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G. Inghilleri1, M. Pavesi2 
1. SIMT - Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico, Milano 
2. Servizio di Anestesia Polispecifica - IRCCS Policlinico S. Donato, S. Donato Milanese
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I - INTRODUZIONE pag. 5 
II - VALUTAZIONE PREOPERATORIA - Valutazione della emoglobina e dell’ematocrito basale pag. 9 
- Valutazione della funzionalità coagulativa basale pag. 17 
- Valutazione clinica generale del paziente pag. 27 
III - ASPETTI FISIOPATOLOGICI DELL’ANEMIA pag. 33 
IV - PREVISIONE DEL FABBISOGNO TRASFUSIONALE pag. 45 
V - TECNICHE DI BLOOD CONSERVATION PREOPERATORIE 
- Correzione dell’anemia preoperatoria pag. 55 
- Predeposito di sangue autologo pag. 65 
- Eritropoietina umana ricombinante pag. 78 
VI - TECNICHE DI BLOOD CONSERVATION PERIOPERATORIE 
- Comportamento intraoperatorio pag. 95 
- Trasfusioni autologhe pag. 107 
- Emodiluizione normovolemica acut 
a pag. 107 
- Recupero delle perdite ematic 
he perioperatorie pag. 113 
- Colla di fibrina pag. 123 
- Trigger trasfusionale pag. 135 
VII - APPENDICE 
- Gestione perioperatoria della terapia antitrombotica pag. 141 
- Ossigeno normobarico paradosso pag. 147 
INDICE
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I - INTRODUZIONE 
La scoperta del HIV negli anni ’80 e la progressiva conoscenza delle sue tragiche ripercussioni sanitarie e sociali ha motivato studiosi e clinici verso la ricerca di mezzi per contenerne la diffusione (1,2). L’atteggiamento preventivo sui rischi di contagio ha stabilito misure correttive nelle abitudini igieniche e ha orientato verso lo studio del fenomeno e del suo trattamento. Il sangue, come mezzo di contagio, ha subito rappresentato l’obiettivo principale di riferimento. Nell’ambito ospedaliero questo ha condotto all’introduzione di test sempre più raffinati per ottenere una diagnosi rapida e sicura e all’adozione di comportamenti e modalità di lavoro rivolte ad evitare il più possibile la trasmissione tra pazienti ed operatori (3,4). Il rischio che la trasfusione di sangue come terapia del paziente anemico potesse esporre a complicanze ben più gravi ha sicuramente influito sul cambiamento degli atteggiamenti trasfusionali di questi ultimi trentanni (5). Definizioni come “transfusion-free” o “bloodless medicine and surgery” da cui concettualmente deriva il nostro “buon uso del sangue” rappresentano la dimostrazione di come l’argomento trasfusionale si sia avvicinato a tutti gli operatori sensibilizzandoli, suscitando interesse e contribuendo alla formazione di una nuova cultura medica e chirurgica (6). 
Esempi di questi nuovi orientamenti sono stati dati in Europa da gruppi multidisciplinari che hanno creato sistemi di emovigilanza con lo scopo di verificare il fenomeno trasfusionale in termini di quantità e di identificarne e studiarne le conseguenze. La diffusione dei dati raccolti con queste iniziative ha indotto una maggior razionalizzazione dei comportamenti trasfusionali ed ha spinto alla conoscenza ed approfondimento del controllo di quelle complicanze post-trasfusionali sino a qualche anno fa misconosciute (7,8). 
Il nostro interesse è diretto verso i pazienti chirurgici sui quali è possibile costruire un programma rivolto ad evitare le trasfusioni di sangue (9-16). Precauzioni e tecniche adottate per evitare trasfusioni di sangue a pazienti che, per motivi religiosi, le rifiutavano, adesso si sono ampliamente diffuse e vengono adottate anche sul resto della popolazione (17-20): ognuno vuole mantenere intatto il proprio patrimonio ematico ed essere curato senza ammalarsi. In questi anni infatti studi epidemiologici postrasfusionali hanno evidenziato rischi infettivi legati a patogeni meno noti ma non per questo meno insidiosi (1,21,22), manifestazioni non infettive da trasfusione (NISHOTs) (23), reazioni che coinvolgono il sistema immunitario del ricevente esponendolo a patologie sistemiche anche complesse (3,8,24). Ampie casistiche hanno riportato nei pazienti trasfusi evidenze di aumentato rischio di infezione per un’alterata funzione del sistema immunitario ed un miglioramento dell’outcome nei centri in cui l’applicazione di programmi di blood conservation hanno portato alla riduzione delle trasfusioni di sangue (25,26). 
A questi aspetti clinici si aggiungono fattori organizzativi relativi ad una inadeguata disponibilità di unità per una storica discrepanza tra donatori e richieste. Infine, l’aspetto economico che vincola molto le scelte decisionali e i programmi in sanità si basa su risultati di analisi di costi non complete e poco vicine al reale (27,28). A tuttoggi risulta difficile identificare il costo vero di una unità di sangue e questo impedisce di creare indicazioni uniformi sulla scelta di farmaci e procedure che consentano di ottenere un giusto equilibrio costo-efficacia. 
La blood conservation è giustificata da tutte queste esigenze e si realizza adottando programmi che sfruttano un’esperienza multidisciplinare (29). Un programma di blood conservation, costruito su misura per ogni paziente, richiede l’applicazione razionale delle tecniche disponibili per raggiungere l’obiettivo di evitare o limitare le trasfusioni di sangue riducendo al massimo il rischio di anemizzazione perioperatoria (30). 
Per fare questo è necessario conoscere le condizioni cliniche del paziente e le caratteristiche dell’intervento. Invasività, traumaticità, sede e durata di un intervento sono fattori costanti da cui dipende un rischio di sanguinamento pressoché standardizzato (31-33). La variabilità del sanguinamento perioperatorio è molto influenzata dagli operatori, dalla cura e attenzione che prestano nell’applicare le tecniche, i devices ed i farmaci più adeguati (34-36). Tuttavia il fattore più variabile è rappresentato dal paziente, dalle sue condizioni cliniche: contenuto ematico basale, capacità coagulative e capacità di tolleranza devono essere valutate nel corso di una visita preoperatoria e se necessario corrette .
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Emoglobina (Hb) ed Ematocrito (Ht%) accompagnano il paziente chirurgico in tutto il suo percorso perioperatorio ed incidono sulle decisioni terapeutiche dei curanti (1-3). Nei pazienti programmati per interventi chirurgici si devono ottenere valori preoperatori di normalità. Quanto più un paziente è portatore di valori bassi tanto maggiore sarà il rischio di anemizzazione postoperatoria (4). Questa è anche influenzata dall’entità delle perdite previste. In riferimento ai valori basali, alla loro adeguatezza in rapporto alle perdite ematiche previste e al raggiungimento di un valore di contenuto ematico postoperatorio tollerabile per il paziente, sarà possibile realizzare un programma di preparazione preoperatoria (vedi stimolo eritropoietico e predeposito). 
[Hb]=g/dl e Ht%: definizione di normalità 
L’identificazione del range di normalità di Hb ed Ht% permette di definire una condizione di anemia. Questo aiuta a determinare una prognosi in alcune condizioni patologiche (5-8) e, nell’inquadramento del paziente che deve essere sottoposto ad intervento chirurgico ad alto rischio di sanguinamento, permette di stabilire i trattamenti più adeguati nell’ambito di un “blood conservation program”. I criteri di diagnosi di anemia descritti nel 1958 in un report della World Health Organization (9) sono stati per molti anni il riferimento per la realizzazione di numerosi studi epidemiologici. Il loro limite è legato alla eterogeneità dei gruppi che si evidenzia nelle medie e quindi nella definizione dei valori di normalità. Recentemente la disponibilità di database con più ampie casistiche (NHANES-III e Scripps-Kaiser) (10-12) ed il 
II - VALUTAZIONE PREOPERATORIA 
riconoscimento di fattori che influenzano il contenuto di emoglobina hanno permesso un’analisi più accurata e la definizione di criteri più selettivi e precisi. Infatti il contenuto di emoglobina può essere influenzato oltre che dai già noti processi di invecchiamento (13-16) anche da fattori genetici (1,17-21). Questo ha portato a modificare i criteri di suddivisione aggiungendo anche la razza ai gruppi già presenti di età e sesso. Si sono così ottenuti indici di normalità più specifici per ogni categoria di paziente (22). Il fenomeno delle migrazioni che negli ultimi anni ha investito il nostro paese ha coinvolto i nostri operatori sanitari nella cura di pazienti provenienti da paesi vicini (Europei) ma anche più lontani (Centro-Nord Africa, Medio Oriente, Sud America). Da una parte questo ha riproposto il trattamento di condizioni patologiche rare e ormai considerate scomparse presso la nostra popolazione ma soprattutto ha spinto a riconsiderare il concetto di normalità per alcuni esami ematici che, come la concentrazione di Hb e l’Ht, risultano variabili sulla base di criteri genetici e quindi anche razziali (Tab.1) 
Group Age (yrs) [Hb] (g/dL) 
White men 20-59 13,7 
60+ 13,2 White women 20-49 12,2 
50+ 12,2 
Black men 20-59 12,9 
60+ 12,7 
Black women 20-49 11,5 50+ 11,5 
La valutazione preoperatoria ha lo scopo di inquadrare clinicamente il paziente per evidenziare tutte le condizioni che possono influenzare il decorso incidendo sul rischio di complicanze perioperatorie. Nei pazienti che dovranno subire interventi a maggior rischio emorragico la visita preoperatoria ha anche lo scopo di individuare tutti quei fattori che predispongono al sanguinamento, all’anemizzazione e quindi al rischio trasfusionale. L’anestesista valuta i risultati ematochimici, li integra con le informazioni cliniche raccolte ed imposta i trattamenti più opportuni. 
Valutazione della emoglobina e dell’ematocrito basale 
Tab.1 - Limiti inferiori di riferimento dell’emoglobina in adulti di razza bianca e nera.
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Il contenuto di Hb può tuttavia essere influenzato anche da alcuni fattori acquisiti come dieta, fumo, etilismo e altitudine (23-26). In questo intervengono anche condizioni patologiche che compromettono le capacità rigenerative dell’organismo come tumori, insufficienza renale cronica, diabete, obesità, stati infettivi e condizioni croniche di infiammazione (27). Per questo motivo recentemente sono stati proposti software corretivi che individuano in pazienti con caratteristiche particolari il valore di Hb al di sotto del quale definire una condizione di anemia (28). Il riscontro di valori anormali richiede una valutazione più approfondita da parte di un ematologo che diagnosticherà le cause dell’anemia individuandone il trattamento più adeguato (29). 
[Hb]=g/dl e Ht%: rapporto con la volemia 
La concentrazione di Hb viene definita come la sua diluizione in un volume (g/dL). L’Ht invece rappresenta la percentuale della componente corpuscolata in rapporto a quella plasmatica. Benchè calcolate entrambe nel contenuto di una provetta in realtà si riferiscono al volume totale di sangue circolante o volemia (BV). Il BV è dato dal volume plasmatico (PV) e dal volume dei globuli rossi (RBCV) e viene considerato normale quando corrisponde a circa il 7% del peso corporeo in un normotipo (60-70 mL/Kg)(30). Si definisce normovolemia la condizione di volemia corrispondente ad un adeguato riempimento del circolo. Il valore di Hb e Ht% è quindi influenzato dalla volemia. In condizioni di normovolemia Hb e Ht% corrisponderanno quindi al reale contenuto totale di Hb e al RBCV (31,32). Nell’ipo-ipervolemia Hb e Ht% risentiranno dell’effetto di diluizione o concentrazione della componente corpuscolata in quella plasmatica indicando dei valori non più corrispondenti alla realtà (33). Un valore di Ht% basso in presenza di eccessivo PV può erroneamente essere interpretato come corrispondente ad un RBCV basso (anemia da diluizione) oppure, al contrario, un Ht% normale in corrispondenza di un PV basso (normoglobulia da concentrazione) (31,34-37)( Fig 1). 
Queste condizioni si possono verificare più frequentemente in pazienti che giungono in sala operatoria come urgenze emorragiche o con patologie che determinano alterazioni dell’assorbimento intestinale (anemie ipovolemiche non ancora compensate con infusioni) e possono evidenziarsi nei pazienti postoperati nelle prime 24 h (38). Tuttavia è importante definirle perché, anche se in maniera più sfumata, si presentano anche nei pazienti ambulatoriali. In questi casi è importante riconoscere tutte le condizioni che possono modificare il contenuto di liquidi corporei e volumi circolanti perché influenzano il contenuto di emoglobina e l’ematocrito. Pazienti anziani non autosufficienti, oncologici soprattutto con tumori del tratto gastrointestinale, insufficienti renali, diabetici, obesi, terapie con diuretici e o antipertensivi sono tutte condizioni che richiedono una verifica della volemia. Vomito, diarrea e sudorazione non reintegrate da adeguati apporti di liquidi determinano condizioni di emoconcentrazione (falsi negativi) mentre condizioni di sovraccarico da eccessivo apporto infusionale o incapacità del 
Normovolemia 
Hypovolemia 
With 
normal 
Hct 
With 
reduced 
Hct 
With 
increased 
Hct 
With 
slightly 
reduced 
Hct 
With 
reduced 
Hct 
42-45 
30-35 
50-55 
38-40 
30-35 
Hct range % 
Fig.1 - Livello di Ht venoso periferico, volume di Globuli Rossi, volume plasmatico ed volume ematico totale nel paziente normovolemico e ipovolemico.
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paziente ad eliminare liquidi assunti provocano emodiluizione (falsi positivi). 
I risultati di questi esami devono essere quindi attentamente valutati e considerati in un contesto più generale che comprenda anche una valutazione della volemia. Esistono sistemi di monitoraggio che sicuramente possono indicare con precisione le condizioni di volemia di un paziente (39,40), ma il loro impiego a livello ambulatoriale nel corso di una visita preoperatoria è assolutamente eccessivo e non adeguato. Un’anamnesi approfondita e un buon esame obiettivo, se necessario, integrati da esami di laboratorio specifici possono portare ad una adeguata valutazione delle condizioni di volemia del paziente (41,42). 
Come già detto la volemia rappresenta il volume di sangue presente nel circolo: la normovolemia è garantita da meccanismi endogeni che assicurano il mantenimento dell’equilibrio idroelettrolitico. Questo equilibrio coinvolge tutto l’organismo e prevede il corretto funzionamento di vari sistemi ed organi che determinano lo spostamento adeguato di liquidi tra spazi corporei (intracellulare ed extracellulare) e distretti (interstiziale e vascolare). Il distretto vascolare è l’indicatore più precoce di eventuali variazioni dalla normalità del suo contenuto (quantitativo e qualitativo) perché è in più stretto contatto con l’esterno (43,44). 
Il distretto vascolare è correlato alla volemia per cui in un paziente sano il riconoscimento delle condizioni di idratazione permette di valutare indirettamente anche le condizioni di adeguatezza volemica. Lo stato di idratazione può essere valutato con metodiche di misurazione di vari livelli e l’indicazione allo loro scelta è subordinata al grado di precisione richiesto al risultato (45,46). Il nostro interesse è tale da escludere tecniche raffinate e complesse per cui fa riferimento al rilevamento di semplici indici ematici ed urinari. Esistono pareri discordanti relativi all’affidabilità del valore dell’osmolarità plasmatica come indice dello stato di idratazione. L’impressione è che il plasma rappresenti un importante mezzo di controllo per la regolazione endogena e l’adeguamento di meccanismi rivolti al mantenimento dell’equilibrio idrosalino (47,48) ma rappresenti un indicatore poco sensibile delle variazioni dello stato di idratazione generale in quanto soggetto a rapidi adeguamenti a protezione del mantenimento della stabilità cardiovascolare (49,50). Più sensibili sono gli indici urinari: in pazienti con funzionalità renale conservata il rene è in grado di garantire il giusto equilibrio trattenendo acqua in condizioni di disidratazione, producendo poche urine concentrate e, al contrario, in condizioni di iperidratazione producendo urine abbondanti e diluite. L’osmolarità ed il peso specifico delle urine sono stati riconosciuti come due esami equivalenti (49). L’osmolarità misura il contenuto del soluto nelle urine ed è un indice della capacità di concentrazione renale (50), il peso specifico si riferisce alla densità delle urine (massa per volume) riferita all’acqua pura (=1.000). Valore normale è da 1.013 a 1.029, nella disidratazione (urine concentrate) >1.030 e nell’ eccesso di liquidi (urine diluite) da 1.001 a 1.012 (49,51). Il colore delle urine è determinato dalla quantità di urocromo disciolto (52). E’ stata dimostrata una relazione lineare tra colore delle urine e loro peso specifico (53) e pertanto anche questo tipo di controllo può essere eseguito per valutare indicativamente lo stato di idratazione senza necessità di risultati precisi. 
[Hb]=g/dl e Ht%: affidabilità strumentale 
Nel 1963, a Lisbona, in occasione del 9° Congresso della Società Europea di Ematologia vennero definite le prime raccomandazioni per il metodo di riferimento per l’emoglobinometria nel sangue umano (54). Da allora la determinazione fotometrica dell’emoglobincianide (HiCN) viene impiegata come metodo di riferimento e la concentrazione di emoglobina espressa in g/L o mmol/L (55,56). 
La necessità di ottenere rapidamente risultati di esami ematochimici importanti a stretto contatto con il paziente ha spinto alcune aziende alla progettazione di strumenti in grado di soddisfare queste esigenze. Sono stati così realizzati apparecchi tecnologicamente avanzati definiti point of
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care testing (POCT) che possono essere utilizzati da personale infermieristico adeguatamente addestrato analizzando minimi volumi di sangue (57). 
Alcuni lavori hanno dimostrato, per i dati relativi all’emoglobina, una corrispondenza variabile tra risultati ottenuti da tipi differenti di POCT e quelli di laboratorio (HiCN) (58). 
Il College of American Pathologists (CAP) (59) ha indicato 3 livelli di affidabilità di un apparecchio di analisi sulla base della differenza tra i propri risultati e quelli ottenuti da laboratorio: se +/- 4 g/L, il sistema di analisi è considerato buono, se tra 4 e 8 g/L è accettabile, se superiore a 8 g/l è inaccettabile. La maggior parte dei sistemi ha prodotto risultati considerati buoni in base al criterio CAP. Tuttavia è importante che gli operatori siano a conoscenza delle caratteristiche degli apparecchi in dotazione presso i propri reparti individuando la differenza rispetto al laboratorio di riferimento. Un margine di errore di 5 g/L di Hb deve essere attentamente valutato se il valore ottenuto si avvicina a livelli di soglia trasfusionale (70-80 g/L). In tal caso è opportuno fare riferimento a dati di laboratorio più precisi e soprattutto a segni clinici che rappresentano gli indicatori più affidabili nella decisione trasfusionale. Per ridurre il rischio di errore e rendere questi sistemi di misurazione più affidabili, il Consiglio Internazionale per la Standardizzazione in Ematologia (ICSH) nel 2008 ha emesso delle linee guida relative all’utilizzo ottimale dei POCT in modo da limitare le discrepanze talora evidenti che si possono manifestare tra i risultati del laboratorio di riferimento e quelli ottenuti dal POCT service (60). 
