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Alto custode di memorie antiche,
Di sculti marmi e combattute mura,
La luce, Lucos, delle tue fatiche
Immacolata in noi risplende e dura.
Raniero Gnoli
© Roma 2014 – Edizioni Quasar di Severino Tognon
Via Ajaccio 41-43 - 00198 Roma
Tel. 0685358444 Fax 0685833591
email: qn@edizioniquasar.it
www.edizioniquasar.it
ISBN 978-88-7140-555-1
Giustificazione dell’epigramma di Raniero Gnoli
Nei primi due versi si allude alle ricerche e studi di Lucos Cozza sui frammenti marmorei della Forma Urbis e le Mura di Roma.
Negli altri due si dice come i suoi lavori, i suoi scritti chiariscano per noi molteplici vicende storiche e topografiche. Essi sono fonte
di luce destinata a durare nel tempo, sempre essenziali, mai inquinati o macchiati da orpelli retorici o cedimenti eruditi.
Ringraziamenti
I curatori vogliono ringraziare sia per la collaborazione nell'organizzazione della Giornata di Studi alla British School at Rome
che per l'assistenza nelle diverse fasi della pubblicazione: Gennaro Aiello, Filippo Coarelli, Antonella Parisi, Christopher Smith,
Adelaide Zocchi, lo staff della British School at Rome al completo, in modo particolare Valerie Scott e tutto lo staff della biblioteca
e dell'archivio. Un grazie inoltre a Martina Tognon e lo staff di Edizioni Quasar, in particolare a Emanuele Gabellini.
Scritti in onore di
Lvcos Cozza
a cura di
Robert Coates-Stephens e Lavinia Cozza
edizioni quasar
Lexicon Topographicum Urbis Romae - Supplementum VII
Federico Guidobaldi
Horti nominis sui: considerazioni sulla residenza esquilina di Licinio
Gallieno e sulla topografia degli Horti nell’area sud-est di Roma
Fonti documentarie e archeologiche decisamente oggettive, pur se non sempre specifiche dal punto di
vista topografico, indicano che a Roma, a partire dall’età tardorepubblicana – ma poi sempre più incisiva-
mente fino al pieno III secolo – gran parte della fascia allora periurbana, cioè immediatamente esterna alla
cinta repubblicana, era occupata da Horti, vaste zone verdi del tipo degli attuali parchi, che includevano
spesso – ma non necessariamente – anche alcune costruzioni di tipo abitativo o funzionale-decorativo, in-
serite anche a più riprese e quindi in varie fasi.
Di gran parte di questi Horti conosciamo i nomi e, in molti casi, la zona in cui si estendevano ma, di fatto,
abbiamo solo indicazioni assai generiche – se non addirittura inesistenti – sulla estensione di ciascuno di
essi o sulla posizione dei relativi confini e, tranne pochissimi casi, sappiamo assai poco sulle costruzioni che
essi includevano e sul tipo di frequentazione di cui erano oggetto.
Questo convegno, dedicato alla cara memoria di Lucos Cozza, mi offre l’occasione per approfondire lo
studio topografico di alcuni Horti e in particolare di quelli riferibili all’area che si trova tra l’attuale piazza dei
Cinquecento e il complesso di S. Croce in Gerusalemme e che è delimitata verso est da uno dei tratti delle
mura Aureliane che è stato oggetto di uno dei magistrali studi dello stesso Lucos Cozza1.
Quanto premesso in generale vale ovviamente anche per questo settore periurbano di Roma, che offre
tuttavia informazioni più numerose rispetto ad altre zone sia per quanto riguarda le fonti, sia per i resti ar-
cheologici registrati nella zona, che, comunque, sono piuttosto frammentari, poco studiati e, dato che buo-
na parte delle indagini che li hanno riportati in luce risalgono agli sterri dell’epoca “umbertina”, sono anche
mal documentati. Dal punto di vista topografico è probabile che un notevole contributo ci potrà venire in
un prossimo futuro dalle nuove carte archeologiche integrate, come quelle del SITAR2, che ho potuto in
parte utilizzare quando erano in fase di avanzata elaborazione, per la aperta disponibilità della responsabile
di questo meritorio programma, Mirella Serlorenzi, che qui ringrazio sentitamente per avermi permesso e
facilitato la consultazione dei materiali già acquisiti.
Nonostante questo nuovo e versatile strumento, risulta comunque ancora oggi assai difficile attribuire,
ad uno o all’altro degli Horti noti dalle fonti, gli eventuali resti archeologici emersi a più riprese nell’area
orientale dell’Esquilino e ciò anche perché non abbiamo idee precise su quali fossero le strutture che ci si
può aspettare di trovare all’interno di tali complessi e tanto meno sappiamo se esse fossero diverse nei vari
secoli dell’età imperiale.
Sembra comunque evidente che il problema che è alla base di almeno una parte delle incertezze attuali
sia quello relativo alla cronologia. In effetti, in questo come in molti altri temi topografici, quando le fonti
1  Cozza 1997. Questo tratto di mura è per me legato in modo particolare al ricordo del caro collega ed amico che accompagnai con
gran piacere nella sua appassionata analisi delle strutture e delle numerosissime fasi costruttive che nessuno meglio di lui sapeva
individuare: è per questo che in ricordo della nostra pluridecennale amicizia, dedico volentieri alla sua memoria questo studio, re-
lativo appunto a quell’area della quale io stesso mi occupavo nell’ambito di un’indagine sul cosiddetto Tempio di Minerva Medica
(Guidobaldi 1998).
2  Sulla struttura di questo sistema informativo, attualmente in fase avanzata di sviluppo, si può fare riferimento al recente Convegno
specifico (Serlorenzi 2011).
128	 Federico Guidobaldi
non sono molto numerose si tende a relazionarle come se fossero contemporanee anche se si riferiscono ad
epoche assai distanti tra loro.
Proprio per questo motivo ho ritenuto opportuno proporre, anche se a livello del tutto preliminare,
un tentativo di inquadramento diacronico della topografia dell’area in oggetto, utilizzando come punto di
partenza le schede pubblicate nel Lexicon di Margareta Steinby3, le lucide sintesi di Filippo Coarelli4 e le
pubblicazioni specifiche più recenti.
Per la situazione dell’inizio del I secolo d.C., abbiamo pochi dati epigrafici, che tuttavia, insieme ad ancor
più scarsi dati storici, ci permettono di indicare approssimativamente, per quell’epoca, alcune “presenze
topografiche”.
Partendo da nord (fig. 1a), nell’area dell’attuale Museo di Palazzo Massimo e della parte sud ovest delle
terme di Diocleziano, dovevano esistere gli Horti Lolliani5, documentati da un cippo terminale ritrovato in
situ, ma posto quando la proprietà era già passata all’imperatore Claudio.
Al centro-est dovevano trovarsi poi gli Horti Calyclani6 seguiti in adiacenza dai Tauriani, come ricaviamo
da due cippi terminali, rinvenuti nel sito di collocazione originaria (uno divelto ma probabilmente in pros-
simità della posizione in cui era stato fissato) al confine tra i due Horti in punto indicato con precisione da
Lanciani (comunque dietro a S. Eusebio, nel tratto dell’allora via Principe Umberto, ora via Filippo Turati,
compreso tra via Rattazzi e via Cappellini)7, mentre un altro cippo ritrovato solo nel 1951 in via Giolitti, an-
golo via Cappellini, recava solo il nome degli Horti Calyclani8, dimostrando così che, in quell’area marginale,
essi non confinavano più con i Tauriani (cfr. fig. 1).
Questi ultimi, come osservato giustamente da Grimal9 e da Papi10, dovevano essere molto estesi, poi-
ché a nord includevano, scavalcandola, la via Tiburtina e probabilmente, quando appartenevano ancora a
Statilio Tauro e alla sua famiglia, dovevano giungere, a sud, a contatto con i sepolcri degli Statilii, cioè più o
meno a Porta Maggiore: essi erano dunque adiacenti agli Horti Lamiani e ai Maiani, poi unificati, dei quali
conosciamo meglio la disposizione anche perché, insieme a quelli Mecenaziani11 che si trovavano più ad
ovest, sono i più studiati e meglio individuabili12.
Le confische imperiali dell’età giulio-claudia che ricaviamo in parte dalle fonti storiche – soprattutto da
Tacito e Svetonio13 – fecero passare gradualmente, tra il regno di Caligola e quello di Nerone, tutti questi
Horti in proprietà imperiale, con la possibile eccezione dei Calyclani per i quali, tuttavia, non disponiamo
di notizie specifiche.
Gli Horti Tauriani, comunque, tornarono in un primo tempo in mano privata poiché, come si ritiene
sulla base di una accettabile ipotesi di Grimal14, furono suddivisi in due sezioni: gli Horti Pallantiani,15 che
3 AA.VV., LTUR 3, pp. 51-86 s. vv. Horti… (nella trattazione che segue si rinvierà alle singole voci sia per la sintesi sui singoli com-
plessi, sia per la bibliografia precedente ad essi relativa).
4  Coarelli 2012, passim.
5  E. Papi, LTUR 3, p. 52 s.v. Horti Lolliani.
6  L. Chioffi, LTUR 3, p. 56 s.v. Horti Calyclani.
7  Le due iscrizioni (una delle quali è purtoppo perduta) sono entrambe integrabili secondo la formula seguente: Cippi hi finiunt
hortos Calyclanos et Taurianos (CIL VI, 29771). Di una di esse (quella tuttora esistente e conservata nelle collezioni capitoline), che
fu trovata “Demolendosi il muro di cinta dell’orto annesso alla chiesa di S. Eusebio, nel punto ove è attraversato dalla via Principe
Umberto”, è indicato anche in pianta, con il n. 13, il luogo esatto del ritrovamento (Lanciani 1874, p. 57 e tav. V-VI, n. 13); l’altro cip-
po, oggi non più rintracciabile, con analoga iscrizione fu trovato “rovesciato al suolo … a m. 32 di distanza verso il Nord” (Ibidem).
8  Guastella 2001, pp. 349-350, n. 361; D’Agostino 2004, pp. 410-411 fig. 4.
9  Grimal 1936, p. 265.
10  E. Papi, LTUR 3, p. 85, s.v. Horti Tauriani.
11  Ch. Häuber, LTUR 3, pp. 70-74, s.v. HortiMaecenatis. Di questo complesso, ben noto, non ci occuperemo in questo contributo,
che è dedicato in modo specifico alla fascia periurbana più esterna rispetto alle mura repubblicane.
12  M. Cima Di Puolo, LTUR 3, pp. 61-64, s.v. Horti Lamiani.
13  Si rinvia alle singole voci del LTUR, già citate, per i riferimenti alle fonti.
14  Grimal 1936, p. 276.
15 D. Mancioli, LTUR 3, p. 77, s.v. Horti Pallantiani
Horti Nominis Sui	129
furono donati a Pallante, liberto di Claudio, e gli Horti Epaphroditiani,16 donati ad Epafrodito, liberto di Ne-
rone. Alla morte di Pallante, fatto uccidere da Nerone, e di Epafrodito, fatto uccidere da Domiziano, queste
proprietà ritornarono comunque anch’esse in proprietà imperiale.
Il quadro fin qui delineato è ulteriormente chiarito, per quanto riguarda la suddivisione degli Horti Tau-
riani e la comparsa degli Horti Torquatiani17, dalle preziose informazioni che troviamo nel De aquaeductu
Urbis Romae commentarius di Frontino, della fine del I secolo d.C.
In quell’opera sono citati infatti per ben tre volte e forse quattro, gli Horti Pallantiani che risultano ter-
minare nella zona immediatamente a nord del castellum dell’Aqua Claudia18: fatto confermato ancor più
precisamente dagli studi recentissimi di Rita Volpe sull’Aqua Marcia che hanno riportato più a sud la deriva-
zione del rivus Herculaneus e quindi anche la terminazione inferiore dei Pallantiani19. A sud di questi ultimi
vengono poi ricordati da Frontino gli Horti Epaphroditiani, che, secondo Grimal, dovevano estendersi piut-
tosto a sud-est20, ove c’erano allora solo acquedotti con la grande mostra di Claudio, poi Porta Maggiore;
tuttavia va qui precisato che una nuova e convincente interpretazione di Rita Volpe, che si basa anche sulla
posizione della monumentale iscrizione ad un Epaphroditus trovata, pur se reimpiegata, all’altezza di via
Pietro Micca21, indica come comunque probabile un’estensione verso sud-ovest, forse in adiacenza con gli
Horti Torquatiani, per i quali Frontino è l’unica fonte nota. Sempre a proposito degli Horti Pallantiani dob-
biamo poi ricordare che Plinio il Giovane, parlando con evidente disprezzo di Pallante e dell’iscrizione che
si leggeva sulla sua tomba, precisa che questa si trovava intra primum lapidem della via Tiburtina (che al suo
tempo iniziava dalla porta Esquilina, cioè dall’arco di Gallieno) e quindi entro i primi 1480 m circa di quella
strada22. Ciò significa che la tomba era comunque sulla via Tiburtina e poteva trovarsi anche entro l’area
che più tardi fu inclusa nelle mura di Aureliano o, semmai, non molto oltre quella cinta urbana tardoantica.
