3. Le Azioni Legali Questo tipo di azioni sono solo conformi alle leggi stabilite dallo Stato (non rubare, non uccidere, etc.) e risiedono nel comportamento esteriore degli uomini; secondo queste, si compie un’azione solo perché la legge lo consente e non perché si ritiene giusto farla. L’azione legale, inoltre, possiede un BASSO valore morale.
4. Le Azioni Morali Questi tipi di azioni si riconoscono sia nel rispetto della legge “esterna”, quella stabilita dallo Stato, sia nel rispetto della legge “interna”, quella stabilita dalla persona che la compie. L'uomo, infatti, possiede una volontà la quale è ragione pratica che si propone fini di cui è consapevole. La ragione, legislatrice in campo conoscitivo, è tale anche in campo morale: su questa si fonda la LEGGE MORALE , che è a priori, universale e assoluta, e si distingue dalle massime pratiche, le quali, dato che hanno un contenuto determinato, rappresentano le condizioni storiche e ambientali dell'individuo.
5. La Legge Morale “ La legge morale è l'unico motivo determinante della volontà pura. Ma, poiché questa legge è semplicemente formale (cioè, richiede soltanto la forma della massima, come universalmente legislativa), così essa, come motivo determinante, astrae da ogni materia, e perciò da ogni oggetto, del volere.” (I. Kant, Critica della ragion pratica)
6. º La legge morale non è un’esigenza che l’uomo segue per necessità di natura; quindi deve essere un "imperativo" (cioè è una necessità oggettiva dell’azione; tale principio pratico è valido per tutti). º La legge morale è universale , quindi non può essere ricavata dall’esperienza: è "a priori" (la ragione è sufficiente “da sola” - senza impulsi sensibili - a muovere la volontà); º La legge morale è "razionale" nel senso che deve valere per l’uomo in quanto essere ragionevole (non solo perché conosciuta dalla ragione);
8. Gli imperativi ipotetici subordinano il comando dell’azione da compiere al conseguimento di un fine (es.: “ Se vuoi essere promosso devi studiare” ): IMPERATIVI IPOTETICI § se il fine è possibile l'imperativo si chiama problematico e prescrive regole di abilità; § se il fine è reale l'imperativo si definisce assertorio e offre solo consigli di prudenza. Tali imperativi sono oggettivi solo per tutti coloro che si propongono quello stesso fine; da questi derivano l’edonismo e l’utilitarismo.
9. L'imperativo è categorico quando non è il mezzo per ottenere un fine, ma è fine a sé stesso . IMPERATIVI CATEGORICI L'imperativo categorico deve essere espressione solo della " volontà buona ", e la volontà è buona indipendentemente dal raggiungimento di un fine (basta che sia buona l'intenzione); questa ha il carattere della razionalità, che è quello dell'universalità e necessità. L'imperativo categorico è perciò precetto universale e necessario della ragion pratica: esso non può essere che formale (perché scaturisce dalla forma stessa della ragione), infatti ogni contenuto empirico ne limiterebbe il valore. L'imperativo categorico è uno solo ed è l'imperativo della moralità perché il carattere di questa è esigere una subordinazione assoluta, senza altra considerazione di utilità o di premio.
10. Possiamo dunque concludere che: L’imperativo categorico si fonda sulla forma , mai sul contenuto (altrimenti si cadrebbe nell’empirismo e nell’utilitarismo). Esiste una forte analogia con l’etica cristiana, in quanto non è definito morale ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa . La moralità può valere solo sul piano personale e non ha nulla a che fare con le leggi dello Stato, cui si obbedisce anche per paura, e che si basano più sul contenuto che sulla forma (infatti la legge non prende in considerazione l’intenzione dell’azione, ma proprio il fatto).
11. Esiste un unico imperativo categorico, il “ tu devi” e possiede tre caratteristiche: L'Universalità La Formalità L'Autonomia
17. La libertà e la legge pratica incondizionata risultano dunque reciprocamente connesse. Qui io non domando se esse siano anche diverse di fatto o se una legge incondizionata non sia piuttosto la semplice coscienza di sé di una ragion pura pratica, e se questa sia identica al concetto positivo della libertà; ma domando dove ha inizio la nostra conoscenza dell’incondizionato pratico, se dalla libertà o dalla legge pratica. [...] È quindi la legge morale della quale diventiamo consci (appena formuliamo le massime della volontà), ciò che ci si offre per il primo e che ci conduce direttamente al concetto della libertà, in quanto la ragione presenta quella legge come un motivo determinante che non può essere sopraffatto dalle condizioni empiriche perché del tutto indipendente da esse. (I. Kant, Critica della ragion pratica) Il Postulato Della Libertà
18. La libertà, una realtà che precede l'attività comportamentale umana, è la condizione stessa dell'azione morale; dato che l'imperativo categorico è un fatto, la realtà della libertà è un presupposto. Il mondo autentico dell'etica è nella libertà e non al di fuori di essa (libertà che va intesa come pratica dell'uomo nell'agire quotidiano). Della libertà non si può tuttavia affermarne l’esistenza oggettiva.
19. Il Postulato Dell'Immortalità Dell'Anima L'immortalità dell'anima è oggetto di fede morale, infatti è dovere della “volontà buona” conformarsi alla legge morale: la conformità completa della volontà alla legge morale sarebbe la santità . Il postulato dell'immortalità dell'anima, teoreticamente indimostrabile, compie una funzione morale: solo se crediamo nella nostra immortalità, le nostre aspirazioni non sono contraddittorie. Ma la santità può essere trovata solo in un processo all'infinito poiché l'uomo è anche istinto, sentimento, irrazionalità: allora è doveroso postulare un'esistenza che continui all'infinito, cioè l'immortalità.
20. Il Postulato Dell'Esistenza Di Dio L'idea di Dio è un “postulato” dell'intelletto (pura esigenza e non concetto), senza di Questi, infatti, perderebbe di significato il possedere un’anima immortale. La legge morale, inoltre, comanda di essere virtuosi, quindi “degni” di essere felici; si postula quindi l’esistenza di Dio, Egli ha il compito di far corrispondere in un “altro mondo” quella felicità che compete al merito (non realizzabile in “questo mondo”).
21. “ Due cose riempiono l'animo con sempre nuovo e crescente stupore e venerazione, quanto più spesso e accuratamente la riflessione se ne occupa: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me . Entrambe le cose non posso cercarle e semplicemente supporle come fossero nascoste nell'oscurità o nel trascendente, al di fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le collego immediatamente con la coscienza della mia esistenza. Il primo comincia dal luogo che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo nell'infinitamente grande, con mondi sopra mondi e sistemi di sistemi, e inoltre nei tempi illimitati del loro movimento periodico, nel loro inizio e nella loro continuità. La seconda comincia dalla mia invisibile identità, la personalità, e mi pone in un mondo che possiede vera infinità, ma di cui si può accorgere solo l'intelletto, e con il quale io non mi riconosco, come là, in una connessione puramente accidentale, ma in una necessaria e universale.” (Ragione pratica, A 287-289).