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1. Generalità sullo spettro elettromagnetico
La materia è sempre stata associata ad una serie di colori che sono quelli percepiti dai nostri occhi.
Ma quale è l’origine di questi colori?
Quando gli atomi acquisiscono energia mediante l’esposizione alla luce (eccitati), questa energia viene
assorbita dagli elettroni che poi la riemettono come radiazione elettromagnetica che in parte cade nella
regione del visibile. L’insieme di tutte le possibili lunghezze d’onda e frequenze della radiazione
elettromagnetica costituisce lo spettro elettromagnetico.
Il termine spettro (dal latino spectrum = apparire) fu utilizzato per la prima volta da
Isaac Newton1 per indicare l’immagine ellittica che appariva su uno schermo dopo
aver fatto passare tramite una fessura la luce solare attraverso un prisma.
Lo spettro elettromagnetico è studiato dalla spettroscopia ovvero la scienza che
osserva e classifica le emissioni e gli assorbimenti compiuti o subiti da un qualche
sistema fisico.
Tutti i corpi solidi o liquidi emettono uno spettro continuo indipendente dalla loro
composizione chimica, questa caratteristica rende questi corpi assimilabili a corpi
neri il cui spettro di emissione varia solo in funzione della temperatura.
Una sostanza gassosa portata ad alta temperatura emette invece uno spettro discreto composto da una
sequenza di righe più o meno brillanti separate su un fondo scuro.
Ogni atomo di un elemento gassoso emette quindi un caratteristico spettro a righe che lo distingue dagli
atomi degli altri elementi.
Gli spettri di un elemento o composto possono essere di
emissione o di assorbimento. Gli spettri di emissione si
ottengono provocando scariche elettriche in un gas. Viene
quindi fornita energia agli atomi del gas che emettono
solamente certe frequenze (o analogamente certe lunghezze
d’onda) che vengono analizzate con sistemi di dispersione
cromatica (prisma o reticolo di diffrazione). Gli spettri di
assorbimento si ottengono invece investendo un gas con luce
continua bianca. Analizzando la radiazione trasmessa dal gas si osservano delle frequenze mancanti
ossia linee nere nella luce trasmessa. Questo perché ogni atomo può assorbire solo le frequenze che è
anche capace di emettere quindi la sostanza gassosa sottrae allo spettro continuo della luce bianca solo
specifiche componenti. Questa proprietà è chiamata principio di inversione dello spettro rivelata per la
prima volta da Gustav R. Kirchhoff 2. Lo spettro di assorbimento apparirà quindi come un’iride di colori
con alcune righe scure che si trovano nella stessa posizione in cui nello spettro di emissione della stessa
sostanza si trovavano le corrispondenti righe luminose
2. Lo studio dello spettro dell’atomo di idrogeno
Lo studio dello spettro dell’atomo di idrogeno, data la sua semplicità, è stato il punto di partenza per la
comprensione delle più complesse strutture degli spettri degli altri elementi. Nel 1885 lo svizzero
Johann J.Balmer3, studiando ed elaborando i dati sperimentali raccolti negli anni precedenti, scoprì
che le lunghezze d'onda nella parte visibile all'occhio umano (intervallo compreso fra i 380 nm ed i
760 nm) dello spettro dell'idrogeno potevano essere rappresentate con grande precisione da una
formula matematica che le correlava a dei numeri interi:
𝝀 = 𝑩 ⋅
𝒏 𝟐
𝒏 𝟐 − 𝒏′ 𝟐
dove 𝝀 è la lunghezza d’onda della luce emessa, B è il limite di Balmer pari a 364⋅ 𝟏𝟎−𝟗
m, n = 2 ed n
è un numero intero maggiore di n’.
1 Isaac Newton (1642 – 1726)matematico, fisico, astronomoe alchimistainglese
2 GustavRobertKirchhoff (1824 - 1887)fisico tedesco.
3 Johann Jakob Balmer (1825– 1898) matematico, insegnante e docente svizzero.
LO SPETTRO DISCONTINUO DELL’ATOMO DI IDROGENO
MURRI Nicholas 5° F
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Nel 1888 il fisico Johannes Rydberg4 generalizzò la precedente formula in modo da renderla valida non
solo per lo spettro visibile ma anche per l’ultravioletto e l’infrarosso:
1
𝜆
=
4
𝐵
⋅ (
1
𝑛′2
−
1
𝑛2
) →
𝟏
𝝀
= 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝒏′ 𝟐
−
𝟏
𝒏 𝟐
)
dove 𝑹 𝑯 = 4/B è la costante di Rydberg dell'idrogeno pari a 1,097373 ⋅ 107 m-1.