A questo punto, dato che si deve ritenere probabile che la tomba fosse al margine degli Horti Pallantiani, si
deve anche dedurre che questi ultimi si estendessero, verso nord, fino alla via Tiburtina23.
Se aggiungiamo quindi questi ultimi Horti allo schema finora indicato la situazione topografica della
zona in questione intorno al 100 d.C. sembra definibile (fig. 1b), anche se, ovviamente, sussistono ampi
dubbi sulle reali estensioni e sui reali punti di confine. I problemi più complessi e le incertezze più notevoli
emergono invece in relazione alle epoche successive.
Per il II secolo siamo infatti quasi privi di informazioni a proposito dei nostri Horti. Dobbiamo infat-
ti accontentarci di una iscrizione relativa ad un Hortus Caedicianus collegabile con un personaggio di età
antonina (proprietario delle figlinae Furianae) o con un suo eventuale ascendente o successore24. Si tratta
comunque di un complesso (Hortus conclusus) di tipo privato con estensione non determinabile (pur se
non certo notevole), che, in base al luogo di ritrovamento dell’iscrizione intorno all’incrocio tra le attuali vie
Manin e Amendola, possiamo collocare in un’area intermedia tra gli Horti Calyclani e i Lolliani.
Sarebbe comunque non opportuno cercare contatti topografici troppo stretti tra i vari Horti fin qui in-
dicati: si deve infatti tener presente che tali “aree verdi” non vanno necessariamente intese come confinanti
se non ci sono indicazioni precise in proposito. In particolare, nella vasta zona presa in considerazione sono
16  Eadem, in LTUR 3, p. 60 s.v. Horti Epaphroditiani
17 Eadem, LTUR 3, pp. 85-86 s.v. Horti Torquatiani
18 …Marcia autem partem sui post hortos Pallantianos in rivum qui vocatur Herculaneus deicit. Is per Caelium ductus, ipsius montis usi-
bus nihil ut inferior subministrans, [f]initur supra portam Capenam (Frontin. aq. 19); …Anio novus et Claudia a piscinis in altiores arcus
recipiuntur ita ut superior sit Anio. Finiuntur arcus earum post hortos Pallantianos et inde in usum urbis fistulis diducuntur (Frontin. aq.
20); … (Iulia) Praeterea accipit prope urbem post hortos Pallantianos ex Claudia quinarias centum sexagintas duas (Frontin. aq. 69).
19  Volpe 1996, pp. 65-68 e 75-78.
20  Grimal 1936, pp. 262-264.
21  Volpe 1996, p. 68.
22 Plin. epist. 7.29. Particolarmente aspro è il giudizio di Plinio sugli onori effettivamente immeritati – e comunque sproporzionati
– attribuiti a Pallante da parte del Senato e dell’imperatore stesso.
23  Questa è d’altronde la posizione topografica attribuita ai giardini di Pallante da numerosi autori (cfr. ad es.: Platner, Ashby 1929;
Grimal 1936 e 1984; Guidobaldi 1998; Coates-Stephens 2001). Su questo argomento si tornerà comunque più avanti (cfr. infra).
24  E. Papi, LTUR 3, pp. 54-55, s.v. Hortus Caedic[ianus].
130	 Federico Guidobaldi
Fig.  1a-b.  Zona sud-est della Roma antica, con evidenziazione delle principali strade antiche e indicazione approssimativa delle
aree occupate da Horti (la base grafica è la pianta di R. Lanciani, Forma Urbis Romae integrata dal SITAR): a) all’inizio del I secolo
d.C., b) alla fine del I secolo d.C. (elab. S. Pedone).
Horti Nominis Sui	131
stati rimessi in luce vari complessi di strutture del II, III e soprattutto del IV secolo per le quali spesso la
pertinenza ad Horti va completamente esclusa e che quindi testimoniano la presenza di complessi edilizi di
altra funzione inseriti nella “maglia” topografica esquilina.
Non possiamo occuparci in questa sede, per motivi di spazio, di queste strutture e del problema della
probabile frammentazione degli Horti che certamente, come hanno recentemente osservato, pur se su basi
diverse, Coates-Stephens25 e Purcell26, tornarono, almeno in parte, in mano privata nell’avanzata età impe-
riale, non dobbiamo tuttavia omettere di osservare che molti dei toponimi finora presi in considerazione
sembrano scomparire del tutto, almeno dalle fonti epigrafiche e documentarie, già a partire dal II secolo d.C.
Non si parla più infatti di Horti Tauriani anche se assai più tardi compare un forum Tauri27 in corrispondenza
della Porta Tiburtina (ma non è affatto certo che sia da riferire a Statilio Tauro). Scompaiono dalla lettera-
tura e dall’epigrafia gli Horti Calyclani, i Torquatiani, i Lolliani e gli Epaphroditani.
Oltre ai Lamiani e Maiani, della sopravvivenza dei quali abbiamo varie prove archeologiche, soltanto i
Pallantiani debbono essere sopravvissuti con la vecchia denominazione poiché sono gli unici registrati nella
quinta regione dai Cataloghi Regionari28 e quindi in età tetrarchica erano ancora noti come tali. Inoltre il
frammento 57 della Pianta marmorea severiana reca la scritta Horti P…29 che, anche in base alla sola iniziale
25  Coates-Stephens 2001.
26  Purcell 2007.
27  G. De Spirito, LTUR 2, pp. 347-348, s.v. Forum Tauri.
28  V.Z. I, pp. 105, 170.
29  FUM, tav. XXXVI, fr. 57.
Fig.  2.  Zona sud-est della Roma antica, con evidenziazione delle principali strade antiche e indicazione approssimativa delle aree
occupate da Horti alla metà circa del III secolo d.C. La base grafica è la pianta di R. Lanciani, Forma Urbis Romae integrata dal SITAR
(elab. S. Pedone).
132	 Federico Guidobaldi
superstite, potrebbe corrispondere ai Pallantiani (i Pompeiani30 e i Peduceiani31 sono meno probabili per
quell’epoca, ma si deve ammettere che anche altre soluzioni possono essere proposte). D’altronde nel III
secolo ci sono certamente altri cambiamenti da prendere in considerazione.
L’età dei Severi corrisponde infatti a due iniziative del tutto nuove (fig. 2), tra le quali la più impor-
tante e innovativa è certamente la fondazione – restata di fatto incompiuta – degli Horti Spei Veteris32,
che dovrebbero aver occupato almeno in parte le aree dei Torquatiani e degli Epaphroditiani. Si tratta,
come è noto, del primo esempio di residenza imperiale periurbana con circo adiacente, che replica, in
zona decentrata e su scala ridotta, la più antica e più ‘ufficiale’ residenza imperiale, cioè quella del Pala-
tium con il sottostante Circus Maximus che, data la sua eccezionale capienza, era diventatola platea nella
quale l’imperatore poteva manifestarsi fisicamente al più gran numero possibile di cittadini33. È noto
che questa vastissima residenza della dinastia severiana restò incompiuta poiché l’ultimo della famiglia,
Alessandro Severo, che vi aveva subìto un attentato ad opera del cugino Eliogabalo, non volle utilizzarla
e, anzi, preferì ripristinare e potenziare un’altra antica residenza periurbana, quella degli Horti Lamiani34,
già frequentata dagli imperatori dell’età giulio-claudia e probabilmente restata sempre in uso con il suo
ricchissimo arredo.
Una mostra dedicata in modo specifico a quel complesso e, in particolare, ai materiali rinvenuti nell’area
in varie epoche ha offerto l’occasione per una raccolta di studi dettagliati35, che hanno posto in eviden-
za l’importanza e l’eccezionale decorazione di questa residenza imperiale che fu certamente rinnovata da
Alessandro Severo e utilizzata forse come residenza alternativa nel periodo in cui il Palatium era ancora in
corso di ristrutturazione: sappiamo infatti che Settimio Severo eseguì nella residenza palatina estesissimi in-
terventi 36 che dovettero certo protrarsi anche durante il regno dei suoi dinasti e, in particolare, dello stesso
Alessandro al quale infatti l’Historia Augusta37 attribuisce l’allestimento, in Palatio, di alcune pavimentazioni
porfiretiche, delle quali io stesso ho segnalato alcuni possibili resti ancora in situ38.
L’altra importante “variazione” nella topografia dell’area in questione nel III secolo si ricava, pur se con
qualche difficoltà da due passi dell’Historia Augusta. Nella Vita Gallieni troviamo infatti una chiara menzione
di Horti di proprietà di quell’imperatore, forniti di strutture di ricevimento e termali quindi riferibili ad una
residenza vera e propria, della quale tuttavia non si dice un nome pur lasciando intendere che ci fosse. Il passo
è infatti il seguente: Cum iret ad hortos nominis sui, omnia palatina officia sequebantur. Ibant et praefecti et magistri
officiorum omnium adhibebanturque conviviis et natationibus lavabant simul cum principe39. Come si vede non si
esplicita il nome della residenza, che poteva essere anche Horti Gallieni e non necessariamente Horti Liciniani
come si è dato sempre per scontato; neppure si indica la collocazione topografica di questa residenza, che do-
veva comunque essere di notevole estensione. Qualcosa si può ricavare però dall’altro passo della Vita Gallieni
che ricorda che lo stesso imperatore volle innalzare nella parte più alta dell’Esquilino una sua statua enorme,
progettoche,tuttavia,nonfupoirealizzato:StatuamsibimaioremcolossofieripraecepitSolishabitu,sedeaimper-
fectaperiit.Tammagnadeniquecoeperatfieri,utduplexadcolossumviderentur.Poniautemillamvolueratinsummo
Esquiliarum monte, ita ut hastam teneret, per cuius scapum infans ad summum posset ascendere40.
Questa ultima indicazione ha fatto pensare che la statua fosse progettata come ornamento degli Horti
che, quindi, dovevano trovarsi sull’Esquilino: conclusione, questa, che è certo proponibile, anche se si deve
30  V. Jolivet, LTUR 3, pp. 78-79, s.v. Horti Pompeiani.
31  C. Lega, LTUR 3, pp. 77-78, s.v. Horti Peduceiani.
32  F. Coarelli, LTUR 3, p. 85, s.v. Horti Spei Veteris.
33  Sulle residenze imperiali con circo annesso cfr. Guidobaldi 2004; 2009.
34  M. Cima di Puolo, LTUR 3, pp. 61-64, s.v. Horti Lamiani.
35  Cima - La Rocca 1986.
36  Coarelli 2012, pp. 189-190.
37  Hist. Aug. Alex. 25.7.
38  Guidobaldi 2002.
39  Hist. Aug. Gall. 17.8.
40  Hist. Aug. Gall. 18.2-3.
Horti Nominis Sui	133
tener presente che le fonti, abbastanza specifiche a proposito della posizione topografica prevista per il co-
losso, non lo sono affatto a riguardo del contesto a cui esso era destinato.
Gioca d’altronde a favore della collocazione degli Horti di Gallieno nella parte più alta del colle Esquili-
no anche l’iscrizione onoraria dedicata a lui e a sua moglie41, incisa proprio sull’antica Porta Esquilina (fig.
3), che si apriva nella cinta muraria della Roma repubblicana in corrispondenza della terminazione del clivus
suburanus (presso l’attuale chiesa di S. Vito) e che è nota, appunto, come “Arco di Gallieno”: è infatti logico
pensare che quella fosse una sorta di accesso alla residenza periurbana in questione, che sarebbe così da in-
dicare, appunto, in summo Esquiliarum monte42, cioè all’incirca in corrispondenza degli ex Horti Calyclani.
Va qui precisato, tuttavia, che una interpretazione topografica del tutto diversa, avanzata da Antonio
Nibby nel lontano 183943, è tuttora in voga, nonostante le incongruenze che, alla luce delle più moderne
acquisizioni, risultano del tutto evidenti.
Nibby era partito da una giustificabile esigenza: quella di dare un nome più stabile all’unico resto ve-
ramente monumentale che emergeva nella zona tra la Porta Esquilina e la Porta Maggiore e cioè quella
enorme sala decagona con una cupola del diametro di ben 25 m ca. (fig. 4), che fino allora aveva avuto le
attribuzioni, davvero poco convincenti, di Basilica o Tempio di Caio e Lucio Cesare, di Tempio di Ercole
Callaico e, più stabilmente, di Tempio di Minerva Medica44. In realtà il più autorevole dei topografi del XVII
secolo, Famiano Nardini, si era già dimostrato scettico a riguardo di tali interpretazioni e, dubitando delle
41  CIL VI, 1106.
42  Questa soluzione, nonostante la sua evidente praticabilità, è stata proposta solo recentemente (Guidobaldi 1998).
43  Nibby 1838, Parte I, Antica To. II pp. 328-336. Questa ipotesi non aveva ancora preso corpo quando Nibby, venti anni prima,
curò l’edizione critica (la quarta) della Roma Antica di Nardini, poiché, commentando il passo relativo al ‘Tempio di Minerva
Medica’ (cfr. infra), non avanza proposte alternative, ma cita piuttosto altre ipotesi più recenti e si allarma per lo stato del monu-
mento (“questo edifizio che va in rovina ogni dì”) la cupola del quale crollerà effettivamente pochi anni dopo (Nardini-Nibby 1818,
vol. II, pp. 21-24)
44  Per le varie interpretazioni proposte per l’edificio decagono prima dell’ipotesi di Nibby, cfr.: Guidobaldi 1998, pp. 487-492.
