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"A che tante facelle?"
Poeti e narratori italiani
      ‘intendono’
        la natura


                         Marta
                       Pettenella
“Nella natura poesia e
filosofia si incontrano, anzi
non si sono mai separate.
Ecco dunque che quella del
vero e’ una ricerca non
antitetica a quella del bello,
vale a dire quella del vero
poetico, sicche’ potranno
sempre colludere e fondersi.”

Mario Luzi
Una premessa
      (ancor prima di saper scrivere)
Il rapporto che l’uomo instaura con la realta’ che lo
    circonda, naturale e non, proprio perche’ ‘umano’, non
    puo’ mai evitare la domanda di un significato.
Sin dalle sue origini l’uomo ha sentito anche l’esigenza di
    esprimere poeticamente, cioe’ creativamente,
    gratuitamente, questo suo rapporto con la natura, e di
    comunicare, quando l’avesse percepito, il significato
    intravisto nel segno.
Gia’ nel paleolitico superiore, 30-40.000 anni fa, l'uomo ha
    incominciato a tracciare graffiti alcuni dei quali
    rappresentavano elementi naturali. Poi per esprimersi ha
    utilizzato dei simboli piu’ astratti…
da quelli ha in seguito elaborato le lettere.
Simboli solari
       A Zurla, in Valcamonica, esiste
          uno dei più importanti
          complessi di arte preistorica
          del mondo, sia per quantità
          che per eterogeneità delle
          rappresentazioni grafiche.




       Le prime incisioni risalgono a
          più di 6000 anni prima di
          Cristo…
La Rosa camuna

       E’ una delle più famose incisioni
           rupestri della Val Camonica,
           risalente ad una civiltà, quella dei
           Camuni, che visse nella valle
           durante l’eta’ del Ferro, cioe’ tra il
           1200 e il 1000 A.C.


       Questo simbolo, una croce anseata
         associata a nove coppelle, è stato
         ritrovato 92 volte tra le 300.000
         incisioni rupestri camune.
un simbolo misterioso:
                                           un’espressione poetica.
La Rosa Camuna è spesso associata
   a guerrieri che sembrano danzare
   attorno ad essa e a difenderla
   dall'aggressione di nemici armati,
   ma il suo significato è tuttora fonte
   di dibattito tra gli studiosi.

Perche’ l’uomo fin dai tempi piu’
   remoti della sua comparsa sulla
   terra ha sentito l’esigenza di
   fissare sulla pietra immagini della
   natura, come il sole, un fiore?

Cerchiamo di scoprirlo.
Fra gli studiosi c'è un diffuso accordo
 nel considerare i Sumeri e gli Egizi i
 primi popoli capaci di scrivere,
 questo avvenne a partire dal 3500-
 3300 aC….
Il Nilo

"Eccola, l'acqua di vita che si trova
  nel cielo. Eccola l'acqua di vita che
  e’ nella terra. Il cielo fiammeggia
  per te, la terra teme quando il dio
  nasce. Le due colline si fondono, il
  dio si manifesta, il dio si espande
  nel suo corpo".
“Tu sei il Nilo… dei e uomini vivono
  del tuo scorrere”

(Dai Testi delle piramidi)
Il Sole o Akhenaton

La terra si illumina quando sorgi

  Con il tuo disco scintillante di giorno.
  Davanti ai tuoi raggi l'oscurità viene messa in fuga
  il popolo delle Due Terre celebra il giorno,
  tu lo svegli e lo metti in piedi,
  loro si lavano e si vestono,
  Sollevano le braccia lodando il tuo apparire,
  poi su tutta la terra cominciano il loro lavoro.
La natura ‘provvidente’
Osiride e’ il dio della vita e della fertilita’.
   Osiride e’ il Nilo, pensato dall’uomo in
   relazione diretta con la piena che
   rende la terra fertile.

Quello al sole e’ un canto di amore ed
  entusiasmo, il più vibrante
  tramandatoci dalla letteratura
  dell’Antico Egitto, esso viene
  attribuito al faraone Akhenaton.

Cosi’ le fonti letterarie ci dicono che
  alcuni elementi naturali, come il fiume
  Nilo, o il sole, sono considerati
  sorgenti di vita tanto importanti da
  essere associati alla sacralità (Julien
  Ries), e verso di loro l’uomo esprime
  poeticamente tutta la sua gratitudine.
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa e’ l'uomo perche’ te ne ricordi e il figlio dell'uomo perche’ te ne dia pensiero?
Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna;
gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare.
O Signore, nostro Dio, quanto e’ grande il tuo nome su tutta la terra.
(dal Salmo 8)

In questo salmo il re David, di fronte alla
magnificenza del mondo, e’ portato a percepire la
sproporzione dell’essere umano.
Lo spettacolo della bellezza naturale si fa qui spunto
per una riflessione profonda sul senso e la responsabilita’
dell’uomo verso la natura stessa.
Questo testo venne composto nel III secolo a.C. in Giudea.
Il mondo classico: i Greci
             La conchiglia
             Alceo 630 o il 620 a.C-570 a.C.

             Della pietra e del mare
             biancheggiante figlia, 
             dei ragazzi tu incanti i cuori,
             marina conchiglia.


             Ceci d'oro
             Saffo seconda metà del VII secolo a.C.

             Una terra cinta di fiori,
             di fiori di mille colori.
             Ceci d'oro su rive salmastre
             spuntavano.
La notte di Alcmane
seconda metà o fine del VII secolo a.C.

Dormono le cime dei monti
e i baratri,
i declivi e le forre,
e le creature che la terra alleva,
e le fiere alle pendici dei monti,
e gli sciami,
e i cetacei nei cupi fondali del
mare.
Dormono gli stormi degli uccelli,
dalle lunghe, ferme ali.

