2. LA SUA VITA
• Francesco Petrarca nasce ad Arezzo il 20 Luglio
1304, seguendo suo padre per motivi lavorativi si
ritrova a vivere ad Avignone dove entrerà a contatto
con personaggi molto importanti dell’epoca.
• Petrarca inizia fin da giovane a rinnovare la letteratura
che è da lui considerata insoddisfacente.
• Il poeta incontra Laura il 6 aprile 1327 e se ne
innamora immediatamente, la donna diventerà inoltre
l’oggetto della maggior parte delle poesie del
Canzoniere.
• Grazie a tutto ciò che aveva precedentemente scritto,
nel 1341 gli viene conferita la laurea come poeta e
verrà incoronato a Roma.
• La morte di Laura nel 1348 per via della peste lo turba
a tal punto da influire sul cambiamento dei temi dei
suoi componimenti attribuendogli significati più
profondi.Diventerà molto amico di Boccaccio con cui
rifletterà sul rapporto fra lingua italiana e latino
• Morirà ad Arquà il 19 Luglio 1374, entrerà a far parte
delle 3 corone della letteratura italiana insieme a
Dante e Boccaccio.
Arezzo
Avignone
3. • Nel 1345 Petrarca scopre un manoscritto
comprendente gran parte delle epistole di Cicerone,
e decide di creare un proprio epistolario.
• In questo ci saranno ispirazioni a Seneca e a
Cicerone, quest’ultimo sarà l’autore antico più citato
nelle lettere familiares petrarchesche.
• Petrarca scrive due lettere fittizzie indirizzate a
Cicerone, una delle quali è reprehensoria, mentre
l’altra riafferma il valore dell’intellettuale.
• Epistole antiquis illustrioribus sono per i poeti classici.
RAPPORTO CON I POETI CLASSICI
• Nuova chiave della letteratura antica: parità e
amicizia con i classici.
• Perfetta conoscenza della cultura classica e latina.
• Riscoperta consapevole e personale degli antichi
soprattuto sul piano itntellettuale e umano.
• Nell’ambito religioso compassione cristiana per
l’autore latino escluso dalla fede e dalla salvezza.
• Rapporto profondo e diretto fra discepolo italiano e
maestro latino.
Lucio Anneo
Seneca
Marco Tullio
Cicerone
4. LE EPISTOLE: STRUTTURA
Raccolta di lettere in latino, sono veri e
propri componimenti letterari basati su
due principi dell’estetica classica:
• Selezione dei contenuti,
escludendo particolari troppo
realistici;
• Idealizzazione, trasfigurando gli
elementi, dando loro dignità e
mobilità.
Nelle epistole Petrarca vuole tramandare un ritratto ideale di se stesso, nonostante
sveli il proprio lato più privato in quelle indirizzate ai suoi amici. Tutto l’epistolario
può essere suddiviso in cinque raccolte, ciascuna delle quali affronta un argomento
differente, si tratta delle epistole: Familiare, Seniles (fra le quali è compresa un
epistola Posteritati), Epistolae Matricae, Variae e Sine Nomine.
5. FAMILIARES
• Le Familiares sono un raccolta di 350
epistole divise in 24 libri, scritte tra il
1325 e il 1361.
• Queste trattano temi come : la poesia,
l’amicizia, il mondo e letteratura
classica, oltre all’analisi di se stesso e
delle persone a lui più vicine.
• Fa riferimento a diverse polemiche sulla
vita corrotta degli ecclesiastici.
• L’ultimo libro è composto da tredici
lettere che sono indirizzate ai grandi
poeti classici, quali: Cicerone,
Quintiliano, Tito Livio, Virgilio, Omero e
Socrate.
• Le opere sono definite “opere costruite
attentamente a tavolino”. Petrarca usa
uno stile molto formale e colloquiale, la
sintassi è modellata sugli scritti dei
classici e vengono usate molte citazioni.
La lettera più diffusa nel Familiares
è la 12 del libro 2 in cui espone il
codice del perfetto principe
secondo i principi medievali,
successivamente contestati da
Machiavelli.