Fig.  3.  Roma, l’antica Porta Esquilina con iscrizione dedicatoria
aGallienoeSaloninaaldisopradell’arcatanellostatoattuale(foto
F. Guidobaldi).
Fig.  4.  Roma, l’interno del c.d. Tempio di Minerva Medica
nella fase di restauro tuttora in corso (foto O. Brandt).
134	 Federico Guidobaldi
identificazioni con un tempio, con una basilica o con una terma – altra ipotesi che affiorava periodicamente
– aveva individuato nel monumento una funzione residenziale e lo aveva collegato con il Palatium Licinia-
num45 menzionato nel Liber pontificalis46 e in alcuni testi agiografici47 – tutte fonti comunque non precedenti
al VI secolo – come edificio prossimo alla chiesa di S. Bibiana fondata da papa Simplicio (468-483).
Il Nibby riesumò in parte l’interpretazione di Nardini, ma con una importante variante: propose infatti
di vedere nella struttura decagona “una sala degli Horti Liciniani costruita durante il regno di Gallieno”,
facendo così coincidere, per la prima volta, il Palatium Licinianum e gli Horti nominis sui dell’imperatore
Licinio Egnazio Gallieno (256-265) e, implicitamente, attribuendo allo splendido edificio con cupola una
datazione alla metà circa del III secolo.
Questa ipotesi fu ratificata, alla fine del XIX secolo, dal Lanciani che, per la presenza di due grandi bacini
di fontana che affiancavano il decagono, lo considerò un grande nymphaeum e fu il primo a indicarlo come
“Ninfeo degli Horti Liciniani” 48: denominazione, questa, che anche per l’indiscussa fama di chi l’aveva conia-
ta è stata in seguito adottata da altri autorevoli studiosi come Grimal 49 e Lugli50, nonostante l’autorevole ed
esplicita opposizione espressa, già nel 1929, nel Topographical dictionary di Platner e Ashby51. Fino ad allora
l’analisi delle murature a fini cronologici non era stata ancora eseguita, fatto, questo, che giustifica in qualche
modo la sopravvivenza dell’ipotesi di Lanciani, ma nel 1944 la pubblicazione di vari bolli laterizi osservati in
situ da Caraffa52 rese obbligatoria una revisione delle precedenti interpretazioni, almeno dal punto di vista
della cronologia. È merito di questo studioso, infatti, l’aver fornito elementi conclusivi per stabilire che il c.d.
Tempio di Minerva Medica non poteva essere precedente al IV secolo e quindi non era attribuibile a Gallieno.
È a dir poco sorprendente che questa scoperta non sia stata ritenuta sufficiente a demolire del tutto le prece-
denti interpretazioni che, invece sopravvissero, pur se in forma parziale e, diremmo, “ibrida” in varie successive
pubblicazioni, tra le quali ricordiamo, ad es., quelle di Crema53 e di Ward-Perkins54, i quali, pur attribuendo
decisamente all’età costantiniana l’edificio decagono mantengono per esso, pur se talvolta solo nelle didascalie
delle illustrazioni, il nome di “Ninfeo degli Horti Liciniani”. Più decisa è invece la Heres che descrivendo il mo-
numento, aggiunge: “Ancient name unknown”55 e ribadisce la datazione ad età costantiniana in due fasi abba-
stanza ravvicinate56. Tale cronologia, che è d’altronde confermata, pur se con limitate varianti, dalla Steinby57,
45  Nardini 1665, pp. 159-160. Questo autore elencava peraltro le varie ipotesi di identificazione del Licinio del Palatium o con
l’imperatore Licinio del IV secolo oppure con altri Licini di età più antica, senza giungere ad una ipotesi definita e comunque senza
mai evocare Gallieno.
46  L.P. I, p. 249.
47  Le fonti agiografiche più significative sono riportate in: de Rossi 1890 e S. Rizzo, LTUR 3, pp. 64-66, s.v. Horti Liciniani.
48  Lanciani 1897, pp. 400-404.
49  Grimal 1936, pp. 280-285.
50  Lugli 1938, pp. 478-483.
51  Platner, Ashby 1929, p. 268 (Horti Liciniani) e p. 364 (Nymphaeum), ove si afferma a proposito del c.d. Tempio di Minerva
Medica: “It is now often attributed to the Horti Liciniani, but without adequate reason”.
52  Caraffa 1944.
53  Crema 1959, pp. 634-635. Il monumento è inquadrato nell’età tetrarchico-costantiniana ma se ne lascia la denominazione di
“Ninfeo degli Horti Liciniani”.
54  Ward-Perkins 1979, p. 193: l’autore include il “Tempio di Minerva Medica” tra gli edifici costantiniani e con lo stesso nome lo
indica nelle figg. 298-300, ma nella fig. 297 aggiunge al precedente anche il nome di “padiglione degli Horti Liciniani”.
55  Heres 1982, p. 356.
56  Ibidem, pp. 356-360. La prima fase viene posta intorno al 330 e la seconda “a few years later”.
57  Steinby 1986, pp. 124, 141. L’autrice attribuisce datazioni tetrarchiche o massenziane ad alcuni dei bolli laterizi rinvenuti nelle
strutture del complesso, ma ciò si spiega con l’eventuale uso di partite di materiali non omogenee dal punto di vista della cronologia
di fabbricazione. Inoltre si deve sottolineare che il bollo CIL XV, 1622, trovato in quattro esemplari dal Caraffa in situ nella cupola
e presente nelle Terme di Diocleziano, ma anche nella basilica di Massenzio e nelle Terme di Costantino non viene citato per il
“Tempio di Minerva Medica”(Ibidem, p. 119). Questa minima e giustificabilissima svista nulla toglie, comunque, all’accuratezza
dell’immane lavoro della Steinby che ci ha lasciato un utilissimo e unico strumento di lavoro per l’analisi dei monumenti tardoanti-
chi di Roma, che potrà essere arricchito, aggiornato e schematizzato ulteriormente, ma resterà sempre la base di qualunque ulteriore
sviluppo.
Horti Nominis Sui	135
dalla Cima58, da Coates-Stephens59, da Biasci60,
dalla Barbera61 e da Coarelli62, rende ovviamente
del tutto impraticabile l’attribuzione a Gallieno,
che tuttavia viene talvolta ripresa63.
D’altronde, anche se quanto finora osservato
non bastasse, l’eccezionale architettura del mo-
numento sarebbe, già da sola, più che sufficiente
a permetterci di inquadrare senza esitazione l’ar-
chitettura del grande edificio decagono e del com-
plesso di cui fa parte, nella felice stagione dell’in-
novazione costantiniana di cui ho avuto modo di
trattare più volte64.
Sono infatti elementi connotanti dell’architet-
tura costantiniana e qui evidentemente presenti
(figg. 4-5):
- le polifore estroflesse a colonne sormontate
da archi (fig. 5, prima fase), poi abolite per moti-
vi statici nella seconda fase (fig. 5), e presenti sia
nelle terme di Costantino, come risulta dalla pla-
nimetria che ne ha lasciato Andrea Palladio65, sia
nel rifacimento tardocostantiniano delle Terme di
Agrippa 66
- l’insolita pianta decagona con numerosi annes-
siedarticolazioniaprevalenzacurvilinea(fig.5);
- l’enorme cupola di 24 m di diametro (pur-
troppo crollata nel 1828) (figg. 4-5), la terza di
Roma dopo il Pantheon e il calidarium delle Ter-
me di Caracalla67;
- i rivestimenti ad incrustationes marmoree po-
licrome – perduti ma documentabili da menzioni
e da resti della preparazione – portati fino all’at-
58  Cima 1998, p. 433: in effetti, nonostante i bolli riportati da Lugli, citato dall’autrice, includano vari esemplari postdioclezianei,
viene indicata, per la prima fase dell’ottagono una data “intorno al 300 d.C.”. S. Rizzo, LTUR 3, pp. 64-66, s.v. Horti Liciniani.
59  Coates-Stephens 2001, pp. 222-225.
60  Biasci 2003, p. 176.
61  Barbera 2007.
62  Coarelli 2012, p. 258-259.
63  S. Rizzo, LTUR 3, pp. 64-66, s.v. Horti Liciniani, per la datazione del decagono si ripropone la seconda metà del III secolo d.C.
64  Guidobaldi 1995; 1998; 2005.
65  Idem, 2005, p. 268 e fig. 25; S. Vilucchi, LTUR 5, pp. 49-51 e fig 30, s.v. Thermae Constantinianae.
66  Guidobaldi, Conte 2013. Anche in questo caso la documentazione grafica è del Palladio.
67 Dopo l’enorme cupola del Pantheon, di dimensioni ineguagliate (diam. int. 43,50 m), quella del calidarium delle terme di
Caracalla è la seconda per dimensioni a Roma (diam. int. 35 m ca.), segue un gruppo di strutture rotonde o di pianta poligonale
coperte da cupole emisferiche di diametro interno prossimo ai 24-25 m: si tratta del calidarium delle Terme di Costantino, della
rotonda delle Terme di Agrippa e del “Tempio di Minerva Medica”. È certo suggestivo constatare che gli ultimi tre edifici sono
di età Costantiniana (per le terme di Agrippa cfr. la recente proposta di datazione in: Guidobaldi, Conte 2013) e che nel cali-
darium delle terme di Caracalla sia stata trovata una grande iscrizione dedicatoria di Costantino e due suoi figli (A.M. Colini,
‘Notiziario di scavi, scoperte e studi intorno alle antichità di Roma e della Campagna romana’, BCom 67 (1939), pp. 210-211),
attribuita ad un incisivo rifacimento: in effetti la predilezione per le cupole che si riscontra in età costantiniana non ha paragoni
nelle epoche precedenti.
Fig.  5.  Roma, pianta delle due fasi successive (ma ravvicinate
nel tempo) del c.d. Tempio di Minerva Medica (da J.B. Ward Per-
kins).
136	 Federico Guidobaldi
tacco della cupola che era invece a mosaico, come
nel mausoleo di Costantina ed in quello di Costan-
tino (Tor Pignattara), poi utilizzato dalla madre Ele-
na68;
- il verticalismo (fig. 4), non interrotto da quel-
le modanature orizzontali tipiche dell’architettura
classica e ancora presenti persino nei monumenti
massenziani;
- la illusoria leggerezza interna e la luminosità
dell’ambiente (fig. 4);
- l’assenza di decorazioni architettoniche con
colonne addossare, mensole e cornici aggettanti, ti-
piche dell’architettuta classica, ecc.
Dell’età di Gallieno, dunque, non c’è nulla
nell’area del c.d. Tempio di Minerva Medica e quin-
di non si vede perché si debba forzare la topografia
sulla base di una sola indicazione, riportata peraltro
solo in fonti assai tarde e comunque suscettibile di
altre interpretazioni. Tra queste si può ricordare, ad
esempio, quella avanzata da De Spirito69 che ritie-
ne che il Palatium Licinianum menzionato nel Liber
pontificalis e in prossimità del quale fu edificata la
basilica di S. Bibiana, fosse meglio collegabile con
l’imperatrice Licinia Eudoxia, la quale risiedette
spesso a Roma con il marito Valentiniano III, nel
Sessorium costantiniano di cui il complesso di Mi-
nerva Medica, più appartato e quindi più riservato,
poteva essere la vera appendice residenziale, come
d’altronde ho già proposto a suo tempo70. In ogni
caso, anche se si volesse accettare l’identificazione del Palatium Licinianum delle fonti di VI secolo con la
residenza di Gallieno (o, almeno, al ricordo di essa), non si vede perché non si dovrebbe cercare questo
eventuale complesso a nord di Santa Bibiana e non 300 m più a sud.
Proprio in quest’ottica è opportuno ora tornare agli Horti Pallantiani e alla menzione che di essi si trova
nei Cataloghi Regionari: documenti che sono stati redatti, come è ben noto, in età tetrarchica con aggiun-
te solo parziali di età costantiniana. Non si può infatti dimenticare che, come abbiamo potuto stabilire in
precedenza (cfr. supra), quegli Horti occupavano l’area (figg. 1b-2) entro la quale si trova ora il complesso
residenziale di età costantiniana, il che dimostra che i giardini originariamente legati al nome di Statilio
Tauro e poi, dopo la confisca imperiale, sezionati in due parti una delle quali fu donata a Pallante e da lui
prese il nome, avevano mantenuto la denominazione di Pallantiani anche quando erano tornati in possesso
imperiale e la conservarono fino alle trasformazioni del IV secolo71.
