bile ampliare e migliorare leg- germente le precedenti trascri- zioni, individuare probabili aggiunte epigrafiche fatte in antico e introdurre qualche osservazione aggiuntiva che offre nuovi spunti di riflessione. Vista la natura di questo contri- buto, ho tuttavia ritenuto oppor- tuno ridurre gli apparati critici in calce alle trascrizioni dei testi agli elementi essenziali, riser- vando ad altra sede la loro pub- blicazione integrale. Prima di ritornare sul corredo epigrafico dei sepolcri, vorrei riassumere brevemente le circo- stanze relative alla loro scoperta, avvenuta tra il 1916 e il 1917, durante i lavori condotti dal Comune di Roma sull’Esquilino per l’allargamento della sede stradale di via di S. Croce in Gerusalemme. In questa occasio- ne vennero alla luce i primi quat- tro sepolcri (A, B, BI, C) con le fronti allineate sulla via Statilia e le celle incassate nelle pendici dell’altura tufacea, in parte arti- ficiale, sulla quale sorge Villa Wolkonsky-Campanari, oggi sede dell’ambasciata inglese. Il lato anteriore di un quinto monumento del tipo ad altare, poi inglobato in una tomba a camera (D), fu invece scoperto nel 1919 durante le opere di sistemazione e protezione dell’a- rea mediante la costruzione di un arco sostruttivo collegato al muraglione di contenimento del terrapieno della Villa. Immediatamente a destra del sepolcro ad altare, fu infine indi- viduato nel 1943 lo spigolo ante- riore sinistro di un altro sepolcro della stessa tipologia (E), impo- stato su un alto basamento e decorato da lesene angolari. Riguardo al contesto topogra- fico di rinvenimento, la linea frontale continua che i sei monu- menti compongono sulla via
  • 10. 8 Statilia, insieme ai basoli rinve- nuti nel 1888 presso Villa Wolkonsky, testimoniano che la strada moderna in questo tratto ribatte il percorso di un asse antico, la cd. via Caelimontana, che - fiancheggiando le arcate neroniane dell’Aqua Claudia - attraversava il Celio in senso ovest-est per raggiungere la località denominata ad Spem Veterem presso Porta Maggiore. Nel tratto coincidente con via Statilia, la percorrenza esterna alle mura ‘serviane’ della Caelimontana e il suo ruolo di asse generatore di questo settore dell’area sepolcrale esquilina risultarono evidenti anche dal ritrovamento di altre tombe che fiancheggiavano la strada, tra cui il monumento dell’architetto Tiberio Claudio Vitale, scoperto casualmente nel 1866 presso il casino di Villa Wolkonsky, il sepolcro dei Servilii, venuto alla luce nel 1881 a poca distanza dal monumento ad altare E, e la fila di sepolcri individuati nel 1899 in occasione dei lavori di allarga- mento di via Statilia, immediata- mente ad est dell’incrocio con via di S. Croce in Gerusalemme. Sopra: Fronte composto dai sepolcri tardo-repubblicani scoperti nel 1916 lungo il lato meridionale di via Statilia, in seguito all'allargamento di via di S. Croce in Gerusalemme. Da sinistra a destra: sepol- cro dei Quinctii (A), cd. sepolcro Gemino (B-BI) e cd. colombario Anonimo (C) Sotto: Pianta dei sepolcri scoperti tra il 1916 e il 1919 sul lato meridionale di via Statilia (rielaborazione grafica da COLINI 1943): sepolcro dei Quinctii (A), cd. sepol- cro Gemino (B- BI), cd. colombario Anonimo (C), monumento ad altare, poi inglobato nel sepolcro dei Caesonii (D)
  • 11. 9 IL SEPOLCRO DEI QUINCTII (A) Il primo sepolcro della serie, situato in corrispondenza del- l’incrocio tra via Statilia e via di S. Croce in Gerusalemme, è un edificio di modeste dimensioni composto di una facciata in opera quadrata di tufo (m 3,54) che si appoggia ad una cella quasi quadrata (m 2,80 x 2,95), incassata nella falda tufacea del- l’altura retrostante. Il piano pavimentale della cella è tagliato direttamente nel banco tufaceo, mentre pareti laterali, muro di fondo e bassa copertura a volta sono costruiti in opera cementi- zia priva di paramento, ma rive- stita all’interno con un sottile strato di intonaco. Predisposta originariamente per il rito dell’i- numazione, la cella è occupata in tutta la sua larghezza da tre fosse perpendicolari alla facciata (a, b, c), scavate direttamente nel pavimento tufaceo, e da un muretto in calcestruzzo parallelo alla parete di fondo, forse costruito in seconda battuta, che delimita un bancone intagliato nel tufo (d), entro il quale furono trovati i resti di una quarta inu- mazione. Le fosse erano coperte da tegole disposte in piano, rin- venute sia in opera sotto il pavi- mento, sia frammiste alla terra di riempimento insieme a balsa- mari per uso rituale. Ad una seconda fase di utilizzazione appartengono invece le quattro nicchie aperte nella parete di fondo per altrettante olle cinera- rie di terracotta, che attestano un cambiamento di rito forse legato alla necessità di ricavare nuovi posti di sepoltura nell’esiguo spazio disponibile. La facciata in blocchi di tufo del sepolcro, forse in origine coronata da una cornice agget- tante, poggia su un alto stereo- bate e su fondazioni in calce- struzzo, lasciate a vista dopo i lavori di scavo. La porta d’in- gresso, bassa e leggermente decentrata, è decorata da una cornice incisa a doppio listello che marca architrave e piedritti. Sopra la porta, un’iscrizione incisa su più blocchi contigui e inquadrata ai lati da una coppia di clipei a rilievo, ricorda la famiglia proprietaria del monu- mento [AE 1917/18, 120 = CIL, I2 2527a, cfr. p. 979 = ILLRP 795 = AE 2000, 181]: L’iscrizione è composta dal- Sotto: Sepolcro dei Quinctii (A), fronte in opera quadrata di tufo con iscrizione sepol- crale tra due clipei a rilievo
  • 12. l’elenco nominativo dei tre desti- natari del sepolcro, tutti di con- dizione libertina, legati tra loro da vincoli di parentela e affettivi nati da un originario rapporto di comune dipendenza o patrona- to: P. Quinctius, che esercitò il mestiere di copista e/o di com- merciante di libri, e la moglie Quinctia furono infatti mano- messi dal medesimo patrono, un T. Quinctius, mentre Quinctia R. 2 Uxsor in luogo di uxor; r. 3 Agatea in luogo di Agathea. Sulla scorta dell’impaginazione della r. 2, centrata rispetto ai margini laterali del blocco (da notare il termine uxsor allineato a destra nel tentativo di riequilibrare una riga che altrimenti sarebbe stata troppo sbilanciata a sinistra rispetto a quella superiore), la sequenza -erta del termine liberta in r. 3, incisa - tran- ne la lettera E - al di fuori della linea di contorno del blocco, sembrerebbe aggiunta dal lapicida in corso d’opera per evitare possibili fraintendimenti tra lo scioglimento dell’abbreviazione lib. per liberta e lo scioglimento di libr. per librarius in r. 1, qui favoriti dalla presenza nella nomenclatura di Agathea del patronato P(ubli) l(iberta), che rendeva superfluo ripetere il termine liberta a corredo del cognome; r. 4 `concubina´, aggiunta epigrafica in lettere nane. Agathea deve la propria libertà al primo personaggio, di cui in seguito divenne concubina. Proprio i legami intercorsi tra questi personaggi, deducibili sia dall’onomastica (uguale gentilizio; formule di patronato), sia dalla qualifica di uxor (moglie legittima) e di concubina (convivente), que- st’ultima significativamente ag- giunta in un secondo momento, permettono di ricostruire in via ipotetica la storia di questo nucleo famigliare allargato. Il rapporto tra P. Quinctius e Quinctia nacque probabilmente come contubernium (coabitazione senza rilievo giuridico) tra due schiavi alle dipendenze dello stesso padrone, T. Quinctius, e fu trasformato in conubium (nozze legittime) quando la coppia - grazie alla sopraggiunta mano- missione - acquisì con lo status libertino la capacità giuridica di contrarre un matrimonio legal- mente riconosciuto. Solo allora P. Quinctius liberò la schiava In basso, a sinistra: Sepolcro dei Quinctii (A), bassa copertura a volta in opera cementizia della cella In basso, a destra: Sepolcro dei Quinctii (A), veduta interna della cella con tre fosse (a, b, c) scavate nel pavimento tufaceo Nella pagina accanto: Sepolcro dei Quinctii (A), prime edizioni dell'iscrizione sepolcrale incisa sulla fronte
  • 13. 11 Agathea, insieme alla quale lui e la moglie costruirono il sepolcro, commissionando ad un’officina lapidaria l’iscrizione che sanciva e garantiva il loro diritto di pro- prietà. Dopo la morte di Quinctia, P. Quinctius iniziò a vivere con Agathea in concubina- to, una forma di convivenza sta- bile, ma giuridicamente illegitti- ma, che differiva dal matrimonio perché mancava l’affectio marita- lis, ovvero la reciproca volontà delle parti di vivere come marito e moglie per la durata dell’intera esistenza (il che non implicava che il matrimonio dovesse essere perpetuo e indissolubile: l’affec- tio maritalis poteva venire meno in uno o in ambedue i coniugi e, conseguentemente, la conviven- za si interrompeva con il divor- zio). Nonostante questa premes- sa, la lunga durata dell’unione tra i due liberti è provata dal comune monumento sepolcrale e, in particolare, dall’aggiorna- mento dell’iscrizione incisa sulla facciata, in cui la qualifica di con- cubina, impaginata in lettere nane nell’esiguo spazio disponi- bile tra la riga 3 e la cornice del- l’architrave, fu aggiunta in coda all’onomastica della donna. Le ragioni che indussero P. Quinctius e Quinctia Agathea, giuridicamente capaci di con- trarre nozze legittime, a scegliere questa forma stabile di convi- venza furono probabilmente legate, come ancora oggi accade, alle condizioni previste per la costituzione del matrimonio e alle conseguenze giuridiche che esso determinava, tali da rende- re il concubinato frequente anche tra i ceti elevati (PLIN. Epist. 8, 18). Chiude l’iscrizione la formula sepulcrum heredes ne sequatur con cui P. Quinctius, Quinctia e Quinctia Agathea sancivano l’ina- lienabilità del sepolcro, esclu- dendolo dalla devoluzione ere- ditaria. Naturalmente questa clausola non impediva ai tre pro- prietari di estendere il diritto di sepoltura a persone scelte nel- l’ambito della loro famiglia e/o ad estranei, come del resto sug- gerisce il numero di sepolture predisposte all’interno della cella, quattro inumazioni ricava- te nel pavimento tufaceo (tre delle quali presumibilmente occupate dagli stessi Quinctii: COLINI) e quattro nicchie con olle fittili nella parete di fondo. Riguardo alla professione esercitata dal liberto P. Quinctius, non è possibile precisare se con- templasse solo l’attività di copi- sta di lettere, documenti e libri, svolta in proprio o al servizio del patrono, oppure se includesse anche la gestione di una bottega per la rivendita di libri in qual- che quartiere di Roma, come era il caso di P. Cornelius Celadus, librarius ab extra porta Trigemina (CIL, VI 9515), la cui taberna si trovava nella pianura subaventi- na e, precisamente, nell’area immediatamente all’esterno del- la porta Trigemina, e di Cn. Pompeius Phrixus (CIL, VI 3413*), forse legato al grammatico Pompeius Lenaeus, a sua volta liberto di Pompeo Magno, che svolse sulla via Sacra nel Foro Romano non solo l’attività di copista e commerciante di libri, ma anche quella di maestro ver- sato nell’uso delle arti e delle let-
