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News 51/SSL/2015
Lunedì, 28 Dicembre 2015
La mancata condizione di procedibilità dell’azione penale ex Dlgs. n.758/94
La notificazione del verbale di ispezione ex dlgs 758/94 fatta dall’organo di vigilanza
a soggetto diverso dal datore di lavoro non autorizzato a riceverla per suo conto fa
decadere le condizioni di procedibilità dell’azione penale.
A più di venti anni dalla sua entrata in vigore il D. Lgs. 19/12/1994 n. 758, contenente
le modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro è ancora oggetto di
precisazioni e di chiarimenti sulla sua applicazione da parte della Corte di
Cassazione che spesso interviene ad annullare sentenze emanate dai Tribunali in
quanto risultate non conformi alle disposizioni impartite dal decreto legislativo
medesimo. La notificazione del verbale di ispezione fatta dall’organo di vigilanza
ex D. Lgs. 758/1994 a un soggetto diverso dal datore di lavoro e non autorizzato da
questi a riceverla per suo conto, ha ribadito ancora una volta la suprema Corte in
questa circostanza, fa decadere le condizioni di procedibilità dell’azione penale. La
stessa Corte suprema ha quindi annullata, su ricorso presentato dal Pubblico
Ministero, la sentenza emessa dal Tribunale nei confronti di un datore di lavoro.
Il caso e il ricorso in Cassazione
Il Tribunale, in composizione monocratica, ha assolto il titolare di una ditta
individuale esercente edilizia, in qualità di datore di lavoro, dai reati di cui agli artt.
18 comma 1 lett. c) e d) , 36 e 37, 96 comma 1 lett. g) in relazione all'art. 55 comma
5 lett. c) e d) del D. Lgs. 81/08, nonché del reato di cui all'art. 4 comma 7 della
Legge 528/61 perché il fatto non costituisce reato. Contro tale sentenza il
Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso chiedendone l’annullamento e
lamentando una violazio0ne ed una inosservanza della legge processuale penale
per avere il Tribunale assolto nel merito l'imputato ancorché nella motivazione della
sentenza risultasse che difettava la prova della sussistenza della condizione di
procedibilità in relazione al disposto degli artt. 20-23 del D. Lgs. 758/94, evidenziando
il proprio interesse ad impugnare in relazione alla possibilità di proporre, in caso di
proscioglimento ex art. 529 cod. proc. pen., così come previsto dall'art. 345 comma
2 cod. proc. pen., una nuova azione penale laddove fosse stato dimostrato
l'avvenuto perfezionamento della procedura prevista dal ricordato D. Lgs. 758/94.
Il difensore dell'imputato da parte sua ha presentato una propria memoria
evidenziando la correttezza della formula di proscioglimento in relazione al
contenuto della motivazione che sottolineava in via principale l'insussistenza
dell'elemento psicologico del reato e solo in via residuale la mancata prova della
notificazione al datore di lavoro del verbale relativo alle prescrizioni imposte
dall'organo ispettivo e la relativa diffida ad adempiere nel termine da questi
assegnato.
Le decisioni della Corte suprema di Cassazione
1. Il ricorso presentato dal Pubblico Ministero non è stato ritenuto fondato dalla
Corte di Cassazione ma per ragioni diverse da quelle dedotte. La stessa Corte
suprema ha innanzitutto ricordato che la sentenza impugnata nel ricostruire la
vicenda, ha sottolineato che in occasione della visita ispettiva l’imputato, quale
datore di lavoro, era assente, mentre sul posto operavano due lavoratori intenti a
pitturare le pareti del locale costituito da un unico vano, nel quale era stata
constatata l'assenza di ponteggi. In aggiunta a tale primo rilievo, il Tribunale ha
anche sottolineato che la procedura di notificazione del verbale contenente le
eventuali prescrizioni per rimuovere le irregolarità integrato dalla diffida ad
adempiere in un termine predeterminato per legge, non era stata rispettata in
quanto il verbale era stato notificato non al datore di lavoro, ma a soggetti "non
autorizzati a ricevere la corrispondenza per suo conto".
La Sez. III nella sua decisione ha ritenuto di richiamare le procedure introdotte dagli
artt. 19-24 della D. Lgs. n. 758/1994 precisando che la procedura di estinzione delle
contravvenzioni in materia di lavoro prevista dagli artt. 20 e ss. dello stesso D. Lgs. n.
758/1994 si qualifica, in una prima fase, come condizione di procedibilità dell'azione
penale, da tenere distinta dalla condizione di punibilità afferente ad una fase
successiva. Dall’artt. 20 e ss. del citato D. Lgs., ha quindi ribadito la Sez. III, è previsto
che in esito ai controlli da parte dell'organo di vigilanza, vengano impartite al
contravventore (da identificarsi nel datore di lavoro o in un suo delegato) apposite
prescrizioni con la indicazione di un termine necessario per procedere alla
regolarizzazione, seguite poi da una verifica da compiersi a cura dell'organo di
vigilanza, diretta ad accertare se le dette prescrizioni siano state adempiute nel
termine prestabilito e con invito, in caso positivo, rivolto al contravventore affinché
provveda al pagamento in via amministrativa di una sanzione pecuniaria
predeterminata. E' un obbligo dell’organo di vigilanza quello di comunicare al
pubblico ministero o l'adempimento tempestivo della prescrizione seguito dal
regolare e tempestivo pagamento della sanzione pecuniaria ovvero il mancato
adempimento nei termini per l'eventuale azione penale.
Ricostruita in questi termini la procedura prevista dalla Legge 758/94 la Corte di
Cassazione ha ritenuta corretta la censura del Pubblico Ministero con la quale egli
ha qualificata come condizione di procedibilità la comunicazione diretta al datore
di lavoro finalizzata alla indicazione delle prescrizioni da adempiere in vista di una
successiva regolarizzazione, seguita, poi, dal pagamento delle sanzioni nei termini
prescritti. “La comunicazione effettuata nei riguardi di un soggetto diverso dal
datore di lavoro”, ha infatti precisato la Sez. III, “si risolve in un difetto della
condizione di procedibilità, essendosi consumato il potere di comunicazione con le
modalità seguite dagli organi ispettivi preposti alla vigilanza in quanto la
comunicazione effettuata ad un soggetto diverso dal datore di lavoro ‘non
autorizzato a ricevere la corrispondenza per suo conto’ avrebbe dovuto essere
seguita da una nuova notificazione in realtà mai effettuata”.