Vento di Saffo

Mi scrolla amore,
come il vento dalle cime
che piomba sui roveri.
Dunque anche tra i poeti dell’antica Grecia la natura genera
nell’uomo stupore e fascino. Possiamo dirlo con le parole
di uno di loro, il poeta Ibico, vissuto nella meta’ del VI
secolo A.C.:


  Meraviglia

    Immoto da
    tempo
    immemore,
    impietrito da
    cotanta
    meraviglia.
Oppure la natura si fa spunto per
una profonda riflessione sulla
condizione umana, diventa cioe’
simbolo, allegoria,
immagine che rimanda
oltre se stessa
(σύμβολον = metto insieme)
                                    Come foglie
come in Mimnermo, poeta della         Siamo come foglie, foglie di
seconda metà del VII secolo a.C :     primavera,
                                      spuntate veloci nei raggi del sole.
                                      Per brevi istanti godiamo fiori di
                                      giovinezza,
                                      non sapendo dalla vita di bene e
                                      male.
                                      Accanto stanno strette le tenebrose
                                      dee:
                                      l'una ha sorte di vecchiaia cupa,
                                      l'altra di morte.
                                      Fugace il giovanile frutto,
                                      quanto luce di sole terra irradia.
                                      Ma quando volge la stagione alla sua
                                      fine,
                                      allora l'essere vivi è peggio che
                                      morire...
Così è primavera,
per gli alberi, per le foglie dei boschi,
e a primavera, invocando la semina,
la terra si gonfia.
Allora il Cielo, padre onnipotente,
con piogge fertili
scende nel grembo della sposa felice,
e immenso
confuso al suo immenso corpo
ne nutre ogni frutto.
Arbusti solitari
risuonano del canto degli uccelli
e nei giorni a loro consueti
si accoppiano gli armenti;
la buona terra rinverdisce
e all'aria mite dello zefiro
si schiudono i campi;
ovunque si sparge un tenero umore
e i germogli si affidano sicuri al nuovo sole;
anche i pampini
non temono il sorgere degli austri
o le piogge spinte nel cielo da violenti aquiloni,
ma mettono le gemme
 Virgilio e....
e spiegano tutte le foglie. (Georgica, II)
... Lucrezio, entrambi i due grandi poeti latini
non sfuggono al fascino della natura vista come
madre dei viventi:



 […] Ché appena è dischiuso l'aspetto primaverile del
 giorno e, disserrato, si ravviva il soffio del fecondo zefiro,
 prima gli aerei uccelli te, o dea, e il tuo giungere
 annunziano, colpiti nei cuori dalla tua potenza.
 Poi fiere e animali domestici bàlzano per i pascoli in
 rigoglio e attraversano a nuoto i rapidi fiumi;
 così preso dal fascino
 ognuno ti segue ardentemente dove intendi condurlo.

 (dal De rerum natura, Inno a Venere)
In Virgilio la visione della
   rinascita della natura
   primaverile e’ tutta pervasa
   da un sentimento di
   certezza e di gioia.

In Lucrezio, che inizia il suo
   poema con un inno a
   Venere, l’attrattiva
   (voluptas) e’ la forza che
   permea tutto il mondo
   naturale ed il principio di
   ogni sua fecondita’.
NELLA LETTERATURA
     ITALIANA
   sin dal suo testo piu’ antico,
  composto tra il 1224 e il 1225
              d.C….
Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
  spetialmente messor lo frate Sole,
  lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
  Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
  de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
  in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
  et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
  per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.
  la quale è multo utile et humile et pretiosa et
  casta.
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
  per lo quale ennallumini la nocte:
  ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,
  la quale ne sustenta et governa,
  et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.

S.FRANCESCO d’ASSISI, dal Cantico delle creature
Dolce color d'oriental zaffiro,
   che s'accoglieva nel sereno aspetto
   del mezzo, puro infino al primo giro,        
a li occhi miei ricomincio’ diletto,
   tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
   che m'avea contristati li occhi e 'l petto .

DANTE, Purgatorio, I, 3-18
LA NATURA COME SEGNO DI DIO
Il Cantico delle creature viene composto da S.Francesco sul monte della
    Verna, in una stagione estrema della vita.

Nei versi del Purgatorio citati, Dante esprime l’esperienza di liberazione
   avvenuta in lui al momento di emergere dall’ambiente buio ed oppressivo
   dell’Inferno e finalmente rivedere le stelle.

In entrambi i casi, la visione della natura nella sua bellezza e’ associata
    all’espressione di stupore e gratitudine verso il Creatore, della cui
    magnificenza la natura e’ vista come segno evidente. Per i due poeti
    cristiani tuttavia cio’ avviene nel contesto di un’esperienza di dolore.

Non si tratta dunque di una percezione sentimentale, ma di un giudizio
  razionale.
Ma gia’in pieno 1300 si apre un nuovo ‘canale’


Era il giorno ch'al sol si
  scoloraro
  per la pietà del suo
  fattore i rai,
  quando i' fui preso, e
  non me ne guardai,
  ché i be' vostr'occhi,
  Donna, mi legaro.

(F. Petrarca, Canzoniere, III)
Chiare, fresche e dolci acque
  ove le belle membra
  pose colei che sola a me par donna;
  gentil ramo ove piacque
  (con sospir mi rimembra)
  a lei di fare al bel fianco colonna;
  erba e fior che la gonna
  leggiadra ricoverse
  co l'angelico seno;
  aere sacro sereno
  ove Amor co' begli occhi il cor m' aperse:
  date udienza insieme
  a le dolenti mie parole estreme.
(F. Petrarca, Canzoniere, CXXVI)

Con Francesco Petrarca la natura inizia ad essere
concepita come contesto, o come pretesto, cioe’ come
realtà con la quale l’uomo instaura rapporti emotivi,
perché in essa vive, soffre, gioisce, e nella quale cio’ che
interessa e’ altro...
Questo ‘doppio canale’ interpretativo restera’ vivo e variamente
   emergente nella successiva tradizione letteraria italiana




                                                  segno

contesto
Lo vediamo cosi’ comparire nei madrigali del Tasso, del 1591, dove la
            natura addirrittura piange la partenza dell’amata


Qual rugiada o qual pianto
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perche’ semino’ la bianca luna
di cristalline stelle un puro nembo
a l'erba fresca in grembo?
Perche’ ne l’aria bruna
s'udian, quasi dolendo, intorno
intorno
gir l'aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?
Oppure la natura si presenta come sistema ordinato di segni
matematici, nella bellissima metafora galileiana dell’universo come
un libro da interpretare. E’ gia’ il 1623…

La filosofia è scritta in questo grandissimo libro
che continuamente ci sta aperto innanzi a gli
occhi (io dico l‘universo), ma non si può
intendere se prima non s'impara a intender la
lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto.
Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri
son triangoli, cerchi, ed altre figure
geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a
intenderne umanamente parola; senza questi è
un aggirarsi vanamente per un oscuro
laberinto. (Galileo, Il Saggiatore)
La percezione della natura
come scenario delle emozioni
umane trovera’ ampia
espressione anche nella
successiva letteratura
barocca, in particolare nella
poesia di Giovan Battista
Marino e in quella dei suoi
epigoni.
Nella visione Romantica la
  natura e’ intesa non solo come
  proiezione dell’io, in essa si
  incarna anche la tipica
  concezione romantica del
  ‘sublime’: lo spettacolo
  grandioso della natura
  scatena nell’uomo stati emotivi
  quali lo stupore, lo
  smarrimento e persino il
  terrore.

