3. IL PESSIMISMO FILOSOFICO
Il pessimismo filosofico di Leopardi ha le sue origini nel
materialismo del Settecento (d'Holbach, sensismo di
Condillac) derivato diretto dal razionalismo propugnato
dall'illuminismo, dall'atomismo greco e dal pessimismo
mostrato da alcuni autori antichi, come Omero e
Lucrezio, con qualche influsso del romanticismo.
4. IL PESSIMISMO STORICO
Il pessimismo storico. Leopardi con gli anni allarga la sua
riflessione, tendendo a valutare che la felicità degli altri è solo
apparente, che la vita umana non ha uno scopo per il quale
valga la pena di lottare, e che tutti gli uomini sono condannati
all'infelicità terrena.
5. IL PESSIMISMO INDIVIDUALE
Il pessimismo individuale prende forma quando Leopardi, fin da
piccolo, si sente privo della gioia di vivere che vede negli altri.
Questa contrapposizione emerge, ad
esempio, nel canto La sera del dì di festa
Le esperienze dell'adolescenza e della
prima giovinezza lo conducono a pensare
che la vita sia stata spietata con lui, ma
che altri possono essere felici
(pessimismo personale o soggettivo,
detto anche pessimismo psicologico).
6. Durante questa fase Leopardi cambia la sua visione della
natura; improvvisamente la vede come la causa di tutti i mali
dell'essere umano. Nel periodo del pessimismo cosmico
Leopardi sostiene che l'uomo è destinato a soffrire per tutta la
vita
Il pessimismo è "cosmico" perché il dolore colpisce ogni essere
vivente, comprese piante e animali.
IL PESSIMISMO COSMICO
7. «La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma
il bisogno; vero bisogno, come quel di cibarsi. Perché chi non
possiede la felicità, è infelice, come chi non ha di che cibarsi,
patisce di fame. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la
possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità
nel mondo. Gli animali non han più di noi, se non il patir meno;
così i selvaggi: ma la felicità nessuno.» (Zibaldone)
LA NATURA IN LEOPARDI
8. I Canti pisano-recanatesi o Grandi idilli (1828-1830)
Dopo alcuni anni di silenzio poetico
Leopardi, durante il soggiorno a Pisa nella
primavera del 1828, riprese a comporre
versi. La nuova fase creativa continua
anche dopo il ritorno a Recanati e dà vita
ad alcune delle liriche più profonde e
significative di Leopardi.
La poetica espressa in queste poesie è
ancora idillica, e la forma usata è la
canzone libera, composta da un numero
vario di strofe di diversa lunghezza, in cui
settenari ed endecasillabi si alternano
senza seguire uno schema
predeterminato, come pure le rime e le
assonanze.
9. La teoria del piacere, derivata dal
sensismo degli illuministi francesi,
nonché proveniente da Lucrezio
ed Epicuro, sostiene che l'uomo
nella sua vita tenda sempre a
ricercare un piacere infinito come
soddisfazione di un desiderio
illimitato. Esso viene cercato
soprattutto grazie alla facoltà
immaginativa dell'uomo che può
concepire le cose che non sono
reali.
Questo pensiero trova massima
espressione ne «L’infinito».
La teoria del
10. Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe,
che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma,
sedendo e mirando, interminati spazi di lá da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante,
io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi
sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Cosí tra questa immensitá s’annega il pensier
mio; e il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’infinito