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Giovanni Bozzano | Liceo Scientifico Giacomo Ulivi - Parma | Esame di Stato 2013-2014
L’Estetismo
E IL CONFLITTO CON LA MORALE
D. G. Rossetti, The Day Dream, 1880, olio su tela,
Victoria and Albert Museum, Londra.
1
INDICE
 Introduzione
 Storia dell’Estetismo
 Le Reazioni al Nulla
 La Ricerca del Piacere
 Vita Estetica, Etica e Religiosa
 L’Esteta nella Società: il Bohémien e il Dandy
 La Pittura dei Preraffaeliti
 L’Arte Estetica Cinese
 Oscar Wilde: Ritratto dell’Età Vittoriana
 Gabriele D’Annunzio: Da Esteta a Superuomo
2
Introduzione
Lo scopo di questa tesi è di affrontare il tema dell’estetismo nella specifica
conflittualità tra i suoi caratteri e l’etica, iniziando dal fornire alcune definizioni.
Il movimento dell’estetismo fonda le sue radici sul termine estetica, dal greco
aisthesis, “sensazione”, che indica e circoscrive l’azione di percezione del bello con la
conseguente sollecitazione a provare emozioni, la “dottrina della conoscenza sensibile”
o nel suo significato più moderno, come la definì il filosofo tedesco Baumgarten nel
1700, “dottrina dell’arte”.
L’estetismo è il movimento artistico e letterario che pone i valori estetici al vertice,
considerando la vita come ricerca e culto del bello.
L’etica, dal greco, èthos, “comportamento”, “costume”, è la ricerca dei criteri
secondo i quali un individuo può vivere ed agire nel rispetto e secondo il bene degli
altri. Secondo la definizione di Kant, presupponendo che la massima è una
prescrizione di valore soggettivo, l’etica, coincidente con la legge morale, è la
prescrizione, raggiunta tramite la ragione, di agire secondo una massima che possa
valere per tutti, ed essa viene definita tramite tre formule:
«agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo
come principio di una legislazione universale»1
;
«agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro,
sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo»2
;
«la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa
come universalmente legislatrice»3
.
Nelle seguenti pagine verrà quindi presentato il contrasto tra l’ideologia tipica
dell’esteta e l’eticità, affrontato specialmente nel XIX secolo da filosofi e letterati.
1
(I. Kant, Critica della ragion pratica, 1788, A 54).
2
(ID., Fondazione della metafisica dei costumi, 1785, BA 67).
3
(ID., Ibid., BA 76).
3
Storia dell’Estetismo
L’estetismo, come movimento artistico, letterario, culturale e filosofico si
sviluppò in Europa nella seconda metà del XIX secolo come ramo del Decadentismo
grazie a figure come Walter Pater e John Ruskin e, nella pittura, grazie all’influenza
dei Preraffaeliti.
La prima forma di estetismo si ebbe in Francia, per opera dei bohémien, gruppi di
giovani sulle orme del letterato Baudelaire alla ricerca di un netto rinnovamento
culturale rispetto alle correnti precedenti.
Mentre nella pittura fu di primaria importanza la corrente dei Preraffaeliti,
nata nel 1848 e sviluppatasi in Gran Bretagna, il primo modello di romanzo
dell’estetismo è invece identificabile con “A rebours” di Joris-Karl Huysmans, del 1884.
Il protagonista, membro di una nobile e ricca famiglia avviata alla decadenza, cerca di
rendere sopportabile la propria vita tramite “una sola passione, la donna”,
ricavandone solamente una delusione. Sceglie dunque di vivere la sua vita in
solitudine, nella raffinatezza e finezza della sua casa, dedito esclusivamente alla culto
della bellezza. Con questo personaggio, Huysmans dà vita a un nuovo mito decadente:
l’eroe esteta, spregiatore della volgarità della società industriale e borghese,
antidemocratico e cultore dell’arte come bellezza assoluta, aristocratica e raffinata,
propugnatore dell’arte fine a se stessa contro ogni principio utilitaristico e moralistico,
frustrato nella sua ricerca estrema di un bello puro e artificioso dalla mediocrità del
mondo contemporaneo.
La corrente letteraria estetica si sviluppò poi in Italia e in Inghilterra con Gabriele
D’Annunzio e Oscar Wilde.
Come corrente filosofica, l’estetismo fu avviato da John Ruskin, sviluppato
nella filosofia di Søren Aabye Kierkegaard e di Gabriele D’Annunzio, riprendendo
quella di Friedrich Nietzsche.
4
Le Reazioni al Nulla
L'estetismo prende posto tra le razioni che l’uomo nichilista intraprende nei
confronti del nulla che riconosce essere la vita. Può perciò essere individuato tra
quattro ideologie tipiche del nichilismo:
Tra di esse si può distinguere quella idealista, speranzosa, o comunque attiva
nello sforzo di un cambiamento per il meglio, l’ideologia dell’eroe moderno,
pienamente presentata quando, alla sentenza di Nietzsche «Dio è morto», Dostoevskij
risponde che allora «tutto è permesso», intendendo Dio come l’insieme dei valori che
ha in passato guidato l’umanità e affidando ora all'uomo tutte le responsabilità del
suo destino. Quando Svevo scrive «La vita attuale è inquinata alle radici»4
, intende
infatti proporre una prospettiva futura diversa dalla catastrofe purificatrice prevista
come tappa finale dell’uomo. Volendo sottolineare la volontà di cambiamento, è
possibile citare lo scrittore e filosofo inglese Chesterton:
«Fairy Tales are blamed for teaching children that there are such things as monsters.
Children already know that there are monsters. What Fairy Tales really teach is that
monsters can be killed»5
,
ad intendere che ogni uomo, anche il filosofo stesso, ha il compito di “salpare” alla
ricerca di nuovi valori:
«Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra
dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi!... […] e non esiste più “terra”
alcuna!»6
;
«Anche la terra della morale è rotonda!... c’è ancora un altro mondo da scoprire: e più
d’uno! Via sulle navi, filosofi!»7
.