La natura diventa allora il veicolo
   attraverso cui l’artista esplora
   e indaga il cosmo inteso
   come riflesso della
   divinità, o come
   proiezione dell’io.
VITTORIO
ALFIERI (1749-   SOLO FRA I MESTI MIEI PENSIERI

    1803)        Solo, fra i mesti miei pensieri, in riva
                 al mar la’ dove il tosco fiume ha foce,
                 con Fido il mio destrier pian pian men giva;
                 e muggian l'onde irate in suon feroce.
                 Quell'ermo lido, e il gran fragor mi empiva
                 il cuor (cui fiamma inestinguibil cuoce)
                 d'alta malinconia; […]



                 TACITO ORROR DI SOLITARIA SELVA
                 […] E quanto addentro piu’ il mio
                     pie’s'inselva,
                 tanto piu’ calma e gioia in me si crea; […]
                 Non ch'io gli uomini abborra, […]
                 ma non mi piacque il vil secol mai:
                 e dal pesante regal giogo oppresso,
                 sol nei deserti tacciono i miei guai.
PRE-ROMANTICISMO

In entrambi i testi di Alfieri il soggetto è la solitudine dolente del poeta,
    determinata, specie nel secondo, da un ‘furore eroico’ che lo spinge a
    fuggire il consorzio umano e a sottrarsi alla ‘tirannide’.

Il sentire del poeta si riflette nel paesaggio circostante, che diviene proiezione
    dell’interiorità psicologica e sentimentale dell’io poetante.

Tema e atteggiamento questi di ascendenza petrarchesca, tuttavia
  ‘rinnovati’ da una sensibilità preromantica: quella di una
  condizione contemplativa, di una immersione nella natura,
  caratterizzata da una forte tensione verso l’assoluto
13 maggio

Sommo Iddio! Quando tu miri una sera di primavera ti compiaci forse
della tua creazione? [...] Jer sera appunto dopo più di due ore d'estatica
contemplazione d'una bella sera di Maggio, io scendeva a passo a passo dal
monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non sentiva che il canto della
villanella, e non vedeva che i fuochi de' pastori. Scintillavano tutte le stelle, e
mentr'io salutava ad una ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un
non so che di celeste, ed il mio cuore s'innalzava come se aspirasse ad una
regione più sublime assai della terra. […]
Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema,
nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce — umana
sorte! Men infelice degli altri chi men la teme. […]

(UGO FOSCOLO, da Le ultime lettere di Jacopo Ortis)
ROMANTICISMO

Nella sensibilita’ romantica
del Foscolo (1778-1827)
rieccheggia dunque il tema
preromantico della
risonanza sentimentale
attribuita al paesaggio,
accanto ad una
concezione materialistica
della natura, desunta dal
De rerum natura
lucreziano.
La perfezione della sintesi
In alcuni momenti particolarmente felici
  della nostra storia letteraria, accade che le
  due percezioni della natura, come un
  segno del Mistero, del Destino, e come
  specchio dell’animo dei personaggi, si
  sintetizzino, allora abbiamo la grazia di
  poter leggere pagine come queste…
Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime
  inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella
  sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più
  familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come
  il suono delle voci domestiche; ville sparse e
  biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore
  pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto
  tra voi, se ne allontana! […]
Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba
  mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro
  una più certa e più grande.

ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi, cap. VIII (1827)
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
  e questa siepe, che da tanta parte
  dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
  Ma sedendo e mirando, interminati       5
  spazi di la’ da quella, e sovrumani
  silenzi, e profondissima quiete
  io nel pensier mi fingo; ove per poco
  il cor non si spaura. E come il vento
  odo stormir tra queste piante, io quello       10
  infinito silenzio a questa voce
  vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
  e le morte stagioni, e la presente
  e viva, e il suon di lei. Cosi’ tra questa
  immensita’ s'annega il pensier mio:       15
  e il naufragar m‘e’ dolce in questo mare.

(Giacomo Leopardi, L'infinito, 1826 )
Cara beltà che amore/lunge m'inspiri ….
         (G. Leopardi, Inno alla sua donna)




Placida notte, e verecondo raggio
   della cadente luna; e tu che spunti
   fra la tacita selva in su la rupe,
   nunzio del giorno; oh dilettose e care
   mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,       5
   sembianze agli occhi miei; […]
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
   sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta       20
   infinita beltà parte nessuna
   alla misera Saffo i numi e l'empia
   sorte non fenno.

(da Ultimo canto di Saffo, 1831-35)
In Leopardi la sublimita’ del sentire nasce
                       nell’ uomo che sperimenta la sua
                       sproporzione di fronte alla bellezza,
                       percio’ la realta’ suscita un’aspirazione
                       (desiderio, illusione, sogno).

                    Diciamolo con le parole di F. De Sanctis:

                    ”Leopardi produce l’effetto contrario a quello che
                       si propone. Non crede al progresso, e te lo fa
                       desiderare; non crede alla liberta’, e te la fa
                       amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la
                       virtu’, e te ne accende in petto un desiderio
                       inesausto. E non puoi lasciarlo che non ti
                       senta migliore […] mentre chiama larva ed
                       errore tutta la vita, non sai come, ti senti
                       stringere piu’ saldamante a tutto cio’ che
                       nella vita e’ nobile e grande.”