Ho già osservato in precedenza che, vari tratti murari in opus reticulatum sussistono tuttora al disotto di
quelli tardoantichi72. Io stesso li ho visti emergere, durante i lavori di circa 30 anni fa (fig. 6) e vedo con pia-
68  E. Paparatti, ‘Ipotesi ricostruttiva del sistema decorativo marmoreo’, in Vendittelli 2011, pp. 92-99.
69  G. De Spirito, LTUR 4, p. 45. s.v. Palatium Licinianum/Liciniani.
70  Guidobaldi 1998.
71  Ciò dimostra, peraltro, che gli Horti di quella zona non potevano essere indicati come Liciniani nel pieno III secolo e poi, solo
pochi decenni dopo, ridenominati Pallantiani.
72  Ibidem, p. 497.
Fig.  6.  Roma, fontana-ninfeo sul lato est del c.d. Tempio di
Minerva Medica con i resti affioranti di edifici in opera reticola-
ta (prob. pertinenti agli Horti Pallantiani) troncati dalle costru-
zioni del IV secolo e rimessi in luce durante gli scavi degli anni
Ottanta (foto F. Guidobaldi).
Horti Nominis Sui	137
cere che sono stati finalmente ripresi in considerazione sia in pubblicazioni più recenti73, sia nella campagna
di nuove indagini strutturali finalizzate al restauro in corso, diretto dall’architetto Marina Magnani Cianetti
della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e con la supervisione della stessa Soprinten-
dente Mariarosaria Barbera.
Si tratta di muri dell’inizio del I secolo – quindi coerenti con il più antico insediamento Tauriano – che
tuttora si vedono affiorare e che evidentemente sussistevano ancora in alzato quando furono resecati solo
per far posto all’edificio dell’inizio del IV secolo: in effetti, come gli scavi attuali stanno confermando, tra le
due fasi non risultano costruzioni di epoca intermedia e quindi collegabile ad un intervento di Gallieno.
A questo punto si deve ammettere che, se gli Horti nominis sui erano veramente sull’Esquilino, il che
sembra comunque assai probabile, essi dovranno essere cercati più a nord del “Tempio di Minerva Medica”,
accettando l’indicazione relativa all’orografia che comunque indica, per l’installazione del colosso proget-
tato da Gallieno, la zona più alta delle Esquilie, dove si trova proprio la porta Esquilina. Il fatto che, proprio
sopra il fornice di tale porta si trovi l’iscrizione dedicatoria allo stesso imperatore rende ancor più probabile
che la residenza vera e propria si trovasse in quel settore dell’Esquilino e non nelle strutture con aula deca-
gona che distano circa un chilometro dalla porta e, comunque, non esistevano se non mezzo secolo circa
dopo la morte di Gallieno.
L’area che meglio risponderebbe ai pochi indizi topografici di cui disponiamo per la residenza di Gal-
lieno potrebbe essere individuata, dunque, ad est della Porta Esquilina e, ovviamente, ad una certa distanza
da essa (fig. 2), poiché nelle sue immediate vicinanze sono state rinvenute strutture che non sono certo
attribuibili a residenze imperiali. Dovremmo quindi spostarci, come d’altronde avevamo già anticipato, più
all’interno del triangolo un tempo occupato dagli Horti Calyclani e comunque in corrispondenza della villa
Peretti Montalto che si spingeva anche nell’area della attuale sede ferroviaria, zona che, nel complesso, è sta-
ta indagata assai limitatamente. A questo punto, però, non si può omettere di segnalare che proprio all’inizio
di questo settore, cioè ad ovest, sono stati rinvenuti evidenti resti di una residenza aristocratica tardoantica,
attribuita a Vettio Agorio Pretestato74, che sarebbe certo suggestivo supporre una sorta di continuazione,
magari solo parziale della residenza un tempo allestita da Gallieno e che poteva essere anche in parte pre-
esistente75. Si tratta in realtà soltanto di una ipotesi che potrà comunque essere approfondita in altra sede,
tuttavia, in attesa di ulteriori e più specifiche ricerche, forse vale la pena di segnalare almeno una curiosa
coincidenza. Assai recentemente sono state infatti riprese in considerazione sia da Coates-Stephens76, sia
dalla Granino Cecere e dalla Ricci77, le numerosissime iscrizioni per lo più di pretoriani (oltre 80), su lastre,
arule, edicolette e cippi78 riutilizzati come materiale da costruzione nella fondazione di un lungo muro in
laterizio ritrovato in Piazza Manfredo Fanti e databile, in base ai bolli laterizi, alla prima parte del IV secolo.
Tra le numerose dediche a divinità da parte di pretoriani, di prevalente provenienza e/o cultura balcanico-
danubiana, se ne trovano parecchie erette in honorem domus divinae oppure pro salute di imperatori quasi
tutti del III secolo, dai Severi fino a Gallieno, ma non oltre.
73  Biasci 2003, pp. 154-156.
74  F. Guidobaldi, LTUR 2, p. 164, s.v. Domus: Vettius Agorius Praetextatus.
75  Non si può infatti escludere, anzi sembra probabile che la residenza esquilina fosse già stata installata dall’imperatore Valeriano,
padre di Gallieno o ancor prima. Vale la pena di segnalare, a tal proposito, un passo della Storia Augusta che, pur se non certo de-
cisivo e finora poco considerato anche per la sua intrinseca genericità, contiene la menzione di una villa appartenuta a Valeriano.
Nel racconto dei successi ottenuti da Aureliano quando da giovane, aveva assunto, per ordine di Valeriano imperatore il comando
dell’esercito come sostituto di Ulpio Crinito, si narra anche di un notevole bottino di guerra, una parte del quale, consistente in 500
schiavi e migliaia di capi di bestiame, fu ammassata “in villam privatam Valeriani”, della quale però non si specifica l’ubicazione (Hist.
Aug. Aurelian. 10.2).
76  Coates-Stephens 2001, pp. 221-222.
77  Granino Cecere, Ricci 2009 passim (ivi bibliografia precedente).
78  Per una trascrizione di gran parte delle iscrizioni cfr. Lugli 1957, pp. 69-84. L’analisi dettagliata delle dedicazioni e l’accurato
studio epigrafico sono invece in Granino Cecere, Ricci 2009.
138	 Federico Guidobaldi
Per interpretare questo reimpiego insolitamente omogeneo sono state avanzate varie proposte, ma recen-
temente79 si è preferito pensare che gli elementi marmorei con epigrafi dedicate da pretoriani provenissero dai
Castra Praetoria, anche se la distanza di quasi un chilometro non sembra a favore di un trasporto così impe-
gnativo, specialmente se si considerano sia l’uso del tutto aspecifico a cui il materiale era destinato, sia la facile
reperibilità di elementi adatti allo stesso scopo nelle immediate vicinanze dell’area in oggetto. Sembra dunque
da non scartare l’altra ipotesi, avanzata, pur se con diverse varianti, già a partire dal tempo del ritrovamento,
secondo la quale le iscrizioni si trovavano già in quella stessa zona ed erano pertinenti a installazioni stabili di
pretoriani80, che Lugli definisce “statio vel castra minora”81: si potrebbe trattare, insomma, di un vero e proprio
distaccamento di pretoriani, legato magari alle residenze imperiali della zona tra le quali non va certo esclusa
quella di Gallieno anche perché proprio questo imperatore, al quale sono indirizzate ben quattro dediche82 è,
dal punto di vista cronologico, l’ultimo presente nell’intera serie epigrafica. Si deve qui sottolineare, peraltro,
che proprio questo particolare aspetto della situazione rende meno probabile l’ipotesi di una provenienza dai
Castra Praetoria di tali materiali. Se essi furono infatti riutilizzati nella prima metà del IV secolo come riempi-
mentonellagettatadifondazionedelgrossomuro,forsediterrazzamento83,pertinenteallaresidenzaesquilina
di Vettio Agorio Pretestato e fino allora si trovavano in situ nei Castra, dismessi solo al tempo di Costantino,
perché includono dediche ad una serie di imperatori che si arresta proprio con Gallieno e non con Massenzio?
È piuttosto difficile che questa selettività sia puramente casuale e quindi, pur ammettendo che l’analisi propo-
sta recentemente dalla Granino Cecere e dalla Ricci sia del tutto corretta e ricca di argomentazioni, dobbiamo
avanzare,purseconprudenza,l’interpretazionealternativadiunaprovenienzaesquilinadelgruppodiepigrafi
citate che potrebbero appartenere a una statio distaccata dei Castra Praetoria: ipotesi, questa, che tiene conto
soprattutto della suggestiva coincidenza tra la presenza nell’area di una residenza di Gallieno e l’interruzione,
proprio dopo Gallieno, della serie delle epigrafi con dedica ad un imperatore.
Concludendo, in attesa di ulteriori e più specifiche ricerche, possiamo per ora contentarci di aver pro-
posto quanto segue:
- gli Horti costruiti e/o frequentati dall’imperatore Gallieno, il vero nome “antico” dei quali resta tuttora
indeterminato, dovevano trovarsi con ogni probabilità nella zona più alta dell’Esquilino in corrispondenza
dell’area prima occupata dagli Horti Calyclani; è inoltre possibile che dopo l’inizio del IV secolo il comples-
so residenziale di Gallieno sia passato in mani private e sia divenuto, verso la fine del secolo stesso, proprietà
di Vettio Agorio Pretestato
- la residenza del III secolo che le fonti attribuiscono a Gallieno non poteva avere nulla a che fare con il c.d.
TempiodiMinervaMedica,cheècertamentedietàcostantiniana(quindinonpotevaesisterealtempodiGal-
lieno) e che non è mai stato né una terma, né un ninfeo, né, tantomeno, il “Ninfeo degli Horti liciniani”, nome
inventato sulla sola base di fonti del VI secolo (Palatium Licinianum) che può avere varie altre interpretazioni
- l’area nella quale, nel IV secolo, fu edificato lo splendido e ricchissimo complesso architettonico di
cui il grande decagono era parte integrante era in precedenza occupata dagli Horti Pallantiani, dei quali
sussistono resti in opera reticolata tuttora visibili immediatamente al disotto dell’edificio del IV secolo e che
sopravvissero con quel nome fino all’età tetrarchica, pur restando, probabilmente, nel demanio imperiale
fino a che, negli ultimi decenni del III secolo, la costruzione delle mura di Aureliano, chiudendo entro l’area
urbana questi giardini percorsi da acquedotti, ne fece il luogo ideale per installarvi un settore più appartato
del nuovo palazzo imperiale che doveva integrare il più esteso e monumentale settore di rappresentanza
ricavato, da Costantino, adattando e completando la vecchia residenza severiana ad spem veterem, restata
fino allora incompiuta.
79  Ibidem, p. 194.
80  Per le prime ipotesi in tale direzione (schola o collegium di pretoriani), enunciate da Henzen e da Hülsen, si rinvia al contributo
di Coates-Stephens che sembra incline ad accettarle (Coates-Stephens 2001, pp. 221-222).
81  Lugli 1957, p. 69.
82  Ibidem, p. 81.
83  Coates-Stephens 2001, p. 222.
Horti Nominis Sui	139
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Horti nominis sui_considerazioni_sulla_r

  • 1. Alto custode di memorie antiche, Di sculti marmi e combattute mura, La luce, Lucos, delle tue fatiche Immacolata in noi risplende e dura. Raniero Gnoli
  • 2. © Roma 2014 – Edizioni Quasar di Severino Tognon Via Ajaccio 41-43 - 00198 Roma Tel. 0685358444 Fax 0685833591 email: qn@edizioniquasar.it www.edizioniquasar.it ISBN 978-88-7140-555-1 Giustificazione dell’epigramma di Raniero Gnoli Nei primi due versi si allude alle ricerche e studi di Lucos Cozza sui frammenti marmorei della Forma Urbis e le Mura di Roma. Negli altri due si dice come i suoi lavori, i suoi scritti chiariscano per noi molteplici vicende storiche e topografiche. Essi sono fonte di luce destinata a durare nel tempo, sempre essenziali, mai inquinati o macchiati da orpelli retorici o cedimenti eruditi. Ringraziamenti I curatori vogliono ringraziare sia per la collaborazione nell'organizzazione della Giornata di Studi alla British School at Rome che per l'assistenza nelle diverse fasi della pubblicazione: Gennaro Aiello, Filippo Coarelli, Antonella Parisi, Christopher Smith, Adelaide Zocchi, lo staff della British School at Rome al completo, in modo particolare Valerie Scott e tutto lo staff della biblioteca e dell'archivio. Un grazie inoltre a Martina Tognon e lo staff di Edizioni Quasar, in particolare a Emanuele Gabellini.