4
(I. Svevo, La coscienza di Zeno, Bompiani, Milano 1988, p. 471).
5
«Le fiabe non raccontano ai bambini che i mostri esistono. I bambini sanno già che i mostri
esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i mostri possono essere uccisi». (G. K. Chesterton,
All Things Considered, 1908).
6
(F. W. Nietzsche, La gaia scienza, in Opere, 1882, vol. V, tomo 2).
7
(ID., Ibid.).
5
Sempre della stessa idea appare Montale leggendo gli ultimi versi de “I limoni”, pronto
ad affermare che qualcosa di bello, questa volta non ricercato, in fondo, c'è:
«[…]
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.»8
Si può poi individuare la reazione religiosa, che si affida alla fede, vedendola
come unica potenziale certezza e rifacendosi in parte alla teoria di Pascal della
scommessa su Dio, rischiando il finito, tanto insignificante, per l’infinito.
Esiste inoltre la figura del pessimista ontologico, che, negando le due
precedenti, non prevede alcuna soluzione allo stato esistenziale dell'uomo, che così è,
era e sarà, rifacendosi all'idea di volontà di vita di Schopenhauer, forza eterna e
ontologica, che spinge l'uomo, primo tra tutti a causa della propria coscienza, al
conflitto.
Infine l'esteta, in parte simile a quest'ultimo, comprende di non avere alcuno
scopo, diritto o garanzia, ma si impegna a creare in se stesso dei miti e delle illusioni,
riconosciute come tali, che possano permettere una “mitigazione della pena”, creando
il bello dove non c'è. È quindi chiaro come la filosofia dell'esteta sia vista da molti
come un puro inganno nei confronti di se stessi al cui termine non può che esserci un
misero fallimento.
8
(E. Montale, I Limoni, in Ossi di seppia, 1925).
6
La Ricerca del Piacere
All’interno dell’ideologia del movimento estetico, la ricerca del piacere ha un
ruolo primario, e arriva a creare una sorta di “religione del bello”. L’esteta agisce
ascoltando ogni comando proveniente dalla volontà di vivere, come venne definita da
Schopenhauer, accettando appieno la vita e cogliendo nell’immediatezza i momenti
della propria esistenza, per trarne in ogni occasione l’istante di piacere nel pendolo
tra dolore e noia.
Un simile parallelismo può essere attuato prendendo in analisi le pulsioni, come più
avanti le chiamerà Freud, di eros e thanatos, amore e morte, che condizionano la
condotta umana, facendo agire l’uomo secondo impulsi primordiali, allontanandosi
progressivamente dai quali, egli intraprende un processo di “incivilimento”, visto dal
padre della psicoanalisi come obiettivo necessario, che contribuirà sicuramente
all’indebolimento dell’uomo, specialmente nei confronti di coloro che, invece, non lo
sceglieranno, ma tuttavia migliore rispetto alla sua alternativa. L’esteta al contrario
sembra propendere per la vita pulsionale, non curandosi né del passato, né del futuro
e ricadendo inevitabilmente in un’ideologia egoistica e incurante di nessuno se non
di se stesso.
Tale prospettiva giunge inevitabilmente ad un netto contrasto con l’etica, come
potranno facilmente testimoniare i protagonisti dei romanzi-manifesto dell’estetismo
letterario, quali “Il piacere” di Gabriele D’Annunzio e “The Picture of Dorian Gray” di
Oscar Wilde, portati ad azioni estremamente discutibili e causa di un progressivo ma
totale distacco dalla propria coscienza.
Nonostante questo, la completa inutilità dei valori morali percepita dall’esteta tende
a giustificare la condotta intrapresa, spingendo l’uomo ad “ubriacarsi di benessere”
anche a spese altrui.
7
Vita Estetica, Etica e Religiosa
Per analizzare la figura dell’esteta è pressoché indispensabile riportare il
pensiero di Søren Aabye Kierkegaard. Nell’opera “Enten-Eller”, tradotta in “Aut-aut”,
il filosofo Danese presenta quelli che egli stesso considera gli stati fondamentali della
vita, o scelte esistenziali, distinguendo una vita estetica, una vita etica e una vita
religiosa.
La vita estetica, tipica dell’esteta, è di chi vive nell’attimo irripetibile,
accogliendo tutto ciò che l’esistenza ha da offrire e rifiutando ciò che ritiene
insignificante e in particolare rifiutando la ripetizione, che, mancando, distingue la
sua vita da una vita regolare.
La figura tipo di cui Kierkegaard si serve per rappresentare l’uomo esteta è quella del
seduttore, in particolare di don Giovanni, protagonista dell’opera di Mozart. Egli non
trae godimento dalla ricerca sfrenata del piacere, ma dalla scelta dei piaceri più intensi,
facendo sorgere il tema della possibilità.
La possibilità, che continuamente si propone all’uomo, ha, secondo Kierkegaard, non
solo un carattere positivo di conseguimento di una della alternative, ma un più grande
carattere negativo di annullamento delle altre, che implica la minaccia del nulla.
Davanti alla possibilità, l’esteta prova il desiderio di rifiutare la scelta e viene
necessariamente condotto alla noia e infine alla disperazione, dovuta all’ansia per una
vita diversa, per la possibilità di conseguire una diversa alternativa. Per questo don
Giovanni non si trova mai appagato dalla propria amante e ne cerca continuamente
una nuova, non a causa dell’inadeguatezza della donna, ma per la sua incapacità di
trovare in una sola donna l’infinità di realizzazione cercata.
Alla definizione di vita estetica, segue quella di vita etica. Essa è
completamente in antitesi con la precedente ed implica come fondamenti la
continuità, la scelta, l’affermazione di sé, e perciò la libertà. Ciò che contraddistingue
la vita etica è la scelta assoluta che l’uomo fa, la “scelta della scelta” che l’esteta rifiuta.
L’uomo etico non può tuttavia rinunciare al suo passato ed è quindi destinato a
passare dal pentimento, per il quale anche la vita etica dimostra la propria
insufficienza.
