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Giacomo	
  Geroldi	
  

                                            dIABOLIK
Il film Diabolik nasce nel 1968, voluto dal produttore Dino De Laurentiis e diretto da Mario Bava, è ispirato
all’omonimo fumetto creato nel 1962 da Angela e Luciana Giussani. Secondo Filippo Zoratti del Centro
Espressioni Cinematografiche di Udine, la pellicola è frutto di un compromesso con il mega-produttore,
                                              disposto a concedere un budget risicato ma avido di incasso
                                              immediato. Con 200 milioni di lire a disposizione – somma
                                              piuttosto bassa per gli standard dell’epoca – Bava distillò nella
                                              trasposizione dell’omonimo fumetto tutta la sua passione e il suo
                                              mestiere. Ma non fu sufficiente, perché a fronte di un incasso in
                                              sala di 260 milioni il progetto di produrre un sequel fu
                                              immediatamente abbandonato.
                                              Con questo lavoro Mario Bava inaugura la svolta "pop" del suo
                                              cinema, pervadendola di un'estetica personalissima, che sposa il
                                              gusto visivo del suo autore con le influenze delle avanguardie
                                              artistiche allora più in voga.
                                              Essendo un cinema “pop”, nel senso più “wahroliano” del termine,
                                              Bava dirige un film, che in un certo senso, traspone sul grande
                                              schermo un certo tipo di estetica fumettistica, non avendo paura di
                                              adottare soluzioni visive poco usuali per il grande schermo, e
                                              mantiene il tutto in bilico tra l'esercizio stilistico, la
                                              sperimentazione visiva e la demolizione auto-ironica.
                                              Infatti, l’origine fumettistica del film è evidente in ogni aspetto
                                              della messa in scena, che in continuo gioca con il linguaggio
                                              grafico del mondo dei fumetti, evitando però ogni staticità e
                                              ricorrendo, come caratteristica peculiare, alla moltiplicazione dei
                                              quadri all’interno dell’inquadratura, ovvero d’una tecnica peculiare
                                              del fumetto.
Forse è proprio per questi motivi che è considerato uno dei migliori film pop degli anni sessanta, un misto
di pop art, optical art, psichedelia e futurismo.

Il lungometraggio di Bava sembra addirittura andare oltre al fumetto di riferimento, caricando la fotografia,
curata da Antonio Rinaldi, di colori saturi. Egli dipinge la pellicola come si colorerebbero le tavole di un
fumetto, con tonalità forti, accese, spesso contrastanti, che aggrediscono lo spettatore cancellando da subito
ogni idea di verosimiglianza, restituendo ai suoi agli occhi un cinema visionario e giocoso, divertente e
divertito.
Le scenografie sono parte integrante dell'impostazione che Bava ha voluto dare al film: basti pensare al look
del nascondiglio sotterraneo di Diabolik, con forme e colori che mescolano disinvoltamente pop art,
futurismo e psichedelia.
La grande caverna che fa da rifugio era in realtà vuota, tutti i dettagli furono inseriti
tramite fotografie e pezzi di vetro applicati sull’obiettivo. Bava si allontana radicalmente
dal fumetto per aggiungere il suo personale marchio di fabbrica, realizzando, come detto
prima, un’ambientazione pop-psichedelica: il rifugio di Diabolik diventa quindi un luogo
futuristico, pieno di luci, letti rotanti, porte automatiche che, pur creando un notevole
effetto visivo, si discosta molto dal rifugio originale del fumetto.
Questa tendenza è rimarcata anche da un’intera sequenza, fine a se stessa, dove dei
giovani beat danzano su un lungo brano psichedelico del maestro Morricone e da alcune
sequenze di animazione, ad esempio nella scena della costruzione dell’identikit di Eva.
Punto debole di questa pellicola è la sceneggiatura francamente debole.	
  