  • 14. 12 tere (doctor librarius). Ulteriori contributi alla ricostruzione della geografia crematistica del settore librario vengono dalle fonti letterarie, che localizzano in età imperiale numerose riven- dite di libri proprio nei quartieri limitrofi al Foro Romano, come l’Argiletum (MART. 1, 3, 1-2) e il vicus Sandalarius, dove si concen- travano - oltre i calzolai da cui il distretto prendeva nome - la maggior parte dei librai della capitale (GELL. 18, 4, 1), tanto che non lontano i Cataloghi Regionari di età costantiniana posizionano anche gli horrea Chartaria (depositi per la carta). Sotto il profilo onomastico, oltre la rarità del nome di origine greca Agathea, attestato a Roma solo in un’altra iscrizione (CIL, VI 33422), si può notare l’omis- sione del cognome nella nomen- clatura di P. Quinctius e Quinctia, significativa soprattutto se con- sideriamo che il ceto libertino aveva iniziato ad impiegare l’ex nome servile con funzione di cognome già nel II sec. a.C. (il primo esempio datato è del 113 a.C.) e che questa prassi era divenuta ormai abituale nel corso dell’ultimo secolo dell’età repubblicana. I motivi di questa omissione volontaria, attestata anche in altri documenti, ma qui resa particolarmente evidente dall’indicazione del cognome Agathea, sono stati spiegati con un’operazione di mimesi ono- mastica (PANCIERA) attraverso la quale i liberti - nel tentativo di mascherare sia la loro origine non latina, sia la loro estrazione servile (entrambe denunziate da grecanici come Agathea) - imita- vano le formule onomastiche coeve dei liberi di nascita (inge- nui), che erano ancora prive di cognome (gli ultimi casi di inge- nui senza cognome appartengo- no ai primi decenni del I sec. d.C.) e utilizzavano in funzione quasi cognominale e indivi- duante termini di relazione parentale. Proprio per analogia con l’onomastica degli ingenui, è probabile che i due Quinctii abbiano supplito all’omissione del cognome sulla fronte del loro sepolcro ricorrendo, in sua vece, alle qualifiche distintive di uxor e librarius. IL CD. SE GEMIN Alla destra del sepolcro dei Quinctii si appoggia, leggermen- te arretrato nella linea della fron- te, il «sepolcro Gemino», così denominato perché si tratta di due edifici con ingressi e celle distinte (B-BI), che furono costruiti insieme su un’unica fondazione, condividendo fac- Sotto: Sepolcro dei Quinctii (A), trascrizione a disegno dell'iscrizione sepol- crale con lettura migliorata rispetto alle prime edizioni (in evidenza i margini oriz- zontali e verticali dei blocchi) A destra: Cd. sepolcro Gemino (B-BI), fronte in opera quadrata di tufo con iscrizioni sepolcrali e busti-ritratto a rilievo dei defunti
  • 15. 13 EPOLCRO O (B-BI) ciata, parete intermedia e muro posteriore. Il pavimento e la copertura sono perduti, ma l’a- nalisi delle strutture murarie superstiti permette di ricostruire almeno due fasi edilizie, a cui corrispondono alcune modifiche nell’articolazione degli spazi interni. L’ingresso primitivo alle celle sepolcrali avveniva infatti attraverso due stretti corridoi, i cui muri esterni in blocchi di tufo furono in seguito demoliti e rasati per creare due ambienti a pianta rettangolare semplice (B, m 3,05 x 3,85 x 3,20 x 3,59; BI, 3,30 x 3,77 x 3,41 x 3,85). Le pare- ti laterali e quella intermedia, realizzate originariamente in blocchi di cappellaccio (resta qualche blocco in corrisponden- za del piano di spiccato dei muri), furono ricostruite in opera reticolata e dotate di nic- chie contenenti due olle fittili ciascuna. Dopo la costruzione del cd. colombario Anonimo (C), la cella ad esso contigua (BI) fu ampliata con la demolizione della parete destra, nella cui fon- dazione fu scavata una fossa a inumazione (d). Ad un interven- to di restauro che interessò anche i monumenti adiacenti appartiene invece la sopraeleva- zione in opera reticolata della parete di fondo in blocchi di cap- pellaccio, che si prolunga alle spalle del sepolcro dei Quinctii (A) e si appoggia all’angolo posteriore sinistro, sempre in opera reticolata, del cd. colom- bario Anonimo (C). Anche in
  • 16. 14 questi sepolcri assistiamo a un cambiamento nel rituale: le numerose olle cinerarie fittili, rinvenute in opera (B) o posate tra la terra in corrispondenza delle pareti (BI), testimoniano che le due celle erano in origine riservate al rito della cremazione e solo in un secondo momento furono adattate all’inumazione mediante l’escavazione di tre fosse, una ricavata nella fonda- zione della parete destra (BI, d), due scavate nel pavimento e coperte da un piano di mattoni bipedali (B, a-b). La massiccia parete anteriore del monumento è composta da un nucleo in calcestruzzo rivesti- to all’interno di blocchi di cap- pellaccio e all’esterno di blocchi di tufo. Il prospetto, raccordato allo stereobate da una gola dirit- ta e coronato in alto da una gola rovescia, è diviso in due parti speculari e simmetriche da un listello verticale a forma di lan- cia: ai lati di questo asse centrale si aprono le porte d’ingresso alle celle gemelle, mentre alle estre- mità di queste - sopra gli archi- travi delle porte - sono incassati due rilievi rettangolari di traver- tino con i busti-ritratto dei titola- ri del sepolcro. Nel rilievo inserito nella metà sinistra della facciata (B), entro tre nicchie, sono rappresentati - in modo rigidamente frontale - una donna, un giovane e un uomo maturo. La donna è avvol- ta nella palla che le copre anche il capo e presenta una pettinatura a scriminatura centrale formata da ciocche lisce che lasciano scoper- te le orecchie. I due uomini indos- sano invece tunica e toga, dal cui lembo ripiegato sul petto esce la mano destra; le teste sono massic- ce con capelli corti e aderenti alla calotta, il naso largo, le labbra serrate e le orecchie sporgenti. Al di sotto dei busti-ritratto, un’iscrizione incisa su più blocchi contigui e ampiamente rimaneg- giata, restituisce i nomi dei tre per- sonaggi effigiati, a cui si aggiunse- ro - in seconda battuta - i nomi di altri due destinatari del sepolcro [AE 1917/18, 121 = CIL, I2 2527b = ILLRP 952 = AE 2000, 182]:
  • 17. 15 Nella pagina accanto, in alto: Cd. sepol- cro Gemino (B-BI), veduta interna delle celle dal sepolcro dei Quinctii (A). In primo piano, ricostruzione in opera retico- lata della parete laterale sinistra in blocchi di cappellaccio (B); in secondo piano, fronte anteriore con nucleo in calcestruzzo rivestito all'interno di blocchi di cappellac- cio e parete divisoria in blocchi di cappel- laccio, poi sopraelevata in reticolato Nella pagina accanto, al centro: Cd. sepolcro Gemino (B-BI), fronte anteriore con nucleo in calcestruzzo foderato all'in- terno di blocchi di cappellaccio; in basso a destra, parete divisoria tra le porte d'in- gresso alle celle, di cui oggi resta solo il piano di spiccato con un filare di blocchi di cappellaccio A destra: Cd. sepolcro Gemino (BI), par- ticolare del fronte anteriore con nucleo in calcestruzzo rivestito all'interno di blocchi di cappellaccio
  • 18. 16 Il rilievo inserito nella metà destra della facciata (BI), ritrae - entro apposite nicchie - due donne che indossano tunica e mantello (palla), nel cui risvolto è appoggiata la mano destra. I loro volti, caratterizzati da naso largo, labbra serrate e orecchie sporgenti, sono incor- niciati da pettinature diverse: la figura a destra, con il capo velato, presenta i capelli divisi da una scriminatura centrale in due bande ondulate, mentre quella a sinistra esibisce una singolare acconciatura, tratte- nuta sulla fronte da un nastro e rigonfia sulle spalle. Sotto il rilievo, in corrispondenza dei busti-ritratto, un’iscrizione impaginata su due colonne restituisce i nomi delle due destinatarie del sepolcro [CIL, I2 2527c = AE 2000, 183]: A dispetto del progetto archi- tettonico unitario alla base dei due sepolcri gemelli, i rispettivi proprietari appartengono a famiglie diverse che non sem- brano avere alcuna relazione reciproca. I diversi gentilizi non permettono neppure di precisare il rapporto esistente tra le liberte Caelia Apollonia e Plotia [- - -]s[- - -?], che pure figurano come con- titolari del sepolcro BI, o quello tra i destinatari del monumento B, fatta eccezione per i liberti Clodia Stacte e N. Clodius Trupho, entrambi manomessi da un N. Clodius. Qualche informazione si ricava invece dall’aspetto grafico e dai rimaneggiamenti subiti dalla lista onomastica del sepol-
  • 19. 17 Nella pagina accanto, in alto: Cd. sepol- cro Gemino (B-BI), muro posteriore e parete divisoria delle celle realizzati in bloc- chi di cappellaccio e ricostruiti in opera reticolata; in primo piano, filare di blocchi di tufo appartenente al muro, poi rasato, del corridoio d'ingresso; tra il filare di bloc- chi e la parete divisoria, fossa rettangolare foderata di tegole (c) che al momento della scoperta era sigillata da una mezza anfora e conteneva ossa cremate Nella pagina accanto, al centro: Cd. sepolcro Gemino (B-BI), muro posteriore in blocchi di cappellaccio con sopraelevazione in opera reticolata e parete divisoria tra le due celle, di cui oggi si conserva solo il piano di spiccato con un filare di blocchi di cappellaccio Sopra: Cd. sepolcro Gemino (BI), muro pos- teriore in blocchi di cappellaccio che si appog- gia all'angolo posteriore sinistro in opera reti- colata del cd. colombario nonimo (C) In alto: Cd. sepolcro Gemino (B), partico- lare della fronte con iscrizioni e busti-ritratto a rilievo dei tre titolari Al centro: Cd. sepolcro Gemino (B), fronte con iscrizioni sepolcrali e busti-ritratto a rilievo dei tre titolari del monumento Sopra: Cd. sepolcro Gemino (B), particolare della tabellina disegnata ad incisione con let- tera P nell'ansa sinistra
  • 20. 18 cro B, che suggeriscono la possi- bilità che la tomba sia stata costruita dai liberti Clodia Stacte, N. Clodius Trupho e C. Annaeius Quinctio, a cui in un secondo momento si aggiunsero in veste di comproprietari L. Marcius Arm(- - -) e M. Annius Hilarus. Questa eventualità sembra confortata prima di tutto dal- l’impaginazione dei nomi Clodia Stacte (a), N. Clodius Trupho (b) e C. Annaeius Quinctio (c) su tre colonne posizionate - alla stre- gua di didascalie identificative - nello spazio sottostante i tre busti-ritratto allo scopo di realiz- zare una perfetta corrisponden- za tra iscrizioni e immagini, e, in secondo luogo, dalla probabile aggiunta dei nomi di L. Marcius Arm(- - -) e M. Annius Hilarus nello spazio compreso tra la r. 1 (a) e la formula di chiusura hoc monumentum heredes ne sequatur alle rr. 4-5 (a), rispettando il cognome Trupho già inciso alla r. 2 (b). Una conferma indiretta circa il frazionamento della pro- prietà originaria viene del resto dal rapporto numerico tra busti- ritratto e nomi, che evidenzia come L. Marcius Arm(- - -) e M. Annius Hilarus non fossero pre- visti nell’apparato figurativo commissionato e predisposto al
