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RITARDO MENTALE
Indice
Cap. 1 - Le informazioni di base
Natura
Cause
Trattamento
Documento di approfondimento
Esercitazioni
Cap. 2 - L’integrazione scolastica
L’integrazione scolastica in Italia dal 1970 ad oggi
Gli atteggiamenti nei confronti degli allievi in situazione di handicap e del loro
inserimento nelle classi normali
Insegnamenti individualizzato e/o differenziato e conduzione della classe in cui è
inserito un alunno in situazione di handicap
Esercitazione
A proposito dell’apprendimento cooperativo
Esercitazione
Cap. 3 - La famiglia del soggetto in situazione di handicap
approcci possibili al tema
La famiglia del minore in situazione di handicap
Riflessioni sul ruolo della famiglia e la conquista dell’autonomia da parte
dell’adolescente con handicap
Esercitazione
Cap. 4 - Dalla scuola al mondo del lavoro: aspetti problematici e
punti di attenzione
Considerazioni introduttive
I contenuti della formazione professionale: abilità lavorative e/o abilità sociali?
Esercitazione
Cap. 5 - Percorsi e prospettive a partire dall’esperienza: analisi di
un caso
Il caso di Giovanni: esercitazione
Carta dei diritti delle persone con ritardo mentale
CAP. 1 LE INFORMAZIONI DI BASE
Avviamo questo percorso di studio sul ritardo mentale con un capitolo dedicato alle
informazioni di base.
1
La conoscenza delle principali dimensioni che caratterizzano il ritardo mentale può
essere favorita dalla seguente ripartizione: Natura Cause Trattamento e
Integrazione.
Ciascuna sezione trova approfondimenti volti a precisarne:
- Le definizioni Biologiche
- Ambientali
- La gamma degli interventi con particolare attenzione a quelli psico-pedagogici
NATURA
Il termine mentale è equivalente di psichico. Se associato al termine ritardo (o
deficit o handicap o insufficienza) esso, tuttavia, viene usato per riferirsi soprattutto
a difficoltà di tipo cognitivo generale od intellettivo (pur sapendo che tali difficoltà
hanno riflessi un po’ su tutti gli aspetti della personalità).
Nella prassi scientifica vengono ritenuti in situazione di ritardo mentale (“mental
retardation” nella letteratura inglese) i soggetti che hanno prestazioni in un test di
intelligenza inferiore al punteggio di 70 (nei test più utilizzati) in QI (quoziente
intellettuale) cioè, per chi è esperto di statistica, di due deviazioni standard inferiori
a quelle della media della popolazione ed inoltre, a causa di ciò, incontrano
notevoli difficoltà di adattamento.
In linea di massima dovrebbe trovarsi in questa situazione una percentuale
compresa fra l’1% e il 2,5% della popolazione. Nella prassi italiana è certificato
come avente ritardo mentale circa l’1,3% dei minori.
Aspetti diagnostici
I problemi di tipo diagnostico sono molto complessi. Alcuni studiosi manifestano
perplessità sulla validità dei test di intelligenza ed altri sono preoccupati che
vengano classificati come aventi ritardo mentale soggetti con carenze solo a livello
culturale o di personalità. Comunque, se ben utilizzati, i test possono fornire
indicazioni molto utili.
Con riferimento alle prestazioni nei test di intelligenza tradizionalmente si
distinguono 4 livelli:
- lieve (QI da 55 a 70)
- moderato (40-55)
- grave (25-40)
- profondo (<25).
Tra i problemi teorici fondamentali particolare rilievo ha la contrapposizione tra
l’ipotesi del ritardo e quella dello sviluppo eterocronico. Alcuni sottolineano le prove
che evidenziano un ritardo omogeneo nelle prestazioni del soggetto (ad esempio
fra lo sviluppo cognitivo e quello motorio o linguistico), mentre altri enfatizzano
l’eterocronia o non omogeneità dello sviluppo.
I risultati non permettono di avvalorare solo una delle due ipotesi. Soprattutto
invitano a non generalizzare, nel senso che ciò che può valere per un tipo di ritardo
2
mentale (ad esempio per la Sindrome di Down) può non essere valido per un altro
tipo di ritardo mentale (ad esempio la Sindrome di Williams).
CAUSE
Il ritardo mentale può essere causato sia da fattori biologici che ambientali.
A volte esso è dovuto ad anormalità cromosomiche. Ci sono in particolare trisomie
dei cromosomi non sessuali (ad esempio la Trisomia 21 o sindrome di Down, la
trisomia 18 o sindrome di Edwards, la trisomia 13 o sindrome di Patau) e le
delezioni (ad esempio la delezione nel braccio corto del cromosoma 5 o sindrome
del “cri du chat”, la delezione nel braccio lungo del cromosoma 7 o sindrome di
Williams).
Tra le altre cause possiamo ricordare:
- la sclerosi tuberosa e la neurofibromatosi (condizioni ereditarie dominanti, per
cui se un genitore ne è affetto c’è 1 rischio su 2 che il figlio erediti la condizione)
- la craniostenosi (chiusura prematura delle suture craniche che può provocare
danni al cervello e agli occhi)
- la fenilchetonuria (con eredità recessiva e perciò rischio di 1:4; prevenibile con
una apposita dieta fin dai primi mesi di vita)
- la galattosemia (incapacità del neonato di metabolizzare il galattosio, una
componente del latte)
- la malattia di Tay Sachs (incapacità di metabolizzazione dei grassi)
- la sindrome di Hurler (immagazzinamento nelle cellule di mucopolissaccaridi,
sostanze associate con il metabolismo dei carboidrati)
- l’ipotiroidismo congenito (carenza dello sviluppo della ghiandola tiroidea)
- la microcefalia e la macrocefalia (idrocefalo e megacefalo).
Il ritardo mentale può inoltre essere causato da fattori biologici non genetici.
Tra i rischi prenatali vi sono rosolia, toxoplasmosi, sifilide e citomegalovirus. Sono
noti i gravi effetti sul feto della rosolia durante la gravidanza. Dal 1969 è a
disposizione un vaccino.
Anche l’incompatibilità (RH o ABO) del sangue materno e fetale può produrre
ritardo mentale .
Un ruolo negativo è svolto dalle droghe, dall’alcool e dal tabacco.
Tra i rischi perinatali vi sono quelli dovuti a prematurità ed asfissia.
Tra quelli postnatali vi sono encefalite, meningite (infiammazioni del cervello o
delle membrane che lo rivestono), traumi e tumori cerebrali, incidenti
cerebrovascolari ed avvelenamenti (ad esempio da piombo o da mercurio).
Una casistica ampia riguarda i rapporti fra lesioni cerebrali e ritardo mentale.
Anche malnutrizione e gravi carenze educative possono produrre ritardo mentale.
Quantitativamente i ritardi mentali dovuti a gravi carenze a livello educativo o
socioculturale costituiscono una minoranza. Tali fattori, infatti, più facilmente sono
responsabili di diagnosi di “difficoltà di apprendimento” o di “ritardo lieve nello
3
sviluppo cognitivo” (ma con QI superiori a 70) o di “disturbi nello sviluppo della
personalità” piuttosto che di un vero e proprio “ritardo mentale” (con QI sotto 70 o
addirittura meno di 60).
Studi condotti negli Stati Uniti hanno, comunque, evidenziato che gravi carenze
educative (ed in particolare livelli di intelligenza della madre al di sotto del QI 70) in
media causano un ritardo quantificabile attorno ai 15-25 punti in QI.
Cause biologiche, genetiche, anomalie cromosomiche
Sindrome di Wolf-Hirschhorn. Delezione nel braccio corto del cromosoma 4
Sindrome del “Cri-du-Chat”. Delezione nel braccio corto del cromosoma 5
Sindrome di Williams. Delezione nel braccio lungo del cromosoma 7
Sindrome da trisomia del cromosoma 8
Sindrome di Patau. Trisomia dei cromosomi 13 o 15
Anomalie del cromosoma 15
Sindrome di Angelman.Delezione sul braccio lungo del cromosoma 15
Sindrome di Prader Willi. Anomalie nel cromosoma 15
Sindrome da trisomia del cromosoma 15
Sindrome del cromosoma 15 ad anello
Sindrome di Rubinstein Taybi cromosoma 16
Sindrome di Smith – Magenis. Delezione parziale o completa della banda
cromosomica 17p11.2
Sindrome di Edwards. Trisomia del cromosoma 18
Sindrome con cromosoma 18 ad anello
Sindrome 18p-. Delezione del braccio corto del cromosoma 18
Sindrome di Down. Trisomia del cromosoma 21
Anomalie dei cromosomi sessuali a fenotipo sia maschile che femminile
Sindrome dell’X fragile
Sindrome di Rett. Mutazione dominante legata al cromosoma x
Sindrome di Lesch – Nyhan. Carattere recessivo legato al cromosoma x
Sindrome di Lowe. Carattere recessivo legato al cromosoma x
Anomalie dei cromosomi sessuali a fenotipo femminile
Sindrome di Turner. Cromosoma XXXX; XXXX; XXXXX
Anomalie dei cromosomi sessuali a fenotipo maschile
Sindrome di Klinefelter. Cromosoma XXY XYY; XXXY
TRATTAMENTO
Il trattamento del ritardo mentale si basa su interventi di tipo medico-farmacologico,
riabilitativo ed educativo.
Gli interventi psico-pedagogici richiedono una conoscenza molto approfondita degli
aspetti normali dello sviluppo. Ad esempio, un bambino di otto anni, ma con
prestazioni in uno o più campi analoghe a quelle dei bambini di quattro anni esige
che si conoscano i suoi deficit specifici, ma anche quale è di norma il livello
linguistico di un bambino di quattro anni (a livello fonologico, semantico,
morfologico-sintattico e pragmatico), quali sono le abilità che di norma a questa età
vengono espresse nel disegno, quali prestazioni si possono richiedere a livello di
memoria di lavoro, ecc...
4
Possiamo distinguere interventi volti al potenziamento degli strumenti cognitivi, alle
aree dell’autonomia e delle abilità sociali ed al sostegno della famiglia.
Interventi psico-terapeutici possono essere attuati quando emergono problemi
nello sviluppo affettivo o della personalità.
Dal punto di vista cognitivo la possibilità di attuare un recupero di qualunque entità
è strettamente legata a due ordini di fattori: la precocità dell’intervento ed il tipo di
tarining utilizzato.
E’ auspicabile una diagnosi precoce dello sviluppo cognitivo cui segua
l’applicazione tempestiva di programmi di intervento. In particolare è necessario
evidenziare se è di fronte ad uno sviluppo omogeneo, per quanto in ritardo, oppure
disomogeneo (eterocronico).
Affinchè l’intervento sia efficace e non interferisca sulla vita di relazione e sullo
sviluppo emotivo e relazionale del bambino, si preferiscono interventi centrati sulla
globalità della persona, che facciano riferimento soprattutto a ciò che il soggetto sa
fare nonostante la disabilità o, in altre parole, centrati non solo sul deficit, ma sui
meccanismi di compensazione scatenati dalla presenza del deficit.
E’ sempre più ritenuto fondamentale il coinvolgimento attivo del bambino. Gli studi
effettuati in una prospettiva metacognitiva sottolineano, almeno per i soggetti con
ritardo mentale lieve o moderato, l’importanza di affiancare ad interventi rivolti alle
abilità ed ai processi cognitivi, interventi che facciano riferimento alle convinzioni
che i bambini, come “persone che apprendono”, sviluppano su ciò che imparano e
sui processi cognitivi che permettono od impediscono di imparare.
Per quanto riguarda le aree delle autonomie e delle abilità sociali, si possono
distinguere interventi ad orientamento comportamentista, rivolti all’acquisizione di
abilità specifiche (ad esempio lavarsi, indossare indumenti di vestiario, cucinare
alcuni piatti od ancora eliminare comportamenti di disturbo o distruttivi manifestati
a scuola, ecc.) ed un orientamento più generale, che, senza negare l’utilità delle
proposte di cui sopra, sostiene l’importanza di un intervento più ampio, che
permetta la soddisfazione anche dei bisogni di tipo sociale, culturale, sportivo,
ecc., al fine di favorire uno sviluppo equilibrato della personalità.
Come in ambito educativo si tende all’integrazione scolastica, così si cerca di
favorire la partecipazione del minore con handicap alle attività ricreative, sportive e
culturali presenti sul territorio.
Il fatto che in Italia i minori con ritardo mentale siano per la grande maggioranza
inseriti in scuole normali ha comportato profonde modificazioni nelle modalità di
intervento (dapprima affidato agli operatori presenti nelle scuole speciali o negli
istituti), con una notevole responsabilità affidata agli operatori delle Aziende
Sanitarie Locali.
Si deve ammettere che, soprattutto a causa di gravi carenze di personale
(psicologi in particolare), molte famiglie non sono sufficientemente aiutate nel loro
gravoso (ma fondamentale) compito educativo.
Ci si augura che proprio a questo livello vi siano in futuro sostanziali miglioramenti.
5
Documento di approfondimento
Il Programma di Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha
cominciato ad impegnarsi a partire dai primi anni sessanta in iniziative volte a
migliorare la qualità della diagnosi e della classificazione delle sindromi e dei
disturbi psichici.
Negli anni successivi l’incremento dei contatti internazionali, accompagnato dalla
realizzazione di studi collaborativi internazionali e dalla disponibilità di nuovi
trattamenti hanno incoraggiato la produzione di specifici criteri di classificazione,
allo scopo di accrescere la riproducibilità della diagnosi.
La preparazione e la pubblicazione delle presenti Descrizioni Cliniche e Direttive
Diagnostiche rappresenta il prodotto del lavoro di molte persone che hanno lavoro
a questa iniziativa per diversi anni. Una classificazione è un modo di vedere il
mondo in un determinato momento.
Non vi è dubbio che il progresso scientifico e l’esperienza e l’uso di queste direttive
ne richiederà la revisione e l’aggiornamento.
Per ciascuna sindrome e ciascun disturbo, viene fornita una descrizione delle
principali caratteristiche cliniche e di eventuali aspetti associati importanti ma meno
specifici.
Vengono quindi fornite “direttive diagnostiche” che indicano il numero dei sintomi e
l’equilibrio tra essi solitamente richiesti perché possa essere posta una diagnosi
attendibile.
Le direttive sono strutturate in modo tale da assicurare un certo grado di flessibilità
nelle decisioni diagnostiche. Ciò è opportuno in diverse situazioni nelle quali
devono essere poste delle diagnosi provvisorie anche se il quadro clinico non è
completamente chiaro o l’informazione è incompleta.
ICD – 10 Decima revisione della classificazione internazionale delle sindromi
e dei disturbi psichici e comportamentali
Estratto
Indice della sezione
F70 Ritardo mentale lieve
F71 Ritardo mentale di media gravità
F72 Ritardo mentale grave
F73 Ritardo mentale profondo
F78 Ritardo mentale di altro tipo
F79 Ritardo mentale non specificato
Un'ulteriore cifra può essere aggiunta al codice per specificare il grado della
compromissione comportamentale associata:
F7x.0 nessuna, o minima, compromissione comportamentale
F7x.1 significativa compromissione comportamentale che richiede attenzione o
trattamento
F7x.8 altra compromissione comportamentale
F7x.9 senza compromissione comportamentale riportata
6
F70-F79 Ritardo mentale
Il ritardo mentale è una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico,
caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si manifestano
durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza,
cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie e sociali.
Il ritardo può presentarsi con o senza altre patologie psichiche o somatiche.
Comunque, gli individui mentalmente ritardati possono presentare tutta la gamma
delle sindromi psichiche, e la prevalenza di tali sindromi è almeno tre o quattro
volte maggiore in questo gruppo che nella popolazione generale.
L'adattamento sociale è quasi sempre compromesso, ma tale compromissione può
non essere evidente in soggetti con lieve ritardo mentale che vivono in ambienti
sociali protetti dove è disponibile un adeguato sostegno.
Se la causa del ritardo mentale è conosciuta, va utilizzata una codifica addizionale
tratta da un'altra sezione dell'ICD-10 (per esempio, F72 Ritardo mentale grave più
E00 Sindrome congenita da deficit di iodio).
La presenza di un ritardo mentale non esclude una diagnosi aggiuntiva codificata
altrove nel Capitolo V (F).
Tuttavia, le difficoltà nella comunicazione sono tali da rendere necessario, più che
in altre condizioni, che si faccia affidamento per la diagnosi sui sintomi
obiettivamente osservabili, come, nel caso di un episodio depressivo, il
rallentamento psicomotorio, la perdita di peso e di appetito e i disturbi del sonno.
Direttive diagnostiche
L'intelligenza non è una caratteristica unitaria, ma va valutata in base ad un ampio
numero di differenti abilità più o meno specifiche.
Sebbene la tendenza generale è che tutte queste abilità si sviluppino ad uno
stesso livello in ogni individuo, possono esserci ampie discrepanze, soprattutto nei
soggetti che sono mentalmente ritardati.
Essi possono mostrare gravi compromissioni in una particolare area (ad es. il
linguaggio), o possono avere un'area di abilità aumentata (ad es. nei compiti visuo-
spaziali semplici) su uno sfondo di ritardo mentale grave. Ciò comporta problemi
nella determinazione della categoria diagnostica in cui una persona ritardata va
inserita.
La determinazione del livello intellettivo deve essere basata su tutte le informazioni
disponibili, comprendenti l'evidenza clinica, I'adattamento sociale (giudicato in
relazione al contesto culturale in cui il soggetto è inserito) e la prestazione ai test
psicometrici.
Per una diagnosi di certezza, deve essere presente una compromissione del livello
di funzionamento intellettivo, che determina una ridotta capacita di adattarsi alle
richieste quotidiane di un ambiente sociale normale.
Le patologie mentali o somatiche associate hanno una rilevante influenza sul
quadro clinico e sull'uso che viene fatto delle diverse abilità. La scelta della
categoria diagnostica deve essere, pertanto, effettuata sulla base di una
valutazione globale delle capacità e non sull'esame di una singola area di
compromissione specifica.
7
I livelli di QI sono qui forniti come una guida e non devono essere applicati
rigidamente, in considerazione dei problemi di validità transculturale.
Le categorie sotto elencate sono divisioni arbitrarie di un continuum complesso e
non possono essere definite con precisione assoluta.
Il QI deve essere determinato con test intellettivi standardizzati e somministrati
individualmente per i quali sono stati determinati i valori normali per la cultura
locale.
Il test selezionato deve essere appropriato al livello individuale di funzionamento e
alle ulteriori condizioni di handicap presenti, ad esempio problemi a carico del
linguaggio espressivo, difficoltà uditive, compromissione somatica.
Scale di valutazione della maturità e dell'adattamento sociale, pure standardizzate
localmente, devono essere impiegate in tutti i casi in cui ciò è possibile,
intervistando un genitore o una persona che si prende cura del soggetto, che sia
informato sulle sue capacità nella vita di tutti i giorni. Senza l'uso di procedure
standardizzate è possibile soltanto una stima provvisoria del ritardo mentale.
F70 Ritardo mentale lieve
Le persone lievemente ritardate acquisiscono il linguaggio con qualche ritardo, ma
nella maggior parte dei casi raggiungono la capacità di usare la parola per le
esigenze della vita quotidiana, per tenere conversazioni e per sostenere il colloquio
clinico.
La maggior parte di esse raggiunge anche una piena indipendenza nella cura di sé
(nel mangiare, nel lavarsi, nel vestirsi, nel controllo degli sfinteri) e nelle abilità
pratiche e domestiche, anche se lo sviluppo è considerevolmente più lento del
normale.
Le maggiori difficoltà sono osservate in genere in ambito scolastico e molti hanno
problemi particolari nel leggere e nello scrivere.
Tuttavia, le persone lievemente ritardate possono essere molto aiutate da sistemi
educativi progettati per sviluppare le loro abilità e per compensare i loro handicap.
La maggior parte dei soggetti con le forme meno accentuate di ritardo mentale
lieve è potenzialmente utilizzabile per un lavoro che richieda capacità pratiche
piuttosto che teoriche, ivi compreso il lavoro di operaio non specializzato o
semispecializzato.
In un contesto socio-culturale in cui viene attribuita scarsa importanza al successo
scolastico, un ritardo lieve può non rappresentare per se stesso un problema.
Tuttavia, se è anche presente una notevole immaturità emotiva e sociale, si
renderanno evidenti le conseguenze dell'handicap (per es. l'inabilità a far fronte
alle responsabilità connesse al matrimonio o all'educazione dei figli, o la difficoltà
di adattarsi alle tradizioni e aspettative culturali).
In generale, le difficoltà comportamentali, emozionali e sociali del ritardato mentale
lieve e le necessità di trattamento o di supporto derivanti da esse, sono più simili a
quelle che si osservano in soggetti di normale intelligenza, piuttosto che ai
problemi specifici dei pazienti con ritardo moderato o grave.
Un'eziologia organica viene oggi identificata in una quota crescente di soggetti, per
quanto non ancora nella maggioranza.
8
Direttive diagnostiche
Se sono utilizzati test di QI adeguatamente standardizzati, il range tra 50 e 69 è
indicativo di ritardo lieve.
La comprensione e l'uso del linguaggio tendono ad essere ritardati in vario grado,
e problemi di espressione linguistica che interferiscono con lo sviluppo
dell'indipendenza possono persistere nella vita adulta.
Un'eziologia organica è identificabile solo in una minoranza dei soggetti.
Condizioni associate, come l'autismo, altre sindromi da alterato sviluppo
psicologico, l'epilessia, i disturbi della condotta o un handicap fisico, sono
osservate in una quota variabile di soggetti.
Se tali condizioni sono presenti, esse vanno codificate indipendentemente.
Include: debolezza di mente; subnormalità mentale lieve; oligofrenia lieve;
deficienza .
F71 Ritardo mentale di media gravità
I soggetti compresi in questa categoria sono lenti nello sviluppo della
comprensione e dell'uso del linguaggio, e il livello di funzionamento che
raggiungono in quest'area è modesto.
L'acquisizione della cura di sé e delle capacità motorie è pure ritardata, e alcuni di
essi necessitano di una supervisione per tutta la vita. Il loro profitto scolastico è
limitato ma una parte di essi acquisisce le capacità basilari necessarie per leggere
scrivere e far di conto.
Programmi di istruzione specifici possono consentire ai singoli individui di
sviluppare il proprio limitato potenziale e di acquisire alcune capacità essenziali:
essi sono modulati per soggetti che imparano lentamente e che hanno una
potenzialità ridotta di apprendimento.
Da adulti, i soggetti con ritardo mentale di media gravità sono di solito in grado di
eseguire semplici lavori manuali, se i compiti sono strutturati in maniera accurata e
viene assicurata una valida supervisione. Un livello di vita completamente
indipendente nell'età adulta è raramente raggiunto.
Questi soggetti sono, comunque, di regola completamente mobili e fisicamente
attivi, e la maggior parte di essi mostra un'evidente evoluzione sociale nelle proprie
capacità di stabilire contatti, comunicare con gli altri e impegnarsi in semplici
attività sociali.
Direttive diagnostiche
Il Ql è in genere compreso tra 35 e 49. Sono comuni in questo gruppo profili
discrepanti delle diverse abilità, con alcuni individui che raggiungono livelli più alti
nelle abilità visuo-spaziali che nei compiti dipendenti dal linguaggio, mentre altri
sono estremamente impacciati nei movimenti, ma mostrano una certa capacità di
interazione sociale e di conversazione elementare.
Il livello di sviluppo del linguaggio è variabile: alcuni soggetti possono prendere
parte a semplici conversazioni, mentre altri acquisiscono solamente il linguaggio
sufficiente per comunicare i propri bisogni elementari. Alcuni non imparano mai ad
usare il linguaggio, benché possano comprendere istruzioni semplici e imparare ad
usare segni manuali per compensare in qualche misura i propri deficit linguistici.
9
Nella maggior parte dei soggetti con ritardo mentale di media gravità si può
identificare un'eziologia organica.
L'autismo infantile o altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico
sono presenti in un certo numero di casi ed hanno un effetto rilevante sul quadro
clinico e sul tipo di assistenza richiesto.
Sono anche comuni l'epilessia e gli handicap neurologici e fisici, benché la
maggior parte dei soggetti sia in grado di camminare senza bisogno di assistenza.
A volte è possibile identificare altre condizioni psichiatriche, ma il limitato livello di
sviluppo del linguaggio può rendere la diagnosi difficile e subordinata alle
informazioni ottenute dalle persone che conoscono il soggetto.