L’ultima fase è caratterizzata dalla vita religiosa. Essa sospende interamente il
principio morale, distaccandosi completamente dalla vita etica, così come la vita etica
si distacca completamente dalla vita estetica. Per questo la vita religiosa ha un
carattere incerto e rischioso di solitudine e di rottura con gli altri uomini nel rapporto
privato tra l’uomo e Dio, un rapporto con l’assoluto che non contrasta con
l’impossibilità di autosufficienza dell’uomo.
8
La fede è una contraddizione inesplicabile, un paradosso e uno scandalo in cui l’uomo
si abbandona a qualcosa in cui è difficile credere e che è impossibile da dimostrare. Si
rivela un “aiuto che non aiuta”, che mantiene l’uomo nell’inevitabile mancanza di
certezza e lo porta al di là della ragione, costituendosi come capovolgimento
paradossale dell’esistenza.
Capiamo dunque come per Kierkegaard l’estetismo non sia altro che una fase
transitoria dell’esistenza dell’uomo, destinata a raggiungere un’eticità necessaria per
la lotta contro la disperazione, altrimenti inevitabile.
9
L’Esteta nella Società:
il Bohémien e il Dandy
All’interno della società europea, verso
la fine del XIX secolo, l’ideologia dell’esteta
prese un posto concreto tramite le figure
simili, ma con nette distinzioni, del
bohémien e del dandy, la cui origine si ha
rispettivamente in Francia e in Inghilterra.
Il bohémien è tradizionalmente l’artista
libero e anticonformista, l’uomo amante
della vita notturna e, vivendo nella povertà,
a stretto contatto con la classe proletaria,
dei piaceri poveri e materiali.
In stretta opposizione ai canoni e alle
convenzioni della società, il bohémien
crede infatti che essi siano una prigione e
un limite per la volontà e l’immaginazione
e agisce con un atteggiamento di ribellione
ai valori e ai costumi comuni, finendo
spesso per essere identificato con la dipendenza da alcol e droghe, come, famoso al
tempo, l’assenzio, che divenne soggetto di molte opere artistiche e letterarie ritraenti
la società ad esse contemporanea.
Contrariamente al bohémien, il dandy vive nel lusso e nell’agiatezza, parte
dell’aristocrazia che acquisisce un valore non solo materiale, ma anche ideologico, in
quanto élite culturale della società. I valori dell’estetismo che il dandy persegue sono
gli stessi del bohémien, ma i mezzi per raggiungerli sono differenti. Mentre
quest’ultimo ricerca la vita mondana, il dandy si serve dei valori sociali formali, quali
la finezza e l’eleganza, per giungere ad un concetto di piacere completamente
dipendente dalla sua condizione.
Due figure esemplari di dandy sono i protagonisti dei romanzi che successivamente
verranno presi in analisi: Dorian Gray, nell’ambiente della società vittoriana, da “The
Picture of Dorian Gray”, e Andrea Sperelli, in una Roma contornata dai dettagli più
raffinati e ricercati, da “Il piacere”, in tutto e per tutto simili ai propri autori, Oscar
Wilde e Gabriele D’Annunzio, al punto da poter essere considerati quasi controfigure
di essi.
E. Degas, L'assenzio, 1875-76,
olio su tela, Musée d'Orsay, Parigi.
10
La Pittura dei Preraffaeliti
La Confraternita dei Preraffaeliti è una corrente artistica nata in Gran Bretagna
nel 1848, identificandosi come una delle poche forme pittoriche del decadentismo.
L’origine del nome deriva dal totale rifiuto da parte degli esponenti di qualsiasi forma
di pittura posteriore a Raffaello Sanzio, accusato di aver inquinato l'arte esaltando
l'idealizzazione della natura e il sacrificio della realtà in nome della bellezza e dell’arte
strettamente accademica.
Le fondamenta dell’arte preraffaelita si basarono dunque sulle idee di John Ruskin, il
maggior critico europeo del secolo, secondo la prospettiva che l’arte potesse
sopravvivere solo tramite un cambiamento della società ed era proprio questa la
missione dell’artista. Come per l’architettura Ruskin sostenne il Gotico, così per la
pittura sostenne il ritorno ai “primitivi”, i maestri antecedenti a Raffaello e
Michelangelo.
Sotto l’influenza dei principi di Ruskin, i
preraffaeliti si allontanarono dal
contemporaneo mondo industrializzato
per rifugiarsi in un mondo unicamente
dedito al culto della bellezza tramite
semplicità e purezza, rivisitando spesso
temi storici ed arcaizzanti.
Lo stile preraffaelita era principalmente
dedito alla pittura di scene religiose,
paesaggi naturali e di personaggi
femminili. Esso non si basava su
un’imitazione dei pittori anteriori a
Raffaello, ma su un’esaltazione dei valori
spirituali primitivi e sull’aderenza alla
natura, avente una poeticità intrinseca e
detentrice di un messaggio divino,
decifrabile solamente tramite una tecnica
pittorica umile, onesta e accurata. Proprio
per questo il tipico paesaggio naturale o
ritratto preraffaelita è caratterizzato da un
forte realismo pittorico, curato nei minimi
dettagli in una minuziosa cura dei
particolari, dalla mancanza di un rapporto
concreto tra luce e ombra, sostituito invece
da forti colori ed effetti di luci diurne
brillanti.
D. G. Rossetti, Ecce ancilla Domini, 1849–50,
olio su tela,
Tate Britain, Londra.
11
Figura di spicco della Confraternita dei Preraffaeliti fu Dante Gabriel Rossetti, figlio
di un garibaldino, fondatore della poetica della corrente e ritrovatore
dell’idealizzazione della donna in ambito quasi cavalleresco. In “Ecce ancilla Domini”
è facilmente individuabile il messaggio divino preso come soggetto della
rappresentazione, il mistero dell’annunciazione che si rinnova in ogni giovane donna
nell’atto del concepimento.
12
L’Arte Estetica Cinese
Nel pensiero cinese l’estetica è stata da
sempre una disciplina legata all’equilibrio tra la
natura, la mente e lo spirito, a differenza
dell’Occidente, dove inizialmente veniva intesa
come conoscenza opposta e complementare a
quella ottenibile attraverso la mente.