Essendo quindi risultata errata la formula di proscioglimento adoperata dal Tribunale
la Corte di Cassazione ha pertanto annullata la sentenza impugnata senza rinvio
perché l'azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di una condizione
di procedibilità. (Articolo di Gerardo Porreca)
Fonte:puntosicuro.it
Sostanze chimiche e regolamento Reach: gli obblighi degli importatori
Strumenti e informazioni per la conoscenza e l’applicazione del Regolamento Reach
nelle piccole e medie imprese. Chi sono gli importatori, quali obblighi hanno in
relazione alla registrazione e classificazione delle sostanze chimiche.
Tutti i vari attori nella catena di approvvigionamento di un prodotto chimico devono
svolgere un ruolo importante per controllare i rischi e garantire l'uso sicuro delle
sostanze chimiche. E i vari attori con sede nell'UE, in Islanda, Liechtenstein e
Norvegia, devono soddisfare i requisiti previsti da diversi regolamenti europei, come
il regolamento REACH, il regolamento CLP ed, eventualmente, il regolamento sui
biocidi (BPR).
Tra gli attori che devono soddisfare i requisiti del Regolamento n. 1907/2006 (il
Regolamento REACH) ci sono anche le persone fisiche o giuridiche che importano
sostanze, miscele e articoli.
Per conoscere obblighi e adempimenti degli importatori, possiamo fare riferimento a
quanto contenuto in un apposito spazio in rete dedicato alle piccole e medie
imprese (PMI) presente sul sito dell’ Agenzia europea per le sostanze
chimiche (ECHA), un’autorità di regolamentazione che aiuta le imprese a
conformarsi alla legislazione, fornisce informazioni e promuove l'uso sicuro
delle sostanze chimiche.
L’ECHA sul suo sito ricorda che la normativa dell'UE stabilisce le norme più rigorose
del mondo in materia di sicurezza chimica e che è responsabilità
dell'importatore “verificare che le sostanze chimiche e i prodotti che immette
all'interno del SEE siano conformi a tali disposizioni”.
Ricordiamo che il SEE è lo “Spazio Economico Europeo” che comprende gli Stati
membri dell'UE, l'Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia.
Chi è l’importatore nel regolamento REACH?
Si è importatori se si acquista un prodotto chimico “direttamente da un fornitore che
ha sede al di fuori del SEE” e lo si porta nel territorio del SEE.
Tuttavia se il fornitore, non stabilito nel SEE, ha nominato un "rappresentante
esclusivo" che ha sede nel SEE per registrare la sostanza, ai sensi del regolamento
REACH l’importatore è considerato “utilizzatore a valle”.
Cosa deve fare l’importatore?
Gli obblighi dipendono dal tipo di prodotti importati:
- “sostanze (inclusi i metalli);
- miscele (per esempio vernici, lubrificanti);
- articoli (per esempio pneumatici per autovetture, mobili e capi di abbigliamento)”.
Senza dimenticare che chi immette sul mercato prodotti pericolosi è soggetto a
obblighi supplementari.
Andiamo nel dettaglio degli obblighi per chi importa sostanze o miscela.
Nello spazio web dell’Echa si sottolinea che quando si acquista una sostanza
direttamente da un'impresa che è stabilita al di fuori del SEE e la si porta nel territorio
del SEE, si hanno lestesse responsabilità di un fabbricante. In questo caso
l’importatore deve registrare la sostanza per garantirle l'accesso al mercato del SEE.
Quando poi si acquistano miscele, le “disposizioni si applicano a ogni singola
sostanza contenuta nella miscela”.
Veniamo al caso dell’importazione di sostanze o miscele pericolose o
regolamentate.
Si segnala innanzitutto che “prima di immettere una sostanza o una miscela sul
mercato del SEE, occorre stabilire se è pericolosa applicando i criteri di
classificazione definiti nel regolamento CLP. Questo obbligo è previsto per ogni
sostanza in quanto tale o in quanto componente di una miscela, a prescindere
dalle quantità fornite”.
In particolare si indica che “classificare una sostanza o una miscela come
pericolosa comporta specifici requisiti in termini di etichettatura e imballaggio.
Occorre notificare all'ECHA l'immissione sul mercato di ogni sostanza pericolosa in
quanto tale o in quanto componente di una miscela entro un mese dall'immissione
sul mercato del prodotto. È necessario fornire le informazioni pertinenti nella scheda
di dati di sicurezza e usare etichette di pericolo per comunicare i rischi e garantire
una manipolazione sicura da parte dei clienti”.
Riguardo alle “sostanze estremamente preoccupanti”, si segnala che
il Regolamento REACH“stabilisce criteri per identificare le sostanze estremamente
preoccupanti (SVHC) per la salute umana e l'ambiente. Le sostanze che soddisfano
tali criteri vengono sempre identificate e incluse nell'elenco di sostanze candidate
all'autorizzazione, che è aggiornato ogni anno a giugno e dicembre e pubblicato
sul sito Internet dell'ECHA”.
Queste le indicazioni fornite all’importatore:
- “se una sostanza che importate in quanto tale o in quanto componente di una
miscela viene identificata come estremamente preoccupante e aggiunta
all'elenco di sostanze candidate per l'autorizzazione, sarete tenuti a comunicare ai
vostri clienti le informazioni sull'uso sicuro della sostanza;
- potete continuare a fornire la sostanza, ma dovete controllare se viene aggiunta
nell'elenco delle sostanze soggette ad autorizzazione. A volte è solo una questione
di tempo e potreste optare per i vantaggi commerciali derivanti dalla sostituzione di
una sostanza estremamente preoccupante con un'alternativa più sicura”.
E le sostanze estremamente preoccupanti, che “sono state trasferite dall'elenco
delle sostanze candidate all'elenco delle sostanze soggette ad autorizzazione, non
possono essere immesse sul mercato del SEE per l'uso dopo una ‘data di scadenza’
prestabilita”.
L’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), sempre rivolta agli importatori,
riporta anche le eccezioni (ad esempio se l’importatore o l’utilizzatore
immediatamente a valle ottiene un'autorizzazione per un uso specifico della
sostanza. O se si applica un'esenzione generale o specifica, per esempio se la
sostanza viene utilizzata a fini di ricerca e sviluppo scientifici).
È evidente che se la sostanza è nell'elenco delle sostanze soggette ad
autorizzazione e non si applica alcuna esenzione, “l'importatore dovrà scegliere se:
- cessarne l'immissione sul mercato;
- fare domanda di autorizzazione, o
- valutare se è coperto da un'autorizzazione concessa agli utilizzatori
immediatamente a valle”.
