1. "A che tante facelle?"
Poeti e narratori italiani
‘intendono’
la natura
Marta
Pettenella
2. “Nella natura poesia e
filosofia si incontrano, anzi
non si sono mai separate.
Ecco dunque che quella del
vero e’ una ricerca non
antitetica a quella del bello,
vale a dire quella del vero
poetico, sicche’ potranno
sempre colludere e fondersi.”
Mario Luzi
3. Una premessa
(ancor prima di saper scrivere)
Il rapporto che l’uomo instaura con la realta’ che lo
circonda, naturale e non, proprio perche’ ‘umano’, non
puo’ mai evitare la domanda di un significato.
Sin dalle sue origini l’uomo ha sentito anche l’esigenza di
esprimere poeticamente, cioe’ creativamente,
gratuitamente, questo suo rapporto con la natura, e di
comunicare, quando l’avesse percepito, il significato
intravisto nel segno.
Gia’ nel paleolitico superiore, 30-40.000 anni fa, l'uomo ha
incominciato a tracciare graffiti alcuni dei quali
rappresentavano elementi naturali. Poi per esprimersi ha
utilizzato dei simboli piu’ astratti…
da quelli ha in seguito elaborato le lettere.
4. Simboli solari
A Zurla, in Valcamonica, esiste
uno dei più importanti
complessi di arte preistorica
del mondo, sia per quantità
che per eterogeneità delle
rappresentazioni grafiche.
Le prime incisioni risalgono a
più di 6000 anni prima di
Cristo…
5. La Rosa camuna
E’ una delle più famose incisioni
rupestri della Val Camonica,
risalente ad una civiltà, quella dei
Camuni, che visse nella valle
durante l’eta’ del Ferro, cioe’ tra il
1200 e il 1000 A.C.
Questo simbolo, una croce anseata
associata a nove coppelle, è stato
ritrovato 92 volte tra le 300.000
incisioni rupestri camune.
6. un simbolo misterioso:
un’espressione poetica.
La Rosa Camuna è spesso associata
a guerrieri che sembrano danzare
attorno ad essa e a difenderla
dall'aggressione di nemici armati,
ma il suo significato è tuttora fonte
di dibattito tra gli studiosi.
Perche’ l’uomo fin dai tempi piu’
remoti della sua comparsa sulla
terra ha sentito l’esigenza di
fissare sulla pietra immagini della
natura, come il sole, un fiore?
Cerchiamo di scoprirlo.
7. Fra gli studiosi c'è un diffuso accordo
nel considerare i Sumeri e gli Egizi i
primi popoli capaci di scrivere,
questo avvenne a partire dal 3500-
3300 aC….
8. Il Nilo
"Eccola, l'acqua di vita che si trova
nel cielo. Eccola l'acqua di vita che
e’ nella terra. Il cielo fiammeggia
per te, la terra teme quando il dio
nasce. Le due colline si fondono, il
dio si manifesta, il dio si espande
nel suo corpo".
“Tu sei il Nilo… dei e uomini vivono
del tuo scorrere”
(Dai Testi delle piramidi)
9. Il Sole o Akhenaton
La terra si illumina quando sorgi
Con il tuo disco scintillante di giorno.
Davanti ai tuoi raggi l'oscurità viene messa in fuga
il popolo delle Due Terre celebra il giorno,
tu lo svegli e lo metti in piedi,
loro si lavano e si vestono,
Sollevano le braccia lodando il tuo apparire,
poi su tutta la terra cominciano il loro lavoro.
10. La natura ‘provvidente’
Osiride e’ il dio della vita e della fertilita’.
Osiride e’ il Nilo, pensato dall’uomo in
relazione diretta con la piena che
rende la terra fertile.
Quello al sole e’ un canto di amore ed
entusiasmo, il più vibrante
tramandatoci dalla letteratura
dell’Antico Egitto, esso viene
attribuito al faraone Akhenaton.
Cosi’ le fonti letterarie ci dicono che
alcuni elementi naturali, come il fiume
Nilo, o il sole, sono considerati
sorgenti di vita tanto importanti da
essere associati alla sacralità (Julien
Ries), e verso di loro l’uomo esprime
poeticamente tutta la sua gratitudine.
11. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa e’ l'uomo perche’ te ne ricordi e il figlio dell'uomo perche’ te ne dia pensiero?
Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna;
gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare.
O Signore, nostro Dio, quanto e’ grande il tuo nome su tutta la terra.
(dal Salmo 8)
In questo salmo il re David, di fronte alla
magnificenza del mondo, e’ portato a percepire la
sproporzione dell’essere umano.
Lo spettacolo della bellezza naturale si fa qui spunto
per una riflessione profonda sul senso e la responsabilita’
dell’uomo verso la natura stessa.
Questo testo venne composto nel III secolo a.C. in Giudea.
12. Il mondo classico: i Greci
La conchiglia
Alceo 630 o il 620 a.C-570 a.C.
Della pietra e del mare
biancheggiante figlia,
dei ragazzi tu incanti i cuori,
marina conchiglia.
Ceci d'oro
Saffo seconda metà del VII secolo a.C.
Una terra cinta di fiori,
di fiori di mille colori.
Ceci d'oro su rive salmastre
spuntavano.
13. La notte di Alcmane
seconda metà o fine del VII secolo a.C.
Dormono le cime dei monti
e i baratri,
i declivi e le forre,
e le creature che la terra alleva,
e le fiere alle pendici dei monti,
e gli sciami,
e i cetacei nei cupi fondali del
mare.
Dormono gli stormi degli uccelli,
dalle lunghe, ferme ali.
Vento di Saffo
Mi scrolla amore,
come il vento dalle cime
che piomba sui roveri.
14. Dunque anche tra i poeti dell’antica Grecia la natura genera
nell’uomo stupore e fascino. Possiamo dirlo con le parole
di uno di loro, il poeta Ibico, vissuto nella meta’ del VI
secolo A.C.:
Meraviglia
Immoto da
tempo
immemore,
impietrito da
cotanta
meraviglia.
15. Oppure la natura si fa spunto per
una profonda riflessione sulla
condizione umana, diventa cioe’
simbolo, allegoria,
immagine che rimanda
oltre se stessa
(σύμβολον = metto insieme)
Come foglie
come in Mimnermo, poeta della Siamo come foglie, foglie di
seconda metà del VII secolo a.C : primavera,
spuntate veloci nei raggi del sole.
Per brevi istanti godiamo fiori di
giovinezza,
non sapendo dalla vita di bene e
male.
Accanto stanno strette le tenebrose
dee:
l'una ha sorte di vecchiaia cupa,
l'altra di morte.
Fugace il giovanile frutto,
quanto luce di sole terra irradia.
Ma quando volge la stagione alla sua
fine,
allora l'essere vivi è peggio che
morire...
16. Così è primavera,
per gli alberi, per le foglie dei boschi,
e a primavera, invocando la semina,
la terra si gonfia.
Allora il Cielo, padre onnipotente,
con piogge fertili
scende nel grembo della sposa felice,
e immenso
confuso al suo immenso corpo
ne nutre ogni frutto.
Arbusti solitari
risuonano del canto degli uccelli
e nei giorni a loro consueti
si accoppiano gli armenti;
la buona terra rinverdisce
e all'aria mite dello zefiro
si schiudono i campi;
ovunque si sparge un tenero umore
e i germogli si affidano sicuri al nuovo sole;
anche i pampini
non temono il sorgere degli austri
o le piogge spinte nel cielo da violenti aquiloni,
ma mettono le gemme
Virgilio e....
e spiegano tutte le foglie. (Georgica, II)
17. ... Lucrezio, entrambi i due grandi poeti latini
non sfuggono al fascino della natura vista come
madre dei viventi:
[…] Ché appena è dischiuso l'aspetto primaverile del
giorno e, disserrato, si ravviva il soffio del fecondo zefiro,
prima gli aerei uccelli te, o dea, e il tuo giungere
annunziano, colpiti nei cuori dalla tua potenza.
Poi fiere e animali domestici bàlzano per i pascoli in
rigoglio e attraversano a nuoto i rapidi fiumi;
così preso dal fascino
ognuno ti segue ardentemente dove intendi condurlo.
