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1AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE
Argomento
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AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 1
Qualche giorno fa è arrivata alle orecchie di tutti
una notizia come tante. Una di quelle notizie a
cui siamo tristemente abituati. Abbiamo acceso il
televisore e guardato per qualche minuto le solite
immagini.
L’andirivieni dei poliziotti, le scenografiche luci
delle volanti e delle ambulanze, uomini a terra,
macchie di sangue e le sirene come colonna sono-
ra. Noi eravamo lì, narcotizzati, le prime vittime
delle bombe di immagini, urla, parole che scoppia-
no nella nostra testa e scatenano l’incontrollabile.
Eravamo già pronti ad entrare nell’automatismo:
aprire le nostre bacheche facebook, consultarle
e proporre soluzioni di politica estera alla prima
condivisione di turno.
Qualcosa però ha radicalmente cambiato il sapore
di quella sofferenza, ha trasformato l’odore del
sangue. Qualcosa ha cambiato le carte di un gioco
al quale partecipiamo tutti, uscendone solitamente
per lo più sconfitti.
Questa volta la tragedia inverte le parti del nostro
immaginario. Chi di solito è oppresso fa, in questo
caso, il carnefice e chi, di solito, fa il carnefice, in
questo caso, è l’oppresso.
È l’esterno di una moschea a Finsbury Park, a Lon-
dra, il teatro di questa storia, certo, poco originale,
ma con i suoi piccoli colpi di scena. Il protagonista,
il cattivo, è un uomo di 47anni proveniente dal
Galles il quale, al volante di un furgone, si è sca-
gliato contro la moschea gridando, secondo alcune
testimonianze, “uccido tutti i musulmani”. Non
si può dire che non avesse le idee chiare. L’esito di
questo atto dal fare eroico, ma dalla vile sostanza, è
stato l’uccisione di un innocente, lì per pregare un
dio che avrebbe poco dopo raggiunto, e una decina
di feriti. Ora, ciò che abbiamo capito è che, oltre
al fatto che è può compiere attentati anche gente
senza barbone e carnagione mulatta, è che la pau-
ra non è per tutti. Meglio ancora sarebbe dire che
avere paura è umano, non saperla gestire è perico-
lo, saperla gestire è virtù.
Tutta la nostra vita, dopotutto, non è nient’altro
che una continua sospensione tra la voglia di vive-
re e la paura di morire. Nient’altro che un inganno
alla morte. La maggior parte delle volte proprio lei,
la morte, la madre di tutte le paure, è l’origine del
nostro interrogarci sul senso dei nostri passi. E chi
meglio si fa nutrire dalla propria paura, chi ne da
un senso, una forma, chi la plasma e la modella,
trova sostanza nei suoi giorni, trova consistenza
nella sua vita. È lì che si distingue il virtuoso dal
mediocre, dal fatto che sappia prendere una paura
e farne un’opportunità. Quando questa, invece, si
traduce in distruzione, il presunto coraggio delle
proprie azioni è solo il vestito che diamo alla debo-
lezza. Il camion che ha tentato di “uccidere tutti i
musulmani” non è il simbolo di chi ha tentato di
sconfiggere la paura, ma di chi vi è stato sconfitto.
Questa riflessione m’è rimasta come consolazione
davanti alla difficoltà di non arrendersi al potere
della cronaca di cambiare il nostro umore, di non
cedere davanti alle brutalità dei disastri, all’impos-
sibilità di dare logica alle ferite dell’umanità ed ora
più che mai sono sicuro che la virtù, l’intelligenza,
il bene, la crescita, il progresso non sta né nell’au-
dacia, né nel coraggio, ma è riassunta, mai così
attuale, in queste parole:
Non partirsi dal bene potendo, ma saper intrare nel
male, necessitato (Niccolò Machiavelli).
Impariamo ad entrare nel male.
IMPARIAMO AD ENTRARE NEL MALE
EDITORIALE
di Marco Lorusso
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA
Psicologia
2
PAURA
La paura è una delle più antiche
emozioni che interessa in misu-
ra variabile ogni essere umano,
lasciando molto spesso tracce
indelebili nella sua mente, che
possono riemergere in forma più
o meno drammatica sia a livello
cosciente che nei sogni. La paura
è un’emozione che può generare
grossi problemi di adattamento
e che in casi estremi può dare la
morte alla persona che ne è vit-
tima. Ma è anche un’esperienza
quotidiana, un meccanismo di
allarme che generalmente consi-
deriamo negativo ma, andrebbe
considerata come una reazione
al pericolo e pertanto positiva.
Solo grazie ad essa è possibile af-
frontare in modo adeguato il pe-
ricolo. La paura non costituisce
semplicemente una meccanica e
istintiva risposta a un pericolo,
ma piuttosto una modalità com-
plessa messa in atto dagli indivi-
dui per relazionarsi all’ambiente
ed esplorarlo contenendo i rischi.
Inoltre, essa non è semplicemen-
te un modo di sentire, ma un vero
e proprio sistema, costituito da
più componenti e fasi, il cui fun-
zionamento accade lungo una li-
nea temporale di azione ben pre-
cisa.
Charles Darwin condusse uno
studio comparato sulle espres-
sioni delle emozioni descrivendo
gli effetti della paura nell’uomo,
quando egli non riesce a lotta-
re o scappare dalla paura stessa.
Quest’ultimo racconta di un in-
sieme di accadimenti repentini
e coordinati, di una tempesta di
modificazioni: l’organismo pare
essere completamente dedicato a
questo. Si chiama “arousal” que-
sta attivazione psicofisica globale
governata da quella combina-
zione di segnali elettrici e di tra-
smettitori chimici su cui si basa il
nostro sistema nervoso centrale
(arousal corticale) e comprende
inoltre modificazioni fisiologiche
del sistema nervoso autonomo
(arousal simpatico) oltre a varia-
zioni muscolari. Queste reazioni
caratterizzano la cosiddetta rea-
zione di emergenza. Tale attiva-
zione è connessa a cambiamenti
ormonali.
’’I MILLE VOLTI DELLA PAURA’’:
panico, terrore e orrore
La paura ha diversi gradi d’inten-
sità emotiva che dipendono dal
grado di controllo cognitivo della
minaccia.
PANICO
Il panico è una sensazione di pau-
ra o terrore perlopiù collettivo e
improvviso, non soggiogato dalla
riflessione, che nasce a fronte di
un pericolo reale o presunto, por-
tando irresistibilmente ad atti
avventati o inconsulti. Il panico
generalmente può anche domi-
nare sulla ragione e sulla logica
di pensiero, sostituendosi a que-
ste con travolgenti sensazioni
di ansia e agitazione frenetica.
Quando coinvolge un gruppo di
persone si può parlare anche di
isteria di massa. Questa sensazio-
ne porta anche a degli attacchi
di panico, ossia un periodo preci-
so, di breve durata e che di solito
raggiunge il picco di escalation di
sintomi nel giro di dieci minuti
durante i quali si sviluppano sen-
I MILLE VOLTI D
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 3
sazioni di paura o disagio intensi,
seguiti da vari sintomi. L’attac-
co di panico è sostanzialmente
innocuo e non provoca danni a
nessun organo del corpo, eppure
chi lo vive lo descrive come un’e-
sperienza spiacevole e terrifican-
te, e spesso conduce chi lo vive a
sviluppare un’ansia anticipatoria
legata alla paura di avere nuova-
mente attacchi di panico. Questo
meccanismo va ad innescare un
circolo vizioso dove più la pau-
ra aumenta e più gli attacchi di
panico diventano ricorrenti. Du-
rante, si cerca di scappare via,
di lasciare l’ambiente in cui ci si
trova, qualunque esso sia, senza
badare ad altro che a cercare una
via di fuga.
TERRORE
Il terrore è la forma estrema della
paura, di intensità ancora mag-
giore al panico, dove l’impulso a
scappare è talmente elevato da ri-
cercare una soluzione immedia-
ta: in questo caso l’individuo sce-
glie di ritirarsi dentro sé stesso.
Il terrore è una vera propria fuga
verso l’interno, la muscolatura si
paralizza nel tentativo di ridur-
re la sensibilità dell’organismo
durante l’agonia (immaginata o
reale).
ORRORE
Per orrore si intende un senti-
mento di forte paura e ribrezzo
destato da ciò che appare crudele
e ripugnante in senso fisico o mo-
rale. Per estensione, orrore può
indicare un fatto, un oggetto o
una situazione che desta tale sen-
timento.
L’ANSIA
L’ansia, invece, è solo una paren-
te stretta della paura, ed è pro-
dotta dal pensiero, cioè da pro-
cessi cognitivi interni. Essa nasce
dall’anticipazione del pericolo ed
a volte è il prodotto di una pau-
ra irrisolta. La consapevolezza di
non aver sventato la minaccia,
trasforma la paura in ansia. È
una complessa combinazione di
emozioni che includono paura,
apprensione e preoccupazione,
ed è spesso accompagnata da
sensazioni fisiche come palpita-
zioni, dolori al petto e respiro cor-
to, nausea, tremore interno. Può
esistere come disturbo cerebrale
primario oppure può essere as-
sociata ad altri problemi medici,
inclusi altri disturbi psichiatrici.
Dall’ansia possono derivare at-
tacchi di panico o fobie.
La fobia indica un’irrazionale e
persistente paura e repulsione di
certe situazioni, oggetti, attività,
animali o persone, che può, nei
casi più gravi limitare l’autono-
mia del soggetto.
di Daniela Sforza
DELLA PAURA
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA
Multiculturalismo
4
di Francesco Petronella
Lo spauracchio del terrorismo di
matrice islamica è uno degli ele-
menti più strumentalizzati dalla
propaganda di certi partiti xeno-
fobi, specialmente in chiave an-
ti-immigrazione.
Il ragionamento sembra filare
liscio come l’olio: tra i migran-
ti possono benissimo nascon-
dersi tagliagole sanguinari dal
momento che i flussi migratori
provengono da zone in cui pro-
liferano gruppi combattenti di
matrice islamica.
Che poi si tratti di Daesh, al-Qa-
eda o Boko Haram e che ognuno
di questi gruppi abbia le proprie
specificità, poco importa. Inve-
ce, prevedibilmente, le cose sono
molto più complicate di così.
Un’analisi alternativa è quella
proposta da Olivier Roy, profes-
sore all’Istituto Universitario Eu-
ropeo nonché uno dei massimi
esperti del fenomeno jihadista.
La tesi Roy ribalta drasticamen-
te la prospettiva di analisi e, con
una rivoluzione copernicana,
pone l’attenzione sull’humus lo-
cale del fenomeno terrorista. In-
fatti lo studioso, riferendosi alla
Francia, scrive che: “Il gruppo
Stato islamico non manda citta-
dini siriani in Francia per com-
piere attentati e convincere il
governo di Parigi a interrompere
i bombardamenti. No, l’IS attin-
ge a un grande bacino di giovani
francesi radicalizzati, che a pre-
scindere dalla situazione in Me-
dio Oriente sono già in cerca di
una causa, di un’etichetta, di una
grande narrazione su cui apporre
la firma sanguinaria della loro ri-
volta personale”.
Quello che Roy cerca di fare è
impostare il discorso sul jihad
contemporaneo europeo in una
chiave di lettura nichilista e ge-
nerazionale. Il nichilismo di quel-
li che gli studiosi Lorenzo Decli-
ch e Anatole Pierre Fuksas hanno
definito “qualcunisti rambisti”.
Si tratta di vittime, soprattutto
giovani, di alienazione sociale,
esclusione e marginalità che ri-
escono a canalizzare la propria
rabbia se e quando gli viene for-
nito un quadro ideologico di rife-
rimento. Il sedicente Stato Isla-
mico fa semplicemente questo:
fornisce un quadro ideologico.
Tuttavia il fatto che si tratti di
lupi solitari, più dediti a Youporn
e Marijuana che a Corano e Islam,
non deve far perdere di vista l’o-
biettivo. Questa consapevolezza
non deve tramutarsi, infatti, in
una pratica assolutoria a priori
verso le comunità islamiche, né
in un atteggiamento vittimista
da parte delle comunità stesse. Le
famose campagne “#Notinmyna-
me,” promosse ai tempi di Char-
lie Hebdo, in cui musulmani di
tutto il mondo si dissociavano
dall’azione jihadista, dovrebbero
essere sostituite da campagne
di sensibilizzazione in seno alle
comunità. I dati parlano chiaro:
i due principali target della pro-
paganda jihadista sono i 2G (im-
migrati di seconda generazione)
ed i convertiti all’islam. Dunque
sarebbe auspicabile, ed in certi
casi già avviene, che ogni centro
culturale islamico, ogni moschea
ed ogni famiglia musulmana svi-
luppasse una prassi di denuncia
di ogni sospetto di radicalismo
ed anche delle forme di accom-
pagnamento che allontanino i
giovani dal fascino dell’ideologia
terrorista. Un’ideologia che, pur
distruggendola, finisce per dare
un senso alla vita di giovani senza
speranza.