La storia è prosciugata all’osso, la narrazione non ha una sua coerenza e fluidità ma
appare piuttosto come una serie di vicende ispirate al celebre e affascinante personaggio
fumettistico.
Di base la sceneggiatura prende spunto da tre episodi della serie a fumetti: Sepolto vivo!
(Prima serie n°8), Lotta disperata (Prima serie n°15) e L’ombra nella notte (Seconda serie
N°11) che, tuttavia, non vengono amalgamati in modo ottimale.
La trama del film, infatti, è in pratica una sequenza sfilacciata di colpi del nostro eroe.
Dei tre citati fumetti, quello da cui è stato attinto più materiale è “Lotta disperata”. Infatti,
tutta la parte finale del film, dove Ginko fa trasportare all’interno di un vagone blindato
un enorme quantitativo d’oro trasformato in un unico enorme lingotto, è presa da questo
fumetto,	
   ma il finale è diverso. Da “Sepolto vivo!” invece è tratta l’idea della droga
Krusion che Diabolik utilizza come ultima chance di salvezza per portarsi in uno stato di
morte apparente e cogliere tutti di sorpresa al proprio risveglio.
Mentre da “L’ombra nella notte” è stata presa soltanto la “sequenza” della scalata della torre.


                                                   Per quanto riguarda il cast, ci sono state scelte azzeccate e
                                                   non. Per interpretare il personaggio di Diabolik fu scelto
                                                   inizialmente Jean Sorel che tuttavia stava girando
                                                   contemporaneamente Barbarella, altro film prodotto da De
                                                   Laurentiis. Per questo motivo la scelta di impersonare un
                                                   mito nazionale è caduta su John Phillip Law, un americano
                                                   che riesce a interpretare in modo credibile la fisicità e,
                                                   ovviamente, lo sguardo “diabolico” del personaggio.
                                                   Per il personaggio di Eva Kant fu inizialmente scelta
                                                   una modella sconosciuta, amica di una persona della
                                                   produzione.
                                                   Dopo una settimana fu però sostituita da Catherine Deneuve.
                                                   Anche l'attrice francese fu però rimpiazzata, poiché Bava non
                                                   gradiva la sua interpretazione e la Deneuve rifiutava di girare
                                                   scene di nudo.
                                                   Sul set arrivò così Marisa Mell, bellissima e biondissima
                                                   attrice austriaca, che impersonò una Eva Kant troppo
                                                   seducente.
                                                   Suscitò molto scalpore la scelta di Michel Piccoli per il ruolo
                                                   dell'ispettore Ginko, poiché tra l'attore e il personaggio dei
                                                   fumetti non sussisteva alcuna somiglianza fisica e Piccoli era
troppo vecchio e privo di affinità con il personaggio del fumetto. Pare che le stesse sorelle Giussani avessero
affermato che: "Ginko si riconosce per quello che fa, non per il suo volto". Il giudizio delle creatrici di
Diabolik si rivelò, in effetti, esatto: le critiche dei fan, infatti, risparmiarono Piccoli e si concentrarono su
Marisa Mell, che pur essendo identica ad Eva Kant, non riusciva ad interpretarla in modo credibile.
Da segnalare nel film l’assenza di Altea, il quarto personaggio in ordine di importanza nel fumetto. Presenti
invece alcuni personaggi “nuovi” da menzionare: uno è il primo ministro, interpretato da Terry Thomas, che
è continuamente ridicolizzato da Diabolik e, l’altro, è il malavitoso Valmont interpretato da Adolfo Celi.

Già dalla descrizione dei personaggi si notano alcune caratteristiche
innovative del film: il sesso e l’ironia.
Diabolik ed Eva si abbandonano spesso a effusioni e il regista percorre
diverse volte le curve della bionda criminale. Nel fumetto invece il sesso
fra i due non va oltre il bacio.
Anche l’ironia, totalmente bandita dal fumetto, nel film è presente, ma
fuori luogo e spunta sovente grazie soprattutto al personaggio di Terry
Thomas.	
  	
  

                                 Un’altra differenza, non da poco, rispetto al fumetto è l’assenza dei
                                 travestimenti alla Diabolik.
                                 Anche se in un paio di scene il re del terrore appare truccato o con una barba
                                 finta, il personaggio è comunque riconoscibile, mentre nel fumetto Diabolik
                                 è un vero trasformista e occupa spesso il posto di altre persone, grazie alle
                                 maschere di sua fabbricazione e alla sua capacità d’imitazione.