Nel caso in cui n è uguale a 2 si ottiene la serie di Balmer che individua le righe dell’atomo di
idrogeno nel campo del visibile. La sua prima riga (n=3) è la linea rossa con 𝛌 = 656,3 nm che si indica
con Hα. Le successive righe procedono verso il violetto con intensità e spaziatura minori e convergono
al valore di 364,6 nm che è il limite di Balmer per n che tende + corrispondentemente al quale si
addensano le righe; oltre questo limite si ha lo spettro continuo.
Le altre serie (n=1, 3, 4…) corrispondono a radiazioni non comprese nello spettro visibile.
Per n=1 si ottiene la serie di Lyman che individua le righe dell’atomo di idrogeno nell’ultravioletto.
La prima linea spettrale della serie fu scoperta nel 1906 dal fisico Theodore Lyman, dell'Università
Harvard, che stava studiando lo spettro ultravioletto dell'idrogeno elettricamente eccitato. Le rimanenti
linee dello spettro (tutte nell'ultravioletto) furono scoperte da Lyman tra il 1906 e il 1914. La prima riga
di questa serie (n = 2) ha lunghezza d’onda pari a 121,6 nm. Anche in questo caso le successive righe
convergono ad un valore limite (limite di Lyman) della lunghezza d’onda pari a 91,18 nm.
Per n=3 ed n=4 si ottengono rispettivamente le serie di Paschen e di Brackett che individuano le
righe dell’atomo di idrogeno nell’infrarosso. Le prime righe di queste serie hanno lunghezza d’onda
pari a 1874,5 nm e 4051 nm. I limiti delle lunghezze d’onda di queste serie valgono invece 820,1 nm e
1458 nm.
Aumentando il valore di n si ottengono serie situate nell’infrarosso più lontano come la serie di Pfound
(n=5) e quella di Humphreys (n=6).
La formula di Rydberg acquista un preciso significato fisico quando Niels Bohr5 elabora il suo modello
dell’atomo dell’idrogeno.
Bohr ipotizza che gli elettroni possano percorrere solo un insieme discreto di orbite dette stazionarie e
che possano irradiare energia solamente passando da un’orbita ad
un'altra.
Ogni orbita possiede un proprio livello energetico che Bohr esprime
in funzione del numero quantico n.
Ciascuna riga spettrale viene quindi associata ad una transizione
quantica di un elettrone da un livello energetico ad un altro, ogni
transizione è a sua volta associata all’emissione o all’assorbimento
di radiazione elettromagnetica di frequenza corrispondente alla
differenza di energia tra i due livelli interessati alle transizioni.
In base alla seconda ipotesi su cui si basava il suo modello atomico,
Bohr riesce ad esprimere la costante di Rydberg che era stata
introdotta come un coefficiente empirico in funzione di costanti fondamentali. Quando avviene una
transizione di un elettrone da un’orbita più esterna ad una più interna, viene generato un fotone la cui
energia hf è uguale alla differenza tra l’energia dello stato eccitato iniziale e l’energia dello stato finale.
Attraverso successivi calcoli, Bohr riesce a ricondursi alla formula di Rydberg:
𝟏
𝝀
=
𝒎 𝒆⋅𝒆 𝟒
𝟖𝜺 𝟎
𝟐
𝒉 𝟑⋅𝒄
⋅ (
𝟏
𝒏′ 𝟐 −
𝟏
𝒏 𝟐) dove svolgendo i calcoli risulta:
𝒎 𝒆⋅𝒆 𝟒
𝟖𝜺 𝟎
𝟐
𝒉 𝟑⋅𝒄
= Rh
4 Johannes Rydberg(1854 – 1919)matematicoe fisicosvedese.
5 Niels Henrik David Bohr (1885- 1962) fisicodanese.
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3. Astrofisica - Analisi spettrale delle stelle
Le stelle risultano essere classificabili in base a due proprietà: la luminosità e le righe spettrali.
La classificazione spettrale delle stelle è basata sull'intensità relativa delle righe spettrali, e quelle di
Balmer sono in questo senso molto importanti a causa dell’abbondanza dell’idrogeno nell’universo.