6. Introduzione
L’Ascesa al monte Ventoso è una lettera in latino che Petrarca indirizza all’amico Dionigi di Borgo San Sepolcro, In
questa lettera – raccolta nelle Familiares IV, 1 - racconta la scalata del mont Ventoux - monte della Provenza -
realizzata insieme al fratello Gherardo nel 1336.
Commento
1. ... finalmente, con un servo ciascuno, abbiamo cominciato la salita, e molto a stento. La mole del monte, infatti, tutta
sassi, è assai scoscesa e quasi inaccessibile, ma ben disse il poeta che “l’ostinata fatica vince ogni cosa”.
1. All’inizio, Petrarca confessa all’amico Dionigi di aver iniziato la scalata del monte Ventoso sia per soddisfare una
curiosità personale sia su consiglio di un precedente letterario. La scalata diventa in realtà un’allegoria della crisi
spirituale del poeta, e quindi il raggiungimento della cima diventerà simbolo della salvezza eterna. La descrizione
geografica si unisce a quella psicologica, per rendere più chiara la comprensione del senso allegorico.
2. In una valletta del monte incontrammo un vecchio pastore che tentò in mille modi di dissuaderli dal salire, raccontandoci
che anche lui, cinquant’anni prima, preso dal nostro stesso entusiasmo giovanile, era salito fino sulla vetta, ma che non ne
aveva riportato che delusione e fatica […]
2. Petrarca, che inizia la salita in compagnia del fratello Gherardo, parte nonostante gli avvertimenti di un anziano
pastore sulla difficoltà del cammino. Gherardo sale rapidamente per la via più erta e veloce mentre Petrarca ha più
difficoltà.
3. …mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello, per una scorciatoia lungo il crinale del
monte, saliva sempre più in alto. Io, più fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più diritto,
rispondevo che speravo di trovare un sentiero più agevole dall’altra parte del monte e che non mi dispiaceva di fare una
strada più lunga, ma più piana.
3. Petrarca, per evitare la fatica, preferisce il sentiero più basso, cercando il sentiero più comodo e facile. L’allegoria
dietro questo passo è che Gherardo, che prende i voti monacali nel 1343, sale senza difficoltà perché è libero dalla
schiavitù dei beni materiali, mentre il poeta si sente ancora legato alla vita mondana.
L’ASCESA AL MONTE VENTOSO
7. • 4. …Gioivo dei miei progressi, piangevo sulle mie imperfezioni, commiseravo la comune instabilità delle
azioni umane; e già mi pareva d’aver dimenticato il luogo dove mi trovavo e perché vi ero venuto, quando,
lasciate queste riflessioni che altrove sarebbero state più opportune, mi volgo indietro, verso occidente,
per guardare ed ammirare ciò che ero venuto a vedere.
• 4. Nel poeta avviene un esame di coscienza riconoscendo le proprie mancanze; quando vede salire
agilmente il fratello, Petrarca ammette di essere debole e che la via più facile lo affatica inutilmente,
senza dargli reali vantaggi. Riflettendo su sé stesso, il poeta giunge alla vetta.
• 5. «e vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi,
l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano sé stessi»
• 5. La crisi spirituale viene risolta dopo aver raggiunto la cima, quando di fronte alla bellezza naturale
del paesaggio, Petrarca legge un frammento delle Confessioni di Sant’Agostino. Il frammento, sembra
adattarsi alla situazione in cui si trova Petrarca.
• 6. ...se non ho esitato a spendere tanta fatica e sudore per accostare solo di un poco il mio corpo al cielo,
quale croce, quale carcere, quale tormento potrebbero atterrire un’anima nel suo cammino verso Dio,
mentre calpesta le superbe vette della temerarietà e gli umani destini; e quest’altro: quanti non vengono
distratti da questo sentiero per timore dei patimenti o per amore dei piaceri?
• 6. La narrazione del viaggio sul monte Ventoso si conclude con la discesa a valle e con il capire del
poeta dell’importanza del cambiamento interiore e del grande impegno necessario per domare i
desideri suscitati dalle passioni terrene.