Qualunque condizione patologica associata deve essere codificata
indipendentemente.
Include: imbecillità; subnormalità mentale di media gravità; oligofrenia di media
gravità.
F72 Ritardo mentale grave
Questa forma è largamente simile al ritardo mentale di media gravità rispetto al
quadro clinico, alla presenza di un'eziologia organica e alle condizioni associate. I
livelli più bassi di funzionamento menzionati in quella categoria sono i più frequenti
in questo gruppo.
La maggior parte delle persone comprese in questa categoria soffre di un grado
marcato di deficit motorio o di altri deficit associati, che indicano la presenza di un
danno o di un alterato sviluppo del sistema nervoso centrale clinicamente
significativo.
Direttive diagnostiche
Il QI è generalmente compreso tra 20 e 34.
Include: subnormalità mentale grave; oligofrenia grave.
F73 Ritardo mentale profondo
In questa categoria il QI è valutato inferiore a 20 la qual cosa significa in pratica
che le persone affette sono gravemente limitate nella loro capacità di capire
richieste e istruzioni o di adeguarsi ad esse.
I soggetti compresi in questa categoria sono in maggioranza immobili o
gravemente limitati nella mobilità, incontinenti e capaci al massimo di forme molto
rudimentali di comunicazione non verbale.
Essi posseggono scarsa o nessuna capacità di prendersi cura dei propri bisogni
elementari e richiedono costante aiuto e supervisione .
Direttive diagnostiche
Il QI è inferiore a 20. La comprensione e l'uso del linguaggio sono limitati, nel
migliore dei casi, alla capacità di capire alcuni semplici comandi e di rivolgere
richieste elementari.
Possono essere acquisite le più semplici e basilari capacità visuo-spaziali di
selezione e accoppiamento, e il soggetto può essere in grado, con un'appropriata
supervisione e guida, di partecipare, per una piccola parte, alle attività domestiche
e pratiche.
Un'eziologia organica può essere identificata nella maggior parte dei casi.
10
Sono comuni gravi handicap neurologici o fisici che compromettono la mobilità,
come pure l'epilessia e le compromissioni della vista e dell'udito. Le sindromi da
alterazione globale dello sviluppo psicologico, nelle loro forme più gravi,
specialmente l'autismo atipico, sono particolarmente frequenti, soprattutto nei
soggetti che sono in grado di muoversi.
Include: idiozia; subnormalità mentale profonda; o]igofrenia profonda.
F78 Ritardo mentale di altro tipo
Questa categoria deve essere utilizzata unicamente quando la valutazione del
grado di ritardo mentale per mezzo delle abituali procedure è resa particolarmente
difficile o impossibile dalla presenza di deficit sensoriali o fisici come nei soggetti
ciechi, nei sordomuti e nei soggetti con gravi disturbi dei comportamento o
fisicamente handicappati.
F79 Ritardo mentale non specificato
Si tratta di quei casi in cui vi è evidenza di ritardo mentale, ma l'informazione non è
sufficiente perché il soggetto sia assegnato ad una delle categorie precedenti.
Include: deficienza mentale non altrimenti specificata, subnormalità mentale non
altrimenti specificata; oligofrenia non altrimenti specificata.
DSM – IV MANUALE DIAGNOSTICO E STATISTICO DEI DISTURBI MENTALI
Estratto
RITARDO MENTALE
Caratteristiche diagnostiche
La caratteristica fondamentale del Ritardo Mentale è un funzionamento intellettivo
generale significativamente al di sotto della media (Criterio A) che è accompagnato
da significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno due delle seguenti
aree:
- delle capacità di prestazione: comunicazione, cura della persona, vita in
famiglia
- capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità,
autodeterminazione
- capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute, e Sicurezza
(Criterio B).
- L’esordio deve avvenire prima dei 18 anni (Criterio C).
Il Ritardo Mentale ha molte diverse eziologie e può essere visto come la via finale
comune di vari processi patologici che agiscono sul funzionamento del sistema
nervoso centrale.
Il funzionamento intellettivo generale è definito dal quoziente di intelligenza (QI o
equivalenti del QI) ottenuto tramite la valutazione con uno o più test di intelligenza
standardizzati somministrati individualmente (per es., la Scala di Intelligenza
Wechsler per i Bambini - Edizione Aggiornata, la Stanford Binet, la Batteria di
Valutazione di Kaufman per i Bambini).
Un funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media è definito da
un QI di circa 70 o inferiore (circa 2 deviazioni standard al di sotto della media).
11
Si dovrebbe notare che nella valutazione del QI esiste un errore di misurazione di
circa 5 punti, che può tuttavia variare da strumento a strumento (per es., un QI di
70 al Wechsler viene considerato rappresentativo di un'estensione da 65 a 75).
Quindi è possibile diagnosticare un Ritardo Mentale in soggetti con un QI tra 70 e
75 che mostrano deficit significativi del comportamento adattivo. Al contrario, un
Ritardo Mentale non dovrebbe essere diagnosticato ad un soggetto con un QI
inferiore a 70 se non vi sono deficit significativi o compromissione del
funzionamento adattivo.
La scelta degli strumenti di valutazione e l’interpretazione dei risultati dovrebbe
tener conto di fattori che possono limitare la prestazione (per es., il retroterra
socioculturale del soggetto, la lingua madre, e gli handicap di comunicazione,
motori, e sensoriali associati).
Quando esiste una dispersione significativa nei punteggi delle diverse parti dei
test, sarà il profilo del punti di tenuta e di caduta, piuttosto che il QI calcolato
matematicamente su tutte le scale, a riflettere in modo più accurato le capacità di
apprendimento del soggetto.
Quando esiste una notevole discrepanza tra i punteggi verbali e quelli di
performance, fare la media per ottenere un punteggio del QI globale può indurre in
errore.
I soggetti con Ritardo Mentale giungono alla osservazione più per le
compromissioni del funzionamento adattivo che per il QI basso.
Il funzionamento adattivo fa riferimento all'efficacia con cui i soggetti fanno fronte
alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di
autonomia personale previsti per la loro particolare fascia di età, retroterra
socioculturale, e contesto ambientale. Il funzionamento adattivo può essere
influenzato da vari fattori, che includono l'istruzione, la motivazione, le
caratteristiche di personalità, le prospettive sociali e professionali, e i disturbi
mentali e le condizioni mediche generali che possono coesistere col Ritardo
Mentale.
I problemi di adattamento sono più suscettibili di miglioramento con tentativi di
riabilitazione di quanto non sia il QI cognitivo, che tende a rimanere un attributo più
stabile.
È utile evidenziare i deficit del funzionamento adattivo da una o più fonti
indipendenti affidabili (per es. valutazione da parte degli insegnanti e storia
scolastica, dello sviluppo e medica). Sono state predisposte anche diverse scale
per misurare il funzionamento o il comportamento adattivo (per es., le Scale
Vineland per il Comportamento Adattivo, e la Scala per il Comportamento Adattivo
dell'Associazione Americana per il Ritardo Mentale).
Queste scale generalmente forniscono un punteggio clinico limite che tiene conto
delle prestazioni in diversi ambiti di capacità adattive.
Si deve notare che alcuni di questi strumenti non misurano certe aree adattive, e
che a loro volta i punteggi riguardanti le singole aree adattive variano
considerevolmente per quanto riguarda l'attendibilità.
12
Come nella valutazione del funzionamento intellettivo, si dovrebbe considerare
l'adeguatezza dello strumento rispetto al retroterra socioculturale del soggetto, alla
sua istruzione, agli handicap associati alla motivazione e alla collaborazione.
Per esempio, la presenza di handicap significativi invalida molti degli standard
delle scale adattive. Inoltre, i comportamenti che normalmente potrebbero essere
considerati di disadattamento (per es dipendenza, passività) possono dar prova di
buon adattamento nel contesto di una particolare situazione di vita del soggetto
(per es., in alcuni ambienti istituzionali)
Gradi di gravità del Ritardo Mentale
Possono essere specificati 4 gradi di gravità, che riflettono il livello della
compromissione intellettiva: Lieve, Moderato, Grave e Gravissimo.
F70.9 Ritardo Mentale Lieve [317] livello del Ql da 50-55 a circa 70
F71.9 Ritardo Moderato [318.0] livello del QI da 3540 a 50-55
F72.9 Ritardo Mentale Grave [318.1] livello del QI da 20-25 a 35-40
F73.9 Ritardo Mentale Gravissimo [318.2] livello del Ql sotto 20 o 25.
F79.9 Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata (319)
Può essere usato quando c'è forte motivo di supporre un Ritardo Mentale, ma
l'intelligenza del soggetto non è valutabile con i test standard (per es., in soggetti
troppo compromessi o non collaborativi, o nella prima infanzia).
F70.9 Ritardo Mentale Lieve (317)
Il Ritardo Mentale Lieve equivale all’ incirca a ciò a cui si faceva riferimento con la
categoria educazionale di "educabili". Questo gruppo costituisce la parte più ampia
(circa l'85%) dei soggetti affetti da questo disturbo. Come categoria, i soggetti con
questo livello di Ritardo Mentale tipicamente sviluppano capacità sociali e
comunicative negli anni prescolastici (da 0 a 5 anni di età), hanno una
compromissione minima nelle aree sensomotorie, e spesso non sono distinguibili
dai bambini senza Ritardo Mentale fino ad un'età più avanzata. Prima dei 20 anni,
possono acquisire capacità scolastiche corrispondenti all'incirca alla quinta
elementare. Durante l'età adulta, essi di solito acquisiscono capacità sociali e
occupazionali adeguate per un livello minimo di autosostentamento, ma possono
aver bisogno di appoggio, di guida, e di assistenza, specie quando sono sottoposti
a stress sociali o economici inusuali.
Con i sostegni adeguati, i soggetti con Ritardo Mentale Lieve possono di solito
vivere con successo nella comunità, o da soli o in ambienti protetti .
F71.9 Ritardo Mentale Moderato (318.0)
Il Ritardo Mentale Moderato è all'incirca equivalente a ciò a cui si faceva
riferimento con la categoria educazionale di "addestrabili". Questo termine ormai
sorpassato non dovrebbe essere usato perché implica erroneamente che i soggetti
con Ritardo Mentale Moderato non possono beneficiare di programmi
educazionali. Questo gruppo costituisce circa il 10% dell'intera popolazione di
soggetti con Ritardo Mentale. La maggior parte dei soggetti con questo livello di
Ritardo Mentale acquisisce capacità comunicative durante la prima fanciullezza.
Essi traggono beneficio dall'addestramento professionale e, con una moderata
supervisione, possono provvedere alla cura della propria persona. Possono anche
13
beneficiare dell'addestramento alle attività sociali e lavorative, ma difficilmente
progrediscono oltre il livello della seconda elementare nelle materie scolastiche.
Possono imparare a spostarsi da soli in luoghi familiari. Durante l'adolescenza, le
loro difficoltà nel riconoscere le convenzioni sociali possono interferire nelle
relazioni con i coetanei. Nell'età adulta, la maggior parte riesce a svolgere lavori
non specializzati, o semispecializzati, sotto supervisione in ambienti di lavoro
protetti o normali. Essi si adattano bene alla vita in comunità, di solito in ambienti
protetti.
F72.9 Ritardo Mentale Grave (318.1)
Il gruppo con Ritardo Mentale Grave costituisce il 34% dei soggetti con Ritardo
Mentale. Durante la prima fanciullezza essi acquisiscono un livello minimo di
linguaggio comunicativo, o non lo acquisiscono affatto. Durante il periodo
scolastico possono imparare a parlare e possono essere addestrati alle attività
elementari di cura della propria persona. Essi traggono un beneficio limitato
dall'insegnamento delle materie prescolastiche, come familiarizzarsi con l'alfabeto
e svolgere semplici operazioni aritmetiche, ma possono acquisire capacità come
l'imparare a riconoscere a vista alcune parole per le necessità elementari. Nell'età
adulta, possono essere in grado di svolgere compiti semplici in ambienti altamente
protetti. La maggior parte di essi si adatta bene alla vita in comunità, in comunità
alloggio o con la propria famiglia, a meno che abbiano un handicap associato che
richieda assistenza specializzata o altre cure.
F73.9 Ritardo Mentale Gravissimo (318.2)
I gruppo con Ritardo Mentale Gravissimo costituisce circa un 1-2% dei soggetti con
Ritardo Mentale. La maggior parte dei soggetti con questa diagnosi ha una
condizione neurologica diagnosticata che spiega il Ritardo Mentale. Durante la
prima infanzia, essi mostrano considerevole compromissione del funzionamento
sensomotorio. Uno sviluppo ottimale può verificarsi in un ambiente altamente
specializzato con assistenza e supervisione costanti, e con una relazione
personalizzata con la figura che si occupa di loro. Lo sviluppo motorio e le capacità
di cura della propria persona e di comunicazione possono migliorare se viene
fornito un adeguato addestramento. Alcuni possono svolgere compiti semplici in
ambienti altamente controllati e protetti.
F79.9 Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata (319)
La diagnosi di Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata dovrebbe essere usata
quando vi è forte motivo di supporre un Ritardo Mentale, ma il soggetto non può
essere valutato adeguatamente con i test di intelligenza standardizzati. Ciò può
accadere con i bambini gli adolescenti, o gli adulti che sono troppo compromessi o
troppo poco collaborativi per essere testati, oppure, nell'infanzia, quando esiste
una valutazione clinica di funzionamento intellettivo significativamente al di sotto
della media, ma i test disponibili (per es., le Scale Bayley per lo Sviluppo Infantile,
le Scale Cattell per l'Intelligenza Infantile, e altri) non forniscono valori di QI. In
generale, minore è l'età, più difficile è la valutazione della presenza di un Ritardo
Mentale, tranne nei soggetti con compromissione gravissima.
14
Procedure di registrazione
Il codice diagnostico specifico per il Ritardo Mentale è scelto sulla base del livello
di gravità come indicato in precedenza, e viene codificato sull'Asse II. Se il Ritardo
Mentale è associato ad un altro disturbo mentale (per es., Disturbo Autistico), il
disturbo mentale aggiuntivo viene codificato sull'Asse I. Se il Ritardo Mentale è
associato con una condizione medica generale (per es., sindrome di Down), la
condizione medica generale viene codificata sull'Asse III.
Caratteristiche descrittive e disturbi mentali associati
Non vi sono caratteristiche specifiche di personalità e di cormportamento associate
in maniera esclusiva al Ritardo Mentale. Alcuni soggetti con Ritardo Mentale sono
passivi, tranquilli, e dipendenti, mentre altri possono essere aggressivi e impulsivi.
La mancanza di capacità di comunicazione può predisporre a comportarmenti
dirompenti e aggressivi, che sostituiscono la comunicazione verbale.
Alcune condizioni mediche generali associate col Ritardo Mentale sono
caratterizzate da determinati sintomi comportamentali (per es., il comportamento
autolesivo intrattabile associato con la sindrome di Lesch-Nyhan).
I soggetti con Ritardo Mentale possono essere esposti allo sfruttamento da parte di
altri (per es., abusi fisici e sessuali), o alla negazione di diritti e di opportunità.
I soggetti con Ritardo Mentale hanno una prevalenza di disturbi mentali in
comorbidità che è stimata da tre a quattro volte superiore rispetto alla popolazione
generale.
In alcuni casi ciò può essere la conseguenza di un'eziologia che è comune al
Ritardo Mentale e al disturbo mentale associato (per es., un trauma cranico può
avere come conseguenza un Ritardo Mentale e una Modificazione della
Personalità Dovuta a Trauma Cranico).
Si possono osservare tutti i tipi di disturbo mentale, e non è dimostrato che la
natura di un dato disturbo mentale sia diversa nei soggetti affetti da Ritardo
Mentale.
La diagnosi di disturbi mentali in comorbidità è, in ogni caso, spesso complicata dal
fatto che il quadro clinico può essere modificato dalla gravità del Ritardo Mentale e
dagli handicap associati.
I deficit nelle capacità di comunicazione possono avere come risultato
un'incapacità di fornire un'anamnesi adeguata (per es., la diagnosi di Disturbo
Depressivo Maggiore in un adulto non in grado di comunicare e affetto da Ritardo
Mentale è spesso basata soprattutto su manifestazioni come umore depresso,
irritabilità, anoressia, o insonnia, che vengono rilevate da altri).
Più frequentemente che nel caso di soggetti senza Ritardo Mentale, può essere
difficile scegliere una diagnosi specifica, e in tali casi si può usare
appropriatamente la categoria Non Altrimenti Specificato (per es., Disturbo
Depressivo Non Altrimenti Specificato).
I disturbi mentali più comunemente associati sono il Disturbo da Deficit di
Attenzione/lperattività, i Disturbi dell'Umore, i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo,
il Disturbo da Movimenti Stereotipati e i Disturbi Mentali Dovuti ad una Condizione
Medica Generale (per es., Demenza Dovuta a Trauma Cranico).
I soggetti con Ritardo Mentale dovuto a sindrome di Down possono avere maggiori
probabilità di sviluppare una Demenza Tipo Alzheimer. Le modificazioni
15
patologiche cerebrali associate con questo disturbo di solito si sviluppano all'inizio
del quinto decennio di vita di questi soggetti, sebbene i sintomi clinici della
demenza siano evidenti solo in seguito.
Fattori predisponenti
I fattori eziologici possono essere primariamente biologici o primariamente
psicosociali, o una combinazione di entrambi. In circa il 30-40% dei soggetti giunti
all'osservazione clinica, non può essere determinata un'eziologia chiara per il
Ritardo Mentale nonostante gli intensi sforzi diagnostici. I principali fattori
predisponenti includono:
ereditarietà (circa il 5%): questi fattori includono errori congeniti del metabolismo
trasmessi soprattutto per via autosomica recessiva (per es., malattia di TaySachs),
altre anomalie di un singolo gene a trasmissione mendeliana e ad espressività
variabile (per es. sclerosi tuberosa), e aberrazioni cromosomiche (sindrome di
Down dovuta a traslocazione, sindrome dell'X fragile);
alterazioni precoci dello sviluppo embrionale (circa il 30%): questi fattori inducono
mutazioni cromosomiche (per es., sindrome di Down dovuta a trisomia 21) o danni
prenatali dovuti a sostanze tossiche (per es., uso di alcool da parte della madre,
infezioni);
problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale (circa il 10%): questi
fattori includono la malnutrizione del feto, la prematurità, I'ipossia, infezioni virali o
altre infezioni, e traumi;
condizioni mediche generali acquisite durante l'infanzia o la fanciullezza (circa il
5%): questi fattori includono infezioni, traumi, e avvelenamenti (per es., da
piombo);
influenze ambientali e altri disturbi mentali (circa il 15-20%): questi fattori
includono la mancanza di accudimento e di stimolazioni sociali, verbali, o di altre
stimolazioni, e disturbi mentali gravi (per es., Disturbo Autistico).
Reperti di laboratorio associati
Oltre ai risultati dei test psicologici e sul comportamento adattivo che sono
necessari per la diagnosi di Ritardo Mentale, non vi sono dati di laboratorio
associati in maniera esclusiva al Ritardo Mentale.
I dati diagnostici di laboratorio possono essere collegati con una concomitante e
specifica condizione medica generale (per es. dati sui cromosomi in vari disturbi
genetici alto tasso ematico di fenilalanina nella fenilchetonuria, o anomalie alla
visualizzazione del sistema nervoso centrale).
Reperti dell'esame fisico e condizioni mediche generali associate
Non vi sono caratteristiche fisiche specifiche associate col Ritardo Mentale.
Quando il Ritardo Mentale fa parte di una specifica sindrome, saranno presenti le
caratteristiche cliniche di quella sindrome (per es. Ie caratteristiche fisiche della
sindrome di Down).
Più grave è il Ritardo Mentale (specie se è grave o gravissimo), più alta è la
probabilità di condizioni neurologiche (per es. convulsioni), neuromuscolari, visive,
uditive, cardiovascolari, e di altre condizioni.
16
Caratteristiche collegate a cultura, età e genere
Ci si dovrebbe accuratamente assicurare che le procedure di valutazione
intellettiva riflettano un'adeguata attenzione al retroterra etnico o culturale del
soggetto.
Ciò si realizza solitamente usando test in cui le caratteristiche salienti del soggetto
sono rappresentate nel campione di standardizzazione del test o impiegando un
esaminatore che ha familiarità con gli aspetti del retroterra etnico o culturale del
soggetto.
Per fare diagnosi di Ritardo Mentale è sempre richiesta una valutazione
individualizzata. La prevalenza del Ritardo Mentale dovuto a fattori biologici
conosciuti è simile nei bambini appartenenti alle classi socioeconomiche superiori
e inferiori, ad eccezione di certi fattori eziologici che sono legati allo status
socioeconomico meno elevato (per es. I'avvelenamento da piombo e la
prematurità).
Nei casi in cui non si può identificare alcuna causa biologica specifica, le classi
socioeconomiche inferiori sono sovrarappresentate, e il Ritardo Mentale è di solito
più lieve, sebbene tutti i livelli di gravità siano rappresentati. Nel valutare la
compromissione delle capacità adattive si dovrebbe tener conto delle
considerazioni riguardanti lo sviluppo, perché alcune aree delle capacità di
prestazione sono meno rilevanti in età diverse (per es., I'uso delle risorse della
comunità o il lavoro nei bambini in età scolare). Il Ritardo Mentale è più comune tra
i maschi, con un rapporto maschi-femmine di 1,5:1
Prevalenza
Il tasso di prevalenza del Ritardo Mentale è stato stimato intorno all'1%.
Comunque, studi diversi hanno riportato tassi diversi a seconda delle definizioni
usate, dei metodi di valutazione, e della popolazione studiata.
Decorso
La diagnosi di Ritardo Mentale richiede che l'insorgenza del disturbo sia avvenuta
prima dei 18 anni di età. L'età e le modalità di esordio dipendono dall'eziologia e
dalla gravità del Ritardo Mentale.
Il ritardo più grave, specie quando è associato ad una sindrome con fenotipo
caratteristico, tende ad essere riconosciuto più precocemente (per es., la sindrome
di Down è di solito diagnosticata alla nascita).
Al contrario, il Ritardo Lieve di origine sconosciuta è generalmente individuato più
tardi. Nei casi più gravi di ritardo dovuto a cause acquisite, la compromissione
intellettiva si svilupperà più bruscamente (per es., ritardo a seguito di
un'encefalite).
Il decorso del Ritardo Mentale è influenzato dal decorso delle condizioni mediche
generali sottostanti e da fattori ambientali (per es., opportunità scolastiche e altre
opportunità, stimolazione ambientale e adeguatezza della gestione).
Se la condizione medica generale sottostante è statica, è più probabile che il
decorso sia variabile e dipendente da fattori ambientali. Il Ritardo Mentale non dura
necessariamente tutta la vita. Soggetti che erano affetti da un Ritardo Mentale
Lieve nei primi anni di vita, manifestato con incapacità nei compiti di
apprendimento scolastico, con un training e opportunità adeguati sviluppano buone
17
capacità adattive in altri ambiti e possono non presentare più il livello di
compromissione richiesto per la diagnosi di Ritardo Mentale.
Familiarità
Data l'eterogeneità eziologica, non vi sono caratteristiche familiari applicabili al
Ritardo Mentale come categoria generale. L'ereditabilità del Ritardo Mentale è
discussa nei "Fattori predisponenti".
Diagnosi differenziale
I criteri diagnostici per il Ritardo Mentale non comprendono un criterio di
esclusione: quindi, si dovrebbe fare diagnosi ogni volta che i criteri vengono
soddisfatti, a prescindere dalla presenza di un altro disturbo e in aggiunta ad esso.
Nei Disturbi dell'Apprendimento o nei Disturbi della Comunicazione (non
associati a Ritardo Mentale) è compromesso lo sviluppo in un'area specifica (per
es., lettura, linguaggio espressivo), ma manca una compromissione generalizzata
dello sviluppo intellettivo e del funzionamento adattivo.
Un Disturbo dell'Apprendimento o un Disturbo della Comunicazione possono
essere diagnosticati in un soggetto con Ritardo Mentale se il deficit specifico è
eccessivo rispetto alla gravità del Ritardo Mentale.
Nei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo vi è una compromissione qualitativa
dell'interazione sociale reciproca e dello sviluppo delle capacità di comunicazione
sociale di tipo verbale e non verbale. Il Ritardo Mentale spesso accompagna i
Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (il 75-80% dei soggetti con un Disturbo
Generalizzato dello Sviluppo ha anche un Ritardo Mentale).