Essendo i caratteri cinesi essenzialmente dei
simboli pittografici, rappresentazioni di oggetti
e figure, esse presentano un elevato grado
d’astrazione. La pittografia dei caratteri
consiste nella funzione simbolica e nel
significato astratto e, grazie alla loro bellezza
lineare, costituì la peculiarità e l’unicità dell’arte
cinese per eccellenza, la calligrafia, non
inferiore alla musica o alla danza.
L’estetica cinese pone in risalto non
tanto l’aspetto cognitivo, quanto piuttosto
presta attenzione alla comunicazione delle
emozioni, alla funzione e al ritmo. L’interesse
per il significato intrinseco delle cose è più
importante della rappresentazione esatta di
esse.
Dipingere per l’artista cinese significa, infatti,
rappresentare le forme dell’universo, il corso dei
mutamenti e dell’evoluzione, lo spirito e
l’essenza di corsi d’acqua e colline, l’azione delle
forze contrastanti della realtà, attraverso il
pennello e l’inchiostro.
Ma è in particolare il vuoto ad avere un importante ruolo. La sua importanza e
funzione è determinante sia per il taoismo, che per il buddhismo: il vuoto è
condizione di possibilità di tutte le forme. È grazie al valore trascendentale del vuoto
che si può cogliere il ritmo del tempo e dello spazio; il vuoto è il luogo d’origine di
ogni forma e immagine. Nella pittura cinese il valore del vuoto si riflette nella
presenza dello spazio bianco che genera ogni forma e segno.
Una forma simile di libertà è consentita dall’uso particolare della prospettiva. Nella
pittura di paesaggio la prospettiva non ha, come in Occidente, un unico punto di fuga,
ma è plurima. Questo particolare uso della prospettiva permette all’occhio di
muoversi liberamente dentro lo spazio e produce una grande dinamicità della
composizione pittorica.
Wang Meng, Pergamena appesa,
Dinastia Yuan (1271–1368), inchiostro e
colore su tela.
13
Alla libertà dalla prospettiva e dal disegno si accosta anche la libertà dal colore, che
viene impiegato per comunicare il senso delle diverse energie degli elementi
rappresentati.
Questi concetti dimostrano come nella pittura cinese, così come nella filosofia,
non vi sia alcuna divisione tra il mondo sensibile e quello intelligibile, tra materiale e
spirituale. Nel gesto pittorico accade l’incontro tra dimensione fisica esteriore e
dimensione spirituale interiore.
14
Oscar Wilde:
Ritratto dell’Età Vittoriana
In ambiente inglese, durante l’età
Vittoriana, il movimento letterario
estetico fu rappresentato al meglio da
Oscar Wilde. Nato nel 1856 a Dublino,
Wilde divenne discepolo del teorico
dell’Estetismo inglese, Walter Pater,
accettando la teoria dell’“arte per l’arte
stessa”.
L’autore è in particolar modo ricordato per
aver scritto il romanzo “The Picture of
Dorian Gray”, insieme ad altri capolavori
letterari e commedie teatrali.
Dorian Gray, protagonista del romanzo, è
la figura estremizzata del dandy,
convertito al culto della bellezza, del
piacere e del desiderio. Nonostante questo,
il romanzo non è una semplice
“propaganda” all’estetismo, ma piuttosto
un avvertimento: per l’esteta non esiste
distinzione tra morale e immorale,
solamente tra ciò che aumenta o che
diminuisce la felicità personale. Dorian
Gray pare avvalersi del solo lato immorale del piacere, gratificando i suoi desideri
tramite l’abbandono, fino a che il suo comportamento non ucciderà gli altri e ucciderà
se stesso, più infelice che mai, facendo pensare ad una rivisitazione del mito di Faust.
Piuttosto che un esempio di puro estetismo, “The Picture of Dorian Gray” è un esempio
di come esso celi molti pericoli, se non seguito con prudenza. L’estetismo, come
afferma Wilde stesso, si allinea troppo spesso unicamente con la comune immoralità,
risultando in un totale isolamento dal resto della società, che non può che condurre
all’isolamento da se stessi.
Oscar Wilde, fotografia scattata da
Napoleon Sarony, New York, 1882.
15
Una diversa interpretazione consiste nel far coincidere l’idea dell’autore con quella
del personaggio di Lord Henry, che parlando al giovane Dorian, dirà:
«Siamo puniti per i nostri rifiuti. Ogni impulso che cerchiamo di soffocare fermenta
nella nostra mente e ci avvelena»9
.
Wilde, tramite Lord Henry, attacca la società della contemporanea età Vittoriana e la
moralità che necessiti del rifiuto di sé e di tutto ciò che c’è di più bello nella vita, non
lasciando altre alternative che non portino all’autodistruzione.
Qualunque sia l’interpretazione scelta, è innegabile che Dorian Gray possa
essere, entro certi limiti, l’alter ego dell’autore, che visse sempre come ribelle e dandy,
affermando che la sua vita doveva essere condotta come un’opera d’arte e scrivendo
nella prefazione al romanzo che «non esistono libri morali o libri immorali. I libri sono
scritti bene o male».
9
O. Wilde, The Picture of Dorian Gray.
16
Gabriele D’Annunzio:
Da Esteta a Superuomo
È Gabriele D’Annunzio il primo
letterato italiano a dare uno sguardo
oltralpe, entrando in contatto con il
contesto culturale della fine del XIX secolo
e portando le sue novità all’interno della
letteratura italiana. Spaziando dal
positivismo alle teorie di Darwin,
D’Annunzio deriverà una concezione del
mondo e della vita tendente al
materialismo e all’ateismo, che in seguito
spingerà le sue idee verso il vitalismo del
superomismo.
Seguendo le idee di Nietzsche,
D’Annunzio concepisce la vita come un
eterno e ciclico divenire fine a se stesso,
non animato da alcun principio metafisico
o religioso, e per questo sviluppa l’idea che
essa debba essere vissuta per se stessa, con
atteggiamento egoistico e, se necessario,
amorale, mantenendo come unico
assoluto l’io superomistico.