Spetta infatti all'azienda “decidere se presentare domanda di autorizzazione
valutando l'importanza della sostanza, la possibilità di sostituirla con sostanze o
tecnologie alternative più sicure, i costi della domanda di autorizzazione, nonché i
benefici e i rischi derivanti dall'uso continuato”.
Lo spazio web fa poi riferimento a cosa fare nel caso che si importino sostanze
soggette a restrizione, ricordando, ad esempio, che occorre “essere informati in
merito alle restrizioni già esistenti e controllare le restrizioni imminenti previste per la
sostanza importata”.
Fino ad ora abbiamo parlato di importazione di sostanze e miscele, ma è possibile
che siano invece importati articoli.
Concludiamo riportando le informazioni che chi importa articoli deve avere sulle
sostanze contenute:
- sono contenute sostanze destinate a essere rilasciate durante l'uso dell'articolo, per
esempio in un giocattolo profumato o in un sacchetto della spazzatura
profumato? In questo caso, e se la quantità di sostanze importate supera una
tonnellata l'anno, l’importatore è tenuto a registrarle, a meno che siano già state
registrate per quell'uso;
- sono contenute sostanze estremamente preoccupanti? In questo caso, se le
sostanze superano una determinata concentrazione, l’importatore deve fornire ai
clienti informazioni sufficienti per consentire un uso sicuro del prodotto. Bisogna farlo
non appena le sostanze vengono inserite nell'elenco di sostanze candidate. In casi
specifici si deve anche inviare una notifica all'ECHA;
- gli articoli contengono sostanze soggette a restrizione, per esempio il piombo negli
articoli di gioielleria? In questo ultimo caso l’importatore deve attenersi alle restrizioni
e, se necessario, cessare l'importazione.
Fonte: puntosicuro.it
UNI EN ISO 22313:2014 – Sicurezza della società
Sistemi di gestione per la continuità operativa: Linee guida interpretativa per
garantire alla propria azienda un adeguato livello di continuità operativa
Il testo della norma ISO 22313:2012 è stato elaborato dalla commissione tecnica
ISO/TC 223 “Societal security” ed è stato recepito come EN ISO 22313:2014 dalla
commissione tecnica CEN/TC 391 “Societal and Citizen Security”, senza modifiche.
Come si può ben vedere nei riferimenti allegati a questo articolo, in molti altri paesi si
è posta la stessa problematica, che è stata affrontata prima a livello internazionale,
poi a livello europeo. Un interessante studio per gli esperti del settore consiste proprio
nell’analisi comparata delle norme, messe a punto in vari paesi, per estrarre utili
spunti che permettano di individuare la miglior soluzione, piuttosto che non la
minima.
Questa normativa internazionale offre delle linee guida, laddove appropriato, sui
requisiti che sono illustrati nella norma EN ISO 22301 ed offre anche
raccomandazioni lessicali, assai utili. Ad esempio, quando usa il verbo “dovrebbe”
essa fà riferimento ad attività vincolanti, mentre quando usa il verbo “potrebbe”
essa fà riferimento ad attività auspicabili.
Anche se la intestazione di questa norma assomiglia a quella della norma EN ISO
22301: 2014 – Societal security — Business continuity management systems —
Requirements , essa non ripete i requisiti per i sistemi di gestione della continuità
operativa, nonché i relativi termini e definizioni.
L’obiettivo di questa norma è invece quello di offrire ulteriori elementi di chiarezza e
illustrazione di punti chiave della norma di riferimento, facendo ricorso ad un certo
numero di figure.
Tali figure si intendono a fini illustrativi, sono collegate direttamente al testo di questa
norma e rappresentano esemplificazioni oltremodo preziose per i professionisti
della security, che debbono attuare le indicazioni della norma.
L’importanza della norma sta nel suo cambio di prospettiva, in quanto pone il
professionista della security nella condizione di occuparsi in modo allargato della
operatività dell’azienda, senza limitarsi solo agli aspetti afferenti a furti, rapine,
danneggiamenti ed altro, che rappresentano solo alcuni degli eventi anomali, che
possono avere influenza negativa sulla sopravvivenza aziendale.
Un sistema di gestione della continuità operativa sottolinea l’importanza di:
· comprendere le esigenze dell’organizzazione e la necessità di stabilire una
politica e degli obiettivi di continuità operativa;
· implementare e attuare controlli e misure, che possono permettere di gestire
la capacità dell’azienda di fare fronte a incidenti catastrofici;
· tenere sotto controllo e riesaminare le prestazioni e l’efficacia dei sistemi di
BCMS e
· migliorare continuamente questa situazione, sulla base di misure e rilevamenti
oggettivi.
Occorre inoltre tener presente che, anche se la norma si applica ad un ente o
azienda specifico, essa impone di prestare attenzione anche a possibili riflessi,
anche gravi, sulla intera società civile, ove l’ente venisse meno alla sua funzione
operativa.. Questa situazione è legata all’attività che viene svolta
dall’organizzazione coinvolta.
Si pensi ad esempio ad una situazione di crisi, che impedisca ad una azienda
ospedaliera di continuare ad operare al servizio dei cittadini, sul territorio. La
situazione di crisi potrebbe essere causata da eventi esterni, come ad esempio un
terremoto, oppure una inondazione; in questo caso il professionista della security
deve analizzare gli scenari conseguenti e formulare possibili misure di prevenzione,
se possibile, o di mitigazione delle conseguenze dell’evento.
Non già l’opportunità, ma addirittura la necessità di condurre uno studio sulla
continuità operativa di un’azienda nasce anche dal crescente allarme terrorismo,
dai cui attacchi nessun ente od azienda, pubblico o privato, può ritenersi esente.
La guida operativa non si addentra in una analisi dettagliata dei rischi connessi al
terrorismo, ma da precedenti studi è possibile ricavare alcuni scenari standardizzati,
come ad esempio:
• esplosione di un ordigno sul perimetro dell’insediamento,
• esplosione di un ordigno all’interno dell’insediamento,
• attacco con autobomba lanciata in velocità contro il bersaglio,
• telefonata terroristica,
• invio di una busta esplosiva contenenti agenti tossici.
L’esame di questi eventi è reso particolarmente complesso dal fatto che l’evento in
questione può verificarsi in un’area specifica dell’insediamento, in fasce orarie o
giorni specifici; appare evidente che le conseguenze dell’esplosione di un ordigno
sono ben diverse, a seconda che l’esplosione avvenga nottetempo in una area
non occupata dell’azienda, oppure in pieno giorno, lungo la catena di produzione
in piena attività.