ISLAM RADICALIZZATO O NICHILISMO ISLAMIZZATO?
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Teatro
5
Ogni forma d’arte, visiva e non,
attraversa un periodo durante il
quale l’unico obiettivo è quello
di stupire o scioccare. È una cosa
riscontrabile nella pittura, come
nella musica, come nel cinema,
ma in questo articolo la mia in-
tenzione è far conoscere, a chi
non ne ha mai sentito parlare, il
Grand Guignol, ossia quell’atti-
mo in cui anche il teatro diventò
grottesco e traumatizzante.
Il movimento prende il nome dal
teatro Grand Guignol aperto al
pubblico a Parigi nel 1897 e nato
tra i resti di una vecchia chiesa,
cosa che gli ha conferito quell’a-
ria un po’ sacrale che tanto piace-
va all’audience
“ Guignol” significa “marionetta”
ed è un personaggio della cultu-
ra tradizionale francese, raffigu-
rante un operaio di Lione con una
gran parlantina, che si scaglia
sempre contro la politica.
Il fondatore del teatro Oscar Me-
tinier era quello che i suoi spet-
tacoli avrebbero poi portato in
scena: una somma di opposti. Egli
infatti lavorava come secondino,
ma aveva la passione per la dram-
maturgia e nelle sue rappresen-
tazioni metteva sempre al centro
della scena gli emarginati della
società, coloro che nessuno guar-
dava per strada e che mai si sa-
rebbe potuto pensare di vedere in
un teatro. Prevedibilmente i suoi
primi spettacoli, che come prota-
gonisti avevano assassini, crimi-
nali e prostitute, vennero pesan-
temente criticati e censurati. Poi
quando alla direzione artistica
gli succedette Max Maurey, gli
spettacoli presero una piega de-
cisamente orrori fica, tanto che
lo sceneggiatore di cui Maurey
si servì, tal Andre de Lorde, venne
soprannominato il principe del
terrore.
Erano le ossessioni della mente
umana a dominare il palco e a
catturare gli occhi degli spetta-
tori: ossessioni che sfociavano
in efferati omicidi, mutilazioni,
sfregi con l’acido e atti di violen-
za, tutti conditi con una compo-
nente erotica. Co-protagonista
era il buio, che abbracciava gli
assassini e i pazzi e accompagna-
va, senza problemi, anche storie
di fantasmi, scheletri e necrofilia
nervosa. In questo periodo la ma-
nia grandguignolesca (parola ef-
fettivamente entrata a far parte
del vocabolario) si diffuse in tutta
Europa, con grande risposta po-
sitiva, specialmente a Londra. Il
periodo che va dal 1914 al 1930 è
il più fruttuoso per il teatro pari-
gino, ma anche per l’attrice Pau-
la Maxa, regina indiscussa della
morte sul palco. È detentrice di
un macabro record: è l’attrice
più uccisa della storia. Duran-
te la sua intensa carriera è stata
decapitata, sbudellata, ridotta in
minuscoli pezzettini, ghigliotti-
nata, avvelenata e uccisa in mol-
tissime altre maniere che non sto
qui ad elencare, ma che erano co-
struite in maniera maniacale, po-
tendo contare su effetti speciali
davvero ben curati, tanto che non
furono i pochi i casi di svenimen-
to e di malori in platea e la com-
pagnia fu costretta ad assumere
un medico.
L’ultimo periodo, quello del de-
clino e della chiusura definitiva,
che si ebbe nel 1962 è sicuramen-
te segnato dalla guerra che svuo-
tò le platee e rese reali le fantasie
che per quarant’anni erano state
rappresentate su quel palco. Gli
spettacoli erano diventati ripeti-
tivi e scontati e gradualmente si
perse l’interesse per una forma
d’arte così particolare, che oggi
può essere identificata nei film
horror o ancora meglio in quelli
di genere gore o splatter, pieni di
scene raccapriccianti.
Ringrazio il mio fumetto prefe-
rito, Dylan Dog, che mi ha fatto
scoprire e in seguito analizzare il
Grand Gui-
gnol, picco-
la parentesi
sanguino-
lenta del te-
atro moder-
no.
di Michele Pellegrino
GRAND GUIGNOL
IL TEATRO DEGLI ORRORI
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Letteratura
Che sia studiata, scandagliata,
analizzata o combattuta, prescin-
dendo dai diversi approcci con
cui accostarsi alla paura, il primo
aspetto che si riscontra nel con-
frontarsi con essa è il suo essere
inesplicabilmente mutevole, can-
giante ed inafferrabile.
Di paura si può parlare, la paura
si può vivere e sperimentare, fa-
cendosi finanche sopraffare dalla
stessa, ma di paura ci si può an-
che nutrire, concependone una
rappresentazione concreta, pla-
smandola e fissandola su di una
pagina bianca, ad immagine e
somiglianza delle proprie più in-
time visoni.
Tra i tanti “maestri del terrore”
che hanno saputo compiere tale
operazione, gli elementi più in-
novativi, misteriosi ed originali
nell’ambito della letteratura del
terrore, si rinvengono nella pro-
duzione di Howard Philips Love-
craft.
Statunitense, vissuto a cavallo tra
il diciannovesimo ed il ventesimo
secolo, Lovecraft ha fuso nelle
sue opere gli elementi classici del
romanzo gotico, della cui linfa si
nutrì sin dalla fanciullezza grazie
alla passione trasmessagli da suo
nonno, con una visione crudele
del mondo del tutto inedita, at-
tecchita in lui anche a causa dei
molti avvenimenti infelici e delle
circostanze avverse che hanno
caratterizzato la sua breve esi-
stenza.
La presenza soffocante, iper-pro-
tettiva e deviata della madre,
la prematura morte del padre,
affetto da psicosi, e l’insorgen-
za nell’autore di crisi da esauri-
mento nervoso sin dalla tenera
età, hanno condotto Lovecraft ad
elucubrazioni caotiche, parados-
sali e tetre le quali, racchiuse nei
CONOSCIAMO H.P.LOVECRAFT
IL PESSIMISMO, LA PAURA, LA CONOSCENZA E L’IGNOTO
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 7
suoi racconti, hanno lentamente
delineato l’universo chiuso, mal-
vagio e macabro che fa da sfon-
do ad ogni sua opera ed in cui lo
stesso trovava rifugio, fondendo
il sogno con la realtà.
Conilpassaredegliannieconl’in-
cremento della sua produzione,
la quale si caratterizzava sempre
più come una commistione tra
fantasy, horror e fantascienza,
prende forma nelle opere di Love-
craft una visione del mondo irri-
mediabilmente improntata ad un
pessimismo astratto ed inestir-
pabile, il quale diviene elemento
cardine di una narrazione fitta,
angosciante e carica fino all’inve-
rosimile di aggettivi lugubri e di
cupi rimandi ad immagini avvi-
lenti e terrificanti.
Attraverso la creazione di un
pantheon di divinità maligne,
con al centro il celeberrimo e mo-
struoso Cthulhu, divenuto, alla
morte di Lovecraft, icona di una
malvagità cosmica ed assoluta,
l’autore riversa nelle sue opere
il proprio pensiero misoteista,
dove il male, etereo, primordia-
le e fondamentale componente
della materia stessa della realtà,
si condensa in esseri ancestrali
e celati agli occhi degli uomini i
quali, al solo contatto con queste
entità o con i loro emissari terre-
ni, impazziscono per la paura e lo
sgomento.
Dall’esame dei punti di contatto
tra questa onirica e sovrannatu-
rale realtà che trascende il tempo
e lo spazio ed il mondo concreto,
emerge con forza inoltre un altro
tema centrale nella narrativa di
Lovecraft, ossia il “disprezzo per
la conoscenza”.
Unelementochiavepercompren-
dere appieno questo sentimento,
ricorrente soprattutto nelle ulti-
me opere dello statunitense, è il
celebre libro noto come “Necro-
nomicon”, pericolosissimo testo
scritto da un folle arabo, chiama-
to Abdul Alhazred, che costituisce
la chiave per aprire quell’enorme
vaso di Pandora che, nel pensiero
dell’autore, combacia con l’uni-
verso intero.
Grazie al Necronomicon, sulla cui
reale esistenza numerosi fan e
fanatici si sono interrogati fino a
che lo stesso autore non ha chia-
rito la sua natura puramente
immaginaria, è possibile, per gli
sventurati che vi si imbattono,
attraverso formule magiche e ri-
tuali, mettersi in contatto con il
terrificante mondo dell’ignoto, il
quale costituisce un altro punto
nevralgico del pensiero dell’au-
tore.
“Il sentimento più forte e più
antico dell’animo umano è la
paura, e la paura più grande è
quella dell’ignoto”, affermava
infatti Lovecraft, il quale tuttavia
disprezzava fortemente anche la
condizione antitetica all’ignoto,
ossia la piena conoscenza del tut-
to.
Abdul Alhazred è infatti un
personaggio costruito ad arte
dall’autore il quale, lungi dal vo-
ler rappresentare davvero un fol-
le negromante orientale (Abdul
non è affatto un nome arabo ma
solo una stereotipata storpiatu-
ra occidentale), inserisce nel co-
gnome Alhazred una importante
chiave di lettura del suo pensiero.
Alhazred, termine privo di signi-
ficato nella lingua araba, è infatti
un gioco di parole che sottinten-
de l’espressione inglese “All has
read”, traducibile in “ha letto
tutto”.
Tale astratta condizione, ossia
l’aver letto tutto e dunque l’aver
raggiunto una interazione com-
pleta con lo scibile umano è una
facoltà che, secondo la mitolo-
gia antica, da cui Lovecraft attn-
ge numerosi dei suoi argomenti
e dei suoi topoi letterari, spetta
esclusivamente ai demoni ed alle
divinità degli inferi.
L’autore, dunque, fornisce una
visione negativa della conoscen-
za, presentata come indesidera-
bile e pericolosa.
Infatti, molti dei protagonisti dei
suoi racconti, nel momento in cui
intraprendono un viaggio di ri-
cerca, finalizzato all’ottenimento
della conoscenza, finiscono per
incontrare il male al suo stadio
più puro e giungono infine alla
pazzia.
Il pensiero di Lovecraft si rivela
dunque essere uno spaventoso
vicolo cieco, un spiraglio su di un
universo creato da entità mal-
vagie che guardano con occhi
malevoli l’uomo brancolare nel
buio, intento a combattere ogni
giorno contro la paura dell’igno-
to attraverso l’incessante e di-
sperata ricerca della conoscenza,
unica arma in grado di arginare
tale paura e tuttavia, una volta
raggiunta la conoscenza, essa
conduce irrimediabilmente alla
follia.
di Marco Nuzzi
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA8
Sport
Abbiamo mai immaginato cosa
provi un pilota di Formula 1
all’interno di uno strettissimo
abitacolo, alla velocità di 300
km/h? Le risposte possono esse-
re innumerevoli, e nella maggior
parte dei casi, parecchio azzarda-
te.
Dalla nascita della Formula 1 ad
oggi, assieme al numero dei se-
guaci di questa disciplina, sono
aumentate le tecnologie di pi-
sta, che permettono ai piloti di
toccare, con le loro monoposto,
punte di velocità altissime, come
il record di 378 km/h raggiunto
dall’attuale seconda guida Mer-
cedes, Valtteri Bottas, sul lungo
rettilineo del Gran Premio d’Eu-
ropa 2016, a Baku. Il Circus della
Formula 1, tuttavia, ha avuto nel
corso della sua storia, lati oscuri e
talora difficili da dimenticare; 32
sono i piloti che hanno trovato la
morte in pista: ultimo per ordine
cronologico, la futura promessa
della Ferrari, Jules Bianchi.
Ma cosa spinge davvero i piloti a
correre il rischio che, un minimo
errore di strategia, o di guida, con
conseguenze fatali, possa com-
promettere tutto quello che han-
no costruito?
A questa difficile domanda non vi
è una risposta certa ed oggettiva,
tuttavia i campioni più accredita-
ti hanno cercato, quasi sempre,
di stigmatizzare questo interro-
gativo, rendendolo superfluo ed
inutile. È il caso del Brasiliano
Ayrton Senna, che, carico di una
forte esperienza cristiana matu-
rata in famiglia, si è sempre posto
al di là dei suoi canonici obiettivi,
nonostante dichiarasse di sentir-
si impaurito dal raggiungimento
degli stessi.