• 7. ...mi sono ritirato tutto solo in un angolo della casa per scriverti, in fretta e quasi improvvisandole,
queste pagine; non volevo infatti che, differendole, magari mutando con i luoghi i sentimenti, mi si
spegnesse il desiderio di scriverti.
• 7. Petrarca afferma di aver scritto la lettera nel 1336 velocemente, quasi improvvisando; in realtà è
stato chiaramente dimostrato che si tratta di un’affermazione retorica, per dare un’immagine ideale del
percorso di maturazione interiore del poeta. Realmente la lettera è stata scritta tra il 1352 e il 1353.
8. LETTERA XII, A PAPA URBANO V
Introduzione
In questa lettera, scritta a Padova il 1° di gennaio 1363, Petrarca scrive al papa Urbino V in modo da sottoporgli il
caso del Padre Tommaso da Frignano, Generale de' frati minori.
“Molti sono, Beatissimo Padre, gl'impedimenti che vedo pararsi innanzi
al mio proposto: la tua grandezza, la piccolezza mia, la difficoltà della
cosa di cui intendo parlarti. Ma il primo di questi ostacoli viene rimosso
dalla sperimentata bontà dell'animo tuo[…]Conosco dall'altra parte la
mia piccolezza, ma so d'essere schietto e fedele, per modo che quando
mi parve necessario il farlo non solamente a te, ma osai parlare ancora
contro di te; e tu fra gli uomini il più benigno non solamente lo tollerasti,
ma ti piacesti di darmene lode[…].E perché mal si conviene con troppo
lungo discorso distrarre l'animo tuo dalle sue sante occupazioni, entro
senz'altro in materia, e vengo a parlare di dolorosa istoria.
In questa prima parte Petrarca elogia il pontefice,
definendo complicata la richiesta essendo al cospetto
di un uomo di alta carica ed estrema bontà, dove
quest’ultima viene riconosciuta dal poeta in un
diverbio passato avuto proprio con il papa. Infatti si
legge che in questo confronto Urbano V, oltre ad aver
tollerato le parole scontrose, ha lodato il poeta. Infine
Petrarca si scusa per il disturbo e giustifica la
lettera in onore alla verità e giustizia.
Petrarca spiega al papa che Padre Tommaso da
Frignano è in pericolo: qualcuno di potente ma
sconosciuto non ha delle buone intenzioni.
E chi potrebbe soffrir di vedere il turpe spettacolo, che pur narrato ti
mette orrore, d'uomini illustri e preclari esposti al morso dell'invidia e ai
colpi della calunnia, e negata ogni riverenza alla virtù, e scatenato a
danno della gloria l'odio e il livore[…]. Taccio i remoti esempi di
Socrate, di Taramene, di Anassagora, di Cicerone, di Seneca, di
Rutilio, di Metello, ai quali sola la virtù fu cagione d'esilio e di morte.[…]
In questa parte vengono nominati chi, seguendo la
virtù, furono costretti a vivere lontani dalla propria città
oppure a perdere la propria vita. Udendo queste storie
tristi, che solo a sentirle ci si inorridisce, evidenziano
grande stima verso chi a vissuto sotto i soprusi dei
potenti solo per aver seguito fermamente i propri
valori
“Il padre Tommaso, lettore insigne in Sacra Scrittura, uomo chiarissimo, e
Generale dell'ordine de' frati minori[…]e dell'onor suo, per trama ordita da
non so quali ma per fermo non da buoni: perocché come i malvagi non
possono portare amore ai buoni, così non possono questi odiarli. Ahi! fatto
indegno, e vergognoso che solamente udito spiace e addolora, come da
lungi scagliata ti ferisce una saetta.”