  • 3. Scritti in onore di Lvcos Cozza a cura di Robert Coates-Stephens e Lavinia Cozza edizioni quasar Lexicon Topographicum Urbis Romae - Supplementum VII
  • 4. Federico Guidobaldi Horti nominis sui: considerazioni sulla residenza esquilina di Licinio Gallieno e sulla topografia degli Horti nell’area sud-est di Roma Fonti documentarie e archeologiche decisamente oggettive, pur se non sempre specifiche dal punto di vista topografico, indicano che a Roma, a partire dall’età tardorepubblicana – ma poi sempre più incisiva- mente fino al pieno III secolo – gran parte della fascia allora periurbana, cioè immediatamente esterna alla cinta repubblicana, era occupata da Horti, vaste zone verdi del tipo degli attuali parchi, che includevano spesso – ma non necessariamente – anche alcune costruzioni di tipo abitativo o funzionale-decorativo, in- serite anche a più riprese e quindi in varie fasi. Di gran parte di questi Horti conosciamo i nomi e, in molti casi, la zona in cui si estendevano ma, di fatto, abbiamo solo indicazioni assai generiche – se non addirittura inesistenti – sulla estensione di ciascuno di essi o sulla posizione dei relativi confini e, tranne pochissimi casi, sappiamo assai poco sulle costruzioni che essi includevano e sul tipo di frequentazione di cui erano oggetto. Questo convegno, dedicato alla cara memoria di Lucos Cozza, mi offre l’occasione per approfondire lo studio topografico di alcuni Horti e in particolare di quelli riferibili all’area che si trova tra l’attuale piazza dei Cinquecento e il complesso di S. Croce in Gerusalemme e che è delimitata verso est da uno dei tratti delle mura Aureliane che è stato oggetto di uno dei magistrali studi dello stesso Lucos Cozza1. Quanto premesso in generale vale ovviamente anche per questo settore periurbano di Roma, che offre tuttavia informazioni più numerose rispetto ad altre zone sia per quanto riguarda le fonti, sia per i resti ar- cheologici registrati nella zona, che, comunque, sono piuttosto frammentari, poco studiati e, dato che buo- na parte delle indagini che li hanno riportati in luce risalgono agli sterri dell’epoca “umbertina”, sono anche mal documentati. Dal punto di vista topografico è probabile che un notevole contributo ci potrà venire in un prossimo futuro dalle nuove carte archeologiche integrate, come quelle del SITAR2, che ho potuto in parte utilizzare quando erano in fase di avanzata elaborazione, per la aperta disponibilità della responsabile di questo meritorio programma, Mirella Serlorenzi, che qui ringrazio sentitamente per avermi permesso e facilitato la consultazione dei materiali già acquisiti. Nonostante questo nuovo e versatile strumento, risulta comunque ancora oggi assai difficile attribuire, ad uno o all’altro degli Horti noti dalle fonti, gli eventuali resti archeologici emersi a più riprese nell’area orientale dell’Esquilino e ciò anche perché non abbiamo idee precise su quali fossero le strutture che ci si può aspettare di trovare all’interno di tali complessi e tanto meno sappiamo se esse fossero diverse nei vari secoli dell’età imperiale. Sembra comunque evidente che il problema che è alla base di almeno una parte delle incertezze attuali sia quello relativo alla cronologia. In effetti, in questo come in molti altri temi topografici, quando le fonti 1  Cozza 1997. Questo tratto di mura è per me legato in modo particolare al ricordo del caro collega ed amico che accompagnai con gran piacere nella sua appassionata analisi delle strutture e delle numerosissime fasi costruttive che nessuno meglio di lui sapeva individuare: è per questo che in ricordo della nostra pluridecennale amicizia, dedico volentieri alla sua memoria questo studio, re- lativo appunto a quell’area della quale io stesso mi occupavo nell’ambito di un’indagine sul cosiddetto Tempio di Minerva Medica (Guidobaldi 1998). 2  Sulla struttura di questo sistema informativo, attualmente in fase avanzata di sviluppo, si può fare riferimento al recente Convegno specifico (Serlorenzi 2011).
  • 5. 128 Federico Guidobaldi non sono molto numerose si tende a relazionarle come se fossero contemporanee anche se si riferiscono ad epoche assai distanti tra loro. Proprio per questo motivo ho ritenuto opportuno proporre, anche se a livello del tutto preliminare, un tentativo di inquadramento diacronico della topografia dell’area in oggetto, utilizzando come punto di partenza le schede pubblicate nel Lexicon di Margareta Steinby3, le lucide sintesi di Filippo Coarelli4 e le pubblicazioni specifiche più recenti. Per la situazione dell’inizio del I secolo d.C., abbiamo pochi dati epigrafici, che tuttavia, insieme ad ancor più scarsi dati storici, ci permettono di indicare approssimativamente, per quell’epoca, alcune “presenze topografiche”. Partendo da nord (fig. 1a), nell’area dell’attuale Museo di Palazzo Massimo e della parte sud ovest delle terme di Diocleziano, dovevano esistere gli Horti Lolliani5, documentati da un cippo terminale ritrovato in situ, ma posto quando la proprietà era già passata all’imperatore Claudio. Al centro-est dovevano trovarsi poi gli Horti Calyclani6 seguiti in adiacenza dai Tauriani, come ricaviamo da due cippi terminali, rinvenuti nel sito di collocazione originaria (uno divelto ma probabilmente in pros- simità della posizione in cui era stato fissato) al confine tra i due Horti in punto indicato con precisione da Lanciani (comunque dietro a S. Eusebio, nel tratto dell’allora via Principe Umberto, ora via Filippo Turati, compreso tra via Rattazzi e via Cappellini)7, mentre un altro cippo ritrovato solo nel 1951 in via Giolitti, an- golo via Cappellini, recava solo il nome degli Horti Calyclani8, dimostrando così che, in quell’area marginale, essi non confinavano più con i Tauriani (cfr. fig. 1). Questi ultimi, come osservato giustamente da Grimal9 e da Papi10, dovevano essere molto estesi, poi- ché a nord includevano, scavalcandola, la via Tiburtina e probabilmente, quando appartenevano ancora a Statilio Tauro e alla sua famiglia, dovevano giungere, a sud, a contatto con i sepolcri degli Statilii, cioè più o meno a Porta Maggiore: essi erano dunque adiacenti agli Horti Lamiani e ai Maiani, poi unificati, dei quali conosciamo meglio la disposizione anche perché, insieme a quelli Mecenaziani11 che si trovavano più ad ovest, sono i più studiati e meglio individuabili12. Le confische imperiali dell’età giulio-claudia che ricaviamo in parte dalle fonti storiche – soprattutto da Tacito e Svetonio13 – fecero passare gradualmente, tra il regno di Caligola e quello di Nerone, tutti questi Horti in proprietà imperiale, con la possibile eccezione dei Calyclani per i quali, tuttavia, non disponiamo di notizie specifiche. Gli Horti Tauriani, comunque, tornarono in un primo tempo in mano privata poiché, come si ritiene sulla base di una accettabile ipotesi di Grimal14, furono suddivisi in due sezioni: gli Horti Pallantiani,15 che 3 AA.VV., LTUR 3, pp. 51-86 s. vv. Horti… (nella trattazione che segue si rinvierà alle singole voci sia per la sintesi sui singoli com- plessi, sia per la bibliografia precedente ad essi relativa). 4  Coarelli 2012, passim. 5  E. Papi, LTUR 3, p. 52 s.v. Horti Lolliani. 6  L. Chioffi, LTUR 3, p. 56 s.v. Horti Calyclani. 7  Le due iscrizioni (una delle quali è purtoppo perduta) sono entrambe integrabili secondo la formula seguente: Cippi hi finiunt hortos Calyclanos et Taurianos (CIL VI, 29771). Di una di esse (quella tuttora esistente e conservata nelle collezioni capitoline), che fu trovata “Demolendosi il muro di cinta dell’orto annesso alla chiesa di S. Eusebio, nel punto ove è attraversato dalla via Principe Umberto”, è indicato anche in pianta, con il n. 13, il luogo esatto del ritrovamento (Lanciani 1874, p. 57 e tav. V-VI, n. 13); l’altro cip- po, oggi non più rintracciabile, con analoga iscrizione fu trovato “rovesciato al suolo … a m. 32 di distanza verso il Nord” (Ibidem). 8  Guastella 2001, pp. 349-350, n. 361; D’Agostino 2004, pp. 410-411 fig. 4. 9  Grimal 1936, p. 265. 10  E. Papi, LTUR 3, p. 85, s.v. Horti Tauriani. 11  Ch. Häuber, LTUR 3, pp. 70-74, s.v. HortiMaecenatis. Di questo complesso, ben noto, non ci occuperemo in questo contributo, che è dedicato in modo specifico alla fascia periurbana più esterna rispetto alle mura repubblicane. 12  M. Cima Di Puolo, LTUR 3, pp. 61-64, s.v. Horti Lamiani. 13  Si rinvia alle singole voci del LTUR, già citate, per i riferimenti alle fonti. 14  Grimal 1936, p. 276. 15 D. Mancioli, LTUR 3, p. 77, s.v. Horti Pallantiani
  • 6. Horti Nominis Sui 129 furono donati a Pallante, liberto di Claudio, e gli Horti Epaphroditiani,16 donati ad Epafrodito, liberto di Ne- rone. Alla morte di Pallante, fatto uccidere da Nerone, e di Epafrodito, fatto uccidere da Domiziano, queste proprietà ritornarono comunque anch’esse in proprietà imperiale. Il quadro fin qui delineato è ulteriormente chiarito, per quanto riguarda la suddivisione degli Horti Tau- riani e la comparsa degli Horti Torquatiani17, dalle preziose informazioni che troviamo nel De aquaeductu Urbis Romae commentarius di Frontino, della fine del I secolo d.C. In quell’opera sono citati infatti per ben tre volte e forse quattro, gli Horti Pallantiani che risultano ter- minare nella zona immediatamente a nord del castellum dell’Aqua Claudia18: fatto confermato ancor più precisamente dagli studi recentissimi di Rita Volpe sull’Aqua Marcia che hanno riportato più a sud la deriva- zione del rivus Herculaneus e quindi anche la terminazione inferiore dei Pallantiani19. A sud di questi ultimi vengono poi ricordati da Frontino gli Horti Epaphroditiani, che, secondo Grimal, dovevano estendersi piut- tosto a sud-est20, ove c’erano allora solo acquedotti con la grande mostra di Claudio, poi Porta Maggiore; tuttavia va qui precisato che una nuova e convincente interpretazione di Rita Volpe, che si basa anche sulla posizione della monumentale iscrizione ad un Epaphroditus trovata, pur se reimpiegata, all’altezza di via Pietro Micca21, indica come comunque probabile un’estensione verso sud-ovest, forse in adiacenza con gli Horti Torquatiani, per i quali Frontino è l’unica fonte nota. Sempre a proposito degli Horti Pallantiani dob- biamo poi ricordare che Plinio il Giovane, parlando con evidente disprezzo di Pallante e dell’iscrizione che si leggeva sulla sua tomba, precisa che questa si trovava intra primum lapidem della via Tiburtina (che al suo tempo iniziava dalla porta Esquilina, cioè dall’arco di Gallieno) e quindi entro i primi 1480 m circa di quella strada22. Ciò significa che la tomba era comunque sulla via Tiburtina e poteva trovarsi anche entro l’area che più tardi fu inclusa nelle mura di Aureliano o, semmai, non molto oltre quella cinta urbana tardoantica. A questo punto, dato che si deve ritenere probabile che la tomba fosse al margine degli Horti Pallantiani, si deve anche dedurre che questi ultimi si estendessero, verso nord, fino alla via Tiburtina23. Se aggiungiamo quindi questi ultimi Horti allo schema finora indicato la situazione topografica della zona in questione intorno al 100 d.C. sembra definibile (fig. 1b), anche se, ovviamente, sussistono ampi dubbi sulle reali estensioni e sui reali punti di confine. I problemi più complessi e le incertezze più notevoli emergono invece in relazione alle epoche successive. Per il II secolo siamo infatti quasi privi di informazioni a proposito dei nostri Horti. Dobbiamo infat- ti accontentarci di una iscrizione relativa ad un Hortus Caedicianus collegabile con un personaggio di età antonina (proprietario delle figlinae Furianae) o con un suo eventuale ascendente o successore24. Si tratta comunque di un complesso (Hortus conclusus) di tipo privato con estensione non determinabile (pur se non certo notevole), che, in base al luogo di ritrovamento dell’iscrizione intorno all’incrocio tra le attuali vie Manin e Amendola, possiamo collocare in un’area intermedia tra gli Horti Calyclani e i Lolliani. Sarebbe comunque non opportuno cercare contatti topografici troppo stretti tra i vari Horti fin qui in- dicati: si deve infatti tener presente che tali “aree verdi” non vanno necessariamente intese come confinanti se non ci sono indicazioni precise in proposito. In particolare, nella vasta zona presa in considerazione sono 16  Eadem, in LTUR 3, p. 60 s.v. Horti Epaphroditiani 17 Eadem, LTUR 3, pp. 85-86 s.v. Horti Torquatiani 18 …Marcia autem partem sui post hortos Pallantianos in rivum qui vocatur Herculaneus deicit. Is per Caelium ductus, ipsius montis usi- bus nihil ut inferior subministrans, [f]initur supra portam Capenam (Frontin. aq. 19); …Anio novus et Claudia a piscinis in altiores arcus recipiuntur ita ut superior sit Anio. Finiuntur arcus earum post hortos Pallantianos et inde in usum urbis fistulis diducuntur (Frontin. aq. 20); … (Iulia) Praeterea accipit prope urbem post hortos Pallantianos ex Claudia quinarias centum sexagintas duas (Frontin. aq. 69). 19  Volpe 1996, pp. 65-68 e 75-78. 20  Grimal 1936, pp. 262-264. 21  Volpe 1996, p. 68. 22 Plin. epist. 7.29. Particolarmente aspro è il giudizio di Plinio sugli onori effettivamente immeritati – e comunque sproporzionati – attribuiti a Pallante da parte del Senato e dell’imperatore stesso. 23  Questa è d’altronde la posizione topografica attribuita ai giardini di Pallante da numerosi autori (cfr. ad es.: Platner, Ashby 1929; Grimal 1936 e 1984; Guidobaldi 1998; Coates-Stephens 2001). Su questo argomento si tornerà comunque più avanti (cfr. infra). 24  E. Papi, LTUR 3, pp. 54-55, s.v. Hortus Caedic[ianus].