Il fenomeno alla base dell’analisi spettrale delle stelle è la discontinuità di Balmer o Balmer jump.
La discontinuità di Balmer viene definita come il salto di intensità che può essere notato ai limiti della
serie di Balmer, all'interno degli spettri stellari. Questa discontinuità si manifesta come una diminuzione
dell'intensità dell'irraggiamento.
La discontinuità è determinata dai diversi coefficienti di
assorbimento caratteristici di ogni atmosfera stellare.
L'ampiezza del salto può essere correlata alla temperatura e alla
densità nella regione responsabile dell'assorbimento.
A temperature stellari più fredde, la densità influenza
maggiormente la discontinuità tanto da essere usata per classificare
le stelle sulla base della loro gravità superficiale e quindi della
luminosità. Questo effetto è più forte nelle stelle di classe A, ma
nelle stelle più calde la temperatura ha un effetto molto maggiore
sul Balmer Jump rispetto alla gravità superficiale.
All’inizio del XX secolo le stelle vennero classificate in base a tipi
spettrali definiti dalla forza (profondità) delle righe di assorbimento
osservate. La sequenza di tipi spettrali è definita dalle classi O-B-A-F-G-K-M (Oh-Be-A-Fine-
Girl/Guy-Kiss-Me). Ciascuna classe è divisa in sottoclassi numerate da 0 a 9.
4. Esercizio applicativo
Testo: La serie di Paschen corrisponde a n=3 e la serie di Brackett corrisponde a n=4.
a) Dimostra che gli intervalli contenti le lunghezze d’onda delle due serie si sovrappongono.
b) Esiste una sovrapposizione simile fra la serie di Balmer e la serie di Paschen?
Quesito a)
Sapendo che la serie di Paschen è uguale a:
𝟏
𝝀
= 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟑 𝟐 −
𝟏
𝒏 𝟐
) 𝒄𝒐𝒏 𝒏 = 𝟒, 𝟓, 𝟔…
e che la serie di Brackett è invece uguale a:
𝟏
𝝀
= 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟒 𝟐 −
𝟏
𝒏 𝟐 ) con n = 5, 6,7 …
Procediamo a calcolare i valori assunti secondo i dati forniti per ciascuna serie.
(1) La serie di Paschen assume valori diversi per n ≥ 4. Il valore massimo della serie si ottiene per n=4
ed è uguale ad:
𝝀 𝒎𝒂𝒙 = [ 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟑 𝟐 −
𝟏
𝟒 𝟐)]−𝟏
= 1875 nm
Il valore minimo si ottiene per n che tende a +∞ dato che al crescere di n il rapporto 1/n2 tende a
zero. Si procede quindi calcolando il limite della lunghezza d’onda per n che tende a +∞.
𝝀 𝒎𝒊𝒏 = 𝐥𝐢𝐦
𝒏→+∞
[ 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟑 𝟐 −
𝟏
𝒏 𝟐 )]−𝟏
= 820 nm
Le lunghezze d’onda della serie di Paschen possono assumere quindi un valore 𝜆P tale che:
𝟖𝟐𝟎 𝐧𝐦 ≤ 𝝀P ≤ 1875 nm
(2) La serie di Brackett assume valori diversi per n ≥ 5. Il valore massimo della serie si ottiene per n=5
ed è uguale ad:
𝝀 𝒎𝒂𝒙 = [ 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟒 𝟐 −
𝟏
𝟓 𝟐)]−𝟏
= 4051 nm
4. 4 di 5
Il valore minimo si ottiene per n che tende a +∞. Il limite della lunghezza d’onda per n che tende
+∞ sarà:
𝝀 𝒎𝒊𝒏 = 𝐥𝐢𝐦
𝒏→+∞
[ 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟒 𝟐 −
𝟏
𝒏 𝟐 )]−𝟏
= 1458 nm
Le lunghezze d’onda della serie di Brackett possono assumere quindi un valore 𝜆B tale che:
𝟏𝟒𝟓𝟖 𝐧𝐦 ≤ 𝝀B ≤ 4051 nm
Si osserva che gli intervalli contenti le lunghezze d’onda delle due serie sono sovrapponibili
nell’intervallo:
𝟏𝟒𝟓𝟖 𝒏𝒎≤ 𝝀 ≤ 1875 nm
Quesito b)
Sapendo che la serie di Balmer è uguale ad :
𝟏
𝝀
= 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟐 𝟐
−
𝟏
𝒏 𝟐
) 𝒄𝒐𝒏 𝒏 = 𝟑, 𝟒, 𝟓 …
Procedendo in modo analogo a prima si trova il valore massimo della serie:
𝝀 𝒎𝒂𝒙 = [ 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟐 𝟐 −
𝟏
𝟑 𝟐)]−𝟏
= 656 nm
E il valore minimo:
𝝀 𝒎𝒊𝒏 = 𝐥𝐢𝐦
𝒏→+∞
[ 𝑹 𝑯 ⋅ (
𝟏
𝟐 𝟐 −
𝟏
𝒏 𝟐 )]−𝟏
= 364 nm
Le lunghezze d’onda della serie di Balmer possono assumere un valore 𝜆Ba tale che:
𝟑𝟔𝟒 𝐧𝐦 ≤ 𝝀Ba ≤ 656 nm
In conclusione, non esiste una sovrapposizione tra la serie di Balmer e la serie di Paschen.