Insieme alla rivalità sportiva
e alla competizione serrata, la
Formula 1 ha visto una nascita e
una progressiva evoluzione del-
le misure di sicurezza adottate
dai piloti; nel 1950, anno in cui
esordiva ufficialmente il Circus,
le auto non erano in grado di
sopportare urti di grande entità
e non erano rari i casi di vetture
completamente disintegrate a
bordo pista o vicino i muretti di
protezione con corpi dilaniati dai
pezzi metallici dell’auto. Con l’ap-
porto delle operazioni di soccorso
immediato, dietro le grate di pro-
tezione, è stato possibile salvare
solo una piccola percentuale di
piloti incidentati. Lo spartiacque
che porterà a ripensare alle nor-
me di sicurezza da far adottare
ai piloti avverrà nel 1973, con
la terribile morte del francese
François Cevert nel Gran Premio
degli Stati Uniti. Il transalpino
andò a sbattere contro le barrie-
re metalliche a 200 km/h e rima-
se incastrato nella monoposto,
tranciata in due dopo il tragico
schianto: a tal proposito il tre
volte iridato Jackie Stewart com-
mentò freddamente – “sembrava
il luogo di un disastro aereo”-.
Sotto l’egida del tre volte cam-
pione inglese si decise, insieme
alla Federazione Internazionale
dell’Automobile (FIA), di provve-
dere ad alcune modifiche consi-
stenti nel miglioramento della
qualità e efficienza di tute, ster-
zo, sospensioni e intelaiature.
Tutto questo portò ad una dimi-
nuzione di incidenti mortali, ma
non alla totale scomparsa. È in
questo arco di tempo che cresce
l’appeal della Formula 1 per la sua
pericolosità e nel decennio 1975
– 1985 assistiamo a due grandi
eventi che cambiano ancor di più
il giudizio generale sulla sicurez-
za.
- Il tragico incidente che accorse
PIÙ VELOCE D
LA STORIA DELLA SICURE
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 9
a Niki Lauda il 1^ agosto 1976 nel
Gran Premio di Germania; il pi-
lota austriaco porta ancora oggi i
segni del dramma “tedesco” e la
sua sciagura condurrà l’opinione
pubblica a condannare la FIA in
merito alle decisioni di gara;
- La terribile disgrazia accorsa al
beniamino di Enzo Ferrari, l’indi-
menticabile Gilles Villeneuve, nel
circuito belga di Zolder, nell’ 82,
indurrà le Scuderie e le rispettive
case fornitrici di motori a ripen-
sare sulla letalità dell’incontrol-
labile Motore Turbo.
La sicurezza, con gli anni suc-
cessivi (1985 – 1994) vede un sua
espansione con auto, sistemi e di-
spositivi all’avanguardia, anche
grazie all’Associazione Piloti,
guidata da Ayrton Senna. Proprio
lui segnerà un’ ulteriore netta
divergenza rispetto al passato,
a causa dell’impetuosa e incon-
trollata tecnologia applicata alle
vetture e della fatalità di alcune
chicane di diversi circuiti (quella
in questione è la curva Tamburel-
lo, ad Imola, oggi modificata radi-
calmente rispetto al passato). Nel
weekend di Imola del 1^ maggio
1994, a seguito del tragico sabato
di qualifiche, dove perde la vita il
pilota austriaco Roland Ratzen-
berger, il campione Brasiliano
perde il controllo della propria
vettura, a seguito della rottura
del piantone dello sterzo (salda-
to solo manualmente la notte
precedente nei box Williams) e
si schianta ad altissima velocità
contro il muretto. L’impatto gli
causa la perforazione del casco,
dovuta al puntone della sospen-
sione che arreca al brasiliano gra-
vissime e fatali lesioni cerebrali.
Dopo questo drammatico evento,
la FIA decide di intervenire più
concretamente sulle decisioni di
gara per salvaguardare l’integri-
tà dei piloti. 21 anni dopo Jules
Bianchi, vittima del violento im-
patto contro una gru nelle pessi-
me condizioni atmosferiche del
Gp del Giappone, dopo nove mesi
di agonia, muore nell’ospedale di
Nizza, rispolverando un proble-
ma accantonato dopo il Gp di San
Marino, sulla presa di posizione
della Federazione inerente la si-
curezza dei piloti, ancora oggi da
chiarire su grandi linee.
Tralasciando il tema Fondamen-
tale della sicurezza, la Formula
1, insieme ai vari campionati au-
tomobilistici americani e inter-
nazionali, continua a coinvolge-
re sia gli appassionati abituali,
che quelli occasionali, rendendo
chiunque partecipe, al di là dello
schermo. Non è un caso che mol-
ti ferraristi sfegatati, si sentano
realizzati dopo una vittoria della
loro squadra, poiché questa sia
in grado di far dimenticare loro
gli impegni mondani e li faccia
tuffare, anche se per due ore e
mezza, in un atmosfera di entu-
siasmo, adrenalina e felicità (in
caso di vittoria,ovviamente!). Il
graduale percorso della Sicurez-
za in Formula ci sia da monito per
ravvederci che la prudenza non è
mai troppa, soprattutto quando
si ha tra le mani un volante!
di Giuseppe Cornacchia
DELLA PAURA
EZZA A QUATTRORUOTE
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Filosofia
10
Fin dai primi istanti di vita, quando
cominciano ad entrare in contatto
con il mondo esterno, tutti gli ani-
mali provano paura, per fortuna.
La natura li ha dotati del prezioso
dono della paura, necessaria affin-
ché siano in grado di difendersi dai
pericoli che mettono a rischio la loro
incolumità. Esistono diversi tipi di
paura, ad esempio, paura del buio,
degli sconosciuti, del futuro, ma
tutti possono essere ricondotti ad
un’unica grande paura, ossia quella
del confronto col mondo e, quindi,
anche con individui simili. Il filo-
sofo indiano Jiddu Krishnamurti,
nel suo libro “Sulla paura”, afferma:
“Viviamo in questo costante sta-
to di confronto, di competizione, e
nell’incessante lotta per diventare
qualcuno, o per essere nessuno, che
è la stessa cosa. Questa è, credo, la
radice di ogni paura, poiché genera
invidia, gelosia, odio. E dove c’è odio,
ovviamente non c’è amore e la pau-
ra aumenta sempre più”. Per quanto
essa sia naturale e innata, si cerca
sempre di fuggirla e di sconfiggerla,
in quanto pone un freno alle nostre
azioni e inibisce le nostre volontà;
spesse volte, però, è solo uno spreco
di tempo e di energie: essa non sva-
nisce, neanche parzialmente, nono-
stante ingenti dosi di training au-
togeno, ripetendo all’infinito nella
propria mente “non devo avere pau-
ra”. Forse sarebbe opportuno cam-
biare strategia, dato che la paura è
parte integrante degli esseri dotati
di anima, dunque è impossibile da
debellare. Lo stesso filosofo, infatti,
oltre a dare una personale interpre-
tazione di questo sentimento, con-
siderato drammatico, suggerisce
anche il modo in cui esso può essere
combattuto, o meglio, non combat-
tuto. Nello stesso libro, Krishnamur-
ti scrive: “L’osservatore è la totalità
di tutte le sue esperienze di paura.
Quindi, l’osservatore è separato dal-
la cosa che chiama paura; c’è uno
spazio tra loro”; ancora, nelle righe
successive: “Ma l’osservatore che
dice: “Io ho paura” è davvero separa-
to in qualche modo dalla cosa osser-
vata, che è la paura? L’osservatore
è la paura e, quando questo viene
compreso, non c’è più dispersione
di energie nello sforzo di liberarsi da
essa e il tempo-spazio tra l’osserva-
tore e l’osservato scompare”. In altre
parole, il filosofo ci sprona all’ac-
cettazione del sentimento e a non
essere riluttanti nei suoi confronti;
accettare qualcosa che, in fondo, è
insito nella nostra natura ci permet-
te di arginarlo. Potrebbe sembrare
un atteggiamento arrendevole: “non
ci posso fare niente, quindi lo accet-
to” sarebbe una frase tipica dei de-
boli e degli svogliati; in questo caso,
tuttavia, non si tratta di incapacità
o di neghittosità, bensì di diventare
consapevoli di ciò che siamo: esseri
che reagiscono agli stimoli esterni
in base alla memoria di esperienze
vissute precedentemente. La pau-
ra non è un’entità sovrannaturale
che esiste in modo separato da noi;
è realtà, è nata insieme a noi, pro-
prio come la fame, la sete e il sonno.
Evitarla significa alimentarla; acco-
glierla significa domarla.
KRISHNAMURTI: IL BENE DELLA PAURA
di Domenico Cornacchia
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Mondo
11
Per trent’anni la Cina è stata un
paese chiuso e ai pochi stranieri
cui era concesso l’ingresso veniva
predisposto un rigido ed edifi-
cante itinerario. Le immagini che
venivano riportate erano quelle
di una felice nazione rivoluziona-
ria che aveva eliminato la pover-
tà, la disoccupazione e la crimi-
nalità. Un’eccezione è costituita
da Fox Butterfield, il primo cor-
rispondente del New York Times
al quale è stato concesso di vivere
a Pechino; egli, però,  non si è la-
sciato sedurre dal potere politico
del paese.
Il controllo sull’informazione è la
prova eclatante della “chiusura
al mondo” di questa parte dell’O-
riente. Le idee comunistiche sono
portate avanti dal presidente del-
la “Grande” Cina Xi Jinping, il
quale è in carica come presidente
della Repubblica Popolare Cinese
dal 2012.
Se prima nel mondo della “pau-
ra” c’era il muro di Berlino ora c’è
il “Grande firewall cinese”: non
è una barriera fisica che impedi-
sce alle persone di andarsene, ma
un muro virtuale, che fa sì che le
informazioni dannose per il Par-
tito Comunista cinese non en-
trino nel paese. Come il muro di
Berlino, anche questa barriera è
destinata a cadere prima o poi: le
informazioni, come le persone,
non possono essere trattenute
per sempre. O perlomeno questo
è quello che si dice. Farlo capire
al governo di Pechino, però, non
è così semplice: la Cina è ben lon-
tana dall’eliminare il più gran-
de sistema di censura al mondo
e, anzi, sta andando sempre più
fiduciosa  nella direzione oppo-
sta, rafforzando le basi legali del
firewall, tappando le sue falle e
rinsaldando il suo controllo su
Internet.
Ma quale sarà mai il vero moti-
vo di questa chiusura della Cina
nei confronti del mondo digita-
le? Questa è la  paura più grande
di questo paese, basti pensare
che sul mondo di internet pas-
sano miliardi di informazioni ed
è di questo che la Cina ha paura,
perché proprio quelle immagini,
secondo la  Repubblica Popolare
Cinese, possono avere serie con-
seguenze sul paese. Il Grande fi-
rewall, che la Cina chiama “Scudo
d’oro”, è un gigantesco sistema di
censura e sorveglianza che blocca
decine di migliaia di siti giudica-
ti dannosi per la propaganda e il
controllo del  Partito Comunista,
come Facebook, YouTube e  In-
stagram. Ad aprile il governo
americano ha classificato uffi-
cialmente il sistema di censura
cinese come barriera al commer-
cio.  Ma questa chiusura in questo
periodo ha subito delle evoluzio-
ni e ormai la Cina ha acquisito
un ruolo chiave e fondamenta-
le all’interno delle dinamiche
dell’economia globale. Storica-
mente conosciuta per la sua ca-
pacità di produrre beni in modo
molto economico così da esporta-
re i prodotti con una bassa infla-
zione al resto del mondo, la Cina
ha assunto in seguito un impor-
tante ruolo nell’economia globale
anche per quanto riguarda la do-
manda di mercato, affiancandosi
agli Stati Uniti e alle altre econo-
mie sviluppate. Ma il traguardo di
una Cina che non ha più “PAURA”
della globalizzazione e di unifi-
carsi alle abitudini mondiali è
ancora lungo, anche se la cultura
occidenta-
le ci crede
molto.
di Gianmarco Schiuma
THE GREAT FIREWALLNUOVI MURI DA ABBATTERE PER UNA CINA AL PASSO COI TEMPI
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Medicina
12
Nell’era dei social network, degli
smartphone e della globalizzazio-
ne mediatica
è estremamente facile che ogni
informazione diventi di domi-
nio pubblico in un lasso di tempo
quasi nullo. Se questo è sotto un
certo punto di vista un fattore
positivo, può diventare un’ar-
ma a doppio taglio specialmente
nell’alimentare luoghi comuni E
informazioni incomplete. Non ha
fatto eccezione a questo il tema
caldo del momento: i vaccini.
Ma cosa sono i vaccini?
