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GIACOMO LEOPARDI
LE FASI DEL PESSIMISMO LEOPARDIANO
IL PESSIMISMO DI LEOPARDI
Il pessimismo filosofico di Leopardi ha le
sue origini nel Settecento derivato diretto
dell'illuminismo, con qualche influsso del
romanticismo.
Leopardi, nella sua riflessione, tende a
valutare che la felicità è solo apparente, e
che la vita umana non ha uno scopo per il
quale valga la pena di lottare. Afferma che
essi vivevano in uno stato di felicità illusoria
solo nell'età primitiva quando erano ancora
privi di ragione. La ragione fece evolvere
l'uomo e rivelò la vanità delle pie illusioni,
scoprì il male, il dolore e l'angoscia.
IL PESSIMISMO INDIVIDUALE
Il pessimismo individuale prende forma quando
Leopardi, fin da piccolo, si sente privo della gioia
di vivere che vede negli altri.
Questa contrapposizione emerge, ad esempio,
nel canto La sera del dì di festa
Le esperienze dell'adolescenza e della prima
giovinezza lo conducono a pensare che la vita sia
stata spietata con lui, ma che altri possono essere
felici (pessimismo psicologico).
LA NATURA IN LEOPARDI
«Amaro e noia / La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.» (A se stesso, vv. 9-10)
«La natura non ci ha solamente dato il desiderio
della felicità, ma il bisogno; vero bisogno, come
quel di cibarsi. Perché chi non possiede la
felicità, è infelice, come chi non ha di che cibarsi,
patisce di fame. Or questo bisogno ella ci ha dato
senza la possibilità di soddisfarlo, senza
nemmeno aver posto la felicità nel mondo. Gli
animali non han più di noi, se non il patir meno;
così i selvaggi: ma la felicità nessuno.»
(Zibaldone)
In questo caso si parla di pessimismo "cosmico"
perché il dolore colpisce ogni essere vivente,
comprese piante e animali.
I CANTI PISANO-RECANATESI O GRANDI IDILLI (1828-1830)
Dopo alcuni anni di silenzio poetico Leopardi,
durante il soggiorno a Pisa del 1828, riprese a
comporre versi. La nuova fase creativa
continua anche dopo il ritorno a Recanati e dà
vita ad alcune delle liriche più profonde e
significative di Leopardi.
La poetica espressa in queste poesie è ancora
idillica, e la forma usata è la canzone libera,
composta da un numero vario di strofe di
diversa lunghezza, in cui settenari ed
endecasillabi si alternano senza seguire uno
schema predeterminato, come pure le rime e
le assonanze.
LA TEORIA DEL PIACERE
La teoria del piacere, derivata dal
sensismo degli illuministi francesi,
nonché proveniente da Lucrezio ed
Epicuro, sostiene che l'uomo nella sua
vita tenda sempre a ricercare un
piacere infinito come soddisfazione di
un desiderio illimitato. Esso viene
cercato soprattutto grazie alla facoltà
immaginativa dell'uomo che può
concepire le cose che non sono reali.
Questo pensiero trova massima
espressione ne «L’infinito».
L’infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma, sedendo e mirando, interminati
Spazi di lá da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Cosí tra questa
Immensitá s’annega il pensier mio;
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’infinito

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  • 3. IL PESSIMISMO DI LEOPARDI Il pessimismo filosofico di Leopardi ha le sue origini nel Settecento derivato diretto dell'illuminismo, con qualche influsso del romanticismo. Leopardi, nella sua riflessione, tende a valutare che la felicità è solo apparente, e che la vita umana non ha uno scopo per il quale valga la pena di lottare. Afferma che essi vivevano in uno stato di felicità illusoria solo nell'età primitiva quando erano ancora privi di ragione. La ragione fece evolvere l'uomo e rivelò la vanità delle pie illusioni, scoprì il male, il dolore e l'angoscia.
  • 4. IL PESSIMISMO INDIVIDUALE Il pessimismo individuale prende forma quando Leopardi, fin da piccolo, si sente privo della gioia di vivere che vede negli altri. Questa contrapposizione emerge, ad esempio, nel canto La sera del dì di festa Le esperienze dell'adolescenza e della prima giovinezza lo conducono a pensare che la vita sia stata spietata con lui, ma che altri possono essere felici (pessimismo psicologico).
  • 5. LA NATURA IN LEOPARDI «Amaro e noia / La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.» (A se stesso, vv. 9-10) «La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno; vero bisogno, come quel di cibarsi. Perché chi non possiede la felicità, è infelice, come chi non ha di che cibarsi, patisce di fame. Or questo bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo. Gli animali non han più di noi, se non il patir meno; così i selvaggi: ma la felicità nessuno.» (Zibaldone) In questo caso si parla di pessimismo "cosmico" perché il dolore colpisce ogni essere vivente, comprese piante e animali.
  • 6. I CANTI PISANO-RECANATESI O GRANDI IDILLI (1828-1830) Dopo alcuni anni di silenzio poetico Leopardi, durante il soggiorno a Pisa del 1828, riprese a comporre versi. La nuova fase creativa continua anche dopo il ritorno a Recanati e dà vita ad alcune delle liriche più profonde e significative di Leopardi. La poetica espressa in queste poesie è ancora idillica, e la forma usata è la canzone libera, composta da un numero vario di strofe di diversa lunghezza, in cui settenari ed endecasillabi si alternano senza seguire uno schema predeterminato, come pure le rime e le assonanze.
  • 7. LA TEORIA DEL PIACERE La teoria del piacere, derivata dal sensismo degli illuministi francesi, nonché proveniente da Lucrezio ed Epicuro, sostiene che l'uomo nella sua vita tenda sempre a ricercare un piacere infinito come soddisfazione di un desiderio illimitato. Esso viene cercato soprattutto grazie alla facoltà immaginativa dell'uomo che può concepire le cose che non sono reali. Questo pensiero trova massima espressione ne «L’infinito». L’infinito
  • 8. Sempre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta parte Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma, sedendo e mirando, interminati Spazi di lá da quella, e sovrumani Silenzi, e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo; ove per poco Il cor non si spaura. E come il vento Odo stormir tra queste piante, io quello Infinito silenzio a questa voce Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente E viva, e il suon di lei. Cosí tra questa Immensitá s’annega il pensier mio; E il naufragar m’è dolce in questo mare. L’infinito