Il professionista della security deve analizzare tutte queste alternative e elaborare,
secondo le linee guida di questa norma, appropriati scenari di messa sotto controllo.
Ma gli scenari presi considerazione non si fermano qui, perché la norma sottolinea
che, laddove vi sia un collegamento tra varie aziende od enti, è assai probabile che
la incapacità di operare di un’azienda si rifletta anche su tutte le aziende collegate.
Occorre quindi esaminare in un’ottica allargata il tema della continuità aziendale.
Anche questa norma utilizza l’ormai famoso schema plan- do- check- act, che
ormai è utilizzato sempre più spesso a livello normativo, per la sua chiarezza e facilità
di interpretazione (vedi figura).
A proposito della formulazione di questa norma, è bene sottolineare il fatto che la
parola “business” viene utilizzata in una interpretazione estremamente allargata,
comprendendo qualsiasi attività produttiva o del terziario, che un ente deve
sviluppare per raggiungere i propri obiettivi, o per attuare la propria missione.
Per questa ragione essa è applicabile ad organizzazioni grandi, medie e piccole,
che operino nel settore industriale, commerciale, dei servizi al pubblico e delle
attività non-profit.
È bene tenere presente che l’attività possono essere turbate da una grande varietà
di incidenti, alcuni dei quali sono difficili da prevedere o da analizzare. Ecco la
ragione per la quale queste linee guida suggeriscono di concentrare l’attenzione
sull’impatto conseguente al verificarsi dell’evento, piuttosto che sulla causa; in tal
modo è possibile mettere a punto un piano di continuità operativa, che mette in
luce le attività dalle quali l’organizzazione dipende per la propria sopravvivenza e
permette di mettere a punto un piano che, almeno entro certi limiti, può essere
applicabile a vari scenari catastrofici.
È proprio in questo contesto che raccomandiamo caldamente ai lettori di
esaminare, in abbinamento a questa norma, anche la norma EN ISO 22317: 2014 –
Societal Security – Business continuity management systems – Business impact
analysis. Essa offre una linea guida dettagliata per stabilire, realizzare e mantenere
un processo di analisi di impatto-BIA -Business Impact Analysis, congruo con i requisiti
della norma EN ISO 22301. Come si comprende dalla dizione stessa della norma, una
stretta integrazione tra le linee guida sopra illustrate e gli scenari estremi, qui presi in
considerazione, consentono di ampliare ed arricchire gli scenari delineati nelle linee
guida della norma EN ISO 22313:2014 .
Insieme esaminiamo ora, passo per passo, i temi che vengono presi in esame in
questa preziosa guida.
Tanto per cominciare, l’azienda deve evidentemente dotarsi di una linea guida,
approvata dall’alta direzione, che deve tracciare i contenuti del programma di
gestione della continuità operativa e deve costituire un riferimento non negoziabile
per tutti coloro che sono coinvolti nello sviluppo di questo programma.
Una volta definite le linee guida del programma, occorre individuare i soggetti fisici,
coinvolti nello sviluppo del programma, con attribuzione di specifiche responsabilità.
In aziende assai complesse ed articolate questo aspetto rappresenta un fattore
fondamentale perché, se non vengono definite chiaramente le responsabilità,
possono crearsi dei conflitti fra le varie entità aziendali, derivanti da una insufficiente
chiarezza degli obiettivi ed anche da possibili rivalità personali.
Non dimentichiamo che ogni uomo (o donna) ha le sue caratteristiche peculiari,
che possono favorire o meno i rapporti con altri uomini, pur appartenenti alla stessa
azienda ed aventi, almeno si spera, obiettivi comuni.
I passi successivi devono definire i tempi ed i modi di questa pianificazione,
analizzando in dettaglio tutti gli scenari ipotizzabili e individuando, per ognuno di
essi, le modalità di messa sotto controllo, sia a livello di prevenzione, sia a livello di
mitigazione delle conseguenze.
Nelle righe precedenti abbiamo offerto alcuni esempi di scenari, ma la qualità di un
piano di gestione della continuità operativa si rileva proprio dalla varietà e
articolazione degli scenari ipotizzati, che possono avere origine improvvisa e
drammatica, oppure possono essere ricondotti a situazioni che evolvono
lentamente, in senso negativo, al passare del tempo.
Il passo successivo consiste nel mettere in pratica quanto è stato definito a livello
teorico, mettendo a punto procedure dettagliate, richiamabili con rapidità e
sufficientemente flessibili, da potersi adattare anche a situazioni non perfettamente
identificate.
A questo punto occorre vedere se quanto predisposto a tavolino e attuato con
appropriate direttive è veramente in grado di fronteggiare gli scenari ipotizzati.
Sulla base di una lunga esperienza, sviluppata in Italia ed in vari paesi del mondo,
posso affermare che l’unico strumento affidabile di valutazione della credibilità delle
prestazioni di questi piani sta in una simulazione.
Chi scrive, operando nel contesto di protezione dei beni culturali, ha impostato e
realizzato simulazioni di emergenze, afferenti ai beni culturali, operando con scenari
molto differenziati ed in vari paesi del mondo.
A questo proposito, vale la pena di segnalare ai lettori anche la preziosa norma, che
fa riferimento alle modalità con cui è possibile utilizzare volontari in situazioni di
emergenza. Nell’esperienza di chi scrive, non è neppure lontanamente concepibile,
a fronte di scenari clamorosi, poter impostare gestire un piano di gestione della
continuità operativa, che prevede ad esempio il recupero di beni culturali
danneggiati, in quantitativi dell’ordine di migliaia di pezzi, senza un contributo
determinante da parte di volontari, che devono essere reperiti e selezionati
tempestivamente.
La fase finale di ogni simulazione viene chiamata correntemente the briefing e
consiste nella analizzare il comportamento di tutti soggetti coinvolti, sulla base delle
osservazioni avanzate da soggetti terzi, il cookie unico compito è quello di osservare,
senza interferire.
Sistematicamente, nella fase di briefing, vengono messe in evidenza criticità, che
sono portate a conoscenza di tutti soggetti coinvolti e che, per solito, portano
all’aggiornamento delle procedure precedentemente elaborate.
Secondo lo schema Plan do check act, prima illustrato, le risultanze del the briefing
vengono. Utilizzate in un circolo virtuoso, che porta ad un progressivo e costante
miglioramento della pianificazione operativa,. Tutte queste attività devono
ovviamente essere opportunamente documentate a presente e futura memoria.
