3. IL PESSIMISMO DI
LEOPARDI
Il pessimismo filosofico
ha le sue origini nel materialismo
derivato diretto dal razionalismo
propugnato dall'illuminismo
.
Il pessimismo storico
Leopardi con gli anni allarga la sua
riflessione, tendendo a valutare che la
felicità degli altri è solo apparente, che
la vita umana non ha uno scopo per il
quale valga la pena di lottare, e che
tutti gli uomini sono condannati
all'infelicità terrena.
4. IL PESSIMISMO INDIVIDUALE
Il pessimismo individuale prende forma quando
Leopardi, fin da piccolo, si sente privo della gioia di vivere
che vede negli altri.
Questa contrapposizione emerge, ad esempio, nel canto La
sera del dì di festa
Le esperienze dell'adolescenza e della prima giovinezza lo
conducono a pensare che la vita sia stata spietata con lui,
ma che altri possono essere felici (pessimismo personale o
soggettivo, detto anche pessimismo psicologico).
5. La natura in Leopardi
«La natura non ci ha solamente dato il
desiderio della felicità, ma il bisogno; vero
bisogno, come quel di cibarsi. Perché chi non
possiede la felicità, è infelice, come chi non ha
di che cibarsi, patisce di fame. Or questo
bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di
soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la
felicità nel mondo. Gli animali non han più di
noi, se non il patir meno; così i selvaggi: ma la
felicità nessuno.» (Zibaldone)
Il pessimismo è "cosmico" perché il dolore
colpisce ogni essere vivente, comprese piante
e animali.
IL PESSIMISMO COSMICO
6. I CANTI PISANO-RECANATESI O GRANDI
IDILLI (1828-1830)
Dopo alcuni anni di silenzio poetico
Leopardi, durante il soggiorno a Pisa nella
primavera del 1828, riprese a comporre
versi. La nuova fase creativa continua anche
dopo il ritorno a Recanati e dà vita ad alcune
delle liriche più profonde e significative di
Leopardi.
La poetica espressa in queste poesie è
ancora idillica, e la forma usata è la canzone
libera, composta da un numero vario di
strofe di diversa lunghezza, in cui settenari
ed endecasillabi si alternano senza seguire
uno schema predeterminato, come pure le
rime e le assonanze.
7. La teoria del
piacere
La teoria del piacere, derivata dal
sensismo degli illuministi francesi, nonché
proveniente da Lucrezio ed Epicuro,
sostiene che l'uomo nella sua vita tenda
sempre a ricercare un piacere infinito
come soddisfazione di un desiderio
illimitato. Esso viene cercato soprattutto
grazie alla facoltà immaginativa dell'uomo
che può concepire le cose che non sono
reali.
Questo pensiero trova massima
espressione ne «L’infinito».
L’infinito
8. Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma, sedendo e mirando, interminati
spazi di lá da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Cosí tra questa
immensitá s’annega il pensier mio;
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
L’infinito