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Anche questi esami come i precedenti rappresentano un punto importante nella valutazione generale del paziente e soprattutto del rischio di predisposizione al sanguinamento. La valutazione basale ha lo scopo di inquadrare la funzionalità coagulativa per individuare eventuali deficit misconosciuti e provvedere al loro trattamento. 
Il rischio di sanguinamento rappresenta una condizione variabile ma prevedibile sulla base della analisi di condizioni come l’efficacia della funzionalità coagulativa basale e il tipo di intervento. 
I risultati ematochimici vengono sempre integrati da informazioni raccolte con l’anamnesi. Storie di sanguinamenti determinati anche da traumatismi minimi, epistassi frequenti, mestruazioni abbondanti e prolungate, pregressi sanguinamenti del tratto gastrointestinale, emofilia o altri disordini ematologici, epatopatie croniche, insufficienza renale, ipersplenismo sono tutte condizioni che fanno sospettare una predisposizione soggettiva al sanguinamento(1). L’assunzione di farmaci che possono interferire con l’emostasi rappresenta un’informazione importante perché richiede la loro sospensione e sostituzione secondo protocolli ormai riconosciuti dalle principali società scientifiche internazionali. Infine un esame fisico integra le informazioni raccolte evidenziando segni come petecchie, porpore o ematomi che denunciano l’esistenza di anomalie coagulative. 
Il Tempo di Protrombina (PT), il Tempo di Tromboplastina Parziale Attivata (aPTT) sono esami di routine preoperatoria che non definiscono il rischio di sanguinamento bensì rilevano deficit nei fattori di coagulazione. Al contrario la conta piastrinica può indirizzare verso una definizione di rischio di sanguinamento: nella cirrosi sarà bassa, nell’IRC normale ma qualitativamente poco efficace. 
Alterazioni della funzionalità coagulativa e aggregante 
Il modificarsi dei risultati di questi esami può essere determinato da patologie o da farmaci che vengono assunti regolarmente dal paziente. Esiste inoltre una terza causa che rappresenta un fenomeno ormai diffuso ed è l’assunzione di sostanze naturali omeopatiche che possono avere effetti collaterali anche consistenti. 
a - Coagulopatie 
Emofilia 
E’ un disordine ereditario della coagulazione rappresentato da un deficit dei fattori VIII nell’emofilia A e IX nell’emofilia B (2). Il grado di gravità clinica è correlata all’entità del deficit. Nel paziente emofilico il coagulo è fragile e subisce una fibrinolisi precoce causando facile sanguinamento, ritardo nel rimarginarsi delle ferite ed un decorso postoperatorio prolungato. 
La preparazione chirurgica include test di coagulazione (conta piastrinica, aggregazione piastrinica con agonisti, tempo di tromboplastina attivata parziale aPTT, tempo di protrombina PT, dosaggio dei fattori della coagulazione, test con inibitori, fibrinogeno, e test di valutazione della risposta a fattori. Caratterizzate da un PT normale e un aPTT allungato. 
Un programma dettagliato di rimpiazzo dei fattori deve essere definito prima dell’intervento. I fattori VIII e IX devono essere controllati rigorosamente dal primo giorno postoperatorio e mantenuti al 75-100% per 72h dopo la chirurgia e al 50% fino a completamento della guarigione. I concentrati di fattori ricombinanti o purificati vengono somministrati a dosaggi che vengono adattati alle necessità. Ogni unità di fattore concentrato incrementa il contenuto sistemico del fattore mancante del 2% pro Kg. 
E’ sempre opportuno richiedere il coinvolgimento di un ematologo nel seguire perioperatoriamente e preparare tali pazienti prima dell’intervento chirurgico e solitamente si preferisce indirizzare questi pazienti verso Centri di riferimento altamente specializzati per il trattamento chirurgico di questo tipo di patologie. 
Malattia di von Willebrand (MvW) 
E’ provocata da un deficit qualitativo e quantitativo del fattore VIII. Il fattore VIII ed il fattore di vW 
Valutazione della funzionalità coagulativa basale.
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sono in circolo uniti in un complesso. La MvW si esprime come forma ereditaria autosomica dominante (Tipo 1, 2a e 2b) e recessiva (tipo 3) e può manifestarsi in entrambi i sessi. Le forme di malattia clinicamente più gravi sono quasi sempre associate ad un aPTT allungato e ad un PT normale. I casi di media gravità presentano un aPTT normale. In questi casi la malattia può risultare anche ignota al paziente perché le manifestazioni cliniche possono essere minimi sanguinamenti ed ecchimosi (1,3,4). 
Gli esami necessari per la valutazione della MvW sono: il test per il cofattore della Ristocetina, il test per l’antigene fattore di vW ed il livello di attività del fattore VIII. Esistono varie forme di MvW con differenze qualitative e quantitative a seconda del Fattore di VW prodotto. Il riconoscimento dei vari sottotipi è importante per determinare la terapia più adeguata. La Desmopressina (DDVAP) è efficace in pazienti con Emofilia A e MvW tipo1. La desmopressina favorisce il rilascio da parte delle cellule endoteliali di Fattore VIII, fattore di vW e attivatore del Plasminogeno. Una dose ev di 0.3 μg/Kg diluita in 50 mL di soluzione salina determina un incremento dell’attività di fattore di vW 3-4 volte superiore. Questa sostanza deve essere somministrata lentamente (15-30 min) per evitare ipotensioni, rush da vasodilatazione, tachicardia e cefalea. L’obiettivo è quello di incrementare il fattore di vW a 80-100 U/dL, sostituire i fattori vW anomali ed incrementare il livello di fattore VIII. La desmopressina determina quindi un incremento dei livelli di fattore vW. La risposta al dosaggio somministrato è individuale e può essere valutata attraverso l’incremento di livello che i fattori VIII e di vW hanno subito. Tuttavia lo spray nasale rilascia in ogni narice una dose di 150 μg che è sufficiente per pazienti con MvW. La sua somministrazione non deve essere frequente (1 dose ogni 48h) perché la deplezione dei fattori dai depositi endoteliali può causare tachifilassi. L’Acido-aminocaproico (4 g per os ogni 4 h) o l’acido tranexamico (1.5 g per os ogni 8 h) dovrebbero essere somministrati per contrastare il rilascio di attivatore del plasminogeno indotto dalla desmopressina (1,3,4). Se viene somministrato crioprecipitato, la risposta deve essere controllata misurando il livello di attività del cofattore alla ristocetina. Lo scopo è di aumentare il livello di attività del cofattore della ristocetina a più del 50%. Il trattamento deve essere ripetuto ogni 12 h finchè viene controllato il sanguinamento. Molti concentrati del fattore VIII non sono efficaci nella MvW perché non contengono fattore vW. 
La somministrazione di desmopressina può essere pericolosa nei pazienti affetti da MvW tipo 2b perché un aumento di fattore anomalo vW può favorire un aumentato legame di piastrine al coagulo che provoca un loro consumo con conseguente trombocitopenia. In questi casi i fattori anomali di vW possono essere sostituiti da fattori normali somministrando crioprecipitati o concentrati di fattore VIII che contengano fattori di vW. 
L’antifibrinolitico acido -aminocaproico può essere utilizzato soprattutto in circostanze in cui ci si attende una fibrinolisi locale come nelle estrazioni dentarie. 
Trombocitopenia 
Quando la conta piastrinica ha un valore <150.000/mm3 si parla di trombocitopenia. Le cause possono essere legate ad una ridotta produzione, ad un sequestro o ad una aumentata distruzione, quelle su base ereditaria sono piuttosto rare. 
Con un numero di piastrine superiore a 50.000/ mm3 non vi è controindicazione all’intervento chirurgico. Tecniche loco-regionali che prevedono punture rachidee sono controindicate per valori inferiori a 100.000/mm3. Il rischio di sanguinamento tende ad aumentare quando ad una condizione di trombocitopenia si associano condizioni di anemia, febbre, infezioni o difetti di funzionalità piastrinica. Nei disordini da consumo piastrinico causato da farmaci, la loro sospensione dovrebbe riportare a condizioni di normalità in 5-10 giorni. Se la trombocitopenia è determinata da coagulazione intravascolare disseminata (CID) il trattamento dovrebbe essere diretto alla cura
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della malattia scatenante. 
La purpura trombocitopenica idiopatica negli adulti solitamente è una forma cronica con decorso insidioso (5). E’ caratterizzata da una conta piastrinica ridotta causata da aumentata distruzione periferica associata a diminuita produzione piastrinica. Autoanticorpi che sono prodotti contro le piastrine e probabilmente contro i megacariociti determina la fagocitosi delle piastrine. La diagnosi è basata su criteri clinici perché lo studio degli anticorpi piastrinici e aspirato osseo sono di incerto valore. 
Il trattamento della purpura trombocitopenica idiopatica cronica non è curativo ma di supporto ed è diretto verso l’inattivazione o rimozione delle sedi di maggior distruzione delle piastrine e della produzione di anticorpi anti-piastrine. I corticosteroidi prevengono il sequestro splenico dei complessi piastrina-anticorpo e probabilmente inibiscono la produzione di anticorpi. Immunoglobuline e.v. e trasfusioni piastriniche vengono utilizzate per il trattamento di situazioni d’urgenza. 
Le forme di trombocitopenia indotta da eparina solitamente insorgono 5-10 giorni dopo l’inizio della terapia eparinica ma in 1/3 dei casi si manifestano entro le 24h. Tra le complicanze associate alla comparsa della malattia si segnalano trombosi arteriosa, trombosi venosa profonda, trombo embolia polmonare e cerebrale e trombosi delle fistole arterovenose. Circa il 50% dei pazienti con questa patologia avrà una trombosi entro un mese. Le trombosi arteriose sono più comuni nei pazienti con patologie cardiovascolari già note (stroke, infarto miocardico). I rischi legati all’insorgenza di questa malattia, che può dar luogo a gravi conseguenze se non diagnosticata o sottovalutata, dipendono dal tipo di eparina e dalle caratteristiche del paziente. Il rischio di morte può superare il 30% e le complicanze ischemiche determinano in circa il10-20% dei casi l’amputazione di un arto. Il trattamento della malattia prevede l’interruzione immediata della terapia eparinica e l’utilizzo di anticoagulanti eparinoidi o inibitori della trombina. Da evitare la somministrazione di eparine a basso peso molecolare se esiste il sospetto di trombocitopenia eparina-indotta (6,7). 
b - Assunzione di farmaci 
Molti studi sono stati effettuati sul comportamento che deve essere tenuto in preparazione degli interventi programmati e al trattamento che deve essere riservato a quelli che richiedono interventi d’urgenza. Nel primo caso numerosi protocolli sono stati emessi dalle varie società sia chirurgiche che anestesiologiche. L’introduzione di nuovi farmaci con caratteristiche differenti crea tuttavia la necessità di una continua revisione. 
Aspirina (acido Acetilsalicilico): inibisce la ciclossigenasi- 1 e interferisce con la sintesi delle prostaglandine. Inibisce in modo irreversibile la funzione delle piastrine ed il suo effetto persiste per 7-10 giorni, periodo che approssimativamente corrisponde alla loro vita media. Se il rischio di sanguinamento supera i benefici della sua somministrazione deve essere sospesa prima dell’intervento (8). Se invece la chirurgia è minimamente invasiva ed è possibile adottare anestesia locale topica o anestesia generale non deve essere sospesa. 
L’aspirina è ampiamente utilizzata nei pazienti con cardiopatia ischemica soprattutto dopo impianto di stent coronarico: benchè in uso da molti anni, l’evidenza della sua efficacia nel periodo perioperatorio è piuttosto limitata. Nella chirurgia carotidea la sua assunzione ha dimostrato efficacia nella prevenzione perioperatoria di stroke senza influenzare la mortalità o l’incidenza di ischemia o infarto miocardico (9). 
L’uso dell’aspirina in chirurgia vascolare si associa a una riduzione della mortalità e dell’insorgenza di eventi vascolari gravi (10). Quello che spesso influenza la decisione di sospenderne l’assunzione è il timore di emorragia legata al suo effetto antiaggregante. Effettivamente nei pazienti in cui la terapia con aspirina non viene sospesa il rischio di sanguinamento aumenta di circa 1,5 volte, anche se in realtà questo non induce complicanze severe (11). Invece la sospensione
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di aspirina in soggetti cardiopatici è associata ad un incremento di circa tre volte il rischio di eventi cardiaci maggiori (12). L’indicazione è pertanto quella di sospendere l’aspirina solo se il rischio di sanguinamento supera quello del beneficio cardiaco, sulla base di una valutazione rischio- beneficio individuale. 
Ticlopidina e clopidogrel: sono derivati della Tienopiridina e richiedono una trasformazione epatica per poter essere convertiti nei metaboliti attivi. Disattivano irreversibilmente il recettore piastrinico P2Y12 per ADP, uno dei due recettori che sono presenti nella membrana piastrinica la cui azione combinata è necessaria per una completa attivazione e aggregazione allo stimolo dell’ADP. Entrambi questi farmaci inibiscono la funzione piastrinica e devono essere interrotti 7-10 giorni prima della chirurgia. 
Dipiridamolo: è un derivato della pirimidopirimidina, ha proprietà antipiastriniche e vasodilatative, e viene spesso impiegato con aspirina. Questa formulazione è indicata per la prevenzione secondaria dello stroke in pazienti con patologie cerebrovascolari. Il dipiridamolo ha un effetto reversibile sulla funzione piastrinica ed ha un tempo di eliminazione medio di circa 10 ore. Tuttavia quando è associato con aspirina la sospensione della terapia deve avvenire 7-10 giorni prima della chirurgia elettiva per eliminare l’effetto antipiastrinico. 
Farmaci antiinfiammatori non steroidei(FANS): inibiscono reversibilmente la ciclo ossigenasi piastrinica influenzando la funzione piastrinica. Possono influenzare la sintesi renale delle prostaglandine e possono potenzialmente indurre insufficienza renale ed ipotensione se associati ad altri farmaci. Gli inibitori-COX-2 hanno minor effetto sulla funzionalità piastrinica. Studi in vitro non hanno evidenziato incrementi di rischio di sanguinamento con gli agenti COX-2. Tuttavia è raccomandata la sospensione dei FANS almeno 3 giorni prima della chirurgia. Per essere sicuri che non vi siano più effetti antipiastrinici residui al momento della chirurgia, è consigliato sospendere la loro somministrazione in un tempo che corrisponde a 5 volte il loro tempo di eliminazione: i FANS con tempi di eliminazione breve (2-4h: ibuprofene, diclofenac, ketoprofene e indometacina), dovrebbero essere sospesi 2 giorni prima; i FANS con tempi di eliminazione intermedia (7- 15h: naproxene, sulindac, diflunisal) 3-4 giorni prima; infine i FANS con tempi di eliminazione lunghi (melodica, nabumetone e piroxicam), dovrebbero essere sospesi 10 giorni prima. 
Warfarina: inibisce i fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti (II,VII,IX e X). Richiede un monitoraggio frequente con INR (international normalized ratio) avendo un indice terapeutico estremamente ristretto. È un farmaco che deve essere sospeso in previsione di certi interventi chirurgici ma nelle procedure minori la sua assunzione può continuare senza essere interrotta o modificata. In caso di sospensione l’INR è l’indicatore dell’adeguatezza delle condizioni coagulative all’intervento: un valore <1,5 garantisce sicurezza in termini di sanguinamento e con valori >1,5 è consigliato posticipare l’intervento. 
Per le procedure neurochirurgiche, cardiochirurgiche ed alcuni interventi in chirurgie non cardiache maggiori si preferisce raggiungere INR <1,2. Nei pazienti anziani può essere necessario più tempo per raggiungere un INR <1,5. 
Quando la Warfarina è sospesa mette i pazienti a rischio di tromboembolia. Il conoscere le cause che hanno determinato l’assunzione preoperatoria di warfarina aiuta nella scelta del trattamento sostitutivo perioperatorio. Pazienti in fibrillazione atriale (FA), portatori di valvole cardiache meccaniche, di valvole biologiche o sottoposti a plastica mitralica nei primi tre mesi dall’intervento o anche affetti da un recente episodio di tromboembolia venosa (tre mesi precedenti) e trombofilia sono considerati ad alto rischio tromboembolico. 
Nei pazienti con storia di tromboembolia venosa, il tempo trascorso dall’ultimo episodio trombotico è il più importante fattore di rischio di recidiva con
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la sospensione della warfarina. Il rischio è maggiore nei primi 3 mesi. La media annua di stroke in pazienti in FA non trattati è del 4-5%. 
Mentre dalla presenza delle seguenti condizioni di rischi dipende una media annua di stroke compresa tra 1-10%. Pazienti con 3 o più fattori di rischio (insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia reumatica, pregresso stroke tromboembolico o attacco ischemico transitorio, età maggiore 75 anni, diabete, ipertensione scarsamente controllata), sono altamente esposti a tromboembolismo da FA e gioverebbero dello scambio di farmaci anticoagulanti con eparina per ridurre il rischio perioperatorio di tromboembolia. Nei pazienti portatori di valvole meccaniche il rischio di stroke è generalmente più alto di quelli in FA durante il periodo di sospensione della terapia. I pazienti con sostituzione di valvola mitralica, con valvole meccaniche di vecchio tipo o con più valvole sostituite hanno un rischio più alto di quelli portatori di modelli di valvole più recenti e godono di un effetto positivo con la terapia sostitutiva. I pazienti con rischio tromboembolico medio alto sono sottoposti a terapia sostitutiva, quelli a rischio più basso possono anche non riceverla. 
In base ad una stima del rischio tromboembolico del paziente possono essere utilizzate come ponte per l’anticoagulazione sia Eparine non frazionate (UFH) che eparine a basso peso molecolare (LMWH) per sostituire la warfarina durante il periodo di sospensione (13-15). Nei pazienti portatori di valvole cardiache meccaniche l’evidenza offerta dalla somministrazione ev di UFH consiglia di procedere con questa terapia. Il protocollo in questi casi prevede ricovero e somministrazione di UFH in infusione continua fino a 4 ore prima dell’intervento. L’INR richiede ulteriore controllo prima dell’intervento per confermare un valore di adeguatezza. L’uso dell’UFH richiede un’ospedalizzazione preoperatoria almeno di due giorni. Il trattamento prevede la somministrazione di un bolo iniziale di 80 U/Kg seguito da un’infusione ev continua di 18 U/Kg che può essere corretta ogni 6h sulla base di aPTT di 60-80 sec. L’infusione continua di eparina dovrebbe essere interrotta almeno 4 h prima dell’intervento o 6h prima nei pazienti con insufficienza renale (16). Lo stesso trattamento verrà ripreso dopo l’intervento fino a raggiungere un range terapeutico con l’INR (14). 