Cara belta’, perche’ cara?
                     cara
Dopo la mezzanotte il vento s'era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci
   fossero tutti i gatti del paese, e a scuotere le imposte. Il mare si udiva
   muggire attorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della
   fiera di S. Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell'anima di Giuda.
   Insomma una brutta domenica di settembre, di quel settembre traditore
   che vi lascia andare un colpo di mare fra capo e collo, come una
   schioppettata tra i fichidindia.
(Giovanni Verga, I Malavoglia, capitolo III, 1881) 
Il disperato modo di
            “resistere alle tempeste della vita”
              (Fantasticheria, Introduzione)


E’ ”l’ideale dell’ostrica”.
   In Verga dunque nella natura
   si rispecchia quel senso di
   un destino incombente sulle
   vicende umane, che e’ stato
   gia’ deciso non essere piu’
   ne’ misterioso ne’ tantomeno
   positivo.
In Pascoli la natura si fa
          simbolo ambivalente: inizia la modernita’

Dal selvaggio rosaio scheletrito
penzola un nido. Come, a
primavera,
ne prorompeva empiendo la
riviera
il cinguettio del garrulo convito!
(da Il nido, Mirycae, 1891-1903)


                                     Nascondi le cose lontane,
                                     nascondimi quello ch‘e’ morto!
                                     Ch'io veda soltanto la siepe
                                     dell'orto,[…]
                                     Nascondi le cose lontane:
                                     le cose son ebbre di pianto!
                                     (da Nebbia, Nuovi Poemetti, 1909)
“La natura e’ madre e non matrigna
perche’ sa ricavare il bene anche dal
                 male”
      (Introduzione ai Poemetti)
      (Introduzione ai Poemetti)

  La vita quotidiana e la campagna
     sono lo sfondo sul quale il Pascoli
     proietta il proprio mondo interiore,
     per cui la natura e’ investita di
     valore simbolico.
  Essa puo’ rappresentare il ‘nido’,
     ma puo’ anche rappresentare,
     nelle sue manifestazioni meno
     domestiche e familiari, la
     vertigine del mistero, dell’ignoto.
E immersi
   noi siam nello spirto         GABRIELE D’ANNUNZIO
   silvestre,                    il senso panico : una
   d'arborea vita viventi;       totale fusione tra l’uomo e
   e il tuo volto ebro           la natura
   è molle di pioggia
   come una foglia,
   e le tue chiome
                               […] Piove su le tue ciglia
   auliscono come                nere
   le chiare ginestre,           sì che par tu pianga
   o creatura terrestre          ma di piacere; non bianca
   che hai nome                  ma quasi fatta virente,
   Ermione. […]                  par da scorza tu esca.
                                 E tutta la vita è in noi
                                 fresca
   da La pioggia nel pineto,     aulente,
                                 il cuor nel petto è come
   Alcyone, 1802-12)             pesca
                                 intatta,
                                 tra le pàlpebre gli occhi
                                 son come polle tra l'erbe,
                                 i denti negli alvèoli
                                 con come mandorle
                                 acerbe. […]
G.Ungaretti (1888-1970)
Il mio supplizio/È quando//Non mi credo/in armonia

 Mattina
 M’illumino
 d’immenso


 Destino
 Volti al travaglio
 come una qualsiasi
 fibra creata
 perché ci lamentiamo noi?
L’eredita’ del Pascoli
La poesia del primo ‘900, dopo aver preso esplicitamente le distanze dalla
   poetica ingombrante e appariscente di D’Annunzio, mantiene con Pascoli
   un rapporto sotterraneo. Infatti le sue ‘discrete trasgressioni’ linguistiche
   rappresentano il punto di partenza di molte linee evolutive della poesia
   italiana successiva. Anche la dimensione simbolica del Pascoli continua a
   caratterizzare il rapporto uomo-natura nei poeti italiani successivi.

Lo vediamo bene in Ungaretti nel quale è attiva ancora l’idea
   dell’uomo come parte della natura, ben distinta da essa, ma ad
   essa accomunata dal ‘travaglio’ della fatica del vivere.

“In lui però questo sentirsi fibra dell’universo induce una
   particolare e tenace partecipazione alla vita, per un costante
   desiderio di armonia col cosmo”. (Carlo Ossola)
Montale: negli oggetti naturali
                  il paradosso dell’esistenza
Meglio se le gazzarre degli uccelli
  si spengono inghiottite dall'azzurro:
  più chiaro si ascolta il susurro
  dei rami amici nell'aria che quasi non
  si muove,
  e i sensi di quest'odore
  che non sa staccarsi da terra
  e piove in petto una dolcezza
  inquieta.
  Qui delle divertite passioni
  per miracolo tace la guerra,
  qui tocca anche a noi poveri la nostra
  parte di ricchezza
  ed è l'odore dei limoni.
 [da Ossi di seppia, 1925]
Maestrale
                                […]
                                sotto l'azzurro fitto
                                  del cielo qualche uccello di
                                  mare se ne va;
                                  né sosta mai: perché tutte
                                  le immagini portano scritto:
                                  "più in là!".
                                (da Ossi di seppia, 1925)




Il male di vivere e l’attesa di un
   miracolo
La natura come allegoria 
             Antico, sono ubriacato dalla voce
             Come allora oggi in tua presenza
               impietro,
               mare, ma non piú degno
               mi credo del solenne ammonimento
               del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
               che il piccino fermento
               del mio cuore non era che un
               momento
               del tuo; che mi era in fondo
               la tua legge rischiosa: esser vasto e
               diverso
               e insieme fisso:e svuotarmi cosí d'ogni
               lordura
               come tu fai che sbatti sulle sponde
               tra sugheri alghe asterie
               le inutili macerie del tuo abisso.
SALVATORE QUASIMODO (1901-1968)

                    Specchio
                    Ed ecco sul tronco
                    si rompono gemme:
                    un verde più nuovo dell'erba
                    che il cuore riposa:
                    il tronco pareva già morto,
                    piegato sul botro.
                    E tutto mi sa di miracolo;
                    e sono quell'acqua di nube
                    che oggi rispecchia nei fossi
                    più azzurro il suo pezzo di cielo,
                    quel verde che spacca la scorza
                    che pure stanotte non c'era.
Tindari, mite ti so
                                       fra larghi colli pensile
                                       sull'acque
                                       dell'isole dolci del dio,
                                       oggi m'assali
                                       e ti chini in cuore.
                                       (da Vento a Tindari)



In Quasimodo il tema della natura (la sua terra, la Sicilia delle sue
   prime raccolte) si esplicita anche nella nostalgia dell’esule
   verso la terra dell’infanzia, delle origini, vista come eden
   perduto.
ELSA MORANTE: la natura metafora dell’infanzia e
       luogo dell’appartenenza perduta

                         “La mia isola […] ha varie spiaggie dalla
                             sabbia chiara e delicata, e altre rive più
                             piccole, coperte di ciottoli e conchiglie,
                             e nascosta fra le grandi scogliere. Fra
                             quelle rocce torreggianti, che
                             sovrastano l’acqua, fanno il nido i
                             gabbiani e le tortore selvatiche, di cui,
                             specialmente al mattino presto,
                             s’odono le voci, ora lamentose, ora
                             allegre.La’, nei giorni quieti, il mare e’
                             tenero e fresco, e si posa sulla riva
                             come una rugiada.