                                 Per i puristi, tra gag farsesche e precipitose fughe in Jaguar, c’è anche il
                                 tempo di storcere il naso: il film spazza via senza indugio ogni connotazione
                                 morale e natura anti-borghese del protagonista e la bella, quanto inadeguata,
                                 Eva Kant si dimostra personaggio passivo e fatuo. Diabolik ed Eva navigano
nelle banconote, amanti del lusso per il lusso; lui soddisfa i capricci di lei, lei si fa ingenuamente catturare
durante una visita medica. E alla fine il ricordo più vivo destinato a restare impresso nella memoria è il
nichilismo con cui sono inquadrati i difensori della legge e i funzionari di Stato: un branco di deficienti,
“zimbello della stampa locale”, marionette incapaci di intendere e volere. Più di ogni altra cosa, ecco la firma
di Mario Bava. Perché anche in un film su commissione è possibile esprimere – chiara e necessaria – la
propria idea della società e del mondo.
In tempi recenti la pellicola Diabolik è divenuta un cult movie. Alberto Pezzotta scrive: « Pur restando un
film su commissione, Diabolik si stacca dalla media degli analoghi film dell’epoca e riesce dove aveva
fallito Modesty Blaise di Joseph Losey: vale a dire nel trasporre al cinema il mondo dei fumetti adottando lo
stile delle ultime avanguardie artistiche».
Tralasciando stroncature feroci (tra tutte quella di Tullio Kezich, che considerava l’opera “uno dei più stupidi
film degli anni Sessanta”) e scatenate riabilitazioni all’insegna di sopravvalutazione cultural-
artistiche, Diabolik va preso per quello che è: un lavoro orgogliosamente bislacco e stravagante figlio di
un’epoca in cui convivevano l’impegno politico e iperrealistico alla Fernando Di Leo e la leggerezza
strampalata e ultra-kitsch del Batman televisivo, quello con Adam West in calzamaglia e con le scritte
onomatopeiche in sovrimpressione, che rendevano il telefilm simile ad un fumetto animato.
In definitiva, si può dire comunque di essere di fronte a un film importante nella filmografia del regista, oltre
che anomalo all'interno del variegato panorama dei "film tratti da fumetti": l'unico caso, forse, in cui la
trasposizione cinematografica è in un certo senso più "fumettistica" dell'originale.
Un buon film, soprattutto per i trucchi e le invenzioni del regista, ma che è tuttavia un rifacimento fedele
solo in parte e un po’ troppo bonario.