La prevedibilità farmacocinetica e la biodisponibilità delle LMWH per via sottocutanea permette il loro impiego anche a livello domiciliare evitandone l’ospedalizzazione (delteparina 120U/Kg q12h o 200U/Kg q24h, o enoxiparina 1 mg/Kg sc q12h o 1,5 mg/Kg sc q24h). Nei pz con clearance della creatinina < 30 mLMin è preferibile utilizzare UFH o enoxiparina 1 mg/Kg sc q24h se è richiesta una dose piena di LMWH o 30 mg sc q24h se è richiesta dose profilattica di LMWH. L’ultima dose di LMWH dovrebbe essere somministrata almeno 12 ore prima dell’intervento (17). 
LMWH o UFH verranno riavviati almeno 12 ore dopo l’intervento e gli anticoagulanti orali dovrebbero essere riavviati il secondo giorno dopo l’intervento a seconda delle condizioni emostatiche (se il paziente può assumere farmaci per os) allo stesso dosaggio preoperatorio più una dose aggiuntiva pari al 50% per due giorni consecutivi; la dose di mantenimento sia di LMWH o di UFH dovrebbe continuare ad essere somministrata finchè l’INR torna a livelli terapeutici. 
Nei pazienti sottoposti a terapia con antagonisti della vitamina K (VKAs) che richiedono una conversione dell’effetto anticoagulante per un intervento chirurgico urgente è raccomandata la somministrazione di una dose di vitamina K. Per via endovenosa il suo effetto inizia dopo circa 15 min e raggiunge un picco in 4-8 ore. In caso di interventi chirurgici che devono essere eseguiti entro 24h si può somministrare vitamina K endovenosa a piccole dosi di 1-2 mg. Se l’intervento non è programmato nelle 24h la stessa dose può essere assunta per os. Per una conversione più rapida dell’effetto anticoagulante del VKAs è raccomandata la somministrazione di plasma fresco o altro tipo di concentrato protrombinico in aggiunta ad un basso dosaggio ev od orale di vitamina K. 
Nei pazienti a cui è stato somministrato UFH e che richiedono una rapida conversione dell’ef
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fetto anticoagulante per un’intervento chirurgico urgente, la sospensione della terapia dovrebbe essere sufficiente. Quando si preferisce utilizzare l’alternativa delle eparine frazionate, l’effetto dell’anticoagulante raggiunge il suo steady state entro 4-6 ore d’infusione continua. Alla sospensione dell’infusione, la coagulazione dovrebbe ritornare a livelli di normalità dopo circa 4 ore. Quando UFH viene dato per via sc l’effetto anticoagulante risulta prolungato. Per ottenere una immediata risoluzione dell’effetto l’antidoto è la protamina solfato. 
Questa sostanza può potenzialmente provocare reazioni anafilattiche con shock cardiovascolare specialmente se somministrata troppo rapidamente. La dose di solfato di protamina può essere calcolata valutando la quantità di eparina ricevuta nelle 2 ore precedenti. La dose di protamina per antagonizzare l’infusione di eparina è di 1 mg ogni 100 UI di eparina somministrata. Se l’infusione di eparina viene sospesa per un tempo compreso tra 30 e 120 minuti allora la dose di protamina necessaria equivale alla metà; se l’infusione di eparina viene sospesa per un tempo compreso tra le 2 e le 4 ore, sarà sufficiente un quarto di dose di protamina. La dose massima di protamina è 50 mg. Nei pazienti che stanno ricevendo LMWH l’effetto anticoagulante può essere antagonizzato entro 8 ore dall’ultima dose a causa della sua emivita breve. Se viene richiesta una conversione immediata può essere utilizzata protamina solfato ma l’azione anti Xa non viene mai completamente neutralizzata (al massimo per il 60-75%). 
Ricombinante attivato del fattore VIII (NovoSeven): può essere utile in caso d’intervento d’urgenza per evitare la trasfusione di emoderivati per annullare l’effetto della warfarina, però i dati attualmente sono pochi ed il costo del farmaco è molto elevato. 
Agenti antipiastrinici 
La terapia cronica con aspirina sia come prevenzione primaria che secondaria per la malattia aterosclerotica è diventata una pratica ormai comune. Si raccomanda aspirina per la prevenzione primaria in pazienti considerati a rischio aumentato per lo sviluppo di CAD. Le linee guida dell’AHA/ ACC per la prevenzione secondaria nei pazienti con patologia coronarica e altre patologie vascolari aterosclerotiche raccomandano terapia con aspirina da 75 a 162 mg (18). Tradizionalmente l’aspirina viene sospesa almeno 5 giorni prima della chirurgia elettiva per ridurre il rischio di sanguinamento perioperatorio. Recentemente, venendo maggiormente apprezzato il ruolo protettivo della terapia antiaggregante, l’abitudine della sospensione preoperatoria dell’aspirina è stato discusso. 
Casi riportati di complicanze cardiovascolari dopo la sospensione preoperatoria dell’aspirina e dati sperimentali suggeriscono un effetto di aumentata attività piastrinica determinata da una interruzione improvvisa dopo assunzione cronica. Una meta-analisi che valuta i rischi cardiovascolari perioperatori dell’interruzione dell’aspirina rispetto ai rischi di complicanze da sanguinamento dovuti ad una sua continuazione è stata pubblicata nel 2005 (19). 
Studi retrospettivi hanno evidenziato che la sospensione dell’aspirina precede il 10,2% di tutti gli eventi cardiovascolari acuti. Gli eventi coronarici acuti avvengono 8.5±3.6 giorni dopo la sospensione dell’aspirina. In 41 studi su un totale di 14,981 pz in cui si valutava il sanguinamento perioperatorio, nei pazienti che assumevano aspirina, l’incidenza di sanguinamento si incrementava di 1,5 volte, ma con una entità sovrapponibile, tranne nella chirurgia intracranica e nelle resezioni transuretrali di prostata. Nel 2002 la Societé Francaise de Anesthesiologié e Reanimation (SFAR) ha pubblicato delle raccomandazioni relative all’argomento (20) affermando che l’aspirina aumenta moderatamente il rischio di sanguinamento ma non le trasfusioni. Questa dichiarazione allertava sulla tendenza di sospendere l’aspirina soprattutto nei pazienti vascolari per l’aumentato rischio di incidenza di complicanze cardiovascolari. Se la sospensione di aspiri
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na viene considerata necessaria, deve essere riassunta il più presto possibile, preferibilmente entro 6 h dalla fine della chirurgia. L’American College of Chest Physicians ha raccomandato aspirina preoperatoria per pazienti che devono essere sottoposti a endoarterectomia carotidea e bypass femoro-popliteo (21). La letteratura è limitata riguardo la somministrazione perioperatoria di altri antiaggreganti come le tienopiridine, clopidogrel e ticlopidina, o glicoproteine inibitori IIb/IIIa. Indagini come aggregometria e TEG assumono più che mai importanza nella valutazione preoperatoria delle condizioni dei pazienti programmati e urgenti, per definire un eventuale rinvio dell’intervento o impostare trattamenti mirati alla risoluzione dell’alterazione coagulativa. 
Altri farmaci con effetto secondario sulla funzione coagulante: esistono farmaci che vengono assunti dal paziente per risolvere patologie estranee alla funzionalità coagulativa ma che possono direttamente o indirettamente influenzarla. Conoscere gli effetti di tali farmaci è importante in quanto consente, se possibile, di sospenderli o, se non possibile, di prevenire il rischio emorragico. Somministrazione cronica di anticonvulsivanti (fenintoina e carbamazepina) può influenzare negativamente la coagulazione. Condizioni di malnutrizione soprattutto nei pazienti anziani possono esporre a deficit di alcuni fattori nutritivi importanti, tra questi la vitamina K la cui carenza predispone ad un contenuto ridotto di fattori della coagulazione vit K-dipendenti che comporta una disfunzione cronica della coagulazione. Entrambe queste situazioni se individuate per tempo possono essere risolte con la somministrazione di vit K per os. 
Molti pazienti affetti da patologie dolorose assumono farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) cronicamente. Abbiamo già segnalato che l’acido acetilsalicilico inibisce irreversibilmente la ciclo-ossigenasi e la funzione piastrinica, mentre i FANS la inibiscono in modo reversibile a seconda della loro concentrazione plasmatica e delle caratteristiche del farmaco assunto. In genere la sospensione della terapia da 2 a 5 giorni prima della chirurgia riporta ad una funzione piastrinica normale. 
c - Medicamenti e sostanze omeopatiche 
L’uso di fitofarmaci e prodotti omeopatici a scopo terapeutico si sta diffondendo sempre più e spesso l’assunzione avviene senza alcun controllo medico. Tutte queste sostanze vengono classificate come supplementi dietetici e non sono trattate come farmaci (22). Nell’assumere una sostanza omeopatica si conosce l’effetto desiderato mentre talora si ignorano gli effetti collaterali anche svantaggiosi. Tra questi vi è quello sulle capacità coagulative (23). Sostanze come la camomilla, aglio, zenzero, ginko ed ginseng possono aumentare la propensione al sanguinamento perché possiedono un potere inibente sulla funzione piastrinica oppure mostrano una rilevante interazione clinica con gli anticoagulanti orali o l’acido acetilsalicilico. La camomilla inibisce l’aggregazione piastrinica (24). In particolare l’aglio contiene allicina che ha un effetto dose-dipendente sull’aggregazione piastrinica e aumenta l’attività fibrinolitica e il tempo di formazione del trombo (22,25). L’aglio ha questi effetti dopo una dose di circa 800 mg/d e un’assunzione > 2 settimane. Nei pazienti che hanno assunto pillole all’aglio è descritto un rischio di sanguinamento più elevato (26,27). 
Un altro composto dell’aglio, l’ajoene, sembra possedere un effetto sinergico con l’azione antiaggregante delle prostacicline, indometacina e dipiridamolo (28). Il ginko è un PAF-antagonista (Platelet activating factor) con effetto profibrinolitico( 29). Il ginseng inibisce l’aggregazione piastrinica in vitro (30), il mirtillo rosso porta ad un rafforzamento dell’effetto di antagonista della vitamina K (31). Pertanto durante il colloquio con il paziente è bene chiarire se si assumono regolarmente sostanze come quelle appena riportate (32,33).
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Valutazione clinica generale del paziente 
L’inquadramento clinico di un paziente ha lo scopo di identificare la presenza e l’entità di eventuali patologie. Consente di definire il livello di compromissione funzionale prevedendo il rischio di difficoltà soggettiva nel recupero di una condizione di normalità o il rischio d’insorgenza di complicanze nel decorso postoperatorio. Nel caso di interventi particolarmente invasivi e traumatizzanti il rischio di sanguinamento espone il paziente ad anemizzazione. In questo caso l’inquadramento clinico può aiutare il medico nell’individuare il margine di tolleranza del paziente nei confronti dell’anemia. Abbiamo già visto come l’anemia sia un fattore estremamente difficile da definire soprattutto per la sua variabilità legata ad una serie di fattori ambientali e genetici. Questo comporta due conseguenze: la difficoltà nell’indicare i margini di normalità e quindi il riconoscimento dello stato di anemia, ma soprattutto dimostra quanto i parametri Hb o Ht non siano sufficienti come riferimento nell’indicare la necessità di trasfusione. L’anemia è un segno clinico che deve indurre il curante ad individuarne le cause e la decisione trasfusionale deve essere presa nel momento in cui l’anemia acquista un significato funzionale. L’ossigeno rappresenta il componente fondamentale che garantisce la massima resa energetica per il corretto funzionamento dei processi aerobici coinvolti in tutti i meccanismi cellulari. L’emoglobina è il mezzo che lega l’ossigeno e lo trasporta alle cellule dei tessuti periferici. L’entità del trasporto di Ossigeno (DO2) ha come fattori determinanti l’emoglobina, il volume ematico in cui è disciolta, i vasi del circolo artero-venoso e la forza propulsiva impressa dal cuore sulla massa ematica che garantisce la sua distribuzione ai tessuti attraverso il circolo (1-10). Tutti questi fattori rappresentano un impegnativo sistema la cui funzione vitale può essere assicurata dal compenso reciproco. Quando un fattore risulta carente, entro certi limiti può essere compensato dagli altri per garantire comunque la conservazione della funzione del sistema. Nell’anemia il ridotto trasporto di O2 viene garantito nonostante il ridotto contenuto di emoglobina, ma questa capacità dipende dal grado di buon funzionamento degli organi preposti al compenso. 
Pertanto la tolleranza ad un livello di anemia dipende dal grado di integrità funzionale dei fattori di compenso (11-14) ed è una caratteristica soggettiva che dipende dallo stato di benessere ed è prevedibile nel momento in cui le condizioni cliniche del paziente sono note. Superando la capacità di tolleranza si ha il raggiungimento della cosiddetta soglia trasfusionale e insorge una condizione di ipossia tissutale. 
Patologie a carico del sistema cardiocircolatorio e respiratorio oppure condizioni che implicano un’aumentato consumo di O2 rappresentano alterazioni dell’equilibrio fisiologico tra apporto di ossigeno e suo utilizzo: 
1) un ridotto incremento dell’output cardiaco per ipovolemia, coronaropatie valvulopatie cardiache, cardiopatie congestizie, assunzione di farmaci inotropi negativi. Livelli di compromissione cardiaca segnalano un basso grado di tolleranza e quindi il rischio che l’anemia diventi sintomatica a livelli che in condizioni benessere verrebbero agevolmente tollerati. 
2) un alterata funzione di scambio dei gas con la ventilazione per broncopneumopatia cronica ostruttiva e sindrome da distress respiratorio acuto. In questo caso si riduce la capacità di assumere Ossigeno dall’ambiente e pertanto lo stesso legame con l’emoglobina ed il suo trasporto nel circolo risulteranno ridotti. 
3) un incremento del consumo di ossigeno per febbre, dolore, stress e sepsi. In questo caso l’aumentato consumo determina una richiesta aumentata. 
Interazioni tra processi fisiopatologici e anemia 
Le condizioni appena riportate possono limitare I meccanismi compensatori di trasporto dell’O2 rendendo i pazienti più vulnerabili agli effetti dell’anemia (15,16,17). Il miocardio consuma dal 60% al 75% di tutto l’O2 distribuito al circolo coronarico (18-24). Un aumentata richiesta di O2 può essere soddisfatta solo aumentando il flusso
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ematico diretto a questo distretto (24). La perfusione del ventricolo sinistro avviene nella diastole ed ogni situazione che determina accorciamento di questa fase (tachicardia) riduce il flusso coronarico o meglio il tempo di perfusione coronarica. A coronarie indenni il miocardio non riporta conseguenze se esposto ad anemizzazione normovolemica con livelli di Hb a 7 g/L (25-32). Invece in presenza di coronaropatie di grado medio-alto l’insorgenza di disfunzione miocardica ed ischemia può comparire anche con valori superiori di Hb (33-41). Nella cardiopatia ischemica e nelle valvulopatie (35) viene riferito un significativo incremento della morbidità e mortalità probabilmente a causa dell’incapacità di sviluppare in maniera adeguata tutti i meccanismi compensatori legati alla gittata cardiaca. Pertanto il cuore come organo maggiormente coinvolto nei sistemi di compenso verso le condizioni di anemia risulta poco salvaguardato nel momento in cui l’anemia dovesse aggravarsi. Per ottenere la maggior efficacia di compenso cardiaco in una forma anemica sarà opportuno evitare risposte tachicardiche legate a condizioni di ipovolemia. Un cuore già compromesso risulta molto poco tollerante nei confronti di un’anemizzazione esponendosi ad un elevato rischio di peggiorare la propria condizione. 
A livello cerebrale il circolo di Willis offre una maggior possibilità di aumentare l’apporto di O2 attraverso un incremento del flusso ematico: sono stati osservati incrementi tra 50% e 500% del valore basale in studi di laboratorio (42-47) e su umani (48). Questa proprietà favorevole in caso di anemizzazione è soprattutto garantita dall’intervento del cuore che aumenta la propria gittata. A questo si deve aggiungere un miglioramento delle condizioni di flusso legate alla riduzione della viscosità per diluizione (44-49) tanto che l’emodiluizione è stata valutata come terapia nello stroke ischemico acuto (45,47, 49-57). Infine in caso di ridotta DO2, il tessuto cerebrale è in grado di aumentare la quantità di O2 estratta dal sangue. 
Le malattie cerebrovascolari non sembrano predisporre il paziente anemico a conseguenze significative. Anemia con emoglobina a 50-60 g/L si associa ad un lieve ma significativo difetto della funzione cognitiva che può essere risolto con trasfusione di sangue o anche ossigenoterapia. Naturalmente il grado di anemia tollerato dipende dal livello di integrità del circolo e del tessuto cerebrale (58,59). 
In condizioni di anemia normovolemica si attiva un meccanismo compensatorio di deviazione della gittata cardiaca verso circoli preferenziali diretti agli organi più nobili cuore e cervello. Questo determina una riduzione o esclusione del flusso diretto verso altri organi come il rene e l’intestino. Pazienti affetti da patologie critiche in questi distretti possono essere influenzati negativamente da questa ridistribuzione (60-63).
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III - ASPETTI FISIOPATOLOGICI DELL’ANEMIA 
Trasporto dell’ossigeno 
L’emoglobina è una molecola complessa formata da 4 globine, ciascuna unita ad un anello eme contenente ferro al quale può legarsi l’ossigeno. L’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno rappresenta la sua capacità a trasportarlo in circolo e può essere rappresentata graficamente da una curva sinusoidale determinata dal rapporto tra la saturazione dell’emoglobina (%satO2Hb) e la pressione parziale dell’ossigeno (pO2). Questa relazione, nota come curva di dissociazione dell’ossiemoglobina, offre un efficiente carico ad alta concentrazione di O2 nel polmone ed un altrettanto efficiente rilascio nei tessuti a valori di O2 bassi (Fig.2). 
Fig.2 - Curva di dissociazione dell’ossiemoglobina 
L’affinità dell’emoglobina a legare ossigeno può essere modificata da varie condizioni e riveste un ruolo importante nella risposta compensatoria all’anemia (1-5). 
La quantità di ossigeno trasportata (DO2), all’intero organismo o ad uno specifico organo, è il prodotto del flusso di sangue e del contenuto arterioso di O2. Per l’intero organismo la DO2 è data dal prodotto del flusso ematico totale o gittata cardiaca (CO) per il contenuto arterioso di O2 (CaO2). 