9. “Che se colle infami loro mene riescano pure ad ingannare
qualcuno, te non ingannino, e invulnerabile ai loro attacchi resta
tu solo invitto atleta e difensore della giustizia. Altro non si
chiede da me, eda tutti coloro che amano il vero, e sorgono a
difesa dell'oltraggiato onore di un uomo sì fatto. […].Vedi a' tuoi
piedi prostrata supplichevole tutta l'Italia, odi la voce della
Chiesa universa, ascolta le preci dell'ordine venerabile
avvalorate da quelle del santo padre Francesco[…].Emmi
peraltro cagione di meraviglia e di dolore il sapere, se pur non
mentisce la fama, che un grande e potente signore[…]non
solamente francheggi di sua protezione gli accusatori[…] ma ei
li abbia spinti e consigliati a muovere questa guerra.[…]
“E spero che il medesimo per sentenza tua, o
giustissimo giudice e scrutatore de' cuori[…], ai
quali in pena del fatto loro insegnerai non col
diffamare altrui, ma coll'esercizio della propria virtù
doversi cercare la nominanza e la gloria.[…].Tu
però non vorrai permettere che al cospetto di
Cristo, e mentre in nome di Cristo tu reggi la Chiesa
possa chicchessia impunemente denigrare la fama
e lacerare l'onore degli uomini illustri.[…].”
“[…]Intimamente, o Padre Santo, io conosco il maestro
Tommaso di cui si tratta, e lo conosco per uomo eccellente,
integerrimo: chiaro per dottrina, più chiaro per virtù, e quel
che più monta per religiosa pietà[…]. Onde muovano le
accuse tu già lo sai. Cagione di dolore e di paure, non già
per lui, che securo in sua coscienza non teme di nulla, ma sì
per me e per altri molti è l'odio di quelli che lo accusarono:
ma di speranza e di conforto è cagione la bontà e la
sapienza di chi deve giudicarlo.[…].Te Cristo intanto salvo
ed incolume serbi alla Chiesa, e dopo lunghissimi anni di
vita gloriosamente impiegata in sante fatiche, con placido e
facile transito alla gloria ti adduca degli eterni riposi.”
Il poeta apre questa parte elogiando la grandezza del papa,
come invulnerabile da attacchi, ingannabile e difensore della
giustizia. Per questo Petrarca chiede al papa di aiutare il
francescano, essendo anche lui un portavoce di Cristo.
Petrarca confessa di aver saputo che lo sconosciuto
attentatore è protetto da un potente signore anche esso
senza nome, il quale oltre a proteggere questi criminali ha
mosso in loro questo spirito di guerra.
In questa parte Petrarca spera nella cattura del
malfattore e nel ritrovamento della gloria e
della giustizia da parte di questi ultimi. Afferma
anche che la giustizia vince sempre sulla
malvagità degli uomini offuscati dall’ira e che
per questo la Chiesa deve denigrare questi
uomini e farli desistere dal vergognoso atto.
Nella parte finale Petrarca parla di Tommaso come persona
eccellente, vera, pura e giusta. Dichiara di aver detto solo e
soltanto la verità, e ciò conforta la sua paura di subire ricatti per
aver giudicato un uomo che, per aver pensato di fare un torto
ad un uomo di Cristo, ha certamente una coscienza sporca. In
conclusione si affida a Dio e al papa nella salvezza della
Chiesa e augura la pace eterna al pontefice.
10. A BOCCACCIO (Familiares, XXI, 15)
• L’epistola è stata scritta nel 1359 in latino ed è dedicata
a Boccaccio che prima lo aveva rimproverato
dicendogli che avrebbe dovuto riconoscere a Dante la
grandiosità della Commedia.
• Petrarca parla di sé ed esprime un suo giudizio su
Dante.
11. ANALISI DELL’EPISTOLA
• Petrarca fa riferimento alla stessa condanna all’esilio che subirono suo nonno suo padre e
Dante per questo motivo lo ammira:
«Visse col mio nonno e con mio padre, più giovane del primo, più vecchio del secondo, col quale nel medesimo giorno e da una
stessa tempesta civile fu cacciato dalla patria. Spesso tra compagni di sventura nascono grandi amicizie; e questo accadde anche tra
loro, che oltre alla fortuna avevano in comune l’ingegno e gli studi, se non che all’esilio, al quale mio padre ad altre cure rivolto e
pensoso della famiglia si rassegnò, egli si oppose ed agli studi con maggiore ardore si consacrò, di tutto incurante e sol di gloria
desideroso. E in questo non saprei abbastanza ammirarlo e lodarlo[…]»
• Petrarca non ha studiato gli scritti di Dante perché voleva crearsi uno stile proprio, senza
subire l’influenza di alcun grande maestro.