                         Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano 
                             né un delfino; mi accontenterei 
                             d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più 
                             brutto del mare, pur di ritrovarmi 
                             laggiù, a scherzare in quell’acqua”. 
                         (da L’ISOLA DI ARTURO, cap. I, 1957)
Nel buio dell’esistenza (la
miniera come la vita), e’
possibile accada il miracolo
di riscoprirsi uomo…




                       Ce lo dice uno dei narratori piu’
                       nichilisti del Novecento,
                       attraverso la metafora della
                       Luna…
Restò - appena sbucato all'aperto - sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle.
Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento.
Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di
faccia la Luna.
Sì, egli sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è
dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là,
eccola là, la Luna... C'era la Luna! la Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto,
dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel
cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che
rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più
stanco, nella notte ora piena del suo stupore.




       L. PIRANDELLO: CIAULA SCOPRE LA LUNA, 1907
«L’occhio guarda, per questo è
   fondamentale. È l’unico che può
   accorgersi della bellezza. La visione
   può essere simmetrica lineare o
   parallela in perfetto affiancamento con
   l’orizzonte.
Ma può essere anche asimmetrica,
   sghemba, capricciosa, non importa,
   perché la bellezza può passare per le
   più strane vie, anche quelle non
   codificate dal senso comune.
E dunque la bellezza si vede perché è
   viva e quindi reale. Diciamo meglio
   che può capitare di vederla. Dipende
   da dove si svela.
Ma che certe volte si sveli non c’è dubbio
   […].
Il problema è avere occhi e
    non saper vedere, non
    guardare le cose che
    accadono, nemmeno
    l’ordito minimo della
    realtà.
Occhi chiusi. Occhi che
    non vedono più. Che
    non sono più curiosi.
    Che non si aspettano
    che accada più niente.
Forse perché non credono
    che la bellezza esista.
Ma sul deserto delle
 nostre strade Lei
 passa, rompendo il
 finito limite e
 riempiendo i nostri
 occhi di infinito
 desiderio».

(P. P. Pasolini)