DO2 = CO x CaO2 
Quando si respira aria ambiente in condizioni di normalità, l’ossigeno viene trasportato nel sangue prevalentemente legato all’emoglobina e una piccola quota viene veicolata disciolta nel plasma in una quantità direttamente proporzionale alla pressione parziale dell’ossigeno. Questa può essere calcolata moltiplicando la pO2 per una costante K (= 0,003) definita coefficiente di solubilità. Il contenuto arterioso di O2 può essere calcolato con buona approssimazione dalla quantità legata all’emoglobina: 
CaO2 (ml/L) = %SatO2 x 1,39 (ml/g) x [Hb] (g/L) 
Se si sostituisce CaO2 da quest’ultima relazione in quella precedente si ottiene: 
DO2= CO x (%SatO2 x 1,39 x [Hb]) 
In cui CO è la gittata cardiaca in L/min, la %SatO2 è la % saturazione di emoglobina con O2, [Hb] è la concentrazione di emoglobina in g/L e 1,39 è la costante di legame dell’emoglobina (1g di Hb a saturazione completa lega 1.39 mL di O2). La gittata cardiaca, misura del flusso ematico all’intero organismo, rappresenta l’altro fattore determinante della DO2. La gittata cardiaca si ottiene moltiplicando la gittata sistolica definita in L (volume di fine di diastole - volume di fine sistole) e la frequenza cardiaca definita in battiti al minuto. La gittata cardiaca è influenzata dal precarico (volume di fine diastole), dal postcarico (pressione arteriosa e resistenza incontrata ad ogni sistole), e dalla contrattilità (la forza prodotta ad ogni contrazione). Il lavoro cardiaco (energia consumata dal cuore) è direttamente proporzionale alla frequenza cardiaca, al  pressorio tra pressione arteriosa e pressione del ventricolo sinistro, e alla frazione di eiezione (volume) durante un ciclo cardiaco (6-11). 
Per una data pressione arteriosa, un aumento della gittata cardiaca aumenterà Il consumo di O2 miocardico oppure, per una data gittata cardiaca il consumo di O2 aumenterà con l’aumentare della pressione arteriosa.
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Si ha ipossia o anossia tissutale se il trasporto di ossigeno non è adeguato alle necessità metaboliche dei tessuti. Dalla prima e dalla terza equazione è possibile capire come l’ipossia tissutale possa essere determinata dai tre fattori coinvolti: una riduzione del trasporto di ossigeno provocato da una riduzione della concentrazione di emoglobina (ipossia anemica), della gittata cardiaca (ipossia congestizia) o della saturazione di emoglobina (ipossia ipossica). Ciascuno dei fattori coinvolti nella determinazione della DO2 rappresenta una sostanziale riserva fisiologica che consente al corpo umano di adattarsi a significativi incrementi delle richieste di O2 o a riduzione di anche uno solo dei fattori determinanti della DO2 come effetto di varie patologie. 
In condizioni di benessere la quantità di O2 trasportata ai tessuti eccede di 2-4 volte le reali esigenze di O2 a riposo. Con una Hb di 150 g/L, una satO2 99% e una gittata cardiaca di 5 L/min, la DO2 sarà di 1.032 mL/min. A riposo, la quantità di O2 richiesta o consumata dall’organismo (VO2) sarà tra i 200 e i 300 mL/min. Una riduzione della concentrazione di Hb a 100 g/L garantirà una DO2 di 688 mL/min. Nonostante una riduzione del 33% di DO2, rimane un eccesso di circa due volte superiore al consumo. Un ulteriore calo di Hb a 50 g/L, con mantenimento degli altri parametri, ridurrà la DO2 ad un livello critico di 342 mL/min. In condizioni di stabilità sperimentale, questa riduzione importante di DO2 non influenza il consumo di O2. Al di sotto di un livello critico o soglia di O2 (DO2 critica) il consumo di O2 diminuirà per ulteriori riduzioni della concentrazione di emoglobina (e si ridurrà anche la DO2). C’è quindi una relazione bifasica tra DO2 e consumo di O2 (Fig.3): una parte DO2-indipendente al di sopra del valore soglia (DO2crit) in cui il consumo di O2 è indipendente dalla DO2 e una porzione DO2-dipendente in cui la DO2 è correlata in modo lineare con il consumo di O2. Quest’ultima parte al di sotto della DO2crit indica l’avvio di una condizione di ipossia tissutale. Il confronto tra alcuni studi clinici ha confermato una estrema variabilità di questo valore che in un caso (13) 
Fig.3 - Correlazione tra cessione e consumo di O2 
Dopo essersi caricato di O2, il sangue viene distribuito a tutti gli organi e tessuti attraverso il sistema arterioso ed il microcircolo. Il flusso ematico degli organi è determinato dal tono delle arteriole di medio calibro regolate dal sistema nervoso autonomo e, a livello locale, dal rilascio di sostanze vasodilatanti. A livello del microcircolo l’emoglobina rilascia l’O2 che diffonde attraverso lo spazio interstiziale e passa nelle cellule e nei mitocondri per essere utilizzato nei meccanismi di respirazione cellulare. Ognuno di questi meccanismi può essere modificato dall’instaurarsi di condizioni di anormalità come quelle che si creano in condizioni patologiche. 
Adattamento all’anemia 
Il nostro organismo ha diverse capacità di adattamento all’anemia. Ma prima di esporle è importante ricordare che con anemia si indica una riduzione della massa circolante di eritrociti e con essi delle capacità di trasporto di O2. Abbiamo 
corrispondeva a 4 mL/min/Kg, mentre in altri studi clinici e di laboratorio acquisiva un valore di 8 mL/min/Kg (14-16). 
La DO2crit o soglia anaerobica, non è un valore costante ma è soggettivo e varia a seconda di alcuni fattori che corrispondono al metabolismo basale, alla presenza di alcuni stati patologici, e probabilmente dipende anche dall’età e dalla componente genetica.
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appena visto che la DO2 supera le richieste da parte dei tessuti periferici in condizioni di riposo. In realtà questo eccesso rappresenta un margine fisiologico che offre al sistema la possibilità di aumentare le proprie richieste. Quello che in prima analisi bisogna considerare è la variabile temporale: in quanto tempo si stabilisce la anemizzazione. Esistono condizioni patologiche in cui l’anemia in forma cronica viene tollerata grazie a meccanismi di adattamento a lungo termine. In realtà nei pazienti chirurgici ci troviamo ad affrontare due forme di anemizzazione che possiamo definire come dinamiche e statiche. L’anemizzazione dinamica è quella che si verifica rapidamente, spesso con evoluzione poco prevedibile: un’emorragia che interviene in sala operatoria. L’anemizzazione statica rappresenta invece una forma che ormai ha raggiunto un suo livello di stabilità e, se il paziente è sano, può essere risolta nel giro di qualche giorno: il paziente postoperato in reparto. Mentre quest’ultima condizione può essere compensata adeguatamente da quei sistemi che abbiamo visto e vedremo, nel caso di emorragia il livello di coinvolgimento risulta superiore per la velocità di comparsa e per la sua durata e pertanto richiede che tutti i meccanismi compensatori avviino la propria funzione al più presto e per un tempo imprecisato. L’emorragia rappresenta un caso estremo di anemizzazione in cui si associa anche una condizione di ipovolemia. 
Meccanismi compensatori 
Nell’anemia si verificano una serie di variazioni compensatorie corrispondenti allo spostamento della curva di dissociazione dell’emoglobina, a variazioni emodinamiche e microcircolatorie. Lo spostamento a destra della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina è principalmente legato ad un’aumentata sintesi del 2,3-DPG nei globuli rossi (17-30). Questo spostamento facilita il rilascio di O2 ai tessuti ed è stato dimostrato in vitro (31) in condizioni in cui spesso è necessario garantire una buona ossigenazione cellulare: riduzione della temperatura e del pH. 
Infatti l’acidosi legata ad una aumentata produzione di CO2 da parte dei tessuti (effetto Bohr) (31,32) provoca uno spostamento della curva verso destra che facilita il rilascio di O2 aumentando la sua disponibilità a livello cellulare. Lo stesso fenomeno favorevole si può verificare in seguito ad una riduzione della temperatura dovuta a condizioni di ipoperfusione. 
Modifiche emodinamiche intervengono a seguito dello stabilirsi di una condizione di anemia. L’organismo cerca di preservare la DO2 diretta agli organi vitali aumentando la gittata cardiaca (contrattilità miocardica e frequenza cardiaca) e aumentando il tono vascolare arterioso e venoso. Il sistema adrenergico infatti gioca un ruolo importante nel modificare il flusso ematico agli organi specifici. La perdita di volume coinvolge anche il sistema renina-angiotensina-aldosterone che è stimolato a trattenere acqua e sodio. Perdite tra il 5% ed il 15% del volume ematico determinano un incremento variabile nella frequenza cardiaca del cuore a riposo e nei valori della pressione diastolica. L’ipotensione ortostatica è spesso un indicatore sensibile di perdite di volume relativamente poco ingenti che non sono sufficienti a determinare crolli marcati di pressione sistemica. Perdite maggiori risultano in un progressivo incremento della frequenza cardiaca e una riduzione della pressione arteriosa associate all’evidenza di ipoperfusione d’organo. L’aumentato tono simpatico tende a centralizzare il circolo deviando il flusso ematico totale ridotto verso la circolazione coronarica e cerebrale ed escludendo quella splancnica, scheletrica e cutanea. 
Nello shock ipovolemico la perdita del volume circolante è tale da coinvolgere nonostante i tentativi di centralizzazione anche gli organi vitali. Sebbene l’American College of Surgeon’ Committee on Trauma (31) abbia ben classificato le risposte cardiocircolatorie e sistemiche alle perdite acute di sangue in base alla loro entità, molte di queste risposte dipendono da caratteristiche dei pazienti come età, comorbilità, volemia e valori di emoglobina preesistenti, uso di farmaci con effetti cardiaci (beta bloccanti) o sul circolo periferico (antipertensivi) e l’intervallo di tempo in cui si è
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Patient blood management g. inghilleri e m. pavesi - supplemento ocd news n° 30 , 2010

  • 1. pagina 1 Patient Blood Management PATIENT BLOOD MANAGEMENT G. Inghilleri1, M. Pavesi2 1. SIMT - Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico, Milano 2. Servizio di Anestesia Polispecifica - IRCCS Policlinico S. Donato, S. Donato Milanese
  • 2. pagina 2 Patient Blood Management
  • 3. pagina 3 Patient Blood Management I - INTRODUZIONE pag. 5 II - VALUTAZIONE PREOPERATORIA - Valutazione della emoglobina e dell’ematocrito basale pag. 9 - Valutazione della funzionalità coagulativa basale pag. 17 - Valutazione clinica generale del paziente pag. 27 III - ASPETTI FISIOPATOLOGICI DELL’ANEMIA pag. 33 IV - PREVISIONE DEL FABBISOGNO TRASFUSIONALE pag. 45 V - TECNICHE DI BLOOD CONSERVATION PREOPERATORIE - Correzione dell’anemia preoperatoria pag. 55 - Predeposito di sangue autologo pag. 65 - Eritropoietina umana ricombinante pag. 78 VI - TECNICHE DI BLOOD CONSERVATION PERIOPERATORIE - Comportamento intraoperatorio pag. 95 - Trasfusioni autologhe pag. 107 - Emodiluizione normovolemica acut a pag. 107 - Recupero delle perdite ematic he perioperatorie pag. 113 - Colla di fibrina pag. 123 - Trigger trasfusionale pag. 135 VII - APPENDICE - Gestione perioperatoria della terapia antitrombotica pag. 141 - Ossigeno normobarico paradosso pag. 147 INDICE
  • 4. pagina 4 Patient Blood Management
  • 5. pagina 5 Patient Blood Management I - INTRODUZIONE La scoperta del HIV negli anni ’80 e la progressiva conoscenza delle sue tragiche ripercussioni sanitarie e sociali ha motivato studiosi e clinici verso la ricerca di mezzi per contenerne la diffusione (1,2). L’atteggiamento preventivo sui rischi di contagio ha stabilito misure correttive nelle abitudini igieniche e ha orientato verso lo studio del fenomeno e del suo trattamento. Il sangue, come mezzo di contagio, ha subito rappresentato l’obiettivo principale di riferimento. Nell’ambito ospedaliero questo ha condotto all’introduzione di test sempre più raffinati per ottenere una diagnosi rapida e sicura e all’adozione di comportamenti e modalità di lavoro rivolte ad evitare il più possibile la trasmissione tra pazienti ed operatori (3,4). Il rischio che la trasfusione di sangue come terapia del paziente anemico potesse esporre a complicanze ben più gravi ha sicuramente influito sul cambiamento degli atteggiamenti trasfusionali di questi ultimi trentanni (5). Definizioni come “transfusion-free” o “bloodless medicine and surgery” da cui concettualmente deriva il nostro “buon uso del sangue” rappresentano la dimostrazione di come l’argomento trasfusionale si sia avvicinato a tutti gli operatori sensibilizzandoli, suscitando interesse e contribuendo alla formazione di una nuova cultura medica e chirurgica (6). Esempi di questi nuovi orientamenti sono stati dati in Europa da gruppi multidisciplinari che hanno creato sistemi di emovigilanza con lo scopo di verificare il fenomeno trasfusionale in termini di quantità e di identificarne e studiarne le conseguenze. La diffusione dei dati raccolti con queste iniziative ha indotto una maggior razionalizzazione dei comportamenti trasfusionali ed ha spinto alla conoscenza ed approfondimento del controllo di quelle complicanze post-trasfusionali sino a qualche anno fa misconosciute (7,8). Il nostro interesse è diretto verso i pazienti chirurgici sui quali è possibile costruire un programma rivolto ad evitare le trasfusioni di sangue (9-16). Precauzioni e tecniche adottate per evitare trasfusioni di sangue a pazienti che, per motivi religiosi, le rifiutavano, adesso si sono ampliamente diffuse e vengono adottate anche sul resto della popolazione (17-20): ognuno vuole mantenere intatto il proprio patrimonio ematico ed essere curato senza ammalarsi. In questi anni infatti studi epidemiologici postrasfusionali hanno evidenziato rischi infettivi legati a patogeni meno noti ma non per questo meno insidiosi (1,21,22), manifestazioni non infettive da trasfusione (NISHOTs) (23), reazioni che coinvolgono il sistema immunitario del ricevente esponendolo a patologie sistemiche anche complesse (3,8,24). Ampie casistiche hanno riportato nei pazienti trasfusi evidenze di aumentato rischio di infezione per un’alterata funzione del sistema immunitario ed un miglioramento dell’outcome nei centri in cui l’applicazione di programmi di blood conservation hanno portato alla riduzione delle trasfusioni di sangue (25,26). A questi aspetti clinici si aggiungono fattori organizzativi relativi ad una inadeguata disponibilità di unità per una storica discrepanza tra donatori e richieste. Infine, l’aspetto economico che vincola molto le scelte decisionali e i programmi in sanità si basa su risultati di analisi di costi non complete e poco vicine al reale (27,28). A tuttoggi risulta difficile identificare il costo vero di una unità di sangue e questo impedisce di creare indicazioni uniformi sulla scelta di farmaci e procedure che consentano di ottenere un giusto equilibrio costo-efficacia. La blood conservation è giustificata da tutte queste esigenze e si realizza adottando programmi che sfruttano un’esperienza multidisciplinare (29). Un programma di blood conservation, costruito su misura per ogni paziente, richiede l’applicazione razionale delle tecniche disponibili per raggiungere l’obiettivo di evitare o limitare le trasfusioni di sangue riducendo al massimo il rischio di anemizzazione perioperatoria (30). Per fare questo è necessario conoscere le condizioni cliniche del paziente e le caratteristiche dell’intervento. Invasività, traumaticità, sede e durata di un intervento sono fattori costanti da cui dipende un rischio di sanguinamento pressoché standardizzato (31-33). La variabilità del sanguinamento perioperatorio è molto influenzata dagli operatori, dalla cura e attenzione che prestano nell’applicare le tecniche, i devices ed i farmaci più adeguati (34-36). Tuttavia il fattore più variabile è rappresentato dal paziente, dalle sue condizioni cliniche: contenuto ematico basale, capacità coagulative e capacità di tolleranza devono essere valutate nel corso di una visita preoperatoria e se necessario corrette .
  • 6. pagina 6 Patient Blood Management BIBLIOGRAFIA 1) Klein HG. How safe is blood, really? Biologicals 38 (2010) 100–104. 2) Regan F, Taylor C. Recent developments: Blood transfusion medicine. BMJ 2002;325;143- 147. 3) Alter HJ, Klein HG. The hazards of blood transfusion in historical perspective. Blood, 2008;112 (7): 2617-26. 4) Mortimer PP. Making blood safer. BMJ 2002; 325;400 – 401. 5) Epstein JS. Alternative strategies in assuring blood safety: An Overview. Biologicals 38 (2010) 31–35. 6) Sarteschi LM, Pietrabissa A, Boggi U, Biancofiore G, Sagripanti A, Mosca F. Minimal blood utilization in surgery. Internal Medicine 9:19-29, 2001. 7) SHOT: Serious Hazards of Transfusions, Annual report 2008. 8) Keller-Stanislawski B, Lohmann A, Gunay S, Heiden M, Funk MB. The German Haemovigilance System–reports of serious adverse transfusion reactions between 1997 and 2007. Transfusion Medicine, 2009, 19, 340–349. 9) Fields RC, Meyers BF. The effects of perioperative blood transfusion on morbidity and mortality after esophagectomy. Thorac Surg Clin. 2006 Feb;16(1):75-86. 10) Bernard AC, Davenport DL, Chang PK, Vaughan TB, Zwischenberger JB. Intraoperative transfusion of 1U to 2U packed red blood cells is associated with increased 30-day mortality, surgical-site infection, pneumonia, and sepsis in general surgery patients. J Am Coll Surg. 2009 May;208(5):931-7. 11) O’Keeffe SD, Davenport DL, Minion DJ, Sorial EE, Endean ED, Xenos ES. Blood transfusion is associated with increased morbidity and mortality after lower extremity revascularization. J Vasc Surg. 2010 Mar;51(3):616-21. 12) Barr PJ, Donnelly M, Morris K, Parker M, Cardwell C, Bailie KE.The epidemiology of red cell transfusion. Vox Sang. 2010 Jun 23. [Epub ahead of print]. 13) Wu WC, Smith TS, Henderson WG, Eaton CB, Poses RM, Uttley G, Mor V, Sharma SC, Vezeridis M, Khuri SF, Friedmann PD. Operative blood loss, blood transfusion, and 30-day mortality in older patients after major noncardiac surgery. Ann Surg. 2010 Jul;252(1):11-7. 14) Jeffrey L. Carson; Amy Duff; Jesse A. Berlin. Perioperative Blood Transfusion and Postoperative Mortality. JAMA. 1998;279(3):199-205 15) Kamper-Jørgensen M, Ahlgren M, Rostgaard K, Melbye M, Edgren G, Nyrén O, Reilly M, Norda R, Titlestad K, Tynell E, Hjalgrim H. Survival after blood transfusion. Transfusion 2008; 48:2577- 2584. 16) Shander A, Spence RK, Adams D, Shore- Lesserson L, Walawander CA Timing and Incidence of Postoperative Infections Associated with Blood Transfusion: Analysis of 1,489 Orthopedic and Cardiac Surgery Patients. Surgical Infections 2009; 10 (3): 277-83. 17) Gohel MS, Bulbulia RA, Slim FJ, Poskitt KR, Whyman MR. How to approach major surgery where patients refuse blood transfusion (including Jehovah’s Witnesses). Ann R Coll Surg Engl 2005; 87: 3–14 18) Doyle D. Blood transfusions and the Jehovah’s Witness patient. Am J Ther 2002; 9: 417– 24. 19) Muramato O. Bioethical aspects of the recent changes in the policy of refusal of blood by Jehovah’s Witnesses. BMJ 2001; 322: 37–9. 20) Marsh JC, Bevan DH. Haematological care of the Jehovah’s Witness patient. Br J Haematol 2002; 119: 25–37. 21) Dodd R. Managing the microbiological safety of blood for transfusion: a US perspective. Future Microbiol. 2009 Sep;4:807-18.
