3. IL PESSIMISMO DI LEOPARDI
Il pessimismo filosofico di Leopardi ha le sue origini nel
materialismo del Settecento (d'Holbach, sensismo di
Condillac) derivato diretto dal razionalismo propugnato
dall'illuminismo, dall'atomismo greco e dal pessimismo
mostrato da alcuni autori antichi, come Omero e Lucrezio,
con qualche influsso del romanticismo.
4. IL PESSIMISMO STORICO
Leopardi con gli anni allarga la sua riflessione, tendendo a valutare che la
felicità degli altri è solo apparente, che la vita umana non ha uno scopo per il
quale valga la pena di lottare, e che tutti gli uomini sono condannati
all'infelicità terrena.Afferma che essi vivevano in uno stato di felicità, per
quanto illusoria, solo nell'età primitiva, quando vivevano nello stato di natura,
non condizionati dall'incivilimento dovuto alla ragione, ma vollero uscire da
questo stato di beata ignoranza per mettersi alla ricerca del vero. La ragione
fece evolvere l'uomo e rivelò la vanità delle pie illusioni, scoprì il male, il
dolore e l'angoscia.
Esso presenta alcune analogie con il contemporaneo pensiero di
Schopenhauer e con l'esistenzialismo successivo, a partire da Nietzsche,
anche per la ricerca di un senso nascosto dell'esistenza, che pure è
avvertito come inesistente, la sfida titanico-romantica al Fato in nome della
propria nobiltà intellettuale e d'animo, e la sensibilità acuta per la precarietà
e la fragilità dell'essere umano, dei viventi preda di una feroce selezione
naturale, e in generale di ogni cosa esistente.
5. IL PESSIMISMO INDIVIDUALE
Il pessimismo individuale prende forma
quando Leopardi, fin da piccolo, si sente
privo della gioia di vivere che vede negli
altri.
Questa contrapposizione emerge, ad
esempio, nel canto La sera del dì di
festa
Le esperienze dell'adolescenza e della
prima giovinezza lo conducono a pensare
che la vita sia stata spietata con lui, ma
che altri possono essere felici
(pessimismo personale o soggettivo,
detto anche pessimismo psicologico).
6. La natura in Leopardi
Il nichilismo leopardiano
«Amaro e noia / La vita, altro mai nulla; e fango
è il mondo.» (A se stesso, vv. 9-10)
«La natura non ci ha solamente dato il desiderio della felicità, ma il bisogno; vero
bisogno, come quel di cibarsi. Perché chi non possiede la felicità, è infelice, come
chi non ha di che cibarsi, patisce di fame. Or questo bisogno ella ci ha dato senza
la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo. Gli
animali non han più di noi, se non il patir meno; così i selvaggi: ma la felicità
nessuno.» (Zibaldone)
Il pessimismo è "cosmico" perché il dolore colpisce ogni essere vivente, comprese
piante e animali.
Il pessimismo cosmico
7. I Canti pisano-recanatesi o
Grandi idilli (1828-1830)
Dopo alcuni anni di silenzio poetico
Leopardi, durante il soggiorno a Pisa nella
primavera del 1828, riprese a comporre
versi. La nuova fase creativa continua
anche dopo il ritorno a Recanati e dà vita
ad alcune delle liriche più profonde e
significative di Leopardi.
La poetica espressa in queste poesie è
ancora idillica, e la forma usata è la
canzone libera, composta da un numero
vario di strofe di diversa lunghezza, in cui
settenari ed endecasillabi si alternano
senza seguire uno schema
predeterminato, come pure le rime e le
assonanze.
8. La teoria del piacere
La teoria del piacere,
derivata dal sensismo degli
illuministi francesi, nonché
proveniente da Lucrezio ed
Epicuro, sostiene che l'uomo
nella sua vita tenda sempre a
ricercare un piacere infinito
come soddisfazione di un
desiderio illimitato. Esso viene
cercato soprattutto grazie alla
facoltà immaginativa dell'uomo
che può concepire le cose che
non sono reali.
Questo pensiero trova
massima espressione ne
«L’infinito».
L’infinito
9. Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma, sedendo e mirando, interminati
spazi di lá da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Cosí tra questa
immensitá s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’infinito