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  • 1. "A che tante facelle?" Poeti e narratori italiani ‘intendono’ la natura Marta Pettenella
  • 2. “Nella natura poesia e filosofia si incontrano, anzi non si sono mai separate. Ecco dunque che quella del vero e’ una ricerca non antitetica a quella del bello, vale a dire quella del vero poetico, sicche’ potranno sempre colludere e fondersi.” Mario Luzi
  • 3. Una premessa (ancor prima di saper scrivere) Il rapporto che l’uomo instaura con la realta’ che lo circonda, naturale e non, proprio perche’ ‘umano’, non puo’ mai evitare la domanda di un significato. Sin dalle sue origini l’uomo ha sentito anche l’esigenza di esprimere poeticamente, cioe’ creativamente, gratuitamente, questo suo rapporto con la natura, e di comunicare, quando l’avesse percepito, il significato intravisto nel segno. Gia’ nel paleolitico superiore, 30-40.000 anni fa, l'uomo ha incominciato a tracciare graffiti alcuni dei quali rappresentavano elementi naturali. Poi per esprimersi ha utilizzato dei simboli piu’ astratti… da quelli ha in seguito elaborato le lettere.
  • 4. Simboli solari A Zurla, in Valcamonica, esiste uno dei più importanti complessi di arte preistorica del mondo, sia per quantità che per eterogeneità delle rappresentazioni grafiche. Le prime incisioni risalgono a più di 6000 anni prima di Cristo…
  • 5. La Rosa camuna E’ una delle più famose incisioni rupestri della Val Camonica, risalente ad una civiltà, quella dei Camuni, che visse nella valle durante l’eta’ del Ferro, cioe’ tra il 1200 e il 1000 A.C. Questo simbolo, una croce anseata associata a nove coppelle, è stato ritrovato 92 volte tra le 300.000 incisioni rupestri camune.
  • 6. un simbolo misterioso: un’espressione poetica. La Rosa Camuna è spesso associata a guerrieri che sembrano danzare attorno ad essa e a difenderla dall'aggressione di nemici armati, ma il suo significato è tuttora fonte di dibattito tra gli studiosi. Perche’ l’uomo fin dai tempi piu’ remoti della sua comparsa sulla terra ha sentito l’esigenza di fissare sulla pietra immagini della natura, come il sole, un fiore? Cerchiamo di scoprirlo.
  • 7. Fra gli studiosi c'è un diffuso accordo nel considerare i Sumeri e gli Egizi i primi popoli capaci di scrivere, questo avvenne a partire dal 3500- 3300 aC….
  • 8. Il Nilo "Eccola, l'acqua di vita che si trova nel cielo. Eccola l'acqua di vita che e’ nella terra. Il cielo fiammeggia per te, la terra teme quando il dio nasce. Le due colline si fondono, il dio si manifesta, il dio si espande nel suo corpo". “Tu sei il Nilo… dei e uomini vivono del tuo scorrere” (Dai Testi delle piramidi)
  • 9. Il Sole o Akhenaton La terra si illumina quando sorgi Con il tuo disco scintillante di giorno. Davanti ai tuoi raggi l'oscurità viene messa in fuga il popolo delle Due Terre celebra il giorno, tu lo svegli e lo metti in piedi, loro si lavano e si vestono, Sollevano le braccia lodando il tuo apparire, poi su tutta la terra cominciano il loro lavoro.
  • 10. La natura ‘provvidente’ Osiride e’ il dio della vita e della fertilita’. Osiride e’ il Nilo, pensato dall’uomo in relazione diretta con la piena che rende la terra fertile. Quello al sole e’ un canto di amore ed entusiasmo, il più vibrante tramandatoci dalla letteratura dell’Antico Egitto, esso viene attribuito al faraone Akhenaton. Cosi’ le fonti letterarie ci dicono che alcuni elementi naturali, come il fiume Nilo, o il sole, sono considerati sorgenti di vita tanto importanti da essere associati alla sacralità (Julien Ries), e verso di loro l’uomo esprime poeticamente tutta la sua gratitudine.
  • 11. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa e’ l'uomo perche’ te ne ricordi e il figlio dell'uomo perche’ te ne dia pensiero? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare. O Signore, nostro Dio, quanto e’ grande il tuo nome su tutta la terra. (dal Salmo 8) In questo salmo il re David, di fronte alla magnificenza del mondo, e’ portato a percepire la sproporzione dell’essere umano. Lo spettacolo della bellezza naturale si fa qui spunto per una riflessione profonda sul senso e la responsabilita’ dell’uomo verso la natura stessa. Questo testo venne composto nel III secolo a.C. in Giudea.
  • 12. Il mondo classico: i Greci La conchiglia Alceo 630 o il 620 a.C-570 a.C. Della pietra e del mare biancheggiante figlia,  dei ragazzi tu incanti i cuori, marina conchiglia. Ceci d'oro Saffo seconda metà del VII secolo a.C. Una terra cinta di fiori, di fiori di mille colori. Ceci d'oro su rive salmastre spuntavano.
  • 13. La notte di Alcmane seconda metà o fine del VII secolo a.C. Dormono le cime dei monti e i baratri, i declivi e le forre, e le creature che la terra alleva, e le fiere alle pendici dei monti, e gli sciami, e i cetacei nei cupi fondali del mare. Dormono gli stormi degli uccelli, dalle lunghe, ferme ali. Vento di Saffo Mi scrolla amore, come il vento dalle cime che piomba sui roveri.
  • 14. Dunque anche tra i poeti dell’antica Grecia la natura genera nell’uomo stupore e fascino. Possiamo dirlo con le parole di uno di loro, il poeta Ibico, vissuto nella meta’ del VI secolo A.C.: Meraviglia Immoto da tempo immemore, impietrito da cotanta meraviglia.
  • 15. Oppure la natura si fa spunto per una profonda riflessione sulla condizione umana, diventa cioe’ simbolo, allegoria, immagine che rimanda oltre se stessa (σύμβολον = metto insieme) Come foglie come in Mimnermo, poeta della Siamo come foglie, foglie di seconda metà del VII secolo a.C : primavera, spuntate veloci nei raggi del sole. Per brevi istanti godiamo fiori di giovinezza, non sapendo dalla vita di bene e male. Accanto stanno strette le tenebrose dee: l'una ha sorte di vecchiaia cupa, l'altra di morte. Fugace il giovanile frutto, quanto luce di sole terra irradia. Ma quando volge la stagione alla sua fine, allora l'essere vivi è peggio che morire...
  • 16. Così è primavera, per gli alberi, per le foglie dei boschi, e a primavera, invocando la semina, la terra si gonfia. Allora il Cielo, padre onnipotente, con piogge fertili scende nel grembo della sposa felice, e immenso confuso al suo immenso corpo ne nutre ogni frutto. Arbusti solitari risuonano del canto degli uccelli e nei giorni a loro consueti si accoppiano gli armenti; la buona terra rinverdisce e all'aria mite dello zefiro si schiudono i campi; ovunque si sparge un tenero umore e i germogli si affidano sicuri al nuovo sole; anche i pampini non temono il sorgere degli austri o le piogge spinte nel cielo da violenti aquiloni, ma mettono le gemme Virgilio e.... e spiegano tutte le foglie. (Georgica, II)
  • 17. ... Lucrezio, entrambi i due grandi poeti latini non sfuggono al fascino della natura vista come madre dei viventi: […] Ché appena è dischiuso l'aspetto primaverile del giorno e, disserrato, si ravviva il soffio del fecondo zefiro, prima gli aerei uccelli te, o dea, e il tuo giungere annunziano, colpiti nei cuori dalla tua potenza. Poi fiere e animali domestici bàlzano per i pascoli in rigoglio e attraversano a nuoto i rapidi fiumi; così preso dal fascino ognuno ti segue ardentemente dove intendi condurlo. (dal De rerum natura, Inno a Venere)
  • 18. In Virgilio la visione della rinascita della natura primaverile e’ tutta pervasa da un sentimento di certezza e di gioia. In Lucrezio, che inizia il suo poema con un inno a Venere, l’attrattiva (voluptas) e’ la forza che permea tutto il mondo naturale ed il principio di ogni sua fecondita’.
  • 19. NELLA LETTERATURA ITALIANA sin dal suo testo piu’ antico, composto tra il 1224 e il 1225 d.C….