Nel 1889 D’Annunzio pubblica “Il piacere”, il suo romanzo più noto, superando
completamente il Naturalismo che aveva caratterizzato le opere precedenti.
Il protagonista, Andrea Sperelli è un giovane nobile, attratto dall’amore di due donne.
Ogni sua parola, ogni oggetto, minuziosamente descritto, che adorna la sua casa, non
ha valore di per sé, ma in quanto contribuisce a rendere la sua esistenza qualcosa di
esemplare, da mostrare agli altri. Di fronte alla mediocrità borghese reagisce infatti
subordinando ogni valore all’arte e alla bellezza, secondo l’ideale dell’autore stesso.
Andrea Sperelli, non vive una vita secondo le regole della morale, bensì seguendo delle
regole nuove: “le regole del bello”. Non ha più importanza il punto di vista etico; la
menzogna, i compromessi, le parole, servono per arrivare ad uno scopo, per arrivare
a conquistare e a far abbandonare la vittima, la donna, manipolandola e creando per
l’incontro con lei un adeguato scenario.
17
«Questo delicato istrione (Andrea Sperelli) non comprendeva la comedia dell’amore
senza gli scenari. Perciò la sua casa era un perfettissimo teatro; ed egli era un abilissimo
apparecchiatore».10
La donna è ciò che il protagonista desidera. Non appagato dalla prima, Elena, la donna
fatale dalla sensualità viziosa, è portato alla ricerca della seconda, Maria, la donna
pura e prettamente stilnovista, senza limitarsi nel desiderare una terza. Ma
nonostante l’abilità del giovane, egli viene abbandonato da entrambe e la sua storia si
chiude nella solitudine.
È infatti importante sottolineare come Andrea Sperelli fosse, secondo le idee di
D’Annunzio, destinato a fallire nel tentativo di raggiungere la totale realizzazione, che
solo più avanti verrà definita con la figura del superuomo. Il culto dell’io non deve
essere perseguito solamente nella vita personale, ma in ciascuna realtà, da quella
artistica a quella storica, come l’autore stesso tenterà nel corso della sua vita, con la
sua raccolta letteraria, ma anche tramite una forte presa di posizione politica, che lo
porterà ad azioni concrete come l’impresa di Fiume o i discorsi per l’interventismo
nella prima guerra mondiale, tra i quali quello che segue:
«[…] Accesa è tuttavia l'immensa chiusa fornace, o gente nostra, o fratelli, e che accesa
resti vuole il nostro Genio, e che il fuoco ansi e che il fuoco fatichi finché tutto il metallo
si strugga, finché la colata sia pronta, finché l'urto del ferro apra il varco al sangue
rovente della resurrezione. […]».11
Non sarà solo Andrea Sperelli a fallire nel suo tentativo, ma con lui anche i
protagonisti dei romanzi successivi, “Trionfo della morte”, “Le vergini delle rocce”, “Il
fuoco”, che tenteranno di realizzarsi in contesti singoli.
Nel 1892 D’Annunzio conosce Nietzsche, leggendo alcuni suoi scritti. Nasce
così, nella poetica dannunziana, il mito del superuomo. Tralasciando il punto di vista
filosofico, lo scrittore si accosta a Nietzsche solamente da quello pratico e dei modelli
di vita, rielaborando la mitologia dell’istinto violento e della volontà di potenza.
Il superomismo costituisce, per D’Annunzio, un’aristocrazia ideologica che abbia
anche valore sociale, tramite la capacità di fare proprio lo “spirito dionisiaco”,
nell’affermazione di sé e della propria superiorità.
10
G. D’Annunzio, Il piacere.
11
Orazione di G. D’Annunzio al popolo italiano, 3 maggio 1915.
18
La poetica superomistica dell’autore si chiude con le “Laudi”, composte da tre libri,
“Maia”, “Elettra” e “Alcyone”. Quest’ultimo libro, incentrato completamente su una
poetica della parola, non significativa, ma musicale, perché, come affermò lo stesso
D’Annunzio,
«La base indispensabile di ogni espressione artistica che tende alla perfezione è la Parola.
La musica è il principio e la fine del linguaggio parlato»,
costituisce il capolavoro lirico di D’Annunzio, nel quale appare per la prima volta
l’esperienza panica di unione tra uomo e natura, morte e rinascita, che permette il
passaggio da esteta a superuomo.
«[…]
E l'alpi e l'isole e i golfi
e i capi e i fari e i boschi
e le foci ch'io nomai
non han più l'usato nome
che suona in labbra umane.
Non ho più nome né sorte
tra gli uomini; ma il mio nome
è Meriggio. In tutto io vivo
tacito come la Morte.
E la mia vita è divina.»12
12
G. D’Annunzio, Meriggio, in Alcyone, Garzanti, Milano 1988.

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Tesina - L'Estetismo e il conflitto con la Morale

  • 1. Giovanni Bozzano | Liceo Scientifico Giacomo Ulivi - Parma | Esame di Stato 2013-2014 L’Estetismo E IL CONFLITTO CON LA MORALE D. G. Rossetti, The Day Dream, 1880, olio su tela, Victoria and Albert Museum, Londra.