Il vaccino è un mezzo tramite
il quale stimoliamo il nostro si-
stema immunitario a creare
le difese nei confronti dei vari
agenti infettivi tramite la pro-
duzione di anticorpi specifici, in
pratica riproducendo quello che
normalmente avviene in natura,
ma senza che questi avviino nel
nostro organismo alcun tipo di
patologia e sintomo clinico. Ciò è
possibile perché, contrariamente
a quanto succede allo stato natu-
rale, il vaccino contiene micror-
ganismi il cui potere patogeno è
stato annullato pur rimanendo
essi vitali (parliamo di vaccini
vivi attenuati) oppure può conte-
nerne solo dei frammenti (vacci-
ni spenti o inattivati) provocando
una risposta immunitaria più
blanda. Inoltre possono contene-
re anche adiuvanti, sostanze di
varia natura il cui ruolo è quello
di migliorarne l’efficacia e l’im-
munizzazione che da essi ne de-
riva.
La prima volta in cui è stato mes-
so in discussione questo mezzo è
stato nel 1998, anno in cui si è an-
data alimentando l’ipotesi di cor-
relazione tra vaccino e autismo.
Questo è dovuto ad Andrew Wa-
kefield, medico inglese, che nel
1998 pubblicò uno studio sul The
Lancet, importante rivista scien-
tifica, in cui associava il vaccino
trivalente MPR (morbillo, paro-
tite, rosolia) con disturbi dello
spettro autistico e con patologie
gastrointestinali. La testi fu giu-
dicata debole, basandosi questa
solo su 12 casi e per di più svoltasi
facendo ricorso a pratiche clini-
che irregolari e inammissibili. In
seguito, sottoposto a indagini da
parte del General Medical Council,
emerse come Wakefield fosse sta-
to pagato per alterare i suoi dati
al fine di supportare una serie di
cause giudiziarie intentate da un
avvocato contro case farmaceuti-
che produttrici di vaccini, accuse,
queste, mosse contro di lui dai
sui stessi collaboratori. In segui-
VACCOSA SONO, QUALC
E L’OPINIONE DELLA CO
www.sipremsrl.it
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 13
to a queste rivelazioni The Lancet
ripudiò lo studio e nel 2010, anno
in cui furono provate le accuse, il
tribunale inglese con un verdetto
per “condotta non etica, disonesta
e irresponsabile” condannò Wa-
kefield che subito dopo fu radiato
dal Medical Register.
Nel corso del tempo numerosi
organi istituzionali di caratura
mondiale si sono espressi sull’ar-
gomento, dal CDC america-
no(Center for disease control and
prevention), al Global Advisory
Committee on Vaccine Safety, co-
mitato istituito dall’OMS nel 1999
col ruolo di monitorare costante-
mente e dare risposte riguardo la
sicurezza delle vaccinazioni, fino
al Ministero della Salute, riba-
dendo all‘unanimità l’affidabilità
dei vaccini.
Nonostante questo verdetto non
cessano le accuse all’inefficien-
za, ai pericoli e all’inadeguatezza
della pratica del vaccino diffuse
tramite canali alternativi i quali
trasmettono informazioni, espe-
rienze di effetti collaterali subiti
da bambini vaccinati e manife-
stazioni di contrarietà che tro-
vano contrasto nelle notizie suc-
citate. Secondo i sostenitori del
vaccino, potrebbe essere proprio
diffuso allontanamento dal vac-
cino a causare il dato riportato
da Epicentro, il portale dell’epi-
demiologia per la sanità pubblica
secondo cui i casi registrati di
morbillo al Maggio del 2017 sono
saliti a 1920 contro gli 844 di tut-
to il 2016.
Tutti i dati sopra citati, per gli
addetti ai lavori, spingono a pen-
sare che uno dei rischi di allonta-
narsi dal metodo vaccini sia quel-
lo di far ritornare malattie quasi
scomparse, con la possibilità che
esse si ripresentino in maniera
molto più aggressiva in una po-
polazione immunologicamente
impreparata sempre più grande.
Sebbene siano molteplici le cau-
se che tuttora portano la comu-
nità di anti-vaccinisti ad opporsi
all’obbligatorietà del vaccino, si è
ritenuto opportuno, in questo ar-
ticolo, non passarle in rassegna e
diseguitoanalizzarleunaperuna,
ma far luce su quello che gli studi
e le ricerche scientifiche hanno
riscontrato
e riportano
sulle pro-
prie piatta-
forme uffi-
ciali.
di Andrea Poligneri
CCINICHE CENNO STORICO
OMUNITA’ SCIENTIFICA
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Sociale
14
Sono passati ben trentanove anni
da quella notte, tra l’8 e il 9 mag-
gio; una triste e tragica storia
compiuta in un piccolo paesino
della Sicilia affacciato sul mare,
il cui nome è Cinisi.
Una “piccola” storia rispetto alla
fortissima attenzione mediatica
sulla capitale, perché il lunedì
dello stesso anno viene ritrovato
il corpo senza vita del presidente
della Democrazia Cristiana (DC)
Aldo Moro: dopo cinquantacin-
que giorni di prigionia viene tro-
vato in una Renault 4 rossa, in via
Caetani. Quella stessa mattina,
nel paesino siciliano, i carabinie-
ri trovano un tratto di ferrovia
completamente distrutta, con
brandelli umani sparsi ovunque.
A pochi metri di distanza viene
trovata una FIAT 850, la cui pro-
prietaria è Fara Bartolotta, zia
di Giuseppe, meglio conosciuto
come Peppino Impastato.
Nato da una famiglia mafiosa,
ancora ragazzo, Peppino ruppe
con il padre e decise di iniziare
un’attività politica culturale an-
timafiosa. Nel 1965 fondò il gior-
nalino L’Idea Socialista e con-
dusse la lotta dei contadini, degli
edili e dei disoccupati.
Nel 1976 diede vita a Radio Aut,
emittente libera, autofinanziata,
con cui denunciava i delitti e gli
affari dei mafiosi di Cinisi e Ter-
rasini.
Nel 1978 si candidò alle elezioni
comunali, nella lista di Democra-
zia Proletaria.
La stessa notte fu intercettato,
malmenato e gli fu posta una ca-
rica di tritolo sotto il suo capo. Il
suo corpo, ormai privo di sensi, fu
adagiato sui binari della ferrovia.
Aveva trent’anni.
Peppino, sangue pazzo, voleva
risvegliare la coscienza con la
satira, la militanza, la poesia.
Un personaggio scomodo che è
stato ucciso perché proprio la vo-
glia di andare oltre e di ribellarsi
al “sistema” era ed è ancora oggi
più forte di ogni altra criminali-
tà organizzata. “La mafia è una
montagna di merda” gridava a
squarciagola Peppino; dalla stes-
sa radio, il giorno della sua morte,
l’amico e compagno di lotte Salvo
Vitale pronunciò il famoso di-
scorso che ritroviamo anche nel
film I cento passi. Peppino crede-
va che qualcosa potesse cambia-
re. Le commemorazioni che oggi
avvengono ogni anno, da trenta-
nove a questa parte, ne sono la te-
stimonianza. 
La lotta alla mafia non deve ar-
restarsi e a trionfare deve essere
solo la bellezza, proprio come di-
ceva Peppino: “Se si insegnasse la
bellezza alla gente, la si fornireb-
be di un’ar-
ma contra
la rassegna-
zione, la
paura e l’o-
mertà”.Eroe.
di Francesco Taratufolo
MAI STANCHI DI CAMMINARE
L’ETERNA STORIA DEI CENTO PASSI
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Storia
15
di Giuseppe Manicone
La mia professoressa di storia
del liceo utilizzava una scala di
giudizio che, oltre a presenta-
re i classici numeri, li accom-
pagnava con delle frasi in rima
col numero corrispondente.
Il voto più alto, l’ambito dieci,
era accompagnato da questa
frase: di’ a tutti che siamo greci.
Oggi, dopo un esame di storia
greca, ho capito cosa voleva dire.
A partire dall’ultima metà del XIX
secolo fino ad oggi, in particolare
nella nostra Sicilia, i negozianti
usano far vagnari u pizzu ai ma-
fiosi.
Questa espressione deriva dal
dialetto siciliano e significa let-
teralmente far bagnare il bec-
co, cioè offrire un bicchiere di
vino a chi ti ha fatto un favo-
re in segno di ringraziamento.
Moltissimi anni prima, in Gre-
cia, nel V secolo a.C. gli emissari
del re persiano Dario I e succes-
sivamente del figlio Serse, rag-
giungevano le principali città el-
leniche con la richiesta di terra e
acqua in segno di sottomissione;
in cambio, i territori sottomessi,
avrebbero ottenuto protezione e
soprattutto gli sarebbe stata ri-
sparmiata la vita.
Buona parte dei greci cedette ma
le poleis più importanti rispose-
ro uccidendo gli emissari del re.
Per i greci che ‘’ pensavano il
meglio per la Grecia,’’ la liber-
tà era la cosa più importante
e avrebbero combattuto con
chiunque pur di non perderla.
Ma cosa può spingere un uomo
a combattere contro qualcosa
di nettamente più grande di sé?
Cosa spinse trecento spartani a
combattere contro migliaia di
persiani?
Cosa spinge un indifeso nego-
ziante a mettersi contro cri-
minali con un’organizzazio-
ne potentissima alle spalle?
I greci amavano la loro terra e
le persone che la abitavano, allo
stesso modo tutti noi amiamo le
nostre famiglie, la nostra terra e
soprattutto la nostra libertà.
Credo che il motore di questa
forza debba essere alimenta-
to soprattutto dalla paura, che,
per Falcone, era una fondamen-
tale compagna del coraggio.
Auguriamoci di avere tanta
paura, paura di perdere quel-
lo che amiamo, la nostra fa-
miglia, i nostri amici, la no-
stra terra, la nostra libertà.
Paura e coraggio non sono
uno l’opposto dell’altro, il co-
raggio è figlio della paura.
Se Leonida non avesse mai avu-
to paura di perdere la sua li-
bertà, non avrebbe mai avu-
to il coraggio di combattere
contro migliaia di uomini.
Se Falcone e Borsellino non aves-
sero avuto paura di perdere tut-
to ciò che amavano, non avreb-
bero mai combattuto la mafia.
Proviamo, proprio con l’aiuto del-
la paura, a dire a tutti che siamo
greci.
Non a caso la Sicilia, la terra in cui
il fenomeno del pizzo è più svi-
luppato, era chiamata dai greci
Megálē Hellàs, cioè Magna Grecia.
Se qualcuno viene a dirvi che chi
si fa i fatti suoi campa cent’anni,
rispondetegli con le parole degli
Spartiati, che, al persiano che
consigliava loro di sottomettersi
al re, risposero, ‘’tu conosci bene
l’essere schiavo, ma non hai mai
fatto esperienza della libertà, se
sia dolce o no. Se l’avessi provata,
non con le lance, ma persino con
le scure ci consiglieresti di com-
battere per essa.’’
PAURA E CORAGGIO
COME I GRECI SCONFIGGONO LA MAFIA
16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA16
Così come William Shakespeare inizia nell’Amleto,
una delle sue opere più importanti, chiedendosi “To
be, or not to be, that is the question’’, anche a noi
oggi, in quei pochi momenti di tranquillità della no-
stra frenetica vita, passata tra lavoro, scuola e casa,
ci capita di chiederci: siamo realmente felici di ciò
che siamo? Stiamo realmente vivendo noi o un no-
stro avatar sta vivendo al posto nostro?
Può sembrare strano ma una delle cause principali
del non essere se stessi e di conseguenza dell’essere
infelici è la paura, poiché non può convivere con la
felicità e ama rubare i nostri sogni notturni. Pur-
troppo oggi la maggior parte delle persone convive
con la paura, poiché non gli è permesso di essere
come realmente è in quanto ci sono sempre delle
persone ,che non si sa perché, hanno sempre qual-
cosa da ridire riguardo i nostri interessi musicali, il
nostro orientamento politico, il nostro tifo sportivo,
la nostra visione verso gli extracomunitari, il se-
guire eventuali mode, la nostra religione e i nostri
sentimenti, in particolar modo l’Amore, sentimen-
to per cui l’uomo esiste in quanto è fatto per amare
il prossimo, indipendentemente dal fatto che possa
essere una donna o un uomo.
Oggi noi dovremmo trovare quel coraggio che ave-
vano i cristiani durante l’epoca romana, in cui no-
nostante sapessero di essere perseguitati e di an-
dare incontro alla morte ribadivano senza timore e
senza pensarci due volte il loro essere: Sì! Noi siamo
cristiani.
