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SHORT APNEA
TEORIA OLOGRAFICA [1]
AMBROSE
BIERCE
UN CITTADINO
DI CARCOSA
AMBROSE BIERCE
UN CITTADINO DI CARCOSA
Titolo originale
An inhabitant of Carcosa
Traduzione e revisione
Dafne Munro
[traduzione non letterale, adeguata al registro contemporaneo]
SHORT APNEA
TEORIA OLOGRAFICA [1]
Editore Dario Emanuele Russo
Redattrice Dafne Munro
Coordinatore Editoriale Attilio Albeggiani
Graphic Designer Angela Graci
Urban Apnea S.A.S
Via Libertà 129, 90143 Palermo
P.IVA 06153260820
www.urbanapneaedizioni.it
Immagine di copertina
Antonio Ilardo
ISBN 9788894042047
Maggio 2015
SHORT APNEA
TEORIA OLOGRAFICA [1]
AMBROSE BIERCE
UN CITTADINO DI CARCOSA
artista Chair of Rigel
album Carpenter
brano Carpenter [4.26 min]
etichetta Almendra Music
DOWNLOAD ALBUM
in collaborazione con
COLONNA SONORA
CONSIGLIATA
7
E
sistono molte forme di morte: a volte il corpo
permane, altre svanisce in pace con lo spiri-
to. Questo di norma avviene in solitudine [per
volontà di Dio] e nessuno vede la fine; noi diciamo
che l’uomo è perduto, che è partito per un lungo
viaggio, e in effetti è così. Ma qualche volta avvie-
ne al cospetto di molti, come dimostrano numerose
testimonianze. Nel primo tipo di morte, muore solo
l’anima, mentre il corpo resta in vita per molti anni.
Qualche volta invece, come è stato ampiamente
dimostrato, l’anima muore con il corpo ma dopo un
viaggio ultraterreno risorge nello stesso luogo dove
il corpo si era putrefatto.
Analizzavo queste parole di Hali [che Dio lo proteg-
ga] e ragionavo sul loro profondo significato, come
chi ha ricevuto una rivelazione e ancora dubita se
oltre a ciò che ha già compreso non vi sia sotto
qualcos’altro, quando un improvviso soffio di ven-
to sferzante mi sbatté in faccia l’assurdità di ciò
che mi circondava. Mi resi conto, attonito, che ogni
cosa intorno a me era priva di senso. Mi trovavo
8
in un’ampia pianura spoglia e desolata ricoperta
da una folta erbaccia secca che frusciava sibi-
lante nel vento d’autunno provocando misteriose
e agghiaccianti suggestioni. Più in alto svettava-
no a intervalli rocce dalle sagome strane e scure
che sembravano dialogare tra loro, scambiandosi
sguardi angosciati, come se sollevassero le teste
per seguire l’ordine di un evento profetico. Alcu-
ni alberi minacciosi, sparsi qua e là, apparivano
come gli artefici di un diabolico complotto di silenti
aspettative. Anche se il sole non era visibile, im-
maginai che il giorno stesse volgendo al termine;
e sebbene avvertissi l’aria fredda e pungente, la
percezione, più che fisica, era mentale. Non mi
sentivo a disagio. Su tutto quell’ambiguo scena-
rio si abbatteva simile a una maledizione concreta
una calotta di nuvole basse e livide. Ravvisavo un
avvertimento, un pericolo, l’impronta del diavolo
come una condanna del destino. Non c’era traccia
di uccelli, di animali o di insetti. Il vento soffiava
tra le fronde nude di alberi morti e l’erba grigia si
inchinava a sussurrare un ossessivo segreto alla
TEORIA OLOGRAFICA
9
terra; nessun altro rumore o segno di vita interrom-
peva la terribile quiete di quel luogo alieno.