  • 2. 1 INDICE  Introduzione  Storia dell’Estetismo  Le Reazioni al Nulla  La Ricerca del Piacere  Vita Estetica, Etica e Religiosa  L’Esteta nella Società: il Bohémien e il Dandy  La Pittura dei Preraffaeliti  L’Arte Estetica Cinese  Oscar Wilde: Ritratto dell’Età Vittoriana  Gabriele D’Annunzio: Da Esteta a Superuomo
  • 3. 2 Introduzione Lo scopo di questa tesi è di affrontare il tema dell’estetismo nella specifica conflittualità tra i suoi caratteri e l’etica, iniziando dal fornire alcune definizioni. Il movimento dell’estetismo fonda le sue radici sul termine estetica, dal greco aisthesis, “sensazione”, che indica e circoscrive l’azione di percezione del bello con la conseguente sollecitazione a provare emozioni, la “dottrina della conoscenza sensibile” o nel suo significato più moderno, come la definì il filosofo tedesco Baumgarten nel 1700, “dottrina dell’arte”. L’estetismo è il movimento artistico e letterario che pone i valori estetici al vertice, considerando la vita come ricerca e culto del bello. L’etica, dal greco, èthos, “comportamento”, “costume”, è la ricerca dei criteri secondo i quali un individuo può vivere ed agire nel rispetto e secondo il bene degli altri. Secondo la definizione di Kant, presupponendo che la massima è una prescrizione di valore soggettivo, l’etica, coincidente con la legge morale, è la prescrizione, raggiunta tramite la ragione, di agire secondo una massima che possa valere per tutti, ed essa viene definita tramite tre formule: «agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale»1 ; «agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo»2 ; «la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice»3 . Nelle seguenti pagine verrà quindi presentato il contrasto tra l’ideologia tipica dell’esteta e l’eticità, affrontato specialmente nel XIX secolo da filosofi e letterati. 1 (I. Kant, Critica della ragion pratica, 1788, A 54). 2 (ID., Fondazione della metafisica dei costumi, 1785, BA 67). 3 (ID., Ibid., BA 76).
  • 4. 3 Storia dell’Estetismo L’estetismo, come movimento artistico, letterario, culturale e filosofico si sviluppò in Europa nella seconda metà del XIX secolo come ramo del Decadentismo grazie a figure come Walter Pater e John Ruskin e, nella pittura, grazie all’influenza dei Preraffaeliti. La prima forma di estetismo si ebbe in Francia, per opera dei bohémien, gruppi di giovani sulle orme del letterato Baudelaire alla ricerca di un netto rinnovamento culturale rispetto alle correnti precedenti. Mentre nella pittura fu di primaria importanza la corrente dei Preraffaeliti, nata nel 1848 e sviluppatasi in Gran Bretagna, il primo modello di romanzo dell’estetismo è invece identificabile con “A rebours” di Joris-Karl Huysmans, del 1884. Il protagonista, membro di una nobile e ricca famiglia avviata alla decadenza, cerca di rendere sopportabile la propria vita tramite “una sola passione, la donna”, ricavandone solamente una delusione. Sceglie dunque di vivere la sua vita in solitudine, nella raffinatezza e finezza della sua casa, dedito esclusivamente alla culto della bellezza. Con questo personaggio, Huysmans dà vita a un nuovo mito decadente: l’eroe esteta, spregiatore della volgarità della società industriale e borghese, antidemocratico e cultore dell’arte come bellezza assoluta, aristocratica e raffinata, propugnatore dell’arte fine a se stessa contro ogni principio utilitaristico e moralistico, frustrato nella sua ricerca estrema di un bello puro e artificioso dalla mediocrità del mondo contemporaneo. La corrente letteraria estetica si sviluppò poi in Italia e in Inghilterra con Gabriele D’Annunzio e Oscar Wilde. Come corrente filosofica, l’estetismo fu avviato da John Ruskin, sviluppato nella filosofia di Søren Aabye Kierkegaard e di Gabriele D’Annunzio, riprendendo quella di Friedrich Nietzsche.
  • 5. 4 Le Reazioni al Nulla L'estetismo prende posto tra le razioni che l’uomo nichilista intraprende nei confronti del nulla che riconosce essere la vita. Può perciò essere individuato tra quattro ideologie tipiche del nichilismo: Tra di esse si può distinguere quella idealista, speranzosa, o comunque attiva nello sforzo di un cambiamento per il meglio, l’ideologia dell’eroe moderno, pienamente presentata quando, alla sentenza di Nietzsche «Dio è morto», Dostoevskij risponde che allora «tutto è permesso», intendendo Dio come l’insieme dei valori che ha in passato guidato l’umanità e affidando ora all'uomo tutte le responsabilità del suo destino. Quando Svevo scrive «La vita attuale è inquinata alle radici»4 , intende infatti proporre una prospettiva futura diversa dalla catastrofe purificatrice prevista come tappa finale dell’uomo. Volendo sottolineare la volontà di cambiamento, è possibile citare lo scrittore e filosofo inglese Chesterton: «Fairy Tales are blamed for teaching children that there are such things as monsters. Children already know that there are monsters. What Fairy Tales really teach is that monsters can be killed»5 , ad intendere che ogni uomo, anche il filosofo stesso, ha il compito di “salpare” alla ricerca di nuovi valori: «Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi!... […] e non esiste più “terra” alcuna!»6 ; «Anche la terra della morale è rotonda!... c’è ancora un altro mondo da scoprire: e più d’uno! Via sulle navi, filosofi!»7 . 4 (I. Svevo, La coscienza di Zeno, Bompiani, Milano 1988, p. 471). 5 «Le fiabe non raccontano ai bambini che i mostri esistono. I bambini sanno già che i mostri esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i mostri possono essere uccisi». (G. K. Chesterton, All Things Considered, 1908). 6 (F. W. Nietzsche, La gaia scienza, in Opere, 1882, vol. V, tomo 2). 7 (ID., Ibid.).
  • 6. 5 Sempre della stessa idea appare Montale leggendo gli ultimi versi de “I limoni”, pronto ad affermare che qualcosa di bello, questa volta non ricercato, in fondo, c'è: «[…] Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo del cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d'oro della solarità.»8 Si può poi individuare la reazione religiosa, che si affida alla fede, vedendola come unica potenziale certezza e rifacendosi in parte alla teoria di Pascal della scommessa su Dio, rischiando il finito, tanto insignificante, per l’infinito. Esiste inoltre la figura del pessimista ontologico, che, negando le due precedenti, non prevede alcuna soluzione allo stato esistenziale dell'uomo, che così è, era e sarà, rifacendosi all'idea di volontà di vita di Schopenhauer, forza eterna e ontologica, che spinge l'uomo, primo tra tutti a causa della propria coscienza, al conflitto. Infine l'esteta, in parte simile a quest'ultimo, comprende di non avere alcuno scopo, diritto o garanzia, ma si impegna a creare in se stesso dei miti e delle illusioni, riconosciute come tali, che possano permettere una “mitigazione della pena”, creando il bello dove non c'è. È quindi chiaro come la filosofia dell'esteta sia vista da molti come un puro inganno nei confronti di se stessi al cui termine non può che esserci un misero fallimento. 8 (E. Montale, I Limoni, in Ossi di seppia, 1925).