  • 7. 130 Federico Guidobaldi Fig.  1a-b.  Zona sud-est della Roma antica, con evidenziazione delle principali strade antiche e indicazione approssimativa delle aree occupate da Horti (la base grafica è la pianta di R. Lanciani, Forma Urbis Romae integrata dal SITAR): a) all’inizio del I secolo d.C., b) alla fine del I secolo d.C. (elab. S. Pedone).
  • 8. Horti Nominis Sui 131 stati rimessi in luce vari complessi di strutture del II, III e soprattutto del IV secolo per le quali spesso la pertinenza ad Horti va completamente esclusa e che quindi testimoniano la presenza di complessi edilizi di altra funzione inseriti nella “maglia” topografica esquilina. Non possiamo occuparci in questa sede, per motivi di spazio, di queste strutture e del problema della probabile frammentazione degli Horti che certamente, come hanno recentemente osservato, pur se su basi diverse, Coates-Stephens25 e Purcell26, tornarono, almeno in parte, in mano privata nell’avanzata età impe- riale, non dobbiamo tuttavia omettere di osservare che molti dei toponimi finora presi in considerazione sembrano scomparire del tutto, almeno dalle fonti epigrafiche e documentarie, già a partire dal II secolo d.C. Non si parla più infatti di Horti Tauriani anche se assai più tardi compare un forum Tauri27 in corrispondenza della Porta Tiburtina (ma non è affatto certo che sia da riferire a Statilio Tauro). Scompaiono dalla lettera- tura e dall’epigrafia gli Horti Calyclani, i Torquatiani, i Lolliani e gli Epaphroditani. Oltre ai Lamiani e Maiani, della sopravvivenza dei quali abbiamo varie prove archeologiche, soltanto i Pallantiani debbono essere sopravvissuti con la vecchia denominazione poiché sono gli unici registrati nella quinta regione dai Cataloghi Regionari28 e quindi in età tetrarchica erano ancora noti come tali. Inoltre il frammento 57 della Pianta marmorea severiana reca la scritta Horti P…29 che, anche in base alla sola iniziale 25  Coates-Stephens 2001. 26  Purcell 2007. 27  G. De Spirito, LTUR 2, pp. 347-348, s.v. Forum Tauri. 28  V.Z. I, pp. 105, 170. 29  FUM, tav. XXXVI, fr. 57. Fig.  2.  Zona sud-est della Roma antica, con evidenziazione delle principali strade antiche e indicazione approssimativa delle aree occupate da Horti alla metà circa del III secolo d.C. La base grafica è la pianta di R. Lanciani, Forma Urbis Romae integrata dal SITAR (elab. S. Pedone).
  • 9. 132 Federico Guidobaldi superstite, potrebbe corrispondere ai Pallantiani (i Pompeiani30 e i Peduceiani31 sono meno probabili per quell’epoca, ma si deve ammettere che anche altre soluzioni possono essere proposte). D’altronde nel III secolo ci sono certamente altri cambiamenti da prendere in considerazione. L’età dei Severi corrisponde infatti a due iniziative del tutto nuove (fig. 2), tra le quali la più impor- tante e innovativa è certamente la fondazione – restata di fatto incompiuta – degli Horti Spei Veteris32, che dovrebbero aver occupato almeno in parte le aree dei Torquatiani e degli Epaphroditiani. Si tratta, come è noto, del primo esempio di residenza imperiale periurbana con circo adiacente, che replica, in zona decentrata e su scala ridotta, la più antica e più ‘ufficiale’ residenza imperiale, cioè quella del Pala- tium con il sottostante Circus Maximus che, data la sua eccezionale capienza, era diventatola platea nella quale l’imperatore poteva manifestarsi fisicamente al più gran numero possibile di cittadini33. È noto che questa vastissima residenza della dinastia severiana restò incompiuta poiché l’ultimo della famiglia, Alessandro Severo, che vi aveva subìto un attentato ad opera del cugino Eliogabalo, non volle utilizzarla e, anzi, preferì ripristinare e potenziare un’altra antica residenza periurbana, quella degli Horti Lamiani34, già frequentata dagli imperatori dell’età giulio-claudia e probabilmente restata sempre in uso con il suo ricchissimo arredo. Una mostra dedicata in modo specifico a quel complesso e, in particolare, ai materiali rinvenuti nell’area in varie epoche ha offerto l’occasione per una raccolta di studi dettagliati35, che hanno posto in eviden- za l’importanza e l’eccezionale decorazione di questa residenza imperiale che fu certamente rinnovata da Alessandro Severo e utilizzata forse come residenza alternativa nel periodo in cui il Palatium era ancora in corso di ristrutturazione: sappiamo infatti che Settimio Severo eseguì nella residenza palatina estesissimi in- terventi 36 che dovettero certo protrarsi anche durante il regno dei suoi dinasti e, in particolare, dello stesso Alessandro al quale infatti l’Historia Augusta37 attribuisce l’allestimento, in Palatio, di alcune pavimentazioni porfiretiche, delle quali io stesso ho segnalato alcuni possibili resti ancora in situ38. L’altra importante “variazione” nella topografia dell’area in questione nel III secolo si ricava, pur se con qualche difficoltà da due passi dell’Historia Augusta. Nella Vita Gallieni troviamo infatti una chiara menzione di Horti di proprietà di quell’imperatore, forniti di strutture di ricevimento e termali quindi riferibili ad una residenza vera e propria, della quale tuttavia non si dice un nome pur lasciando intendere che ci fosse. Il passo è infatti il seguente: Cum iret ad hortos nominis sui, omnia palatina officia sequebantur. Ibant et praefecti et magistri officiorum omnium adhibebanturque conviviis et natationibus lavabant simul cum principe39. Come si vede non si esplicita il nome della residenza, che poteva essere anche Horti Gallieni e non necessariamente Horti Liciniani come si è dato sempre per scontato; neppure si indica la collocazione topografica di questa residenza, che do- veva comunque essere di notevole estensione. Qualcosa si può ricavare però dall’altro passo della Vita Gallieni che ricorda che lo stesso imperatore volle innalzare nella parte più alta dell’Esquilino una sua statua enorme, progettoche,tuttavia,nonfupoirealizzato:StatuamsibimaioremcolossofieripraecepitSolishabitu,sedeaimper- fectaperiit.Tammagnadeniquecoeperatfieri,utduplexadcolossumviderentur.Poniautemillamvolueratinsummo Esquiliarum monte, ita ut hastam teneret, per cuius scapum infans ad summum posset ascendere40. Questa ultima indicazione ha fatto pensare che la statua fosse progettata come ornamento degli Horti che, quindi, dovevano trovarsi sull’Esquilino: conclusione, questa, che è certo proponibile, anche se si deve 30  V. Jolivet, LTUR 3, pp. 78-79, s.v. Horti Pompeiani. 31  C. Lega, LTUR 3, pp. 77-78, s.v. Horti Peduceiani. 32  F. Coarelli, LTUR 3, p. 85, s.v. Horti Spei Veteris. 33  Sulle residenze imperiali con circo annesso cfr. Guidobaldi 2004; 2009. 34  M. Cima di Puolo, LTUR 3, pp. 61-64, s.v. Horti Lamiani. 35  Cima - La Rocca 1986. 36  Coarelli 2012, pp. 189-190. 37  Hist. Aug. Alex. 25.7. 38  Guidobaldi 2002. 39  Hist. Aug. Gall. 17.8. 40  Hist. Aug. Gall. 18.2-3.
  • 10. Horti Nominis Sui 133 tener presente che le fonti, abbastanza specifiche a proposito della posizione topografica prevista per il co- losso, non lo sono affatto a riguardo del contesto a cui esso era destinato. Gioca d’altronde a favore della collocazione degli Horti di Gallieno nella parte più alta del colle Esquili- no anche l’iscrizione onoraria dedicata a lui e a sua moglie41, incisa proprio sull’antica Porta Esquilina (fig. 3), che si apriva nella cinta muraria della Roma repubblicana in corrispondenza della terminazione del clivus suburanus (presso l’attuale chiesa di S. Vito) e che è nota, appunto, come “Arco di Gallieno”: è infatti logico pensare che quella fosse una sorta di accesso alla residenza periurbana in questione, che sarebbe così da in- dicare, appunto, in summo Esquiliarum monte42, cioè all’incirca in corrispondenza degli ex Horti Calyclani. Va qui precisato, tuttavia, che una interpretazione topografica del tutto diversa, avanzata da Antonio Nibby nel lontano 183943, è tuttora in voga, nonostante le incongruenze che, alla luce delle più moderne acquisizioni, risultano del tutto evidenti. Nibby era partito da una giustificabile esigenza: quella di dare un nome più stabile all’unico resto ve- ramente monumentale che emergeva nella zona tra la Porta Esquilina e la Porta Maggiore e cioè quella enorme sala decagona con una cupola del diametro di ben 25 m ca. (fig. 4), che fino allora aveva avuto le attribuzioni, davvero poco convincenti, di Basilica o Tempio di Caio e Lucio Cesare, di Tempio di Ercole Callaico e, più stabilmente, di Tempio di Minerva Medica44. In realtà il più autorevole dei topografi del XVII secolo, Famiano Nardini, si era già dimostrato scettico a riguardo di tali interpretazioni e, dubitando delle 41  CIL VI, 1106. 42  Questa soluzione, nonostante la sua evidente praticabilità, è stata proposta solo recentemente (Guidobaldi 1998). 43  Nibby 1838, Parte I, Antica To. II pp. 328-336. Questa ipotesi non aveva ancora preso corpo quando Nibby, venti anni prima, curò l’edizione critica (la quarta) della Roma Antica di Nardini, poiché, commentando il passo relativo al ‘Tempio di Minerva Medica’ (cfr. infra), non avanza proposte alternative, ma cita piuttosto altre ipotesi più recenti e si allarma per lo stato del monu- mento (“questo edifizio che va in rovina ogni dì”) la cupola del quale crollerà effettivamente pochi anni dopo (Nardini-Nibby 1818, vol. II, pp. 21-24) 44  Per le varie interpretazioni proposte per l’edificio decagono prima dell’ipotesi di Nibby, cfr.: Guidobaldi 1998, pp. 487-492. Fig.  3.  Roma, l’antica Porta Esquilina con iscrizione dedicatoria aGallienoeSaloninaaldisopradell’arcatanellostatoattuale(foto F. Guidobaldi). Fig.  4.  Roma, l’interno del c.d. Tempio di Minerva Medica nella fase di restauro tuttora in corso (foto O. Brandt).