Elbert Hubbard diceva “Il più grande sbaglio nella
vita è quello di avere sempre paura di sbagliare’’,
adesso non me ne voglia Elbert Hubbard, ma la sua
affermazione la modificherei così: Il più grande
sbaglio nella vita è quello di avere paura di essere
se stessi.
di Tommaso Di Fonzo
RITORNIAMO ALLA
PAURA DI SBAGLIARE
AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE
Periodico di cultura,
informazione e attualità,
supplemento de La Nuova Murgia.
Anno II, n. 7, Giugno 2017,
Registrato presso il tribunale di Bari
il 09/11/2000 n 1493
Edito dall’Associazione Culturale
La Nuova Murgia
Piazza Zanardelli 22 70022 Altamura (BA)
Tel. 3293394234
e-mail: sedicipaginemagazine@gmail.com
Co-direttori:
Antonio Molinari & Domenico Stea
Caporedattore:
Marco Lorusso
Caporedattore Matera:
Mario Paolicelli
Presidente de La Nuova Murgia:
Michele Cannito
Direttore Responsabile:
Giovanni Brunelli
Pubblicità:
Domenico Marino Stea 344 1139614
Redazione Numero 7:
Domenico Cornacchia
Marco Nuzzi
Giuseppe Manicone
Andrea Poligneri
Gianmarco Schiuma
Francesco Taratufolo
Tommaso Di fonzo
Francesco Petronella
Michele Pellegrino
Giuseppe Cornacchia
Daniela Sforza
Co-direttori Matera:
Antonio Loponte 331 4099293
Francesci Coretti 327 3125505
Foto Copertina : Vittoria Elena Simone
Progetto grafico, impaginazione e fotografo:
Francesco Viscanti 392 8759874
Stampa: Grafica & Stampa
Questo numero è stato chiuso il 18/06/2017 alle
ore 21:00
16 Pagine - Numero 7

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  • 1. 1AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Argomento
  • 2. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA
  • 3. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 1 Qualche giorno fa è arrivata alle orecchie di tutti una notizia come tante. Una di quelle notizie a cui siamo tristemente abituati. Abbiamo acceso il televisore e guardato per qualche minuto le solite immagini. L’andirivieni dei poliziotti, le scenografiche luci delle volanti e delle ambulanze, uomini a terra, macchie di sangue e le sirene come colonna sono- ra. Noi eravamo lì, narcotizzati, le prime vittime delle bombe di immagini, urla, parole che scoppia- no nella nostra testa e scatenano l’incontrollabile. Eravamo già pronti ad entrare nell’automatismo: aprire le nostre bacheche facebook, consultarle e proporre soluzioni di politica estera alla prima condivisione di turno. Qualcosa però ha radicalmente cambiato il sapore di quella sofferenza, ha trasformato l’odore del sangue. Qualcosa ha cambiato le carte di un gioco al quale partecipiamo tutti, uscendone solitamente per lo più sconfitti. Questa volta la tragedia inverte le parti del nostro immaginario. Chi di solito è oppresso fa, in questo caso, il carnefice e chi, di solito, fa il carnefice, in questo caso, è l’oppresso. È l’esterno di una moschea a Finsbury Park, a Lon- dra, il teatro di questa storia, certo, poco originale, ma con i suoi piccoli colpi di scena. Il protagonista, il cattivo, è un uomo di 47anni proveniente dal Galles il quale, al volante di un furgone, si è sca- gliato contro la moschea gridando, secondo alcune testimonianze, “uccido tutti i musulmani”. Non si può dire che non avesse le idee chiare. L’esito di questo atto dal fare eroico, ma dalla vile sostanza, è stato l’uccisione di un innocente, lì per pregare un dio che avrebbe poco dopo raggiunto, e una decina di feriti. Ora, ciò che abbiamo capito è che, oltre al fatto che è può compiere attentati anche gente senza barbone e carnagione mulatta, è che la pau- ra non è per tutti. Meglio ancora sarebbe dire che avere paura è umano, non saperla gestire è perico- lo, saperla gestire è virtù. Tutta la nostra vita, dopotutto, non è nient’altro che una continua sospensione tra la voglia di vive- re e la paura di morire. Nient’altro che un inganno alla morte. La maggior parte delle volte proprio lei, la morte, la madre di tutte le paure, è l’origine del nostro interrogarci sul senso dei nostri passi. E chi meglio si fa nutrire dalla propria paura, chi ne da un senso, una forma, chi la plasma e la modella, trova sostanza nei suoi giorni, trova consistenza nella sua vita. È lì che si distingue il virtuoso dal mediocre, dal fatto che sappia prendere una paura e farne un’opportunità. Quando questa, invece, si traduce in distruzione, il presunto coraggio delle proprie azioni è solo il vestito che diamo alla debo- lezza. Il camion che ha tentato di “uccidere tutti i musulmani” non è il simbolo di chi ha tentato di sconfiggere la paura, ma di chi vi è stato sconfitto. Questa riflessione m’è rimasta come consolazione davanti alla difficoltà di non arrendersi al potere della cronaca di cambiare il nostro umore, di non cedere davanti alle brutalità dei disastri, all’impos- sibilità di dare logica alle ferite dell’umanità ed ora più che mai sono sicuro che la virtù, l’intelligenza, il bene, la crescita, il progresso non sta né nell’au- dacia, né nel coraggio, ma è riassunta, mai così attuale, in queste parole: Non partirsi dal bene potendo, ma saper intrare nel male, necessitato (Niccolò Machiavelli). Impariamo ad entrare nel male. IMPARIAMO AD ENTRARE NEL MALE EDITORIALE di Marco Lorusso
  • 4. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA Psicologia 2 PAURA La paura è una delle più antiche emozioni che interessa in misu- ra variabile ogni essere umano, lasciando molto spesso tracce indelebili nella sua mente, che possono riemergere in forma più o meno drammatica sia a livello cosciente che nei sogni. La paura è un’emozione che può generare grossi problemi di adattamento e che in casi estremi può dare la morte alla persona che ne è vit- tima. Ma è anche un’esperienza quotidiana, un meccanismo di allarme che generalmente consi- deriamo negativo ma, andrebbe considerata come una reazione al pericolo e pertanto positiva. Solo grazie ad essa è possibile af- frontare in modo adeguato il pe- ricolo. La paura non costituisce semplicemente una meccanica e istintiva risposta a un pericolo, ma piuttosto una modalità com- plessa messa in atto dagli indivi- dui per relazionarsi all’ambiente ed esplorarlo contenendo i rischi. Inoltre, essa non è semplicemen- te un modo di sentire, ma un vero e proprio sistema, costituito da più componenti e fasi, il cui fun- zionamento accade lungo una li- nea temporale di azione ben pre- cisa. Charles Darwin condusse uno studio comparato sulle espres- sioni delle emozioni descrivendo gli effetti della paura nell’uomo, quando egli non riesce a lotta- re o scappare dalla paura stessa. Quest’ultimo racconta di un in- sieme di accadimenti repentini e coordinati, di una tempesta di modificazioni: l’organismo pare essere completamente dedicato a questo. Si chiama “arousal” que- sta attivazione psicofisica globale governata da quella combina- zione di segnali elettrici e di tra- smettitori chimici su cui si basa il nostro sistema nervoso centrale (arousal corticale) e comprende inoltre modificazioni fisiologiche del sistema nervoso autonomo (arousal simpatico) oltre a varia- zioni muscolari. Queste reazioni caratterizzano la cosiddetta rea- zione di emergenza. Tale attiva- zione è connessa a cambiamenti ormonali. ’’I MILLE VOLTI DELLA PAURA’’: panico, terrore e orrore La paura ha diversi gradi d’inten- sità emotiva che dipendono dal grado di controllo cognitivo della minaccia. PANICO Il panico è una sensazione di pau- ra o terrore perlopiù collettivo e improvviso, non soggiogato dalla riflessione, che nasce a fronte di un pericolo reale o presunto, por- tando irresistibilmente ad atti avventati o inconsulti. Il panico generalmente può anche domi- nare sulla ragione e sulla logica di pensiero, sostituendosi a que- ste con travolgenti sensazioni di ansia e agitazione frenetica. Quando coinvolge un gruppo di persone si può parlare anche di isteria di massa. Questa sensazio- ne porta anche a degli attacchi di panico, ossia un periodo preci- so, di breve durata e che di solito raggiunge il picco di escalation di sintomi nel giro di dieci minuti durante i quali si sviluppano sen- I MILLE VOLTI D
  • 5. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 3 sazioni di paura o disagio intensi, seguiti da vari sintomi. L’attac- co di panico è sostanzialmente innocuo e non provoca danni a nessun organo del corpo, eppure chi lo vive lo descrive come un’e- sperienza spiacevole e terrifican- te, e spesso conduce chi lo vive a sviluppare un’ansia anticipatoria legata alla paura di avere nuova- mente attacchi di panico. Questo meccanismo va ad innescare un circolo vizioso dove più la pau- ra aumenta e più gli attacchi di panico diventano ricorrenti. Du- rante, si cerca di scappare via, di lasciare l’ambiente in cui ci si trova, qualunque esso sia, senza badare ad altro che a cercare una via di fuga. TERRORE Il terrore è la forma estrema della paura, di intensità ancora mag- giore al panico, dove l’impulso a scappare è talmente elevato da ri- cercare una soluzione immedia- ta: in questo caso l’individuo sce- glie di ritirarsi dentro sé stesso. Il terrore è una vera propria fuga verso l’interno, la muscolatura si paralizza nel tentativo di ridur- re la sensibilità dell’organismo durante l’agonia (immaginata o reale). ORRORE Per orrore si intende un senti- mento di forte paura e ribrezzo destato da ciò che appare crudele e ripugnante in senso fisico o mo- rale. Per estensione, orrore può indicare un fatto, un oggetto o una situazione che desta tale sen- timento. L’ANSIA L’ansia, invece, è solo una paren- te stretta della paura, ed è pro- dotta dal pensiero, cioè da pro- cessi cognitivi interni. Essa nasce dall’anticipazione del pericolo ed a volte è il prodotto di una pau- ra irrisolta. La consapevolezza di non aver sventato la minaccia, trasforma la paura in ansia. È una complessa combinazione di emozioni che includono paura, apprensione e preoccupazione, ed è spesso accompagnata da sensazioni fisiche come palpita- zioni, dolori al petto e respiro cor- to, nausea, tremore interno. Può esistere come disturbo cerebrale primario oppure può essere as- sociata ad altri problemi medici, inclusi altri disturbi psichiatrici. Dall’ansia possono derivare at- tacchi di panico o fobie. La fobia indica un’irrazionale e persistente paura e repulsione di certe situazioni, oggetti, attività, animali o persone, che può, nei casi più gravi limitare l’autono- mia del soggetto. di Daniela Sforza DELLA PAURA
  • 6. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA Multiculturalismo 4 di Francesco Petronella Lo spauracchio del terrorismo di matrice islamica è uno degli ele- menti più strumentalizzati dalla propaganda di certi partiti xeno- fobi, specialmente in chiave an- ti-immigrazione. Il ragionamento sembra filare liscio come l’olio: tra i migran- ti possono benissimo nascon- dersi tagliagole sanguinari dal momento che i flussi migratori provengono da zone in cui pro- liferano gruppi combattenti di matrice islamica. Che poi si tratti di Daesh, al-Qa- eda o Boko Haram e che ognuno di questi gruppi abbia le proprie specificità, poco importa. Inve- ce, prevedibilmente, le cose sono molto più complicate di così. Un’analisi alternativa è quella proposta da Olivier Roy, profes- sore all’Istituto Universitario Eu- ropeo nonché uno dei massimi esperti del fenomeno jihadista. La tesi Roy ribalta drasticamen- te la prospettiva di analisi e, con una rivoluzione copernicana, pone l’attenzione sull’humus lo- cale del fenomeno terrorista. In- fatti lo studioso, riferendosi alla Francia, scrive che: “Il gruppo Stato islamico non manda citta- dini siriani in Francia per com- piere attentati e convincere il governo di Parigi a interrompere i bombardamenti. No, l’IS attin- ge a un grande bacino di giovani francesi radicalizzati, che a pre- scindere dalla situazione in Me- dio Oriente sono già in cerca di una causa, di un’etichetta, di una grande narrazione su cui apporre la firma sanguinaria della loro ri- volta personale”. Quello che Roy cerca di fare è impostare il discorso sul jihad contemporaneo europeo in una chiave di lettura nichilista e ge- nerazionale. Il nichilismo di quel- li che gli studiosi Lorenzo Decli- ch e Anatole Pierre Fuksas hanno definito “qualcunisti rambisti”. Si tratta di vittime, soprattutto giovani, di alienazione sociale, esclusione e marginalità che ri- escono a canalizzare la propria rabbia se e quando gli viene for- nito un quadro ideologico di rife- rimento. Il sedicente Stato Isla- mico fa semplicemente questo: fornisce un quadro ideologico. Tuttavia il fatto che si tratti di lupi solitari, più dediti a Youporn e Marijuana che a Corano e Islam, non deve far perdere di vista l’o- biettivo. Questa consapevolezza non deve tramutarsi, infatti, in una pratica assolutoria a priori verso le comunità islamiche, né in un atteggiamento vittimista da parte delle comunità stesse. Le famose campagne “#Notinmyna- me,” promosse ai tempi di Char- lie Hebdo, in cui musulmani di tutto il mondo si dissociavano dall’azione jihadista, dovrebbero essere sostituite da campagne di sensibilizzazione in seno alle comunità. I dati parlano chiaro: i due principali target della pro- paganda jihadista sono i 2G (im- migrati di seconda generazione) ed i convertiti all’islam. Dunque sarebbe auspicabile, ed in certi casi già avviene, che ogni centro culturale islamico, ogni moschea ed ogni famiglia musulmana svi- luppasse una prassi di denuncia di ogni sospetto di radicalismo ed anche delle forme di accom- pagnamento che allontanino i giovani dal fascino dell’ideologia terrorista. Un’ideologia che, pur distruggendola, finisce per dare un senso alla vita di giovani senza speranza. ISLAM RADICALIZZATO O NICHILISMO ISLAMIZZATO?