«L’altra calunniosa accusa che mi si fa è che io, che fin da quella prima età in cui avidamente si coltivano gli studi, mi compiacqui
tanto di far raccolta di libri, non abbia mai ricercato il libro di costui…Confesso che è così… temevo che, se mi fossi dedicato alla
lettura degli scritti suoi o di qualcun altro, non mi accadesse, in un’età così pieghevole e proclive all’ammirazione, di diventare
volente o nolente un imitatore[…]»
• La poesia di Dante, scritta in volgare, viene recitata soprattutto da persone ignoranti
che la deturpano. Questo è un rischio che Petrarca non vuol correre per i suoi versi:
«Per quel che mi riguarda, io l’ammiro e l’amo, non lo disprezzo e credo di potere sicuramente affermare che se egli
fosse vissuto fino a questo tempo, pochi avrebbe avuto più amici di me… e al contrario, che a nessuno sarebbe stato più
in odio che a questi sciocchi lodatori,[…] e facendogli la più grave ingiuria che si possa fare ai poeti, sciupano e
guastano, recitandoli, i suoi versi. Ma non posso fare altro di lamentarmi e disgustarmi che il bel volto della sua poesia
venga imbrattato e sputacchiato dalle loro bocche; e qui colgo l’occasione per dire che fu questa non ultima cagione ch’io
abbandonassi la poesia volgare a cui da giovane m’ero dedicato[…]»
• Petrarca apprezza lo stile di Dante e ritiene che scriva meglio in volgare piuttosto
che in latino:
«Tu mi crederai se ti giuro che mi piace l’ingegno e lo stile di quel poeta, e che di lui io non parlo mai se non
con gran lode. Questo solo ho risposto a chi con più insistenza me ne domandava, che egli fu un po’
disuguale, perché è più eccellente negli scritti in volgare che non in quelli in poesia e in prosa latina; e
questo neppur tu negherai, né vi sarà alcun critico di buon senso che non veda che ciò gli torna a lode e
gloria.[…]»
12. SENILES
• Le Seniles sono state scritte tra il 1361 e il 1374, e sono 128 epistole divise in 18
libri, nei quali medita sulla brevità della vita, sulla fugacità del tempo e sulla vanità
delle cose terrene.
• Queste lettere le scriverà fino all’ultimo periodo della sua vita.
• Petrarca mostra un’introspezione interiore e avrà dei dialoghi malinconici con i
propri amici.
• Petrarca inoltre espone la teoria in cui la saggezza protegge il poeta da una realtà
disorganica, dove verità, pace e felicità sono conquiste irremovibili.
• In questa raccolta viene compresa anche la lettera “Posteritari”, la quale
rappresenta un’autobiografia del poeta ritoccata fino agli ultimi anni di vita.
• Queste lettere sono dedicate anche a Francesco Nelli, amico e priore della chiesa
dei Santi Apostoli.
13. AI POSTERI
Petrarca iniziò, molto probabilmente, a comporre la lettera “Ad posteros” o “posteritati” nel 1367, apportando delle modifiche tra il 1370-1371.
A causa della morte del poeta nel luglio del 1374, la lettera rimase allo stadio di abbozzo, e si ferma nella sua narrazione agli eventi del 1351.
Petrarca indirizza questa lettera a coloro che, dopo la sua morte, vorranno sapere “che uomo io fui o quale fu la ventura delle opere mie:
innanzitutto quelle la cui fama sia pervenuta fino a te o anche quelle che avrai sentito appena nominare”
ANALISI DEL TESTO
Nella lettera Petrarca si presuppone l’obiettivo di presentare una sua immagine idealizzata ai posteri.