La adozione di questo schema offre quindi un’azienda una garanzia non solo
teorica, ma convalidata dall’esperienza, errori compresi, che è l’unico strumento
che permette di trasformare una garanzia teorica in una ragionevole certezza
operativa. (Articolo di Adalberto Biasiotti)
Fonte:puntosicuro.it

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  • 1. News 51/SSL/2015 Lunedì, 28 Dicembre 2015 La mancata condizione di procedibilità dell’azione penale ex Dlgs. n.758/94 La notificazione del verbale di ispezione ex dlgs 758/94 fatta dall’organo di vigilanza a soggetto diverso dal datore di lavoro non autorizzato a riceverla per suo conto fa decadere le condizioni di procedibilità dell’azione penale. A più di venti anni dalla sua entrata in vigore il D. Lgs. 19/12/1994 n. 758, contenente le modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro è ancora oggetto di precisazioni e di chiarimenti sulla sua applicazione da parte della Corte di Cassazione che spesso interviene ad annullare sentenze emanate dai Tribunali in quanto risultate non conformi alle disposizioni impartite dal decreto legislativo medesimo. La notificazione del verbale di ispezione fatta dall’organo di vigilanza ex D. Lgs. 758/1994 a un soggetto diverso dal datore di lavoro e non autorizzato da questi a riceverla per suo conto, ha ribadito ancora una volta la suprema Corte in questa circostanza, fa decadere le condizioni di procedibilità dell’azione penale. La stessa Corte suprema ha quindi annullata, su ricorso presentato dal Pubblico Ministero, la sentenza emessa dal Tribunale nei confronti di un datore di lavoro. Il caso e il ricorso in Cassazione Il Tribunale, in composizione monocratica, ha assolto il titolare di una ditta individuale esercente edilizia, in qualità di datore di lavoro, dai reati di cui agli artt. 18 comma 1 lett. c) e d) , 36 e 37, 96 comma 1 lett. g) in relazione all'art. 55 comma 5 lett. c) e d) del D. Lgs. 81/08, nonché del reato di cui all'art. 4 comma 7 della Legge 528/61 perché il fatto non costituisce reato. Contro tale sentenza il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso chiedendone l’annullamento e lamentando una violazio0ne ed una inosservanza della legge processuale penale per avere il Tribunale assolto nel merito l'imputato ancorché nella motivazione della sentenza risultasse che difettava la prova della sussistenza della condizione di procedibilità in relazione al disposto degli artt. 20-23 del D. Lgs. 758/94, evidenziando il proprio interesse ad impugnare in relazione alla possibilità di proporre, in caso di proscioglimento ex art. 529 cod. proc. pen., così come previsto dall'art. 345 comma
  • 2. 2 cod. proc. pen., una nuova azione penale laddove fosse stato dimostrato l'avvenuto perfezionamento della procedura prevista dal ricordato D. Lgs. 758/94. Il difensore dell'imputato da parte sua ha presentato una propria memoria evidenziando la correttezza della formula di proscioglimento in relazione al contenuto della motivazione che sottolineava in via principale l'insussistenza dell'elemento psicologico del reato e solo in via residuale la mancata prova della notificazione al datore di lavoro del verbale relativo alle prescrizioni imposte dall'organo ispettivo e la relativa diffida ad adempiere nel termine da questi assegnato. Le decisioni della Corte suprema di Cassazione 1. Il ricorso presentato dal Pubblico Ministero non è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione ma per ragioni diverse da quelle dedotte. La stessa Corte suprema ha innanzitutto ricordato che la sentenza impugnata nel ricostruire la vicenda, ha sottolineato che in occasione della visita ispettiva l’imputato, quale datore di lavoro, era assente, mentre sul posto operavano due lavoratori intenti a pitturare le pareti del locale costituito da un unico vano, nel quale era stata constatata l'assenza di ponteggi. In aggiunta a tale primo rilievo, il Tribunale ha anche sottolineato che la procedura di notificazione del verbale contenente le eventuali prescrizioni per rimuovere le irregolarità integrato dalla diffida ad adempiere in un termine predeterminato per legge, non era stata rispettata in quanto il verbale era stato notificato non al datore di lavoro, ma a soggetti "non autorizzati a ricevere la corrispondenza per suo conto". La Sez. III nella sua decisione ha ritenuto di richiamare le procedure introdotte dagli artt. 19-24 della D. Lgs. n. 758/1994 precisando che la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di lavoro prevista dagli artt. 20 e ss. dello stesso D. Lgs. n. 758/1994 si qualifica, in una prima fase, come condizione di procedibilità dell'azione penale, da tenere distinta dalla condizione di punibilità afferente ad una fase successiva. Dall’artt. 20 e ss. del citato D. Lgs., ha quindi ribadito la Sez. III, è previsto che in esito ai controlli da parte dell'organo di vigilanza, vengano impartite al contravventore (da identificarsi nel datore di lavoro o in un suo delegato) apposite prescrizioni con la indicazione di un termine necessario per procedere alla regolarizzazione, seguite poi da una verifica da compiersi a cura dell'organo di vigilanza, diretta ad accertare se le dette prescrizioni siano state adempiute nel termine prestabilito e con invito, in caso positivo, rivolto al contravventore affinché
  • 3. provveda al pagamento in via amministrativa di una sanzione pecuniaria predeterminata. E' un obbligo dell’organo di vigilanza quello di comunicare al pubblico ministero o l'adempimento tempestivo della prescrizione seguito dal regolare e tempestivo pagamento della sanzione pecuniaria ovvero il mancato adempimento nei termini per l'eventuale azione penale. Ricostruita in questi termini la procedura prevista dalla Legge 758/94 la Corte di Cassazione ha ritenuta corretta la censura del Pubblico Ministero con la quale egli ha qualificata come condizione di procedibilità la comunicazione diretta al datore di lavoro finalizzata alla indicazione delle prescrizioni da adempiere in vista di una successiva regolarizzazione, seguita, poi, dal pagamento delle sanzioni nei termini prescritti. “La comunicazione effettuata nei riguardi di un soggetto diverso dal datore di lavoro”, ha infatti precisato la Sez. III, “si risolve in un difetto della condizione di procedibilità, essendosi consumato il potere di comunicazione con le modalità seguite dagli organi ispettivi preposti alla vigilanza in quanto la comunicazione effettuata ad un soggetto diverso dal datore di lavoro ‘non autorizzato a ricevere la corrispondenza per suo conto’ avrebbe dovuto essere seguita da una nuova notificazione in realtà mai effettuata”. Essendo quindi risultata errata la formula di proscioglimento adoperata dal Tribunale la Corte di Cassazione ha pertanto annullata la sentenza impugnata senza rinvio perché l'azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di una condizione di procedibilità. (Articolo di Gerardo Porreca) Fonte:puntosicuro.it Sostanze chimiche e regolamento Reach: gli obblighi degli importatori Strumenti e informazioni per la conoscenza e l’applicazione del Regolamento Reach nelle piccole e medie imprese. Chi sono gli importatori, quali obblighi hanno in relazione alla registrazione e classificazione delle sostanze chimiche. Tutti i vari attori nella catena di approvvigionamento di un prodotto chimico devono svolgere un ruolo importante per controllare i rischi e garantire l'uso sicuro delle sostanze chimiche. E i vari attori con sede nell'UE, in Islanda, Liechtenstein e Norvegia, devono soddisfare i requisiti previsti da diversi regolamenti europei, come il regolamento REACH, il regolamento CLP ed, eventualmente, il regolamento sui biocidi (BPR).