  • 21. momento della fondazione del sepolcro. Proprio l’apparato figurativo e, in particolare, lo schema com- positivo e la resa fisionomica dei ritratti (donna - giovane - uomo), nonché il rapporto di comune dipendenza che legava Clodia Stacte e N. Clodius Trupho, gene- rano anche il sospetto che i tre liberti effigiati in facciata siano madre, figlio e padre. In questa prospettiva, Trupho, liberato insieme alla madre da un N. Clodius, nacque verosimilmente quando i due genitori erano ancora schiavi, elemento che spiegherebbe sia la condizione libertina del giovane (i figli nati dal matrimonio tra due liberti erano infatti cittadini romani ingenui), sia il differente gentili- zio rispetto al padre C. Annaeius Quinctio, affrancato da un altro patrono (un C. Annaeius). Se vale questa ipotesi, avremmo allora un sepolcro fondato da un nucleo familiare di tre liberti, che successivamente fu in parte ven- duto, ceduto o donato a due individui apparentemente estra- nei ai primi titolari, L. Marcius Arm(- - -) e M. Annius Hilarus, con il conseguente aggiorna- mento onomastico dell’iscrizio- ne in facciata. Al frazionamento della proprietà originaria si devono forse collegare sia la tabellina ansata disegnata a inci- sione sotto la clausola hoc monu- mentum heredes ne sequatur, che fu verosimilmente predisposta per un sesto nome (nell’ansa sinistra resta una P), sia le due fasi edilizie del monumento con le modifiche nell’organizzazione interna degli spazi ad esse con- nesse. Nella pagina, in alto: Cd. sepolcro Gemino (BI), particolare della fronte con iscrizioni sepolcrali e busti-ritratto a rilievo delle due titolari del monumento Nella pagina, in basso: Cd. sepolcro Gemino (B-BI), prime edizioni delle iscrizioni sepolcrali incise sulla fronte Sopra: Cd. sepolcro Gemino (B-BI), trascrizione a disegno delle iscrizioni sepol- crali con lettura emendata e ampliata rispetto alle precedenti edizioni, che non tiene conto del reale stato di conservazione delle singole lettere (in evidenza i margini orizzontali e verticali dei blocchi) Sotto: A sinistra, facciata in opera quadra- ta di tufo del cd. sepolcro Gemino (BI); a destra, cd. colombario Anonimo (C), resti dell'angolo sinistro della fronte in opera quadrata di peperino con stipite e due soglie sovrapposte che poggiano su un blocco di tufo del basamento, a sua volta impostato su fondazioni in calcestruzzo coperte da un filare di blocchi di cappellaccio
  • 22. 20 IL CD. COLOMBARIO ANONIMO (C) In corrispondenza dell’arco che sostiene il terrapieno di Villa Wolkonsky, alla destra del cd. sepolcro Gemino (BI), sono visi- bili i resti di un quarto sepolcro (m 4,82 x m 4, 66), denominato «colombario Anonimo» per la mancanza di un corredo epigrafi- co. La facciata, quasi completa- mente distrutta, è in opera qua- drata di peperino e si imposta su una fondazione in calcestruzzo coperta da un filare continuo di blocchi di cappellaccio, alle cui estremità si conservano ancora in opera due blocchi del basamento tufaceo; sopra il blocco di tufo collocato presso l’angolo sinistro dell’edificio, poggiano tre blocchi di peperino appartenenti all’alza- to vero e proprio della facciata. Si tratta dello stipite sinistro e delle due soglie, sovrapposte, della porta, la cui posizione - decentra- ta rispetto all’asse mediano della facciata - mostra che l’ingresso del sepolcro si apriva lateralmen- te. Al prospetto in blocchi di peperino si appoggia una cella rettangolare, costruita in opera reticolata e coperta originaria- mente a volta, il cui muro laterale sinistro divenne comune al cd. sepolcro Gemino (B-BI), quando questo fu ampliato mediante la demolizione della parete destra (BI). Da un punto di vista stratigra- fico la presenza di due soglie sovrapposte indica che il cd. colombario Anonimo fu interes- sato da almeno due fasi edilizie, scandite da una sopraelevazione del pavimento e forse precedute - come sembrano suggerire i diver- si sistemi costruttivi e materiali impiegati nella facciata e nelle pareti - da una riedificazione in opera reticolata della cella alle spalle della primitiva fronte in blocchi di peperino (COLINI). Tenendo conto di questa even- tualità, nella prima (o seconda) fase edilizia la cella era probabil- mente divisa in due ambienti da un muro in opera reticolata paral- lelo alla facciata, poi parzialmen- te demolito, e i resti dei defunti erano sistemati all’interno di loculi aperti lungo la perduta parete di fondo (COLINI), anche se non si può escludere una loro deposizione nel pavimento (CO-
  • 23. 21 LINI), dove fu rinvenuta una fossa a inumazione infantile (a), coper- ta di tegole, con due campanelli di bronzo e un balsamario fittile come corredo. Solo nella seconda (o terza) fase edilizia la cella fu provvista di nuovi posti di sepol- tura ricavati nello spessore dei muri laterali in reticolato tramite l’apertura di almeno tre nicchie nella parete destra e di tre loculi per olle nella parete sinistra, che in questa occasione fu anche foderata con una cortina in lateri- zio. Riguardo alla decorazione parietale, qualche traccia si distingue ancora lungo la parete destra e, in particolare, all’interno della nicchia centrale, rivestita da una conchiglia in stucco di colore verde e azzurro. Sempre nello stesso lato si conserva anche una porzione della copertura a volta, traforata da una finestrella trian- golare funzionale all’illuminazio- ne e all’aerazione del sepolcro. Nella pagina accanto: Cd. colombario Anonimo (C), resti della fronte in opera quadrata di peperino, impostata su un basamento in blocchi di tufo che poggia su un filare di blocchi di cappellaccio e su fon- dazioni in calcestruzzo Al centro: Cd. colombario Anonimo (C), particolare interno dell'ingresso con stipite sinistro e due soglie sovrapposte di peperino In alto, a sinistra: Cd. colombario Anonimo (C), resti della porzione angolare sinistra della fronte in opera quadrata di peperino. In primo piano, ingresso con stipite sinistro e due soglie sovrapposte di peperino; in secondo piano, fronte del cd. sepolcro Gemino (B-BI) In alto, a destra: Cd. colombario Anonimo (C), particolare esterno dell'ingresso con stipite sinistro e due soglie sovrapposte di peperino impostate su un blocco di tufo del basamento
  • 24. 22
  • 25. 23 IL SEPOLCRO DEI CAESONII (D) Da un punto di vista struttu- rale e tipologico l’ultimo sepol- cro della serie, scoperto nel 1919 a destra del cd. colombario Anonimo (C) e scavato solo par- zialmente, sembra rientrare nella classe dei monumenti funerari che ripetono la forma di un alta- re (COLINI; VON HESBERG). Realizzato in opera quadrata di peperino, il monumento è costi- tuito da un basamento di due filari di blocchi e da un dado parallelepipedo, che doveva essere coronato sulla sommità da un epistilio destinato a soste- nere una coppia di pulvini ad imitazione delle are. Il dado è definito inferiormente da uno zoccolo con cornice modanata e presenta sulla fronte uno spec- chio rettangolare, scorniciato e inquadrato da due elementi decorativi a rilievo, parzialmen- te abrasi, il cui profilo ricorda quello dei bucrani. A causa della profonda sfaldatura che ha inte- ressato la superficie, non è possi- bile precisare se lo specchio fosse riservato ad un’altra decorazio- ne a rilievo oppure, come sem- bra più probabile sulla base di confronti con monumenti simili, ad un’iscrizione sepolcrale. Le indagini e i saggi archeolo- gici hanno inoltre evidenziato che il sepolcro sorse isolato al centro di un’area larga sulla fronte 18 piedi (m 5,32 ca.), come mostra, in particolare, lo zoccolo sagomato anche lateralmente. Solo successivamente il piccolo monumento fu ampliato e ria- dattato in tomba a camera con la costruzione di una parete in opera reticolata che ne inglobò il nucleo originario (dado e basa- mento) e lo congiunse all’adia- cente colombario Anonimo (C), diventando la fronte del nuovo edificio. Alle spalle di questa fac- ciata, inquadrata a sinistra (e forse anche destra?) da una lese- na angolare di peperino e sor- montata da un architrave liscio con cornice a doppia linea incisa lungo il margine superiore, fu costruita una piccola cella in opera reticolata, oggi coperta dal terrapieno di Villa Wolkonsky- Campanari, i cui loculi contenen- ti olle si intravedono attraverso la parete destra del cd. colomba- rio Anonimo. Sulla sommità del dado originario, un blocco ret- tangolare di travertino (cm 60 x 137), che riprende e continua la linea del contiguo architrave, ricorda i nomi dei destinatari del sepolcro [GATTI in Not. Sc., 16, 1919, p. 38 - non ripresa nei prin- cipali corpora epigrafici]: Nella pagina accanto: Cd. colombario Anonimo (C), parete destra in opera retico- lata con tre nicchie per urne rivestite in stucco; in alto, porzione della copertura a volta traforata da finestrella di aerazione; in basso, quattro loculi per olle dell'adia- cente sepolcro dei Caesonii (D)
  • 26. 24 I nomi dei tre titolari del sepolcro sono elencati secondo un ordine gerarchico fondato verosimilmente sulla loro condi- zione giuridica: il primo della lista, A. Caesonius Paetus, è infat- ti un cittadino romano nato libe- ro, come si evince da patronimi- co e tribù, nonché il patrono del secondo titolare, A. Caesonius Philemo. Philumina condivide con quest’ultimo la condizione libertina, ma deve la propria libertà ad un P. Telgennius. Appartenendo a una famiglia diversa dalla Caesonia, il suo rap- porto con gli altri due fondatori del sepolcro potrebbe essere legato al matrimonio (o al concu- binato) con A. Caesonius Philemo (se la donna fosse coniuge o compagna di A. Caesonius Paetus il suo nome avrebbe probabil- mente occupato la seconda posi- zione dell’elenco). Particolare interesse suscita l’onomastica dei tre personaggi. Il gentilizio di Philumina, raro in assoluto, occorre nella forma Telgennia solo in questa iscrizio- ne, mentre altrove (CIL, VI 1829, 2282, 27136-27138) è attestata la scrittura Telegennia/Telegennius con l’inserimento di una vocale di appoggio tra le consonanti L e G per facilitare la pronuncia (anaptissi); il ramo gentilizio di cui fa parte la donna, i Publii Telgennii, e quello degli Aulii Caesonii, cui appartengono Paetus e il suo liberto Philemo, non risultano altrimenti noti a Roma. Sotto il profilo paleografi- co, grazie alla presenza delle sigle θ e V, adoperate tra gli inizi del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C. per contraddistinguere le persone morte o vive al momen- to della costruzione del sepolcro in iscrizioni composte - come la nostra - da un semplice elenco di nomi, sappiamo che A. Caesonius Paetus, il cui nome è preceduto dal segno θ per mortuus, era già deceduto, mentre Philumina, il cui cognome è seguito dalla let- tera V per v(iva), era ancora in vita quando fu inciso - o meglio reinciso - il testo. Un attento controllo autoptico mostra infatti che la nostra iscri- zione è stata impaginata sul bloc- co dopo l’erasione di un testo precedente e l’accurata levigatu- ra della superficie in cui era iscritto, come documentano sia la presenza in posizione margi- nale di lettere palesemente estra- nee ad essa, sia la cornice a listel- lo piatto in cui queste sono inci- se, creata proprio in seguito all’a- sportazione di uno strato di tra- vertino profondo quanto i solchi del testo cancellato. Di quest’ulti- mo si conservano, sul listello di sinistra, le lettere iniziali di cin- que righe, mentre su quello di destra gli ultimi quattro caratteri della prima riga, impaginati in sequenza verticale a causa della mancanza di spazio: In alto, a sinistra: Rilievo della fronte del monumento ad altare (in grigio), poi inglo- bato nel sepolcro dei Caesonii (D), tra il cd. colombario Anonimo (C) e il monumento ad altare individuato nel 1943 (E) (rielabo- razione grafica da COLINI 1944) Nella pagina accanto: A sinistra, angolo anteriore destro del monumento ad altare, poi inglobato nel sepolcro dei Caesonii (D); a destra, spigolo anteriore sinistro del sepolcro ad altare scoperto nel 1943 (E), impostato su un alto basamento e decorato da lesene angolari