• “Ti verrà forse all’orecchio qualcosa di me; sebbene sia dubbio che il mio povero, oscuro nome possa arrivare lontano nello spazio e nel tempo”
Petrarca esordisce rivolgendosi direttamente ad un immaginario interlocutore futuro, vestendo di una falsa modestia la sua opera, scritta col
pretenzioso presupposto di essere degna di lettura.
• “L’adolescenza mi illuse, la gioventù mi traviò, ma la vecchiaia mi ha corretto, e con l’esperienza mi ha messo bene in testa che era vero quel
che avevo letto tanto tempo prima: che i godimenti dell’adolescenza sono vanità; anzi me lo insegnò *Colui che ha creato tutti i secoli e tutti i
millenni […]”
Petrarca ripercorre e analizza brevemente la sua gioventù, ricavandone un quadro prevalentemente negativo. Il suo pensiero giovanile corrotto viene
successivamente illuminato dalle morali cristiane, rappresentate da *Dio stesso.
• “Ho sempre avuto un grande disprezzo del denaro; non perché non mi piacesse essere ricco, ma perché detestavo le preoccupazioni e le
seccature che sono compagne inseparabili dell’essere ricchi. […] Nulla mi ha tanto infastidito quanto il lusso; non soltanto perché è peccaminoso
e contrario all’umiltà, ma perché è complicato e non lascia in pace ”
Il poeta esprime un totale disprezzo verso i beni materiali, principalmente rappresentati dal denaro e da ciò che il suo possesso comporta. Si presenta
come addirittura insofferente alla prospettiva di dover trattare con essi. Fa riferimento a valori cristiani quali l’umiltà e il concetto di peccato.
• “Non ebbi la possibilità di lauti banchetti, e perciò non ebbi da fissarci il pensiero: ma io, mangiando poco e semplicemente passai la vita più
contento che con le loro raffinatissime tavole tutti i successori di Apicio. I banchetti – li chiamano così, ma sono gozzoviglie, nemiche della
moderazione e del vivere costumato – non mi sono mai piaciuti, ed ho giudicato una fatica inutile invitarvi gli altri e dagli altri esservi invitato. Ma
pranzare con gli amici mi è sempre piaciuto, tanto che nulla mi è stato più gradito che averli come commensali, e mai di mia volontà ho mangiato
senza compagnia”
Petrarca evidenzia come, nonostante il suo rifiuto del lusso e dell’imbarbarimento a cui questo conduce, sia stato capace di godere della pacata
compagnia di suoi pari. Il distaccamento dalle usanze popolari non è impedimento alla socialità e ai benefici che si possono trarre da questa.
14. AI POSTERI
• “Mi travagliò, quando ero molto giovane, un amore fortissimo; ma fu il solo, e fu puro; e più a lungo ne sarei stato travagliato se la morte,
crudele ma provvidenziale, non avesse spento definitivamente quella fiamma quand’ormai era languente”
Petrarca parla del suo amore per Laura, nato durante la sua giovinezza. Lo definisce “solo” e “puro”, in quanto rispettivamente è l’unico che gli
ha provocato tali profondi turbamenti (tema tipico della sua poetica), ed è puramente idealistico e non carnale. Arriva a riferirsi alla prematura
morte della donna come “provvidenziale”, in quanto la sua scomparsa ha permesso al poeta di appacificare l’animo e di abbandonare ogni
pensiero impuro e irrispettoso verso i dogmi della vita religiosa che aspirava ad abbracciare completamente.
• “La superbia l’ho riscontrata negli altri, ma non in me stesso; e sebbene sia stato un piccolo uomo, sempre mi sono giudicato ancor più
trascurabile. La mia ira danneggiò assai di frequente me stesso, mai gli altri. Mi vanto francamente – perché so di dire la verità – d’aver un
animo molto suscettibile, ma facilissimo a dimenticare le offese, ed al contrario saldissimo nei ricordi dei benefici ricevuti”
La modestia referenziale continua ad essere un fondamentale elemento costitutivo del testo. Petrarca crea un’immagine di se quasi perfetta,
liberandosi e giustificando ogni difetto appartenuto alla sua, pur sempre, vita umana.