  • 7. pagina 7 Patient Blood Management 22) Traineau R, Elghouzzi MH, Bierling P. Update on infectious risks associated with blood products. Rev Prat. 2009 Jan 20;59(1):86-9. 23) Hendrickson JE, Hillyer CD. Noninfectious Serious Hazards of Transfusion. Anesth Analg 2009;108:759–69. 24) Klein HG. Immunomodulatory Aspects of Transfusion. A Once and Future Risk? Anesthesiology 1999; 91:861–5. 25) Rogers MAM, Blumberg N, Saint S, Langa KM, Nallamothu BK. Hospital variation in transfusion and infection after cardiac surgery: a cohort study. BMC Medicine 2009, 7:37. 26) Vincent JL, Sakr Y, Sprung C, Harboe S, Damas P. Are Blood Transfusions Associated with Greater Mortality Rates? Anesthesiology 2008; 108:31–9. 27) Custer B. The cost of blood: did you pay too much or did you get a good deal? Transfusion 2010;50:742-744. 28) The cost of blood: multidisciplinary consensus conference for a standard methodology. Transfus Med Rev 2005;19:66-78. 29) Waters JH. Overview of blood conservation. Transfusion 2004;44:1S-3S. 30) Gonzalez-Porras JR, Colado E, Conde MP, Lopez T, Nieto MJ, Corral M. An individualized pre-operative blood saving protocol can increase pre-operative haemoglobin levels and reduce the need for transfusion in elective total hip or knee arthroplasty. Transfus Med. 2009 Feb;19(1):35- 42. 31) Lloyd JC, Bañez LL, Aronson WJ, Terris MK, Presti Jr JC, Amling CL, Kane CJ, Freedland SJ. Estimated blood loss as a predictor of PSA recurrence after radical prostatectomy: results from the SEARCH database. BJU Int. 2009 Aug 25. 32) Moul JW, Sun L, Wu H, McLeod DG, Amling C, Lance R, Foley J, Sexton W, Kusuda L, Chung A, Soderdahl D, Donahue T. Factors associated with blood loss during radical prostatectomy for localized prostate cancer in the prostate-specific antigen (PSA)-era: an overview of the Department of Defense (DOD) Center for Prostate Disease Research (CPDR) national database. Urol Oncol. 2003 Nov-Dec;21(6):447-55. 33) Rosencher N, Kerkkamp HE, Macheras G, Munuera LM, Menichella G, Barton DM, Cremers S, Abraham IL; Orthopedic Surgery Transfusion Hemoglobin European Overview (OSTHEO) study: blood management in elective knee and hip arthroplasty in Europe. Transfusion. 2003 apr; 43(4):459-69. 34) Muñoz M, García-Erce JA, Villar I, Thomas D. Blood conservation strategies in major orthopaedic surgery: efficacy, safety and European regulations. Vox Sang. 2009 Jan;96(1):1-13. 35) Jeffery L. Pierson, Timothy J. Hannon and Donald R. Earles. A Blood-Conservation Algorithm to Reduce Blood Transfusions After Total Hip and Knee Arthroplasty. J Bone Joint Surg Am. 2004;86:1512-1518. 36) Nelson CL, Fontenot HJ, Flahiff C, Stewart J. An Algorithm to Optimize Perioperative Blood Management in Surgery. Clinical Orthopaedics and Related Research 1998; 357:36-42.
  • 8. pagina 8 Patient Blood Management
  • 9. pagina 9 Patient Blood Management Emoglobina (Hb) ed Ematocrito (Ht%) accompagnano il paziente chirurgico in tutto il suo percorso perioperatorio ed incidono sulle decisioni terapeutiche dei curanti (1-3). Nei pazienti programmati per interventi chirurgici si devono ottenere valori preoperatori di normalità. Quanto più un paziente è portatore di valori bassi tanto maggiore sarà il rischio di anemizzazione postoperatoria (4). Questa è anche influenzata dall’entità delle perdite previste. In riferimento ai valori basali, alla loro adeguatezza in rapporto alle perdite ematiche previste e al raggiungimento di un valore di contenuto ematico postoperatorio tollerabile per il paziente, sarà possibile realizzare un programma di preparazione preoperatoria (vedi stimolo eritropoietico e predeposito). [Hb]=g/dl e Ht%: definizione di normalità L’identificazione del range di normalità di Hb ed Ht% permette di definire una condizione di anemia. Questo aiuta a determinare una prognosi in alcune condizioni patologiche (5-8) e, nell’inquadramento del paziente che deve essere sottoposto ad intervento chirurgico ad alto rischio di sanguinamento, permette di stabilire i trattamenti più adeguati nell’ambito di un “blood conservation program”. I criteri di diagnosi di anemia descritti nel 1958 in un report della World Health Organization (9) sono stati per molti anni il riferimento per la realizzazione di numerosi studi epidemiologici. Il loro limite è legato alla eterogeneità dei gruppi che si evidenzia nelle medie e quindi nella definizione dei valori di normalità. Recentemente la disponibilità di database con più ampie casistiche (NHANES-III e Scripps-Kaiser) (10-12) ed il II - VALUTAZIONE PREOPERATORIA riconoscimento di fattori che influenzano il contenuto di emoglobina hanno permesso un’analisi più accurata e la definizione di criteri più selettivi e precisi. Infatti il contenuto di emoglobina può essere influenzato oltre che dai già noti processi di invecchiamento (13-16) anche da fattori genetici (1,17-21). Questo ha portato a modificare i criteri di suddivisione aggiungendo anche la razza ai gruppi già presenti di età e sesso. Si sono così ottenuti indici di normalità più specifici per ogni categoria di paziente (22). Il fenomeno delle migrazioni che negli ultimi anni ha investito il nostro paese ha coinvolto i nostri operatori sanitari nella cura di pazienti provenienti da paesi vicini (Europei) ma anche più lontani (Centro-Nord Africa, Medio Oriente, Sud America). Da una parte questo ha riproposto il trattamento di condizioni patologiche rare e ormai considerate scomparse presso la nostra popolazione ma soprattutto ha spinto a riconsiderare il concetto di normalità per alcuni esami ematici che, come la concentrazione di Hb e l’Ht, risultano variabili sulla base di criteri genetici e quindi anche razziali (Tab.1) Group Age (yrs) [Hb] (g/dL) White men 20-59 13,7 60+ 13,2 White women 20-49 12,2 50+ 12,2 Black men 20-59 12,9 60+ 12,7 Black women 20-49 11,5 50+ 11,5 La valutazione preoperatoria ha lo scopo di inquadrare clinicamente il paziente per evidenziare tutte le condizioni che possono influenzare il decorso incidendo sul rischio di complicanze perioperatorie. Nei pazienti che dovranno subire interventi a maggior rischio emorragico la visita preoperatoria ha anche lo scopo di individuare tutti quei fattori che predispongono al sanguinamento, all’anemizzazione e quindi al rischio trasfusionale. L’anestesista valuta i risultati ematochimici, li integra con le informazioni cliniche raccolte ed imposta i trattamenti più opportuni. Valutazione della emoglobina e dell’ematocrito basale Tab.1 - Limiti inferiori di riferimento dell’emoglobina in adulti di razza bianca e nera.
  • 10. pagina 10 Patient Blood Management Il contenuto di Hb può tuttavia essere influenzato anche da alcuni fattori acquisiti come dieta, fumo, etilismo e altitudine (23-26). In questo intervengono anche condizioni patologiche che compromettono le capacità rigenerative dell’organismo come tumori, insufficienza renale cronica, diabete, obesità, stati infettivi e condizioni croniche di infiammazione (27). Per questo motivo recentemente sono stati proposti software corretivi che individuano in pazienti con caratteristiche particolari il valore di Hb al di sotto del quale definire una condizione di anemia (28). Il riscontro di valori anormali richiede una valutazione più approfondita da parte di un ematologo che diagnosticherà le cause dell’anemia individuandone il trattamento più adeguato (29). [Hb]=g/dl e Ht%: rapporto con la volemia La concentrazione di Hb viene definita come la sua diluizione in un volume (g/dL). L’Ht invece rappresenta la percentuale della componente corpuscolata in rapporto a quella plasmatica. Benchè calcolate entrambe nel contenuto di una provetta in realtà si riferiscono al volume totale di sangue circolante o volemia (BV). Il BV è dato dal volume plasmatico (PV) e dal volume dei globuli rossi (RBCV) e viene considerato normale quando corrisponde a circa il 7% del peso corporeo in un normotipo (60-70 mL/Kg)(30). Si definisce normovolemia la condizione di volemia corrispondente ad un adeguato riempimento del circolo. Il valore di Hb e Ht% è quindi influenzato dalla volemia. In condizioni di normovolemia Hb e Ht% corrisponderanno quindi al reale contenuto totale di Hb e al RBCV (31,32). Nell’ipo-ipervolemia Hb e Ht% risentiranno dell’effetto di diluizione o concentrazione della componente corpuscolata in quella plasmatica indicando dei valori non più corrispondenti alla realtà (33). Un valore di Ht% basso in presenza di eccessivo PV può erroneamente essere interpretato come corrispondente ad un RBCV basso (anemia da diluizione) oppure, al contrario, un Ht% normale in corrispondenza di un PV basso (normoglobulia da concentrazione) (31,34-37)( Fig 1). Queste condizioni si possono verificare più frequentemente in pazienti che giungono in sala operatoria come urgenze emorragiche o con patologie che determinano alterazioni dell’assorbimento intestinale (anemie ipovolemiche non ancora compensate con infusioni) e possono evidenziarsi nei pazienti postoperati nelle prime 24 h (38). Tuttavia è importante definirle perché, anche se in maniera più sfumata, si presentano anche nei pazienti ambulatoriali. In questi casi è importante riconoscere tutte le condizioni che possono modificare il contenuto di liquidi corporei e volumi circolanti perché influenzano il contenuto di emoglobina e l’ematocrito. Pazienti anziani non autosufficienti, oncologici soprattutto con tumori del tratto gastrointestinale, insufficienti renali, diabetici, obesi, terapie con diuretici e o antipertensivi sono tutte condizioni che richiedono una verifica della volemia. Vomito, diarrea e sudorazione non reintegrate da adeguati apporti di liquidi determinano condizioni di emoconcentrazione (falsi negativi) mentre condizioni di sovraccarico da eccessivo apporto infusionale o incapacità del Normovolemia Hypovolemia With normal Hct With reduced Hct With increased Hct With slightly reduced Hct With reduced Hct 42-45 30-35 50-55 38-40 30-35 Hct range % Fig.1 - Livello di Ht venoso periferico, volume di Globuli Rossi, volume plasmatico ed volume ematico totale nel paziente normovolemico e ipovolemico.
  • 11. pagina 11 Patient Blood Management paziente ad eliminare liquidi assunti provocano emodiluizione (falsi positivi). I risultati di questi esami devono essere quindi attentamente valutati e considerati in un contesto più generale che comprenda anche una valutazione della volemia. Esistono sistemi di monitoraggio che sicuramente possono indicare con precisione le condizioni di volemia di un paziente (39,40), ma il loro impiego a livello ambulatoriale nel corso di una visita preoperatoria è assolutamente eccessivo e non adeguato. Un’anamnesi approfondita e un buon esame obiettivo, se necessario, integrati da esami di laboratorio specifici possono portare ad una adeguata valutazione delle condizioni di volemia del paziente (41,42). Come già detto la volemia rappresenta il volume di sangue presente nel circolo: la normovolemia è garantita da meccanismi endogeni che assicurano il mantenimento dell’equilibrio idroelettrolitico. Questo equilibrio coinvolge tutto l’organismo e prevede il corretto funzionamento di vari sistemi ed organi che determinano lo spostamento adeguato di liquidi tra spazi corporei (intracellulare ed extracellulare) e distretti (interstiziale e vascolare). Il distretto vascolare è l’indicatore più precoce di eventuali variazioni dalla normalità del suo contenuto (quantitativo e qualitativo) perché è in più stretto contatto con l’esterno (43,44). Il distretto vascolare è correlato alla volemia per cui in un paziente sano il riconoscimento delle condizioni di idratazione permette di valutare indirettamente anche le condizioni di adeguatezza volemica. Lo stato di idratazione può essere valutato con metodiche di misurazione di vari livelli e l’indicazione allo loro scelta è subordinata al grado di precisione richiesto al risultato (45,46). Il nostro interesse è tale da escludere tecniche raffinate e complesse per cui fa riferimento al rilevamento di semplici indici ematici ed urinari. Esistono pareri discordanti relativi all’affidabilità del valore dell’osmolarità plasmatica come indice dello stato di idratazione. L’impressione è che il plasma rappresenti un importante mezzo di controllo per la regolazione endogena e l’adeguamento di meccanismi rivolti al mantenimento dell’equilibrio idrosalino (47,48) ma rappresenti un indicatore poco sensibile delle variazioni dello stato di idratazione generale in quanto soggetto a rapidi adeguamenti a protezione del mantenimento della stabilità cardiovascolare (49,50). Più sensibili sono gli indici urinari: in pazienti con funzionalità renale conservata il rene è in grado di garantire il giusto equilibrio trattenendo acqua in condizioni di disidratazione, producendo poche urine concentrate e, al contrario, in condizioni di iperidratazione producendo urine abbondanti e diluite. L’osmolarità ed il peso specifico delle urine sono stati riconosciuti come due esami equivalenti (49). L’osmolarità misura il contenuto del soluto nelle urine ed è un indice della capacità di concentrazione renale (50), il peso specifico si riferisce alla densità delle urine (massa per volume) riferita all’acqua pura (=1.000). Valore normale è da 1.013 a 1.029, nella disidratazione (urine concentrate) >1.030 e nell’ eccesso di liquidi (urine diluite) da 1.001 a 1.012 (49,51). Il colore delle urine è determinato dalla quantità di urocromo disciolto (52). E’ stata dimostrata una relazione lineare tra colore delle urine e loro peso specifico (53) e pertanto anche questo tipo di controllo può essere eseguito per valutare indicativamente lo stato di idratazione senza necessità di risultati precisi. [Hb]=g/dl e Ht%: affidabilità strumentale Nel 1963, a Lisbona, in occasione del 9° Congresso della Società Europea di Ematologia vennero definite le prime raccomandazioni per il metodo di riferimento per l’emoglobinometria nel sangue umano (54). Da allora la determinazione fotometrica dell’emoglobincianide (HiCN) viene impiegata come metodo di riferimento e la concentrazione di emoglobina espressa in g/L o mmol/L (55,56). La necessità di ottenere rapidamente risultati di esami ematochimici importanti a stretto contatto con il paziente ha spinto alcune aziende alla progettazione di strumenti in grado di soddisfare queste esigenze. Sono stati così realizzati apparecchi tecnologicamente avanzati definiti point of
  • 12. pagina 12 Patient Blood Management care testing (POCT) che possono essere utilizzati da personale infermieristico adeguatamente addestrato analizzando minimi volumi di sangue (57). Alcuni lavori hanno dimostrato, per i dati relativi all’emoglobina, una corrispondenza variabile tra risultati ottenuti da tipi differenti di POCT e quelli di laboratorio (HiCN) (58). Il College of American Pathologists (CAP) (59) ha indicato 3 livelli di affidabilità di un apparecchio di analisi sulla base della differenza tra i propri risultati e quelli ottenuti da laboratorio: se +/- 4 g/L, il sistema di analisi è considerato buono, se tra 4 e 8 g/L è accettabile, se superiore a 8 g/l è inaccettabile. La maggior parte dei sistemi ha prodotto risultati considerati buoni in base al criterio CAP. Tuttavia è importante che gli operatori siano a conoscenza delle caratteristiche degli apparecchi in dotazione presso i propri reparti individuando la differenza rispetto al laboratorio di riferimento. Un margine di errore di 5 g/L di Hb deve essere attentamente valutato se il valore ottenuto si avvicina a livelli di soglia trasfusionale (70-80 g/L). In tal caso è opportuno fare riferimento a dati di laboratorio più precisi e soprattutto a segni clinici che rappresentano gli indicatori più affidabili nella decisione trasfusionale. Per ridurre il rischio di errore e rendere questi sistemi di misurazione più affidabili, il Consiglio Internazionale per la Standardizzazione in Ematologia (ICSH) nel 2008 ha emesso delle linee guida relative all’utilizzo ottimale dei POCT in modo da limitare le discrepanze talora evidenti che si possono manifestare tra i risultati del laboratorio di riferimento e quelli ottenuti dal POCT service (60). 1) Sala C, Ciullo M, Lanzara C, Nutile T, Bione S, Massacane R, d’Adamo P, Gasparini P, Toniolo D, Camaschella C. Variation of hemoglobin levels in normal Italian populations from genetic isolates. Haematologica 2008; 93(9):1372-75. 2) Anemia in the Elderly: How Should We Define It, When Does It Matter, and What Can Be Done? D P Steensma, A Tefferi. Mayo Clin Proc. 2007;82(8):958-966. 3) Prevalence of anaemia before major joint arthroplasty and the potential impact of preoperative investigation and correction on perioperative blood transfusions. Saleh E, McClelland DB, Hay A, Semple D, Walsh TS. Br J Anaesth. 2007 Dec;99(6):801-8. 4) Barr PJ, Donnelly M, Morris K, Parker M, Cardwell C, Bailie KE. The epidemiology of red cell transfusion. Vox Sang. 2010 Jun 23. [Epub ahead of print]. 5) Culleton BF, Manns BJ, Zhang J, Tonelli M, Klarenbach S, Hemmelgarn BR. Impact of anemia on hospitalization and mortality in older adults. Blood 2006;107:3841-6. 6) Denny SD, Kuchibhatla MN, Cohen HJ. Impact of anemia on mortality, cognition, and function in community dwelling elderly. Am J Med 2006;119:327-34. 7) Penninx BW, Pahor M, Woodman RC, Guralnik JM. Anemia in old age is associated with increased mortality and hospitalization. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2006; 61:474-9. 8) Zakai NA, Katz R, Hirsch C, Shlipak MG, Chaves PH, Newman AB, et al. A prospective study of anemia status, hemoglobin concentration, and mortality in an elderly cohort: the Cardiovascular Health Study. Arch Intern Med 2005;165:2214-20. 9) Nutritional anaemias. Report of a WHO scienBIBLIOGRAFIA
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  • 14. pagina 14 Patient Blood Management inflammatory bowel disease. 29) Sullivan KM, Mei Z, Grummer-Strawn L and Parvanta I. Haemoglobin adjustments to define anaemia. Trop Med Intern Health 2008;13,10: 1267–1271. 30) Feldschuh J, Enson Y. Prediction of the normal blood volume. Relation of blood volume to body habitus. Circulation 1977; 56:605–12. 31) Valeri CR, Dennis RC, Ragno G, MacGregor H, Menzolan JO, Khuri SF. Limitations of the hematocrit level to assess the need for red blood cell transfusion in hypovolemic anemic patients. Transfusion 2006;46:365–71. 32) McNulty SE, Torjman M, Grodecki W, Marr A, Schieren H. A comparison of four bedside methods of hemoglobin assessment during cardiac surgery. Anesth Analg 1995;81:1197–202. 33) Takanishi DM, Yu M, Lurie F, Biuk-Aghai E, Yamauchi H, Chih Ho H, Chapital AD. Peripheral Blood Hematocrit in Critically Ill Surgical Patients: An Imprecise Surrogate of True Red Blood Cell Volume. Anesth Analg 2008;106:1808 –12. 34) Bentley SA, Lewis SM. The relationship between total red cell volume, plasma volume and venous haematocrit. Br J Haematol 1976;33:301–7. 35) Hurley PJ. Red cell and plasma volumes in normal adults. J Nucl Med 1975;16:46–52. 36) Lorberboym M, Rahini-Levene N, Lipszyc H, Kim CK. Analysis of red cell mass and plasma volume in patients with polycythemia. Arch Pathol Lab Med 2005;129:89–91. 37) Gore CJ, Hopkins WG, Burge CM. Errors of measurement for blood volume parameters: a meta-analysis. J Appl Physiol 2005; 99:1745- 1758. 38) Warkentin TE. Systematic underestimation of anemia severity in postoperative patients. Transfusion 2006;46:317-318. 39) Wittkowski U, Spies C, Sander M, Erb J, Feldheiser A, von Heymann C. Haemodynamic monitoring in the perioperative phase. Available systems, practical application and clinical data. Anaesthesist. 2009 Aug;58(8):764-78, 780-6. 40) Ertl AC, Diedrich A, Raj SR. Techniques used for the determination of blood volume. Am J Med Sci. 2007 Jul;334(1):32-6. 41) Gyenge CC, Bowen BD, Reed RK, Bert JL. Mathematical model of renal elimination of fluid and small ions during hyper and hypovolemic conditions. Acta Anaesthesiol Scand 2003; 47:122-137. 42) Kavouras SA. Assessing hydration status. Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 2002 Sep;5(5):519-24. 43) Fluids and electrolytes in the surgical patient. 5th Edition. C. Pestana. 2000, Lippincott Williams & Wilkins. 44) Acqua e Sale. Acidi e Basi. Casagranda I, Guariglia A, Sbroiavacca R, Tarantino M. 2004, Edizioni Medico Scientifiche. 45) Armstrong LE. Hydration Assessment Techniques. Nutr Rev 2005;63 (6): (II)S40–S54. 46) Shirreffs SM. Markers of hydration status. Eur J Clin Nutr 2003; 57 (Suppl 2):S6–S9. 47) Dufour DR. Osmometry: The Rational Basis for Use of an Underappreciated Diagnostic Tool. New York, NY: Advanced Instruments;2001. 48) Greenleaf JE, Morimoto T. Mechanisms controlling fluid ingestion: thirst and drinking. In: Buskirk ER,Puhl SM, eds. Body Fluid Balance: Exercise and Sport. Boca Raton, FL: CRC Press; 1996. 49) Armstrong LE, Soto JA, Hacker Jr FT, Casa DJ, Kavouras SA & Maresh CM (1998): Urinary indices during dehydration, exercise, and rehydration. Int. J. Sport Nutr. 8, 345 355.