  • 4. Tra gli attori che devono soddisfare i requisiti del Regolamento n. 1907/2006 (il Regolamento REACH) ci sono anche le persone fisiche o giuridiche che importano sostanze, miscele e articoli. Per conoscere obblighi e adempimenti degli importatori, possiamo fare riferimento a quanto contenuto in un apposito spazio in rete dedicato alle piccole e medie imprese (PMI) presente sul sito dell’ Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), un’autorità di regolamentazione che aiuta le imprese a conformarsi alla legislazione, fornisce informazioni e promuove l'uso sicuro delle sostanze chimiche. L’ECHA sul suo sito ricorda che la normativa dell'UE stabilisce le norme più rigorose del mondo in materia di sicurezza chimica e che è responsabilità dell'importatore “verificare che le sostanze chimiche e i prodotti che immette all'interno del SEE siano conformi a tali disposizioni”. Ricordiamo che il SEE è lo “Spazio Economico Europeo” che comprende gli Stati membri dell'UE, l'Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia. Chi è l’importatore nel regolamento REACH? Si è importatori se si acquista un prodotto chimico “direttamente da un fornitore che ha sede al di fuori del SEE” e lo si porta nel territorio del SEE. Tuttavia se il fornitore, non stabilito nel SEE, ha nominato un "rappresentante esclusivo" che ha sede nel SEE per registrare la sostanza, ai sensi del regolamento REACH l’importatore è considerato “utilizzatore a valle”. Cosa deve fare l’importatore? Gli obblighi dipendono dal tipo di prodotti importati: - “sostanze (inclusi i metalli); - miscele (per esempio vernici, lubrificanti); - articoli (per esempio pneumatici per autovetture, mobili e capi di abbigliamento)”. Senza dimenticare che chi immette sul mercato prodotti pericolosi è soggetto a obblighi supplementari. Andiamo nel dettaglio degli obblighi per chi importa sostanze o miscela. Nello spazio web dell’Echa si sottolinea che quando si acquista una sostanza direttamente da un'impresa che è stabilita al di fuori del SEE e la si porta nel territorio
  • 5. del SEE, si hanno lestesse responsabilità di un fabbricante. In questo caso l’importatore deve registrare la sostanza per garantirle l'accesso al mercato del SEE. Quando poi si acquistano miscele, le “disposizioni si applicano a ogni singola sostanza contenuta nella miscela”. Veniamo al caso dell’importazione di sostanze o miscele pericolose o regolamentate. Si segnala innanzitutto che “prima di immettere una sostanza o una miscela sul mercato del SEE, occorre stabilire se è pericolosa applicando i criteri di classificazione definiti nel regolamento CLP. Questo obbligo è previsto per ogni sostanza in quanto tale o in quanto componente di una miscela, a prescindere dalle quantità fornite”. In particolare si indica che “classificare una sostanza o una miscela come pericolosa comporta specifici requisiti in termini di etichettatura e imballaggio. Occorre notificare all'ECHA l'immissione sul mercato di ogni sostanza pericolosa in quanto tale o in quanto componente di una miscela entro un mese dall'immissione sul mercato del prodotto. È necessario fornire le informazioni pertinenti nella scheda di dati di sicurezza e usare etichette di pericolo per comunicare i rischi e garantire una manipolazione sicura da parte dei clienti”. Riguardo alle “sostanze estremamente preoccupanti”, si segnala che il Regolamento REACH“stabilisce criteri per identificare le sostanze estremamente preoccupanti (SVHC) per la salute umana e l'ambiente. Le sostanze che soddisfano tali criteri vengono sempre identificate e incluse nell'elenco di sostanze candidate all'autorizzazione, che è aggiornato ogni anno a giugno e dicembre e pubblicato sul sito Internet dell'ECHA”. Queste le indicazioni fornite all’importatore: - “se una sostanza che importate in quanto tale o in quanto componente di una miscela viene identificata come estremamente preoccupante e aggiunta all'elenco di sostanze candidate per l'autorizzazione, sarete tenuti a comunicare ai vostri clienti le informazioni sull'uso sicuro della sostanza; - potete continuare a fornire la sostanza, ma dovete controllare se viene aggiunta nell'elenco delle sostanze soggette ad autorizzazione. A volte è solo una questione di tempo e potreste optare per i vantaggi commerciali derivanti dalla sostituzione di una sostanza estremamente preoccupante con un'alternativa più sicura”.