Questo risultato è la conferma del fatto che la serie di Balmer individua le righe spettrali dell’atomo di
idrogeno nel campo del visibile in un campo cioè diverso rispetto alle serie di Paschen e Brackett che
sono relative invece all’infrarosso.
5. Aspetti matematici nello studio dello spettro dell’atomo di idrogeno
Nello studio delle varie serie spettrali cosi come nell’esercizio applicativo si è ricorso all’utilizzo del
concetto di limite.
Il limite è lo strumento matematico che ci permette di capire l’andamento di una funzione
all'avvicinarsi del suo argomento a un dato valore o analogamente è l’operatore che ci permette di
studiare il comportamento di una funzione all’intorno di un punto. Prima di illustrare le applicazioni del
concetto di limite nella fisica diamo una definizione generale di limite:
Siano 𝒙 𝟎 ∈ 𝑹∗
, 𝒍 ∈ 𝑹∗
e sia f(x) una funzione definita in un intorno di x0 eccetto al più x0.
Il limite della funzione per x che tende a x0 sarà uguale ad l e si scriverà:
𝒍𝒊𝒎
𝒙→𝒙 𝟎
𝒇( 𝒙) = 𝒍
Quando si verifica che:
Per ogni intorno U di l esiste un intorno V di x0 tale che per ogni x ∈ V, con x ≠ x0 risulta f(x) ∈ U.
In simboli si può scrivere:
𝒍𝒊𝒎
𝒙→𝒙 𝟎
𝒇( 𝒙) = 𝒍 ⇔ ∀𝑼 ∃ 𝑽:∀𝒙 ∈ 𝑽 − { 𝒙 𝟎} → 𝒇( 𝒙) ∈ 𝑼
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La definizione generale di limite data precedentemente risulta adatta sia nel caso in cui x0 e l siano finiti
sia la caso in cui siano infiniti. Si possono quindi presentare 4 casi:
Sia x0 che l sono finiti, x0 è finito mentre l è infinito, x0 infinito mentre l è finito, entrambi sono infiniti.
Le definizioni particolari di questi limiti si ottengono considerando specifici intorni di x0 e l lungo gli
assi. In particolare, se al tendere di x a x0 una funzione tende a ±∞ si dice che la retta di equazione x =
x0 è un asintoto verticale per la funzione. Se al tendere di x a ±∞, invece, una funzione tende ad un
numero reale l si dice che la retta di equazione y = l è un asintoto orizzontale per la funzione.
Il limite di una funzione è unico. Secondo il teorema di unicità del limite infatti se una funzione f(x)
ammette limite per x che tende a x0, questo limite è unico
DIM. Supponiamo per assurdo che una funzione ammetta due limiti l1 e l2 diversi tra loro tali che l1<l2.