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Diabolik- Giacomo Geroldi

  • 1. Giacomo  Geroldi   dIABOLIK Il film Diabolik nasce nel 1968, voluto dal produttore Dino De Laurentiis e diretto da Mario Bava, è ispirato all’omonimo fumetto creato nel 1962 da Angela e Luciana Giussani. Secondo Filippo Zoratti del Centro Espressioni Cinematografiche di Udine, la pellicola è frutto di un compromesso con il mega-produttore, disposto a concedere un budget risicato ma avido di incasso immediato. Con 200 milioni di lire a disposizione – somma piuttosto bassa per gli standard dell’epoca – Bava distillò nella trasposizione dell’omonimo fumetto tutta la sua passione e il suo mestiere. Ma non fu sufficiente, perché a fronte di un incasso in sala di 260 milioni il progetto di produrre un sequel fu immediatamente abbandonato. Con questo lavoro Mario Bava inaugura la svolta "pop" del suo cinema, pervadendola di un'estetica personalissima, che sposa il gusto visivo del suo autore con le influenze delle avanguardie artistiche allora più in voga. Essendo un cinema “pop”, nel senso più “wahroliano” del termine, Bava dirige un film, che in un certo senso, traspone sul grande schermo un certo tipo di estetica fumettistica, non avendo paura di adottare soluzioni visive poco usuali per il grande schermo, e mantiene il tutto in bilico tra l'esercizio stilistico, la sperimentazione visiva e la demolizione auto-ironica. Infatti, l’origine fumettistica del film è evidente in ogni aspetto della messa in scena, che in continuo gioca con il linguaggio grafico del mondo dei fumetti, evitando però ogni staticità e ricorrendo, come caratteristica peculiare, alla moltiplicazione dei quadri all’interno dell’inquadratura, ovvero d’una tecnica peculiare del fumetto. Forse è proprio per questi motivi che è considerato uno dei migliori film pop degli anni sessanta, un misto di pop art, optical art, psichedelia e futurismo. Il lungometraggio di Bava sembra addirittura andare oltre al fumetto di riferimento, caricando la fotografia, curata da Antonio Rinaldi, di colori saturi. Egli dipinge la pellicola come si colorerebbero le tavole di un fumetto, con tonalità forti, accese, spesso contrastanti, che aggrediscono lo spettatore cancellando da subito ogni idea di verosimiglianza, restituendo ai suoi agli occhi un cinema visionario e giocoso, divertente e divertito. Le scenografie sono parte integrante dell'impostazione che Bava ha voluto dare al film: basti pensare al look del nascondiglio sotterraneo di Diabolik, con forme e colori che mescolano disinvoltamente pop art, futurismo e psichedelia.
  • 2. La grande caverna che fa da rifugio era in realtà vuota, tutti i dettagli furono inseriti tramite fotografie e pezzi di vetro applicati sull’obiettivo. Bava si allontana radicalmente dal fumetto per aggiungere il suo personale marchio di fabbrica, realizzando, come detto prima, un’ambientazione pop-psichedelica: il rifugio di Diabolik diventa quindi un luogo futuristico, pieno di luci, letti rotanti, porte automatiche che, pur creando un notevole effetto visivo, si discosta molto dal rifugio originale del fumetto. Questa tendenza è rimarcata anche da un’intera sequenza, fine a se stessa, dove dei giovani beat danzano su un lungo brano psichedelico del maestro Morricone e da alcune sequenze di animazione, ad esempio nella scena della costruzione dell’identikit di Eva. Punto debole di questa pellicola è la sceneggiatura francamente debole.   La storia è prosciugata all’osso, la narrazione non ha una sua coerenza e fluidità ma appare piuttosto come una serie di vicende ispirate al celebre e affascinante personaggio fumettistico. Di base la sceneggiatura prende spunto da tre episodi della serie a fumetti: Sepolto vivo! (Prima serie n°8), Lotta disperata (Prima serie n°15) e L’ombra nella notte (Seconda serie N°11) che, tuttavia, non vengono amalgamati in modo ottimale. La trama del film, infatti, è in pratica una sequenza sfilacciata di colpi del nostro eroe. Dei tre citati fumetti, quello da cui è stato attinto più materiale è “Lotta disperata”. Infatti, tutta la parte finale del film, dove Ginko fa trasportare all’interno di un vagone blindato un enorme quantitativo d’oro trasformato in un unico enorme lingotto, è presa da questo fumetto,   ma il finale è diverso. Da “Sepolto vivo!” invece è tratta l’idea della droga Krusion che Diabolik utilizza come ultima chance di salvezza per portarsi in uno stato di morte apparente e cogliere tutti di sorpresa al proprio risveglio. Mentre da “L’ombra nella notte” è stata presa soltanto la “sequenza” della scalata della torre. Per quanto riguarda il cast, ci sono state scelte azzeccate e non. Per interpretare il personaggio di Diabolik fu scelto inizialmente Jean Sorel che tuttavia stava girando contemporaneamente Barbarella, altro