(dal De rerum natura, Inno a Venere)
18. In Virgilio la visione della
rinascita della natura
primaverile e’ tutta pervasa
da un sentimento di
certezza e di gioia.
In Lucrezio, che inizia il suo
poema con un inno a
Venere, l’attrattiva
(voluptas) e’ la forza che
permea tutto il mondo
naturale ed il principio di
ogni sua fecondita’.
19. NELLA LETTERATURA
ITALIANA
sin dal suo testo piu’ antico,
composto tra il 1224 e il 1225
d.C….
20. Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et
casta.
Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.
S.FRANCESCO d’ASSISI, dal Cantico delle creature
21. Dolce color d'oriental zaffiro,
che s'accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricomincio’ diletto,
tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
che m'avea contristati li occhi e 'l petto .
DANTE, Purgatorio, I, 3-18
22. LA NATURA COME SEGNO DI DIO
Il Cantico delle creature viene composto da S.Francesco sul monte della
Verna, in una stagione estrema della vita.
Nei versi del Purgatorio citati, Dante esprime l’esperienza di liberazione
avvenuta in lui al momento di emergere dall’ambiente buio ed oppressivo
dell’Inferno e finalmente rivedere le stelle.
In entrambi i casi, la visione della natura nella sua bellezza e’ associata
all’espressione di stupore e gratitudine verso il Creatore, della cui
magnificenza la natura e’ vista come segno evidente. Per i due poeti
cristiani tuttavia cio’ avviene nel contesto di un’esperienza di dolore.
Non si tratta dunque di una percezione sentimentale, ma di un giudizio
razionale.
23. Ma gia’in pieno 1300 si apre un nuovo ‘canale’
Era il giorno ch'al sol si
scoloraro
per la pietà del suo
fattore i rai,
quando i' fui preso, e
non me ne guardai,
ché i be' vostr'occhi,
Donna, mi legaro.
(F. Petrarca, Canzoniere, III)
24. Chiare, fresche e dolci acque
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare al bel fianco colonna;
erba e fior che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno;
aere sacro sereno
ove Amor co' begli occhi il cor m' aperse:
date udienza insieme
a le dolenti mie parole estreme.
(F. Petrarca, Canzoniere, CXXVI)
Con Francesco Petrarca la natura inizia ad essere
concepita come contesto, o come pretesto, cioe’ come
realtà con la quale l’uomo instaura rapporti emotivi,
perché in essa vive, soffre, gioisce, e nella quale cio’ che
interessa e’ altro...
25. Questo ‘doppio canale’ interpretativo restera’ vivo e variamente
emergente nella successiva tradizione letteraria italiana
segno
contesto
26. Lo vediamo cosi’ comparire nei madrigali del Tasso, del 1591, dove la
natura addirrittura piange la partenza dell’amata
Qual rugiada o qual pianto
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perche’ semino’ la bianca luna
di cristalline stelle un puro nembo
a l'erba fresca in grembo?
Perche’ ne l’aria bruna
s'udian, quasi dolendo, intorno
intorno
gir l'aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?
27. Oppure la natura si presenta come sistema ordinato di segni
matematici, nella bellissima metafora galileiana dell’universo come
un libro da interpretare. E’ gia’ il 1623…
La filosofia è scritta in questo grandissimo libro
che continuamente ci sta aperto innanzi a gli
occhi (io dico l‘universo), ma non si può
intendere se prima non s'impara a intender la
lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto.
Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri
son triangoli, cerchi, ed altre figure
geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a
intenderne umanamente parola; senza questi è
un aggirarsi vanamente per un oscuro
laberinto. (Galileo, Il Saggiatore)
28. La percezione della natura
come scenario delle emozioni
umane trovera’ ampia
espressione anche nella
successiva letteratura
barocca, in particolare nella
poesia di Giovan Battista
Marino e in quella dei suoi
epigoni.
29. Nella visione Romantica la
natura e’ intesa non solo come
proiezione dell’io, in essa si
incarna anche la tipica
concezione romantica del
‘sublime’: lo spettacolo
grandioso della natura
scatena nell’uomo stati emotivi
quali lo stupore, lo
smarrimento e persino il
terrore.