  • 6. E le sostanze estremamente preoccupanti, che “sono state trasferite dall'elenco delle sostanze candidate all'elenco delle sostanze soggette ad autorizzazione, non possono essere immesse sul mercato del SEE per l'uso dopo una ‘data di scadenza’ prestabilita”. L’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), sempre rivolta agli importatori, riporta anche le eccezioni (ad esempio se l’importatore o l’utilizzatore immediatamente a valle ottiene un'autorizzazione per un uso specifico della sostanza. O se si applica un'esenzione generale o specifica, per esempio se la sostanza viene utilizzata a fini di ricerca e sviluppo scientifici). È evidente che se la sostanza è nell'elenco delle sostanze soggette ad autorizzazione e non si applica alcuna esenzione, “l'importatore dovrà scegliere se: - cessarne l'immissione sul mercato; - fare domanda di autorizzazione, o - valutare se è coperto da un'autorizzazione concessa agli utilizzatori immediatamente a valle”. Spetta infatti all'azienda “decidere se presentare domanda di autorizzazione valutando l'importanza della sostanza, la possibilità di sostituirla con sostanze o tecnologie alternative più sicure, i costi della domanda di autorizzazione, nonché i benefici e i rischi derivanti dall'uso continuato”. Lo spazio web fa poi riferimento a cosa fare nel caso che si importino sostanze soggette a restrizione, ricordando, ad esempio, che occorre “essere informati in merito alle restrizioni già esistenti e controllare le restrizioni imminenti previste per la sostanza importata”. Fino ad ora abbiamo parlato di importazione di sostanze e miscele, ma è possibile che siano invece importati articoli. Concludiamo riportando le informazioni che chi importa articoli deve avere sulle sostanze contenute: - sono contenute sostanze destinate a essere rilasciate durante l'uso dell'articolo, per esempio in un giocattolo profumato o in un sacchetto della spazzatura profumato? In questo caso, e se la quantità di sostanze importate supera una tonnellata l'anno, l’importatore è tenuto a registrarle, a meno che siano già state registrate per quell'uso; - sono contenute sostanze estremamente preoccupanti? In questo caso, se le sostanze superano una determinata concentrazione, l’importatore deve fornire ai clienti informazioni sufficienti per consentire un uso sicuro del prodotto. Bisogna farlo
  • 7. non appena le sostanze vengono inserite nell'elenco di sostanze candidate. In casi specifici si deve anche inviare una notifica all'ECHA; - gli articoli contengono sostanze soggette a restrizione, per esempio il piombo negli articoli di gioielleria? In questo ultimo caso l’importatore deve attenersi alle restrizioni e, se necessario, cessare l'importazione. Fonte: puntosicuro.it UNI EN ISO 22313:2014 – Sicurezza della società Sistemi di gestione per la continuità operativa: Linee guida interpretativa per garantire alla propria azienda un adeguato livello di continuità operativa Il testo della norma ISO 22313:2012 è stato elaborato dalla commissione tecnica ISO/TC 223 “Societal security” ed è stato recepito come EN ISO 22313:2014 dalla commissione tecnica CEN/TC 391 “Societal and Citizen Security”, senza modifiche. Come si può ben vedere nei riferimenti allegati a questo articolo, in molti altri paesi si è posta la stessa problematica, che è stata affrontata prima a livello internazionale, poi a livello europeo. Un interessante studio per gli esperti del settore consiste proprio nell’analisi comparata delle norme, messe a punto in vari paesi, per estrarre utili spunti che permettano di individuare la miglior soluzione, piuttosto che non la minima. Questa normativa internazionale offre delle linee guida, laddove appropriato, sui requisiti che sono illustrati nella norma EN ISO 22301 ed offre anche raccomandazioni lessicali, assai utili. Ad esempio, quando usa il verbo “dovrebbe” essa fà riferimento ad attività vincolanti, mentre quando usa il verbo “potrebbe” essa fà riferimento ad attività auspicabili. Anche se la intestazione di questa norma assomiglia a quella della norma EN ISO 22301: 2014 – Societal security — Business continuity management systems — Requirements , essa non ripete i requisiti per i sistemi di gestione della continuità operativa, nonché i relativi termini e definizioni. L’obiettivo di questa norma è invece quello di offrire ulteriori elementi di chiarezza e illustrazione di punti chiave della norma di riferimento, facendo ricorso ad un certo numero di figure.
  • 8. Tali figure si intendono a fini illustrativi, sono collegate direttamente al testo di questa norma e rappresentano esemplificazioni oltremodo preziose per i professionisti della security, che debbono attuare le indicazioni della norma. L’importanza della norma sta nel suo cambio di prospettiva, in quanto pone il professionista della security nella condizione di occuparsi in modo allargato della operatività dell’azienda, senza limitarsi solo agli aspetti afferenti a furti, rapine, danneggiamenti ed altro, che rappresentano solo alcuni degli eventi anomali, che possono avere influenza negativa sulla sopravvivenza aziendale. Un sistema di gestione della continuità operativa sottolinea l’importanza di: · comprendere le esigenze dell’organizzazione e la necessità di stabilire una politica e degli obiettivi di continuità operativa; · implementare e attuare controlli e misure, che possono permettere di gestire la capacità dell’azienda di fare fronte a incidenti catastrofici; · tenere sotto controllo e riesaminare le prestazioni e l’efficacia dei sistemi di BCMS e · migliorare continuamente questa situazione, sulla base di misure e rilevamenti oggettivi. Occorre inoltre tener presente che, anche se la norma si applica ad un ente o azienda specifico, essa impone di prestare attenzione anche a possibili riflessi, anche gravi, sulla intera società civile, ove l’ente venisse meno alla sua funzione operativa.. Questa situazione è legata all’attività che viene svolta dall’organizzazione coinvolta.
  • 9. Si pensi ad esempio ad una situazione di crisi, che impedisca ad una azienda ospedaliera di continuare ad operare al servizio dei cittadini, sul territorio. La situazione di crisi potrebbe essere causata da eventi esterni, come ad esempio un terremoto, oppure una inondazione; in questo caso il professionista della security deve analizzare gli scenari conseguenti e formulare possibili misure di prevenzione, se possibile, o di mitigazione delle conseguenze dell’evento. Non già l’opportunità, ma addirittura la necessità di condurre uno studio sulla continuità operativa di un’azienda nasce anche dal crescente allarme terrorismo, dai cui attacchi nessun ente od azienda, pubblico o privato, può ritenersi esente. La guida operativa non si addentra in una analisi dettagliata dei rischi connessi al terrorismo, ma da precedenti studi è possibile ricavare alcuni scenari standardizzati, come ad esempio: • esplosione di un ordigno sul perimetro dell’insediamento, • esplosione di un ordigno all’interno dell’insediamento, • attacco con autobomba lanciata in velocità contro il bersaglio, • telefonata terroristica, • invio di una busta esplosiva contenenti agenti tossici. L’esame di questi eventi è reso particolarmente complesso dal fatto che l’evento in questione può verificarsi in un’area specifica dell’insediamento, in fasce orarie o giorni specifici; appare evidente che le conseguenze dell’esplosione di un ordigno sono ben diverse, a seconda che l’esplosione avvenga nottetempo in una area non occupata dell’azienda, oppure in pieno giorno, lungo la catena di produzione in piena attività. Il professionista della security deve analizzare tutte queste alternative e elaborare, secondo le linee guida di questa norma, appropriati scenari di messa sotto controllo. Ma gli scenari presi considerazione non si fermano qui, perché la norma sottolinea che, laddove vi sia un collegamento tra varie aziende od enti, è assai probabile che la incapacità di operare di un’azienda si rifletta anche su tutte le aziende collegate. Occorre quindi esaminare in un’ottica allargata il tema della continuità aziendale.