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  • 16. pagina 16 Patient Blood Management
  • 17. pagina 17 Patient Blood Management Anche questi esami come i precedenti rappresentano un punto importante nella valutazione generale del paziente e soprattutto del rischio di predisposizione al sanguinamento. La valutazione basale ha lo scopo di inquadrare la funzionalità coagulativa per individuare eventuali deficit misconosciuti e provvedere al loro trattamento. Il rischio di sanguinamento rappresenta una condizione variabile ma prevedibile sulla base della analisi di condizioni come l’efficacia della funzionalità coagulativa basale e il tipo di intervento. I risultati ematochimici vengono sempre integrati da informazioni raccolte con l’anamnesi. Storie di sanguinamenti determinati anche da traumatismi minimi, epistassi frequenti, mestruazioni abbondanti e prolungate, pregressi sanguinamenti del tratto gastrointestinale, emofilia o altri disordini ematologici, epatopatie croniche, insufficienza renale, ipersplenismo sono tutte condizioni che fanno sospettare una predisposizione soggettiva al sanguinamento(1). L’assunzione di farmaci che possono interferire con l’emostasi rappresenta un’informazione importante perché richiede la loro sospensione e sostituzione secondo protocolli ormai riconosciuti dalle principali società scientifiche internazionali. Infine un esame fisico integra le informazioni raccolte evidenziando segni come petecchie, porpore o ematomi che denunciano l’esistenza di anomalie coagulative. Il Tempo di Protrombina (PT), il Tempo di Tromboplastina Parziale Attivata (aPTT) sono esami di routine preoperatoria che non definiscono il rischio di sanguinamento bensì rilevano deficit nei fattori di coagulazione. Al contrario la conta piastrinica può indirizzare verso una definizione di rischio di sanguinamento: nella cirrosi sarà bassa, nell’IRC normale ma qualitativamente poco efficace. Alterazioni della funzionalità coagulativa e aggregante Il modificarsi dei risultati di questi esami può essere determinato da patologie o da farmaci che vengono assunti regolarmente dal paziente. Esiste inoltre una terza causa che rappresenta un fenomeno ormai diffuso ed è l’assunzione di sostanze naturali omeopatiche che possono avere effetti collaterali anche consistenti. a - Coagulopatie Emofilia E’ un disordine ereditario della coagulazione rappresentato da un deficit dei fattori VIII nell’emofilia A e IX nell’emofilia B (2). Il grado di gravità clinica è correlata all’entità del deficit. Nel paziente emofilico il coagulo è fragile e subisce una fibrinolisi precoce causando facile sanguinamento, ritardo nel rimarginarsi delle ferite ed un decorso postoperatorio prolungato. La preparazione chirurgica include test di coagulazione (conta piastrinica, aggregazione piastrinica con agonisti, tempo di tromboplastina attivata parziale aPTT, tempo di protrombina PT, dosaggio dei fattori della coagulazione, test con inibitori, fibrinogeno, e test di valutazione della risposta a fattori. Caratterizzate da un PT normale e un aPTT allungato. Un programma dettagliato di rimpiazzo dei fattori deve essere definito prima dell’intervento. I fattori VIII e IX devono essere controllati rigorosamente dal primo giorno postoperatorio e mantenuti al 75-100% per 72h dopo la chirurgia e al 50% fino a completamento della guarigione. I concentrati di fattori ricombinanti o purificati vengono somministrati a dosaggi che vengono adattati alle necessità. Ogni unità di fattore concentrato incrementa il contenuto sistemico del fattore mancante del 2% pro Kg. E’ sempre opportuno richiedere il coinvolgimento di un ematologo nel seguire perioperatoriamente e preparare tali pazienti prima dell’intervento chirurgico e solitamente si preferisce indirizzare questi pazienti verso Centri di riferimento altamente specializzati per il trattamento chirurgico di questo tipo di patologie. Malattia di von Willebrand (MvW) E’ provocata da un deficit qualitativo e quantitativo del fattore VIII. Il fattore VIII ed il fattore di vW Valutazione della funzionalità coagulativa basale.
  • 18. pagina 18 Patient Blood Management sono in circolo uniti in un complesso. La MvW si esprime come forma ereditaria autosomica dominante (Tipo 1, 2a e 2b) e recessiva (tipo 3) e può manifestarsi in entrambi i sessi. Le forme di malattia clinicamente più gravi sono quasi sempre associate ad un aPTT allungato e ad un PT normale. I casi di media gravità presentano un aPTT normale. In questi casi la malattia può risultare anche ignota al paziente perché le manifestazioni cliniche possono essere minimi sanguinamenti ed ecchimosi (1,3,4). Gli esami necessari per la valutazione della MvW sono: il test per il cofattore della Ristocetina, il test per l’antigene fattore di vW ed il livello di attività del fattore VIII. Esistono varie forme di MvW con differenze qualitative e quantitative a seconda del Fattore di VW prodotto. Il riconoscimento dei vari sottotipi è importante per determinare la terapia più adeguata. La Desmopressina (DDVAP) è efficace in pazienti con Emofilia A e MvW tipo1. La desmopressina favorisce il rilascio da parte delle cellule endoteliali di Fattore VIII, fattore di vW e attivatore del Plasminogeno. Una dose ev di 0.3 μg/Kg diluita in 50 mL di soluzione salina determina un incremento dell’attività di fattore di vW 3-4 volte superiore. Questa sostanza deve essere somministrata lentamente (15-30 min) per evitare ipotensioni, rush da vasodilatazione, tachicardia e cefalea. L’obiettivo è quello di incrementare il fattore di vW a 80-100 U/dL, sostituire i fattori vW anomali ed incrementare il livello di fattore VIII. La desmopressina determina quindi un incremento dei livelli di fattore vW. La risposta al dosaggio somministrato è individuale e può essere valutata attraverso l’incremento di livello che i fattori VIII e di vW hanno subito. Tuttavia lo spray nasale rilascia in ogni narice una dose di 150 μg che è sufficiente per pazienti con MvW. La sua somministrazione non deve essere frequente (1 dose ogni 48h) perché la deplezione dei fattori dai depositi endoteliali può causare tachifilassi. L’Acido-aminocaproico (4 g per os ogni 4 h) o l’acido tranexamico (1.5 g per os ogni 8 h) dovrebbero essere somministrati per contrastare il rilascio di attivatore del plasminogeno indotto dalla desmopressina (1,3,4). Se viene somministrato crioprecipitato, la risposta deve essere controllata misurando il livello di attività del cofattore alla ristocetina. Lo scopo è di aumentare il livello di attività del cofattore della ristocetina a più del 50%. Il trattamento deve essere ripetuto ogni 12 h finchè viene controllato il sanguinamento. Molti concentrati del fattore VIII non sono efficaci nella MvW perché non contengono fattore vW. La somministrazione di desmopressina può essere pericolosa nei pazienti affetti da MvW tipo 2b perché un aumento di fattore anomalo vW può favorire un aumentato legame di piastrine al coagulo che provoca un loro consumo con conseguente trombocitopenia. In questi casi i fattori anomali di vW possono essere sostituiti da fattori normali somministrando crioprecipitati o concentrati di fattore VIII che contengano fattori di vW. L’antifibrinolitico acido -aminocaproico può essere utilizzato soprattutto in circostanze in cui ci si attende una fibrinolisi locale come nelle estrazioni dentarie. Trombocitopenia Quando la conta piastrinica ha un valore <150.000/mm3 si parla di trombocitopenia. Le cause possono essere legate ad una ridotta produzione, ad un sequestro o ad una aumentata distruzione, quelle su base ereditaria sono piuttosto rare. Con un numero di piastrine superiore a 50.000/ mm3 non vi è controindicazione all’intervento chirurgico. Tecniche loco-regionali che prevedono punture rachidee sono controindicate per valori inferiori a 100.000/mm3. Il rischio di sanguinamento tende ad aumentare quando ad una condizione di trombocitopenia si associano condizioni di anemia, febbre, infezioni o difetti di funzionalità piastrinica. Nei disordini da consumo piastrinico causato da farmaci, la loro sospensione dovrebbe riportare a condizioni di normalità in 5-10 giorni. Se la trombocitopenia è determinata da coagulazione intravascolare disseminata (CID) il trattamento dovrebbe essere diretto alla cura
  • 19. pagina 19 Patient Blood Management della malattia scatenante. La purpura trombocitopenica idiopatica negli adulti solitamente è una forma cronica con decorso insidioso (5). E’ caratterizzata da una conta piastrinica ridotta causata da aumentata distruzione periferica associata a diminuita produzione piastrinica. Autoanticorpi che sono prodotti contro le piastrine e probabilmente contro i megacariociti determina la fagocitosi delle piastrine. La diagnosi è basata su criteri clinici perché lo studio degli anticorpi piastrinici e aspirato osseo sono di incerto valore. Il trattamento della purpura trombocitopenica idiopatica cronica non è curativo ma di supporto ed è diretto verso l’inattivazione o rimozione delle sedi di maggior distruzione delle piastrine e della produzione di anticorpi anti-piastrine. I corticosteroidi prevengono il sequestro splenico dei complessi piastrina-anticorpo e probabilmente inibiscono la produzione di anticorpi. Immunoglobuline e.v. e trasfusioni piastriniche vengono utilizzate per il trattamento di situazioni d’urgenza. Le forme di trombocitopenia indotta da eparina solitamente insorgono 5-10 giorni dopo l’inizio della terapia eparinica ma in 1/3 dei casi si manifestano entro le 24h. Tra le complicanze associate alla comparsa della malattia si segnalano trombosi arteriosa, trombosi venosa profonda, trombo embolia polmonare e cerebrale e trombosi delle fistole arterovenose. Circa il 50% dei pazienti con questa patologia avrà una trombosi entro un mese. Le trombosi arteriose sono più comuni nei pazienti con patologie cardiovascolari già note (stroke, infarto miocardico). I rischi legati all’insorgenza di questa malattia, che può dar luogo a gravi conseguenze se non diagnosticata o sottovalutata, dipendono dal tipo di eparina e dalle caratteristiche del paziente. Il rischio di morte può superare il 30% e le complicanze ischemiche determinano in circa il10-20% dei casi l’amputazione di un arto. Il trattamento della malattia prevede l’interruzione immediata della terapia eparinica e l’utilizzo di anticoagulanti eparinoidi o inibitori della trombina. Da evitare la somministrazione di eparine a basso peso molecolare se esiste il sospetto di trombocitopenia eparina-indotta (6,7). b - Assunzione di farmaci Molti studi sono stati effettuati sul comportamento che deve essere tenuto in preparazione degli interventi programmati e al trattamento che deve essere riservato a quelli che richiedono interventi d’urgenza. Nel primo caso numerosi protocolli sono stati emessi dalle varie società sia chirurgiche che anestesiologiche. L’introduzione di nuovi farmaci con caratteristiche differenti crea tuttavia la necessità di una continua revisione. Aspirina (acido Acetilsalicilico): inibisce la ciclossigenasi- 1 e interferisce con la sintesi delle prostaglandine. Inibisce in modo irreversibile la funzione delle piastrine ed il suo effetto persiste per 7-10 giorni, periodo che approssimativamente corrisponde alla loro vita media. Se il rischio di sanguinamento supera i benefici della sua somministrazione deve essere sospesa prima dell’intervento (8). Se invece la chirurgia è minimamente invasiva ed è possibile adottare anestesia locale topica o anestesia generale non deve essere sospesa. L’aspirina è ampiamente utilizzata nei pazienti con cardiopatia ischemica soprattutto dopo impianto di stent coronarico: benchè in uso da molti anni, l’evidenza della sua efficacia nel periodo perioperatorio è piuttosto limitata. Nella chirurgia carotidea la sua assunzione ha dimostrato efficacia nella prevenzione perioperatoria di stroke senza influenzare la mortalità o l’incidenza di ischemia o infarto miocardico (9). L’uso dell’aspirina in chirurgia vascolare si associa a una riduzione della mortalità e dell’insorgenza di eventi vascolari gravi (10). Quello che spesso influenza la decisione di sospenderne l’assunzione è il timore di emorragia legata al suo effetto antiaggregante. Effettivamente nei pazienti in cui la terapia con aspirina non viene sospesa il rischio di sanguinamento aumenta di circa 1,5 volte, anche se in realtà questo non induce complicanze severe (11). Invece la sospensione