Nell’erba c’erano numerose pietre chiaramente pla-
smate dall’uomo ed erose dal tempo. Erano rotte,
coperte di muschio e interrate a metà. Alcune river-
se al suolo, altre inclinate sui lati, nessuna in verti-
cale. Si trattava di pietre tombali, anche se le tombe
non esistevano più, neanche come tumuli, o sempli-
ci fosse: il tempo aveva livellato ogni cosa. Sparpa-
gliati tutto intorno svettavano blocchi più massicci
di tombe pompose e sepolcri pretenziosi che ave-
vano sperato invano di sconfiggere l’oblio. Quelle
macerie così antiche erano vestigia di vanità, segni
di affetto e pietas, così martoriate, logore, macchia-
te; e il posto, così negletto, deserto e abbandonato
che mi sembrava di aver scoperto il cimitero di una
razza di uomini preistorici il cui nome si era estin-
to. Immerso in queste riflessioni mi dimenticai per
un po’ della mia condizione, ma a un tratto pensai
“come sono finito qui?”. Un attimo di riflessione rese
tutto più chiaro e spiegò, seppur in modo inquietan-
te, il singolare modo con cui la mia fantasia stava
UN CITTADINO DI CARCOSA
10
travestendo ogni cosa. Ero malato. Ricordo che ero
stato abbattuto da una febbre improvvisa e la mia
famiglia mi aveva detto che nel delirio invocavo aria
e libertà, così mi avevano legato a letto per evitare
che fuggissi. Adesso avevo eluso la viglilanza di chi
mi sorvegliava arrivando fino a...dove mi trovavo?
Non ne avevo idea. Ero chiaramente lontano dalla
mia città, l’antica e rinomata Carcosa. Nessun segno
di vita umana era visibile o udibile; niente fumo di
comignoli, abbaiare di cani, belare di greggi, schia-
mazzi di bambini, niente al di fuori di quel tetro cimi-
tero col suo alone di ignoto e terrore, ricreato forse
dal mio stato mentale. Stavo di nuovo cominciando
a delirare e nessuno poteva aiutarmi? Era tutto frutto
della mia psicosi? Gridai il nome di mia moglie, dei
miei figli, agitando le mani in cerca delle loro, cam-
minando tra le lapidi rovinate e l’erba secca. Un ru-
more alle mie spalle mi fece voltare. Una lince selva-
tica si stava avvicinando. Pensai: se dovessi crollare
qui da solo, se mi tornasse la febbre o abbassassi
la guardia, diventerei il pasto di questa bestia. Le
andai incontro urlando. Lei trotterellava tranquilla a
TEORIA OLOGRAFICA
11
pochi metri da me e scomparve dietro a una roccia.
Subito dopo, nello stesso punto, sbucò la testa di
un uomo. Stava risalendo il versante più lontano di
una bassa collina la cui cima era quasi indistingui-
bile. La sagoma si stagliava contro la massa delle
nuvole grigie. Con pochi cenci di pelle copriva solo
in parte il suo corpo nudo. Aveva capelli spettinati
e una lunga barba non curata. In una mano teneva
un arco e una freccia; nell’altra una torcia accesa
con una lunga scia di fumo nero. Procedeva lento e
con cautela, come se temesse di cadere in qualche
fossa nascosta dall’erbaccia. Questa strana appa-
rizione mi sorprese, ma non mi allarmò. Accelerai
il passo per raggiungerlo e quando gli fui quasi
faccia a faccia lo salutai con un affettuoso – Dio ti
benedica – non mi prestò attenzione, né si fermò.
– Gentile straniero – ripresi – sono malato e mi sono
perso. Ti prego, dimmi dove si trova Carcosa.
L’uomo sbottò in un canto barbaro in una lingua a
me sconosciuta e si allontanò. Un gufo, sul ramo di
un albero stecchito, emanò un suono agghiacciante
e un altro gli rispose da lontano. Alzando lo sguardo
UN CITTADINO DI CARCOSA
12
vidi, attraverso un’improvvisa apertura tra le nuvole,
la stella Aldebaran e le Iadi. Ogni cosa era un mes-
saggio dalle tenebre: la lince, l’uomo con la torcia e
il gufo. Io vedevo, vedevo perfino le stelle in assen-
za di oscurità. Io vedevo ma, a quanto pare, non
potevo essere né visto né sentito. In quale maleficio
ero intrappolato? Mi sedetti accanto a un albero ma-
estoso, valutando con calma quale fosse la cosa
migliore da fare. A quanto pare stavo diventando
pazzo, ma non potevo essere certo neanche di
questo. Non avevo febbre. Provavo invece un in-
solito senso di leggerezza e forza, una sensazione
di esaltazione fisica e mentale. I miei sensi erano
come allertati; potevo sentire l’aria come fosse tan-
gibile; sentivo il silenzio.