• “I più grandi re del mio tempo mi vollero bene e mi onorarono – il perché non lo so; è cosa che riguarda loro – e con certuni ebbi rapporti
tali che in certo qual modo erano loro a stare con me; e dalla loro grandezza non ebbi noie, ma molti vantaggi”
Il poeta afferma di aver intrattenuto rapporti paritari con i nobili suoi contemporanei, liberandosi dalle accuse di servilità che gli erano state rivolte.
Scrive di ritenersi quasi indegno delle attenzioni a lui rivolte da personaggi di tale spicco, non trovando in se un valore necessario per essere
ritenuto così importante. Petrarca dichiara di aver usufruito dalla loro ospitalità e rilievo sociale a beneficio della propria cultura e produzione
letteraria.
• “Per mio conto, purché abbia vissuto rettamente, poco mi curo di come abbia parlato: gloria vana è cercare la fama unicamente nel
luccicare delle parole”
Petrarca, dopo aver affrontato un dubbio sull’utilizzo del linguaggio, afferma che non ritiene fondamentale il successo derivato dalle sue capacità
di scrittura, nonostante ciò possa sembrare contradittorio in riguardo alla sua ispirazione di poeta. Ovviamente, date le circostanze,
l’affermazione assume lo stesso valore delle altre perpetuate durante tutto il testo : un’idealizzata versione della persona del Petrarca.
15. LETTERA VI
A PADRE LUDOVICO MARSILI
Questa lettera è la
settima del XV libro delle
epistole Seniles rivolta a
Ludovico (o Luigi) Marsili
scienziato, militare,
geologo e botanico
italiano.
16. [Arquà , 7 gennaio 1373]
“Dei tanti meriti miei verso di te, che dici di rammentare, io non conosco che un solo, ed è quello di averti amato fin da
quando eri fanciullo, perché di te fin d’allora io presagiva assai bene, e di aver poscia di giorno in giorno accresciuto
l’amor che ti porto, sperando di vederti presto divenuto tal uomo quale ti bramo. Ecco di buon grado ti dono il libretto che
tu mi chiedi: e più di buon grado te lo darei se fosse ancora qual era quando a me fu donato da quell’egregio modello di
ogni virtù, lettore insigne di sacre lettere, splendore dell’ordine tuo, e padre mio indulgentissimo che fu Dionisio.”
• In questa parte del brano Petrarca elogia il filosofo, presentatogli da giovane da un suo parente, dicendo di aver
riconosciuto da subito il suo ingegno e talento. Gli riferisce anche che gli dona con entusiasmo il libretto delle
confessioni di Sant’Agostino, ricevuto da Dionisio.
“Ma per naturale mia vaghezza e per vivacità giovanile uso allora a far continui viaggi, io questo libro dilettevole per la
materia, caro per l’autore, comodissimo al trasporto per il suo volume da tasca, meco recai sempre in giro per tutta Italia e
Lamagna, talché pareva inseparabile da me, e come attaccato alle mie mani. Senza parlare delle molte volte in cui meco
cadde a terra o in acqua, ti dirò che a Nizza presso il Varo andammo insieme a fondo nel mare, ed eravamo entrambi
spacciati, se Cristo non veniva in nostro soccorso. E così venendo sempre in volta con me, invecchiò anch’esso come io
invecchiai, e fatto vecchio divenne malagevole a leggersi da un vecchio quale io mi sono.”
• Il poeta spiega a padre Ludovico che il volume a lui donato l’ha portato con se in tutti i continui viaggi per l’Italia data
la comodità di trasporto in tasca, tanto che pareva attaccato alle sue mani. Spiega che il libro è invecchiato come
lui ed è diventato difficile leggerlo per un anziano come lui. Gli racconta anche di un viaggio in barca a Nizza dove il
poeta ha rischiato di andare a fondo insieme al libro.