La natura diventa allora il veicolo
attraverso cui l’artista esplora
e indaga il cosmo inteso
come riflesso della
divinità, o come
proiezione dell’io.
30. VITTORIO
ALFIERI (1749- SOLO FRA I MESTI MIEI PENSIERI
1803) Solo, fra i mesti miei pensieri, in riva
al mar la’ dove il tosco fiume ha foce,
con Fido il mio destrier pian pian men giva;
e muggian l'onde irate in suon feroce.
Quell'ermo lido, e il gran fragor mi empiva
il cuor (cui fiamma inestinguibil cuoce)
d'alta malinconia; […]
TACITO ORROR DI SOLITARIA SELVA
[…] E quanto addentro piu’ il mio
pie’s'inselva,
tanto piu’ calma e gioia in me si crea; […]
Non ch'io gli uomini abborra, […]
ma non mi piacque il vil secol mai:
e dal pesante regal giogo oppresso,
sol nei deserti tacciono i miei guai.
31. PRE-ROMANTICISMO
In entrambi i testi di Alfieri il soggetto è la solitudine dolente del poeta,
determinata, specie nel secondo, da un ‘furore eroico’ che lo spinge a
fuggire il consorzio umano e a sottrarsi alla ‘tirannide’.
Il sentire del poeta si riflette nel paesaggio circostante, che diviene proiezione
dell’interiorità psicologica e sentimentale dell’io poetante.
Tema e atteggiamento questi di ascendenza petrarchesca, tuttavia
‘rinnovati’ da una sensibilità preromantica: quella di una
condizione contemplativa, di una immersione nella natura,
caratterizzata da una forte tensione verso l’assoluto
32. 13 maggio
Sommo Iddio! Quando tu miri una sera di primavera ti compiaci forse
della tua creazione? [...] Jer sera appunto dopo più di due ore d'estatica
contemplazione d'una bella sera di Maggio, io scendeva a passo a passo dal
monte. Il mondo era in cura alla Notte, ed io non sentiva che il canto della
villanella, e non vedeva che i fuochi de' pastori. Scintillavano tutte le stelle, e
mentr'io salutava ad una ad una le costellazioni, la mia mente contraeva un
non so che di celeste, ed il mio cuore s'innalzava come se aspirasse ad una
regione più sublime assai della terra. […]
Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema,
nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce — umana
sorte! Men infelice degli altri chi men la teme. […]
(UGO FOSCOLO, da Le ultime lettere di Jacopo Ortis)
33. ROMANTICISMO
Nella sensibilita’ romantica
del Foscolo (1778-1827)
rieccheggia dunque il tema
preromantico della
risonanza sentimentale
attribuita al paesaggio,
accanto ad una
concezione materialistica
della natura, desunta dal
De rerum natura
lucreziano.
34. La perfezione della sintesi
In alcuni momenti particolarmente felici
della nostra storia letteraria, accade che le
due percezioni della natura, come un
segno del Mistero, del Destino, e come
specchio dell’animo dei personaggi, si
sintetizzino, allora abbiamo la grazia di
poter leggere pagine come queste…
35. Addio, monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime
inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella
sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più
familiari; torrenti, de' quali distingue lo scroscio, come
il suono delle voci domestiche; ville sparse e
biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore
pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto
tra voi, se ne allontana! […]
Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba
mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro
una più certa e più grande.
ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi, cap. VIII (1827)
36. Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati 5
spazi di la’ da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello 10
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Cosi’ tra questa
immensita’ s'annega il pensier mio: 15
e il naufragar m‘e’ dolce in questo mare.
(Giacomo Leopardi, L'infinito, 1826 )
37. Cara beltà che amore/lunge m'inspiri ….
(G. Leopardi, Inno alla sua donna)
Placida notte, e verecondo raggio
della cadente luna; e tu che spunti
fra la tacita selva in su la rupe,
nunzio del giorno; oh dilettose e care
mentre ignote mi fur l'erinni e il fato, 5
sembianze agli occhi miei; […]
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta 20
infinita beltà parte nessuna
alla misera Saffo i numi e l'empia
sorte non fenno.