Alcuni casi di Ritardo Mentale esordiscono dopo un periodo di funzionamento
normale e possono autorizzare una diagnosi aggiuntiva di demenza. Una diagnosi
di demenza richiede che la compromissione della memoria e gli altri deficit cognitivi
costituiscano un declino significativo rispetto ad un precedente livello di
funzionamento più elevato.
Dato che può essere difficile determinare il livello precedente di funzionamento in
bambini molto piccoli, la diagnosi di demenza può non essere appropriata se il
bambino ha meno di 4-ó anni. In generale, per i soggetti sotto i 18 anni di età, la
diagnosi di demenza viene fatta solo se la condizione non è definita in maniera
soddisfacente dalla sola diagnosi di Ritardo Mentale.
Il Funzionamento Intellettivo Limite corrisponde a un'estensione di valori di QI
che è maggiore rispetto al Ritardo Mentale (di solito 71-84).
Come discusso in precedenza, un punteggio di QI può comportare un errore di
misurazione di circa 5 punti, a seconda dello strumento di valutazione. Quindi, è
possibile diagnosticare un Ritardo Mentale in soggetti con QI tra 71 e 75 se sono
presenti deficit significativi nel comportamento adattivo che soddisfano i criteri per
il Ritardo Mentale.
La distinzione tra Ritardo Mentale Lieve e Funzionamento Intellettivo Limite
richiede un attento esame di tutte le informazioni disponibili.
Relazione con altre classificazioni del Ritardo Mentale
Il sistema di classificazione della Società Americana per il Ritardo Mentale (AAMR)
include gli stessi tre criteri (cioè, funzionamento intellettivo significativamente al di
18
sotto della media, limitazioni nelle capacità adattive, ed esordio prima dei 18 anni
di età).
Nella classificazione della AAMR, il criterio del funzionamento significativamente al
di sotto della media fa riferimento ad un punteggio standard di 70-75 o meno (che
tiene conto del potenziale errore di misurazione di 5 punti in più o in meno nella
valutazione del QI). Inoltre, il DSM-IV specifica i livelli di gravità, mentre il sistema
di classificazione del 1992 della AAMR specifica “Tipi e Livello del Supporto
Richiesto" (cioè, "Intermittente, Limitato, Estensivo, e Totale"), che non sono
direttamente paragonabili con i livelli di gravità del DSM-IV.
La definizione di menomazioni dello sviluppo secondo la Public Law 95-602
(1978)*, non è limitata al Ritardo Mentale ed è basata su criteri funzionali. Questa
legge definisce menomazione dello sviluppo una menomazione attribuibile ad una
compromissione mentale o fisica, manifestatasi prima dei 22 anni di età, che
probabilmente continuerà indefinitamente, e che causa una sostanziale limitazione
di tre o più aree specifiche del funzionamento, e richiede assistenza specifica a
vita o protratta.
Relazione con i criteri diagnostici per la ricerca dell'ICD-10
I metodi di definizione del livello di gravità del Ritardo Mentale differiscono
leggermente nei due sistemi. I criteri diagnostici per la ricerca dell'ICD-10
definiscono i livelli con punteggi limite precisi: il Ritardo Lieve è delimitato tra 50 e
69, il Moderato tra 35 e 49, il Grave tra 20 e 34, e il Gravissimo al di sotto di 20.
Al contrario, il DSM-IV prevede una flessibilità maggiore nel collegare la gravità ad
un dato punteggio di QI definendo i livelli di gravità con punteggi che si
sovrappongono. Nel margine di sovrapposizione, la gravità è determinata dal livello
di funzionamento adattivo.
CAP. 2 L’ INTEGRAZIONE SCOLASTICA
L’integrazione scolastica in Italia dal 1970 ad oggi
La storia dell’integrazione scolastica in Italia trova nei richiami legislativi utili
elementi di comprensione. La conoscenza delle tappe più significative che hanno
portato all’ingresso nella scuola di tutti gli alunni handicappati appare di
fondamentale importanza per tutti coloro che sono impegnati professionalmente
nel processo di riduzione degli handicap.
In questa sede si richiamano le principali leggi che hanno orientato la politica
dell’integrazione nel nostro paese con un particolare riferimento ai criteri di
assegnazione ed alle competenze richieste al personale di sostegno alle classi in
cui sono inseriti alunni in difficoltà.
_____
A partire dagli anni Sessanta in Italia sorsero un po' ovunque scuole speciali e
classi differenziali. Lo sviluppo fu addirittura sproporzionato rispetto alla quantità
dei bambini in situazione di handicap, poiché vennero inseriti nelle scuole speciali
19
anche alunni non in situazione di handicap, ma con svantaggio socio-culturale o
con problemi di disciplina scolastica.
Dal 1970 emersero sempre più i rischi presenti nella segregazione delle scuole
speciali: genitori ed insegnanti iniziarono tentativi di inserimento.
Sulla scia di queste pressioni sociali e delle norme relative all'integrazione che nel
frattempo erano state emanate in alcuni degli Stati Uniti e nelle nazioni
scandinave, in Italia vennero promulgate leggi (e relative circolari, ordinanze, ecc.)
particolarmente innovative.
La legge 517 del 1977:
- stabilì "forme di integrazione e sostegno a favore degli alunni portatori di
handicap sia nella scuola elementare, che media inferiore";
- fu inoltre previsto che "le classi che accolgono portatori di handicap siano
costituite da un massimo di 20 alunni" (norma oggi non più attuale; vedi avanti);
- per gli alunni in situazione di handicap furono previsti anche insegnanti
specializzati per il sostegno;
- vennero abolite le classi differenziali e di aggiornamento.
Nel 1979 (C.M. n. 199) si stabilì che ogni insegnante di sostegno poteva seguire al
massimo 4 alunni.
Ulteriori disposizioni disciplinarono l'integrazione anche nella scuola materna.
Nei Nuovi Programmi Didattici per la Scuola Elementare (DPR 12-2-1985) furono
definitivamente sanzionati i principi dell'integrazione dei bambini in situazione di
handicap.
Alla fine degli anni Ottanta, sulla base di norme che fecero seguito ad una
Sentenza della Corte Costituzionale (n. 215 del 1987), venne stabilito che anche
nella Scuola Media Superiore l'integrazione degli studenti con handicap doveva
essere non solo facilitata, ma "assicurata".
La normativa poteva essere applicata in modo più o meno fedele e comunque
doveva essere interpretata. Essa, ad esempio, non stabiliva con precisione i criteri
per decidere quando un bambino dovesse essere certificato in situazione di
handicap, se un particolare bambino dovesse, data la gravità delle sue difficoltà,
essere inserito in classe normale oppure in scuola speciale oppure quando la
gravità dell'handicap fosse tale da richiedere che un insegnante di sostegno
dovesse seguire un solo bambino.
La realtà attuale, sorta sulla base degli atteggiamenti della popolazione e delle
decisioni effettuate dai genitori, dagli operatori scolastici e da quelli sociosanitari è
caratterizzata, come illustriamo più avanti, dal fatto che in Italia:
- è certificato in situazione di handicap l'1,52% della popolazione scolastica:
0,88% nella scuola dell'infanzia,1,86% nella scuola elementare, 2,37% nella
scuola media inferiore e 0,87% e nelle scuole medie superiori (M.P.I., 2001);
- il rapporto tra insegnanti di sostegno ed alunni in situazione di handicap è di 2,2
alunni in situazione di handicap per ogni insegnante di sostegno (esattamente,
nel 2000, 60.457 insegnanti di sostegno, corrispondenti al 7,56% del personale
docente, rispetto a 133.029 allievi certificati in situazione di handicap);
20
- il 97,8% degli allievi certificati in situazione di handicap (M.P.I., 2001), compresi
alcuni molto gravi (ad esempio con cerebrolesioni notevoli, con più disabilità
gravi o autistici) sono inseriti in classe normale.
Purtroppo i dati ministeriali non distinguono adeguatamente i vari tipi di handicap,
considerando solo le categorie: minorati della vista, dell'udito e psicofisici (non
sempre distinguendo fra "prevalentemente psichici" e "prevalentemente fisici").
A titolo esemplificativo il bambino con turbe nevrotiche (ma intelligente) o quello
autistico sono inseriti nella stessa categoria in cui vi sono i bambini con sindrome
di Down.
Secondo Vianello (1999) il confronto fra i dati italiani a disposizione indica le
frequenze di cui nella tabella che segue (prendendo come riferimento gli allievi
presenti nella scuola elementare). Come si può notare su 100 alunni con handicap,
65 hanno un ritardo mentale, cioè gravi carenze a livello intellettuale.
Tabella 6.1 Frequenza dei vari tipi di danno/disabilità secondo i criteri
maggiormente utilizzati in Italia per definire un alunno come in situazione di
handicap Tipo di danno/disabilità Percentuale rispetto alla Percentuale (approssimata
all'unità) popolazione dei coetanei rispetto agli alunni con handicap:
- Visivo 0,03 2
- Uditivo 0,08 4
- Motorio (non mentale) 0,18 10
- Mentale 1,23 66
- Nevrotico, psicotico e/o autistico 0,18 10
- Multipli/vari 0,15 8
- Totale 1, 86 100
Per quanto riguarda gli insegnanti di sostegno è opportuno far notare che a partire
dall'anno 1998-99 essi non vengono più assegnati in proporzione al numero di
allievi certificati in situazione di handicap (con un rapporto medio di 1:2 e non di
1:4, dato che molte erano le situazioni considerate così gravi da richiedere un
rapporto minore e spesso 1:1), ma considerando il rapporto di 1 insegnante di
sostegno ogni 138 allievi (in situazione di handicap e non) iscritti nelle scuole
statali della provincia.
Era questo il rapporto effettivo medio in Italia nel 1997-98.
Nella grande maggioranza dei casi gli allievi in situazione di handicap sono inseriti
in classi con meno di 20 allievi. Questo è dovuto al fatto che nel 1999 un decreto
ministeriale (22 marzo 1999; n. 72) ha precisato quanto segue per la formazione
delle classi negli anni scolastici 1999-2000 e 2000-2001.
- Ove necessario la classe in cui è inserito un allievo in situazione di handicap
può avere anche più di 20 allievi, ma non più di 25.
- Per costituire una classe che accoglie un alunno in situazione di handicap con
un numero di alunni minore di 20 è necessario un progetto motivato ed
articolato di integrazione in cui siano rese esplicite, con riferimento alle
esigenze formative dell'alunno, le strategie e le metodologie adottate dai
docenti della classe, dall'insegnante di sostegno nonché da altro personale
della stessa scuola.
- La presenza di più di un alunno in situazione di handicap nella stessa classe
può essere prevista in ipotesi residuale ed in presenza di handicap lievi.
21
- Le classi iniziali che ospitano un alunno in situazione di handicap sono
costituite, di regola, con non più di 20 iscritti; per le classi intermedie il rispetto
di tale limite deve essere rapportato all'esigenza di garantire la continuità
didattica nelle stesse classi.
Negli ultimi anni ricca è stata anche la normativa riguardante la programmazione
scolastica, la certificazione e la collaborazione fra scuola e operatori sanitari e
sociali.
A questi argomenti, di notevole importanza, abbiamo appositamente dedicato le
note che seguono.
1992 e 1994: due leggi cruciali
Nel 1992 la legge 104 (detta legge quadro "sull'handicap") costituì un punto di
riferimento fondamentale per tutta la politica dell'integrazione in Italia.
Due anni dopo il D.P.R. 24 febbraio 1994, avente per oggetto "Atto di indirizzo e
coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni
portatori di handicap" definì alcune linee cruciali per l'integrazione scolastica.
Esso in quattro diversi articoli considera:
- l'individuazione di un allievo come in situazione di handicap;
- la diagnosi funzionale che ne descrive lo stato psico-fisico;
- il profilo dinamico funzionale che dovrebbe descrivere il livello di sviluppo che si
prevede nell'arco di uno o due anni scolastici;
- il piano educativo individualizzato (P.E.I.), cioè il documento che deve
contenere gli interventi effettuati.
Il fine fondamentale della individuazione è di tipo normativo. In pratica attraverso di
essa si stabilisce che il soggetto rientra nella definizione di "persona handicappata"
come previsto dalla legge 104 del 1992 e successive modificazioni.
Ne derivano molteplici conseguenze: per quanto riguarda la scuola, la classe in cui
l'allievo è inserito non può avere più di un certo numero di allievi, quella classe
usufruisce anche di interventi di sostegno (insegnante di sostegno in particolare);
relativamente all'assistenza è possibile un intervento di tipo economico; sul piano
dell'integrazione lavorativa sono possibili interventi particolari per l'orientamento, la
formazione e l'assunzione; ecc.
Su piano dell'intervento operativo le poche parole che spesso costituiscono la
certificazione (ad esempio "soggetto con sindrome di Down con ritardo medio")
sono scarsamente informative.
La vera e propria "descrizione analitica della compromissione funzionale dello
stato psico-fisico dell'alunno in situazione di handicap" è affidata alla diagnosi
funzionale.
Mentre, come prescrive la legge, l'individuazione deve essere effettuata prima
possibile (entro dieci giorni dalla segnalazione), per la diagnosi funzionale è
necessario un tempo che permetta gli approfondimenti necessari. Essa, redatta
dagli operatori dell'ASL, prevede:
- dati anagrafici del soggetto e dati relativi al nucleo familiare (composizione,
stato di salute, situazione lavorativa ecc.);
22
- l'anamnesi fisiologica e patologica prossima e remota del soggetto (nascita,
vaccinazioni, malattie, ospedalizzazioni, terapie, riabilitazioni ecc.);
- la diagnosi clinica (da parte del medico specialista a seconda della patologia).
In particolare devono essere indicate le potenzialità relative ai seguenti aspetti:
- cognitivo;
- affettivo-relazionale;
- linguistico;
- sensoriale;
- motorio-prassico;
- neuropsicologico;
- autonomia.
Il profilo dinamico funzionale (PDF), previsto dalla legge 104/92, è un atto
successivo alla diagnosi funzionale.
Esso "obbliga" gli operatori sociosanitari a confrontarsi con i familiari e con la
scuola. Si tratta di un documento comune, da redigere dopo un primo periodo di
inserimento scolastico, di base per ogni programmazione volta all'integrazione
scolastica e sociale.
Esso dovrebbe indicare il prevedibile sviluppo a breve (sei mesi) e medio termine
(due anni) dell'allievo in situazione di handicap.
La costruzione del Profilo dinamico funzionale favorisce ulteriormente lo
spostamento dell'attenzione dalle carenze del soggetto in situazione di handicap
alle sue competenze, dato che è sulle sue potenzialità che esso è focalizzato.
Questo permette anche di abbandonare il confronto, implicito od esplicito, che
normalmente si fa con lo stereotipo del coetaneo medio, per concentrare
l'attenzione sull'individualità delle caratteristiche del soggetto e facendo quindi un
altro confronto e cioè quello fra ciò che il soggetto è e ciò che, sfruttando le sue
potenzialità, egli può diventare a breve e a medio termine.
Per carenza di organico e di tradizione di collaborazione fra operatori sanitari e
scolastici sono molto frequenti le situazioni in cui il Profilo dinamico funzionale non
è redatto oppure è compilato in modo affrettato, approssimativo o con finalità quasi
esclusivamente formali.
Ancor più negativa è la situazione per quanto riguarda il Piano educativo
individualizzato, anche se la legge dice esplicitamente che non si tratta di un
documento "solo scolastico", ma del documento in cui vengono descritti tutti gli
interventi.
Purtroppo a questo livello la scuola è spesso lasciata sola e questo favorisce la
confusione fra il Piano educativo individualizzato (PEI) e quella che è invece la
specifica programmazione scolastica e la descrizione degli interventi effettuati a
scuola.
Il piano educativo individualizzato dovrebbe essere la risultante delle
programmazioni predisposte da parte di:
- A.S.L (interventi diagnostici, terapeutici, riabilitativi);
- scuola (programmazione educativa e didattica);
- Ente locale (trasporto, mensa, operatori per sogggetti non autosufficienti,
sostegno familiare ecc.);
23
- famiglia dell'allievo.
Da: L’integrazione scolastica in Italia Di Renzo Vianello
Gli atteggiamenti nei confronti degli allievi in situazione di
handicap e del loro inserimento nelle classi normali
Come si relazionano insegnanti ed alunni con i soggetti handicappati? Quali gli
atteggiamenti prevalenti nei confronti della presenza di un alunno/a con problemi
derivanti da un deficit?
Parallelamente alla realizzazione delle prime esperienze di integrazione sono state
attivate numerose ricerche, a livello nazionale ed internazionale, con l’intento di
precisare atteggiamenti e comportamenti che si esprimono nella vita di classe, la
conoscenza degli esiti di questi studi può suggerire informazioni preziose per
comprendere meglio le complesse dinamiche che accompagnano il processo di
integrazione che, proprio per la sua natura di processo,richiede di essere
continuamente monitorato.
Lo studio degli atteggiamenti nei confronti degli allievi in situazione di handicap ha
interessato studiosi ed operatori dagli anni dei primi tentativi di integrazione, cioè
dagli anni Settanta, sia in Italia sia all'estero.
Numerose ricerche evidenziano coerenza fra l'atteggiamento degli insegnanti e il
loro effettivo comportamento (Kiesler, Collins e Miller, 1969; Silbermann, 1969;
Triandis, 1971; Good e Brophi, 1972) e il fatto che il loro atteggiamento influenza
l'effettivo successo dell'integrazione (Mitchell, 1976; Huges, 1978).
Nella letteratura internazionale di alcuni anni fa emergono spesso stereotipi
negativi da parte degli insegnanti (Shotel, Iano, e McGettigan, 1972; Parish, Eads,
Reece e Piscitella, 1977; Moore e Fine, 1978; Center e Ward, 1987).
Risulta comunque che il contatto con gli allievi in situazione di handicap e/o un
adeguato programma di formazione professionale possono rendere tali
atteggiamenti più positivi (Haring, 1957; Brooks e Bransford, 1971; Glass e
Mackler, 1972; Harasymiw e Horne, 1975; Jurgeleit e Sturmer, 1977; Mandell e
Strain, 1978; Larrivee, 1981; Smith, 1983; Center e Ward, 1987).
Numerose sono le variabili considerate. Tra queste ricordiamo la personalità
dell'insegnante, le caratteristiche dell'handicap, la diversa esperienza specifica
(Warren e Turner, 1966; Combs e Harper, 1967; Feldmann e Altman, 1985).
Il Italia le prime ricerche furono condotte nel periodo 1970-1980.
Gli atteggiamenti da parte degli insegnanti Vianello, in collaborazione con vari altri
ricercatori, dal 1977 ha condotto varie ricerche sugli atteggiamenti degli insegnanti.
Una prima serie di indagini (riportata in Vianello, 1990), ha utilizzato una intervista
che si focalizzava in particolare sui punti che seguono:
- priorità degli obiettivi cognitivi o sociali;
- utilità delle scuole speciali;
- manifestazione di comportamenti instabili, aggressivi o sconvenienti
(imbarazzanti);
24
- difficoltà nella conduzione della classe.
I risultati fondamentali sono i seguenti.
- L'insegnante con esperienza diretta e coinvolgente afferma di constatare meno
problemi di quelli che vengono ipotizzati da chi non ha esperienza o ne ha poca
o poco coinvolgente. In altre parole vi è una sopravvalutazione delle difficoltà
che l'allievo in situazione di handicap pone sia nel suo comportamento
disciplinare sia per quanto riguarda la conduzione della classe.
- Quanto sopra vale per tutte le situazioni di handicap (sensoriali, motorie,
mentali, di personalità), ma non per le situazioni di svantaggio socioculturale.
- Il tipo di disabilità presentata dall’alunno condiziona le opinioni degli insegnanti.
In generale i docenti ritengono meno problematica l’integrazione di alunni con
disabilità di tipo fisico che non di tipo psichico (Bellotto & Bolla, 1982;
Cacciaguerra & Foglio Bonda, 1982; 1984).
- L'allievo con sindrome di Down appare come meno problematico rispetto agli
altri allievi (considerati in generale) con ritardo mentale. Si può ipotizzare che
anche in questo caso influisca il fatto che l'allievo con sindrome di Down è
meno sconosciuto, ritenuto meno imprevedibile.
- L'attenzione degli insegnanti (ed eventuali preoccupazioni) è particolarmente
rivolta agli aspetti comportamentali: quanto più un bambino non disturba, tanto
più è accettato.
Una seconda serie di indagini (Castellini, Mega, Vianello, 1995: Mega, Castellini e
Vianello, 1997) ha invece utilizzato un questionario (ATMS, Attitude Towards
Mainstreaming Scale, di Larrivee e Cook, 1979). Consideriamo i risultati più
rilevanti:
- Gli insegnanti di sostegno hanno un atteggiamento più positivo degli insegnanti
curriculari (sia di quelli che insegnano più ore nella stessa classe, sia degli
altri).
- Gli insegnanti di scuola dell'infanzia ed elementare hanno un atteggiamento più
positivo dei colleghi che insegnano alle medie.
- Gli insegnanti di scuola media con poche ore di insegnamento hanno un
atteggiamento meno positivo dei colleghi per più ore a contatto con lo stesso
allievo in situazione di handicap (e complessivamente simile a quello di chi non
ha esperienza). anche in questo caso sembra svolgere un ruolo importante la
conoscenza specifica dell'allievo: più si conosce un allievo in situazione di
handicap e più lo si accetta.
- Al di là delle distinzioni di cui sopra gli insegnanti italiani (e anche i loro capi di
Istituto, Direttori didattici o Presidi) riportano nel test ATMS (vedi sopra)
punteggi superiori; in altre parole evidenziano un atteggiamento più positivo dei
loro colleghi statunitensi ed australiani, nei confronti degli allievi in situazione di
handicap in generale e verso l'integrazione in particolare.
Una terza serie di indagini (Vianello e Mognato, in corso di stampa), infine, ha
utilizzato un altro questionario (di cui esaminiamo, in questo contesto gli item
riconducibili a tre categorie di opinioni esprimibili con le seguenti domande:
Le scuole speciali sono da preferire a quelle speciali? L'inserimento di un alunno in
situazione di handicap comporta vantaggi per i compagni? E per se stesso?),
25
proposto ad educatrici di Asilo Nido, ad insegnanti di scuola dell'infanzia, ad
esperti e a personale ausiliario di Asilo Nido e Scuola dell'infanzia.
Varie sono le conferme delle ricerche precedente (e nessuna contraddizione
rispetto ai risultati di cui sopra).
Inoltre è emerso quanto segue: molto omogenea è risultata la posizione degli
esperti (Presidente, Vice-presidente e Segretario del Coordinamento Nazionale
Insegnanti Specializzati, più un famoso ricercatore universitario, più alcuni
componenti dell'Osservatorio permanente per l'integrazione degli allievi in
situazione di handicap del Ministero della Pubblica Istruzione, di cui alcuni anche
professori universitari).
Essi sono molto concordi con il fatto che le scuole normali siano da preferirsi alle
scuole speciali e che l'inserimento di un allievo in situazione di handicap comporti
vantaggi per sé e anche per i compagni.
Anche educatrici di Asilo Nido, insegnanti di scuola dell'infanzia e personale
ausiliario concordano sull'utilità dell'inserimento in classe normale sia in generale,
sia per gli stessi allievi e per i compagni.
L'accordo è comunque minore (ma sempre positivo) rispetto agli esperti
(soprattutto da parte del personale ausiliario).
Nel complesso pare che la conclusione fondamentale (anche se non unica) sia:
conoscenza scientifica più conoscenza diretta migliorano l'atteggiamento nei
confronti degli allievi in situazione di handicap.
Anche Cornoldi e collaboratori (Cornoldi, Terreni, Scruggs, & Mastropieri, 1998;
Terreni, Cornoldi, Mastropieri, & Scruggs, 1997) hanno condotto ricerche sulle
opinioni di insegnanti curricolari delle scuole elementari e medie inferiori. A tale
scopo è stato utilizzato un questionario con item a scala Likert (Scuggs &
Mastropieri, 1996) che considerava l’opinione verso l’integrazione scolastica e la
disponibilità di risorse e corsi di formazione.
E’ emerso che gli insegnanti sostengono e approvano l’integrazione scolastica e
sono disposti ad accettare nella propria classe alunni con disabilità poiché
ritengono che in tale modo sia facilitato lo sviluppo e l’apprendimento di tutti gli
studenti.
Reclamano però una maggiore assistenza dagli insegnanti di sostegno e dalle altre
figure professionali, più tempo e risorse materiali ed una formazione più
specializzata.