  • 27. 25 Il lavoro di scalpellatura è stato effettuato dal lapicida con molta diligenza, tanto che all’interno della cornice non restano vestigia dei caratteri erasi o tracce di solchi rettilinei o curvilinei. Tuttavia, sulla scorta delle lettere visibili sui listelli laterali, in corrispon- denza delle rr. 1-3, mi sembra plausibile ipotizzare che l’i- scrizione scalpellata fosse una prima versione di quella con- servata: la lettera A e la sequenza -+TVS in r. 1 potreb- bero infatti appartenere, rispettivamente, al prenome Aulus e alle lettere finali del cognome Paetus del primo tito- lare del sepolcro, A. Caesonius Paetus; similmente la lettera A in r. 2 potrebbe essere perti- nente al prenome Aulus di A. Caesonius Philemo, mentre la T in r. 3 all’iniziale del gentilizio Telgennia della liberta Philumina. Di qui la possibilità di integrare le prime tre righe del testo eraso come segue: Da questa ricostruzione si ricava non solo che la prima redazione dell’iscrizione aveva una diversa impaginazione, in cui ciascuno dei tre nomi - inciso in caratteri di altezza minore - occupava una sola riga, ma anche che il testo era molto più lungo, come suggeriscono le let- tere IN- e T-, incise sul listello di sinistra, all’altezza delle rr. 4-5, che potrebbero riferirsi tanto all’onomastica di altri due titola- ri della tomba, quanto ad una formula di chiusura. La prima soluzione desta qual- che perplessità se rapportata al panorama onomastico urbano, dove la sequenza IN- figura a Roma solo come iniziale dei gen- tilizi Insteia ed Instania, attestati in un numero limitato di iscrizioni. Non crea invece alcun problema la lettera T- nella riga successiva, in cui potremmo riconoscere sia l’iniziale del prenome Titus o Tiberius, se il nome in lacuna fosse di pertinenza maschile, sia l’ini- ziale di uno dei numerosi gentili- zi attestati nell’Urbe (Terentia, Tullia, ecc.), se fosse invece fem- minile, quantunque, in base al contesto, appaia più probabile l’integrazione T[[[elgennia]]], pen- sando ad una seconda donna appartenente - come Philumina - al ramo dei Publii Telgennii. Pensare invece ad una formu- la di chiusura, più plausibile, implica diverse, possibili, inte- grazioni, che dipendono da numerose variabili, quali l’impa- ginazione dell’iscrizione scalpel- lata, le dimensioni della lacuna e il formulario. Riguardo al primo aspetto, la resa grafica del testo cancellato doveva essere piutto- sto accurata se ragioni estetiche costrinsero il lapicida a incidere le lettere finali -+TVS della r. 1 in posizione marginale, l’una sotto l’altra e in caratteri più minuti, allo scopo di ovviare all’errato calcolo delle spazio evitando un inelegante accapo nel corpo del cognome. Relativamente alle dimensioni della lacuna, nella prospettiva di una duplice ver- sione della stessa iscrizione, l’in- tegrazione che ho proposto per
  • 28. 26 le prime tre linee del testo e l’al- tezza delle lettere conservate sul listello sinistro del supporto per- mettono di calcolare approssi- mativamente tra i 17 e i 19 carat- teri mancanti per ogni riga, tran- ne alla r. 4, dove il modulo leg- germente inferiore della sequen- za IN- potrebbe essere indizio di una lacuna formata da un nume- ro maggiore di lettere. Tenendo conto di questi dati è possibile proporre in via del tutto ipotetica - sulla scorta di uno schema testuale già noto a Roma (CIL, VI 17494, 22500) - un’integrazione delle ultime due linee del testo con una formula del tipo in fronte pedes - - -, in agro pedes - - -, arbitratu / Telgenniae P(ubli) l(iberta) - - -, in cui l’indi- cazione delle misure dell’area sepolcrale precede la menzione dell’istituto dell’arbitrato con cui i tre fondatori del sepolcro affi- davano ad una donna della gens Telgennia, forse la stessa Philumina, il compito di sovrin- tendere e controllare che la costruzione del monumento avvenisse secondo le loro dispo- sizioni testamentarie: In linea con l’ipotesi di un’e- pigrafe rinnovata, resta infine da chiarire il motivo dell’accurata erasione e reincisione del testo. Se l’iscrizione originaria com- prendeva un elenco di cinque destinatari del sepolcro, la scal- segnati dal reimpiego edilizio del più antico monumento ad altare, come testimonia l’incisio- ne del segno θ, riferibile per posizione ad A. Caesonius Paetus, sull’architrave che incornicia la nuova facciata. Sembra inoltre sepolcro Gemino (B-BI) tra le tombe a camera, ma tra i recinti sepolcrali chiusi (il che implica l’assenza di una copertura) con fronte coronata superiormente da una trabeazione e provvista di vere e proprie porte d’ingres- pellatura potrebbe dipendere proprio dalla rinuncia a tale tito- larità - a seguito di donazione, cessione o vendita - da parte degli ultimi due personaggi della lista, e dalla conseguente esigenza di aggiornare il regime giuridico di proprietà della tomba. Se invece il testo cancel- lato conteneva in calce le misure in piedi dell’area sepolcrale abbinate alla menzione dell’arbi- trato (o un’altra formula di chiu- sura), la reincisione dello stesso testo - seppure ridotto ai soli nomi dei tre titolari del sepolcro - si spiega forse con la necessità di realizzare una nuova copia dell’iscrizione che sostituisse quella più antica, malandata o semidistrutta, oppure rifiutata dai committenti. Indipendentemente dalle ipo- tesi di integrazione, la commis- sione ad un’officina lapidaria del testo rinnovato avvenne dopo la morte di A. Caesonius Paetus per iniziativa di Telgennia Philumina, ancora viva, e forse del liberto Philemo, e si deve verosimilmen- te inquadrare nei lavori di ampliamento del sepolcro, assai probabile che anche il testo cancellato fosse pertinente alla medesima fase edilizia, almeno a giudicare dalle dimensioni del blocco, la cui altezza è uguale a quella del contiguo architrave, e dallo specchio ricavato sulla fronte del primitivo sepolcro ad altare, riservato verosimilmente ad un’iscrizione che fu abrasa proprio in occasione del suo reimpiego edilizio. Non è invece possibile stabilire se i proprietari di quest’ultimo monumento fos- sero sempre i Caesonii e i Telgennii, o se questi lo avessero ricevuto in dono o comprato da terzi per inglobarlo nella fronte del nuovo sepolcro. Prima di concludere, vorrei soffermarmi su alcuni aspetti di carattere più generale che riguardano in primo luogo la tipologia e la cronologia dei sepolcri. Recentemente Henner von Hesberg, in uno studio dedicato all’origine e alla diffusione dei recinti sepolcrali a Roma in età repubblicana, non ha incluso il sepolcro dei Quinctii (A) e il cd.
  • 29. 27 so (recinto con facciata), e ha con- siderato il monumento ad altare, poi trasformato dai Caesonii in una tomba a camera (D), parte integrante di un altro tipo di recinto sepolcrale, in cui l’ara era posizionata al centro del muro anteriore verso la strada (recinto con altare). Non meno problematici appaiono i tempi di costruzione dei sepolcri, che necessiterebbe- ro di un attento riesame per veri- ficare se la successione cronolo- gica suggerita dalle iscrizioni è confermata anche dall’evidenza archeologica e dai dati di scavo. Un’analisi complessiva del cor- redo epigrafico (onomastica, for- mulario, paleografia, aspetti lin- guistici e officinali), insieme alla tecnica edilizia e ai materiali impiegati, suggerisce comunque di collocare approssimativamen- te i nostri monumenti tra gli inizi del I sec. a.C. (PANCIERA: prima metà del I sec. a.C.; diversamen- te COLINI: seconda metà del II sec. a.C.) e gli ultimi decenni dello stesso secolo. Il più antico della serie è il sepolcro dei Quinctii (A), databi- le forse agli inizi del I sec. a.C., alla cui parete destra si appog- gia, probabilmente intorno alla metà dello stesso secolo (PAN- CIERA), il cd. sepolcro Ge-mino (B-BI), che presenta un’analoga fronte in opera quadrata di tufo e pareti in blocchi di cappellac- cio, poi restaurate in opera reti- colata. Segue il cd. colombario Anonimo (C) con prospetto in opera quadrata di peperino e pareti rivestite da un paramento in reticolato. L’ultimo in ordine di tempo è il sepolcro dei Caesonii (D), realizzato negli ulti- mi decenni del I sec. a.C. in opera reticolata, ad eccezione della facciata che riutilizza il precedente sepolcro ad ara in blocchi di peperino ed è definita superiormente e lateralmente da elementi architettonici nello stes- so materiale. L’organizzazione interna delle celle riflette il rituale adot- tato per la sepoltura, il cui cam- biamento sembra quasi seguire la successione cronologica dei monumenti, se il sepolcro più antico, quello dei Quinctii (A), era originariamente destinato al solo rito dell’inumazione entro fosse scavate direttamente nel pavimento tufaceo, mentre gli altri quattro (B-BI, C, D) furono progettati in funzione della cre- mazione - il rito prevalente dalla tarda età repubblicana soprattut- to in ambito colombariale - e provvisti di loculi contenenti una o due olle fittili ciascuno lungo le pareti. Più difficile risul- ta invece stabilire la datazione di ampliamenti (BI), rifacimenti (B- BI, C) e adattamenti interni (apertura di nicchie per olle nel sepolcro dei Quinctii e nelle pareti laterali del cd. sepolcro Anonimo; fosse scavate nei cd. sepolcri Gemino e Anonimo) perché potevano essere eseguiti anche a poca distanza di tempo dalla costruzione della tomba stessa, come testimoniano - ad esempio - il probabile aggiorna- mento onomastico dell’elenco dei proprietari sulla fronte del cd. sepolcro Gemino (B), che forse coincise con qualche modi- fica all’interno della cella, il reimpiego edilizio del monu- mento ad altare nella facciata del monumento dei Caesonii (D) e Sopra: Sepolcro dei Caesonii (D), blocco di travertino con iscrizione sepolcrale incisa dopo l'erasione di un testo prece- dente, di cui restano alcune lettere sui lis- telli laterali
  • 30. 28 l’eventualità, qui prospettata in via ipotetica, della commissione di una nuova iscrizione in sosti- tuzione di quella originaria. Il rivestimento in opera laterizia della parete sinistra del cd. colombario Anonimo (C), insie- me ai bolli su mattoni e lucerne rinvenuti durante gli scavi (A, B- BI), documentano comunque un uso e una frequentazione dei sepolcri ancora nella prima età imperiale. La destinazione prevalente- mente familiare dei monumenti si desume dalle epigrafi incise o murate sulle facciate prospicienti la moderna via Statilia, alle quali era delegato il compito di perpe- tuare il nome e la memoria dei titolari e di tutelarne giuridica- mente la proprietà. I testi epigra- fici, schematici e molto lontani dall’evoluzione che il formulario registrerà già in età augustea (27 a.C.