Per la definizione di limite considerando 𝜀 intorno di l1 e l2 e 𝛿1, 𝛿2 intorni di x0 si ha che:
𝒍𝒊𝒎
𝒙→𝒙 𝟎
𝒇( 𝒙) = 𝒍𝟏 → ∀𝜺 > 𝟎 ∃𝜹 𝟏:∀𝒙, 𝟎 < | 𝒙 − 𝒙 𝟎| < 𝜹 𝟏 𝒓𝒊𝒔𝒖𝒍𝒕𝒊 | 𝒇( 𝒙) − 𝒍𝟏| < 𝜺
𝒍𝒊𝒎
𝒙→𝒙 𝟎
𝒇( 𝒙) = 𝒍𝟐 → ∀𝜺 > 𝟎 ∃𝜹 𝟐:∀𝒙, 𝟎 < | 𝒙 − 𝒙 𝟎| < 𝜹 𝟐 𝒓𝒊𝒔𝒖𝒍𝒕𝒊 | 𝒇( 𝒙) − 𝒍𝟐| < 𝜺
Consideriamo 𝜺 <
𝒍 𝟐 −𝒍 𝟏
𝟐
Si osserva che anche 𝜹 𝟏 ∩ 𝜹 𝟐 è un intorno di x0.
In 𝛿1 ∩ 𝛿2 devono valere le due disequazioni:
{
| 𝒇( 𝒙) − 𝒍 𝟏| < 𝜺
| 𝒇( 𝒙) − 𝒍 𝟐| < 𝜺
→ {
𝒍 𝟏 − 𝜺 < 𝒇( 𝒙) < 𝒍 𝟏 + 𝜺
𝒍 𝟐 − 𝜺 < 𝒇( 𝒙) < 𝒍 𝟐 + 𝜺
Dal confronto delle due disuguaglianze, ricordando che l1< l2 risulta che
𝒍 𝟐 − 𝜺 < 𝒇( 𝒙) < 𝒍 𝟏 + 𝜺 → 𝒍 𝟐 − 𝜺 < 𝒍 𝟏 + 𝜺 → −𝜺 − 𝜺 < 𝒍 𝟏 − 𝒍 𝟐 → 𝟐𝜺 > 𝒍 𝟐 − 𝒍 𝟏 → 𝜺 >
𝒍 𝟐− 𝒍 𝟏
𝟐
Che è un risultato che va contro l’ipotesi iniziale per cui il limite di una funzione è unico.
Il concetto di limite è utilizzato in diversi ambiti della fisica. Un'applicazione maggiormente concreta
della nozione di limite risiede sicuramente nel noto concetto di velocità. Consideriamo un punto
materiale che si muove su una retta, e supponiamo che la sua posizione all'istante t sia assegnata dalla
funzione 𝒙 = 𝒇( 𝒕) Come esprimeremmo la velocità media e la velocità istantanea del punto materiale
in termini della funzione f?
La velocità media del punto, in un intervallo di tempo [t0, t0+h] sarà il rapporto tra lo spazio percorso
in questo intervallo di tempo, e la durata dell'intervallo stesso h; a sua volta, lo spazio percorso è la
differenza tra la posizione all'istante finale quella all'istante iniziale: 𝒗 𝒎𝒆𝒅𝒊𝒂 =
𝒇( 𝒕 𝟎+𝒉)−𝒇( 𝒕 𝟎)
𝒉
.
La velocità istantanea del punto materiale, all'istante t0 è il numero a cui si avvicina la velocità media
calcolata in un intervallo di tempo contenente t0 quando la durata di questo intervallo è sempre più
breve. Utilizzando il limite del rapporto incrementale si ha che: 𝒗 𝒊𝒔𝒕𝒂𝒏𝒕𝒂𝒏𝒆𝒂 = 𝒍𝒊𝒎
𝒉→𝟎
𝒇( 𝒕 𝟎+𝒉)−𝒇( 𝒕 𝟎)
𝒉
.
L'espressione scritta a secondo membro si dice derivata prima di f calcolata in t0 e si indica con f′ (t0).
Si può quindi scrivere: 𝒗( 𝒕 𝟎) = 𝒇′( 𝒕 𝟎)
_______________________________________________________________________________________
Bibliografia
Caforio A., Ferilli A., FISICA! Pensare l’Universo Edizione LAB 5, Milano Mondadori, 2019
Sasso L., LA matematica a colori – EDIZIONE BLU per il quinto anno, Novara DeAgostini scuola, 2019
Sitografia
Istituto Nazionale di Astrofisica-Osservatorio Astrofisico di Arcetri: www.arcetri.astro.it
Chimica-online.it, risorse didattiche per lo studio online: www.chimica-online.it
Wikipedia – the Free Enyclopedia: www. en.wikipedia.org
Matematicamente .it, Community di studenti, docenti di matematica, fisica,..: www.matematicamente.it
Dipartimento di Matematica del Politecnico di Milano: www. mate.polimi.it
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare- Sezione di Milano: www.mi.ifn.it