“Sta bene dunque che a me venuto dalle stanze di Agostino ad esse torni con te, che lo farai pure, se mal non penso,
compagno ne’ tuoi viaggi. Abbilo per tuo, e così com’è, fa’ di gradirlo: e comincia una volta a riguardar come tuo tutto
quello ch’è mio, lasciando i preamboli e gl’inutili convenevoli, e non chiedendo, ma prendendo alla libera quanto li piace.
Intanto vivi felice, e raccomandami a Cristo ogni volta ch’egli ti ammette al suo divino banchetto.”
Di Arquà, al dì 7 gennaio.
• Petrarca, nell’ultimo paragrafo spiega che l’ha donato a lui perché come il libro è venuto al poeta dalle stanze di
sant’Agostino, così, tramite Ludovico ci debba tornare. Aggiunge che anche per lui il volume sarà il suo compagno
di viaggi e che tutto quello che è di Petrarca è di Ludovico e di accettare senza domandare. Gli augura una
buona vita in Paradiso e gli chiede di raccomandarlo a Cristo. Infatti Ludovico, o Luigi Marsili, illustre uomo
aristocratico bolognese è morto nel 1370. Petrarca, che lo conobbe da giovane e riconobbe subito la sua
grandezza, volle elogiarlo e pregarlo con questa lettera.
17. LETTERA III, AD UN AMICO
Appartiene alla raccolta
dell’epistolae Familiares.
Petrarca scrive questa
lettera ad un amico così
che non presti fede alle
pretese divinatorie,
esortandolo di non
credere alle
risposte degli aruspici e
degli indovini.
18. ANALISI DELL’EPISTOLA
"Mettiamo da parte, ti prego, se è possibile, i tristi ricordi del passato e l'ansiosa sollecitudine
del futuro; ci tormentano per nulla e quasi con doppia spada ci tolgono d'ogni patte il riposo
della vita. Perché affannarsi, perché affliggersi? ciò che è passato non si può mutare, né ciò
che verrà si può prevedere."
• In questo pezzo Petrarca chiede al suo amico di dimenticarsi di tutti i tristi ricordi del
passato perchè non ha senso affliggersi per qualcosa che non si può mutare e per
qualcosa che non si può prevedere.
"Poiché, o costoro che pretendono di svelarci il futuro ci predicono sventure immaginarie, e
allora inutilmente ci riempiono di terrore; o ci predicono il vero, e allora ci rendono infelici
prima del tempo."
• Petrarca dice che questi da lui definiti "ciarlatani", in qualunque caso se ciò che
prevedono è falso o vero, ci fanno star male prima del tempo.
"Tu, dunque, evita questa razza d'uomini temerari e audaci e nemici della vita tranquilla, se
vuoi, per quanto è possibile, passare questa breve vita senza affanni vani e fallaci."
• Nell'ultima parte della lettera, Petrarca dice al suo amico di evitare questa razza, così da
passare una vita senza farsi problemi inutili.
19. EPISTOLAE MATRICAE
• Composte tra il 1331 e il 1361, si
tratta di una raccolta di 66 lettere in
latino e in esametri.
• Per la loro stesura si è ispirato alle
Epistole di Orazio cercando anche di
imitarne la chiarezza del linguaggio e
la semplicità spontanea.
• Una delle più celebri è quella che
racconta il viaggio in Italia di Petrarca.
• Un’altra è indirizzata al cardinale
Giovanni Colonna, al quale descrive
la sua vita nella Vaucluse.
• Un’altra ancora parla della cerimonia
della propria incoronazione, quale
poeta, a Roma.
20. EPISTOLAE SINE NOMINE
• Si tratta di una raccolta di diciannove lettere ultimate sul finire degli
anni cinquanta del trecento.
• Sono lettere nate da una suddivisione delle familiares.
• Per la maggior parte sono state composte durante il soggiorno di
Petrarca ad Avignone.
• Esse contengono giudizi critici sulla curia papale e, per motivi di
riservatezza, decise di occultare i nomi dei destinatari.
• Non sono noti i canali della loro diffusione, che dovette comunque
restare limitata a pochi intimi di Petrarca.
• Variae o extravagantes (Varie): un libro di 65 lettere raccolte
dagli ammiratori del poeta dopo la sua morte.