Anche Balboni e Pedrabissi (2000), hanno confrontato l’atteggiamento di
insegnanti curricolari con quelli di sostegno, utilizzando un questionario a scala
Likert basato su quello elaborato da Larrivee (1981) e relativo all’opinione
sull’integrazione e sulle modifiche necessarie da apportare al sistema scolastico.
E' stato confermato (come in Castellini, Mega e Vianello, 1995) che i docenti di
sostegno hanno un atteggiamento complessivo più favorevole all’integrazione. Essi
concordano con i docenti curricolari nel sostenere che tutti gli insegnanti
necessitano di maggiore formazione affinché l’integrazione abbia esito positivo. In
particolare ritengono più dei colleghi curricolari che i soggetti con disabilità
traggano vantaggio dall’essere inseriti in classi comuni piuttosto che in classi
speciali. Essi comunque reclamano una maggiore collaborazione fra le diverse
26
figure professionali responsabili del percorso individualizzato dell’alunno con
disabilità e maggiori innovazioni didattiche.
Dalle ricerche di Balboni e Pedrabissi risulta confermato (Castellini et al., 1995;
Cornoldi et al, 1998; Vianello, 1999) che gli insegnanti delle scuole elementari
sono più favorevoli all'inserimento in classe normale di quelli delle scuole medie
inferiori o superiori. In particolare, secondo la ricerca di Balboni e Pedrabissi, i
primi hanno un’idea più negativa delle scuole speciali e sostengono maggiormente
l’integrazione dei soggetti con disabilità. Ritengono più degli altri che siano
necessarie collaborazione fra docenti curricolari e di sostegno e significative
modifiche ai curricula e alle modalità di insegnamento.
I docenti delle scuole medie inferiori e superiori invece, più dei colleghi delle
elementari, reclamano una maggiore formazione professionale per insegnare ad
alunni con disabilità.
Anche l’età del docente influenza l’atteggiamento verso l’integrazione: quelli più
giovani, con meno di quarant’anni di età, hanno un atteggiamento generale più
favorevole (Balboni & Pedrabissi, 2000; Cornoldi et al., 1998).
In particolare i primi sostengono maggiormente innovazioni didattiche e
l’inserimento nelle classi comuni piuttosto che in quelle speciali. Concordano con
quelli più anziani nel ritenere necessaria la collaborazione fra le distinte figure
professionali. Di contro, i docenti con almeno quarant’anni di età ritengono
fondamentali, più dei colleghi, corsi di aggiornamento e una formazione più
specializzata (Balboni & Pedrabissi, 2000).
E’ stato confermato che l’esperienza diretta con casi di integrazione scolastica
influenza in modo significativo l’atteggiamento di insegnanti curricolari: quelli che
hanno avuto l’opportunità di insegnare ad un alunno con disabilità hanno
sviluppato un’idea generale più favorevole all’integrazione (Balboni & Pedrabissi,
2000).
Essi in particolare, più dei colleghi senza esperienza diretta, sostengono
l’inserimento in classi normali, sono contrari a quelle speciali e ritengono
fondamentale la collaborazione fra docenti curricolari e di sostegno.
La variabile esperienza inoltre “attenua” l’effetto negativo che gli anni di servizio e
l’età del docente hanno sull’atteggiamento verso l’integrazione: l’atteggiamento di
docenti con esperienza e con almeno quarant’anni d’età o dieci anni di servizio non
si differenzia da quello dei colleghi con inferiore età o anni di servizio; nel caso di
docenti senza esperienza invece esso é significativamente peggiore (Figura 1;
Balboni & Pedrabissi, 2000). Besio e Chinato (1997) inoltre hanno rilevato che i
docenti di sostegno con esperienza, se confrontati ai colleghi che sono ancora in
formazione, sono più attenti agli aspetti concreti del fenomeno integrazione e si
dimostrano meno propensi all’adozione di tecniche didattiche innovative o
all’intervento di altre figure specialistiche.
Da: L’integrazione scolastica in Italia Di Renzo Vianello
Insegnamenti individualizzato e/ o differenziato e conduzione
della classe in cui è inserito un alunno in situazione di handicap
27
La presenza di un alunno in situazione di handicap in classe obbliga ad una
impostazione didattica non tradizionale.Tra le spinte innovative degli ultimi trenta
anni l’inserimento degli allievi in situazione di handicap è senza dubbio uno dei più
importanti.
Cruciale è il fatto che aumentano sempre più i casi in cui l’allievo in situazione di
handicap non è mai allontanato dalla classe o lo è solo per poche ore alla
settimana, ma lavora nella stessa aula con gli allievi. Questo obbliga gli insegnanti
a migliorare le proprie competenze nel campo dell’insegnamento differenziato e di
quello cooperativo.
Anche il ruolo dell’insegnante di sostegno che lavora in classe normale è
profondamente diverso da quello dell’insegnante che lavora in scuola speciale.
Innanzitutto egli deve avere un preparazione polivalente, in quanto nella scuola in
cui lavora può essere costretto a seguire sia gli allievi con disabilità sensoriali, che
motorie, che intellettive, che di personalità.
Inoltre non le/gli è chiesto di essere solo lo specialista dell’apprendimento degli
allievi in situazione di handicap. Oltre a ciò è fondamentale la capacità di aiutare
l’insegnante curricolare a lavorare meglio con l’allievo in situazione di handicap ( e
con la classe nel suo complesso) nelle ore in cui c’è la compresenza in modo da
acquisire un metodo di lavoro utilizzabile anche quando non è presente
l’insegnante di sostegno.
Questo significa che tale figura dovrebbe essere esperta anche nel favorire la
collaborazione fra colleghi, in modo da permettere interventi fra loro coerenti. Si
tratta di un lavoro molto impegnativo( talvolta reso difficile da atteggiamenti di
chiusura da parte dei colleghi) ma da privilegiare il più possibile.
ESERCITAZIONE 1
L’analisi delle condizioni che rendono possibile lo svolgimento di un insegnamento
individualizzato all’interno delle classi in cui è presente un alunno in situazione di
handicap è di prioritaria importanza per gli operatori scolastici.
Ti chiediamo di fare precedere la lettura dei documenti che seguono con una
esercitazione che ha lo scopo di fare emergere le tue personali convinzioni su
questi temi.
La domanda a cui dovrai rispondere è la seguente:
“ Come è possibile, con una classe che ha 20 o più alunni, attuare un
insegnamento individualizzato?
Elenca che cosa si può fare sul piano didattico per favorire l’apprendimento”
Annota di seguito tutto quanto la tua esperienza personale e professionale ti
richiamano alla mente.
Una volta concluso il lavoro passa alla lettura del documento di approfondimento
seguente.
28
Documento di approfondimento
Insegnamento individualizzato e/o differenziato
Di Renzo Vianello
Come è possibile, con una classe che ha più di 20 bambini, attuare un
insegnamento individualizzato?
Immaginiamo una pluriclasse, forse la risposta ci sarà più facile.
Spesso mi è stata posta, a volte con candore, altre volte provocatoriamente (cioè
con la convinzione che l’unica risposta seria era non è possibile povero/a
insegnante!).
La mia prima risposta è stata, di norma, sì è molto difficile. Una volta tranquillizzate
le coscienze, perché gli insegnanti non sopportano che si dica loro che una cosa
considerata difficile è in realtà facile (e hanno ragione) aggiungevo una cosa del
tipo soprattutto se non si cambia lo stile di insegnamento (e cambiarlo è proprio
difficile).
Nel corso degli anni ho cercato vari modi per cercare di spiegare il mio (anche mio,
dato che è ampiamente condiviso da vari altri studiosi e operatori) modo di
intendere la didattica.
La modalità che ho trovato più efficace per introdurre l’argomento è stato dire
quanto segue: Se dipendesse da me e fosse possibile (ma non lo è) il primo anno
di scuola di tutti gli insegnanti dovrebbe essere in una pluriclasse di 20 bambini e
ragazzi di età compresa fra i 3 e i 14 anni. Si scoprirebbero così tutte le tecniche
che sono necessarie in ogni classe, dato che ogni classe è in realtà una
pluriclasse.
Di solito dico questo con il volto sorridente e qualche volta aggiungo qualche nota
di colore del tipo: un paese sperso fra le montagne, con il figlio del sindaco e del
farmacista, ma anche un bambino che è bene tenere il più possibile a scuola per
evitare che se ne stia tutti i giorni a badare alle mucche al pascolo, ecco.
La grande maggioranza degli insegnanti coglie subito (o comunque presto) il senso
della proposta.
Le risposte sono ovviamente molto varie. In linea di massima mi pare che esse
siano così catalogabili.
Un primo gruppo di risposte (spesso quelle che vengono per prime alla mente)
sono del tipo: bisogna individualizzare l’insegnamento. Come?
Sono necessari:
- una valutazione individuale continuata, annotabile in un diario o quaderno per
la programmazione o registro individuale, che permetta: una programmazione
adeguata alle esigenze di ciascuno;
- materiali didattici di vario tipo (molti libri di lettura, sussidiari, altro materiale).
Chi si limita a queste risposte spesso aggiunge: ma è troppo impegnativo e forse
non realizzabile. Come trovare una soluzione più adeguata?
E le risposte sono molte varie, ma in definitiva sono riassumibili nelle due che
seguono:
29
- con un insegnamento differenziato;
- con un insegnamento cooperativo (per piccoli gruppi e con l’uso di tutor).
A quest’ultimo argomento dedichiamo la prossima unità.
La presente è dedicata all’insegnamento differenziato (ma già in questo
presentiamo modalità relative al lavoro di gruppo).
Viene presa in considerazione una classe in cui è inserito un bambino in situazione
di handicap e specificamente con ritardo mentale. Questa situazione, infatti,
avvicina le classi omogenee per età alle pluriclassi.
Come si potrà notare è vero che ci vuole un atteggiamento di insegnamento non
tradizionale. Conosco molti insegnanti che, costretti ad essere innovativi nella
propria didattica in quanto avevano in classe allievi in situazione di handicap, si
sono alla fine resi conto che in realtà avevano imparato ciò che serviva a tutti i
bambini normodotati.
Scelta degli argomenti da trattare nelle ore di compresenza e modalità di
lavoro
Le riflessioni che seguono riguardano una modalità di lavoro che si basa
sull’attività che si svolge nell’aula della classe e considera innanzitutto ciò che è
possibile fare quando vi è la compresenza di un insegnante curricolare e
dell’insegnante di sostegno (o comunque di due insegnanti).
In realtà queste proposte sono realizzabili anche quando vi è un solo insegnante,
ma è più facilmente realizzabile in due (soprattutto quando non si è esperti).
Una volta assimilata la tecnica e acquisito l’atteggiamento educativo opportuno le
proposte che seguono sono comunque realizzabili da un solo insegnante.
Anzi, mi si permetta un confronto. Come la televisione a colori: non se ne sentiva
molto l’esigenza quando c’era la televisione in bianco e nero, ma una volta
utilizzata, potendo scegliere, si preferisce di gran lunga quella a colori. In altre
parole, apprese le tecniche dell’insegnamento differenziato e cooperativo, non lo si
abbandona più, ma semplicemente lo si adatta a se stessi e alle proprie realtà
scolastiche.
Consideriamo dunque alcune attività da svolgere nella logica dell’apprendimento
differenziato (che, come si vedrà, significa non che ciascuno affronta argomenti
diversi, ma che all’interno di un’area comune di apprendimento ognuno trova il
proprio compito).
Cruciale è la scelta dell’argomento da trattare. Ricordo ad esempio un professore
di matematica che, per quanto animato da buona volontà, andò incontro ad una
serie di insuccessi perché proponeva argomenti troppo specifici. Egli infatti
dedicava tutte le proprie energie alla costruzione di una progressione logica che
procedesse lentamente dal più facile al più difficile, pensando così di portare
lentamente per mano anche l’allievo meno dotato alla comprensione di leggi fisiche
o di ragionamenti matematici.
Le sue proposte, viceversa, comportavano inconvenienti: risultava estremamente
noioso questo lungo cammino per i soggetti normali; il soggetto in situazione di
30
handicap era posto in una condizione di apprendimento passivo, dovendo egli
percorrere una strada già del tutto prefissata.
A nostro avviso, è più produttivo affrontare argomenti ampi, scelti e presentati in
modo da permettere agli alunni prestazioni a diversi livelli di complessità,
affrontabili, ad esempio:
- con il linguaggio orale;
- con il disegno;
- con il linguaggio scritto.
L’argomento deve essere monotematico, il più possibile ricco, presentato in modo
da offrire una molteplicità di stimoli e dovrebbe occupare non meno di 10-15 ore.
Come si dovrebbe fare per ogni intervento di ampio respiro, è opportuno
suddividere il lavoro in tre fasi e cioè:
- una raccolta di esperienze, di strumenti e materiali di vario tipo;
- una lavoro individuale o per piccoli gruppi;
- una sintesi collettiva (ad esempio con presentazione sintetica del lavoro di
ciascun gruppo a tutti gli altri e discussione finale oppure costruzione di un
libretto comune).
Come si può notare, si tratta di qualcosa che molti già fanno indipendentemente
dal fatto che in classe sia inserito un alunno in situazione di handicap.
Tale modalità, in ogni caso, sembra la più adatta per l’integrazione.
Anche la scelta degli argomenti non richiede nulla di particolarmente originale.
Molto adatti si sono rivelati, ad esempio, argomenti legati alle stagioni o
all’ecologia, così come argomenti di storia e geografia.
La scelta è ampia. Ciò che conta è che siano rispettate le condizioni di cui sopra
(ricchezza, polifunzionalità, coinvolgimento degli alunni, ecc.). Una scelta adeguata
di 5-10 argomenti può permettere la programmazione del lavoro annuale
fondamentale (che deve essere svolto durante le ore di sostegno) con un ragazzo
in situazione di handicap.
Il lavoro per piccoli gruppi
In ogni classe in cui c’è un alunno in situazione di handicap sono opportuni quattro
gruppi di cinque bambini ciascuno.
L’esperienza insegna che per il funzionamento dei lavori di gruppo
(indipendentemente dalla presenza di un compagno in situazione di handicap) è
essenziale:
- non lasciare, di norma, la formazione dei gruppi a scelte spontanee, ma basarla
su criteri tesi al potenziamento dello sviluppo sociale individuale;
- fornire una traccia su cui lavorare, coerente e complementare a quella fornita
agli altri gruppi, elaborata dagli insegnanti, ma preparata collettivamente ed
adeguatamente commentata;
- richiedere fin dall’inizio una conclusione materiale del lavoro (come minimo due
paginette scritte);
- fare in modo che entro la prima ora di lavoro venga scelto il relatore finale (a cui
spetta anche il compito di tenere il verbale);
31
- stabilire prima e garantire poi che venga rispettato nelle discussioni il principio
di darsi il turno;
- controllare l’attività dei gruppi in modo da evitare una non equa distribuzione
del lavoro, favorendo, viceversa, il coinvolgimento di tutti;
- lasciare ampio spazio alla terza fase, cioè a quella di presentazione agli altri del
proprio lavoro.
Compito fondamentale dell’insegnante è far sì che il gruppo funzioni in modo
produttivo, ma sostituendosi il meno possibile agli alunni sul piano dei contenuti, ed
offrendo viceversa il più possibile elementi per la scoperta e l’utilizzazione di
strumenti utili per raccogliere le informazioni o per concretizzare i risultati del
lavoro.
Ciò non significa che in questo modo si toglie all’insegnante la sua funzione di
trasmettitore dei contenuti, ma che la si sposta a conclusione definitiva del lavoro
di gruppo, come risposta a problemi sorti precedentemente.
Al di là di quanto sintetizzato sopra, riferito a lavori di gruppo con o senza alunno in
situazione di handicap, attribuisco molta importanza ad essi per quanto riguarda
l’obiettivo dell’integrazione e questo per almeno due motivi.
In primo luogo, questa modalità di lavoro, che può essere iniziata in condizioni
ottimali quando è presente anche l’insegnante di sostegno, può, una volta divenuta
familiare all’insegnante curricolare, continuare anche quando l’insegnante di
sostegno non c’è. Se tutto ha funzionato già precedentemente l’insegnante
curricolare aveva seguito in contemporanea i tre gruppi in cui non era presente
l’alunno con handicap o, alternandosi con l’insegnante di sostegno, quello in cui
tale alunno era presente.
Con maggiore esperienza l’insegnante può ora seguire contemporaneamente i
quattro gruppi. Se ciò avviene si tratta di un vero e proprio successo, in quanto, in
pratica, anche senza l’insegnante di sostegno, l’intervento per l’integrazione non
sarebbe limitato a sole 4-6 ore (a parte i casi in cui un insegnante di sostegno deve
seguire 1 o 2 soli alunni con handicap).
Inoltre, una volta creato uno stile di lavoro sui gruppi, risulta meno dissonante,
quando ce n’è proprio bisogno, lavorare ogni tanto (sia da parte dell’insegnante di
sostegno che di quello curricolare) anche a tu per tu, individualmente, per brevi
periodi, in classe, con l’alunno con handicap.
Al limite anche l’eventuale uscita, purché non di norma, dall’aula acquista ora un
significato diverso, perché è diversa l’atmosfera in cui si lavora, alternante momenti
di lavoro tutti assieme, per piccoli gruppi, o individuale.
Il rischio che tale modalità venga vissuta come emarginante è minore.
ESERCITAZIONE 2
Dopo avere letto i materiali di approfondimento quali parti del tuo scritto
ristruttureresti?
32
Immagina di scrivere una lettera all’autore dei documenti Scegli uno o due
argomenti che ritieni particolarmente significativi e scrivi una lettera in cui esponi le
tue riflessioni.
A proposito dell’apprendimento cooperativo
La ricerca di soluzioni volte ad aumentare la partecipazione attiva degli studenti e
valorizzarne i singoli contributi trova nell’apprendimento cooperativo una possibile
pista di lavoro oltre ad una alternativa al metodo tradizionale troppo centrato sul
modello di presentazione-recitazione dei contenuti.
Con il termine apprendimento cooperativo ci si riferisce ad un “ metodo di
conduzione della classe, o della scuola, che mette in gioco nell’apprendimento le
risorse degli studenti”.
All’insegnante viene richiesto, non solo di gestire ed organizzare le esperienze di
apprendimento condotte dagli stessi studenti, ma anche di sviluppare obiettivi
educativi di collaborazione, solidarietà, responsabilità e relazione, ritenuti elementi
efficaci per una migliore qualità delle esperienze stesse.
Molto ben fondato sul piano teorico, con riferimenti sia di tipo pedagogico che
psicologico, l’apprendimento cooperativo si rivela un elemento di facilitazione
anche per le classi in cui sono presenti alunni con difficoltà di apprendimento.
Apprendimento cooperativo: indicazioni dagli studi di psicologia
dello sviluppo
Apprendimento cooperativo: alcune basi teoriche in psicologia dello
sviluppo
Di Renzo Vianello
L'apprendimento cooperativo è molto ben fondato sul piano teorico, con riferimenti
sia di tipo pedagogico che psicologico. Tra i primi riferimenti troviamo John Dewey
Kurt Lewin (in uno studio classico assieme a Lippit e White degli anni Trenta) e
Vygotskij (la valorizzazione che egli fa degli strumenti comunicativi e linguistici
anche per lo sviluppo del pensiero costituisce senza dubbio una base importante
per i rapporti fra apprendimento cooperativo e sviluppo della mente).
Indicazioni fondamentali si hanno anche in Piaget, per il quale l’influenza sociale è
non solo importante, ma addirittura necessaria. Egli afferma questo nel 1932 e lo
ribadisce varie volte (ad esempio nel 1947 nel volume "Psicologia dell'intelligenza",
nel 1955 in un volume con la Inhelder e in alcuni scritti successivi sullo sviluppo
nell'adolescenza).
Ci limitiamo a presentare, evidenziando con dei corsivi alcuni punti cruciali, ciò che
ha detto nel libro “Il giudizio morale nel fanciullo”, pubblicato nel 1932 e una
brevissima citazione dal volume del 1947.
33
«Solo la cooperazione porta all’autonomia. Per quanto riguarda la logica, la
cooperazione è anzitutto fonte di critica: grazie al reciproco controllo, rimuove nel
contempo la convinzione spontanea propria dell’egocentrismo e la fiducia cieca
nell’autorità degli adulti. La discussione causa così riflessione e la verifica
oggettiva. Ma per questo stesso fatto, la cooperazione è fonte di valori costruttivi.
Per ciò che riguarda le realtà morali, la cooperazione è anzitutto fonte di critica e di
individualismo.
E' appunto essa che, mediante il confronto reciproco delle intenzioni intime e delle
regole adottate da ciascuno, porta l’individuo a giudicare obiettivamente gli atti e le
prescrizioni altrui, compresi quelli degli adulti.
Da qui il declino del rispetto unilaterale ed il primato del giudizio personale. Per
conseguenza, la cooperazione rimuove, nello stesso tempo, l’egocentrismo ed il
realismo morale e conduce dunque ad una interiorizzazione delle regole.
Così una nuova morale succede a quella del puro dovere. L’eteronomia lascia il
posto a una coscienza del bene, la cui autonomia deriva dall’accettazione delle
norme di reciprocità. L’obbedienza lascia il posto alla nozione di giustizia ed
all’aiuto reciproco, fonte di tutti gli obblighi sino ad allora imposti come imperativi
incomprensibili.
Insomma, la cooperazione sul piano morale dà luogo a trasformazioni esattamente
parallele a quelle di cui abbiamo ricordato la presenza nel campo intellettuale…
L’adulto deve quindi essere un collaboratore e non un maestro, da questo doppio
punto di vista, morale e razionale. Ma, inversamente, sarebbe imprudente voler
contare soltanto sulla “natura” intesa in senso puramente biologico, per assicurare
il duplice progresso della coscienza e dell’intelligenza, quando noi constatiamo che
ogni norma morale così come ogni forma logica di pensiero sono il prodotto della
cooperazione.
Realizziamo quindi nella scuola un ambiente tale che la sperimentazione
individuale e la riflessione in comune si richiamino l’uno all’altra e si equilibrino.
Se dovessimo dunque scegliere, fra i sistemi pedagogici attuali, quelli che meglio
corrispondono ai risultati della nostra indagine psicologica, cercheremmo di
orientare il nostro metodo verso ciò che è stato chiamato “lavoro di gruppo” ed
“autogoverno”.
Preconizzato da Dewey, Sanderson, Cousinet e dalla maggior parte dei promotori
della “scuola attiva”, il metodo del lavoro a gruppi consiste nel lasciare che i
bambini facciano la loro ricerca in comune, sia in “squadre” organizzate, sia
semplicemente in raggruppamenti spontanei.
La scuola tradizionale, il cui ideale è diventato poco a poco quello di preparare agli
esami e ai concorsi più che alla vita stessa, si è trovata obbligata a isolare il
bambino in un lavoro strettamente individuale: la classe ascolta in comune, ma gli
scolari eseguono i loro compiti ciascuno per suo conto.
Questo procedimento, che contribuisce più di tutte le situazioni familiari a rinforzare
l’egocentrismo spontaneo del bambino, contrasta con le esigenze più evidenti dello
sviluppo intellettuale e morale.
34
E' appunto contro questo stato di cose che reagisce il metodo del lavoro di gruppo:
la cooperazione è promossa al rango di fattore essenziale del progresso
intellettuale.
E' evidente, d’altronde, che questa innovazione ha qualche significato solo nella
misura in cui l’iniziativa nella condotta stessa del loro lavoro viene lasciata ai
bambini.”
(Piaget, 1932, pp. 333-334)
"Immaginiamo per un momento che un individuo eccezionalmente dotato,
cambiando spesso la propria maniera di considerare la realtà, riesca alla fine a
coordinare da solo tutte le sue possibili prospettive in modo da assicurare il loro
raggruppamento.
Possiamo supporre che quest’individuo, da solo, anche se avesse a disposizione
tutto il tempo necessario per condurre un’esperienza abbastanza lunga, sarà in
grado di ricostruire tutti i suoi punti di vista anteriori, cioè l’insieme dei rapporti
percepiti in passato e che non percepisce più attualmente?
Se così fosse egli non avrà fatto altro che stabilire uno scambio fra la successione
dei propri differenti stati, avrebbe cioè consolidato i suoi ricordi e li avrebbe
trasformati in linguaggio rappresentativo mediante un sistema d’annotazioni
stabilite attraverso delle continue convenzioni con se stesso.
In definitiva avrebbe così realizzato una società fra i suoi diversi “io”!