-14 d.C.), contengono infatti l’elenco al nominativo (o geniti- vo) dei fondatori dei sepolcri, congiunti tra loro da vincoli di parentela o da rapporti di patro- nato e/o dipendenza, cui si aggiunge nel sepolcro dei Quinctii (A) e in quello cd. Gemino (B) la formula stereotipa sepulcrum/hoc monumentum here- des ne sequatur che sancisce l’ina- lienabilità e quindi la destinazio- ne esclusivamente familiare dei monumenti. Il ricorso a questa clausola non esclude la facoltà dei proprietari di vendere, cede- re o donare a terzi, apparente- mente estranei al nucleo familia- re originario, un posto di sepol- tura o una quota del sepolcro, come forse accade nel cd. sepol- cro Gemino (B), dove la probabi- le aggiunta epigrafica dei nomi di L. Marcius Arm(- - -) e M. Annius Hilarus potrebbe riflettere un mutamento nel regime di pro- prietà del monumento, che divie- ne comune a cinque individui. Per quanto riguarda invece la condizione sociale dei fondatori, tranne L. Marcius Arm(- - -) (B) ed A. Caesonius Paetus (D), che patronimico e tribù qualificano come cittadini romani ingenui, si tratta sempre di individui appar- tenenti al dinamico ceto liberti- no, che hanno raggiunto, insieme alla posizione sociale, una dispo- nibilità economica tale da con- sentirgli l’investimento di risorse pecuniarie nella costruzione di tombe di un certo livello. Relativamente all’evoluzione dell’onomastica romana, mi sembra interessante rilevare l’a- dozione da parte di P. Quinctius T.l. librarius (A) di un prenome diverso rispetto a quello del suo patrono (T. Quinctius). Questa consuetudine onomastica, tipica dell’età repubblicana, si rendeva necessaria proprio per distin- guere i liberti dai responsabili della loro manomissione in un’e- poca in cui, i primi, presentava- no ancora una nomenclatura priva di cognome o, viceversa, pur avendo il cognome, erano soliti ometterlo per imitare le formule onomastiche degli inge- nui (mimesi onomastica). Nel nostro caso la differenza di pre- nome rispetto al patrono diventa anche un indicatore cronologico a favore della maggiore antichità del sepolcro dei Quinctii rispetto agli altri, i cui proprietari di con- dizione libertina - secondo un uso che si affermerà definitiva- mente in età imperiale - portano tutti lo stesso prenome del loro manomissore (B, D) e impiegano il cognome come elemento indi- viduante. Oltre questo aspetto, il corre- do epigrafico dei sepolcri offre una visione diacronica privile- giata per seguire le soluzioni adottate dalle officine lapidarie urbane nell’impaginazione dei testi, un’operazione da cui dipendeva da un lato, l’impatto visivo che l’iscrizione avrebbe avuto una volta ultimata, dall’al- tro la sua capacità comunicativa. Sulla facciata del monumento dei Quinctii (A), la bottega segue, nella disposizione dell’e- pigrafe, uno schema tradizionale che aveva avuto grande fortuna soprattutto nel III sec. a.C. (PANCIERA), in cui gli attacchi delle righe, tutte di lunghezza differente, sono allineati secon- do una verticale, ad eccezione del primo e del penultimo attac- co, che - sporgendo a sinistra - generano una struttura «para- grafata» (PANCIERA). Riflette invece una tendenza prevalente proprio nel corso del I sec. a.C. l’ordinamento scelto per il testo inciso sulla metà sinistra della fronte del cd. sepolcro Gemino (B), in corrispondenza del busto-
  • 31. 29 ritratto di donna (a), e per l’iscri- zione erasa del sepolcro dei Caesonii (D), in cui le righe, di differente (B) o uguale lunghez- za (D?), presentano tutte gli attacchi rigidamente allineati in perpendicolare a sinistra. L’ultimo stadio di questa evolu- zione è rappresentato dalle altre epigrafi del cd. sepolcro Gemino (B, b-c; BI, a-b) e, in particolare, dal testo più recente del monu- mento dei Caesonii (D), in cui l’officina lapidaria adotta un accorgimento innovativo che avrà predominanza assoluta in età imperiale: la disposizione speculare delle righe rispetto ad un asse mediano verticale. Un secondo aspetto riguarda invece il campo in cui le iscrizio- ni sono state impaginate. Nei primi tre sepolcri (A, B- BI) l’offi- cina non impiega alcun artificio per predisporre e delimitare l’a- rea della facciata destinata ad accogliere il testo e incide l’iscri- zione direttamente sui blocchi già posti in opera, come è reso evidente dalla presenza di lette- re sulle commessure verticali tra un blocco e l’altro. Tuttavia, nel cd. sepolcro Gemino possiamo apprezzare - rispetto al più anti- co sepolcro dei Quinctii (A) - una qualche, embrionale, attenzione del lapicida nel disporre o far rientrare le righe (o almeno gli attacchi delle stesse) all’interno dei margini verticali dei blocchi. Una tappa successiva è invece rappresentata dall’iscrizione scalpellata sulla fronte del sepol- cro dei Caesonii (D), in cui il testo è posto in risalto e isolato dal monumento cui appartiene uti- lizzando come supporto scritto- rio un blocco di materiale (e quindi colore) diverso, le cui linee di contorno assumono, in nuce, la funzione di cornice. Lo stesso blocco, dopo il reimpiego epigrafico, riflette anche lo svi- luppo conclusivo di questa pro- cedura: la nuova iscrizione inci- sa sulla superficie scalpellata si presenta infatti evidenziata e delimitata - anche se forse non intenzionalmente - con una cor- nice a listello piatto, elemento che troverà un organico inseri- Nella pagina accanto: Sepolcro dei Caesonii (D), prima edizione e facsimile dell'iscrizione sepolcrale In alto: Prospetto e pianta dei sepolcri di via Statilia secondo l'interpretazione di Henner von Hesberg (rielaborazione grafica da VON HESBERG 2005). Da destra a sinis- tra: recinto con facciata dei Quinctii (A), recinto con facciata del cd. sepolcro Gemino (B-BI), recinto con altare, poi inglobato nel sepolcro dei Caesonii (D) mento nella prassi officinale urbana proprio a partire dall'età augustea. I
  • 32.
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  • 34. 32 TUTTO EBBE INIZIO... trecento anni esatti dalla scoper- ta casuale di E r c o l a n o (1709-2009), si continua a rimanere stupiti di fronte alle meraviglie che a poco a poco iniziarono ad emergere dai primi scavi. Una recente mostra, svoltasi al Museo Nazionale Archeologico di Napoli, ha illustrato le fasi più importanti di questa scoperta, esponendo bronzi e affreschi provenienti dall’antica Herculaneum. Tutto ebbe inizio un giorno, quando un contadino di Resina, un certo Giovanna Battista Nocerino detto Enzecchetta, nel fare i lavori al suo pozzo, sfondando parecchi strati di pietra durissima, si trovò con grande stupore di fronte a una varietà di marmi. Il contadino raccolse i marmi che gli sembrarono più belli e li vendette a un cosiddetto mar- moraro, che li utilizzò per fare statue di santi. ALA RISCOPERTA DI ERCOLANO A destra: Nella foto d'epoca l'eruzione del Vesuvio nel 1872 In alto, a destra: Nella foto d'epoca uno dei pozzi scavati Proprio in quel periodo, il principe di Elboeuf, in previ- sione delle sue nozze, aveva intenzione di costruire una residenza estiva. Per questa occasione aveva chiamato dalla Francia un celebre artigiano che sapeva fabbricare, con resi- dui di marmo, una specie di cemento porcellanato più duro e più brillante del marmo. Insieme, i due capitarono nella
  • 35. 33 bottega del marmista cliente di Enzecchetta, che mostrò loro gli oggetti in suo possesso. Il principe intuì che i pezzi di marmo che gli venivano offerti erano di origine romana e li comprò in blocco facendoli tra- sportare nella sua villa. Consultato il suo architetto, il principe ebbe conferma che si trattava di pezzi di epoca romana e allora decise di com-
  • 36. 34 prare il campo con il pozzo e continuare gli scavi a proprie spese. Partendo dal pozzo, inizia- rono a scavare alcuni cunicoli sotterranei e, dopo pochi gior- ni, gli scavatori si imbatterono in un ambiente che conteneva una statua di Ercole in marmo pario; e poi ancora in colonne di alabastro e statue di ottima fattura. Inizialmente il principe d’Elboeuf credette di aver messo mano su un tempio dedicato ad Ercole e proseguì gli scavi con ardore. Dopo tre giorni vennero alla luce tre sta- tue muliebri praticamente inte- gre e questo convinse ancor di più il principe che si trattava di un tempio di Ercole. Ma la sua convinzione era errata. Nonostante tutte le precauzio- ni per cercare di mantenere segreti questi scavi, l’intera città di Napoli non parlava che delle sensazionali scoperte, anche se nel 1720 - a dispetto degli scavi (non certo sistema- tici) del principe - non si era ancora riusciti a stabilire con certezza che cosa si fosse recu- perato. Negli anni seguenti il principe fu chiamato parecchie volte a Vienna, dove trascorse lunghi periodi, e per questo nessuno si fece più carico di riprendere gli scavi. Nel 1734 le truppe spagnole si impadronirono di Napoli e del territorio circostante. Poco dopo giunse sul luogo l’Infante di Spagna, Carlo III di Borbone, allora diciottenne, amante della caccia e della pesca. Egli volle acquistare una proprietà che gli offrisse la possibilità di esercitare i suoi due sport pre- feriti e seppe che era in vendita la proprietà del principe di Elboeuf. La acquistò e vi trovò le antichità recuperate dal prin- cipe che lo interessarono così tanto da ripromettersi di riprendere gli scavi non appe- na la situazione si fosse stabi- lizzata. Intanto nel 1727 il Vesuvio aveva dato luogo ad una nuova eruzione. L’anno dopo, Carlo III fece riprendere i lavori nello stesso punto dove il principe aveva trovato le sta- tue. L’impresa non era facile, poiché le antichità erano sepol- te sotto una massa pietrificata spessa dai quindici ai venti metri. Quindi non rimaneva altro che continuare a procede- re alla cieca per mezzo di galle- rie, ma utilizzando una mano- dopera più numerosa e mezzi più efficaci. Partendo di nuovo dal pozzo già scoperto nei pre- cedenti scavi, emersero fram- menti di due statue equestri in bronzo. Ne venne informato subito il marchese Don Marcello Venuti, umanista toscano, al quale il re aveva affidato la direzione della sua biblioteca di Napoli e della Galleria d’Arte ereditata dalla madre Elisabetta Farnese. Il marchese Venuti discese diret- tamente nelle gallerie dove gli operai stavano disseppellendo una scalinata e ne dedusse che ci si trovava in presenza del podio di un teatro o della gra- dinata di un anfiteatro. Nel dicembre del 1738 vennero estratti i frammenti di un’iscri-
  • 37. 35 zione attestante che un certo Lucio Annio Mammiano Rufo aveva finanziato la costruzione del Teatro. Non c’erano più dubbi: si trattava del theatrum Herculanense! Il lavoro di recupero, per meglio dire lo scavo dei cunico- li, intanto procedeva e nel 1739 si estrasse una magnifica statua equestre in marmo, che un’i- scrizione rivelò essere il ritratto di Marco Nonio Balbo, uno dei principali magistrati di Ercolano, poi governatore di Creta e della provincia d’Africa. Per quanto ingenua e poco versata in questioni archeologiche, la corte difende- va gelosamente il monopolio degli scavi: la consegna era for- male e nessuno poteva intra- prendere anche il più innocen- te lavoro di sterro senza incor- rere in severe ammende. Ben presto, tuttavia, Carlo III si rese conto che il direttore degli scavi, Alcubierre, eccellente tecnico ma incompetente in questioni archeologiche, com- metteva degli sbagli gravissi- mi. Il re decise quindi di affian- Nella pagina accanto: Stampa del XVIII secolo rappresentante reperti rinvenuti durante gli scavi Sopra: Nella foto d'epoca uno dei cunicoli scavati Sotto: Nella foto d'epoca un particolare della cavea del Teatro
  • 38. 36 A sinistra: Nella foto d'epoca particolare della scena del Teatro Al centro e in basso: Incisioni di Francesco Piranesi del XVIII secolo, rela- tive al Teatro di Ercolano Nella pagina accanto: Foto d'epoca rela- tiva alla statua equestre di M. Nonio Balbo cargli un luminare della scien- za, un certo Monsignor Ottavio Antonio Bayardi, che godeva della fama di erudito. Intorno al 1745 i lavori di scavo giunsero a una fase morta: il rendimento era nullo e gli animi erano turbati dalla minaccia di un’invasione delle truppe imperiali, incaricate di rimettere gli Asburgo sul trono di Napoli. Alla metà del Settecento, l’ingegner Weber aveva trasfe- rito la sua attività nella zona di Ercolano ed era stato adibito alla «sorveglianza e manuten- zione delle gallerie sotterra- nee»; egli ultimò una pianta della rete dei cunicoli e un pro- getto per il disseppellimento completo del teatro. Ben pre- sto, infatti, ne mise in luce il palcoscenico. Quando ebbe notizia delle importanti scoper- te di Resina, si buttò con ardo- re in questa nuova impresa: venne alla luce un peristilio di sessantaquattro colonne che circondava una vasta piscina rettangolare. Weber non crede- va ai suoi occhi quando a que- sta scoperta seguì il rinveni- mento di una vera e propria collezione di oggetti d’arte di fattura greca e romana, in bron- zo e in marmo. Fu subito evi-