(da Ultimo canto di Saffo, 1831-35)
38. In Leopardi la sublimita’ del sentire nasce
nell’ uomo che sperimenta la sua
sproporzione di fronte alla bellezza,
percio’ la realta’ suscita un’aspirazione
(desiderio, illusione, sogno).
Diciamolo con le parole di F. De Sanctis:
”Leopardi produce l’effetto contrario a quello che
si propone. Non crede al progresso, e te lo fa
desiderare; non crede alla liberta’, e te la fa
amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la
virtu’, e te ne accende in petto un desiderio
inesausto. E non puoi lasciarlo che non ti
senta migliore […] mentre chiama larva ed
errore tutta la vita, non sai come, ti senti
stringere piu’ saldamante a tutto cio’ che
nella vita e’ nobile e grande.”
Cara belta’, perche’ cara?
cara
39. Dopo la mezzanotte il vento s'era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci
fossero tutti i gatti del paese, e a scuotere le imposte. Il mare si udiva
muggire attorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della
fiera di S. Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell'anima di Giuda.
Insomma una brutta domenica di settembre, di quel settembre traditore
che vi lascia andare un colpo di mare fra capo e collo, come una
schioppettata tra i fichidindia.
(Giovanni Verga, I Malavoglia, capitolo III, 1881)
40. Il disperato modo di
“resistere alle tempeste della vita”
(Fantasticheria, Introduzione)
E’ ”l’ideale dell’ostrica”.
In Verga dunque nella natura
si rispecchia quel senso di
un destino incombente sulle
vicende umane, che e’ stato
gia’ deciso non essere piu’
ne’ misterioso ne’ tantomeno
positivo.
41. In Pascoli la natura si fa
simbolo ambivalente: inizia la modernita’
Dal selvaggio rosaio scheletrito
penzola un nido. Come, a
primavera,
ne prorompeva empiendo la
riviera
il cinguettio del garrulo convito!
(da Il nido, Mirycae, 1891-1903)
Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch‘e’ morto!
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,[…]
Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
(da Nebbia, Nuovi Poemetti, 1909)
42. “La natura e’ madre e non matrigna
perche’ sa ricavare il bene anche dal
male”
(Introduzione ai Poemetti)
(Introduzione ai Poemetti)
La vita quotidiana e la campagna
sono lo sfondo sul quale il Pascoli
proietta il proprio mondo interiore,
per cui la natura e’ investita di
valore simbolico.
Essa puo’ rappresentare il ‘nido’,
ma puo’ anche rappresentare,
nelle sue manifestazioni meno
domestiche e familiari, la
vertigine del mistero, dell’ignoto.
43. E immersi
noi siam nello spirto GABRIELE D’ANNUNZIO
silvestre, il senso panico : una
d'arborea vita viventi; totale fusione tra l’uomo e
e il tuo volto ebro la natura
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
[…] Piove su le tue ciglia
auliscono come nere
le chiare ginestre, sì che par tu pianga
o creatura terrestre ma di piacere; non bianca
che hai nome ma quasi fatta virente,
Ermione. […] par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi
fresca
da La pioggia nel pineto, aulente,
il cuor nel petto è come
Alcyone, 1802-12) pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle
acerbe. […]
44. G.Ungaretti (1888-1970)
Il mio supplizio/È quando//Non mi credo/in armonia
Mattina
M’illumino
d’immenso
Destino
Volti al travaglio
come una qualsiasi
fibra creata
perché ci lamentiamo noi?
45. L’eredita’ del Pascoli
La poesia del primo ‘900, dopo aver preso esplicitamente le distanze dalla
poetica ingombrante e appariscente di D’Annunzio, mantiene con Pascoli
un rapporto sotterraneo. Infatti le sue ‘discrete trasgressioni’ linguistiche
rappresentano il punto di partenza di molte linee evolutive della poesia
italiana successiva. Anche la dimensione simbolica del Pascoli continua a
caratterizzare il rapporto uomo-natura nei poeti italiani successivi.
Lo vediamo bene in Ungaretti nel quale è attiva ancora l’idea
dell’uomo come parte della natura, ben distinta da essa, ma ad
essa accomunata dal ‘travaglio’ della fatica del vivere.