  • 7. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Teatro 5 Ogni forma d’arte, visiva e non, attraversa un periodo durante il quale l’unico obiettivo è quello di stupire o scioccare. È una cosa riscontrabile nella pittura, come nella musica, come nel cinema, ma in questo articolo la mia in- tenzione è far conoscere, a chi non ne ha mai sentito parlare, il Grand Guignol, ossia quell’atti- mo in cui anche il teatro diventò grottesco e traumatizzante. Il movimento prende il nome dal teatro Grand Guignol aperto al pubblico a Parigi nel 1897 e nato tra i resti di una vecchia chiesa, cosa che gli ha conferito quell’a- ria un po’ sacrale che tanto piace- va all’audience “ Guignol” significa “marionetta” ed è un personaggio della cultu- ra tradizionale francese, raffigu- rante un operaio di Lione con una gran parlantina, che si scaglia sempre contro la politica. Il fondatore del teatro Oscar Me- tinier era quello che i suoi spet- tacoli avrebbero poi portato in scena: una somma di opposti. Egli infatti lavorava come secondino, ma aveva la passione per la dram- maturgia e nelle sue rappresen- tazioni metteva sempre al centro della scena gli emarginati della società, coloro che nessuno guar- dava per strada e che mai si sa- rebbe potuto pensare di vedere in un teatro. Prevedibilmente i suoi primi spettacoli, che come prota- gonisti avevano assassini, crimi- nali e prostitute, vennero pesan- temente criticati e censurati. Poi quando alla direzione artistica gli succedette Max Maurey, gli spettacoli presero una piega de- cisamente orrori fica, tanto che lo sceneggiatore di cui Maurey si servì, tal Andre de Lorde, venne soprannominato il principe del terrore. Erano le ossessioni della mente umana a dominare il palco e a catturare gli occhi degli spetta- tori: ossessioni che sfociavano in efferati omicidi, mutilazioni, sfregi con l’acido e atti di violen- za, tutti conditi con una compo- nente erotica. Co-protagonista era il buio, che abbracciava gli assassini e i pazzi e accompagna- va, senza problemi, anche storie di fantasmi, scheletri e necrofilia nervosa. In questo periodo la ma- nia grandguignolesca (parola ef- fettivamente entrata a far parte del vocabolario) si diffuse in tutta Europa, con grande risposta po- sitiva, specialmente a Londra. Il periodo che va dal 1914 al 1930 è il più fruttuoso per il teatro pari- gino, ma anche per l’attrice Pau- la Maxa, regina indiscussa della morte sul palco. È detentrice di un macabro record: è l’attrice più uccisa della storia. Duran- te la sua intensa carriera è stata decapitata, sbudellata, ridotta in minuscoli pezzettini, ghigliotti- nata, avvelenata e uccisa in mol- tissime altre maniere che non sto qui ad elencare, ma che erano co- struite in maniera maniacale, po- tendo contare su effetti speciali davvero ben curati, tanto che non furono i pochi i casi di svenimen- to e di malori in platea e la com- pagnia fu costretta ad assumere un medico. L’ultimo periodo, quello del de- clino e della chiusura definitiva, che si ebbe nel 1962 è sicuramen- te segnato dalla guerra che svuo- tò le platee e rese reali le fantasie che per quarant’anni erano state rappresentate su quel palco. Gli spettacoli erano diventati ripeti- tivi e scontati e gradualmente si perse l’interesse per una forma d’arte così particolare, che oggi può essere identificata nei film horror o ancora meglio in quelli di genere gore o splatter, pieni di scene raccapriccianti. Ringrazio il mio fumetto prefe- rito, Dylan Dog, che mi ha fatto scoprire e in seguito analizzare il Grand Gui- gnol, picco- la parentesi sanguino- lenta del te- atro moder- no. di Michele Pellegrino GRAND GUIGNOL IL TEATRO DEGLI ORRORI
  • 8. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA6 Letteratura Che sia studiata, scandagliata, analizzata o combattuta, prescin- dendo dai diversi approcci con cui accostarsi alla paura, il primo aspetto che si riscontra nel con- frontarsi con essa è il suo essere inesplicabilmente mutevole, can- giante ed inafferrabile. Di paura si può parlare, la paura si può vivere e sperimentare, fa- cendosi finanche sopraffare dalla stessa, ma di paura ci si può an- che nutrire, concependone una rappresentazione concreta, pla- smandola e fissandola su di una pagina bianca, ad immagine e somiglianza delle proprie più in- time visoni. Tra i tanti “maestri del terrore” che hanno saputo compiere tale operazione, gli elementi più in- novativi, misteriosi ed originali nell’ambito della letteratura del terrore, si rinvengono nella pro- duzione di Howard Philips Love- craft. Statunitense, vissuto a cavallo tra il diciannovesimo ed il ventesimo secolo, Lovecraft ha fuso nelle sue opere gli elementi classici del romanzo gotico, della cui linfa si nutrì sin dalla fanciullezza grazie alla passione trasmessagli da suo nonno, con una visione crudele del mondo del tutto inedita, at- tecchita in lui anche a causa dei molti avvenimenti infelici e delle circostanze avverse che hanno caratterizzato la sua breve esi- stenza. La presenza soffocante, iper-pro- tettiva e deviata della madre, la prematura morte del padre, affetto da psicosi, e l’insorgen- za nell’autore di crisi da esauri- mento nervoso sin dalla tenera età, hanno condotto Lovecraft ad elucubrazioni caotiche, parados- sali e tetre le quali, racchiuse nei CONOSCIAMO H.P.LOVECRAFT IL PESSIMISMO, LA PAURA, LA CONOSCENZA E L’IGNOTO
  • 9. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 7 suoi racconti, hanno lentamente delineato l’universo chiuso, mal- vagio e macabro che fa da sfon- do ad ogni sua opera ed in cui lo stesso trovava rifugio, fondendo il sogno con la realtà. Conilpassaredegliannieconl’in- cremento della sua produzione, la quale si caratterizzava sempre più come una commistione tra fantasy, horror e fantascienza, prende forma nelle opere di Love- craft una visione del mondo irri- mediabilmente improntata ad un pessimismo astratto ed inestir- pabile, il quale diviene elemento cardine di una narrazione fitta, angosciante e carica fino all’inve- rosimile di aggettivi lugubri e di cupi rimandi ad immagini avvi- lenti e terrificanti. Attraverso la creazione di un pantheon di divinità maligne, con al centro il celeberrimo e mo- struoso Cthulhu, divenuto, alla morte di Lovecraft, icona di una malvagità cosmica ed assoluta, l’autore riversa nelle sue opere il proprio pensiero misoteista, dove il male, etereo, primordia- le e fondamentale componente della materia stessa della realtà, si condensa in esseri ancestrali e celati agli occhi degli uomini i quali, al solo contatto con queste entità o con i loro emissari terre- ni, impazziscono per la paura e lo sgomento. Dall’esame dei punti di contatto tra questa onirica e sovrannatu- rale realtà che trascende il tempo e lo spazio ed il mondo concreto, emerge con forza inoltre un altro tema centrale nella narrativa di Lovecraft, ossia il “disprezzo per la conoscenza”. Unelementochiavepercompren- dere appieno questo sentimento, ricorrente soprattutto nelle ulti- me opere dello statunitense, è il celebre libro noto come “Necro- nomicon”, pericolosissimo testo scritto da un folle arabo, chiama- to Abdul Alhazred, che costituisce la chiave per aprire quell’enorme vaso di Pandora che, nel pensiero dell’autore, combacia con l’uni- verso intero. Grazie al Necronomicon, sulla cui reale esistenza numerosi fan e fanatici si sono interrogati fino a che lo stesso autore non ha chia- rito la sua natura puramente immaginaria, è possibile, per gli sventurati che vi si imbattono, attraverso formule magiche e ri- tuali, mettersi in contatto con il terrificante mondo dell’ignoto, il quale costituisce un altro punto nevralgico del pensiero dell’au- tore. “Il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura, e la paura più grande è quella dell’ignoto”, affermava infatti Lovecraft, il quale tuttavia disprezzava fortemente anche la condizione antitetica all’ignoto, ossia la piena conoscenza del tut- to. Abdul Alhazred è infatti un personaggio costruito ad arte dall’autore il quale, lungi dal vo- ler rappresentare davvero un fol- le negromante orientale (Abdul non è affatto un nome arabo ma solo una stereotipata storpiatu- ra occidentale), inserisce nel co- gnome Alhazred una importante chiave di lettura del suo pensiero. Alhazred, termine privo di signi- ficato nella lingua araba, è infatti un gioco di parole che sottinten- de l’espressione inglese “All has read”, traducibile in “ha letto tutto”. Tale astratta condizione, ossia l’aver letto tutto e dunque l’aver raggiunto una interazione com- pleta con lo scibile umano è una facoltà che, secondo la mitolo- gia antica, da cui Lovecraft attn- ge numerosi dei suoi argomenti e dei suoi topoi letterari, spetta esclusivamente ai demoni ed alle divinità degli inferi. L’autore, dunque, fornisce una visione negativa della conoscen- za, presentata come indesidera- bile e pericolosa. Infatti, molti dei protagonisti dei suoi racconti, nel momento in cui intraprendono un viaggio di ri- cerca, finalizzato all’ottenimento della conoscenza, finiscono per incontrare il male al suo stadio più puro e giungono infine alla pazzia. Il pensiero di Lovecraft si rivela dunque essere uno spaventoso vicolo cieco, un spiraglio su di un universo creato da entità mal- vagie che guardano con occhi malevoli l’uomo brancolare nel buio, intento a combattere ogni giorno contro la paura dell’igno- to attraverso l’incessante e di- sperata ricerca della conoscenza, unica arma in grado di arginare tale paura e tuttavia, una volta raggiunta la conoscenza, essa conduce irrimediabilmente alla follia. di Marco Nuzzi
  • 10. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA8 Sport Abbiamo mai immaginato cosa provi un pilota di Formula 1 all’interno di uno strettissimo abitacolo, alla velocità di 300 km/h? Le risposte possono esse- re innumerevoli, e nella maggior parte dei casi, parecchio azzarda- te. Dalla nascita della Formula 1 ad oggi, assieme al numero dei se- guaci di questa disciplina, sono aumentate le tecnologie di pi- sta, che permettono ai piloti di toccare, con le loro monoposto, punte di velocità altissime, come il record di 378 km/h raggiunto dall’attuale seconda guida Mer- cedes, Valtteri Bottas, sul lungo rettilineo del Gran Premio d’Eu- ropa 2016, a Baku. Il Circus della Formula 1, tuttavia, ha avuto nel corso della sua storia, lati oscuri e talora difficili da dimenticare; 32 sono i piloti che hanno trovato la morte in pista: ultimo per ordine cronologico, la futura promessa della Ferrari, Jules Bianchi. Ma cosa spinge davvero i piloti a correre il rischio che, un minimo errore di strategia, o di guida, con conseguenze fatali, possa com- promettere tutto quello che han- no costruito? A questa difficile domanda non vi è una risposta certa ed oggettiva, tuttavia i campioni più accredita- ti hanno cercato, quasi sempre, di stigmatizzare questo interro- gativo, rendendolo superfluo ed inutile. È il caso del Brasiliano Ayrton Senna, che, carico di una forte esperienza cristiana matu- rata in famiglia, si è sempre posto al di là dei suoi canonici obiettivi, nonostante dichiarasse di sentir- si impaurito dal raggiungimento degli stessi. Insieme alla rivalità sportiva e alla competizione serrata, la Formula 1 ha visto una nascita e una progressiva evoluzione del- le misure di sicurezza adottate dai piloti; nel 1950, anno in cui esordiva ufficialmente il Circus, le auto non erano in grado di sopportare urti di grande entità e non erano rari i casi di vetture completamente disintegrate a bordo pista o vicino i muretti di protezione con corpi dilaniati dai pezzi metallici dell’auto. Con l’ap- porto delle operazioni di soccorso immediato, dietro le grate di pro- tezione, è stato possibile salvare solo una piccola percentuale di piloti incidentati. Lo spartiacque che porterà a ripensare alle nor- me di sicurezza da far adottare ai piloti avverrà nel 1973, con la terribile morte del francese François Cevert nel Gran Premio degli Stati Uniti. Il transalpino andò a sbattere contro le barrie- re metalliche a 200 km/h e rima- se incastrato nella monoposto, tranciata in due dopo il tragico schianto: a tal proposito il tre volte iridato Jackie Stewart com- mentò freddamente – “sembrava il luogo di un disastro aereo”-. Sotto l’egida del tre volte cam- pione inglese si decise, insieme alla Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA), di provve- dere ad alcune modifiche consi- stenti nel miglioramento della qualità e efficienza di tute, ster- zo, sospensioni e intelaiature. Tutto questo portò ad una dimi- nuzione di incidenti mortali, ma non alla totale scomparsa. È in questo arco di tempo che cresce l’appeal della Formula 1 per la sua pericolosità e nel decennio 1975 – 1985 assistiamo a due grandi eventi che cambiano ancor di più il giudizio generale sulla sicurez- za. - Il tragico incidente che accorse PIÙ VELOCE D LA STORIA DELLA SICURE