  • 39. 37
  • 40. 38 dente che la villa racchiudeva tesori inestimabili. Era molto estesa e comprendeva stanze di soggiorno decorate ed arreda- te, logge, verande, porticati, atri, tutto perfettamente con- servato e intatto dopo circa diciassette secoli di sepoltura. La corte di Portici andò in deli- rio e il re dimenticò la caccia e la pesca per passare le sue gior- nate sui cantieri di scavo e ammirare le statue che veniva- no via via estratte. Non si era ancora potuto stabilire a chi fosse appartenuta la villa quan- do, nel 1752, venne fatta una nuova scoperta, ancora più sensazionale: gli operai sbuca- rono in una cameretta circon- data tutt’intorno da scaffali car- bonizzati contenenti strani
  • 41. oggetti cilindrici che facevano pensare a pezzi di carbone di legna tagliati simmetricamen- te. Si trattava di rotoli di papiro e poiché ve n’erano tanti radu- nati insieme, ci si trovava in presenza di una vera e propria biblioteca. Il vero problema era riuscire a svolgere quei papiri senza che si disfacessero com- pletamente. Passarono anni senza che si riuscisse a svolge- re un solo rotolo di papiro e tutti i tentativi fatti causarono solo la distruzione parziale o totale di un nuovo rotolo. Nel 1755 Bayardi diede finalmente alle stampe il primo inventario del museo, pubbli- cato in una veste editoriale sfarzosa, ma diffuso e prolisso, in cui dava descrizione di 738 Nella pagina accanto, in alto: Foto d'e- poca della staua equestre del figlio di M. Nonio Balbo Nella pagina accanto, in basso: Pianta degli scavi di Ercolano Sopra: Nella foto storica di Giorgio Sommer gli scavi nel 1861 Sotto: Nella foto d'epoca gli scavi del XIX secolo
  • 42. Sopra: Nella foto d'epoca, un cardo tra le insule II e III In basso, a sinistra: Particolare dei papiri rinvenuti In basso, a destra: Una veduta di Ercolano prima dei nuovi scavi Nella pagina accanto: Scavi lungo il cos- tone est dell'insula IV 40 affreschi, 350 statue e 1647 manufatti di minore importan- za. Nello stesso anno il re, con- sigliato anche da eruditi, decise di fondare la Regia Accademia Ercolanense, che doveva radu- nare tutti gli intellettuali di Napoli ferrati in antichità e in letteratura greca e latina. Purtroppo l’Accademia non arrecò alcun miglioramento alla tecnica degli scavi, né impedì che si perpetrassero gli stessi scempi del passato. Per questi motivi a Napoli si diceva con malignità che il Vesuvio, il quale dal 1755 aveva ripreso la sua attività, sputava fuori lava per protesta- re contro la lentezza con cui si
  • 43. 41
  • 44. 42 rimetteva in ordine ciò che in soli due giorni era riuscito a livellare al suolo. Dopo anni di interruzione, i lavori ripresero nel 1828, sotto il regno di Francesco I di Borbone. Per la prima volta furono condotti scavi ‘a cielo aperto’, diretti fino al 1855 dal- l’architetto Bonucci. In questo frangente, vennero messi in luce due isolati di case, tra cui il peristilio della Casa d’Argo. La generale scarsità dei ritrova- menti determinò tuttavia una nuova interruzione. In seguito i lavori ripresero grazie all’inte- ressamento del re Vittorio Emanuele II e all’iniziativa di Giuseppe Fiorelli. Purtroppo, anche questa volta, la porzione di città messa in luce fu molto modesta, anche a causa delle Sopra: Nella foto d'epoca una strada di Ercolano Sotto: Il re Vittorio Emanuele II inaugura l'inizio degli scavi del 1869 Nella pagina accanto: Nella foto d'epoca particolare del decumano
  • 45. 43
  • 46. abitazioni della moderna Resina che vi incombevano sopra. Fu solo nel 1924 che Amedeo Maiuri, divenuto Soprintendente agli Scavi e alle Antichità della Campania, provvide ad arrestare l’espan- sione della moderna Resina al di sopra dell’antica Ercolano, imponendo una serie di vincoli sulle aree ancora libere. I nuovi scavi iniziarono nel 1927 e furono inaugurati dal re Vittorio Emanuele III. La gran- de impresa, diretta da Maiuri A sinistra: Nella foto d'epoca, particolare del peristilio della Casa d'Argo negli scavi del 1828 In basso, a sinistra: Il re Vittorio Emanuele III in visita agli scavi Sotto: Il rinvenimento dei tetti delle abitazioni
  • 47. 45 In basso: Il debutto dei nuovi scavi del 1927 A destra: Particolare degli scavi del 1929 con abili maestranze e un’ecce- zionale organizzazione dei cantieri di lavoro, si protrasse fino al 1958, anche se già nel 1942 quasi tutta l’area che costituisce l’odierno parco archeologico, era stata riporta- ta alla luce. Tra il 1960 e il 1969, ulteriori lavori furono condotti nella zona settentrionale e sul Decumano Massimo, con la scoperta della Casa degli Augustali e del quartie- re dell’atrio della Casa del Salone Nero. Negli ultimi venti anni del Novecento, è stata esplorata l’antica spiaggia, nella cui area sono emersi 12 ambienti con ingresso ad arco, i cd. Fornici, ricoveri per barche e magazzini dove molti Ercolanesi avevano cercato invano riparo. Nuovi e accuratissimi rilievi sono stati eseguiti nel 1993 e quindi nel biennio 1997-1998 dagli architetti Alfredo Balasco
  • 48. 46 Sopra: Lo sviluppo degli scavi Sotto: Il rinvenimento di una imbarcazione Nella pagina accanto: Le difficoltà incontrate durante il consolidamento delle abitazioni e Alfredo Maciariello e dal geo- metra Pietro Cifone, sotto la direzione di Mario Pagano, funzionario della Soprintendenza Archeologica di Pompei. Durante l’esecuzio- ne di questi rilievi sono stati effettuati due piccolissimi scavi per mettere interamente allo scoperto un’iscrizione dipinta e recuperare alcuni frammenti di una scultura in bronzo e di una cornice angolare marmorea del sacello centrale posto sulla sommità della cavea, vicino il pozzo grande. Anche oggi rimane il proble- ma del moderno abitato che preme su parte dell’area archeologica, costituendo una barriera a possibili nuovi scavi. Questo vuol dire che la scoper- ta di Ercolano non è ancora finita: altre meraviglie attendo- no di essere ammirate dal mondo intero!
  • 49. 47
  • 50. 48 IL TEATRO DI ERCOLANO Il teatro fu costruito in età augustea in una zona di Ercolano urbanizzata e popola- ta probabilmente già dalla fine dell’età repubblicana. Con que- sta cronologia concordano sia lo stile dei capitelli e delle cor- nici della scena, sia la tecnica edilizia. L’edificio è posto in prossimità del Foro e per que- sto motivo era considerato uno degli edifici pubblici più importanti della città. Esso poteva contenere all’incirca In basso: Nella foto d'epoca particolare dei resti della scena del Teatro Nella pagina accanto in alto: Nella foto d'epoca un particolare della cavea Nella pagina accanto al centro: Particolare di scritte graffite sull'intonaco delle pareti del Teatro Nella pagina accanto in basso: Incisione del XVIII secolo di Francesco Piranesi raffigurante una ricostruzione, in sezione, del Teatro
  • 51. 49 2500 persone. È orientato da nord-est a sud-ovest, con la cavea rivolta verso est, ha un diametro massimo di 54 m ed è interamente costruito in opera reticolata e cementizia, fatta eccezione per la scena e la fac- ciata esterna del corridoio anu- lare che sono in laterizio. Sulle pareti del teatro riman- gono firme in varie lingue, testimonianza dei viaggiatori del Settecento e dell’Ottocento, e i segni dei picconi degli sca- vatori borbonici. Nella cavea, lungo i percorsi attualmente praticabili, si
  • 52. 50 incontrano cunicoli chiusi da materiale vulcanico e scavati nel Settecento per indagare parte della cavea e dei podi. La parte alta della scaletta radiale centrale è attraversata dal grande pozzo del 1750. Il corri- doio che costeggia la sommità della media cavea era coperto da volta a botte decorata con stuc- co perfettamente conservatosi e serviva a disciplinare l’afflus- so degli spettatori dall’emiciclo sottostante alle scalette che conducono alla summa cavea. La summa cavea, già indagata in età borbonica, si compone di tre gradini ed è divisa in quat- tro settori da altrettante scalette radiali. Al centro e ai lati di essa erano tre edicole che servi- vano ad accogliere statue eque- stri in bronzo dorato, recupera- te in stato frammentario nel Settecento. Scendendo nell’ima cavea, formata da quattro gradini di marmo e un tempo separata dalla media cavea da una tran- senna di lastre marmoree, inte- ramente asportate, si giunge all’orchestra, che ha una forma semicircolare ed era rivestita da lastre di marmo giallo anti- co di cui rimangono alcuni
  • 53. 51 frammenti. Da qui si giunge al pulpitum, cioè la fronte del pal- coscenico, realizzato in lateri- zio rivestito di marmo; il muro presenta alle estremità due sca- lette che consentivano agli atto- ri di salire sul tavolato del palco dove si svolgeva la rap- presentazione. Il fronte scena (frons scenae) era costruito inte- ramente in opera laterizia e rivestito di marmi pregiati di cui rimangono solo pochi ele- menti. Sul podio del fronte scena si impostavano dieci colonne che inquadravano tre porte e quattro nicchie qua- drangolari che ospitavano le statue ritrovate nei primi scavi del principe d’Elboeuf. La decorazione scultorea della scena comprendeva sta- tue femminili, inserite in nove nicchie rettangolari, di cui ci sono pervenute la Piccola e la Grande Ercolanese, oggi conser- vate a Dresda. Le tre grandi porte del fron- te scena immettevano in una camera, forse adibita a spoglia- Nella pagina accanto in alto: Particolare del corridoio che costeggiava la media cavea Nella pagina accanto in basso: Iscrizione dedicata dagli ercolanesi a Marco Nonio Balbo Sopra: Resti di affreschi delle volte In alto a destra: Iscrizione dedicata dopo la morte a Claudius Pulcher amico di cicerone In basso: Particolare del fronte scena del Teatro
  • 54. 52 Sopra: la cd. Grande Ercolanese, conserva- ta a Dresda A destra in alto e al centro: Le cd. Piccole Ercolanesi, conservate a Dresda Nella pagina accanto in alto a sinistra: Statua in bronzo di M. Calatorius Quartio, dal Teatro. Museo Archeologico Nazionale di Napoli Nella pagina accanto al centro: Lapide del XIX secolo indicante l'ingresso al Teatro Nella pagina accanto, in alto a destra: Statua in bronzo di Agrippina Minore, dal Teatro. Museo Archeologico Nazionale di Napoli Nella pagina accanto in basso: Modellino in scala del Teatro toio per gli attori. Nella parte retrostante la scena sono rico- noscibili le due scale per mezzo delle quali si raggiungevano i tribunalia attraverso un solaio di legno di cui rimangono le travi carbonizzate. Dietro la lunghezza della scena correva una porticus post scaenam, che aveva una fila di colonne in laterizio rivestite da stucco bianco. Dell’emiciclo del teatro, costituito da diciassette arcate, è visibile la parte bassa dei pilastri del primo ordine. I locali d’accesso al teatro, già sistemati nel 1750 all’inizio delle campagne di scavo, furo- no risistemati nel 1849 e restau- rati nel 1865 su iniziativa di Giuseppe Fiorelli. Nella stanza di ingresso sono state recente- mente esposte le fotografie delle varie piante dell’edificio, tra cui quella più antica, realiz- zata dall’Alcubierre. Altre foto- grafie mostrano le statue che decoravano la scena del teatro e alcuni protagonisti degli scavi e degli studi su Ercolano.