Una robusta radice dell’albero gigantesco sotto il
quale mi ero accovacciato includeva tra i suoi den-
driti una lastra di pietra, di cui una parte si incasto-
nava nel recesso di un’altra radice. Sebbene fosse
ormai abbastanza decomposta, una faccia della
pietra era protetta dalle intemperie. I margini era-
no levigati, gli angoli sbriciolati, la parte superiore
TEORIA OLOGRAFICA
profondamente solcata e scavata. Nella terra intor-
no brillavano delle particelle di silicato; vestigia della
decomposizione. Questa pietra aveva visibilmente
segnato la tomba dalla quale, secoli prima, era fuori-
uscito l’albero. Le radici esuberanti avevano spezzato
la tomba e intrappolato la pietra come un prigioniero.
Una brezza improvvisa spinse vie alcuni ramoscelli
e foglie secche dalla superficie della lapide; c’erano
delle lettere, un’iscrizione in bassorilievo, mi chinai
per leggerla. Santo Cielo! Il mio nome al completo.
La mia data di nascita. E la mia data di morte!
Un raggio di luce orizzontale illuminò l’intero lato
dell’albero e balzai in piedi in preda al terrore. A
oriente, il sole stava sorgendo. Restai immobile tra
l’albero e l’enorme disco rosso, ma nessuna ombra
oscurava il tronco. Un coro di lupi ululanti accoglie-
va l’aurora. Li vidi accucciati sulle zampe, da soli o
in gruppo, sulla sommità di fosse irregolari e tumuli
che tagliavano a metà l’ampiezza del paesaggio,
estendendosi fino all’orizzonte.
E allora capii che avevo trovato le rovine dell’antica
e rinomata città di Carcosa.
13
UN CITTADINO DI CARCOSA
link autore
Biografia
Curiosità
link racconto
Bibliografia
Racconto in lingua originale
APPROFONDIMENTI
E VIDEO CORRELATI
True Detective a Carcosa
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  • 1. SHORT APNEA TEORIA OLOGRAFICA [1] AMBROSE BIERCE UN CITTADINO DI CARCOSA
  • 2.
  • 3. AMBROSE BIERCE UN CITTADINO DI CARCOSA Titolo originale An inhabitant of Carcosa Traduzione e revisione Dafne Munro [traduzione non letterale, adeguata al registro contemporaneo] SHORT APNEA TEORIA OLOGRAFICA [1]
  • 4. Editore Dario Emanuele Russo Redattrice Dafne Munro Coordinatore Editoriale Attilio Albeggiani Graphic Designer Angela Graci Urban Apnea S.A.S Via Libertà 129, 90143 Palermo P.IVA 06153260820 www.urbanapneaedizioni.it Immagine di copertina Antonio Ilardo ISBN 9788894042047 Maggio 2015
  • 5. SHORT APNEA TEORIA OLOGRAFICA [1] AMBROSE BIERCE UN CITTADINO DI CARCOSA
  • 6. artista Chair of Rigel album Carpenter brano Carpenter [4.26 min] etichetta Almendra Music DOWNLOAD ALBUM in collaborazione con COLONNA SONORA CONSIGLIATA
  • 7. 7 E sistono molte forme di morte: a volte il corpo permane, altre svanisce in pace con lo spiri- to. Questo di norma avviene in solitudine [per volontà di Dio] e nessuno vede la fine; noi diciamo che l’uomo è perduto, che è partito per un lungo viaggio, e in effetti è così. Ma qualche volta avvie- ne al cospetto di molti, come dimostrano numerose testimonianze. Nel primo tipo di morte, muore solo l’anima, mentre il corpo resta in vita per molti anni. Qualche volta invece, come è stato ampiamente dimostrato, l’anima muore con il corpo ma dopo un viaggio ultraterreno risorge nello stesso luogo dove il corpo si era putrefatto. Analizzavo queste parole di Hali [che Dio lo proteg- ga] e ragionavo sul loro profondo significato, come chi ha ricevuto una rivelazione e ancora dubita se oltre a ciò che ha già compreso non vi sia sotto qualcos’altro, quando un improvviso soffio di ven- to sferzante mi sbatté in faccia l’assurdità di ciò che mi circondava. Mi resi conto, attonito, che ogni cosa intorno a me era priva di senso. Mi trovavo