  • 11. 134 Federico Guidobaldi identificazioni con un tempio, con una basilica o con una terma – altra ipotesi che affiorava periodicamente – aveva individuato nel monumento una funzione residenziale e lo aveva collegato con il Palatium Licinia- num45 menzionato nel Liber pontificalis46 e in alcuni testi agiografici47 – tutte fonti comunque non precedenti al VI secolo – come edificio prossimo alla chiesa di S. Bibiana fondata da papa Simplicio (468-483). Il Nibby riesumò in parte l’interpretazione di Nardini, ma con una importante variante: propose infatti di vedere nella struttura decagona “una sala degli Horti Liciniani costruita durante il regno di Gallieno”, facendo così coincidere, per la prima volta, il Palatium Licinianum e gli Horti nominis sui dell’imperatore Licinio Egnazio Gallieno (256-265) e, implicitamente, attribuendo allo splendido edificio con cupola una datazione alla metà circa del III secolo. Questa ipotesi fu ratificata, alla fine del XIX secolo, dal Lanciani che, per la presenza di due grandi bacini di fontana che affiancavano il decagono, lo considerò un grande nymphaeum e fu il primo a indicarlo come “Ninfeo degli Horti Liciniani” 48: denominazione, questa, che anche per l’indiscussa fama di chi l’aveva conia- ta è stata in seguito adottata da altri autorevoli studiosi come Grimal 49 e Lugli50, nonostante l’autorevole ed esplicita opposizione espressa, già nel 1929, nel Topographical dictionary di Platner e Ashby51. Fino ad allora l’analisi delle murature a fini cronologici non era stata ancora eseguita, fatto, questo, che giustifica in qualche modo la sopravvivenza dell’ipotesi di Lanciani, ma nel 1944 la pubblicazione di vari bolli laterizi osservati in situ da Caraffa52 rese obbligatoria una revisione delle precedenti interpretazioni, almeno dal punto di vista della cronologia. È merito di questo studioso, infatti, l’aver fornito elementi conclusivi per stabilire che il c.d. Tempio di Minerva Medica non poteva essere precedente al IV secolo e quindi non era attribuibile a Gallieno. È a dir poco sorprendente che questa scoperta non sia stata ritenuta sufficiente a demolire del tutto le prece- denti interpretazioni che, invece sopravvissero, pur se in forma parziale e, diremmo, “ibrida” in varie successive pubblicazioni, tra le quali ricordiamo, ad es., quelle di Crema53 e di Ward-Perkins54, i quali, pur attribuendo decisamente all’età costantiniana l’edificio decagono mantengono per esso, pur se talvolta solo nelle didascalie delle illustrazioni, il nome di “Ninfeo degli Horti Liciniani”. Più decisa è invece la Heres che descrivendo il mo- numento, aggiunge: “Ancient name unknown”55 e ribadisce la datazione ad età costantiniana in due fasi abba- stanza ravvicinate56. Tale cronologia, che è d’altronde confermata, pur se con limitate varianti, dalla Steinby57, 45  Nardini 1665, pp. 159-160. Questo autore elencava peraltro le varie ipotesi di identificazione del Licinio del Palatium o con l’imperatore Licinio del IV secolo oppure con altri Licini di età più antica, senza giungere ad una ipotesi definita e comunque senza mai evocare Gallieno. 46  L.P. I, p. 249. 47  Le fonti agiografiche più significative sono riportate in: de Rossi 1890 e S. Rizzo, LTUR 3, pp. 64-66, s.v. Horti Liciniani. 48  Lanciani 1897, pp. 400-404. 49  Grimal 1936, pp. 280-285. 50  Lugli 1938, pp. 478-483. 51  Platner, Ashby 1929, p. 268 (Horti Liciniani) e p. 364 (Nymphaeum), ove si afferma a proposito del c.d. Tempio di Minerva Medica: “It is now often attributed to the Horti Liciniani, but without adequate reason”. 52  Caraffa 1944. 53  Crema 1959, pp. 634-635. Il monumento è inquadrato nell’età tetrarchico-costantiniana ma se ne lascia la denominazione di “Ninfeo degli Horti Liciniani”. 54  Ward-Perkins 1979, p. 193: l’autore include il “Tempio di Minerva Medica” tra gli edifici costantiniani e con lo stesso nome lo indica nelle figg. 298-300, ma nella fig. 297 aggiunge al precedente anche il nome di “padiglione degli Horti Liciniani”. 55  Heres 1982, p. 356. 56  Ibidem, pp. 356-360. La prima fase viene posta intorno al 330 e la seconda “a few years later”. 57  Steinby 1986, pp. 124, 141. L’autrice attribuisce datazioni tetrarchiche o massenziane ad alcuni dei bolli laterizi rinvenuti nelle strutture del complesso, ma ciò si spiega con l’eventuale uso di partite di materiali non omogenee dal punto di vista della cronologia di fabbricazione. Inoltre si deve sottolineare che il bollo CIL XV, 1622, trovato in quattro esemplari dal Caraffa in situ nella cupola e presente nelle Terme di Diocleziano, ma anche nella basilica di Massenzio e nelle Terme di Costantino non viene citato per il “Tempio di Minerva Medica”(Ibidem, p. 119). Questa minima e giustificabilissima svista nulla toglie, comunque, all’accuratezza dell’immane lavoro della Steinby che ci ha lasciato un utilissimo e unico strumento di lavoro per l’analisi dei monumenti tardoanti- chi di Roma, che potrà essere arricchito, aggiornato e schematizzato ulteriormente, ma resterà sempre la base di qualunque ulteriore sviluppo.
  • 12. Horti Nominis Sui 135 dalla Cima58, da Coates-Stephens59, da Biasci60, dalla Barbera61 e da Coarelli62, rende ovviamente del tutto impraticabile l’attribuzione a Gallieno, che tuttavia viene talvolta ripresa63. D’altronde, anche se quanto finora osservato non bastasse, l’eccezionale architettura del mo- numento sarebbe, già da sola, più che sufficiente a permetterci di inquadrare senza esitazione l’ar- chitettura del grande edificio decagono e del com- plesso di cui fa parte, nella felice stagione dell’in- novazione costantiniana di cui ho avuto modo di trattare più volte64. Sono infatti elementi connotanti dell’architet- tura costantiniana e qui evidentemente presenti (figg. 4-5): - le polifore estroflesse a colonne sormontate da archi (fig. 5, prima fase), poi abolite per moti- vi statici nella seconda fase (fig. 5), e presenti sia nelle terme di Costantino, come risulta dalla pla- nimetria che ne ha lasciato Andrea Palladio65, sia nel rifacimento tardocostantiniano delle Terme di Agrippa 66 - l’insolita pianta decagona con numerosi annes- siedarticolazioniaprevalenzacurvilinea(fig.5); - l’enorme cupola di 24 m di diametro (pur- troppo crollata nel 1828) (figg. 4-5), la terza di Roma dopo il Pantheon e il calidarium delle Ter- me di Caracalla67; - i rivestimenti ad incrustationes marmoree po- licrome – perduti ma documentabili da menzioni e da resti della preparazione – portati fino all’at- 58  Cima 1998, p. 433: in effetti, nonostante i bolli riportati da Lugli, citato dall’autrice, includano vari esemplari postdioclezianei, viene indicata, per la prima fase dell’ottagono una data “intorno al 300 d.C.”. S. Rizzo, LTUR 3, pp. 64-66, s.v. Horti Liciniani. 59  Coates-Stephens 2001, pp. 222-225. 60  Biasci 2003, p. 176. 61  Barbera 2007. 62  Coarelli 2012, p. 258-259. 63  S. Rizzo, LTUR 3, pp. 64-66, s.v. Horti Liciniani, per la datazione del decagono si ripropone la seconda metà del III secolo d.C. 64  Guidobaldi 1995; 1998; 2005. 65  Idem, 2005, p. 268 e fig. 25; S. Vilucchi, LTUR 5, pp. 49-51 e fig 30, s.v. Thermae Constantinianae. 66  Guidobaldi, Conte 2013. Anche in questo caso la documentazione grafica è del Palladio. 67 Dopo l’enorme cupola del Pantheon, di dimensioni ineguagliate (diam. int. 43,50 m), quella del calidarium delle terme di Caracalla è la seconda per dimensioni a Roma (diam. int. 35 m ca.), segue un gruppo di strutture rotonde o di pianta poligonale coperte da cupole emisferiche di diametro interno prossimo ai 24-25 m: si tratta del calidarium delle Terme di Costantino, della rotonda delle Terme di Agrippa e del “Tempio di Minerva Medica”. È certo suggestivo constatare che gli ultimi tre edifici sono di età Costantiniana (per le terme di Agrippa cfr. la recente proposta di datazione in: Guidobaldi, Conte 2013) e che nel cali- darium delle terme di Caracalla sia stata trovata una grande iscrizione dedicatoria di Costantino e due suoi figli (A.M. Colini, ‘Notiziario di scavi, scoperte e studi intorno alle antichità di Roma e della Campagna romana’, BCom 67 (1939), pp. 210-211), attribuita ad un incisivo rifacimento: in effetti la predilezione per le cupole che si riscontra in età costantiniana non ha paragoni nelle epoche precedenti. Fig.  5.  Roma, pianta delle due fasi successive (ma ravvicinate nel tempo) del c.d. Tempio di Minerva Medica (da J.B. Ward Per- kins).
  • 13. 136 Federico Guidobaldi tacco della cupola che era invece a mosaico, come nel mausoleo di Costantina ed in quello di Costan- tino (Tor Pignattara), poi utilizzato dalla madre Ele- na68; - il verticalismo (fig. 4), non interrotto da quel- le modanature orizzontali tipiche dell’architettura classica e ancora presenti persino nei monumenti massenziani; - la illusoria leggerezza interna e la luminosità dell’ambiente (fig. 4); - l’assenza di decorazioni architettoniche con colonne addossare, mensole e cornici aggettanti, ti- piche dell’architettuta classica, ecc. Dell’età di Gallieno, dunque, non c’è nulla nell’area del c.d. Tempio di Minerva Medica e quin- di non si vede perché si debba forzare la topografia sulla base di una sola indicazione, riportata peraltro solo in fonti assai tarde e comunque suscettibile di altre interpretazioni. Tra queste si può ricordare, ad esempio, quella avanzata da De Spirito69 che ritie- ne che il Palatium Licinianum menzionato nel Liber pontificalis e in prossimità del quale fu edificata la basilica di S. Bibiana, fosse meglio collegabile con l’imperatrice Licinia Eudoxia, la quale risiedette spesso a Roma con il marito Valentiniano III, nel Sessorium costantiniano di cui il complesso di Mi- nerva Medica, più appartato e quindi più riservato, poteva essere la vera appendice residenziale, come d’altronde ho già proposto a suo tempo70. In ogni caso, anche se si volesse accettare l’identificazione del Palatium Licinianum delle fonti di VI secolo con la residenza di Gallieno (o, almeno, al ricordo di essa), non si vede perché non si dovrebbe cercare questo eventuale complesso a nord di Santa Bibiana e non 300 m più a sud. Proprio in quest’ottica è opportuno ora tornare agli Horti Pallantiani e alla menzione che di essi si trova nei Cataloghi Regionari: documenti che sono stati redatti, come è ben noto, in età tetrarchica con aggiun- te solo parziali di età costantiniana. Non si può infatti dimenticare che, come abbiamo potuto stabilire in precedenza (cfr. supra), quegli Horti occupavano l’area (figg. 1b-2) entro la quale si trova ora il complesso residenziale di età costantiniana, il che dimostra che i giardini originariamente legati al nome di Statilio Tauro e poi, dopo la confisca imperiale, sezionati in due parti una delle quali fu donata a Pallante e da lui prese il nome, avevano mantenuto la denominazione di Pallantiani anche quando erano tornati in possesso imperiale e la conservarono fino alle trasformazioni del IV secolo71. Ho già osservato in precedenza che, vari tratti murari in opus reticulatum sussistono tuttora al disotto di quelli tardoantichi72. Io stesso li ho visti emergere, durante i lavori di circa 30 anni fa (fig. 6) e vedo con pia- 68  E. Paparatti, ‘Ipotesi ricostruttiva del sistema decorativo marmoreo’, in Vendittelli 2011, pp. 92-99. 69  G. De Spirito, LTUR 4, p. 45. s.v. Palatium Licinianum/Liciniani. 70  Guidobaldi 1998. 71  Ciò dimostra, peraltro, che gli Horti di quella zona non potevano essere indicati come Liciniani nel pieno III secolo e poi, solo pochi decenni dopo, ridenominati Pallantiani. 72  Ibidem, p. 497. Fig.  6.  Roma, fontana-ninfeo sul lato est del c.d. Tempio di Minerva Medica con i resti affioranti di edifici in opera reticola- ta (prob. pertinenti agli Horti Pallantiani) troncati dalle costru- zioni del IV secolo e rimessi in luce durante gli scavi degli anni Ottanta (foto F. Guidobaldi).