  • 55. 53 Al centro della stanza si trova un plastico eseguito nel 1808, forse a scopo didattico, e nella saletta adiacente sono stati esposti i primi ritrovamenti marmorei dell’epoca borboni- ca, tra cui un capitello corinzio con palmette.
  • 56. «TANTI BEI QUADRI PER LA GALLERIA DEL RE…» Nel 1739, durante gli scavi dei cunicoli di Ercolano che portarono alla scoperta del Teatro, ci si imbatté in un fregio dipinto. Carlo III di Borbone acconsentì a staccarlo e lo scul- tore francese Joseph Canart ini- ziò a ‘ritagliare’ le scene figura- te dalla parete. Questo primo stacco inaugurò la prassi di ritagliare dalle pareti degli edi- fici ercolanesi e pompeiani, con l’ausilio di scalpelli, solo la parte affrescata ritenuta di 54 A sinistra: Giocatrici di astragali. Dipinto su marmo rinvenuto ad Ercolano nel Maggio 1746. Museo Archeologico Nazionale di Napoli Sopra: Scena di Banchetto. Affresco, da Ercolano. Museo Archeologico Nazionale di Napoli Sotto: Predella e Pannello. Frammento di affresco. Rinvenuto ad Ercolano nel Dicembre del 1947. Museo Archeologico Nazionale di Napoli maggior pregio, che veniva chiusa in cassette e trasportata nei laboratori di restauro. Lì la superficie dipinta veniva libe- rata dalla terra dello scavo e si assottigliava la porzione di muro rimasta attaccata, sten- dendo su di essa uno strato di gesso o di ardesia per irrigidir- la. Il lato posteriore del pannel- lo staccato era poi chiuso con assi di legno e la cassetta veni- va rifinita con cornici di casta- gno dipinte in rosso con bordo
  • 57. A destra: Scenografia Teatrale. Affresco. Rinvenuto ad Ercolano nel Luglio 1743. Museo Archeologico Nazionale di Napoli In alto a destra: Infanzia ed educazione di Dioniso, particolare, Affresco da Ercolano. Museo Archeologico Nazionale di Napoli nero, sulle quali era riportata in caratteri romani l’iniziale della città di provenienza. La preoc- cupazione non era pertanto quella di conservare l’intera parete, ma di realizzare ‘qua- dri’ e ‘quadretti’ con cui arric- chire la collezione di Carlo III. Come scriveva lo storico e archeologo Ridolfino Venuti nel 1739, quando il Canart ese- guì il primo stacco: «Si taglie- ranno, e se ne farà tanti bei Quadri per la Galleria del Re!». Nel 1771 i dipinti recuperati e conservati erano già 1400. Per i primi decenni non ven- 55
  • 58. 56 nero applicate alle pitture stac- cate né integrazioni, né rico- struzioni pittoriche, seguendo un criterio prettamente moder- no. La selezione degli affreschi da staccare per il sovrano fu affidata a Camillo Paderni, custode del Museo Ercolanese di Portici, che decideva anche quali distruggere: «Carnat o i suoi aiutanti staccavano le pit- ture, ma la decisione circa la pittura da staccare o da rompe- re spettava a Paderni» (A. ALLROGGEN-BEDEL - H. KAMMERER GROTHAUS 1983). Ma questo scempio non durò a lungo, perché il Winckelmann informò le altri corti europee di quanto si stava compiendo ai danni dei dipinti ritrovati e nel 1763 il re di Borbone, per salva- guardare il suo buon nome, fu costretto a vietare questa prassi. Intanto si cercava di ovviare ad un problema di non facile risoluzione: i colori brillanti delle pitture antiche, una volta tolta la terra che li ricopriva, tendevano ad opacizzarsi. Si tentarono diversi procedimenti conservativi e alla fine prevalse la scelta di stendere sulle superfici una specie di ‘vernice’ liquida trasparente, ideata dal capitano di artiglieria Stefano Moriconi, anche se questa, a lungo andare, tendeva ad ingiallirsi. Nel 1811 il pittore Andrea Celestino individuò le cause del degrado degli affre- schi vesuviani e presentò una relazione al Direttore del Museo di Napoli. In maniera intuitiva egli distinse anche il diverso modo di operare sui ‘quadri’ conservati nel Museo e sulle pitture ancora in situ. La preparazione della ‘vernice’ di Celestino era molto elaborata, ma indubbiamente ha dato notevoli risultati, poiché ha protetto a lungo gli affreschi dall’attacco degli agenti esterni. Per questo nel 1813 il Direttore del Museo di Napoli decise di adottare, per la salvaguardia delle pitture vesuviane, questo nuovo procedimento. A sinistra: Volto di fanciulla. Particolare di affresco, da Ercolano. Museo Archeologico Nazionale di Napoli In basso: Pannello con medaglioni raffig- uranti Sileno, Menade e Satiro. Affresco da Ercolano. Museo Archeologico Nazionale di Napoli Nella pagina accanto: Cerimonia Isiaca. Particolare di affresco da Ercolano. Museo Archeologico Nazionale di Napoli
  • 59. 57
  • 60. GLI AFFRESCHI DELL’AUGUSTEUM La cd. Basilica di Ercolano, oggi meglio nota come Augusteum, è ancora sepolta sotto la città moderna. Per avere un’idea dell’organizza- zione architettonica del com- plesso, uno spazio porticato che occupava un settore del Decumano Massimo, bisogna pertanto ricorrere alla docu- mentazione degli scavi sette- centeschi. Sappiamo che - oltre alle statue e alle iscrizioni - l’e- dificio ha restituito quattro grandi pannelli ad affresco con profilo concavo: il Teseo liberato- re dei giovani Ateniesi, Ercole e Telefo, Achille e il centauro Chirone, Pan (o Marsia) e il gio- vane Olimpo. Il primo pannello raffigura l’episodio finale del mito di Teseo, figlio di Egeo ed Etra, che si era unito alla spedizione con cui Atene si era impegnata a mandare a Minosse, re di Creta, un tributo di sette fan- ciulli e sette fanciulle da servire in pasto al Minotauro. Teseo, sbarcato a Creta, riuscì ad ucci- dere il Minotauro e ad uscire 58 dal Labirinto con l’aiuto di Arianna, liberando così gli Ateniesi dal pesante tributo. Nell’Ercole e Telefo è rappresen- tato il momento del ritrova- mento da parte di Ercole del figlioletto Telefo, che la madre, la principessa Auge, aveva esposto sul Monte Partenio in Arcadia, dove il bambino fu allattato da una cerva e alleva- to dai pastori della regione, qui personificata come figura fem- minile seduta su una roccia che tiene un bastone nodoso nella mano sinistra. Nel pannello che ritrae Pan (o Marsia) e Olimpo, il giovane Olimpo, mitico musici- sta, sta apprendendo l’uso del flauto da un Sileno. Nell’ultimo affresco, Achille e il centauro Chirone, sono infine rappresen- tati l’eroe Achille, ancora adole- scente, che impara a suonare la lira dal suo maestro, il saggio centauro Chirone, raffigurato con orecchie equine e pelle feri- na sulle spalle. Quando vennero scoperti, il 25 novembre del 1739, questi affreschi suscitarono un gran- dissimo interesse, tanto che furono le prime pitture pubbli- cate nelle Antichità di Ercolano. Poiché si trattava di quadri di grande formato e con soggetto mitologico, alimentarono nel mondo accademico vivaci discussioni. Dai rendiconti dello scavo del 1739 si ricavano putroppo scarsi elementi per dedurre la posizione originaria dei quadri sulle murature del- l’edificio. Infatti, nelle relazioni di scavo, dopo il distacco di una sacerdotessa, non ci sono altre notizie riguardanti deco- razioni parietali ad affresco. Tuttavia, sulla base del pro- filo concavo dei quadri, sembra oggi accertata la loro prove- nienza dalle nicchie absidate
  • 61. 59 Nella pagina accanto in basso: Disegno raffigurante i resti dell'augusteum di Ercolano Sopra: Teseo libera i fanciulli ateniesi. Affresco dall'Augusteum di Ercolano, cm. 155 X 194. Museo Archeologico Nazionale di Napoli A destra: Eracle e Telefo. Affresco dall'Augusteum di Ercolano, cm. 182 X 218. Museo Archeologico Nazionale di Napoli A pag. 60: Chirone e Achille. Affresco dall'Augusteum di Ercolano, cm. 127 X 125. Museo Archeologico Nazionale di Napoli A pag. 61: Marsia e Olimpo. Affresco dall'Augusteum di Ercolano, cm. 112 X 126. Museo Archeologico Nazionale di Napoli poste sul lato di fondo dell’Augusteum, anche se il primo problema è rappresenta- to dal fatto che ci sono due nic- chie e quattro quadri ad affre- sco. Domenico Esposito, calco- lando le misure delle pitture ricurve, ha ipotizzato che in ciascuna nicchia absidata fosse- ro collocati un grande quadro a soggetto mitologico fiancheg- giato da due pitture come quel- la con il centauro Chirone e Achille. Ma questa ipotesi susci- ta qualche perplessità. Nel 1761 l’Augusteum fu nuovamente esplorato e in questo frangente venne distac- cata una serie di pitture dispo- ste nella zona superiore, tra cui i quadri con le fatiche di Ercole. Ancora oggi la loro cronologia e interpretazione sono oggetto di discussione. Per quanto riguarda la datazione, purtrop- po non abbiamo l’intero ciclo pittorico ma solo frammenti, per cui potrebbe trattarsi del primo allestimento dell’edifi- cio, risalente alla metà del I sec. d.C. (età claudia). Da vari elementi, l’ipotesi oggi accreditata è che le due grandi pitture curvilinee, raffi- guranti il Teseo liberatore ed Ercole e Telefo (entrambi conser- vati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli), rivestis- sero le pareti delle due nicchie absidate. Data la loro posizio- ne, non c’è dubbio che dovesse- ro avere un ruolo di grande importanza nel programma decorativo dell’intero edificio. Il quadro con il piccolo Telefo allattato da una cerva sul monte Partenio, alla presenza di Ercole, mitico fondatore di Ercolano, e quello con Teseo, fondatore di Atene, hanno in comune l’esaltazione dell’eroe fondatore e il tema del miraco- loso salvataggio di giovinetti. Una diversa ipotesi inter- pretativa, riguardo i due affre- schi, è stata proposta da
  • 62. 60 Françoise Gury, che nel quadro di Ercole e Telefo identifica la maestosa figura femminile seduta davanti l’eroe nella Magna Mater, riconoscendo nella rappresentazione anche un’allusione al restauro del tempio di Ercolano, dedicato alla stessa dea, realizzato dal- l’imperatore Vespasiano nel 76 d.C. Il quadro con Teseo liberato- re, nella sua ambientazione cre- tese, conterrebbe invece un riferimento sia a Marco Nonio Balbo, che fu proconsole di Creta e Cirene, sia a Vespasiano, anch’egli procon- sole di Creta e Cirene. La stu- diosa è inoltre convinta che la c.d. Basilica di Ercolano sia quella costruita da Balbo e restaurata da Vespasiano, inter- pretando l’edificio come luogo dedicato al culto imperiale. Recentemente Mario Torelli ha proposto una nuova lettura dei quattro pannelli, che sareb- bero stati creati con l’intento di celebrare il culto imperiale, interpretando le scene mitolo- giche rappresentate come un’e- vocazione dell’atmosfera del ginnasio, luogo riservato in Grecia alla preparazione fisica e all’educazione dei giovani: il piccolo Telefo, i giovani Ateniesi, Achille e Olimpo rap- presenterebbero pertanto i diversi stadi di crescita e for- mazione degli iuvenes (giova- ni). Seguendo l’interpretazione di Torelli, è possibile che l’edifi- cio fosse proprio destinato al culto imperiale, lasciando spa- zio anche a funzioni commer- ciali. Ed è anche per questo che il nome Augusteum sembra essere appropriato. I
  • 63. 61
  • 64.