  • 10. Anche questa norma utilizza l’ormai famoso schema plan- do- check- act, che ormai è utilizzato sempre più spesso a livello normativo, per la sua chiarezza e facilità di interpretazione (vedi figura). A proposito della formulazione di questa norma, è bene sottolineare il fatto che la parola “business” viene utilizzata in una interpretazione estremamente allargata, comprendendo qualsiasi attività produttiva o del terziario, che un ente deve sviluppare per raggiungere i propri obiettivi, o per attuare la propria missione. Per questa ragione essa è applicabile ad organizzazioni grandi, medie e piccole, che operino nel settore industriale, commerciale, dei servizi al pubblico e delle attività non-profit. È bene tenere presente che l’attività possono essere turbate da una grande varietà di incidenti, alcuni dei quali sono difficili da prevedere o da analizzare. Ecco la ragione per la quale queste linee guida suggeriscono di concentrare l’attenzione sull’impatto conseguente al verificarsi dell’evento, piuttosto che sulla causa; in tal modo è possibile mettere a punto un piano di continuità operativa, che mette in luce le attività dalle quali l’organizzazione dipende per la propria sopravvivenza e permette di mettere a punto un piano che, almeno entro certi limiti, può essere applicabile a vari scenari catastrofici. È proprio in questo contesto che raccomandiamo caldamente ai lettori di esaminare, in abbinamento a questa norma, anche la norma EN ISO 22317: 2014 – Societal Security – Business continuity management systems – Business impact analysis. Essa offre una linea guida dettagliata per stabilire, realizzare e mantenere un processo di analisi di impatto-BIA -Business Impact Analysis, congruo con i requisiti della norma EN ISO 22301. Come si comprende dalla dizione stessa della norma, una stretta integrazione tra le linee guida sopra illustrate e gli scenari estremi, qui presi in considerazione, consentono di ampliare ed arricchire gli scenari delineati nelle linee guida della norma EN ISO 22313:2014 . Insieme esaminiamo ora, passo per passo, i temi che vengono presi in esame in questa preziosa guida. Tanto per cominciare, l’azienda deve evidentemente dotarsi di una linea guida, approvata dall’alta direzione, che deve tracciare i contenuti del programma di
  • 11. gestione della continuità operativa e deve costituire un riferimento non negoziabile per tutti coloro che sono coinvolti nello sviluppo di questo programma. Una volta definite le linee guida del programma, occorre individuare i soggetti fisici, coinvolti nello sviluppo del programma, con attribuzione di specifiche responsabilità. In aziende assai complesse ed articolate questo aspetto rappresenta un fattore fondamentale perché, se non vengono definite chiaramente le responsabilità, possono crearsi dei conflitti fra le varie entità aziendali, derivanti da una insufficiente chiarezza degli obiettivi ed anche da possibili rivalità personali. Non dimentichiamo che ogni uomo (o donna) ha le sue caratteristiche peculiari, che possono favorire o meno i rapporti con altri uomini, pur appartenenti alla stessa azienda ed aventi, almeno si spera, obiettivi comuni. I passi successivi devono definire i tempi ed i modi di questa pianificazione, analizzando in dettaglio tutti gli scenari ipotizzabili e individuando, per ognuno di essi, le modalità di messa sotto controllo, sia a livello di prevenzione, sia a livello di mitigazione delle conseguenze. Nelle righe precedenti abbiamo offerto alcuni esempi di scenari, ma la qualità di un piano di gestione della continuità operativa si rileva proprio dalla varietà e articolazione degli scenari ipotizzati, che possono avere origine improvvisa e drammatica, oppure possono essere ricondotti a situazioni che evolvono lentamente, in senso negativo, al passare del tempo. Il passo successivo consiste nel mettere in pratica quanto è stato definito a livello teorico, mettendo a punto procedure dettagliate, richiamabili con rapidità e sufficientemente flessibili, da potersi adattare anche a situazioni non perfettamente identificate. A questo punto occorre vedere se quanto predisposto a tavolino e attuato con appropriate direttive è veramente in grado di fronteggiare gli scenari ipotizzati. Sulla base di una lunga esperienza, sviluppata in Italia ed in vari paesi del mondo, posso affermare che l’unico strumento affidabile di valutazione della credibilità delle prestazioni di questi piani sta in una simulazione. Chi scrive, operando nel contesto di protezione dei beni culturali, ha impostato e realizzato simulazioni di emergenze, afferenti ai beni culturali, operando con scenari molto differenziati ed in vari paesi del mondo.
  • 12. A questo proposito, vale la pena di segnalare ai lettori anche la preziosa norma, che fa riferimento alle modalità con cui è possibile utilizzare volontari in situazioni di emergenza. Nell’esperienza di chi scrive, non è neppure lontanamente concepibile, a fronte di scenari clamorosi, poter impostare gestire un piano di gestione della continuità operativa, che prevede ad esempio il recupero di beni culturali danneggiati, in quantitativi dell’ordine di migliaia di pezzi, senza un contributo determinante da parte di volontari, che devono essere reperiti e selezionati tempestivamente. La fase finale di ogni simulazione viene chiamata correntemente the briefing e consiste nella analizzare il comportamento di tutti soggetti coinvolti, sulla base delle osservazioni avanzate da soggetti terzi, il cookie unico compito è quello di osservare, senza interferire. Sistematicamente, nella fase di briefing, vengono messe in evidenza criticità, che sono portate a conoscenza di tutti soggetti coinvolti e che, per solito, portano all’aggiornamento delle procedure precedentemente elaborate. Secondo lo schema Plan do check act, prima illustrato, le risultanze del the briefing vengono. Utilizzate in un circolo virtuoso, che porta ad un progressivo e costante miglioramento della pianificazione operativa,. Tutte queste attività devono ovviamente essere opportunamente documentate a presente e futura memoria. La adozione di questo schema offre quindi un’azienda una garanzia non solo teorica, ma convalidata dall’esperienza, errori compresi, che è l’unico strumento che permette di trasformare una garanzia teorica in una ragionevole certezza operativa. (Articolo di Adalberto Biasiotti) Fonte:puntosicuro.it