  • 8. 8 in un’ampia pianura spoglia e desolata ricoperta da una folta erbaccia secca che frusciava sibi- lante nel vento d’autunno provocando misteriose e agghiaccianti suggestioni. Più in alto svettava- no a intervalli rocce dalle sagome strane e scure che sembravano dialogare tra loro, scambiandosi sguardi angosciati, come se sollevassero le teste per seguire l’ordine di un evento profetico. Alcu- ni alberi minacciosi, sparsi qua e là, apparivano come gli artefici di un diabolico complotto di silenti aspettative. Anche se il sole non era visibile, im- maginai che il giorno stesse volgendo al termine; e sebbene avvertissi l’aria fredda e pungente, la percezione, più che fisica, era mentale. Non mi sentivo a disagio. Su tutto quell’ambiguo scena- rio si abbatteva simile a una maledizione concreta una calotta di nuvole basse e livide. Ravvisavo un avvertimento, un pericolo, l’impronta del diavolo come una condanna del destino. Non c’era traccia di uccelli, di animali o di insetti. Il vento soffiava tra le fronde nude di alberi morti e l’erba grigia si inchinava a sussurrare un ossessivo segreto alla TEORIA OLOGRAFICA
  • 9. 9 terra; nessun altro rumore o segno di vita interrom- peva la terribile quiete di quel luogo alieno. Nell’erba c’erano numerose pietre chiaramente pla- smate dall’uomo ed erose dal tempo. Erano rotte, coperte di muschio e interrate a metà. Alcune river- se al suolo, altre inclinate sui lati, nessuna in verti- cale. Si trattava di pietre tombali, anche se le tombe non esistevano più, neanche come tumuli, o sempli- ci fosse: il tempo aveva livellato ogni cosa. Sparpa- gliati tutto intorno svettavano blocchi più massicci di tombe pompose e sepolcri pretenziosi che ave- vano sperato invano di sconfiggere l’oblio. Quelle macerie così antiche erano vestigia di vanità, segni di affetto e pietas, così martoriate, logore, macchia- te; e il posto, così negletto, deserto e abbandonato che mi sembrava di aver scoperto il cimitero di una razza di uomini preistorici il cui nome si era estin- to. Immerso in queste riflessioni mi dimenticai per un po’ della mia condizione, ma a un tratto pensai “come sono finito qui?”. Un attimo di riflessione rese tutto più chiaro e spiegò, seppur in modo inquietan- te, il singolare modo con cui la mia fantasia stava UN CITTADINO DI CARCOSA
  • 10. 10 travestendo ogni cosa. Ero malato. Ricordo che ero stato abbattuto da una febbre improvvisa e la mia famiglia mi aveva detto che nel delirio invocavo aria e libertà, così mi avevano legato a letto per evitare che fuggissi. Adesso avevo eluso la viglilanza di chi mi sorvegliava arrivando fino a...dove mi trovavo? Non ne avevo idea. Ero chiaramente lontano dalla mia città, l’antica e rinomata Carcosa. Nessun segno di vita umana era visibile o udibile; niente fumo di comignoli, abbaiare di cani, belare di greggi, schia- mazzi di bambini, niente al di fuori di quel tetro cimi- tero col suo alone di ignoto e terrore, ricreato forse dal mio stato mentale. Stavo di nuovo cominciando a delirare e nessuno poteva aiutarmi? Era tutto frutto della mia psicosi? Gridai il nome di mia moglie, dei miei figli, agitando le mani in cerca delle loro, cam- minando tra le lapidi rovinate e l’erba secca. Un ru- more alle mie spalle mi fece voltare. Una lince selva- tica si stava avvicinando. Pensai: se dovessi crollare qui da solo, se mi tornasse la febbre o abbassassi la guardia, diventerei il pasto di questa bestia. Le andai incontro urlando. Lei trotterellava tranquilla a TEORIA OLOGRAFICA