In realtà, invece, solo gli scambi costanti di pensiero con gli altri ci permettono di
“decentrarci” dandoci la possibilità di coordinare poi interiormente i rapporti derivati
da tutte queste differenti visuali.”
(Piaget, 1947, pag. 186 e ss.)
Cruciali sono alcuni punti.
- "Solo la cooperazione porta all'autonomia".
- "Realizziamo nella scuola un ambiente tale che la sperimentazione individuale
e la riflessione in comune si richiamino l'una all'altra e si equilibrino".
- Notevole importanza del lavoro di gruppo.
- Fondamentale lasciare l'iniziativa al bambino.
Nel campo dello sviluppo dell'intelligenza troviamo anche le ricerche di Inhelder,
Sinclair e Bovet. E' opportuno citarle perché esse ancora una volta sottolineano
l'importanza dell'attività del soggetto (anche in questo caso sono evidenziati con il
corsivo alcuni punti importanti, mentre le parti tra virgolette sono riprese da
Inhelder, Sinclair e Bovet, 1973).
Quali sono le condizioni da rispettare perché ci sia un vero e proprio
apprendimento?
- Attività del soggetto. “Una situazione di apprendimento è tanto più fruttuosa
quanto più il soggetto è attivo (essere attivo cognitivamente non si riduce,
beninteso, ad una manipolazione qualunque; vi può essere attività mentale
senza manipolazione, come vi può essere passività manipolando”)
- Coordinazione degli schemi. “Il progresso della conoscenza si manifesta per il
fatto ce ogni nuova struttura integra, coordinandoli, gli schemi anteriori.” Se il
bambino è impegnato adeguatamente e ci fornisce una qualche spiegazione
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Ritardo mentale

  • 1. RITARDO MENTALE Indice Cap. 1 - Le informazioni di base Natura Cause Trattamento Documento di approfondimento Esercitazioni Cap. 2 - L’integrazione scolastica L’integrazione scolastica in Italia dal 1970 ad oggi Gli atteggiamenti nei confronti degli allievi in situazione di handicap e del loro inserimento nelle classi normali Insegnamenti individualizzato e/o differenziato e conduzione della classe in cui è inserito un alunno in situazione di handicap Esercitazione A proposito dell’apprendimento cooperativo Esercitazione Cap. 3 - La famiglia del soggetto in situazione di handicap approcci possibili al tema La famiglia del minore in situazione di handicap Riflessioni sul ruolo della famiglia e la conquista dell’autonomia da parte dell’adolescente con handicap Esercitazione Cap. 4 - Dalla scuola al mondo del lavoro: aspetti problematici e punti di attenzione Considerazioni introduttive I contenuti della formazione professionale: abilità lavorative e/o abilità sociali? Esercitazione Cap. 5 - Percorsi e prospettive a partire dall’esperienza: analisi di un caso Il caso di Giovanni: esercitazione Carta dei diritti delle persone con ritardo mentale CAP. 1 LE INFORMAZIONI DI BASE Avviamo questo percorso di studio sul ritardo mentale con un capitolo dedicato alle informazioni di base. 1
  • 2. La conoscenza delle principali dimensioni che caratterizzano il ritardo mentale può essere favorita dalla seguente ripartizione: Natura Cause Trattamento e Integrazione. Ciascuna sezione trova approfondimenti volti a precisarne: - Le definizioni Biologiche - Ambientali - La gamma degli interventi con particolare attenzione a quelli psico-pedagogici NATURA Il termine mentale è equivalente di psichico. Se associato al termine ritardo (o deficit o handicap o insufficienza) esso, tuttavia, viene usato per riferirsi soprattutto a difficoltà di tipo cognitivo generale od intellettivo (pur sapendo che tali difficoltà hanno riflessi un po’ su tutti gli aspetti della personalità). Nella prassi scientifica vengono ritenuti in situazione di ritardo mentale (“mental retardation” nella letteratura inglese) i soggetti che hanno prestazioni in un test di intelligenza inferiore al punteggio di 70 (nei test più utilizzati) in QI (quoziente intellettuale) cioè, per chi è esperto di statistica, di due deviazioni standard inferiori a quelle della media della popolazione ed inoltre, a causa di ciò, incontrano notevoli difficoltà di adattamento. In linea di massima dovrebbe trovarsi in questa situazione una percentuale compresa fra l’1% e il 2,5% della popolazione. Nella prassi italiana è certificato come avente ritardo mentale circa l’1,3% dei minori. Aspetti diagnostici I problemi di tipo diagnostico sono molto complessi. Alcuni studiosi manifestano perplessità sulla validità dei test di intelligenza ed altri sono preoccupati che vengano classificati come aventi ritardo mentale soggetti con carenze solo a livello culturale o di personalità. Comunque, se ben utilizzati, i test possono fornire indicazioni molto utili. Con riferimento alle prestazioni nei test di intelligenza tradizionalmente si distinguono 4 livelli: - lieve (QI da 55 a 70) - moderato (40-55) - grave (25-40) - profondo (<25). Tra i problemi teorici fondamentali particolare rilievo ha la contrapposizione tra l’ipotesi del ritardo e quella dello sviluppo eterocronico. Alcuni sottolineano le prove che evidenziano un ritardo omogeneo nelle prestazioni del soggetto (ad esempio fra lo sviluppo cognitivo e quello motorio o linguistico), mentre altri enfatizzano l’eterocronia o non omogeneità dello sviluppo. I risultati non permettono di avvalorare solo una delle due ipotesi. Soprattutto invitano a non generalizzare, nel senso che ciò che può valere per un tipo di ritardo 2
  • 3. mentale (ad esempio per la Sindrome di Down) può non essere valido per un altro tipo di ritardo mentale (ad esempio la Sindrome di Williams). CAUSE Il ritardo mentale può essere causato sia da fattori biologici che ambientali. A volte esso è dovuto ad anormalità cromosomiche. Ci sono in particolare trisomie dei cromosomi non sessuali (ad esempio la Trisomia 21 o sindrome di Down, la trisomia 18 o sindrome di Edwards, la trisomia 13 o sindrome di Patau) e le delezioni (ad esempio la delezione nel braccio corto del cromosoma 5 o sindrome del “cri du chat”, la delezione nel braccio lungo del cromosoma 7 o sindrome di Williams). Tra le altre cause possiamo ricordare: - la sclerosi tuberosa e la neurofibromatosi (condizioni ereditarie dominanti, per cui se un genitore ne è affetto c’è 1 rischio su 2 che il figlio erediti la condizione) - la craniostenosi (chiusura prematura delle suture craniche che può provocare danni al cervello e agli occhi) - la fenilchetonuria (con eredità recessiva e perciò rischio di 1:4; prevenibile con una apposita dieta fin dai primi mesi di vita) - la galattosemia (incapacità del neonato di metabolizzare il galattosio, una componente del latte) - la malattia di Tay Sachs (incapacità di metabolizzazione dei grassi) - la sindrome di Hurler (immagazzinamento nelle cellule di mucopolissaccaridi, sostanze associate con il metabolismo dei carboidrati) - l’ipotiroidismo congenito (carenza dello sviluppo della ghiandola tiroidea) - la microcefalia e la macrocefalia (idrocefalo e megacefalo). Il ritardo mentale può inoltre essere causato da fattori biologici non genetici. Tra i rischi prenatali vi sono rosolia, toxoplasmosi, sifilide e citomegalovirus. Sono noti i gravi effetti sul feto della rosolia durante la gravidanza. Dal 1969 è a disposizione un vaccino. Anche l’incompatibilità (RH o ABO) del sangue materno e fetale può produrre ritardo mentale . Un ruolo negativo è svolto dalle droghe, dall’alcool e dal tabacco. Tra i rischi perinatali vi sono quelli dovuti a prematurità ed asfissia. Tra quelli postnatali vi sono encefalite, meningite (infiammazioni del cervello o delle membrane che lo rivestono), traumi e tumori cerebrali, incidenti cerebrovascolari ed avvelenamenti (ad esempio da piombo o da mercurio). Una casistica ampia riguarda i rapporti fra lesioni cerebrali e ritardo mentale. Anche malnutrizione e gravi carenze educative possono produrre ritardo mentale. Quantitativamente i ritardi mentali dovuti a gravi carenze a livello educativo o socioculturale costituiscono una minoranza. Tali fattori, infatti, più facilmente sono responsabili di diagnosi di “difficoltà di apprendimento” o di “ritardo lieve nello 3
  • 4. sviluppo cognitivo” (ma con QI superiori a 70) o di “disturbi nello sviluppo della personalità” piuttosto che di un vero e proprio “ritardo mentale” (con QI sotto 70 o addirittura meno di 60). Studi condotti negli Stati Uniti hanno, comunque, evidenziato che gravi carenze educative (ed in particolare livelli di intelligenza della madre al di sotto del QI 70) in media causano un ritardo quantificabile attorno ai 15-25 punti in QI. Cause biologiche, genetiche, anomalie cromosomiche Sindrome di Wolf-Hirschhorn. Delezione nel braccio corto del cromosoma 4 Sindrome del “Cri-du-Chat”. Delezione nel braccio corto del cromosoma 5 Sindrome di Williams. Delezione nel braccio lungo del cromosoma 7 Sindrome da trisomia del cromosoma 8 Sindrome di Patau. Trisomia dei cromosomi 13 o 15 Anomalie del cromosoma 15 Sindrome di Angelman.Delezione sul braccio lungo del cromosoma 15 Sindrome di Prader Willi. Anomalie nel cromosoma 15 Sindrome da trisomia del cromosoma 15 Sindrome del cromosoma 15 ad anello Sindrome di Rubinstein Taybi cromosoma 16 Sindrome di Smith – Magenis. Delezione parziale o completa della banda cromosomica 17p11.2 Sindrome di Edwards. Trisomia del cromosoma 18 Sindrome con cromosoma 18 ad anello Sindrome 18p-. Delezione del braccio corto del cromosoma 18 Sindrome di Down. Trisomia del cromosoma 21 Anomalie dei cromosomi sessuali a fenotipo sia maschile che femminile Sindrome dell’X fragile Sindrome di Rett. Mutazione dominante legata al cromosoma x Sindrome di Lesch – Nyhan. Carattere recessivo legato al cromosoma x Sindrome di Lowe. Carattere recessivo legato al cromosoma x Anomalie dei cromosomi sessuali a fenotipo femminile Sindrome di Turner. Cromosoma XXXX; XXXX; XXXXX Anomalie dei cromosomi sessuali a fenotipo maschile Sindrome di Klinefelter. Cromosoma XXY XYY; XXXY TRATTAMENTO Il trattamento del ritardo mentale si basa su interventi di tipo medico-farmacologico, riabilitativo ed educativo. Gli interventi psico-pedagogici richiedono una conoscenza molto approfondita degli aspetti normali dello sviluppo. Ad esempio, un bambino di otto anni, ma con prestazioni in uno o più campi analoghe a quelle dei bambini di quattro anni esige che si conoscano i suoi deficit specifici, ma anche quale è di norma il livello linguistico di un bambino di quattro anni (a livello fonologico, semantico, morfologico-sintattico e pragmatico), quali sono le abilità che di norma a questa età vengono espresse nel disegno, quali prestazioni si possono richiedere a livello di memoria di lavoro, ecc... 4
  • 5. Possiamo distinguere interventi volti al potenziamento degli strumenti cognitivi, alle aree dell’autonomia e delle abilità sociali ed al sostegno della famiglia. Interventi psico-terapeutici possono essere attuati quando emergono problemi nello sviluppo affettivo o della personalità. Dal punto di vista cognitivo la possibilità di attuare un recupero di qualunque entità è strettamente legata a due ordini di fattori: la precocità dell’intervento ed il tipo di tarining utilizzato. E’ auspicabile una diagnosi precoce dello sviluppo cognitivo cui segua l’applicazione tempestiva di programmi di intervento. In particolare è necessario evidenziare se è di fronte ad uno sviluppo omogeneo, per quanto in ritardo, oppure disomogeneo (eterocronico). Affinchè l’intervento sia efficace e non interferisca sulla vita di relazione e sullo sviluppo emotivo e relazionale del bambino, si preferiscono interventi centrati sulla globalità della persona, che facciano riferimento soprattutto a ciò che il soggetto sa fare nonostante la disabilità o, in altre parole, centrati non solo sul deficit, ma sui meccanismi di compensazione scatenati dalla presenza del deficit. E’ sempre più ritenuto fondamentale il coinvolgimento attivo del bambino. Gli studi effettuati in una prospettiva metacognitiva sottolineano, almeno per i soggetti con ritardo mentale lieve o moderato, l’importanza di affiancare ad interventi rivolti alle abilità ed ai processi cognitivi, interventi che facciano riferimento alle convinzioni che i bambini, come “persone che apprendono”, sviluppano su ciò che imparano e sui processi cognitivi che permettono od impediscono di imparare. Per quanto riguarda le aree delle autonomie e delle abilità sociali, si possono distinguere interventi ad orientamento comportamentista, rivolti all’acquisizione di abilità specifiche (ad esempio lavarsi, indossare indumenti di vestiario, cucinare alcuni piatti od ancora eliminare comportamenti di disturbo o distruttivi manifestati a scuola, ecc.) ed un orientamento più generale, che, senza negare l’utilità delle proposte di cui sopra, sostiene l’importanza di un intervento più ampio, che permetta la soddisfazione anche dei bisogni di tipo sociale, culturale, sportivo, ecc., al fine di favorire uno sviluppo equilibrato della personalità. Come in ambito educativo si tende all’integrazione scolastica, così si cerca di favorire la partecipazione del minore con handicap alle attività ricreative, sportive e culturali presenti sul territorio. Il fatto che in Italia i minori con ritardo mentale siano per la grande maggioranza inseriti in scuole normali ha comportato profonde modificazioni nelle modalità di intervento (dapprima affidato agli operatori presenti nelle scuole speciali o negli istituti), con una notevole responsabilità affidata agli operatori delle Aziende Sanitarie Locali. Si deve ammettere che, soprattutto a causa di gravi carenze di personale (psicologi in particolare), molte famiglie non sono sufficientemente aiutate nel loro gravoso (ma fondamentale) compito educativo. Ci si augura che proprio a questo livello vi siano in futuro sostanziali miglioramenti. 5
  • 6. Documento di approfondimento Il Programma di Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha cominciato ad impegnarsi a partire dai primi anni sessanta in iniziative volte a migliorare la qualità della diagnosi e della classificazione delle sindromi e dei disturbi psichici. Negli anni successivi l’incremento dei contatti internazionali, accompagnato dalla realizzazione di studi collaborativi internazionali e dalla disponibilità di nuovi trattamenti hanno incoraggiato la produzione di specifici criteri di classificazione, allo scopo di accrescere la riproducibilità della diagnosi. La preparazione e la pubblicazione delle presenti Descrizioni Cliniche e Direttive Diagnostiche rappresenta il prodotto del lavoro di molte persone che hanno lavoro a questa iniziativa per diversi anni. Una classificazione è un modo di vedere il mondo in un determinato momento. Non vi è dubbio che il progresso scientifico e l’esperienza e l’uso di queste direttive ne richiederà la revisione e l’aggiornamento. Per ciascuna sindrome e ciascun disturbo, viene fornita una descrizione delle principali caratteristiche cliniche e di eventuali aspetti associati importanti ma meno specifici. Vengono quindi fornite “direttive diagnostiche” che indicano il numero dei sintomi e l’equilibrio tra essi solitamente richiesti perché possa essere posta una diagnosi attendibile. Le direttive sono strutturate in modo tale da assicurare un certo grado di flessibilità nelle decisioni diagnostiche. Ciò è opportuno in diverse situazioni nelle quali devono essere poste delle diagnosi provvisorie anche se il quadro clinico non è completamente chiaro o l’informazione è incompleta. ICD – 10 Decima revisione della classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali Estratto Indice della sezione F70 Ritardo mentale lieve F71 Ritardo mentale di media gravità F72 Ritardo mentale grave F73 Ritardo mentale profondo F78 Ritardo mentale di altro tipo F79 Ritardo mentale non specificato Un'ulteriore cifra può essere aggiunta al codice per specificare il grado della compromissione comportamentale associata: F7x.0 nessuna, o minima, compromissione comportamentale F7x.1 significativa compromissione comportamentale che richiede attenzione o trattamento F7x.8 altra compromissione comportamentale F7x.9 senza compromissione comportamentale riportata 6
  • 7. F70-F79 Ritardo mentale Il ritardo mentale è una condizione di interrotto o incompleto sviluppo psichico, caratterizzata soprattutto da compromissione delle abilità che si manifestano durante il periodo evolutivo e che contribuiscono al livello globale di intelligenza, cioè quelle cognitive, linguistiche, motorie e sociali. Il ritardo può presentarsi con o senza altre patologie psichiche o somatiche. Comunque, gli individui mentalmente ritardati possono presentare tutta la gamma delle sindromi psichiche, e la prevalenza di tali sindromi è almeno tre o quattro volte maggiore in questo gruppo che nella popolazione generale. L'adattamento sociale è quasi sempre compromesso, ma tale compromissione può non essere evidente in soggetti con lieve ritardo mentale che vivono in ambienti sociali protetti dove è disponibile un adeguato sostegno. Se la causa del ritardo mentale è conosciuta, va utilizzata una codifica addizionale tratta da un'altra sezione dell'ICD-10 (per esempio, F72 Ritardo mentale grave più E00 Sindrome congenita da deficit di iodio). La presenza di un ritardo mentale non esclude una diagnosi aggiuntiva codificata altrove nel Capitolo V (F). Tuttavia, le difficoltà nella comunicazione sono tali da rendere necessario, più che in altre condizioni, che si faccia affidamento per la diagnosi sui sintomi obiettivamente osservabili, come, nel caso di un episodio depressivo, il rallentamento psicomotorio, la perdita di peso e di appetito e i disturbi del sonno. Direttive diagnostiche L'intelligenza non è una caratteristica unitaria, ma va valutata in base ad un ampio numero di differenti abilità più o meno specifiche. Sebbene la tendenza generale è che tutte queste abilità si sviluppino ad uno stesso livello in ogni individuo, possono esserci ampie discrepanze, soprattutto nei soggetti che sono mentalmente ritardati. Essi possono mostrare gravi compromissioni in una particolare area (ad es. il linguaggio), o possono avere un'area di abilità aumentata (ad es. nei compiti visuo- spaziali semplici) su uno sfondo di ritardo mentale grave. Ciò comporta problemi nella determinazione della categoria diagnostica in cui una persona ritardata va inserita. La determinazione del livello intellettivo deve essere basata su tutte le informazioni disponibili, comprendenti l'evidenza clinica, I'adattamento sociale (giudicato in relazione al contesto culturale in cui il soggetto è inserito) e la prestazione ai test psicometrici. Per una diagnosi di certezza, deve essere presente una compromissione del livello di funzionamento intellettivo, che determina una ridotta capacita di adattarsi alle richieste quotidiane di un ambiente sociale normale. Le patologie mentali o somatiche associate hanno una rilevante influenza sul quadro clinico e sull'uso che viene fatto delle diverse abilità. La scelta della categoria diagnostica deve essere, pertanto, effettuata sulla base di una valutazione globale delle capacità e non sull'esame di una singola area di compromissione specifica. 7
  • 8. I livelli di QI sono qui forniti come una guida e non devono essere applicati rigidamente, in considerazione dei problemi di validità transculturale. Le categorie sotto elencate sono divisioni arbitrarie di un continuum complesso e non possono essere definite con precisione assoluta. Il QI deve essere determinato con test intellettivi standardizzati e somministrati individualmente per i quali sono stati determinati i valori normali per la cultura locale. Il test selezionato deve essere appropriato al livello individuale di funzionamento e alle ulteriori condizioni di handicap presenti, ad esempio problemi a carico del linguaggio espressivo, difficoltà uditive, compromissione somatica. Scale di valutazione della maturità e dell'adattamento sociale, pure standardizzate localmente, devono essere impiegate in tutti i casi in cui ciò è possibile, intervistando un genitore o una persona che si prende cura del soggetto, che sia informato sulle sue capacità nella vita di tutti i giorni. Senza l'uso di procedure standardizzate è possibile soltanto una stima provvisoria del ritardo mentale. F70 Ritardo mentale lieve Le persone lievemente ritardate acquisiscono il linguaggio con qualche ritardo, ma nella maggior parte dei casi raggiungono la capacità di usare la parola per le esigenze della vita quotidiana, per tenere conversazioni e per sostenere il colloquio clinico. La maggior parte di esse raggiunge anche una piena indipendenza nella cura di sé (nel mangiare, nel lavarsi, nel vestirsi, nel controllo degli sfinteri) e nelle abilità pratiche e domestiche, anche se lo sviluppo è considerevolmente più lento del normale. Le maggiori difficoltà sono osservate in genere in ambito scolastico e molti hanno problemi particolari nel leggere e nello scrivere. Tuttavia, le persone lievemente ritardate possono essere molto aiutate da sistemi educativi progettati per sviluppare le loro abilità e per compensare i loro handicap. La maggior parte dei soggetti con le forme meno accentuate di ritardo mentale lieve è potenzialmente utilizzabile per un lavoro che richieda capacità pratiche piuttosto che teoriche, ivi compreso il lavoro di operaio non specializzato o semispecializzato. In un contesto socio-culturale in cui viene attribuita scarsa importanza al successo scolastico, un ritardo lieve può non rappresentare per se stesso un problema. Tuttavia, se è anche presente una notevole immaturità emotiva e sociale, si renderanno evidenti le conseguenze dell'handicap (per es. l'inabilità a far fronte alle responsabilità connesse al matrimonio o all'educazione dei figli, o la difficoltà di adattarsi alle tradizioni e aspettative culturali). In generale, le difficoltà comportamentali, emozionali e sociali del ritardato mentale lieve e le necessità di trattamento o di supporto derivanti da esse, sono più simili a quelle che si osservano in soggetti di normale intelligenza, piuttosto che ai problemi specifici dei pazienti con ritardo moderato o grave. Un'eziologia organica viene oggi identificata in una quota crescente di soggetti, per quanto non ancora nella maggioranza. 8
  • 9. Direttive diagnostiche Se sono utilizzati test di QI adeguatamente standardizzati, il range tra 50 e 69 è indicativo di ritardo lieve. La comprensione e l'uso del linguaggio tendono ad essere ritardati in vario grado, e problemi di espressione linguistica che interferiscono con lo sviluppo dell'indipendenza possono persistere nella vita adulta. Un'eziologia organica è identificabile solo in una minoranza dei soggetti. Condizioni associate, come l'autismo, altre sindromi da alterato sviluppo psicologico, l'epilessia, i disturbi della condotta o un handicap fisico, sono osservate in una quota variabile di soggetti. Se tali condizioni sono presenti, esse vanno codificate indipendentemente. Include: debolezza di mente; subnormalità mentale lieve; oligofrenia lieve; deficienza . F71 Ritardo mentale di media gravità I soggetti compresi in questa categoria sono lenti nello sviluppo della comprensione e dell'uso del linguaggio, e il livello di funzionamento che raggiungono in quest'area è modesto. L'acquisizione della cura di sé e delle capacità motorie è pure ritardata, e alcuni di essi necessitano di una supervisione per tutta la vita. Il loro profitto scolastico è limitato ma una parte di essi acquisisce le capacità basilari necessarie per leggere scrivere e far di conto. Programmi di istruzione specifici possono consentire ai singoli individui di sviluppare il proprio limitato potenziale e di acquisire alcune capacità essenziali: essi sono modulati per soggetti che imparano lentamente e che hanno una potenzialità ridotta di apprendimento. Da adulti, i soggetti con ritardo mentale di media gravità sono di solito in grado di eseguire semplici lavori manuali, se i compiti sono strutturati in maniera accurata e viene assicurata una valida supervisione. Un livello di vita completamente indipendente nell'età adulta è raramente raggiunto. Questi soggetti sono, comunque, di regola completamente mobili e fisicamente attivi, e la maggior parte di essi mostra un'evidente evoluzione sociale nelle proprie capacità di stabilire contatti, comunicare con gli altri e impegnarsi in semplici attività sociali. Direttive diagnostiche Il Ql è in genere compreso tra 35 e 49. Sono comuni in questo gruppo profili discrepanti delle diverse abilità, con alcuni individui che raggiungono livelli più alti nelle abilità visuo-spaziali che nei compiti dipendenti dal linguaggio, mentre altri sono estremamente impacciati nei movimenti, ma mostrano una certa capacità di interazione sociale e di conversazione elementare. Il livello di sviluppo del linguaggio è variabile: alcuni soggetti possono prendere parte a semplici conversazioni, mentre altri acquisiscono solamente il linguaggio sufficiente per comunicare i propri bisogni elementari. Alcuni non imparano mai ad usare il linguaggio, benché possano comprendere istruzioni semplici e imparare ad usare segni manuali per compensare in qualche misura i propri deficit linguistici. 9