film prodotto da De Laurentiis. Per questo motivo la scelta di impersonare un mito nazionale è caduta su John Phillip Law, un americano che riesce a interpretare in modo credibile la fisicità e, ovviamente, lo sguardo “diabolico” del personaggio. Per il personaggio di Eva Kant fu inizialmente scelta una modella sconosciuta, amica di una persona della produzione. Dopo una settimana fu però sostituita da Catherine Deneuve. Anche l'attrice francese fu però rimpiazzata, poiché Bava non gradiva la sua interpretazione e la Deneuve rifiutava di girare scene di nudo. Sul set arrivò così Marisa Mell, bellissima e biondissima attrice austriaca, che impersonò una Eva Kant troppo seducente. Suscitò molto scalpore la scelta di Michel Piccoli per il ruolo dell'ispettore Ginko, poiché tra l'attore e il personaggio dei fumetti non sussisteva alcuna somiglianza fisica e Piccoli era troppo vecchio e privo di affinità con il personaggio del fumetto. Pare che le stesse sorelle Giussani avessero affermato che: "Ginko si riconosce per quello che fa, non per il suo volto". Il giudizio delle creatrici di Diabolik si rivelò, in effetti, esatto: le critiche dei fan, infatti, risparmiarono Piccoli e si concentrarono su Marisa Mell, che pur essendo identica ad Eva Kant, non riusciva ad interpretarla in modo credibile.
  • 3. Da segnalare nel film l’assenza di Altea, il quarto personaggio in ordine di importanza nel fumetto. Presenti invece alcuni personaggi “nuovi” da menzionare: uno è il primo ministro, interpretato da Terry Thomas, che è continuamente ridicolizzato da Diabolik e, l’altro, è il malavitoso Valmont interpretato da Adolfo Celi. Già dalla descrizione dei personaggi si notano alcune caratteristiche innovative del film: il sesso e l’ironia. Diabolik ed Eva si abbandonano spesso a effusioni e il regista percorre diverse volte le curve della bionda criminale. Nel fumetto invece il sesso fra i due non va oltre il bacio. Anche l’ironia, totalmente bandita dal fumetto, nel film è presente, ma fuori luogo e spunta sovente grazie soprattutto al personaggio di Terry Thomas.     Un’altra differenza, non da poco, rispetto al fumetto è l’assenza dei travestimenti alla Diabolik. Anche se in un paio di scene il re del terrore appare truccato o con una barba finta, il personaggio è comunque riconoscibile, mentre nel fumetto Diabolik è un vero trasformista e occupa spesso il posto di altre persone, grazie alle maschere di sua fabbricazione e alla sua capacità d’imitazione. Per i puristi, tra gag farsesche e precipitose fughe in Jaguar, c’è anche il tempo di storcere il naso: il film spazza via senza indugio ogni connotazione morale e natura anti-borghese del protagonista e la bella, quanto inadeguata, Eva Kant si dimostra personaggio passivo e fatuo. Diabolik ed Eva navigano nelle banconote, amanti del lusso per il lusso; lui soddisfa i capricci di lei, lei si fa ingenuamente catturare durante una visita medica. E alla fine il ricordo più vivo destinato a restare impresso nella memoria è il nichilismo con cui sono inquadrati i difensori della legge e i funzionari di Stato: un branco di deficienti, “zimbello della stampa locale”, marionette incapaci di intendere e volere. Più di ogni altra cosa, ecco la firma di Mario Bava. Perché anche in un film su commissione è possibile esprimere – chiara e necessaria – la propria idea della società e del mondo. In tempi recenti la pellicola Diabolik è divenuta un cult movie. Alberto Pezzotta scrive: « Pur restando un film su commissione, Diabolik si stacca dalla media degli analoghi film dell’epoca e riesce dove aveva fallito Modesty Blaise di Joseph Losey: vale a dire nel trasporre al cinema il mondo dei fumetti adottando lo stile delle ultime avanguardie artistiche». Tralasciando stroncature feroci (tra tutte quella di Tullio Kezich, che considerava l’opera “uno dei più stupidi film degli anni Sessanta”) e scatenate riabilitazioni all’insegna di sopravvalutazione cultural- artistiche, Diabolik va preso per quello che è: un lavoro orgogliosamente bislacco e stravagante figlio di un’epoca in cui convivevano l’impegno politico e iperrealistico alla Fernando Di Leo e la leggerezza strampalata e ultra-kitsch del Batman televisivo, quello con Adam West in calzamaglia e con le scritte onomatopeiche in sovrimpressione, che rendevano il telefilm simile ad un fumetto animato. In definitiva, si può dire comunque di essere di fronte a un film importante nella filmografia del regista, oltre che anomalo all'interno del variegato panorama dei "film tratti da fumetti": l'unico caso, forse, in cui la trasposizione cinematografica è in un certo senso più "fumettistica" dell'originale. Un buon film, soprattutto per i trucchi e le invenzioni del regista, ma che è tuttavia un rifacimento fedele solo in parte e un po’ troppo bonario.