  • 11. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 9 a Niki Lauda il 1^ agosto 1976 nel Gran Premio di Germania; il pi- lota austriaco porta ancora oggi i segni del dramma “tedesco” e la sua sciagura condurrà l’opinione pubblica a condannare la FIA in merito alle decisioni di gara; - La terribile disgrazia accorsa al beniamino di Enzo Ferrari, l’indi- menticabile Gilles Villeneuve, nel circuito belga di Zolder, nell’ 82, indurrà le Scuderie e le rispettive case fornitrici di motori a ripen- sare sulla letalità dell’incontrol- labile Motore Turbo. La sicurezza, con gli anni suc- cessivi (1985 – 1994) vede un sua espansione con auto, sistemi e di- spositivi all’avanguardia, anche grazie all’Associazione Piloti, guidata da Ayrton Senna. Proprio lui segnerà un’ ulteriore netta divergenza rispetto al passato, a causa dell’impetuosa e incon- trollata tecnologia applicata alle vetture e della fatalità di alcune chicane di diversi circuiti (quella in questione è la curva Tamburel- lo, ad Imola, oggi modificata radi- calmente rispetto al passato). Nel weekend di Imola del 1^ maggio 1994, a seguito del tragico sabato di qualifiche, dove perde la vita il pilota austriaco Roland Ratzen- berger, il campione Brasiliano perde il controllo della propria vettura, a seguito della rottura del piantone dello sterzo (salda- to solo manualmente la notte precedente nei box Williams) e si schianta ad altissima velocità contro il muretto. L’impatto gli causa la perforazione del casco, dovuta al puntone della sospen- sione che arreca al brasiliano gra- vissime e fatali lesioni cerebrali. Dopo questo drammatico evento, la FIA decide di intervenire più concretamente sulle decisioni di gara per salvaguardare l’integri- tà dei piloti. 21 anni dopo Jules Bianchi, vittima del violento im- patto contro una gru nelle pessi- me condizioni atmosferiche del Gp del Giappone, dopo nove mesi di agonia, muore nell’ospedale di Nizza, rispolverando un proble- ma accantonato dopo il Gp di San Marino, sulla presa di posizione della Federazione inerente la si- curezza dei piloti, ancora oggi da chiarire su grandi linee. Tralasciando il tema Fondamen- tale della sicurezza, la Formula 1, insieme ai vari campionati au- tomobilistici americani e inter- nazionali, continua a coinvolge- re sia gli appassionati abituali, che quelli occasionali, rendendo chiunque partecipe, al di là dello schermo. Non è un caso che mol- ti ferraristi sfegatati, si sentano realizzati dopo una vittoria della loro squadra, poiché questa sia in grado di far dimenticare loro gli impegni mondani e li faccia tuffare, anche se per due ore e mezza, in un atmosfera di entu- siasmo, adrenalina e felicità (in caso di vittoria,ovviamente!). Il graduale percorso della Sicurez- za in Formula ci sia da monito per ravvederci che la prudenza non è mai troppa, soprattutto quando si ha tra le mani un volante! di Giuseppe Cornacchia DELLA PAURA EZZA A QUATTRORUOTE
  • 12. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA Filosofia 10 Fin dai primi istanti di vita, quando cominciano ad entrare in contatto con il mondo esterno, tutti gli ani- mali provano paura, per fortuna. La natura li ha dotati del prezioso dono della paura, necessaria affin- ché siano in grado di difendersi dai pericoli che mettono a rischio la loro incolumità. Esistono diversi tipi di paura, ad esempio, paura del buio, degli sconosciuti, del futuro, ma tutti possono essere ricondotti ad un’unica grande paura, ossia quella del confronto col mondo e, quindi, anche con individui simili. Il filo- sofo indiano Jiddu Krishnamurti, nel suo libro “Sulla paura”, afferma: “Viviamo in questo costante sta- to di confronto, di competizione, e nell’incessante lotta per diventare qualcuno, o per essere nessuno, che è la stessa cosa. Questa è, credo, la radice di ogni paura, poiché genera invidia, gelosia, odio. E dove c’è odio, ovviamente non c’è amore e la pau- ra aumenta sempre più”. Per quanto essa sia naturale e innata, si cerca sempre di fuggirla e di sconfiggerla, in quanto pone un freno alle nostre azioni e inibisce le nostre volontà; spesse volte, però, è solo uno spreco di tempo e di energie: essa non sva- nisce, neanche parzialmente, nono- stante ingenti dosi di training au- togeno, ripetendo all’infinito nella propria mente “non devo avere pau- ra”. Forse sarebbe opportuno cam- biare strategia, dato che la paura è parte integrante degli esseri dotati di anima, dunque è impossibile da debellare. Lo stesso filosofo, infatti, oltre a dare una personale interpre- tazione di questo sentimento, con- siderato drammatico, suggerisce anche il modo in cui esso può essere combattuto, o meglio, non combat- tuto. Nello stesso libro, Krishnamur- ti scrive: “L’osservatore è la totalità di tutte le sue esperienze di paura. Quindi, l’osservatore è separato dal- la cosa che chiama paura; c’è uno spazio tra loro”; ancora, nelle righe successive: “Ma l’osservatore che dice: “Io ho paura” è davvero separa- to in qualche modo dalla cosa osser- vata, che è la paura? L’osservatore è la paura e, quando questo viene compreso, non c’è più dispersione di energie nello sforzo di liberarsi da essa e il tempo-spazio tra l’osserva- tore e l’osservato scompare”. In altre parole, il filosofo ci sprona all’ac- cettazione del sentimento e a non essere riluttanti nei suoi confronti; accettare qualcosa che, in fondo, è insito nella nostra natura ci permet- te di arginarlo. Potrebbe sembrare un atteggiamento arrendevole: “non ci posso fare niente, quindi lo accet- to” sarebbe una frase tipica dei de- boli e degli svogliati; in questo caso, tuttavia, non si tratta di incapacità o di neghittosità, bensì di diventare consapevoli di ciò che siamo: esseri che reagiscono agli stimoli esterni in base alla memoria di esperienze vissute precedentemente. La pau- ra non è un’entità sovrannaturale che esiste in modo separato da noi; è realtà, è nata insieme a noi, pro- prio come la fame, la sete e il sonno. Evitarla significa alimentarla; acco- glierla significa domarla. KRISHNAMURTI: IL BENE DELLA PAURA di Domenico Cornacchia
  • 13. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Mondo 11 Per trent’anni la Cina è stata un paese chiuso e ai pochi stranieri cui era concesso l’ingresso veniva predisposto un rigido ed edifi- cante itinerario. Le immagini che venivano riportate erano quelle di una felice nazione rivoluziona- ria che aveva eliminato la pover- tà, la disoccupazione e la crimi- nalità. Un’eccezione è costituita da Fox Butterfield, il primo cor- rispondente del New York Times al quale è stato concesso di vivere a Pechino; egli, però,  non si è la- sciato sedurre dal potere politico del paese. Il controllo sull’informazione è la prova eclatante della “chiusura al mondo” di questa parte dell’O- riente. Le idee comunistiche sono portate avanti dal presidente del- la “Grande” Cina Xi Jinping, il quale è in carica come presidente della Repubblica Popolare Cinese dal 2012. Se prima nel mondo della “pau- ra” c’era il muro di Berlino ora c’è il “Grande firewall cinese”: non è una barriera fisica che impedi- sce alle persone di andarsene, ma un muro virtuale, che fa sì che le informazioni dannose per il Par- tito Comunista cinese non en- trino nel paese. Come il muro di Berlino, anche questa barriera è destinata a cadere prima o poi: le informazioni, come le persone, non possono essere trattenute per sempre. O perlomeno questo è quello che si dice. Farlo capire al governo di Pechino, però, non è così semplice: la Cina è ben lon- tana dall’eliminare il più gran- de sistema di censura al mondo e, anzi, sta andando sempre più fiduciosa  nella direzione oppo- sta, rafforzando le basi legali del firewall, tappando le sue falle e rinsaldando il suo controllo su Internet. Ma quale sarà mai il vero moti- vo di questa chiusura della Cina nei confronti del mondo digita- le? Questa è la  paura più grande di questo paese, basti pensare che sul mondo di internet pas- sano miliardi di informazioni ed è di questo che la Cina ha paura, perché proprio quelle immagini, secondo la  Repubblica Popolare Cinese, possono avere serie con- seguenze sul paese. Il Grande fi- rewall, che la Cina chiama “Scudo d’oro”, è un gigantesco sistema di censura e sorveglianza che blocca decine di migliaia di siti giudica- ti dannosi per la propaganda e il controllo del  Partito Comunista, come Facebook, YouTube e  In- stagram. Ad aprile il governo americano ha classificato uffi- cialmente il sistema di censura cinese come barriera al commer- cio.  Ma questa chiusura in questo periodo ha subito delle evoluzio- ni e ormai la Cina ha acquisito un ruolo chiave e fondamenta- le all’interno delle dinamiche dell’economia globale. Storica- mente conosciuta per la sua ca- pacità di produrre beni in modo molto economico così da esporta- re i prodotti con una bassa infla- zione al resto del mondo, la Cina ha assunto in seguito un impor- tante ruolo nell’economia globale anche per quanto riguarda la do- manda di mercato, affiancandosi agli Stati Uniti e alle altre econo- mie sviluppate. Ma il traguardo di una Cina che non ha più “PAURA” della globalizzazione e di unifi- carsi alle abitudini mondiali è ancora lungo, anche se la cultura occidenta- le ci crede molto. di Gianmarco Schiuma THE GREAT FIREWALLNUOVI MURI DA ABBATTERE PER UNA CINA AL PASSO COI TEMPI
  • 14. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA Medicina 12 Nell’era dei social network, degli smartphone e della globalizzazio- ne mediatica è estremamente facile che ogni informazione diventi di domi- nio pubblico in un lasso di tempo quasi nullo. Se questo è sotto un certo punto di vista un fattore positivo, può diventare un’ar- ma a doppio taglio specialmente nell’alimentare luoghi comuni E informazioni incomplete. Non ha fatto eccezione a questo il tema caldo del momento: i vaccini. Ma cosa sono i vaccini? Il vaccino è un mezzo tramite il quale stimoliamo il nostro si- stema immunitario a creare le difese nei confronti dei vari agenti infettivi tramite la pro- duzione di anticorpi specifici, in pratica riproducendo quello che normalmente avviene in natura, ma senza che questi avviino nel nostro organismo alcun tipo di patologia e sintomo clinico. Ciò è possibile perché, contrariamente a quanto succede allo stato natu- rale, il vaccino contiene micror- ganismi il cui potere patogeno è stato annullato pur rimanendo essi vitali (parliamo di vaccini vivi attenuati) oppure può conte- nerne solo dei frammenti (vacci- ni spenti o inattivati) provocando una risposta immunitaria più blanda. Inoltre possono contene- re anche adiuvanti, sostanze di varia natura il cui ruolo è quello di migliorarne l’efficacia e l’im- munizzazione che da essi ne de- riva. La prima volta in cui è stato mes- so in discussione questo mezzo è stato nel 1998, anno in cui si è an- data alimentando l’ipotesi di cor- relazione tra vaccino e autismo. Questo è dovuto ad Andrew Wa- kefield, medico inglese, che nel 1998 pubblicò uno studio sul The Lancet, importante rivista scien- tifica, in cui associava il vaccino trivalente MPR (morbillo, paro- tite, rosolia) con disturbi dello spettro autistico e con patologie gastrointestinali. La testi fu giu- dicata debole, basandosi questa solo su 12 casi e per di più svoltasi facendo ricorso a pratiche clini- che irregolari e inammissibili. In seguito, sottoposto a indagini da parte del General Medical Council, emerse come Wakefield fosse sta- to pagato per alterare i suoi dati al fine di supportare una serie di cause giudiziarie intentate da un avvocato contro case farmaceuti- che produttrici di vaccini, accuse, queste, mosse contro di lui dai sui stessi collaboratori. In segui- VACCOSA SONO, QUALC E L’OPINIONE DELLA CO www.sipremsrl.it