“In lui però questo sentirsi fibra dell’universo induce una
particolare e tenace partecipazione alla vita, per un costante
desiderio di armonia col cosmo”. (Carlo Ossola)
46. Montale: negli oggetti naturali
il paradosso dell’esistenza
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non
si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza
inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra
parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.
[da Ossi di seppia, 1925]
47. Maestrale
[…]
sotto l'azzurro fitto
del cielo qualche uccello di
mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte
le immagini portano scritto:
"più in là!".
(da Ossi di seppia, 1925)
Il male di vivere e l’attesa di un
miracolo
48. La natura come allegoria
Antico, sono ubriacato dalla voce
Come allora oggi in tua presenza
impietro,
mare, ma non piú degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un
momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e
diverso
e insieme fisso:e svuotarmi cosí d'ogni
lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
49. SALVATORE QUASIMODO (1901-1968)
Specchio
Ed ecco sul tronco
si rompono gemme:
un verde più nuovo dell'erba
che il cuore riposa:
il tronco pareva già morto,
piegato sul botro.
E tutto mi sa di miracolo;
e sono quell'acqua di nube
che oggi rispecchia nei fossi
più azzurro il suo pezzo di cielo,
quel verde che spacca la scorza
che pure stanotte non c'era.
50. Tindari, mite ti so
fra larghi colli pensile
sull'acque
dell'isole dolci del dio,
oggi m'assali
e ti chini in cuore.
(da Vento a Tindari)
In Quasimodo il tema della natura (la sua terra, la Sicilia delle sue
prime raccolte) si esplicita anche nella nostalgia dell’esule
verso la terra dell’infanzia, delle origini, vista come eden
perduto.
51. ELSA MORANTE: la natura metafora dell’infanzia e
luogo dell’appartenenza perduta
“La mia isola […] ha varie spiaggie dalla
sabbia chiara e delicata, e altre rive più
piccole, coperte di ciottoli e conchiglie,
e nascosta fra le grandi scogliere. Fra
quelle rocce torreggianti, che
sovrastano l’acqua, fanno il nido i
gabbiani e le tortore selvatiche, di cui,
specialmente al mattino presto,
s’odono le voci, ora lamentose, ora
allegre.La’, nei giorni quieti, il mare e’
tenero e fresco, e si posa sulla riva
come una rugiada.
Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano
né un delfino; mi accontenterei
d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più
brutto del mare, pur di ritrovarmi
laggiù, a scherzare in quell’acqua”.
(da L’ISOLA DI ARTURO, cap. I, 1957)
52. Nel buio dell’esistenza (la
miniera come la vita), e’
possibile accada il miracolo
di riscoprirsi uomo…
Ce lo dice uno dei narratori piu’
nichilisti del Novecento,
attraverso la metafora della
Luna…
53. Restò - appena sbucato all'aperto - sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle.
Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento.
Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di
faccia la Luna.
Sì, egli sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è
dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna?
Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva.
Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là,
eccola là, la Luna... C'era la Luna! la Luna!
E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto,
dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel
cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che
rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più
stanco, nella notte ora piena del suo stupore.
L. PIRANDELLO: CIAULA SCOPRE LA LUNA, 1907
54. «L’occhio guarda, per questo è
fondamentale. È l’unico che può
accorgersi della bellezza. La visione
può essere simmetrica lineare o
parallela in perfetto affiancamento con
l’orizzonte.
Ma può essere anche asimmetrica,
sghemba, capricciosa, non importa,
perché la bellezza può passare per le
più strane vie, anche quelle non
codificate dal senso comune.
E dunque la bellezza si vede perché è
viva e quindi reale. Diciamo meglio
che può capitare di vederla. Dipende
da dove si svela.
Ma che certe volte si sveli non c’è dubbio
[…].
55. Il problema è avere occhi e
non saper vedere, non
guardare le cose che
accadono, nemmeno
l’ordito minimo della
realtà.
Occhi chiusi. Occhi che
non vedono più. Che
non sono più curiosi.
Che non si aspettano
che accada più niente.
Forse perché non credono
che la bellezza esista.
56. Ma sul deserto delle
nostre strade Lei
passa, rompendo il
finito limite e
riempiendo i nostri
occhi di infinito
desiderio».
(P. P. Pasolini)