  • 10. Nella maggior parte dei soggetti con ritardo mentale di media gravità si può identificare un'eziologia organica. L'autismo infantile o altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico sono presenti in un certo numero di casi ed hanno un effetto rilevante sul quadro clinico e sul tipo di assistenza richiesto. Sono anche comuni l'epilessia e gli handicap neurologici e fisici, benché la maggior parte dei soggetti sia in grado di camminare senza bisogno di assistenza. A volte è possibile identificare altre condizioni psichiatriche, ma il limitato livello di sviluppo del linguaggio può rendere la diagnosi difficile e subordinata alle informazioni ottenute dalle persone che conoscono il soggetto. Qualunque condizione patologica associata deve essere codificata indipendentemente. Include: imbecillità; subnormalità mentale di media gravità; oligofrenia di media gravità. F72 Ritardo mentale grave Questa forma è largamente simile al ritardo mentale di media gravità rispetto al quadro clinico, alla presenza di un'eziologia organica e alle condizioni associate. I livelli più bassi di funzionamento menzionati in quella categoria sono i più frequenti in questo gruppo. La maggior parte delle persone comprese in questa categoria soffre di un grado marcato di deficit motorio o di altri deficit associati, che indicano la presenza di un danno o di un alterato sviluppo del sistema nervoso centrale clinicamente significativo. Direttive diagnostiche Il QI è generalmente compreso tra 20 e 34. Include: subnormalità mentale grave; oligofrenia grave. F73 Ritardo mentale profondo In questa categoria il QI è valutato inferiore a 20 la qual cosa significa in pratica che le persone affette sono gravemente limitate nella loro capacità di capire richieste e istruzioni o di adeguarsi ad esse. I soggetti compresi in questa categoria sono in maggioranza immobili o gravemente limitati nella mobilità, incontinenti e capaci al massimo di forme molto rudimentali di comunicazione non verbale. Essi posseggono scarsa o nessuna capacità di prendersi cura dei propri bisogni elementari e richiedono costante aiuto e supervisione . Direttive diagnostiche Il QI è inferiore a 20. La comprensione e l'uso del linguaggio sono limitati, nel migliore dei casi, alla capacità di capire alcuni semplici comandi e di rivolgere richieste elementari. Possono essere acquisite le più semplici e basilari capacità visuo-spaziali di selezione e accoppiamento, e il soggetto può essere in grado, con un'appropriata supervisione e guida, di partecipare, per una piccola parte, alle attività domestiche e pratiche. Un'eziologia organica può essere identificata nella maggior parte dei casi. 10
  • 11. Sono comuni gravi handicap neurologici o fisici che compromettono la mobilità, come pure l'epilessia e le compromissioni della vista e dell'udito. Le sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico, nelle loro forme più gravi, specialmente l'autismo atipico, sono particolarmente frequenti, soprattutto nei soggetti che sono in grado di muoversi. Include: idiozia; subnormalità mentale profonda; o]igofrenia profonda. F78 Ritardo mentale di altro tipo Questa categoria deve essere utilizzata unicamente quando la valutazione del grado di ritardo mentale per mezzo delle abituali procedure è resa particolarmente difficile o impossibile dalla presenza di deficit sensoriali o fisici come nei soggetti ciechi, nei sordomuti e nei soggetti con gravi disturbi dei comportamento o fisicamente handicappati. F79 Ritardo mentale non specificato Si tratta di quei casi in cui vi è evidenza di ritardo mentale, ma l'informazione non è sufficiente perché il soggetto sia assegnato ad una delle categorie precedenti. Include: deficienza mentale non altrimenti specificata, subnormalità mentale non altrimenti specificata; oligofrenia non altrimenti specificata. DSM – IV MANUALE DIAGNOSTICO E STATISTICO DEI DISTURBI MENTALI Estratto RITARDO MENTALE Caratteristiche diagnostiche La caratteristica fondamentale del Ritardo Mentale è un funzionamento intellettivo generale significativamente al di sotto della media (Criterio A) che è accompagnato da significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno due delle seguenti aree: - delle capacità di prestazione: comunicazione, cura della persona, vita in famiglia - capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodeterminazione - capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute, e Sicurezza (Criterio B). - L’esordio deve avvenire prima dei 18 anni (Criterio C). Il Ritardo Mentale ha molte diverse eziologie e può essere visto come la via finale comune di vari processi patologici che agiscono sul funzionamento del sistema nervoso centrale. Il funzionamento intellettivo generale è definito dal quoziente di intelligenza (QI o equivalenti del QI) ottenuto tramite la valutazione con uno o più test di intelligenza standardizzati somministrati individualmente (per es., la Scala di Intelligenza Wechsler per i Bambini - Edizione Aggiornata, la Stanford Binet, la Batteria di Valutazione di Kaufman per i Bambini). Un funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media è definito da un QI di circa 70 o inferiore (circa 2 deviazioni standard al di sotto della media). 11
  • 12. Si dovrebbe notare che nella valutazione del QI esiste un errore di misurazione di circa 5 punti, che può tuttavia variare da strumento a strumento (per es., un QI di 70 al Wechsler viene considerato rappresentativo di un'estensione da 65 a 75). Quindi è possibile diagnosticare un Ritardo Mentale in soggetti con un QI tra 70 e 75 che mostrano deficit significativi del comportamento adattivo. Al contrario, un Ritardo Mentale non dovrebbe essere diagnosticato ad un soggetto con un QI inferiore a 70 se non vi sono deficit significativi o compromissione del funzionamento adattivo. La scelta degli strumenti di valutazione e l’interpretazione dei risultati dovrebbe tener conto di fattori che possono limitare la prestazione (per es., il retroterra socioculturale del soggetto, la lingua madre, e gli handicap di comunicazione, motori, e sensoriali associati). Quando esiste una dispersione significativa nei punteggi delle diverse parti dei test, sarà il profilo del punti di tenuta e di caduta, piuttosto che il QI calcolato matematicamente su tutte le scale, a riflettere in modo più accurato le capacità di apprendimento del soggetto. Quando esiste una notevole discrepanza tra i punteggi verbali e quelli di performance, fare la media per ottenere un punteggio del QI globale può indurre in errore. I soggetti con Ritardo Mentale giungono alla osservazione più per le compromissioni del funzionamento adattivo che per il QI basso. Il funzionamento adattivo fa riferimento all'efficacia con cui i soggetti fanno fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia personale previsti per la loro particolare fascia di età, retroterra socioculturale, e contesto ambientale. Il funzionamento adattivo può essere influenzato da vari fattori, che includono l'istruzione, la motivazione, le caratteristiche di personalità, le prospettive sociali e professionali, e i disturbi mentali e le condizioni mediche generali che possono coesistere col Ritardo Mentale. I problemi di adattamento sono più suscettibili di miglioramento con tentativi di riabilitazione di quanto non sia il QI cognitivo, che tende a rimanere un attributo più stabile. È utile evidenziare i deficit del funzionamento adattivo da una o più fonti indipendenti affidabili (per es. valutazione da parte degli insegnanti e storia scolastica, dello sviluppo e medica). Sono state predisposte anche diverse scale per misurare il funzionamento o il comportamento adattivo (per es., le Scale Vineland per il Comportamento Adattivo, e la Scala per il Comportamento Adattivo dell'Associazione Americana per il Ritardo Mentale). Queste scale generalmente forniscono un punteggio clinico limite che tiene conto delle prestazioni in diversi ambiti di capacità adattive. Si deve notare che alcuni di questi strumenti non misurano certe aree adattive, e che a loro volta i punteggi riguardanti le singole aree adattive variano considerevolmente per quanto riguarda l'attendibilità. 12
  • 13. Come nella valutazione del funzionamento intellettivo, si dovrebbe considerare l'adeguatezza dello strumento rispetto al retroterra socioculturale del soggetto, alla sua istruzione, agli handicap associati alla motivazione e alla collaborazione. Per esempio, la presenza di handicap significativi invalida molti degli standard delle scale adattive. Inoltre, i comportamenti che normalmente potrebbero essere considerati di disadattamento (per es dipendenza, passività) possono dar prova di buon adattamento nel contesto di una particolare situazione di vita del soggetto (per es., in alcuni ambienti istituzionali) Gradi di gravità del Ritardo Mentale Possono essere specificati 4 gradi di gravità, che riflettono il livello della compromissione intellettiva: Lieve, Moderato, Grave e Gravissimo. F70.9 Ritardo Mentale Lieve [317] livello del Ql da 50-55 a circa 70 F71.9 Ritardo Moderato [318.0] livello del QI da 3540 a 50-55 F72.9 Ritardo Mentale Grave [318.1] livello del QI da 20-25 a 35-40 F73.9 Ritardo Mentale Gravissimo [318.2] livello del Ql sotto 20 o 25. F79.9 Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata (319) Può essere usato quando c'è forte motivo di supporre un Ritardo Mentale, ma l'intelligenza del soggetto non è valutabile con i test standard (per es., in soggetti troppo compromessi o non collaborativi, o nella prima infanzia). F70.9 Ritardo Mentale Lieve (317) Il Ritardo Mentale Lieve equivale all’ incirca a ciò a cui si faceva riferimento con la categoria educazionale di "educabili". Questo gruppo costituisce la parte più ampia (circa l'85%) dei soggetti affetti da questo disturbo. Come categoria, i soggetti con questo livello di Ritardo Mentale tipicamente sviluppano capacità sociali e comunicative negli anni prescolastici (da 0 a 5 anni di età), hanno una compromissione minima nelle aree sensomotorie, e spesso non sono distinguibili dai bambini senza Ritardo Mentale fino ad un'età più avanzata. Prima dei 20 anni, possono acquisire capacità scolastiche corrispondenti all'incirca alla quinta elementare. Durante l'età adulta, essi di solito acquisiscono capacità sociali e occupazionali adeguate per un livello minimo di autosostentamento, ma possono aver bisogno di appoggio, di guida, e di assistenza, specie quando sono sottoposti a stress sociali o economici inusuali. Con i sostegni adeguati, i soggetti con Ritardo Mentale Lieve possono di solito vivere con successo nella comunità, o da soli o in ambienti protetti . F71.9 Ritardo Mentale Moderato (318.0) Il Ritardo Mentale Moderato è all'incirca equivalente a ciò a cui si faceva riferimento con la categoria educazionale di "addestrabili". Questo termine ormai sorpassato non dovrebbe essere usato perché implica erroneamente che i soggetti con Ritardo Mentale Moderato non possono beneficiare di programmi educazionali. Questo gruppo costituisce circa il 10% dell'intera popolazione di soggetti con Ritardo Mentale. La maggior parte dei soggetti con questo livello di Ritardo Mentale acquisisce capacità comunicative durante la prima fanciullezza. Essi traggono beneficio dall'addestramento professionale e, con una moderata supervisione, possono provvedere alla cura della propria persona. Possono anche 13
  • 14. beneficiare dell'addestramento alle attività sociali e lavorative, ma difficilmente progrediscono oltre il livello della seconda elementare nelle materie scolastiche. Possono imparare a spostarsi da soli in luoghi familiari. Durante l'adolescenza, le loro difficoltà nel riconoscere le convenzioni sociali possono interferire nelle relazioni con i coetanei. Nell'età adulta, la maggior parte riesce a svolgere lavori non specializzati, o semispecializzati, sotto supervisione in ambienti di lavoro protetti o normali. Essi si adattano bene alla vita in comunità, di solito in ambienti protetti. F72.9 Ritardo Mentale Grave (318.1) Il gruppo con Ritardo Mentale Grave costituisce il 34% dei soggetti con Ritardo Mentale. Durante la prima fanciullezza essi acquisiscono un livello minimo di linguaggio comunicativo, o non lo acquisiscono affatto. Durante il periodo scolastico possono imparare a parlare e possono essere addestrati alle attività elementari di cura della propria persona. Essi traggono un beneficio limitato dall'insegnamento delle materie prescolastiche, come familiarizzarsi con l'alfabeto e svolgere semplici operazioni aritmetiche, ma possono acquisire capacità come l'imparare a riconoscere a vista alcune parole per le necessità elementari. Nell'età adulta, possono essere in grado di svolgere compiti semplici in ambienti altamente protetti. La maggior parte di essi si adatta bene alla vita in comunità, in comunità alloggio o con la propria famiglia, a meno che abbiano un handicap associato che richieda assistenza specializzata o altre cure. F73.9 Ritardo Mentale Gravissimo (318.2) I gruppo con Ritardo Mentale Gravissimo costituisce circa un 1-2% dei soggetti con Ritardo Mentale. La maggior parte dei soggetti con questa diagnosi ha una condizione neurologica diagnosticata che spiega il Ritardo Mentale. Durante la prima infanzia, essi mostrano considerevole compromissione del funzionamento sensomotorio. Uno sviluppo ottimale può verificarsi in un ambiente altamente specializzato con assistenza e supervisione costanti, e con una relazione personalizzata con la figura che si occupa di loro. Lo sviluppo motorio e le capacità di cura della propria persona e di comunicazione possono migliorare se viene fornito un adeguato addestramento. Alcuni possono svolgere compiti semplici in ambienti altamente controllati e protetti. F79.9 Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata (319) La diagnosi di Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata dovrebbe essere usata quando vi è forte motivo di supporre un Ritardo Mentale, ma il soggetto non può essere valutato adeguatamente con i test di intelligenza standardizzati. Ciò può accadere con i bambini gli adolescenti, o gli adulti che sono troppo compromessi o troppo poco collaborativi per essere testati, oppure, nell'infanzia, quando esiste una valutazione clinica di funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media, ma i test disponibili (per es., le Scale Bayley per lo Sviluppo Infantile, le Scale Cattell per l'Intelligenza Infantile, e altri) non forniscono valori di QI. In generale, minore è l'età, più difficile è la valutazione della presenza di un Ritardo Mentale, tranne nei soggetti con compromissione gravissima. 14
  • 15. Procedure di registrazione Il codice diagnostico specifico per il Ritardo Mentale è scelto sulla base del livello di gravità come indicato in precedenza, e viene codificato sull'Asse II. Se il Ritardo Mentale è associato ad un altro disturbo mentale (per es., Disturbo Autistico), il disturbo mentale aggiuntivo viene codificato sull'Asse I. Se il Ritardo Mentale è associato con una condizione medica generale (per es., sindrome di Down), la condizione medica generale viene codificata sull'Asse III. Caratteristiche descrittive e disturbi mentali associati Non vi sono caratteristiche specifiche di personalità e di cormportamento associate in maniera esclusiva al Ritardo Mentale. Alcuni soggetti con Ritardo Mentale sono passivi, tranquilli, e dipendenti, mentre altri possono essere aggressivi e impulsivi. La mancanza di capacità di comunicazione può predisporre a comportarmenti dirompenti e aggressivi, che sostituiscono la comunicazione verbale. Alcune condizioni mediche generali associate col Ritardo Mentale sono caratterizzate da determinati sintomi comportamentali (per es., il comportamento autolesivo intrattabile associato con la sindrome di Lesch-Nyhan). I soggetti con Ritardo Mentale possono essere esposti allo sfruttamento da parte di altri (per es., abusi fisici e sessuali), o alla negazione di diritti e di opportunità. I soggetti con Ritardo Mentale hanno una prevalenza di disturbi mentali in comorbidità che è stimata da tre a quattro volte superiore rispetto alla popolazione generale. In alcuni casi ciò può essere la conseguenza di un'eziologia che è comune al Ritardo Mentale e al disturbo mentale associato (per es., un trauma cranico può avere come conseguenza un Ritardo Mentale e una Modificazione della Personalità Dovuta a Trauma Cranico). Si possono osservare tutti i tipi di disturbo mentale, e non è dimostrato che la natura di un dato disturbo mentale sia diversa nei soggetti affetti da Ritardo Mentale. La diagnosi di disturbi mentali in comorbidità è, in ogni caso, spesso complicata dal fatto che il quadro clinico può essere modificato dalla gravità del Ritardo Mentale e dagli handicap associati. I deficit nelle capacità di comunicazione possono avere come risultato un'incapacità di fornire un'anamnesi adeguata (per es., la diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore in un adulto non in grado di comunicare e affetto da Ritardo Mentale è spesso basata soprattutto su manifestazioni come umore depresso, irritabilità, anoressia, o insonnia, che vengono rilevate da altri). Più frequentemente che nel caso di soggetti senza Ritardo Mentale, può essere difficile scegliere una diagnosi specifica, e in tali casi si può usare appropriatamente la categoria Non Altrimenti Specificato (per es., Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato). I disturbi mentali più comunemente associati sono il Disturbo da Deficit di Attenzione/lperattività, i Disturbi dell'Umore, i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo, il Disturbo da Movimenti Stereotipati e i Disturbi Mentali Dovuti ad una Condizione Medica Generale (per es., Demenza Dovuta a Trauma Cranico). I soggetti con Ritardo Mentale dovuto a sindrome di Down possono avere maggiori probabilità di sviluppare una Demenza Tipo Alzheimer. Le modificazioni 15
  • 16. patologiche cerebrali associate con questo disturbo di solito si sviluppano all'inizio del quinto decennio di vita di questi soggetti, sebbene i sintomi clinici della demenza siano evidenti solo in seguito. Fattori predisponenti I fattori eziologici possono essere primariamente biologici o primariamente psicosociali, o una combinazione di entrambi. In circa il 30-40% dei soggetti giunti all'osservazione clinica, non può essere determinata un'eziologia chiara per il Ritardo Mentale nonostante gli intensi sforzi diagnostici. I principali fattori predisponenti includono: ereditarietà (circa il 5%): questi fattori includono errori congeniti del metabolismo trasmessi soprattutto per via autosomica recessiva (per es., malattia di TaySachs), altre anomalie di un singolo gene a trasmissione mendeliana e ad espressività variabile (per es. sclerosi tuberosa), e aberrazioni cromosomiche (sindrome di Down dovuta a traslocazione, sindrome dell'X fragile); alterazioni precoci dello sviluppo embrionale (circa il 30%): questi fattori inducono mutazioni cromosomiche (per es., sindrome di Down dovuta a trisomia 21) o danni prenatali dovuti a sostanze tossiche (per es., uso di alcool da parte della madre, infezioni); problemi durante la gravidanza e nel periodo perinatale (circa il 10%): questi fattori includono la malnutrizione del feto, la prematurità, I'ipossia, infezioni virali o altre infezioni, e traumi; condizioni mediche generali acquisite durante l'infanzia o la fanciullezza (circa il 5%): questi fattori includono infezioni, traumi, e avvelenamenti (per es., da piombo); influenze ambientali e altri disturbi mentali (circa il 15-20%): questi fattori includono la mancanza di accudimento e di stimolazioni sociali, verbali, o di altre stimolazioni, e disturbi mentali gravi (per es., Disturbo Autistico). Reperti di laboratorio associati Oltre ai risultati dei test psicologici e sul comportamento adattivo che sono necessari per la diagnosi di Ritardo Mentale, non vi sono dati di laboratorio associati in maniera esclusiva al Ritardo Mentale. I dati diagnostici di laboratorio possono essere collegati con una concomitante e specifica condizione medica generale (per es. dati sui cromosomi in vari disturbi genetici alto tasso ematico di fenilalanina nella fenilchetonuria, o anomalie alla visualizzazione del sistema nervoso centrale). Reperti dell'esame fisico e condizioni mediche generali associate Non vi sono caratteristiche fisiche specifiche associate col Ritardo Mentale. Quando il Ritardo Mentale fa parte di una specifica sindrome, saranno presenti le caratteristiche cliniche di quella sindrome (per es. Ie caratteristiche fisiche della sindrome di Down). Più grave è il Ritardo Mentale (specie se è grave o gravissimo), più alta è la probabilità di condizioni neurologiche (per es. convulsioni), neuromuscolari, visive, uditive, cardiovascolari, e di altre condizioni. 16
  • 17. Caratteristiche collegate a cultura, età e genere Ci si dovrebbe accuratamente assicurare che le procedure di valutazione intellettiva riflettano un'adeguata attenzione al retroterra etnico o culturale del soggetto. Ciò si realizza solitamente usando test in cui le caratteristiche salienti del soggetto sono rappresentate nel campione di standardizzazione del test o impiegando un esaminatore che ha familiarità con gli aspetti del retroterra etnico o culturale del soggetto. Per fare diagnosi di Ritardo Mentale è sempre richiesta una valutazione individualizzata. La prevalenza del Ritardo Mentale dovuto a fattori biologici conosciuti è simile nei bambini appartenenti alle classi socioeconomiche superiori e inferiori, ad eccezione di certi fattori eziologici che sono legati allo status socioeconomico meno elevato (per es. I'avvelenamento da piombo e la prematurità). Nei casi in cui non si può identificare alcuna causa biologica specifica, le classi socioeconomiche inferiori sono sovrarappresentate, e il Ritardo Mentale è di solito più lieve, sebbene tutti i livelli di gravità siano rappresentati. Nel valutare la compromissione delle capacità adattive si dovrebbe tener conto delle considerazioni riguardanti lo sviluppo, perché alcune aree delle capacità di prestazione sono meno rilevanti in età diverse (per es., I'uso delle risorse della comunità o il lavoro nei bambini in età scolare). Il Ritardo Mentale è più comune tra i maschi, con un rapporto maschi-femmine di 1,5:1 Prevalenza Il tasso di prevalenza del Ritardo Mentale è stato stimato intorno all'1%. Comunque, studi diversi hanno riportato tassi diversi a seconda delle definizioni usate, dei metodi di valutazione, e della popolazione studiata. Decorso La diagnosi di Ritardo Mentale richiede che l'insorgenza del disturbo sia avvenuta prima dei 18 anni di età. L'età e le modalità di esordio dipendono dall'eziologia e dalla gravità del Ritardo Mentale. Il ritardo più grave, specie quando è associato ad una sindrome con fenotipo caratteristico, tende ad essere riconosciuto più precocemente (per es., la sindrome di Down è di solito diagnosticata alla nascita). Al contrario, il Ritardo Lieve di origine sconosciuta è generalmente individuato più tardi. Nei casi più gravi di ritardo dovuto a cause acquisite, la compromissione intellettiva si svilupperà più bruscamente (per es., ritardo a seguito di un'encefalite). Il decorso del Ritardo Mentale è influenzato dal decorso delle condizioni mediche generali sottostanti e da fattori ambientali (per es., opportunità scolastiche e altre opportunità, stimolazione ambientale e adeguatezza della gestione). Se la condizione medica generale sottostante è statica, è più probabile che il decorso sia variabile e dipendente da fattori ambientali. Il Ritardo Mentale non dura necessariamente tutta la vita. Soggetti che erano affetti da un Ritardo Mentale Lieve nei primi anni di vita, manifestato con incapacità nei compiti di apprendimento scolastico, con un training e opportunità adeguati sviluppano buone 17