  • 20. Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua. la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fior et herba. S.FRANCESCO d’ASSISI, dal Cantico delle creature
  • 21. Dolce color d'oriental zaffiro, che s'accoglieva nel sereno aspetto del mezzo, puro infino al primo giro,         a li occhi miei ricomincio’ diletto, tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta che m'avea contristati li occhi e 'l petto . DANTE, Purgatorio, I, 3-18
  • 22. LA NATURA COME SEGNO DI DIO Il Cantico delle creature viene composto da S.Francesco sul monte della Verna, in una stagione estrema della vita. Nei versi del Purgatorio citati, Dante esprime l’esperienza di liberazione avvenuta in lui al momento di emergere dall’ambiente buio ed oppressivo dell’Inferno e finalmente rivedere le stelle. In entrambi i casi, la visione della natura nella sua bellezza e’ associata all’espressione di stupore e gratitudine verso il Creatore, della cui magnificenza la natura e’ vista come segno evidente. Per i due poeti cristiani tuttavia cio’ avviene nel contesto di un’esperienza di dolore. Non si tratta dunque di una percezione sentimentale, ma di un giudizio razionale.
  • 23. Ma gia’in pieno 1300 si apre un nuovo ‘canale’ Era il giorno ch'al sol si scoloraro per la pietà del suo fattore i rai, quando i' fui preso, e non me ne guardai, ché i be' vostr'occhi, Donna, mi legaro. (F. Petrarca, Canzoniere, III)
  • 24. Chiare, fresche e dolci acque ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo ove piacque (con sospir mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; erba e fior che la gonna leggiadra ricoverse co l'angelico seno; aere sacro sereno ove Amor co' begli occhi il cor m' aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole estreme. (F. Petrarca, Canzoniere, CXXVI) Con Francesco Petrarca la natura inizia ad essere concepita come contesto, o come pretesto, cioe’ come realtà con la quale l’uomo instaura rapporti emotivi, perché in essa vive, soffre, gioisce, e nella quale cio’ che interessa e’ altro...
  • 25. Questo ‘doppio canale’ interpretativo restera’ vivo e variamente emergente nella successiva tradizione letteraria italiana segno contesto
  • 26. Lo vediamo cosi’ comparire nei madrigali del Tasso, del 1591, dove la natura addirrittura piange la partenza dell’amata Qual rugiada o qual pianto quai lagrime eran quelle che sparger vidi dal notturno manto e dal candido volto de le stelle? E perche’ semino’ la bianca luna di cristalline stelle un puro nembo a l'erba fresca in grembo? Perche’ ne l’aria bruna s'udian, quasi dolendo, intorno intorno gir l'aure insino al giorno? Fur segni forse de la tua partita, vita de la mia vita?
  • 27. Oppure la natura si presenta come sistema ordinato di segni matematici, nella bellissima metafora galileiana dell’universo come un libro da interpretare. E’ gia’ il 1623… La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l‘universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. (Galileo, Il Saggiatore)
  • 28. La percezione della natura come scenario delle emozioni umane trovera’ ampia espressione anche nella successiva letteratura barocca, in particolare nella poesia di Giovan Battista Marino e in quella dei suoi epigoni.
  • 29. Nella visione Romantica la natura e’ intesa non solo come proiezione dell’io, in essa si incarna anche la tipica concezione romantica del ‘sublime’: lo spettacolo grandioso della natura scatena nell’uomo stati emotivi quali lo stupore, lo smarrimento e persino il terrore. La natura diventa allora il veicolo attraverso cui l’artista esplora e indaga il cosmo inteso come riflesso della divinità, o come proiezione dell’io.
  • 30. VITTORIO ALFIERI (1749- SOLO FRA I MESTI MIEI PENSIERI 1803) Solo, fra i mesti miei pensieri, in riva al mar la’ dove il tosco fiume ha foce, con Fido il mio destrier pian pian men giva; e muggian l'onde irate in suon feroce. Quell'ermo lido, e il gran fragor mi empiva il cuor (cui fiamma inestinguibil cuoce) d'alta malinconia; […] TACITO ORROR DI SOLITARIA SELVA […] E quanto addentro piu’ il mio pie’s'inselva, tanto piu’ calma e gioia in me si crea; […] Non ch'io gli uomini abborra, […] ma non mi piacque il vil secol mai: e dal pesante regal giogo oppresso, sol nei deserti tacciono i miei guai.
  • 31. PRE-ROMANTICISMO In entrambi i testi di Alfieri il soggetto è la solitudine dolente del poeta, determinata, specie nel secondo, da un ‘furore eroico’ che lo spinge a fuggire il consorzio umano e a sottrarsi alla ‘tirannide’. Il sentire del poeta si riflette nel paesaggio circostante, che diviene proiezione dell’interiorità psicologica e sentimentale dell’io poetante. Tema e atteggiamento questi di ascendenza petrarchesca, tuttavia ‘rinnovati’ da una sensibilità preromantica: quella di una condizione contemplativa, di una immersione nella natura, caratterizzata da una forte tensione verso l’assoluto
  • 32. 13 maggio Sommo Iddio! Quando tu miri una sera di primavera ti compiaci forse della tua creazione? [...] Jer sera appunto dopo più di due ore d'estatica contemplazione d'una bella sera di Maggio, io scendeva a passo a passo dal monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non sentiva che il canto della villanella, e non vedeva che i fuochi de' pastori. Scintillavano tutte le stelle, e mentr'io salutava ad una ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un non so che di celeste, ed il mio cuore s'innalzava come se aspirasse ad una regione più sublime assai della terra. […] Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce — umana sorte! Men infelice degli altri chi men la teme. […] (UGO FOSCOLO, da Le ultime lettere di Jacopo Ortis)
  • 33. ROMANTICISMO Nella sensibilita’ romantica del Foscolo (1778-1827) rieccheggia dunque il tema preromantico della risonanza sentimentale attribuita al paesaggio, accanto ad una concezione materialistica della natura, desunta dal De rerum natura lucreziano.
  • 34. La perfezione della sintesi In alcuni momenti particolarmente felici della nostra storia letteraria, accade che le due percezioni della natura, come un segno del Mistero, del Destino, e come specchio dell’animo dei personaggi, si sintetizzino, allora abbiamo la grazia di poter leggere pagine come queste…
  • 35. Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! […] Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande. ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi, cap. VIII (1827)
  • 36. Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati       5 spazi di la’ da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello       10 infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Cosi’ tra questa immensita’ s'annega il pensier mio:       15 e il naufragar m‘e’ dolce in questo mare. (Giacomo Leopardi, L'infinito, 1826 )
  • 37. Cara beltà che amore/lunge m'inspiri …. (G. Leopardi, Inno alla sua donna) Placida notte, e verecondo raggio della cadente luna; e tu che spunti fra la tacita selva in su la rupe, nunzio del giorno; oh dilettose e care mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,       5 sembianze agli occhi miei; […] Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta       20 infinita beltà parte nessuna alla misera Saffo i numi e l'empia sorte non fenno. (da Ultimo canto di Saffo, 1831-35)