  • 15. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE 13 to a queste rivelazioni The Lancet ripudiò lo studio e nel 2010, anno in cui furono provate le accuse, il tribunale inglese con un verdetto per “condotta non etica, disonesta e irresponsabile” condannò Wa- kefield che subito dopo fu radiato dal Medical Register. Nel corso del tempo numerosi organi istituzionali di caratura mondiale si sono espressi sull’ar- gomento, dal CDC america- no(Center for disease control and prevention), al Global Advisory Committee on Vaccine Safety, co- mitato istituito dall’OMS nel 1999 col ruolo di monitorare costante- mente e dare risposte riguardo la sicurezza delle vaccinazioni, fino al Ministero della Salute, riba- dendo all‘unanimità l’affidabilità dei vaccini. Nonostante questo verdetto non cessano le accuse all’inefficien- za, ai pericoli e all’inadeguatezza della pratica del vaccino diffuse tramite canali alternativi i quali trasmettono informazioni, espe- rienze di effetti collaterali subiti da bambini vaccinati e manife- stazioni di contrarietà che tro- vano contrasto nelle notizie suc- citate. Secondo i sostenitori del vaccino, potrebbe essere proprio diffuso allontanamento dal vac- cino a causare il dato riportato da Epicentro, il portale dell’epi- demiologia per la sanità pubblica secondo cui i casi registrati di morbillo al Maggio del 2017 sono saliti a 1920 contro gli 844 di tut- to il 2016. Tutti i dati sopra citati, per gli addetti ai lavori, spingono a pen- sare che uno dei rischi di allonta- narsi dal metodo vaccini sia quel- lo di far ritornare malattie quasi scomparse, con la possibilità che esse si ripresentino in maniera molto più aggressiva in una po- polazione immunologicamente impreparata sempre più grande. Sebbene siano molteplici le cau- se che tuttora portano la comu- nità di anti-vaccinisti ad opporsi all’obbligatorietà del vaccino, si è ritenuto opportuno, in questo ar- ticolo, non passarle in rassegna e diseguitoanalizzarleunaperuna, ma far luce su quello che gli studi e le ricerche scientifiche hanno riscontrato e riportano sulle pro- prie piatta- forme uffi- ciali. di Andrea Poligneri CCINICHE CENNO STORICO OMUNITA’ SCIENTIFICA
  • 16. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA Sociale 14 Sono passati ben trentanove anni da quella notte, tra l’8 e il 9 mag- gio; una triste e tragica storia compiuta in un piccolo paesino della Sicilia affacciato sul mare, il cui nome è Cinisi. Una “piccola” storia rispetto alla fortissima attenzione mediatica sulla capitale, perché il lunedì dello stesso anno viene ritrovato il corpo senza vita del presidente della Democrazia Cristiana (DC) Aldo Moro: dopo cinquantacin- que giorni di prigionia viene tro- vato in una Renault 4 rossa, in via Caetani. Quella stessa mattina, nel paesino siciliano, i carabinie- ri trovano un tratto di ferrovia completamente distrutta, con brandelli umani sparsi ovunque. A pochi metri di distanza viene trovata una FIAT 850, la cui pro- prietaria è Fara Bartolotta, zia di Giuseppe, meglio conosciuto come Peppino Impastato. Nato da una famiglia mafiosa, ancora ragazzo, Peppino ruppe con il padre e decise di iniziare un’attività politica culturale an- timafiosa. Nel 1965 fondò il gior- nalino L’Idea Socialista e con- dusse la lotta dei contadini, degli edili e dei disoccupati. Nel 1976 diede vita a Radio Aut, emittente libera, autofinanziata, con cui denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Ter- rasini. Nel 1978 si candidò alle elezioni comunali, nella lista di Democra- zia Proletaria. La stessa notte fu intercettato, malmenato e gli fu posta una ca- rica di tritolo sotto il suo capo. Il suo corpo, ormai privo di sensi, fu adagiato sui binari della ferrovia. Aveva trent’anni. Peppino, sangue pazzo, voleva risvegliare la coscienza con la satira, la militanza, la poesia. Un personaggio scomodo che è stato ucciso perché proprio la vo- glia di andare oltre e di ribellarsi al “sistema” era ed è ancora oggi più forte di ogni altra criminali- tà organizzata. “La mafia è una montagna di merda” gridava a squarciagola Peppino; dalla stes- sa radio, il giorno della sua morte, l’amico e compagno di lotte Salvo Vitale pronunciò il famoso di- scorso che ritroviamo anche nel film I cento passi. Peppino crede- va che qualcosa potesse cambia- re. Le commemorazioni che oggi avvengono ogni anno, da trenta- nove a questa parte, ne sono la te- stimonianza.  La lotta alla mafia non deve ar- restarsi e a trionfare deve essere solo la bellezza, proprio come di- ceva Peppino: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornireb- be di un’ar- ma contra la rassegna- zione, la paura e l’o- mertà”.Eroe. di Francesco Taratufolo MAI STANCHI DI CAMMINARE L’ETERNA STORIA DEI CENTO PASSI
  • 17. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Storia 15 di Giuseppe Manicone La mia professoressa di storia del liceo utilizzava una scala di giudizio che, oltre a presenta- re i classici numeri, li accom- pagnava con delle frasi in rima col numero corrispondente. Il voto più alto, l’ambito dieci, era accompagnato da questa frase: di’ a tutti che siamo greci. Oggi, dopo un esame di storia greca, ho capito cosa voleva dire. A partire dall’ultima metà del XIX secolo fino ad oggi, in particolare nella nostra Sicilia, i negozianti usano far vagnari u pizzu ai ma- fiosi. Questa espressione deriva dal dialetto siciliano e significa let- teralmente far bagnare il bec- co, cioè offrire un bicchiere di vino a chi ti ha fatto un favo- re in segno di ringraziamento. Moltissimi anni prima, in Gre- cia, nel V secolo a.C. gli emissari del re persiano Dario I e succes- sivamente del figlio Serse, rag- giungevano le principali città el- leniche con la richiesta di terra e acqua in segno di sottomissione; in cambio, i territori sottomessi, avrebbero ottenuto protezione e soprattutto gli sarebbe stata ri- sparmiata la vita. Buona parte dei greci cedette ma le poleis più importanti rispose- ro uccidendo gli emissari del re. Per i greci che ‘’ pensavano il meglio per la Grecia,’’ la liber- tà era la cosa più importante e avrebbero combattuto con chiunque pur di non perderla. Ma cosa può spingere un uomo a combattere contro qualcosa di nettamente più grande di sé? Cosa spinse trecento spartani a combattere contro migliaia di persiani? Cosa spinge un indifeso nego- ziante a mettersi contro cri- minali con un’organizzazio- ne potentissima alle spalle? I greci amavano la loro terra e le persone che la abitavano, allo stesso modo tutti noi amiamo le nostre famiglie, la nostra terra e soprattutto la nostra libertà. Credo che il motore di questa forza debba essere alimenta- to soprattutto dalla paura, che, per Falcone, era una fondamen- tale compagna del coraggio. Auguriamoci di avere tanta paura, paura di perdere quel- lo che amiamo, la nostra fa- miglia, i nostri amici, la no- stra terra, la nostra libertà. Paura e coraggio non sono uno l’opposto dell’altro, il co- raggio è figlio della paura. Se Leonida non avesse mai avu- to paura di perdere la sua li- bertà, non avrebbe mai avu- to il coraggio di combattere contro migliaia di uomini. Se Falcone e Borsellino non aves- sero avuto paura di perdere tut- to ciò che amavano, non avreb- bero mai combattuto la mafia. Proviamo, proprio con l’aiuto del- la paura, a dire a tutti che siamo greci. Non a caso la Sicilia, la terra in cui il fenomeno del pizzo è più svi- luppato, era chiamata dai greci Megálē Hellàs, cioè Magna Grecia. Se qualcuno viene a dirvi che chi si fa i fatti suoi campa cent’anni, rispondetegli con le parole degli Spartiati, che, al persiano che consigliava loro di sottomettersi al re, risposero, ‘’tu conosci bene l’essere schiavo, ma non hai mai fatto esperienza della libertà, se sia dolce o no. Se l’avessi provata, non con le lance, ma persino con le scure ci consiglieresti di com- battere per essa.’’ PAURA E CORAGGIO COME I GRECI SCONFIGGONO LA MAFIA
  • 18. 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PA16 Così come William Shakespeare inizia nell’Amleto, una delle sue opere più importanti, chiedendosi “To be, or not to be, that is the question’’, anche a noi oggi, in quei pochi momenti di tranquillità della no- stra frenetica vita, passata tra lavoro, scuola e casa, ci capita di chiederci: siamo realmente felici di ciò che siamo? Stiamo realmente vivendo noi o un no- stro avatar sta vivendo al posto nostro? Può sembrare strano ma una delle cause principali del non essere se stessi e di conseguenza dell’essere infelici è la paura, poiché non può convivere con la felicità e ama rubare i nostri sogni notturni. Pur- troppo oggi la maggior parte delle persone convive con la paura, poiché non gli è permesso di essere come realmente è in quanto ci sono sempre delle persone ,che non si sa perché, hanno sempre qual- cosa da ridire riguardo i nostri interessi musicali, il nostro orientamento politico, il nostro tifo sportivo, la nostra visione verso gli extracomunitari, il se- guire eventuali mode, la nostra religione e i nostri sentimenti, in particolar modo l’Amore, sentimen- to per cui l’uomo esiste in quanto è fatto per amare il prossimo, indipendentemente dal fatto che possa essere una donna o un uomo. Oggi noi dovremmo trovare quel coraggio che ave- vano i cristiani durante l’epoca romana, in cui no- nostante sapessero di essere perseguitati e di an- dare incontro alla morte ribadivano senza timore e senza pensarci due volte il loro essere: Sì! Noi siamo cristiani. Elbert Hubbard diceva “Il più grande sbaglio nella vita è quello di avere sempre paura di sbagliare’’, adesso non me ne voglia Elbert Hubbard, ma la sua affermazione la modificherei così: Il più grande sbaglio nella vita è quello di avere paura di essere se stessi. di Tommaso Di Fonzo RITORNIAMO ALLA PAURA DI SBAGLIARE
  • 19. AGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE • 16 PAGINE Periodico di cultura, informazione e attualità, supplemento de La Nuova Murgia. Anno II, n. 7, Giugno 2017, Registrato presso il tribunale di Bari il 09/11/2000 n 1493 Edito dall’Associazione Culturale La Nuova Murgia Piazza Zanardelli 22 70022 Altamura (BA) Tel. 3293394234 e-mail: sedicipaginemagazine@gmail.com Co-direttori: Antonio Molinari & Domenico Stea Caporedattore: Marco Lorusso Caporedattore Matera: Mario Paolicelli Presidente de La Nuova Murgia: Michele Cannito Direttore Responsabile: Giovanni Brunelli Pubblicità: Domenico Marino Stea 344 1139614 Redazione Numero 7: Domenico Cornacchia Marco Nuzzi Giuseppe Manicone Andrea Poligneri Gianmarco Schiuma Francesco Taratufolo Tommaso Di fonzo Francesco Petronella Michele Pellegrino Giuseppe Cornacchia Daniela Sforza Co-direttori Matera: Antonio Loponte 331 4099293 Francesci Coretti 327 3125505 Foto Copertina : Vittoria Elena Simone Progetto grafico, impaginazione e fotografo: Francesco Viscanti 392 8759874 Stampa: Grafica & Stampa Questo numero è stato chiuso il 18/06/2017 alle ore 21:00