  • 14. Horti Nominis Sui 137 cere che sono stati finalmente ripresi in considerazione sia in pubblicazioni più recenti73, sia nella campagna di nuove indagini strutturali finalizzate al restauro in corso, diretto dall’architetto Marina Magnani Cianetti della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e con la supervisione della stessa Soprinten- dente Mariarosaria Barbera. Si tratta di muri dell’inizio del I secolo – quindi coerenti con il più antico insediamento Tauriano – che tuttora si vedono affiorare e che evidentemente sussistevano ancora in alzato quando furono resecati solo per far posto all’edificio dell’inizio del IV secolo: in effetti, come gli scavi attuali stanno confermando, tra le due fasi non risultano costruzioni di epoca intermedia e quindi collegabile ad un intervento di Gallieno. A questo punto si deve ammettere che, se gli Horti nominis sui erano veramente sull’Esquilino, il che sembra comunque assai probabile, essi dovranno essere cercati più a nord del “Tempio di Minerva Medica”, accettando l’indicazione relativa all’orografia che comunque indica, per l’installazione del colosso proget- tato da Gallieno, la zona più alta delle Esquilie, dove si trova proprio la porta Esquilina. Il fatto che, proprio sopra il fornice di tale porta si trovi l’iscrizione dedicatoria allo stesso imperatore rende ancor più probabile che la residenza vera e propria si trovasse in quel settore dell’Esquilino e non nelle strutture con aula deca- gona che distano circa un chilometro dalla porta e, comunque, non esistevano se non mezzo secolo circa dopo la morte di Gallieno. L’area che meglio risponderebbe ai pochi indizi topografici di cui disponiamo per la residenza di Gal- lieno potrebbe essere individuata, dunque, ad est della Porta Esquilina e, ovviamente, ad una certa distanza da essa (fig. 2), poiché nelle sue immediate vicinanze sono state rinvenute strutture che non sono certo attribuibili a residenze imperiali. Dovremmo quindi spostarci, come d’altronde avevamo già anticipato, più all’interno del triangolo un tempo occupato dagli Horti Calyclani e comunque in corrispondenza della villa Peretti Montalto che si spingeva anche nell’area della attuale sede ferroviaria, zona che, nel complesso, è sta- ta indagata assai limitatamente. A questo punto, però, non si può omettere di segnalare che proprio all’inizio di questo settore, cioè ad ovest, sono stati rinvenuti evidenti resti di una residenza aristocratica tardoantica, attribuita a Vettio Agorio Pretestato74, che sarebbe certo suggestivo supporre una sorta di continuazione, magari solo parziale della residenza un tempo allestita da Gallieno e che poteva essere anche in parte pre- esistente75. Si tratta in realtà soltanto di una ipotesi che potrà comunque essere approfondita in altra sede, tuttavia, in attesa di ulteriori e più specifiche ricerche, forse vale la pena di segnalare almeno una curiosa coincidenza. Assai recentemente sono state infatti riprese in considerazione sia da Coates-Stephens76, sia dalla Granino Cecere e dalla Ricci77, le numerosissime iscrizioni per lo più di pretoriani (oltre 80), su lastre, arule, edicolette e cippi78 riutilizzati come materiale da costruzione nella fondazione di un lungo muro in laterizio ritrovato in Piazza Manfredo Fanti e databile, in base ai bolli laterizi, alla prima parte del IV secolo. Tra le numerose dediche a divinità da parte di pretoriani, di prevalente provenienza e/o cultura balcanico- danubiana, se ne trovano parecchie erette in honorem domus divinae oppure pro salute di imperatori quasi tutti del III secolo, dai Severi fino a Gallieno, ma non oltre. 73  Biasci 2003, pp. 154-156. 74  F. Guidobaldi, LTUR 2, p. 164, s.v. Domus: Vettius Agorius Praetextatus. 75  Non si può infatti escludere, anzi sembra probabile che la residenza esquilina fosse già stata installata dall’imperatore Valeriano, padre di Gallieno o ancor prima. Vale la pena di segnalare, a tal proposito, un passo della Storia Augusta che, pur se non certo de- cisivo e finora poco considerato anche per la sua intrinseca genericità, contiene la menzione di una villa appartenuta a Valeriano. Nel racconto dei successi ottenuti da Aureliano quando da giovane, aveva assunto, per ordine di Valeriano imperatore il comando dell’esercito come sostituto di Ulpio Crinito, si narra anche di un notevole bottino di guerra, una parte del quale, consistente in 500 schiavi e migliaia di capi di bestiame, fu ammassata “in villam privatam Valeriani”, della quale però non si specifica l’ubicazione (Hist. Aug. Aurelian. 10.2). 76  Coates-Stephens 2001, pp. 221-222. 77  Granino Cecere, Ricci 2009 passim (ivi bibliografia precedente). 78  Per una trascrizione di gran parte delle iscrizioni cfr. Lugli 1957, pp. 69-84. L’analisi dettagliata delle dedicazioni e l’accurato studio epigrafico sono invece in Granino Cecere, Ricci 2009.
  • 15. 138 Federico Guidobaldi Per interpretare questo reimpiego insolitamente omogeneo sono state avanzate varie proposte, ma recen- temente79 si è preferito pensare che gli elementi marmorei con epigrafi dedicate da pretoriani provenissero dai Castra Praetoria, anche se la distanza di quasi un chilometro non sembra a favore di un trasporto così impe- gnativo, specialmente se si considerano sia l’uso del tutto aspecifico a cui il materiale era destinato, sia la facile reperibilità di elementi adatti allo stesso scopo nelle immediate vicinanze dell’area in oggetto. Sembra dunque da non scartare l’altra ipotesi, avanzata, pur se con diverse varianti, già a partire dal tempo del ritrovamento, secondo la quale le iscrizioni si trovavano già in quella stessa zona ed erano pertinenti a installazioni stabili di pretoriani80, che Lugli definisce “statio vel castra minora”81: si potrebbe trattare, insomma, di un vero e proprio distaccamento di pretoriani, legato magari alle residenze imperiali della zona tra le quali non va certo esclusa quella di Gallieno anche perché proprio questo imperatore, al quale sono indirizzate ben quattro dediche82 è, dal punto di vista cronologico, l’ultimo presente nell’intera serie epigrafica. Si deve qui sottolineare, peraltro, che proprio questo particolare aspetto della situazione rende meno probabile l’ipotesi di una provenienza dai Castra Praetoria di tali materiali. Se essi furono infatti riutilizzati nella prima metà del IV secolo come riempi- mentonellagettatadifondazionedelgrossomuro,forsediterrazzamento83,pertinenteallaresidenzaesquilina di Vettio Agorio Pretestato e fino allora si trovavano in situ nei Castra, dismessi solo al tempo di Costantino, perché includono dediche ad una serie di imperatori che si arresta proprio con Gallieno e non con Massenzio? È piuttosto difficile che questa selettività sia puramente casuale e quindi, pur ammettendo che l’analisi propo- sta recentemente dalla Granino Cecere e dalla Ricci sia del tutto corretta e ricca di argomentazioni, dobbiamo avanzare,purseconprudenza,l’interpretazionealternativadiunaprovenienzaesquilinadelgruppodiepigrafi citate che potrebbero appartenere a una statio distaccata dei Castra Praetoria: ipotesi, questa, che tiene conto soprattutto della suggestiva coincidenza tra la presenza nell’area di una residenza di Gallieno e l’interruzione, proprio dopo Gallieno, della serie delle epigrafi con dedica ad un imperatore. Concludendo, in attesa di ulteriori e più specifiche ricerche, possiamo per ora contentarci di aver pro- posto quanto segue: - gli Horti costruiti e/o frequentati dall’imperatore Gallieno, il vero nome “antico” dei quali resta tuttora indeterminato, dovevano trovarsi con ogni probabilità nella zona più alta dell’Esquilino in corrispondenza dell’area prima occupata dagli Horti Calyclani; è inoltre possibile che dopo l’inizio del IV secolo il comples- so residenziale di Gallieno sia passato in mani private e sia divenuto, verso la fine del secolo stesso, proprietà di Vettio Agorio Pretestato - la residenza del III secolo che le fonti attribuiscono a Gallieno non poteva avere nulla a che fare con il c.d. TempiodiMinervaMedica,cheècertamentedietàcostantiniana(quindinonpotevaesisterealtempodiGal- lieno) e che non è mai stato né una terma, né un ninfeo, né, tantomeno, il “Ninfeo degli Horti liciniani”, nome inventato sulla sola base di fonti del VI secolo (Palatium Licinianum) che può avere varie altre interpretazioni - l’area nella quale, nel IV secolo, fu edificato lo splendido e ricchissimo complesso architettonico di cui il grande decagono era parte integrante era in precedenza occupata dagli Horti Pallantiani, dei quali sussistono resti in opera reticolata tuttora visibili immediatamente al disotto dell’edificio del IV secolo e che sopravvissero con quel nome fino all’età tetrarchica, pur restando, probabilmente, nel demanio imperiale fino a che, negli ultimi decenni del III secolo, la costruzione delle mura di Aureliano, chiudendo entro l’area urbana questi giardini percorsi da acquedotti, ne fece il luogo ideale per installarvi un settore più appartato del nuovo palazzo imperiale che doveva integrare il più esteso e monumentale settore di rappresentanza ricavato, da Costantino, adattando e completando la vecchia residenza severiana ad spem veterem, restata fino allora incompiuta. 79  Ibidem, p. 194. 80  Per le prime ipotesi in tale direzione (schola o collegium di pretoriani), enunciate da Henzen e da Hülsen, si rinvia al contributo di Coates-Stephens che sembra incline ad accettarle (Coates-Stephens 2001, pp. 221-222). 81  Lugli 1957, p. 69. 82  Ibidem, p. 81. 83  Coates-Stephens 2001, p. 222.
  • 16. Horti Nominis Sui 139 Bibliografia Barbera 2007: M. Barbera, S. Di Pasquale, P. Palazzo, ‘Roma, studi e indagini sul cd. Tempio di Minerva Medica’, Fasti Online, n. 91 (2007), pp. 1-21, in part. pp. 10-21. Biasci 2003: A. Biasci, ‘Manoscritti, disegni, foto dell’Istituto Archeologico Germanico ed altre notizie ine- dite sul “Tempio di Minerva Medica”’, BCom 104 (2003), pp. 145-182. Caraffa 1944: G. Caraffa, La cupola della sala decagona degli Horti Liciniani: restauri 1942 (1944). Cima - La Rocca 1986: M. Cima, E. La Rocca, Le tranquille dimore degli dei. La residenza imperiale degli horti Lamiani. Catalogo della mostra, Roma maggio-settembre 1986 (1986). Cima 1998: M. Cima, ‘Gli Horti Liciniani: una residenza imperiale della tarda antichità’, in M. Cima, E. La Rocca(acuradi),Horti romani.Atti del Convegno Internazionale, Roma 4-6 maggio 1995 (1998),pp.425-452. Coarelli 2012: F. Coarelli, Roma (Guide archeologiche Laterza, 9) (20124). Coates-Stephens 2001: R. Coates-Stephens, ‘Muri dei bassi secoli in Rome: observation on the re-use of statuary in walls found on the Esquiline and Caelian after 1870’, JRA 14 (2001), pp. 217-238. Cozza 1997: L. Cozza, ‘Mura di Roma dalla Porta Nomentana alla Tiburtina’, AnalRom 25 (1997), pp. 7-113. Crema 1959: L. Crema, L’architettura romana (Enciclopedia classica, sez. III, Arte e archeologia, a cura di P. Arias 1959, tomo I), (1959). D’Agostino 2004: A. D’Agostino, ‘Notiziario’, BCom 105 (2004), pp. 410-411. de Rossi 1890: G.B. de Rossi, ‘Il Forum Tauri nella regione esquilina’, BCom (1890), pp. 280-283. FUM = E. Rodríguez-Almeida, Forma urbis marmorea. Aggiornamento generale 1980 (1981). Granino Cecere, Ricci 2009: M.C. Granino Cecere, C. Ricci, ‘Culti indigeni e lealismo dinastico nelle de- diche dei pretoriani rinvenute presso piazza Manfredo Fanti a Roma’, in C. Wolff, Y. Le Bohec (a cura di), L’armée romaine et la religion sous le Haute-Empire romain, Actes du quatrième Congrès de Lyon, 25-28 octobre 2006 (2009), pp. 185-201. Grimal 1936: P. Grimal, ‘Les Horti Tauriani. Étude sur la topographie de la Région V’, MEFR (1936), pp. 258-286. Grimal 1984: P. Grimal, Les jardins romains, 3a ed. (1984). Guastella 2001: M. Guastella, ‘Revisioni’, in G.L. Gregori (a cura di), La collezione epigrafica dell’Antiqua- rium comunale: inventario generale, inediti, revisioni, contributi al riordino (2001), pp. 349-350 n. 361. Guidobaldi 1995: F. Guidobaldi, ‘Sull’originalità dell’architettura di età costantiniana’, XLII Corso di Cultu- ra sull’Arte Ravennate e Bizantina (1995), pp. 419-441. Guidobaldi 1998: F. Guidobaldi, ‘Il “tempio di Minerva Medica” settore privato del Sessorium Costantinia- no’, RACr 74 (1998), pp. 485-518. Guidobaldi 2002: F. Guidobaldi, ‘Le plateae con pavimenti porfiretici di Eliogabalo e Alessandro Severo nel Palatium’, in G. Bonamente, F. Paschoud (a cura di), Historiae Augustae Colloquium Perusinum, Atti dei Convegni sulla Historia Augusta, VII, Perugia, 1-4 giugno 2000 (2002), pp. 275-289. Guidobaldi 2004: F. Guidobaldi, ‘Le residenze imperiali della Roma tardo-antica’, in P. Chevalier, C. Bal- melle, G. Ripoll (a cura di), Mélanges d’Antiquité tardive, Studiolae Infimae Antiquitatis ad honorem Noël Duval (Bibliothéque de l’Antiquité Tardive, 5) (2004), pp. 37-45. Guidobaldi 2005: F. Guidobaldi, ‘Caratteri e contenuti della nuova architettura dell’età costantiniana’, RACr 80, 2004 (2005), pp. 233-276. Guidobaldi 2009: F. Guidobaldi, ‘Les résidences impériales de Rome en dehors du Palatin’, in Yves Perrin, Manuel Royo (a cura di), Rome et ses palais (Dossiers de l’Archéologie, 336) (2009), pp. 76-79. Guidobaldi, Conte 2013: F. Guidobaldi, G. Conte, ‘La parte centrale delle Terme di Agrippa nel Campo Marzio: una totale o parziale ricostruzione a fundamentis in età tardocostantiniana’, RACr 87-88 (2011- 2012), pp. 175-208. Heres 1982: T. Heres, Paries. A proposal for a dating system of late-antique masonry structures in Rome and Ostia A.D. 235-600 (1982). Lanciani 1874: R. Lanciani, ‘I Giardini dell’Esquilino’, BCom (1874), pp. 53-61.
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