  • 38. In Leopardi la sublimita’ del sentire nasce nell’ uomo che sperimenta la sua sproporzione di fronte alla bellezza, percio’ la realta’ suscita un’aspirazione (desiderio, illusione, sogno). Diciamolo con le parole di F. De Sanctis: ”Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla liberta’, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtu’, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo che non ti senta migliore […] mentre chiama larva ed errore tutta la vita, non sai come, ti senti stringere piu’ saldamante a tutto cio’ che nella vita e’ nobile e grande.” Cara belta’, perche’ cara? cara
  • 39. Dopo la mezzanotte il vento s'era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuotere le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S. Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell'anima di Giuda. Insomma una brutta domenica di settembre, di quel settembre traditore che vi lascia andare un colpo di mare fra capo e collo, come una schioppettata tra i fichidindia. (Giovanni Verga, I Malavoglia, capitolo III, 1881) 
  • 40. Il disperato modo di “resistere alle tempeste della vita” (Fantasticheria, Introduzione) E’ ”l’ideale dell’ostrica”. In Verga dunque nella natura si rispecchia quel senso di un destino incombente sulle vicende umane, che e’ stato gia’ deciso non essere piu’ ne’ misterioso ne’ tantomeno positivo.
  • 41. In Pascoli la natura si fa simbolo ambivalente: inizia la modernita’ Dal selvaggio rosaio scheletrito penzola un nido. Come, a primavera, ne prorompeva empiendo la riviera il cinguettio del garrulo convito! (da Il nido, Mirycae, 1891-1903) Nascondi le cose lontane, nascondimi quello ch‘e’ morto! Ch'io veda soltanto la siepe dell'orto,[…] Nascondi le cose lontane: le cose son ebbre di pianto! (da Nebbia, Nuovi Poemetti, 1909)
  • 42. “La natura e’ madre e non matrigna perche’ sa ricavare il bene anche dal male” (Introduzione ai Poemetti) (Introduzione ai Poemetti) La vita quotidiana e la campagna sono lo sfondo sul quale il Pascoli proietta il proprio mondo interiore, per cui la natura e’ investita di valore simbolico. Essa puo’ rappresentare il ‘nido’, ma puo’ anche rappresentare, nelle sue manifestazioni meno domestiche e familiari, la vertigine del mistero, dell’ignoto.
  • 43. E immersi noi siam nello spirto GABRIELE D’ANNUNZIO silvestre, il senso panico : una d'arborea vita viventi; totale fusione tra l’uomo e e il tuo volto ebro la natura è molle di pioggia come una foglia, e le tue chiome […] Piove su le tue ciglia auliscono come nere le chiare ginestre, sì che par tu pianga o creatura terrestre ma di piacere; non bianca che hai nome ma quasi fatta virente, Ermione. […] par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca da La pioggia nel pineto, aulente, il cuor nel petto è come Alcyone, 1802-12) pesca intatta, tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l'erbe, i denti negli alvèoli con come mandorle acerbe. […]
  • 44. G.Ungaretti (1888-1970) Il mio supplizio/È quando//Non mi credo/in armonia Mattina M’illumino d’immenso Destino Volti al travaglio come una qualsiasi fibra creata perché ci lamentiamo noi?
  • 45. L’eredita’ del Pascoli La poesia del primo ‘900, dopo aver preso esplicitamente le distanze dalla poetica ingombrante e appariscente di D’Annunzio, mantiene con Pascoli un rapporto sotterraneo. Infatti le sue ‘discrete trasgressioni’ linguistiche rappresentano il punto di partenza di molte linee evolutive della poesia italiana successiva. Anche la dimensione simbolica del Pascoli continua a caratterizzare il rapporto uomo-natura nei poeti italiani successivi. Lo vediamo bene in Ungaretti nel quale è attiva ancora l’idea dell’uomo come parte della natura, ben distinta da essa, ma ad essa accomunata dal ‘travaglio’ della fatica del vivere. “In lui però questo sentirsi fibra dell’universo induce una particolare e tenace partecipazione alla vita, per un costante desiderio di armonia col cosmo”. (Carlo Ossola)
  • 46. Montale: negli oggetti naturali il paradosso dell’esistenza Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall'azzurro: più chiaro si ascolta il susurro dei rami amici nell'aria che quasi non si muove, e i sensi di quest'odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l'odore dei limoni.  [da Ossi di seppia, 1925]
  • 47. Maestrale […] sotto l'azzurro fitto del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: "più in là!". (da Ossi di seppia, 1925) Il male di vivere e l’attesa di un miracolo
  • 48. La natura come allegoria  Antico, sono ubriacato dalla voce Come allora oggi in tua presenza impietro, mare, ma non piú degno mi credo del solenne ammonimento del tuo respiro. Tu m'hai detto primo che il piccino fermento del mio cuore non era che un momento del tuo; che mi era in fondo la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso e insieme fisso:e svuotarmi cosí d'ogni lordura come tu fai che sbatti sulle sponde tra sugheri alghe asterie le inutili macerie del tuo abisso.
  • 49. SALVATORE QUASIMODO (1901-1968) Specchio Ed ecco sul tronco si rompono gemme: un verde più nuovo dell'erba che il cuore riposa: il tronco pareva già morto, piegato sul botro. E tutto mi sa di miracolo; e sono quell'acqua di nube che oggi rispecchia nei fossi più azzurro il suo pezzo di cielo, quel verde che spacca la scorza che pure stanotte non c'era.
  • 50. Tindari, mite ti so fra larghi colli pensile sull'acque dell'isole dolci del dio, oggi m'assali e ti chini in cuore. (da Vento a Tindari) In Quasimodo il tema della natura (la sua terra, la Sicilia delle sue prime raccolte) si esplicita anche nella nostalgia dell’esule verso la terra dell’infanzia, delle origini, vista come eden perduto.
  • 51. ELSA MORANTE: la natura metafora dell’infanzia e luogo dell’appartenenza perduta “La mia isola […] ha varie spiaggie dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascosta fra le grandi scogliere. Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l’acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s’odono le voci, ora lamentose, ora allegre.La’, nei giorni quieti, il mare e’ tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano  né un delfino; mi accontenterei  d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più  brutto del mare, pur di ritrovarmi  laggiù, a scherzare in quell’acqua”.  (da L’ISOLA DI ARTURO, cap. I, 1957)
  • 52. Nel buio dell’esistenza (la miniera come la vita), e’ possibile accada il miracolo di riscoprirsi uomo… Ce lo dice uno dei narratori piu’ nichilisti del Novecento, attraverso la metafora della Luna…
  • 53. Restò - appena sbucato all'aperto - sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento. Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna. Sì, egli sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna? Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva. Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna... C'era la Luna! la Luna! E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore. L. PIRANDELLO: CIAULA SCOPRE LA LUNA, 1907
  • 54. «L’occhio guarda, per questo è fondamentale. È l’unico che può accorgersi della bellezza. La visione può essere simmetrica lineare o parallela in perfetto affiancamento con l’orizzonte. Ma può essere anche asimmetrica, sghemba, capricciosa, non importa, perché la bellezza può passare per le più strane vie, anche quelle non codificate dal senso comune. E dunque la bellezza si vede perché è viva e quindi reale. Diciamo meglio che può capitare di vederla. Dipende da dove si svela. Ma che certe volte si sveli non c’è dubbio […].
  • 55. Il problema è avere occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito minimo della realtà. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esista.
  • 56. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio». (P. P. Pasolini)