  • 20. pagina 20 Patient Blood Management di aspirina in soggetti cardiopatici è associata ad un incremento di circa tre volte il rischio di eventi cardiaci maggiori (12). L’indicazione è pertanto quella di sospendere l’aspirina solo se il rischio di sanguinamento supera quello del beneficio cardiaco, sulla base di una valutazione rischio- beneficio individuale. Ticlopidina e clopidogrel: sono derivati della Tienopiridina e richiedono una trasformazione epatica per poter essere convertiti nei metaboliti attivi. Disattivano irreversibilmente il recettore piastrinico P2Y12 per ADP, uno dei due recettori che sono presenti nella membrana piastrinica la cui azione combinata è necessaria per una completa attivazione e aggregazione allo stimolo dell’ADP. Entrambi questi farmaci inibiscono la funzione piastrinica e devono essere interrotti 7-10 giorni prima della chirurgia. Dipiridamolo: è un derivato della pirimidopirimidina, ha proprietà antipiastriniche e vasodilatative, e viene spesso impiegato con aspirina. Questa formulazione è indicata per la prevenzione secondaria dello stroke in pazienti con patologie cerebrovascolari. Il dipiridamolo ha un effetto reversibile sulla funzione piastrinica ed ha un tempo di eliminazione medio di circa 10 ore. Tuttavia quando è associato con aspirina la sospensione della terapia deve avvenire 7-10 giorni prima della chirurgia elettiva per eliminare l’effetto antipiastrinico. Farmaci antiinfiammatori non steroidei(FANS): inibiscono reversibilmente la ciclo ossigenasi piastrinica influenzando la funzione piastrinica. Possono influenzare la sintesi renale delle prostaglandine e possono potenzialmente indurre insufficienza renale ed ipotensione se associati ad altri farmaci. Gli inibitori-COX-2 hanno minor effetto sulla funzionalità piastrinica. Studi in vitro non hanno evidenziato incrementi di rischio di sanguinamento con gli agenti COX-2. Tuttavia è raccomandata la sospensione dei FANS almeno 3 giorni prima della chirurgia. Per essere sicuri che non vi siano più effetti antipiastrinici residui al momento della chirurgia, è consigliato sospendere la loro somministrazione in un tempo che corrisponde a 5 volte il loro tempo di eliminazione: i FANS con tempi di eliminazione breve (2-4h: ibuprofene, diclofenac, ketoprofene e indometacina), dovrebbero essere sospesi 2 giorni prima; i FANS con tempi di eliminazione intermedia (7- 15h: naproxene, sulindac, diflunisal) 3-4 giorni prima; infine i FANS con tempi di eliminazione lunghi (melodica, nabumetone e piroxicam), dovrebbero essere sospesi 10 giorni prima. Warfarina: inibisce i fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti (II,VII,IX e X). Richiede un monitoraggio frequente con INR (international normalized ratio) avendo un indice terapeutico estremamente ristretto. È un farmaco che deve essere sospeso in previsione di certi interventi chirurgici ma nelle procedure minori la sua assunzione può continuare senza essere interrotta o modificata. In caso di sospensione l’INR è l’indicatore dell’adeguatezza delle condizioni coagulative all’intervento: un valore <1,5 garantisce sicurezza in termini di sanguinamento e con valori >1,5 è consigliato posticipare l’intervento. Per le procedure neurochirurgiche, cardiochirurgiche ed alcuni interventi in chirurgie non cardiache maggiori si preferisce raggiungere INR <1,2. Nei pazienti anziani può essere necessario più tempo per raggiungere un INR <1,5. Quando la Warfarina è sospesa mette i pazienti a rischio di tromboembolia. Il conoscere le cause che hanno determinato l’assunzione preoperatoria di warfarina aiuta nella scelta del trattamento sostitutivo perioperatorio. Pazienti in fibrillazione atriale (FA), portatori di valvole cardiache meccaniche, di valvole biologiche o sottoposti a plastica mitralica nei primi tre mesi dall’intervento o anche affetti da un recente episodio di tromboembolia venosa (tre mesi precedenti) e trombofilia sono considerati ad alto rischio tromboembolico. Nei pazienti con storia di tromboembolia venosa, il tempo trascorso dall’ultimo episodio trombotico è il più importante fattore di rischio di recidiva con
  • 21. pagina 21 Patient Blood Management la sospensione della warfarina. Il rischio è maggiore nei primi 3 mesi. La media annua di stroke in pazienti in FA non trattati è del 4-5%. Mentre dalla presenza delle seguenti condizioni di rischi dipende una media annua di stroke compresa tra 1-10%. Pazienti con 3 o più fattori di rischio (insufficienza cardiaca congestizia, cardiopatia reumatica, pregresso stroke tromboembolico o attacco ischemico transitorio, età maggiore 75 anni, diabete, ipertensione scarsamente controllata), sono altamente esposti a tromboembolismo da FA e gioverebbero dello scambio di farmaci anticoagulanti con eparina per ridurre il rischio perioperatorio di tromboembolia. Nei pazienti portatori di valvole meccaniche il rischio di stroke è generalmente più alto di quelli in FA durante il periodo di sospensione della terapia. I pazienti con sostituzione di valvola mitralica, con valvole meccaniche di vecchio tipo o con più valvole sostituite hanno un rischio più alto di quelli portatori di modelli di valvole più recenti e godono di un effetto positivo con la terapia sostitutiva. I pazienti con rischio tromboembolico medio alto sono sottoposti a terapia sostitutiva, quelli a rischio più basso possono anche non riceverla. In base ad una stima del rischio tromboembolico del paziente possono essere utilizzate come ponte per l’anticoagulazione sia Eparine non frazionate (UFH) che eparine a basso peso molecolare (LMWH) per sostituire la warfarina durante il periodo di sospensione (13-15). Nei pazienti portatori di valvole cardiache meccaniche l’evidenza offerta dalla somministrazione ev di UFH consiglia di procedere con questa terapia. Il protocollo in questi casi prevede ricovero e somministrazione di UFH in infusione continua fino a 4 ore prima dell’intervento. L’INR richiede ulteriore controllo prima dell’intervento per confermare un valore di adeguatezza. L’uso dell’UFH richiede un’ospedalizzazione preoperatoria almeno di due giorni. Il trattamento prevede la somministrazione di un bolo iniziale di 80 U/Kg seguito da un’infusione ev continua di 18 U/Kg che può essere corretta ogni 6h sulla base di aPTT di 60-80 sec. L’infusione continua di eparina dovrebbe essere interrotta almeno 4 h prima dell’intervento o 6h prima nei pazienti con insufficienza renale (16). Lo stesso trattamento verrà ripreso dopo l’intervento fino a raggiungere un range terapeutico con l’INR (14). La prevedibilità farmacocinetica e la biodisponibilità delle LMWH per via sottocutanea permette il loro impiego anche a livello domiciliare evitandone l’ospedalizzazione (delteparina 120U/Kg q12h o 200U/Kg q24h, o enoxiparina 1 mg/Kg sc q12h o 1,5 mg/Kg sc q24h). Nei pz con clearance della creatinina < 30 mLMin è preferibile utilizzare UFH o enoxiparina 1 mg/Kg sc q24h se è richiesta una dose piena di LMWH o 30 mg sc q24h se è richiesta dose profilattica di LMWH. L’ultima dose di LMWH dovrebbe essere somministrata almeno 12 ore prima dell’intervento (17). LMWH o UFH verranno riavviati almeno 12 ore dopo l’intervento e gli anticoagulanti orali dovrebbero essere riavviati il secondo giorno dopo l’intervento a seconda delle condizioni emostatiche (se il paziente può assumere farmaci per os) allo stesso dosaggio preoperatorio più una dose aggiuntiva pari al 50% per due giorni consecutivi; la dose di mantenimento sia di LMWH o di UFH dovrebbe continuare ad essere somministrata finchè l’INR torna a livelli terapeutici. Nei pazienti sottoposti a terapia con antagonisti della vitamina K (VKAs) che richiedono una conversione dell’effetto anticoagulante per un intervento chirurgico urgente è raccomandata la somministrazione di una dose di vitamina K. Per via endovenosa il suo effetto inizia dopo circa 15 min e raggiunge un picco in 4-8 ore. In caso di interventi chirurgici che devono essere eseguiti entro 24h si può somministrare vitamina K endovenosa a piccole dosi di 1-2 mg. Se l’intervento non è programmato nelle 24h la stessa dose può essere assunta per os. Per una conversione più rapida dell’effetto anticoagulante del VKAs è raccomandata la somministrazione di plasma fresco o altro tipo di concentrato protrombinico in aggiunta ad un basso dosaggio ev od orale di vitamina K. Nei pazienti a cui è stato somministrato UFH e che richiedono una rapida conversione dell’ef
  • 22. pagina 22 Patient Blood Management fetto anticoagulante per un’intervento chirurgico urgente, la sospensione della terapia dovrebbe essere sufficiente. Quando si preferisce utilizzare l’alternativa delle eparine frazionate, l’effetto dell’anticoagulante raggiunge il suo steady state entro 4-6 ore d’infusione continua. Alla sospensione dell’infusione, la coagulazione dovrebbe ritornare a livelli di normalità dopo circa 4 ore. Quando UFH viene dato per via sc l’effetto anticoagulante risulta prolungato. Per ottenere una immediata risoluzione dell’effetto l’antidoto è la protamina solfato. Questa sostanza può potenzialmente provocare reazioni anafilattiche con shock cardiovascolare specialmente se somministrata troppo rapidamente. La dose di solfato di protamina può essere calcolata valutando la quantità di eparina ricevuta nelle 2 ore precedenti. La dose di protamina per antagonizzare l’infusione di eparina è di 1 mg ogni 100 UI di eparina somministrata. Se l’infusione di eparina viene sospesa per un tempo compreso tra 30 e 120 minuti allora la dose di protamina necessaria equivale alla metà; se l’infusione di eparina viene sospesa per un tempo compreso tra le 2 e le 4 ore, sarà sufficiente un quarto di dose di protamina. La dose massima di protamina è 50 mg. Nei pazienti che stanno ricevendo LMWH l’effetto anticoagulante può essere antagonizzato entro 8 ore dall’ultima dose a causa della sua emivita breve. Se viene richiesta una conversione immediata può essere utilizzata protamina solfato ma l’azione anti Xa non viene mai completamente neutralizzata (al massimo per il 60-75%). Ricombinante attivato del fattore VIII (NovoSeven): può essere utile in caso d’intervento d’urgenza per evitare la trasfusione di emoderivati per annullare l’effetto della warfarina, però i dati attualmente sono pochi ed il costo del farmaco è molto elevato. Agenti antipiastrinici La terapia cronica con aspirina sia come prevenzione primaria che secondaria per la malattia aterosclerotica è diventata una pratica ormai comune. Si raccomanda aspirina per la prevenzione primaria in pazienti considerati a rischio aumentato per lo sviluppo di CAD. Le linee guida dell’AHA/ ACC per la prevenzione secondaria nei pazienti con patologia coronarica e altre patologie vascolari aterosclerotiche raccomandano terapia con aspirina da 75 a 162 mg (18). Tradizionalmente l’aspirina viene sospesa almeno 5 giorni prima della chirurgia elettiva per ridurre il rischio di sanguinamento perioperatorio. Recentemente, venendo maggiormente apprezzato il ruolo protettivo della terapia antiaggregante, l’abitudine della sospensione preoperatoria dell’aspirina è stato discusso. Casi riportati di complicanze cardiovascolari dopo la sospensione preoperatoria dell’aspirina e dati sperimentali suggeriscono un effetto di aumentata attività piastrinica determinata da una interruzione improvvisa dopo assunzione cronica. Una meta-analisi che valuta i rischi cardiovascolari perioperatori dell’interruzione dell’aspirina rispetto ai rischi di complicanze da sanguinamento dovuti ad una sua continuazione è stata pubblicata nel 2005 (19). Studi retrospettivi hanno evidenziato che la sospensione dell’aspirina precede il 10,2% di tutti gli eventi cardiovascolari acuti. Gli eventi coronarici acuti avvengono 8.5±3.6 giorni dopo la sospensione dell’aspirina. In 41 studi su un totale di 14,981 pz in cui si valutava il sanguinamento perioperatorio, nei pazienti che assumevano aspirina, l’incidenza di sanguinamento si incrementava di 1,5 volte, ma con una entità sovrapponibile, tranne nella chirurgia intracranica e nelle resezioni transuretrali di prostata. Nel 2002 la Societé Francaise de Anesthesiologié e Reanimation (SFAR) ha pubblicato delle raccomandazioni relative all’argomento (20) affermando che l’aspirina aumenta moderatamente il rischio di sanguinamento ma non le trasfusioni. Questa dichiarazione allertava sulla tendenza di sospendere l’aspirina soprattutto nei pazienti vascolari per l’aumentato rischio di incidenza di complicanze cardiovascolari. Se la sospensione di aspiri
  • 23. pagina 23 Patient Blood Management na viene considerata necessaria, deve essere riassunta il più presto possibile, preferibilmente entro 6 h dalla fine della chirurgia. L’American College of Chest Physicians ha raccomandato aspirina preoperatoria per pazienti che devono essere sottoposti a endoarterectomia carotidea e bypass femoro-popliteo (21). La letteratura è limitata riguardo la somministrazione perioperatoria di altri antiaggreganti come le tienopiridine, clopidogrel e ticlopidina, o glicoproteine inibitori IIb/IIIa. Indagini come aggregometria e TEG assumono più che mai importanza nella valutazione preoperatoria delle condizioni dei pazienti programmati e urgenti, per definire un eventuale rinvio dell’intervento o impostare trattamenti mirati alla risoluzione dell’alterazione coagulativa. Altri farmaci con effetto secondario sulla funzione coagulante: esistono farmaci che vengono assunti dal paziente per risolvere patologie estranee alla funzionalità coagulativa ma che possono direttamente o indirettamente influenzarla. Conoscere gli effetti di tali farmaci è importante in quanto consente, se possibile, di sospenderli o, se non possibile, di prevenire il rischio emorragico. Somministrazione cronica di anticonvulsivanti (fenintoina e carbamazepina) può influenzare negativamente la coagulazione. Condizioni di malnutrizione soprattutto nei pazienti anziani possono esporre a deficit di alcuni fattori nutritivi importanti, tra questi la vitamina K la cui carenza predispone ad un contenuto ridotto di fattori della coagulazione vit K-dipendenti che comporta una disfunzione cronica della coagulazione. Entrambe queste situazioni se individuate per tempo possono essere risolte con la somministrazione di vit K per os. Molti pazienti affetti da patologie dolorose assumono farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) cronicamente. Abbiamo già segnalato che l’acido acetilsalicilico inibisce irreversibilmente la ciclo-ossigenasi e la funzione piastrinica, mentre i FANS la inibiscono in modo reversibile a seconda della loro concentrazione plasmatica e delle caratteristiche del farmaco assunto. In genere la sospensione della terapia da 2 a 5 giorni prima della chirurgia riporta ad una funzione piastrinica normale. c - Medicamenti e sostanze omeopatiche L’uso di fitofarmaci e prodotti omeopatici a scopo terapeutico si sta diffondendo sempre più e spesso l’assunzione avviene senza alcun controllo medico. Tutte queste sostanze vengono classificate come supplementi dietetici e non sono trattate come farmaci (22). Nell’assumere una sostanza omeopatica si conosce l’effetto desiderato mentre talora si ignorano gli effetti collaterali anche svantaggiosi. Tra questi vi è quello sulle capacità coagulative (23). Sostanze come la camomilla, aglio, zenzero, ginko ed ginseng possono aumentare la propensione al sanguinamento perché possiedono un potere inibente sulla funzione piastrinica oppure mostrano una rilevante interazione clinica con gli anticoagulanti orali o l’acido acetilsalicilico. La camomilla inibisce l’aggregazione piastrinica (24). In particolare l’aglio contiene allicina che ha un effetto dose-dipendente sull’aggregazione piastrinica e aumenta l’attività fibrinolitica e il tempo di formazione del trombo (22,25). L’aglio ha questi effetti dopo una dose di circa 800 mg/d e un’assunzione > 2 settimane. Nei pazienti che hanno assunto pillole all’aglio è descritto un rischio di sanguinamento più elevato (26,27). Un altro composto dell’aglio, l’ajoene, sembra possedere un effetto sinergico con l’azione antiaggregante delle prostacicline, indometacina e dipiridamolo (28). Il ginko è un PAF-antagonista (Platelet activating factor) con effetto profibrinolitico( 29). Il ginseng inibisce l’aggregazione piastrinica in vitro (30), il mirtillo rosso porta ad un rafforzamento dell’effetto di antagonista della vitamina K (31). Pertanto durante il colloquio con il paziente è bene chiarire se si assumono regolarmente sostanze come quelle appena riportate (32,33).