  • 7. 6 La Ricerca del Piacere All’interno dell’ideologia del movimento estetico, la ricerca del piacere ha un ruolo primario, e arriva a creare una sorta di “religione del bello”. L’esteta agisce ascoltando ogni comando proveniente dalla volontà di vivere, come venne definita da Schopenhauer, accettando appieno la vita e cogliendo nell’immediatezza i momenti della propria esistenza, per trarne in ogni occasione l’istante di piacere nel pendolo tra dolore e noia. Un simile parallelismo può essere attuato prendendo in analisi le pulsioni, come più avanti le chiamerà Freud, di eros e thanatos, amore e morte, che condizionano la condotta umana, facendo agire l’uomo secondo impulsi primordiali, allontanandosi progressivamente dai quali, egli intraprende un processo di “incivilimento”, visto dal padre della psicoanalisi come obiettivo necessario, che contribuirà sicuramente all’indebolimento dell’uomo, specialmente nei confronti di coloro che, invece, non lo sceglieranno, ma tuttavia migliore rispetto alla sua alternativa. L’esteta al contrario sembra propendere per la vita pulsionale, non curandosi né del passato, né del futuro e ricadendo inevitabilmente in un’ideologia egoistica e incurante di nessuno se non di se stesso. Tale prospettiva giunge inevitabilmente ad un netto contrasto con l’etica, come potranno facilmente testimoniare i protagonisti dei romanzi-manifesto dell’estetismo letterario, quali “Il piacere” di Gabriele D’Annunzio e “The Picture of Dorian Gray” di Oscar Wilde, portati ad azioni estremamente discutibili e causa di un progressivo ma totale distacco dalla propria coscienza. Nonostante questo, la completa inutilità dei valori morali percepita dall’esteta tende a giustificare la condotta intrapresa, spingendo l’uomo ad “ubriacarsi di benessere” anche a spese altrui.
  • 8. 7 Vita Estetica, Etica e Religiosa Per analizzare la figura dell’esteta è pressoché indispensabile riportare il pensiero di Søren Aabye Kierkegaard. Nell’opera “Enten-Eller”, tradotta in “Aut-aut”, il filosofo Danese presenta quelli che egli stesso considera gli stati fondamentali della vita, o scelte esistenziali, distinguendo una vita estetica, una vita etica e una vita religiosa. La vita estetica, tipica dell’esteta, è di chi vive nell’attimo irripetibile, accogliendo tutto ciò che l’esistenza ha da offrire e rifiutando ciò che ritiene insignificante e in particolare rifiutando la ripetizione, che, mancando, distingue la sua vita da una vita regolare. La figura tipo di cui Kierkegaard si serve per rappresentare l’uomo esteta è quella del seduttore, in particolare di don Giovanni, protagonista dell’opera di Mozart. Egli non trae godimento dalla ricerca sfrenata del piacere, ma dalla scelta dei piaceri più intensi, facendo sorgere il tema della possibilità. La possibilità, che continuamente si propone all’uomo, ha, secondo Kierkegaard, non solo un carattere positivo di conseguimento di una della alternative, ma un più grande carattere negativo di annullamento delle altre, che implica la minaccia del nulla. Davanti alla possibilità, l’esteta prova il desiderio di rifiutare la scelta e viene necessariamente condotto alla noia e infine alla disperazione, dovuta all’ansia per una vita diversa, per la possibilità di conseguire una diversa alternativa. Per questo don Giovanni non si trova mai appagato dalla propria amante e ne cerca continuamente una nuova, non a causa dell’inadeguatezza della donna, ma per la sua incapacità di trovare in una sola donna l’infinità di realizzazione cercata. Alla definizione di vita estetica, segue quella di vita etica. Essa è completamente in antitesi con la precedente ed implica come fondamenti la continuità, la scelta, l’affermazione di sé, e perciò la libertà. Ciò che contraddistingue la vita etica è la scelta assoluta che l’uomo fa, la “scelta della scelta” che l’esteta rifiuta. L’uomo etico non può tuttavia rinunciare al suo passato ed è quindi destinato a passare dal pentimento, per il quale anche la vita etica dimostra la propria insufficienza. L’ultima fase è caratterizzata dalla vita religiosa. Essa sospende interamente il principio morale, distaccandosi completamente dalla vita etica, così come la vita etica si distacca completamente dalla vita estetica. Per questo la vita religiosa ha un carattere incerto e rischioso di solitudine e di rottura con gli altri uomini nel rapporto privato tra l’uomo e Dio, un rapporto con l’assoluto che non contrasta con l’impossibilità di autosufficienza dell’uomo.
  • 9. 8 La fede è una contraddizione inesplicabile, un paradosso e uno scandalo in cui l’uomo si abbandona a qualcosa in cui è difficile credere e che è impossibile da dimostrare. Si rivela un “aiuto che non aiuta”, che mantiene l’uomo nell’inevitabile mancanza di certezza e lo porta al di là della ragione, costituendosi come capovolgimento paradossale dell’esistenza. Capiamo dunque come per Kierkegaard l’estetismo non sia altro che una fase transitoria dell’esistenza dell’uomo, destinata a raggiungere un’eticità necessaria per la lotta contro la disperazione, altrimenti inevitabile.