  • 18. capacità adattive in altri ambiti e possono non presentare più il livello di compromissione richiesto per la diagnosi di Ritardo Mentale. Familiarità Data l'eterogeneità eziologica, non vi sono caratteristiche familiari applicabili al Ritardo Mentale come categoria generale. L'ereditabilità del Ritardo Mentale è discussa nei "Fattori predisponenti". Diagnosi differenziale I criteri diagnostici per il Ritardo Mentale non comprendono un criterio di esclusione: quindi, si dovrebbe fare diagnosi ogni volta che i criteri vengono soddisfatti, a prescindere dalla presenza di un altro disturbo e in aggiunta ad esso. Nei Disturbi dell'Apprendimento o nei Disturbi della Comunicazione (non associati a Ritardo Mentale) è compromesso lo sviluppo in un'area specifica (per es., lettura, linguaggio espressivo), ma manca una compromissione generalizzata dello sviluppo intellettivo e del funzionamento adattivo. Un Disturbo dell'Apprendimento o un Disturbo della Comunicazione possono essere diagnosticati in un soggetto con Ritardo Mentale se il deficit specifico è eccessivo rispetto alla gravità del Ritardo Mentale. Nei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo vi è una compromissione qualitativa dell'interazione sociale reciproca e dello sviluppo delle capacità di comunicazione sociale di tipo verbale e non verbale. Il Ritardo Mentale spesso accompagna i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (il 75-80% dei soggetti con un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo ha anche un Ritardo Mentale). Alcuni casi di Ritardo Mentale esordiscono dopo un periodo di funzionamento normale e possono autorizzare una diagnosi aggiuntiva di demenza. Una diagnosi di demenza richiede che la compromissione della memoria e gli altri deficit cognitivi costituiscano un declino significativo rispetto ad un precedente livello di funzionamento più elevato. Dato che può essere difficile determinare il livello precedente di funzionamento in bambini molto piccoli, la diagnosi di demenza può non essere appropriata se il bambino ha meno di 4-ó anni. In generale, per i soggetti sotto i 18 anni di età, la diagnosi di demenza viene fatta solo se la condizione non è definita in maniera soddisfacente dalla sola diagnosi di Ritardo Mentale. Il Funzionamento Intellettivo Limite corrisponde a un'estensione di valori di QI che è maggiore rispetto al Ritardo Mentale (di solito 71-84). Come discusso in precedenza, un punteggio di QI può comportare un errore di misurazione di circa 5 punti, a seconda dello strumento di valutazione. Quindi, è possibile diagnosticare un Ritardo Mentale in soggetti con QI tra 71 e 75 se sono presenti deficit significativi nel comportamento adattivo che soddisfano i criteri per il Ritardo Mentale. La distinzione tra Ritardo Mentale Lieve e Funzionamento Intellettivo Limite richiede un attento esame di tutte le informazioni disponibili. Relazione con altre classificazioni del Ritardo Mentale Il sistema di classificazione della Società Americana per il Ritardo Mentale (AAMR) include gli stessi tre criteri (cioè, funzionamento intellettivo significativamente al di 18
  • 19. sotto della media, limitazioni nelle capacità adattive, ed esordio prima dei 18 anni di età). Nella classificazione della AAMR, il criterio del funzionamento significativamente al di sotto della media fa riferimento ad un punteggio standard di 70-75 o meno (che tiene conto del potenziale errore di misurazione di 5 punti in più o in meno nella valutazione del QI). Inoltre, il DSM-IV specifica i livelli di gravità, mentre il sistema di classificazione del 1992 della AAMR specifica “Tipi e Livello del Supporto Richiesto" (cioè, "Intermittente, Limitato, Estensivo, e Totale"), che non sono direttamente paragonabili con i livelli di gravità del DSM-IV. La definizione di menomazioni dello sviluppo secondo la Public Law 95-602 (1978)*, non è limitata al Ritardo Mentale ed è basata su criteri funzionali. Questa legge definisce menomazione dello sviluppo una menomazione attribuibile ad una compromissione mentale o fisica, manifestatasi prima dei 22 anni di età, che probabilmente continuerà indefinitamente, e che causa una sostanziale limitazione di tre o più aree specifiche del funzionamento, e richiede assistenza specifica a vita o protratta. Relazione con i criteri diagnostici per la ricerca dell'ICD-10 I metodi di definizione del livello di gravità del Ritardo Mentale differiscono leggermente nei due sistemi. I criteri diagnostici per la ricerca dell'ICD-10 definiscono i livelli con punteggi limite precisi: il Ritardo Lieve è delimitato tra 50 e 69, il Moderato tra 35 e 49, il Grave tra 20 e 34, e il Gravissimo al di sotto di 20. Al contrario, il DSM-IV prevede una flessibilità maggiore nel collegare la gravità ad un dato punteggio di QI definendo i livelli di gravità con punteggi che si sovrappongono. Nel margine di sovrapposizione, la gravità è determinata dal livello di funzionamento adattivo. CAP. 2 L’ INTEGRAZIONE SCOLASTICA L’integrazione scolastica in Italia dal 1970 ad oggi La storia dell’integrazione scolastica in Italia trova nei richiami legislativi utili elementi di comprensione. La conoscenza delle tappe più significative che hanno portato all’ingresso nella scuola di tutti gli alunni handicappati appare di fondamentale importanza per tutti coloro che sono impegnati professionalmente nel processo di riduzione degli handicap. In questa sede si richiamano le principali leggi che hanno orientato la politica dell’integrazione nel nostro paese con un particolare riferimento ai criteri di assegnazione ed alle competenze richieste al personale di sostegno alle classi in cui sono inseriti alunni in difficoltà. _____ A partire dagli anni Sessanta in Italia sorsero un po' ovunque scuole speciali e classi differenziali. Lo sviluppo fu addirittura sproporzionato rispetto alla quantità dei bambini in situazione di handicap, poiché vennero inseriti nelle scuole speciali 19
  • 20. anche alunni non in situazione di handicap, ma con svantaggio socio-culturale o con problemi di disciplina scolastica. Dal 1970 emersero sempre più i rischi presenti nella segregazione delle scuole speciali: genitori ed insegnanti iniziarono tentativi di inserimento. Sulla scia di queste pressioni sociali e delle norme relative all'integrazione che nel frattempo erano state emanate in alcuni degli Stati Uniti e nelle nazioni scandinave, in Italia vennero promulgate leggi (e relative circolari, ordinanze, ecc.) particolarmente innovative. La legge 517 del 1977: - stabilì "forme di integrazione e sostegno a favore degli alunni portatori di handicap sia nella scuola elementare, che media inferiore"; - fu inoltre previsto che "le classi che accolgono portatori di handicap siano costituite da un massimo di 20 alunni" (norma oggi non più attuale; vedi avanti); - per gli alunni in situazione di handicap furono previsti anche insegnanti specializzati per il sostegno; - vennero abolite le classi differenziali e di aggiornamento. Nel 1979 (C.M. n. 199) si stabilì che ogni insegnante di sostegno poteva seguire al massimo 4 alunni. Ulteriori disposizioni disciplinarono l'integrazione anche nella scuola materna. Nei Nuovi Programmi Didattici per la Scuola Elementare (DPR 12-2-1985) furono definitivamente sanzionati i principi dell'integrazione dei bambini in situazione di handicap. Alla fine degli anni Ottanta, sulla base di norme che fecero seguito ad una Sentenza della Corte Costituzionale (n. 215 del 1987), venne stabilito che anche nella Scuola Media Superiore l'integrazione degli studenti con handicap doveva essere non solo facilitata, ma "assicurata". La normativa poteva essere applicata in modo più o meno fedele e comunque doveva essere interpretata. Essa, ad esempio, non stabiliva con precisione i criteri per decidere quando un bambino dovesse essere certificato in situazione di handicap, se un particolare bambino dovesse, data la gravità delle sue difficoltà, essere inserito in classe normale oppure in scuola speciale oppure quando la gravità dell'handicap fosse tale da richiedere che un insegnante di sostegno dovesse seguire un solo bambino. La realtà attuale, sorta sulla base degli atteggiamenti della popolazione e delle decisioni effettuate dai genitori, dagli operatori scolastici e da quelli sociosanitari è caratterizzata, come illustriamo più avanti, dal fatto che in Italia: - è certificato in situazione di handicap l'1,52% della popolazione scolastica: 0,88% nella scuola dell'infanzia,1,86% nella scuola elementare, 2,37% nella scuola media inferiore e 0,87% e nelle scuole medie superiori (M.P.I., 2001); - il rapporto tra insegnanti di sostegno ed alunni in situazione di handicap è di 2,2 alunni in situazione di handicap per ogni insegnante di sostegno (esattamente, nel 2000, 60.457 insegnanti di sostegno, corrispondenti al 7,56% del personale docente, rispetto a 133.029 allievi certificati in situazione di handicap); 20
  • 21. - il 97,8% degli allievi certificati in situazione di handicap (M.P.I., 2001), compresi alcuni molto gravi (ad esempio con cerebrolesioni notevoli, con più disabilità gravi o autistici) sono inseriti in classe normale. Purtroppo i dati ministeriali non distinguono adeguatamente i vari tipi di handicap, considerando solo le categorie: minorati della vista, dell'udito e psicofisici (non sempre distinguendo fra "prevalentemente psichici" e "prevalentemente fisici"). A titolo esemplificativo il bambino con turbe nevrotiche (ma intelligente) o quello autistico sono inseriti nella stessa categoria in cui vi sono i bambini con sindrome di Down. Secondo Vianello (1999) il confronto fra i dati italiani a disposizione indica le frequenze di cui nella tabella che segue (prendendo come riferimento gli allievi presenti nella scuola elementare). Come si può notare su 100 alunni con handicap, 65 hanno un ritardo mentale, cioè gravi carenze a livello intellettuale. Tabella 6.1 Frequenza dei vari tipi di danno/disabilità secondo i criteri maggiormente utilizzati in Italia per definire un alunno come in situazione di handicap Tipo di danno/disabilità Percentuale rispetto alla Percentuale (approssimata all'unità) popolazione dei coetanei rispetto agli alunni con handicap: - Visivo 0,03 2 - Uditivo 0,08 4 - Motorio (non mentale) 0,18 10 - Mentale 1,23 66 - Nevrotico, psicotico e/o autistico 0,18 10 - Multipli/vari 0,15 8 - Totale 1, 86 100 Per quanto riguarda gli insegnanti di sostegno è opportuno far notare che a partire dall'anno 1998-99 essi non vengono più assegnati in proporzione al numero di allievi certificati in situazione di handicap (con un rapporto medio di 1:2 e non di 1:4, dato che molte erano le situazioni considerate così gravi da richiedere un rapporto minore e spesso 1:1), ma considerando il rapporto di 1 insegnante di sostegno ogni 138 allievi (in situazione di handicap e non) iscritti nelle scuole statali della provincia. Era questo il rapporto effettivo medio in Italia nel 1997-98. Nella grande maggioranza dei casi gli allievi in situazione di handicap sono inseriti in classi con meno di 20 allievi. Questo è dovuto al fatto che nel 1999 un decreto ministeriale (22 marzo 1999; n. 72) ha precisato quanto segue per la formazione delle classi negli anni scolastici 1999-2000 e 2000-2001. - Ove necessario la classe in cui è inserito un allievo in situazione di handicap può avere anche più di 20 allievi, ma non più di 25. - Per costituire una classe che accoglie un alunno in situazione di handicap con un numero di alunni minore di 20 è necessario un progetto motivato ed articolato di integrazione in cui siano rese esplicite, con riferimento alle esigenze formative dell'alunno, le strategie e le metodologie adottate dai docenti della classe, dall'insegnante di sostegno nonché da altro personale della stessa scuola. - La presenza di più di un alunno in situazione di handicap nella stessa classe può essere prevista in ipotesi residuale ed in presenza di handicap lievi. 21
  • 22. - Le classi iniziali che ospitano un alunno in situazione di handicap sono costituite, di regola, con non più di 20 iscritti; per le classi intermedie il rispetto di tale limite deve essere rapportato all'esigenza di garantire la continuità didattica nelle stesse classi. Negli ultimi anni ricca è stata anche la normativa riguardante la programmazione scolastica, la certificazione e la collaborazione fra scuola e operatori sanitari e sociali. A questi argomenti, di notevole importanza, abbiamo appositamente dedicato le note che seguono. 1992 e 1994: due leggi cruciali Nel 1992 la legge 104 (detta legge quadro "sull'handicap") costituì un punto di riferimento fondamentale per tutta la politica dell'integrazione in Italia. Due anni dopo il D.P.R. 24 febbraio 1994, avente per oggetto "Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap" definì alcune linee cruciali per l'integrazione scolastica. Esso in quattro diversi articoli considera: - l'individuazione di un allievo come in situazione di handicap; - la diagnosi funzionale che ne descrive lo stato psico-fisico; - il profilo dinamico funzionale che dovrebbe descrivere il livello di sviluppo che si prevede nell'arco di uno o due anni scolastici; - il piano educativo individualizzato (P.E.I.), cioè il documento che deve contenere gli interventi effettuati. Il fine fondamentale della individuazione è di tipo normativo. In pratica attraverso di essa si stabilisce che il soggetto rientra nella definizione di "persona handicappata" come previsto dalla legge 104 del 1992 e successive modificazioni. Ne derivano molteplici conseguenze: per quanto riguarda la scuola, la classe in cui l'allievo è inserito non può avere più di un certo numero di allievi, quella classe usufruisce anche di interventi di sostegno (insegnante di sostegno in particolare); relativamente all'assistenza è possibile un intervento di tipo economico; sul piano dell'integrazione lavorativa sono possibili interventi particolari per l'orientamento, la formazione e l'assunzione; ecc. Su piano dell'intervento operativo le poche parole che spesso costituiscono la certificazione (ad esempio "soggetto con sindrome di Down con ritardo medio") sono scarsamente informative. La vera e propria "descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psico-fisico dell'alunno in situazione di handicap" è affidata alla diagnosi funzionale. Mentre, come prescrive la legge, l'individuazione deve essere effettuata prima possibile (entro dieci giorni dalla segnalazione), per la diagnosi funzionale è necessario un tempo che permetta gli approfondimenti necessari. Essa, redatta dagli operatori dell'ASL, prevede: - dati anagrafici del soggetto e dati relativi al nucleo familiare (composizione, stato di salute, situazione lavorativa ecc.); 22
  • 23. - l'anamnesi fisiologica e patologica prossima e remota del soggetto (nascita, vaccinazioni, malattie, ospedalizzazioni, terapie, riabilitazioni ecc.); - la diagnosi clinica (da parte del medico specialista a seconda della patologia). In particolare devono essere indicate le potenzialità relative ai seguenti aspetti: - cognitivo; - affettivo-relazionale; - linguistico; - sensoriale; - motorio-prassico; - neuropsicologico; - autonomia. Il profilo dinamico funzionale (PDF), previsto dalla legge 104/92, è un atto successivo alla diagnosi funzionale. Esso "obbliga" gli operatori sociosanitari a confrontarsi con i familiari e con la scuola. Si tratta di un documento comune, da redigere dopo un primo periodo di inserimento scolastico, di base per ogni programmazione volta all'integrazione scolastica e sociale. Esso dovrebbe indicare il prevedibile sviluppo a breve (sei mesi) e medio termine (due anni) dell'allievo in situazione di handicap. La costruzione del Profilo dinamico funzionale favorisce ulteriormente lo spostamento dell'attenzione dalle carenze del soggetto in situazione di handicap alle sue competenze, dato che è sulle sue potenzialità che esso è focalizzato. Questo permette anche di abbandonare il confronto, implicito od esplicito, che normalmente si fa con lo stereotipo del coetaneo medio, per concentrare l'attenzione sull'individualità delle caratteristiche del soggetto e facendo quindi un altro confronto e cioè quello fra ciò che il soggetto è e ciò che, sfruttando le sue potenzialità, egli può diventare a breve e a medio termine. Per carenza di organico e di tradizione di collaborazione fra operatori sanitari e scolastici sono molto frequenti le situazioni in cui il Profilo dinamico funzionale non è redatto oppure è compilato in modo affrettato, approssimativo o con finalità quasi esclusivamente formali. Ancor più negativa è la situazione per quanto riguarda il Piano educativo individualizzato, anche se la legge dice esplicitamente che non si tratta di un documento "solo scolastico", ma del documento in cui vengono descritti tutti gli interventi. Purtroppo a questo livello la scuola è spesso lasciata sola e questo favorisce la confusione fra il Piano educativo individualizzato (PEI) e quella che è invece la specifica programmazione scolastica e la descrizione degli interventi effettuati a scuola. Il piano educativo individualizzato dovrebbe essere la risultante delle programmazioni predisposte da parte di: - A.S.L (interventi diagnostici, terapeutici, riabilitativi); - scuola (programmazione educativa e didattica); - Ente locale (trasporto, mensa, operatori per sogggetti non autosufficienti, sostegno familiare ecc.); 23
  • 24. - famiglia dell'allievo. Da: L’integrazione scolastica in Italia Di Renzo Vianello Gli atteggiamenti nei confronti degli allievi in situazione di handicap e del loro inserimento nelle classi normali Come si relazionano insegnanti ed alunni con i soggetti handicappati? Quali gli atteggiamenti prevalenti nei confronti della presenza di un alunno/a con problemi derivanti da un deficit? Parallelamente alla realizzazione delle prime esperienze di integrazione sono state attivate numerose ricerche, a livello nazionale ed internazionale, con l’intento di precisare atteggiamenti e comportamenti che si esprimono nella vita di classe, la conoscenza degli esiti di questi studi può suggerire informazioni preziose per comprendere meglio le complesse dinamiche che accompagnano il processo di integrazione che, proprio per la sua natura di processo,richiede di essere continuamente monitorato. Lo studio degli atteggiamenti nei confronti degli allievi in situazione di handicap ha interessato studiosi ed operatori dagli anni dei primi tentativi di integrazione, cioè dagli anni Settanta, sia in Italia sia all'estero. Numerose ricerche evidenziano coerenza fra l'atteggiamento degli insegnanti e il loro effettivo comportamento (Kiesler, Collins e Miller, 1969; Silbermann, 1969; Triandis, 1971; Good e Brophi, 1972) e il fatto che il loro atteggiamento influenza l'effettivo successo dell'integrazione (Mitchell, 1976; Huges, 1978). Nella letteratura internazionale di alcuni anni fa emergono spesso stereotipi negativi da parte degli insegnanti (Shotel, Iano, e McGettigan, 1972; Parish, Eads, Reece e Piscitella, 1977; Moore e Fine, 1978; Center e Ward, 1987). Risulta comunque che il contatto con gli allievi in situazione di handicap e/o un adeguato programma di formazione professionale possono rendere tali atteggiamenti più positivi (Haring, 1957; Brooks e Bransford, 1971; Glass e Mackler, 1972; Harasymiw e Horne, 1975; Jurgeleit e Sturmer, 1977; Mandell e Strain, 1978; Larrivee, 1981; Smith, 1983; Center e Ward, 1987). Numerose sono le variabili considerate. Tra queste ricordiamo la personalità dell'insegnante, le caratteristiche dell'handicap, la diversa esperienza specifica (Warren e Turner, 1966; Combs e Harper, 1967; Feldmann e Altman, 1985). Il Italia le prime ricerche furono condotte nel periodo 1970-1980. Gli atteggiamenti da parte degli insegnanti Vianello, in collaborazione con vari altri ricercatori, dal 1977 ha condotto varie ricerche sugli atteggiamenti degli insegnanti. Una prima serie di indagini (riportata in Vianello, 1990), ha utilizzato una intervista che si focalizzava in particolare sui punti che seguono: - priorità degli obiettivi cognitivi o sociali; - utilità delle scuole speciali; - manifestazione di comportamenti instabili, aggressivi o sconvenienti (imbarazzanti); 24
  • 25. - difficoltà nella conduzione della classe. I risultati fondamentali sono i seguenti. - L'insegnante con esperienza diretta e coinvolgente afferma di constatare meno problemi di quelli che vengono ipotizzati da chi non ha esperienza o ne ha poca o poco coinvolgente. In altre parole vi è una sopravvalutazione delle difficoltà che l'allievo in situazione di handicap pone sia nel suo comportamento disciplinare sia per quanto riguarda la conduzione della classe. - Quanto sopra vale per tutte le situazioni di handicap (sensoriali, motorie, mentali, di personalità), ma non per le situazioni di svantaggio socioculturale. - Il tipo di disabilità presentata dall’alunno condiziona le opinioni degli insegnanti. In generale i docenti ritengono meno problematica l’integrazione di alunni con disabilità di tipo fisico che non di tipo psichico (Bellotto & Bolla, 1982; Cacciaguerra & Foglio Bonda, 1982; 1984). - L'allievo con sindrome di Down appare come meno problematico rispetto agli altri allievi (considerati in generale) con ritardo mentale. Si può ipotizzare che anche in questo caso influisca il fatto che l'allievo con sindrome di Down è meno sconosciuto, ritenuto meno imprevedibile. - L'attenzione degli insegnanti (ed eventuali preoccupazioni) è particolarmente rivolta agli aspetti comportamentali: quanto più un bambino non disturba, tanto più è accettato. Una seconda serie di indagini (Castellini, Mega, Vianello, 1995: Mega, Castellini e Vianello, 1997) ha invece utilizzato un questionario (ATMS, Attitude Towards Mainstreaming Scale, di Larrivee e Cook, 1979). Consideriamo i risultati più rilevanti: - Gli insegnanti di sostegno hanno un atteggiamento più positivo degli insegnanti curriculari (sia di quelli che insegnano più ore nella stessa classe, sia degli altri). - Gli insegnanti di scuola dell'infanzia ed elementare hanno un atteggiamento più positivo dei colleghi che insegnano alle medie. - Gli insegnanti di scuola media con poche ore di insegnamento hanno un atteggiamento meno positivo dei colleghi per più ore a contatto con lo stesso allievo in situazione di handicap (e complessivamente simile a quello di chi non ha esperienza). anche in questo caso sembra svolgere un ruolo importante la conoscenza specifica dell'allievo: più si conosce un allievo in situazione di handicap e più lo si accetta. - Al di là delle distinzioni di cui sopra gli insegnanti italiani (e anche i loro capi di Istituto, Direttori didattici o Presidi) riportano nel test ATMS (vedi sopra) punteggi superiori; in altre parole evidenziano un atteggiamento più positivo dei loro colleghi statunitensi ed australiani, nei confronti degli allievi in situazione di handicap in generale e verso l'integrazione in particolare. Una terza serie di indagini (Vianello e Mognato, in corso di stampa), infine, ha utilizzato un altro questionario (di cui esaminiamo, in questo contesto gli item riconducibili a tre categorie di opinioni esprimibili con le seguenti domande: Le scuole speciali sono da preferire a quelle speciali? L'inserimento di un alunno in situazione di handicap comporta vantaggi per i compagni? E per se stesso?), 25
  • 26. proposto ad educatrici di Asilo Nido, ad insegnanti di scuola dell'infanzia, ad esperti e a personale ausiliario di Asilo Nido e Scuola dell'infanzia. Varie sono le conferme delle ricerche precedente (e nessuna contraddizione rispetto ai risultati di cui sopra). Inoltre è emerso quanto segue: molto omogenea è risultata la posizione degli esperti (Presidente, Vice-presidente e Segretario del Coordinamento Nazionale Insegnanti Specializzati, più un famoso ricercatore universitario, più alcuni componenti dell'Osservatorio permanente per l'integrazione degli allievi in situazione di handicap del Ministero della Pubblica Istruzione, di cui alcuni anche professori universitari). Essi sono molto concordi con il fatto che le scuole normali siano da preferirsi alle scuole speciali e che l'inserimento di un allievo in situazione di handicap comporti vantaggi per sé e anche per i compagni. Anche educatrici di Asilo Nido, insegnanti di scuola dell'infanzia e personale ausiliario concordano sull'utilità dell'inserimento in classe normale sia in generale, sia per gli stessi allievi e per i compagni. L'accordo è comunque minore (ma sempre positivo) rispetto agli esperti (soprattutto da parte del personale ausiliario). Nel complesso pare che la conclusione fondamentale (anche se non unica) sia: conoscenza scientifica più conoscenza diretta migliorano l'atteggiamento nei confronti degli allievi in situazione di handicap. Anche Cornoldi e collaboratori (Cornoldi, Terreni, Scruggs, & Mastropieri, 1998; Terreni, Cornoldi, Mastropieri, & Scruggs, 1997) hanno condotto ricerche sulle opinioni di insegnanti curricolari delle scuole elementari e medie inferiori. A tale scopo è stato utilizzato un questionario con item a scala Likert (Scuggs & Mastropieri, 1996) che considerava l’opinione verso l’integrazione scolastica e la disponibilità di risorse e corsi di formazione. E’ emerso che gli insegnanti sostengono e approvano l’integrazione scolastica e sono disposti ad accettare nella propria classe alunni con disabilità poiché ritengono che in tale modo sia facilitato lo sviluppo e l’apprendimento di tutti gli studenti. Reclamano però una maggiore assistenza dagli insegnanti di sostegno e dalle altre figure professionali, più tempo e risorse materiali ed una formazione più specializzata. Anche Balboni e Pedrabissi (2000), hanno confrontato l’atteggiamento di insegnanti curricolari con quelli di sostegno, utilizzando un questionario a scala Likert basato su quello elaborato da Larrivee (1981) e relativo all’opinione sull’integrazione e sulle modifiche necessarie da apportare al sistema scolastico. E' stato confermato (come in Castellini, Mega e Vianello, 1995) che i docenti di sostegno hanno un atteggiamento complessivo più favorevole all’integrazione. Essi concordano con i docenti curricolari nel sostenere che tutti gli insegnanti necessitano di maggiore formazione affinché l’integrazione abbia esito positivo. In particolare ritengono più dei colleghi curricolari che i soggetti con disabilità traggano vantaggio dall’essere inseriti in classi comuni piuttosto che in classi speciali. Essi comunque reclamano una maggiore collaborazione fra le diverse 26