  • 24. pagina 24 Patient Blood Management 1) Eckman MH, Erban JK, Sing SK et al. Screening for the risk for bleeding or thrombosis. Ann Intern Med 2003; 138: W15-24. 2) Ingerslev J, Hvid I. Surgery in hemophilia. The general view: patient selection, timing and preoperative assessment. Semin Hematol, 2006; 43 (suppl 1): S23-26. 3) Michiels JJ, Gadisseur A,Budde U, et al. Characterization, classification and treatment of von Willebrand diseases: a critical appraisal of the literature and personal experiences. Semin Thromb Hemost. 2005;31:577-601. 4) Mannucci PM. Treatment of von Willebrand’s Disease. N Engl J Med. 2004;351:683-694. 5) Cines DB, Blanchette VS. Immune thrombocytopenic purpura. N Engl J Med 2002; 346: 995- 1008. 6) Bartholomew JR, Begelman SM, Almahameed A. Heparine-induced thrombocytopenia: principles of early recognition and management. Cleve Clin J Med 2005; (Suppl 1): S31-36. 7) Warkentin TE, Kelton JG. Temporal aspects of heparin-induced thrombocytopenia. N Engl J Med 2001; 344: 1286-92. 8) Lecompte T, Hardy JF. Antiplatelets agents and perioperative bleeding. Can J Anaesth 2006; (Suppl): S103-112. 9) Lindblad B, Persson NH, Takolander R, Bergqvist D. Does low-dose acetylsalicylic acid prevent stroke after carotid surgery? A double- blind, placebo-controlled randomized trial. Stroke 1993; 24:1125–1128. 10) Robless P, Mikhailidis DP, Stansby G. Systematic review of antiplatelet therapy for the prevention of myocardial infarction, stroke or vascular death in patients with peripheral vascular disease. Br J Surg 200; 88:787–800. 11) Burger W, Chemnitius JM, Kneissl GD, Rucker G. Low-dose aspirin for secondary cardiovascular prevention—cardiovascular risks after its perioperative withdrawal versus bleeding risks with its continuation— review and meta-analysis. J Intern Med 2005; 257:399–414. 12) Biondi-Zoccai GG, Lotrionte M, Agostoni P, Abbate A, Fusaro M, Burzotta F, Testa L, Sheiban I, Sangiorgi G. A systematic review and meta- analysis on the hazards of discontinuing or not adhering to aspirin among 50,279 patients at risk for coronary artery disease. Eur Heart J 2006; 27:2667– 2674. 13) Douketis JD, Johnson JA, Turpie AG. Low- molecular-weight heparin as bridging anticoagulation during interruption of warfarin: assessment of a standardized periprocedural anticoagulation regimen. Arch Intern Med 2004; 164:1319– 1326. 14) Vahanian A, Baumgartner H, Bax J, Butchart E, Dion R, Filippatos G, Flachskampf F, Hall R, Iung B, Kasprzak J, Nataf P, Tornos P, Torracca L, Wenink A. Guidelines on the management of valvular heart disease: the Task Force on the Management of Valvular Heart Disease of the European Society of Cardiology. Eur Heart J 2007; 28:230–268. 15) De Caterina R, Husted S, Wallentin L, Agnelli G, Bachmann F, Baigent C, Jespersen J, Kristensen SD, Montalescot G, Siegbahn A, Verheugt FW, Weitz J. Anticoagulants in heart disease: current status and perspectives. Eur Heart J 2007; 28:880–913. 16) Pengo V, Cucchini U, Denas G, Erba N, Guazzaloca G, La Rosa L, De Micheli V, Testa S, Frontoni R, Prisco D, Nante G, Iliceto S, for the Italian Federation of Centers for the Diagnosis of Thrombosis and Management of Antithrombotic T. Standardized low-molecular-weight heparin bridging regimen in outpatients on oral anticoagulants undergoing invasive procedure or surgery. an inception cohort management study. Circulation 2009; 119:2920–2927. 17) Jaffer AK, Brotman DJ, Chukurmerijee N. When patients on warfarin need surgery. Cleve Clin J Med 2003. BIBLIOGRAFIA
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  • 26. pagina 26 Patient Blood Management
  • 27. pagina 27 Patient Blood Management Valutazione clinica generale del paziente L’inquadramento clinico di un paziente ha lo scopo di identificare la presenza e l’entità di eventuali patologie. Consente di definire il livello di compromissione funzionale prevedendo il rischio di difficoltà soggettiva nel recupero di una condizione di normalità o il rischio d’insorgenza di complicanze nel decorso postoperatorio. Nel caso di interventi particolarmente invasivi e traumatizzanti il rischio di sanguinamento espone il paziente ad anemizzazione. In questo caso l’inquadramento clinico può aiutare il medico nell’individuare il margine di tolleranza del paziente nei confronti dell’anemia. Abbiamo già visto come l’anemia sia un fattore estremamente difficile da definire soprattutto per la sua variabilità legata ad una serie di fattori ambientali e genetici. Questo comporta due conseguenze: la difficoltà nell’indicare i margini di normalità e quindi il riconoscimento dello stato di anemia, ma soprattutto dimostra quanto i parametri Hb o Ht non siano sufficienti come riferimento nell’indicare la necessità di trasfusione. L’anemia è un segno clinico che deve indurre il curante ad individuarne le cause e la decisione trasfusionale deve essere presa nel momento in cui l’anemia acquista un significato funzionale. L’ossigeno rappresenta il componente fondamentale che garantisce la massima resa energetica per il corretto funzionamento dei processi aerobici coinvolti in tutti i meccanismi cellulari. L’emoglobina è il mezzo che lega l’ossigeno e lo trasporta alle cellule dei tessuti periferici. L’entità del trasporto di Ossigeno (DO2) ha come fattori determinanti l’emoglobina, il volume ematico in cui è disciolta, i vasi del circolo artero-venoso e la forza propulsiva impressa dal cuore sulla massa ematica che garantisce la sua distribuzione ai tessuti attraverso il circolo (1-10). Tutti questi fattori rappresentano un impegnativo sistema la cui funzione vitale può essere assicurata dal compenso reciproco. Quando un fattore risulta carente, entro certi limiti può essere compensato dagli altri per garantire comunque la conservazione della funzione del sistema. Nell’anemia il ridotto trasporto di O2 viene garantito nonostante il ridotto contenuto di emoglobina, ma questa capacità dipende dal grado di buon funzionamento degli organi preposti al compenso. Pertanto la tolleranza ad un livello di anemia dipende dal grado di integrità funzionale dei fattori di compenso (11-14) ed è una caratteristica soggettiva che dipende dallo stato di benessere ed è prevedibile nel momento in cui le condizioni cliniche del paziente sono note. Superando la capacità di tolleranza si ha il raggiungimento della cosiddetta soglia trasfusionale e insorge una condizione di ipossia tissutale. Patologie a carico del sistema cardiocircolatorio e respiratorio oppure condizioni che implicano un’aumentato consumo di O2 rappresentano alterazioni dell’equilibrio fisiologico tra apporto di ossigeno e suo utilizzo: 1) un ridotto incremento dell’output cardiaco per ipovolemia, coronaropatie valvulopatie cardiache, cardiopatie congestizie, assunzione di farmaci inotropi negativi. Livelli di compromissione cardiaca segnalano un basso grado di tolleranza e quindi il rischio che l’anemia diventi sintomatica a livelli che in condizioni benessere verrebbero agevolmente tollerati. 2) un alterata funzione di scambio dei gas con la ventilazione per broncopneumopatia cronica ostruttiva e sindrome da distress respiratorio acuto. In questo caso si riduce la capacità di assumere Ossigeno dall’ambiente e pertanto lo stesso legame con l’emoglobina ed il suo trasporto nel circolo risulteranno ridotti. 3) un incremento del consumo di ossigeno per febbre, dolore, stress e sepsi. In questo caso l’aumentato consumo determina una richiesta aumentata. Interazioni tra processi fisiopatologici e anemia Le condizioni appena riportate possono limitare I meccanismi compensatori di trasporto dell’O2 rendendo i pazienti più vulnerabili agli effetti dell’anemia (15,16,17). Il miocardio consuma dal 60% al 75% di tutto l’O2 distribuito al circolo coronarico (18-24). Un aumentata richiesta di O2 può essere soddisfatta solo aumentando il flusso
  • 28. pagina 28 Patient Blood Management ematico diretto a questo distretto (24). La perfusione del ventricolo sinistro avviene nella diastole ed ogni situazione che determina accorciamento di questa fase (tachicardia) riduce il flusso coronarico o meglio il tempo di perfusione coronarica. A coronarie indenni il miocardio non riporta conseguenze se esposto ad anemizzazione normovolemica con livelli di Hb a 7 g/L (25-32). Invece in presenza di coronaropatie di grado medio-alto l’insorgenza di disfunzione miocardica ed ischemia può comparire anche con valori superiori di Hb (33-41). Nella cardiopatia ischemica e nelle valvulopatie (35) viene riferito un significativo incremento della morbidità e mortalità probabilmente a causa dell’incapacità di sviluppare in maniera adeguata tutti i meccanismi compensatori legati alla gittata cardiaca. Pertanto il cuore come organo maggiormente coinvolto nei sistemi di compenso verso le condizioni di anemia risulta poco salvaguardato nel momento in cui l’anemia dovesse aggravarsi. Per ottenere la maggior efficacia di compenso cardiaco in una forma anemica sarà opportuno evitare risposte tachicardiche legate a condizioni di ipovolemia. Un cuore già compromesso risulta molto poco tollerante nei confronti di un’anemizzazione esponendosi ad un elevato rischio di peggiorare la propria condizione. A livello cerebrale il circolo di Willis offre una maggior possibilità di aumentare l’apporto di O2 attraverso un incremento del flusso ematico: sono stati osservati incrementi tra 50% e 500% del valore basale in studi di laboratorio (42-47) e su umani (48). Questa proprietà favorevole in caso di anemizzazione è soprattutto garantita dall’intervento del cuore che aumenta la propria gittata. A questo si deve aggiungere un miglioramento delle condizioni di flusso legate alla riduzione della viscosità per diluizione (44-49) tanto che l’emodiluizione è stata valutata come terapia nello stroke ischemico acuto (45,47, 49-57). Infine in caso di ridotta DO2, il tessuto cerebrale è in grado di aumentare la quantità di O2 estratta dal sangue. Le malattie cerebrovascolari non sembrano predisporre il paziente anemico a conseguenze significative. Anemia con emoglobina a 50-60 g/L si associa ad un lieve ma significativo difetto della funzione cognitiva che può essere risolto con trasfusione di sangue o anche ossigenoterapia. Naturalmente il grado di anemia tollerato dipende dal livello di integrità del circolo e del tessuto cerebrale (58,59). In condizioni di anemia normovolemica si attiva un meccanismo compensatorio di deviazione della gittata cardiaca verso circoli preferenziali diretti agli organi più nobili cuore e cervello. Questo determina una riduzione o esclusione del flusso diretto verso altri organi come il rene e l’intestino. Pazienti affetti da patologie critiche in questi distretti possono essere influenzati negativamente da questa ridistribuzione (60-63).
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  • 33. pagina 33 Patient Blood Management III - ASPETTI FISIOPATOLOGICI DELL’ANEMIA Trasporto dell’ossigeno L’emoglobina è una molecola complessa formata da 4 globine, ciascuna unita ad un anello eme contenente ferro al quale può legarsi l’ossigeno. L’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno rappresenta la sua capacità a trasportarlo in circolo e può essere rappresentata graficamente da una curva sinusoidale determinata dal rapporto tra la saturazione dell’emoglobina (%satO2Hb) e la pressione parziale dell’ossigeno (pO2). Questa relazione, nota come curva di dissociazione dell’ossiemoglobina, offre un efficiente carico ad alta concentrazione di O2 nel polmone ed un altrettanto efficiente rilascio nei tessuti a valori di O2 bassi (Fig.2). Fig.2 - Curva di dissociazione dell’ossiemoglobina L’affinità dell’emoglobina a legare ossigeno può essere modificata da varie condizioni e riveste un ruolo importante nella risposta compensatoria all’anemia (1-5). La quantità di ossigeno trasportata (DO2), all’intero organismo o ad uno specifico organo, è il prodotto del flusso di sangue e del contenuto arterioso di O2. Per l’intero organismo la DO2 è data dal prodotto del flusso ematico totale o gittata cardiaca (CO) per il contenuto arterioso di O2 (CaO2). DO2 = CO x CaO2 Quando si respira aria ambiente in condizioni di normalità, l’ossigeno viene trasportato nel sangue prevalentemente legato all’emoglobina e una piccola quota viene veicolata disciolta nel plasma in una quantità direttamente proporzionale alla pressione parziale dell’ossigeno. Questa può essere calcolata moltiplicando la pO2 per una costante K (= 0,003) definita coefficiente di solubilità. Il contenuto arterioso di O2 può essere calcolato con buona approssimazione dalla quantità legata all’emoglobina: CaO2 (ml/L) = %SatO2 x 1,39 (ml/g) x [Hb] (g/L) Se si sostituisce CaO2 da quest’ultima relazione in quella precedente si ottiene: DO2= CO x (%SatO2 x 1,39 x [Hb]) In cui CO è la gittata cardiaca in L/min, la %SatO2 è la % saturazione di emoglobina con O2, [Hb] è la concentrazione di emoglobina in g/L e 1,39 è la costante di legame dell’emoglobina (1g di Hb a saturazione completa lega 1.39 mL di O2). La gittata cardiaca, misura del flusso ematico all’intero organismo, rappresenta l’altro fattore determinante della DO2. La gittata cardiaca si ottiene moltiplicando la gittata sistolica definita in L (volume di fine di diastole - volume di fine sistole) e la frequenza cardiaca definita in battiti al minuto. La gittata cardiaca è influenzata dal precarico (volume di fine diastole), dal postcarico (pressione arteriosa e resistenza incontrata ad ogni sistole), e dalla contrattilità (la forza prodotta ad ogni contrazione). Il lavoro cardiaco (energia consumata dal cuore) è direttamente proporzionale alla frequenza cardiaca, al  pressorio tra pressione arteriosa e pressione del ventricolo sinistro, e alla frazione di eiezione (volume) durante un ciclo cardiaco (6-11). Per una data pressione arteriosa, un aumento della gittata cardiaca aumenterà Il consumo di O2 miocardico oppure, per una data gittata cardiaca il consumo di O2 aumenterà con l’aumentare della pressione arteriosa.
  • 34. pagina 34 Patient Blood Management Si ha ipossia o anossia tissutale se il trasporto di ossigeno non è adeguato alle necessità metaboliche dei tessuti. Dalla prima e dalla terza equazione è possibile capire come l’ipossia tissutale possa essere determinata dai tre fattori coinvolti: una riduzione del trasporto di ossigeno provocato da una riduzione della concentrazione di emoglobina (ipossia anemica), della gittata cardiaca (ipossia congestizia) o della saturazione di emoglobina (ipossia ipossica). Ciascuno dei fattori coinvolti nella determinazione della DO2 rappresenta una sostanziale riserva fisiologica che consente al corpo umano di adattarsi a significativi incrementi delle richieste di O2 o a riduzione di anche uno solo dei fattori determinanti della DO2 come effetto di varie patologie. In condizioni di benessere la quantità di O2 trasportata ai tessuti eccede di 2-4 volte le reali esigenze di O2 a riposo. Con una Hb di 150 g/L, una satO2 99% e una gittata cardiaca di 5 L/min, la DO2 sarà di 1.032 mL/min. A riposo, la quantità di O2 richiesta o consumata dall’organismo (VO2) sarà tra i 200 e i 300 mL/min. Una riduzione della concentrazione di Hb a 100 g/L garantirà una DO2 di 688 mL/min. Nonostante una riduzione del 33% di DO2, rimane un eccesso di circa due volte superiore al consumo. Un ulteriore calo di Hb a 50 g/L, con mantenimento degli altri parametri, ridurrà la DO2 ad un livello critico di 342 mL/min. In condizioni di stabilità sperimentale, questa riduzione importante di DO2 non influenza il consumo di O2. Al di sotto di un livello critico o soglia di O2 (DO2 critica) il consumo di O2 diminuirà per ulteriori riduzioni della concentrazione di emoglobina (e si ridurrà anche la DO2). C’è quindi una relazione bifasica tra DO2 e consumo di O2 (Fig.3): una parte DO2-indipendente al di sopra del valore soglia (DO2crit) in cui il consumo di O2 è indipendente dalla DO2 e una porzione DO2-dipendente in cui la DO2 è correlata in modo lineare con il consumo di O2. Quest’ultima parte al di sotto della DO2crit indica l’avvio di una condizione di ipossia tissutale. Il confronto tra alcuni studi clinici ha confermato una estrema variabilità di questo valore che in un caso (13) Fig.3 - Correlazione tra cessione e consumo di O2 Dopo essersi caricato di O2, il sangue viene distribuito a tutti gli organi e tessuti attraverso il sistema arterioso ed il microcircolo. Il flusso ematico degli organi è determinato dal tono delle arteriole di medio calibro regolate dal sistema nervoso autonomo e, a livello locale, dal rilascio di sostanze vasodilatanti. A livello del microcircolo l’emoglobina rilascia l’O2 che diffonde attraverso lo spazio interstiziale e passa nelle cellule e nei mitocondri per essere utilizzato nei meccanismi di respirazione cellulare. Ognuno di questi meccanismi può essere modificato dall’instaurarsi di condizioni di anormalità come quelle che si creano in condizioni patologiche. Adattamento all’anemia Il nostro organismo ha diverse capacità di adattamento all’anemia. Ma prima di esporle è importante ricordare che con anemia si indica una riduzione della massa circolante di eritrociti e con essi delle capacità di trasporto di O2. Abbiamo corrispondeva a 4 mL/min/Kg, mentre in altri studi clinici e di laboratorio acquisiva un valore di 8 mL/min/Kg (14-16). La DO2crit o soglia anaerobica, non è un valore costante ma è soggettivo e varia a seconda di alcuni fattori che corrispondono al metabolismo basale, alla presenza di alcuni stati patologici, e probabilmente dipende anche dall’età e dalla componente genetica.
  • 35. pagina 35 Patient Blood Management appena visto che la DO2 supera le richieste da parte dei tessuti periferici in condizioni di riposo. In realtà questo eccesso rappresenta un margine fisiologico che offre al sistema la possibilità di aumentare le proprie richieste. Quello che in prima analisi bisogna considerare è la variabile temporale: in quanto tempo si stabilisce la anemizzazione. Esistono condizioni patologiche in cui l’anemia in forma cronica viene tollerata grazie a meccanismi di adattamento a lungo termine. In realtà nei pazienti chirurgici ci troviamo ad affrontare due forme di anemizzazione che possiamo definire come dinamiche e statiche. L’anemizzazione dinamica è quella che si verifica rapidamente, spesso con evoluzione poco prevedibile: un’emorragia che interviene in sala operatoria. L’anemizzazione statica rappresenta invece una forma che ormai ha raggiunto un suo livello di stabilità e, se il paziente è sano, può essere risolta nel giro di qualche giorno: il paziente postoperato in reparto. Mentre quest’ultima condizione può essere compensata adeguatamente da quei sistemi che abbiamo visto e vedremo, nel caso di emorragia il livello di coinvolgimento risulta superiore per la velocità di comparsa e per la sua durata e pertanto richiede che tutti i meccanismi compensatori avviino la propria funzione al più presto e per un tempo imprecisato. L’emorragia rappresenta un caso estremo di anemizzazione in cui si associa anche una condizione di ipovolemia. Meccanismi compensatori Nell’anemia si verificano una serie di variazioni compensatorie corrispondenti allo spostamento della curva di dissociazione dell’emoglobina, a variazioni emodinamiche e microcircolatorie. Lo spostamento a destra della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina è principalmente legato ad un’aumentata sintesi del 2,3-DPG nei globuli rossi (17-30). Questo spostamento facilita il rilascio di O2 ai tessuti ed è stato dimostrato in vitro (31) in condizioni in cui spesso è necessario garantire una buona ossigenazione cellulare: riduzione della temperatura e del pH. Infatti l’acidosi legata ad una aumentata produzione di CO2 da parte dei tessuti (effetto Bohr) (31,32) provoca uno spostamento della curva verso destra che facilita il rilascio di O2 aumentando la sua disponibilità a livello cellulare. Lo stesso fenomeno favorevole si può verificare in seguito ad una riduzione della temperatura dovuta a condizioni di ipoperfusione. Modifiche emodinamiche intervengono a seguito dello stabilirsi di una condizione di anemia. L’organismo cerca di preservare la DO2 diretta agli organi vitali aumentando la gittata cardiaca (contrattilità miocardica e frequenza cardiaca) e aumentando il tono vascolare arterioso e venoso. Il sistema adrenergico infatti gioca un ruolo importante nel modificare il flusso ematico agli organi specifici. La perdita di volume coinvolge anche il sistema renina-angiotensina-aldosterone che è stimolato a trattenere acqua e sodio. Perdite tra il 5% ed il 15% del volume ematico determinano un incremento variabile nella frequenza cardiaca del cuore a riposo e nei valori della pressione diastolica. L’ipotensione ortostatica è spesso un indicatore sensibile di perdite di volume relativamente poco ingenti che non sono sufficienti a determinare crolli marcati di pressione sistemica. Perdite maggiori risultano in un progressivo incremento della frequenza cardiaca e una riduzione della pressione arteriosa associate all’evidenza di ipoperfusione d’organo. L’aumentato tono simpatico tende a centralizzare il circolo deviando il flusso ematico totale ridotto verso la circolazione coronarica e cerebrale ed escludendo quella splancnica, scheletrica e cutanea. Nello shock ipovolemico la perdita del volume circolante è tale da coinvolgere nonostante i tentativi di centralizzazione anche gli organi vitali. Sebbene l’American College of Surgeon’ Committee on Trauma (31) abbia ben classificato le risposte cardiocircolatorie e sistemiche alle perdite acute di sangue in base alla loro entità, molte di queste risposte dipendono da caratteristiche dei pazienti come età, comorbilità, volemia e valori di emoglobina preesistenti, uso di farmaci con effetti cardiaci (beta bloccanti) o sul circolo periferico (antipertensivi) e l’intervallo di tempo in cui si è