  • 65.
  • 66. 64 IL CONTRASTATO PERIODO DELL’IMPERO ROMANO TRA STORIA E ARCHEOLOGIA l termine anarchia mili- tare definisce solitamente quel momen- to storico dell’epoca imperiale caratterizzato da imperatori-soldati che erano per lo più eletti dalle proprie legioni di appartenenza e con grande rapidità, spesso in conseguenza di eventi favorevoli o sfavore- voli alle diverse milizie, e veni- vano destituiti mediate morte violenta o per tradimento. Questo periodo si colloca tradi- zionalmente tra il principato di Massimino il Trace (235 d.C.) e l’avvento al potere di Diocleziano nel 284 d.C. Le origini di questo partico- lare degrado culturale e politico sono state ricondotte da diversi storici già al principato di Settimio Severo, salito al trono nel 193 d.C. in maniera rocam- bolesca e per acclamazione delle legioni della Pannonia Superiore (di cui Settimio era legato propretore), a cui presto si unirono quelle della Dacia, IANARCHIA MILITARE Sopra: Aureo di Settimio Severo e Giulia Domna A destra: Il Foro di Leptis Magna Nella pagina accanto, in alto a sinis- tra: Busto ritratto di Settimio Severo (Roma, Musei Capitolini) Nella pagina accanto, in alto a destra: Testa in bronzo di Settimio Severo del Norico, della Germania e della Rezia. Settimio Severo si trovò di fronte a un impero che viveva la sua peggior crisi eco- nomica, politica e militare dalla sua nascita e malgrado fosse ispirato da nobili ideali, dovette presto adottare misure drastiche per porre rimedio al clima di disfacimento dello Stato. Di certo, era lontana l’idea dell’im- pero così come venne elaborata da Augusto, accolta e praticata dalla maggior parte dei suoi successori: quella di un governo fondato sulla cooperazione tra il princeps, quale sovrano indi- scusso, e tutte le forze politiche, economiche e istituzionali, anche a livello periferico, e in cui l’esercito non era che uno dei tanti mezzi utile al raggiun- gimento di questa idea, che si potrebbe definire democratica per la partecipazione di tutti a un fine supremo e che fino alla fine del II sec. d.C. aveva dato i suoi ambitissimi frutti. Settimio Severo era anche
  • 67. 65 uno statista freddo, pratico, lun- gimirante. Comprese immedia- tamente che lo Stato romano era ormai divenuto una macchina preparata per la guerra e diede tutto il suo sostegno all’esercito mediate cure e benefici del tutto nuovi e, per certi aspetti, inatte- si. Questa opera di profonda militarizzazione si rese necessa- ria anche per le sempre più pressanti minacce delle popola- zioni barbariche ai confini del- l’impero, ma soprattutto permi- se al nuovo imperatore di con- cretizzare la sua visione assolu- tistica dello Stato, che proprio nell’esercito vedeva la sua mag- giore forza. La vecchia aristo- crazia, i ceti medi e ricchi, l’ordi- ne equestre e non da ultimo, il senato, venivano a ricoprire ruoli sempre più secondari e di etichetta, lasciando così alle milizie il ruolo preminente nella vita dello Stato romano. Da que- sto momento in poi sarà quasi sempre l’esercito a decidere l’imperatore di turno e con esso la politica, divenuta ormai mili- tare, da seguire nel decidere le diverse operazioni belliche che dovevano essere condotte e per- seguendo, in genere, finalità economiche e personalistiche legate ai diversi bottini di guer- ra da poter conquistare. Le lotte intestine tra legioni per la supremazia dell’una o dell’altra
  • 68. 66 al fine di acclamare i loro gene- rali alla porpora, fra tradimenti, congiure e complotti, completa- no infine il quadro di questi decenni torbidi della storia romana, per concludersi con quella crisi nell’unità dell’impe- ro che sfocerà nella sua divisio- ne e nella fine di Roma quale capitale di un solo Stato. Questo nuovo sistema fonda- to sull’esercito venne ufficializ- zato da Settimio Severo attra- verso alcuni interventi che ave- vano lo scopo di dare il massi- mo favore al benessere dei sol- dati. È il caso, ad esempio, delle cleruchie, ossia l’assegnazione di terre coltivabili ai soldati che in genere le cedevano ad appalta- tori per il loro mantenimento. Venne poi concesso all’esercito il controllo sulle confische dei beni, sui pagamenti all’erario e su tasse speciali, come l’Annona, istituita in Egitto, che veniva per lo più pagata in natura. Ai soldati venne anche elargito l’anulus aureus affinché
  • 69. 67 Nella pagina accanto, in alto: L'Arco di Settimio Severo a Leptis Magna Nella pagina accanto, in basso: Lo splendido Teatro di Leptis Magna Sopra: Uno dei pannelli dell'Arco di Settimio Severo con rappresentazione di soldati Sotto: Particolare del Foro Romano, sulla destra l'Arco di Settimio Severo potessero essere aggregati nel- l’ordine equestre e, infine, data la notevole svalutazione mone- taria di quel periodo, il loro sti- pendio venne quasi raddoppia- to. Ma la concessione forse più singolare e rivoluzionaria fu che i legionari potevano arruolarsi anche se sposati e vivere con le loro mogli in villaggi prossimi agli accampamenti, venendosi così a infrangere la netta separa- zione esistente fra il castrum e il mondo civile. La lungimiranza di Settimio Severo, tuttavia, lo portò a escludere da quest’ulti- mo beneficio i suoi fedeli e pre- diletti pretoriani, che continua- rono ad essere sottoposti a una rigida disciplina. In ultima analisi sono signifi- cative, dopo tutte queste con- cessioni elargite in vita, le ulti- me parole che Settimio Severo disse ai suoi figli, Caracalla e Geta, poco prima di morire: «Andate d’accordo, arricchite i soldati, non preoccupatevi degli altri». Questo imperante strapotere dell’esercito e il nuovo clima esasperatamente militarizzato non tardò a dare i suoi esiti pro- prio durante gli anni di regno della dinastia dei Severi. Caracalla, infatti, nell’inver- no del 216-217 d.C. si trovava ad Edessa, suo quartier generale, per prepararsi a sferrare un nuovo attacco contro il re dei Parti, Artabano V. I soldati che erano già da tempo esasperati per i ritardi e i costanti rinvii nell’iniziare la nuova campagna bellica, trovarono l’occasione per sopprimerlo durante un suo viaggio a Carrhae, nell’odierna Turchia, supportati dal tradi- mento del suo fidato prefetto del pretorio, Macrino, che giun- se addirittura ad intendersi con i capi dell’opposizione a Roma per avere la certezza della sua elezione alla porpora dopo l’as- sassinio di Caracalla. La città di Carrhae, già teatro di una dolorosa disfatta subita nel lontano 53 a.C. dall’esercito romano comandato da Licinio Crasso contro i Parti, fu scelta, a partire dalla metà del II sec. d.C., quale avamposto e base per le operazioni belliche verso la Mesopotamia. Probabilmente
  • 70. 68 essa viene anche rappresentata in uno dei pannelli a rilievo che decorano l’Arco di Settimio Severo nel Foro Romano, eleva- to in memoria delle vittoriose campagne partiche di questo imperatore. Si tratta proprio del pannello sinistro della fronte dell’Arco che guarda il Foro, in cui - dal basso verso l’alto - sono raffigurate su tre registri le fasi iniziali della prima campagna partica con la partenza dell’e- sercito romano dall’accampa- mento di Carrhae, rappresentato al centro con le sue poderose mura. Il prestigio di questa città crebbe moltissimo tanto che divenne colonia e sede di una importantissima zecca durante il principato di Marco Aurelio, raggiungendo il suo apogeo proprio all’epoca di Caracalla con emissioni bronzee che reca- vano l’effige dell’imperatore e immagini allusive al culto luna- re della città. Proprio un devoto pellegrinaggio verso questo santuario fu fatale a Caracalla, soppresso dai suoi fedeli colla- boratori capeggiati da Macrino. Era l’8 aprile del 217 d.C. Marco Opelio Macrino era di origine africana, nato da umile famiglia. Le fonti lo descrivono come un uomo ignobile e sordi- do che svolse da giovane umili mansioni presso la corte impe- riale. Riuscì comunque a far car- riera e a raggiungere l’alto grado di prefetto del pretorio. La sua acclamazione a impera- tore non fu mai ben vista dal Senato e dal popolo di Roma che si trovava ad avere sul mas- simo soglio imperiale, per la prima volta, un personaggio appartenente all’ordine eque- Sopra: Particolare dei resti della città di Edessa Sotto: Particolare dei resti della città di Carre Nella pagina accanto: Busto dell'impera- tore Marco Opellio Macrino (Musei Capitolini - Roma)
  • 71. 69
  • 72. 70 Sopra: Iscrizione realizzata sull'architrave dell'Arco degli Argentari. Roma Sotto: Rilievo eseguito all'interno dell'Arco degli Argentari raffigurante l'im- peratore Settimio Severo e sua moglie Giulia Domna Nella pagina accanto, in alto: Denario con l'immagine di Giulia Maesa, nonna di Eliogabalo Nella pagina accanto, al centro: Denario con l'immagine di Giulia Soemia, madre di Eliogabalo Nella pagina accanto, in basso: L'imperatore Eliogabalo rappresentato su una moneta stre. I tempi tuttavia erano vera- mente difficili. Alla notizia della morte di Caracalla e della ripre- sa degli attacchi dei Parti, che riconquistarono molti territori in precedenza occupati dai Romani, l’elezione di Macrino fu accolta e questi restò a capo degli eserciti presso le regioni della Mesopotamia. A Roma, frattanto, serpeggia- va il malcontento, anche se, malgrado la crisi congiunturale e il momento di grande inquie- tudine etica, l’Urbe continuava a godere di numerosi privilegi che sembravano aumentare con l’accrescersi delle difficoltà riscontrate dall’esercito nella difesa dei confini. Questo è anche testimoniato dal fatto che alle consuete distribuzioni di grano alla plebe, si aggiunsero anche quelle di carne suina (caro porcina), di cui si ha testimo- nianza nel monumento, chiama- to impropriamente Arco degli Argentari, dedicato nel 204 d.C. nel Foro Boario in onore di Settimio Severo e della sua famiglia dagli argentarii (ban- chieri) e dai negotiantes boarii (commercianti di carne bovina). L’opera architettonica è infatti da considerarsi una porta archi- travata di accesso al Foro Boario, che in seguito fu anche legata all’istituzione, da parte di Caracalla, del Foro Suario, dove i boarii, come attestano le fonti, si prestarono a una distribuzio-