  • 11. 11 pochi metri da me e scomparve dietro a una roccia. Subito dopo, nello stesso punto, sbucò la testa di un uomo. Stava risalendo il versante più lontano di una bassa collina la cui cima era quasi indistingui- bile. La sagoma si stagliava contro la massa delle nuvole grigie. Con pochi cenci di pelle copriva solo in parte il suo corpo nudo. Aveva capelli spettinati e una lunga barba non curata. In una mano teneva un arco e una freccia; nell’altra una torcia accesa con una lunga scia di fumo nero. Procedeva lento e con cautela, come se temesse di cadere in qualche fossa nascosta dall’erbaccia. Questa strana appa- rizione mi sorprese, ma non mi allarmò. Accelerai il passo per raggiungerlo e quando gli fui quasi faccia a faccia lo salutai con un affettuoso – Dio ti benedica – non mi prestò attenzione, né si fermò. – Gentile straniero – ripresi – sono malato e mi sono perso. Ti prego, dimmi dove si trova Carcosa. L’uomo sbottò in un canto barbaro in una lingua a me sconosciuta e si allontanò. Un gufo, sul ramo di un albero stecchito, emanò un suono agghiacciante e un altro gli rispose da lontano. Alzando lo sguardo UN CITTADINO DI CARCOSA
  • 12. 12 vidi, attraverso un’improvvisa apertura tra le nuvole, la stella Aldebaran e le Iadi. Ogni cosa era un mes- saggio dalle tenebre: la lince, l’uomo con la torcia e il gufo. Io vedevo, vedevo perfino le stelle in assen- za di oscurità. Io vedevo ma, a quanto pare, non potevo essere né visto né sentito. In quale maleficio ero intrappolato? Mi sedetti accanto a un albero ma- estoso, valutando con calma quale fosse la cosa migliore da fare. A quanto pare stavo diventando pazzo, ma non potevo essere certo neanche di questo. Non avevo febbre. Provavo invece un in- solito senso di leggerezza e forza, una sensazione di esaltazione fisica e mentale. I miei sensi erano come allertati; potevo sentire l’aria come fosse tan- gibile; sentivo il silenzio. Una robusta radice dell’albero gigantesco sotto il quale mi ero accovacciato includeva tra i suoi den- driti una lastra di pietra, di cui una parte si incasto- nava nel recesso di un’altra radice. Sebbene fosse ormai abbastanza decomposta, una faccia della pietra era protetta dalle intemperie. I margini era- no levigati, gli angoli sbriciolati, la parte superiore TEORIA OLOGRAFICA
  • 13. profondamente solcata e scavata. Nella terra intor- no brillavano delle particelle di silicato; vestigia della decomposizione. Questa pietra aveva visibilmente segnato la tomba dalla quale, secoli prima, era fuori- uscito l’albero. Le radici esuberanti avevano spezzato la tomba e intrappolato la pietra come un prigioniero. Una brezza improvvisa spinse vie alcuni ramoscelli e foglie secche dalla superficie della lapide; c’erano delle lettere, un’iscrizione in bassorilievo, mi chinai per leggerla. Santo Cielo! Il mio nome al completo. La mia data di nascita. E la mia data di morte! Un raggio di luce orizzontale illuminò l’intero lato dell’albero e balzai in piedi in preda al terrore. A oriente, il sole stava sorgendo. Restai immobile tra l’albero e l’enorme disco rosso, ma nessuna ombra oscurava il tronco. Un coro di lupi ululanti accoglie- va l’aurora. Li vidi accucciati sulle zampe, da soli o in gruppo, sulla sommità di fosse irregolari e tumuli che tagliavano a metà l’ampiezza del paesaggio, estendendosi fino all’orizzonte. E allora capii che avevo trovato le rovine dell’antica e rinomata città di Carcosa. 13 UN CITTADINO DI CARCOSA
  • 14. link autore Biografia Curiosità link racconto Bibliografia Racconto in lingua originale APPROFONDIMENTI E VIDEO CORRELATI True Detective a Carcosa da Youtube [4.25 min]
  • 15. Diventa co-finanziatore Urban Apnea con una libera offerta! TI È PIACIUTO QUESTO E-BOOK? Accedi al form di finanziamento sicuro tramite conto Pay-Pal o Carta di Credito. Con un finanziamento pari o superiore a 5€: entro 24h il tuo nome verrà ascritto nell'elenco dei co-finanziatori e riceverai in omaggio 3 e-book, uno per ogni collana. Donazione