  • 27. figure professionali responsabili del percorso individualizzato dell’alunno con disabilità e maggiori innovazioni didattiche. Dalle ricerche di Balboni e Pedrabissi risulta confermato (Castellini et al., 1995; Cornoldi et al, 1998; Vianello, 1999) che gli insegnanti delle scuole elementari sono più favorevoli all'inserimento in classe normale di quelli delle scuole medie inferiori o superiori. In particolare, secondo la ricerca di Balboni e Pedrabissi, i primi hanno un’idea più negativa delle scuole speciali e sostengono maggiormente l’integrazione dei soggetti con disabilità. Ritengono più degli altri che siano necessarie collaborazione fra docenti curricolari e di sostegno e significative modifiche ai curricula e alle modalità di insegnamento. I docenti delle scuole medie inferiori e superiori invece, più dei colleghi delle elementari, reclamano una maggiore formazione professionale per insegnare ad alunni con disabilità. Anche l’età del docente influenza l’atteggiamento verso l’integrazione: quelli più giovani, con meno di quarant’anni di età, hanno un atteggiamento generale più favorevole (Balboni & Pedrabissi, 2000; Cornoldi et al., 1998). In particolare i primi sostengono maggiormente innovazioni didattiche e l’inserimento nelle classi comuni piuttosto che in quelle speciali. Concordano con quelli più anziani nel ritenere necessaria la collaborazione fra le distinte figure professionali. Di contro, i docenti con almeno quarant’anni di età ritengono fondamentali, più dei colleghi, corsi di aggiornamento e una formazione più specializzata (Balboni & Pedrabissi, 2000). E’ stato confermato che l’esperienza diretta con casi di integrazione scolastica influenza in modo significativo l’atteggiamento di insegnanti curricolari: quelli che hanno avuto l’opportunità di insegnare ad un alunno con disabilità hanno sviluppato un’idea generale più favorevole all’integrazione (Balboni & Pedrabissi, 2000). Essi in particolare, più dei colleghi senza esperienza diretta, sostengono l’inserimento in classi normali, sono contrari a quelle speciali e ritengono fondamentale la collaborazione fra docenti curricolari e di sostegno. La variabile esperienza inoltre “attenua” l’effetto negativo che gli anni di servizio e l’età del docente hanno sull’atteggiamento verso l’integrazione: l’atteggiamento di docenti con esperienza e con almeno quarant’anni d’età o dieci anni di servizio non si differenzia da quello dei colleghi con inferiore età o anni di servizio; nel caso di docenti senza esperienza invece esso é significativamente peggiore (Figura 1; Balboni & Pedrabissi, 2000). Besio e Chinato (1997) inoltre hanno rilevato che i docenti di sostegno con esperienza, se confrontati ai colleghi che sono ancora in formazione, sono più attenti agli aspetti concreti del fenomeno integrazione e si dimostrano meno propensi all’adozione di tecniche didattiche innovative o all’intervento di altre figure specialistiche. Da: L’integrazione scolastica in Italia Di Renzo Vianello Insegnamenti individualizzato e/ o differenziato e conduzione della classe in cui è inserito un alunno in situazione di handicap 27
  • 28. La presenza di un alunno in situazione di handicap in classe obbliga ad una impostazione didattica non tradizionale.Tra le spinte innovative degli ultimi trenta anni l’inserimento degli allievi in situazione di handicap è senza dubbio uno dei più importanti. Cruciale è il fatto che aumentano sempre più i casi in cui l’allievo in situazione di handicap non è mai allontanato dalla classe o lo è solo per poche ore alla settimana, ma lavora nella stessa aula con gli allievi. Questo obbliga gli insegnanti a migliorare le proprie competenze nel campo dell’insegnamento differenziato e di quello cooperativo. Anche il ruolo dell’insegnante di sostegno che lavora in classe normale è profondamente diverso da quello dell’insegnante che lavora in scuola speciale. Innanzitutto egli deve avere un preparazione polivalente, in quanto nella scuola in cui lavora può essere costretto a seguire sia gli allievi con disabilità sensoriali, che motorie, che intellettive, che di personalità. Inoltre non le/gli è chiesto di essere solo lo specialista dell’apprendimento degli allievi in situazione di handicap. Oltre a ciò è fondamentale la capacità di aiutare l’insegnante curricolare a lavorare meglio con l’allievo in situazione di handicap ( e con la classe nel suo complesso) nelle ore in cui c’è la compresenza in modo da acquisire un metodo di lavoro utilizzabile anche quando non è presente l’insegnante di sostegno. Questo significa che tale figura dovrebbe essere esperta anche nel favorire la collaborazione fra colleghi, in modo da permettere interventi fra loro coerenti. Si tratta di un lavoro molto impegnativo( talvolta reso difficile da atteggiamenti di chiusura da parte dei colleghi) ma da privilegiare il più possibile. ESERCITAZIONE 1 L’analisi delle condizioni che rendono possibile lo svolgimento di un insegnamento individualizzato all’interno delle classi in cui è presente un alunno in situazione di handicap è di prioritaria importanza per gli operatori scolastici. Ti chiediamo di fare precedere la lettura dei documenti che seguono con una esercitazione che ha lo scopo di fare emergere le tue personali convinzioni su questi temi. La domanda a cui dovrai rispondere è la seguente: “ Come è possibile, con una classe che ha 20 o più alunni, attuare un insegnamento individualizzato? Elenca che cosa si può fare sul piano didattico per favorire l’apprendimento” Annota di seguito tutto quanto la tua esperienza personale e professionale ti richiamano alla mente. Una volta concluso il lavoro passa alla lettura del documento di approfondimento seguente. 28
  • 29. Documento di approfondimento Insegnamento individualizzato e/o differenziato Di Renzo Vianello Come è possibile, con una classe che ha più di 20 bambini, attuare un insegnamento individualizzato? Immaginiamo una pluriclasse, forse la risposta ci sarà più facile. Spesso mi è stata posta, a volte con candore, altre volte provocatoriamente (cioè con la convinzione che l’unica risposta seria era non è possibile povero/a insegnante!). La mia prima risposta è stata, di norma, sì è molto difficile. Una volta tranquillizzate le coscienze, perché gli insegnanti non sopportano che si dica loro che una cosa considerata difficile è in realtà facile (e hanno ragione) aggiungevo una cosa del tipo soprattutto se non si cambia lo stile di insegnamento (e cambiarlo è proprio difficile). Nel corso degli anni ho cercato vari modi per cercare di spiegare il mio (anche mio, dato che è ampiamente condiviso da vari altri studiosi e operatori) modo di intendere la didattica. La modalità che ho trovato più efficace per introdurre l’argomento è stato dire quanto segue: Se dipendesse da me e fosse possibile (ma non lo è) il primo anno di scuola di tutti gli insegnanti dovrebbe essere in una pluriclasse di 20 bambini e ragazzi di età compresa fra i 3 e i 14 anni. Si scoprirebbero così tutte le tecniche che sono necessarie in ogni classe, dato che ogni classe è in realtà una pluriclasse. Di solito dico questo con il volto sorridente e qualche volta aggiungo qualche nota di colore del tipo: un paese sperso fra le montagne, con il figlio del sindaco e del farmacista, ma anche un bambino che è bene tenere il più possibile a scuola per evitare che se ne stia tutti i giorni a badare alle mucche al pascolo, ecco. La grande maggioranza degli insegnanti coglie subito (o comunque presto) il senso della proposta. Le risposte sono ovviamente molto varie. In linea di massima mi pare che esse siano così catalogabili. Un primo gruppo di risposte (spesso quelle che vengono per prime alla mente) sono del tipo: bisogna individualizzare l’insegnamento. Come? Sono necessari: - una valutazione individuale continuata, annotabile in un diario o quaderno per la programmazione o registro individuale, che permetta: una programmazione adeguata alle esigenze di ciascuno; - materiali didattici di vario tipo (molti libri di lettura, sussidiari, altro materiale). Chi si limita a queste risposte spesso aggiunge: ma è troppo impegnativo e forse non realizzabile. Come trovare una soluzione più adeguata? E le risposte sono molte varie, ma in definitiva sono riassumibili nelle due che seguono: 29
  • 30. - con un insegnamento differenziato; - con un insegnamento cooperativo (per piccoli gruppi e con l’uso di tutor). A quest’ultimo argomento dedichiamo la prossima unità. La presente è dedicata all’insegnamento differenziato (ma già in questo presentiamo modalità relative al lavoro di gruppo). Viene presa in considerazione una classe in cui è inserito un bambino in situazione di handicap e specificamente con ritardo mentale. Questa situazione, infatti, avvicina le classi omogenee per età alle pluriclassi. Come si potrà notare è vero che ci vuole un atteggiamento di insegnamento non tradizionale. Conosco molti insegnanti che, costretti ad essere innovativi nella propria didattica in quanto avevano in classe allievi in situazione di handicap, si sono alla fine resi conto che in realtà avevano imparato ciò che serviva a tutti i bambini normodotati. Scelta degli argomenti da trattare nelle ore di compresenza e modalità di lavoro Le riflessioni che seguono riguardano una modalità di lavoro che si basa sull’attività che si svolge nell’aula della classe e considera innanzitutto ciò che è possibile fare quando vi è la compresenza di un insegnante curricolare e dell’insegnante di sostegno (o comunque di due insegnanti). In realtà queste proposte sono realizzabili anche quando vi è un solo insegnante, ma è più facilmente realizzabile in due (soprattutto quando non si è esperti). Una volta assimilata la tecnica e acquisito l’atteggiamento educativo opportuno le proposte che seguono sono comunque realizzabili da un solo insegnante. Anzi, mi si permetta un confronto. Come la televisione a colori: non se ne sentiva molto l’esigenza quando c’era la televisione in bianco e nero, ma una volta utilizzata, potendo scegliere, si preferisce di gran lunga quella a colori. In altre parole, apprese le tecniche dell’insegnamento differenziato e cooperativo, non lo si abbandona più, ma semplicemente lo si adatta a se stessi e alle proprie realtà scolastiche. Consideriamo dunque alcune attività da svolgere nella logica dell’apprendimento differenziato (che, come si vedrà, significa non che ciascuno affronta argomenti diversi, ma che all’interno di un’area comune di apprendimento ognuno trova il proprio compito). Cruciale è la scelta dell’argomento da trattare. Ricordo ad esempio un professore di matematica che, per quanto animato da buona volontà, andò incontro ad una serie di insuccessi perché proponeva argomenti troppo specifici. Egli infatti dedicava tutte le proprie energie alla costruzione di una progressione logica che procedesse lentamente dal più facile al più difficile, pensando così di portare lentamente per mano anche l’allievo meno dotato alla comprensione di leggi fisiche o di ragionamenti matematici. Le sue proposte, viceversa, comportavano inconvenienti: risultava estremamente noioso questo lungo cammino per i soggetti normali; il soggetto in situazione di 30
  • 31. handicap era posto in una condizione di apprendimento passivo, dovendo egli percorrere una strada già del tutto prefissata. A nostro avviso, è più produttivo affrontare argomenti ampi, scelti e presentati in modo da permettere agli alunni prestazioni a diversi livelli di complessità, affrontabili, ad esempio: - con il linguaggio orale; - con il disegno; - con il linguaggio scritto. L’argomento deve essere monotematico, il più possibile ricco, presentato in modo da offrire una molteplicità di stimoli e dovrebbe occupare non meno di 10-15 ore. Come si dovrebbe fare per ogni intervento di ampio respiro, è opportuno suddividere il lavoro in tre fasi e cioè: - una raccolta di esperienze, di strumenti e materiali di vario tipo; - una lavoro individuale o per piccoli gruppi; - una sintesi collettiva (ad esempio con presentazione sintetica del lavoro di ciascun gruppo a tutti gli altri e discussione finale oppure costruzione di un libretto comune). Come si può notare, si tratta di qualcosa che molti già fanno indipendentemente dal fatto che in classe sia inserito un alunno in situazione di handicap. Tale modalità, in ogni caso, sembra la più adatta per l’integrazione. Anche la scelta degli argomenti non richiede nulla di particolarmente originale. Molto adatti si sono rivelati, ad esempio, argomenti legati alle stagioni o all’ecologia, così come argomenti di storia e geografia. La scelta è ampia. Ciò che conta è che siano rispettate le condizioni di cui sopra (ricchezza, polifunzionalità, coinvolgimento degli alunni, ecc.). Una scelta adeguata di 5-10 argomenti può permettere la programmazione del lavoro annuale fondamentale (che deve essere svolto durante le ore di sostegno) con un ragazzo in situazione di handicap. Il lavoro per piccoli gruppi In ogni classe in cui c’è un alunno in situazione di handicap sono opportuni quattro gruppi di cinque bambini ciascuno. L’esperienza insegna che per il funzionamento dei lavori di gruppo (indipendentemente dalla presenza di un compagno in situazione di handicap) è essenziale: - non lasciare, di norma, la formazione dei gruppi a scelte spontanee, ma basarla su criteri tesi al potenziamento dello sviluppo sociale individuale; - fornire una traccia su cui lavorare, coerente e complementare a quella fornita agli altri gruppi, elaborata dagli insegnanti, ma preparata collettivamente ed adeguatamente commentata; - richiedere fin dall’inizio una conclusione materiale del lavoro (come minimo due paginette scritte); - fare in modo che entro la prima ora di lavoro venga scelto il relatore finale (a cui spetta anche il compito di tenere il verbale); 31
  • 32. - stabilire prima e garantire poi che venga rispettato nelle discussioni il principio di darsi il turno; - controllare l’attività dei gruppi in modo da evitare una non equa distribuzione del lavoro, favorendo, viceversa, il coinvolgimento di tutti; - lasciare ampio spazio alla terza fase, cioè a quella di presentazione agli altri del proprio lavoro. Compito fondamentale dell’insegnante è far sì che il gruppo funzioni in modo produttivo, ma sostituendosi il meno possibile agli alunni sul piano dei contenuti, ed offrendo viceversa il più possibile elementi per la scoperta e l’utilizzazione di strumenti utili per raccogliere le informazioni o per concretizzare i risultati del lavoro. Ciò non significa che in questo modo si toglie all’insegnante la sua funzione di trasmettitore dei contenuti, ma che la si sposta a conclusione definitiva del lavoro di gruppo, come risposta a problemi sorti precedentemente. Al di là di quanto sintetizzato sopra, riferito a lavori di gruppo con o senza alunno in situazione di handicap, attribuisco molta importanza ad essi per quanto riguarda l’obiettivo dell’integrazione e questo per almeno due motivi. In primo luogo, questa modalità di lavoro, che può essere iniziata in condizioni ottimali quando è presente anche l’insegnante di sostegno, può, una volta divenuta familiare all’insegnante curricolare, continuare anche quando l’insegnante di sostegno non c’è. Se tutto ha funzionato già precedentemente l’insegnante curricolare aveva seguito in contemporanea i tre gruppi in cui non era presente l’alunno con handicap o, alternandosi con l’insegnante di sostegno, quello in cui tale alunno era presente. Con maggiore esperienza l’insegnante può ora seguire contemporaneamente i quattro gruppi. Se ciò avviene si tratta di un vero e proprio successo, in quanto, in pratica, anche senza l’insegnante di sostegno, l’intervento per l’integrazione non sarebbe limitato a sole 4-6 ore (a parte i casi in cui un insegnante di sostegno deve seguire 1 o 2 soli alunni con handicap). Inoltre, una volta creato uno stile di lavoro sui gruppi, risulta meno dissonante, quando ce n’è proprio bisogno, lavorare ogni tanto (sia da parte dell’insegnante di sostegno che di quello curricolare) anche a tu per tu, individualmente, per brevi periodi, in classe, con l’alunno con handicap. Al limite anche l’eventuale uscita, purché non di norma, dall’aula acquista ora un significato diverso, perché è diversa l’atmosfera in cui si lavora, alternante momenti di lavoro tutti assieme, per piccoli gruppi, o individuale. Il rischio che tale modalità venga vissuta come emarginante è minore. ESERCITAZIONE 2 Dopo avere letto i materiali di approfondimento quali parti del tuo scritto ristruttureresti? 32
  • 33. Immagina di scrivere una lettera all’autore dei documenti Scegli uno o due argomenti che ritieni particolarmente significativi e scrivi una lettera in cui esponi le tue riflessioni. A proposito dell’apprendimento cooperativo La ricerca di soluzioni volte ad aumentare la partecipazione attiva degli studenti e valorizzarne i singoli contributi trova nell’apprendimento cooperativo una possibile pista di lavoro oltre ad una alternativa al metodo tradizionale troppo centrato sul modello di presentazione-recitazione dei contenuti. Con il termine apprendimento cooperativo ci si riferisce ad un “ metodo di conduzione della classe, o della scuola, che mette in gioco nell’apprendimento le risorse degli studenti”. All’insegnante viene richiesto, non solo di gestire ed organizzare le esperienze di apprendimento condotte dagli stessi studenti, ma anche di sviluppare obiettivi educativi di collaborazione, solidarietà, responsabilità e relazione, ritenuti elementi efficaci per una migliore qualità delle esperienze stesse. Molto ben fondato sul piano teorico, con riferimenti sia di tipo pedagogico che psicologico, l’apprendimento cooperativo si rivela un elemento di facilitazione anche per le classi in cui sono presenti alunni con difficoltà di apprendimento. Apprendimento cooperativo: indicazioni dagli studi di psicologia dello sviluppo Apprendimento cooperativo: alcune basi teoriche in psicologia dello sviluppo Di Renzo Vianello L'apprendimento cooperativo è molto ben fondato sul piano teorico, con riferimenti sia di tipo pedagogico che psicologico. Tra i primi riferimenti troviamo John Dewey Kurt Lewin (in uno studio classico assieme a Lippit e White degli anni Trenta) e Vygotskij (la valorizzazione che egli fa degli strumenti comunicativi e linguistici anche per lo sviluppo del pensiero costituisce senza dubbio una base importante per i rapporti fra apprendimento cooperativo e sviluppo della mente). Indicazioni fondamentali si hanno anche in Piaget, per il quale l’influenza sociale è non solo importante, ma addirittura necessaria. Egli afferma questo nel 1932 e lo ribadisce varie volte (ad esempio nel 1947 nel volume "Psicologia dell'intelligenza", nel 1955 in un volume con la Inhelder e in alcuni scritti successivi sullo sviluppo nell'adolescenza). Ci limitiamo a presentare, evidenziando con dei corsivi alcuni punti cruciali, ciò che ha detto nel libro “Il giudizio morale nel fanciullo”, pubblicato nel 1932 e una brevissima citazione dal volume del 1947. 33
  • 34. «Solo la cooperazione porta all’autonomia. Per quanto riguarda la logica, la cooperazione è anzitutto fonte di critica: grazie al reciproco controllo, rimuove nel contempo la convinzione spontanea propria dell’egocentrismo e la fiducia cieca nell’autorità degli adulti. La discussione causa così riflessione e la verifica oggettiva. Ma per questo stesso fatto, la cooperazione è fonte di valori costruttivi. Per ciò che riguarda le realtà morali, la cooperazione è anzitutto fonte di critica e di individualismo. E' appunto essa che, mediante il confronto reciproco delle intenzioni intime e delle regole adottate da ciascuno, porta l’individuo a giudicare obiettivamente gli atti e le prescrizioni altrui, compresi quelli degli adulti. Da qui il declino del rispetto unilaterale ed il primato del giudizio personale. Per conseguenza, la cooperazione rimuove, nello stesso tempo, l’egocentrismo ed il realismo morale e conduce dunque ad una interiorizzazione delle regole. Così una nuova morale succede a quella del puro dovere. L’eteronomia lascia il posto a una coscienza del bene, la cui autonomia deriva dall’accettazione delle norme di reciprocità. L’obbedienza lascia il posto alla nozione di giustizia ed all’aiuto reciproco, fonte di tutti gli obblighi sino ad allora imposti come imperativi incomprensibili. Insomma, la cooperazione sul piano morale dà luogo a trasformazioni esattamente parallele a quelle di cui abbiamo ricordato la presenza nel campo intellettuale… L’adulto deve quindi essere un collaboratore e non un maestro, da questo doppio punto di vista, morale e razionale. Ma, inversamente, sarebbe imprudente voler contare soltanto sulla “natura” intesa in senso puramente biologico, per assicurare il duplice progresso della coscienza e dell’intelligenza, quando noi constatiamo che ogni norma morale così come ogni forma logica di pensiero sono il prodotto della cooperazione. Realizziamo quindi nella scuola un ambiente tale che la sperimentazione individuale e la riflessione in comune si richiamino l’uno all’altra e si equilibrino. Se dovessimo dunque scegliere, fra i sistemi pedagogici attuali, quelli che meglio corrispondono ai risultati della nostra indagine psicologica, cercheremmo di orientare il nostro metodo verso ciò che è stato chiamato “lavoro di gruppo” ed “autogoverno”. Preconizzato da Dewey, Sanderson, Cousinet e dalla maggior parte dei promotori della “scuola attiva”, il metodo del lavoro a gruppi consiste nel lasciare che i bambini facciano la loro ricerca in comune, sia in “squadre” organizzate, sia semplicemente in raggruppamenti spontanei. La scuola tradizionale, il cui ideale è diventato poco a poco quello di preparare agli esami e ai concorsi più che alla vita stessa, si è trovata obbligata a isolare il bambino in un lavoro strettamente individuale: la classe ascolta in comune, ma gli scolari eseguono i loro compiti ciascuno per suo conto. Questo procedimento, che contribuisce più di tutte le situazioni familiari a rinforzare l’egocentrismo spontaneo del bambino, contrasta con le esigenze più evidenti dello sviluppo intellettuale e morale. 34
  • 35. E' appunto contro questo stato di cose che reagisce il metodo del lavoro di gruppo: la cooperazione è promossa al rango di fattore essenziale del progresso intellettuale. E' evidente, d’altronde, che questa innovazione ha qualche significato solo nella misura in cui l’iniziativa nella condotta stessa del loro lavoro viene lasciata ai bambini.” (Piaget, 1932, pp. 333-334) "Immaginiamo per un momento che un individuo eccezionalmente dotato, cambiando spesso la propria maniera di considerare la realtà, riesca alla fine a coordinare da solo tutte le sue possibili prospettive in modo da assicurare il loro raggruppamento. Possiamo supporre che quest’individuo, da solo, anche se avesse a disposizione tutto il tempo necessario per condurre un’esperienza abbastanza lunga, sarà in grado di ricostruire tutti i suoi punti di vista anteriori, cioè l’insieme dei rapporti percepiti in passato e che non percepisce più attualmente? Se così fosse egli non avrà fatto altro che stabilire uno scambio fra la successione dei propri differenti stati, avrebbe cioè consolidato i suoi ricordi e li avrebbe trasformati in linguaggio rappresentativo mediante un sistema d’annotazioni stabilite attraverso delle continue convenzioni con se stesso. In definitiva avrebbe così realizzato una società fra i suoi diversi “io”! In realtà, invece, solo gli scambi costanti di pensiero con gli altri ci permettono di “decentrarci” dandoci la possibilità di coordinare poi interiormente i rapporti derivati da tutte queste differenti visuali.” (Piaget, 1947, pag. 186 e ss.) Cruciali sono alcuni punti. - "Solo la cooperazione porta all'autonomia". - "Realizziamo nella scuola un ambiente tale che la sperimentazione individuale e la riflessione in comune si richiamino l'una all'altra e si equilibrino". - Notevole importanza del lavoro di gruppo. - Fondamentale lasciare l'iniziativa al bambino. Nel campo dello sviluppo dell'intelligenza troviamo anche le ricerche di Inhelder, Sinclair e Bovet. E' opportuno citarle perché esse ancora una volta sottolineano l'importanza dell'attività del soggetto (anche in questo caso sono evidenziati con il corsivo alcuni punti importanti, mentre le parti tra virgolette sono riprese da Inhelder, Sinclair e Bovet, 1973). Quali sono le condizioni da rispettare perché ci sia un vero e proprio apprendimento? - Attività del soggetto. “Una situazione di apprendimento è tanto più fruttuosa quanto più il soggetto è attivo (essere attivo cognitivamente non si riduce, beninteso, ad una manipolazione qualunque; vi può essere attività mentale senza manipolazione, come vi può essere passività manipolando”) - Coordinazione degli schemi. “Il progresso della conoscenza si manifesta per il fatto ce ogni nuova struttura integra, coordinandoli, gli schemi anteriori.” Se il bambino è impegnato adeguatamente e ci fornisce una qualche spiegazione 35