  • 10. 9 L’Esteta nella Società: il Bohémien e il Dandy All’interno della società europea, verso la fine del XIX secolo, l’ideologia dell’esteta prese un posto concreto tramite le figure simili, ma con nette distinzioni, del bohémien e del dandy, la cui origine si ha rispettivamente in Francia e in Inghilterra. Il bohémien è tradizionalmente l’artista libero e anticonformista, l’uomo amante della vita notturna e, vivendo nella povertà, a stretto contatto con la classe proletaria, dei piaceri poveri e materiali. In stretta opposizione ai canoni e alle convenzioni della società, il bohémien crede infatti che essi siano una prigione e un limite per la volontà e l’immaginazione e agisce con un atteggiamento di ribellione ai valori e ai costumi comuni, finendo spesso per essere identificato con la dipendenza da alcol e droghe, come, famoso al tempo, l’assenzio, che divenne soggetto di molte opere artistiche e letterarie ritraenti la società ad esse contemporanea. Contrariamente al bohémien, il dandy vive nel lusso e nell’agiatezza, parte dell’aristocrazia che acquisisce un valore non solo materiale, ma anche ideologico, in quanto élite culturale della società. I valori dell’estetismo che il dandy persegue sono gli stessi del bohémien, ma i mezzi per raggiungerli sono differenti. Mentre quest’ultimo ricerca la vita mondana, il dandy si serve dei valori sociali formali, quali la finezza e l’eleganza, per giungere ad un concetto di piacere completamente dipendente dalla sua condizione. Due figure esemplari di dandy sono i protagonisti dei romanzi che successivamente verranno presi in analisi: Dorian Gray, nell’ambiente della società vittoriana, da “The Picture of Dorian Gray”, e Andrea Sperelli, in una Roma contornata dai dettagli più raffinati e ricercati, da “Il piacere”, in tutto e per tutto simili ai propri autori, Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio, al punto da poter essere considerati quasi controfigure di essi. E. Degas, L'assenzio, 1875-76, olio su tela, Musée d'Orsay, Parigi.
  • 11. 10 La Pittura dei Preraffaeliti La Confraternita dei Preraffaeliti è una corrente artistica nata in Gran Bretagna nel 1848, identificandosi come una delle poche forme pittoriche del decadentismo. L’origine del nome deriva dal totale rifiuto da parte degli esponenti di qualsiasi forma di pittura posteriore a Raffaello Sanzio, accusato di aver inquinato l'arte esaltando l'idealizzazione della natura e il sacrificio della realtà in nome della bellezza e dell’arte strettamente accademica. Le fondamenta dell’arte preraffaelita si basarono dunque sulle idee di John Ruskin, il maggior critico europeo del secolo, secondo la prospettiva che l’arte potesse sopravvivere solo tramite un cambiamento della società ed era proprio questa la missione dell’artista. Come per l’architettura Ruskin sostenne il Gotico, così per la pittura sostenne il ritorno ai “primitivi”, i maestri antecedenti a Raffaello e Michelangelo. Sotto l’influenza dei principi di Ruskin, i preraffaeliti si allontanarono dal contemporaneo mondo industrializzato per rifugiarsi in un mondo unicamente dedito al culto della bellezza tramite semplicità e purezza, rivisitando spesso temi storici ed arcaizzanti. Lo stile preraffaelita era principalmente dedito alla pittura di scene religiose, paesaggi naturali e di personaggi femminili. Esso non si basava su un’imitazione dei pittori anteriori a Raffaello, ma su un’esaltazione dei valori spirituali primitivi e sull’aderenza alla natura, avente una poeticità intrinseca e detentrice di un messaggio divino, decifrabile solamente tramite una tecnica pittorica umile, onesta e accurata. Proprio per questo il tipico paesaggio naturale o ritratto preraffaelita è caratterizzato da un forte realismo pittorico, curato nei minimi dettagli in una minuziosa cura dei particolari, dalla mancanza di un rapporto concreto tra luce e ombra, sostituito invece da forti colori ed effetti di luci diurne brillanti. D. G. Rossetti, Ecce ancilla Domini, 1849–50, olio su tela, Tate Britain, Londra.
  • 12. 11 Figura di spicco della Confraternita dei Preraffaeliti fu Dante Gabriel Rossetti, figlio di un garibaldino, fondatore della poetica della corrente e ritrovatore dell’idealizzazione della donna in ambito quasi cavalleresco. In “Ecce ancilla Domini” è facilmente individuabile il messaggio divino preso come soggetto della rappresentazione, il mistero dell’annunciazione che si rinnova in ogni giovane donna nell’atto del concepimento.
  • 13. 12 L’Arte Estetica Cinese Nel pensiero cinese l’estetica è stata da sempre una disciplina legata all’equilibrio tra la natura, la mente e lo spirito, a differenza dell’Occidente, dove inizialmente veniva intesa come conoscenza opposta e complementare a quella ottenibile attraverso la mente. Essendo i caratteri cinesi essenzialmente dei simboli pittografici, rappresentazioni di oggetti e figure, esse presentano un elevato grado d’astrazione. La pittografia dei caratteri consiste nella funzione simbolica e nel significato astratto e, grazie alla loro bellezza lineare, costituì la peculiarità e l’unicità dell’arte cinese per eccellenza, la calligrafia, non inferiore alla musica o alla danza. L’estetica cinese pone in risalto non tanto l’aspetto cognitivo, quanto piuttosto presta attenzione alla comunicazione delle emozioni, alla funzione e al ritmo. L’interesse per il significato intrinseco delle cose è più importante della rappresentazione esatta di esse. Dipingere per l’artista cinese significa, infatti, rappresentare le forme dell’universo, il corso dei mutamenti e dell’evoluzione, lo spirito e l’essenza di corsi d’acqua e colline, l’azione delle forze contrastanti della realtà, attraverso il pennello e l’inchiostro. Ma è in particolare il vuoto ad avere un importante ruolo. La sua importanza e funzione è determinante sia per il taoismo, che per il buddhismo: il vuoto è condizione di possibilità di tutte le forme. È grazie al valore trascendentale del vuoto che si può cogliere il ritmo del tempo e dello spazio; il vuoto è il luogo d’origine di ogni forma e immagine. Nella pittura cinese il valore del vuoto si riflette nella presenza dello spazio bianco che genera ogni forma e segno. Una forma simile di libertà è consentita dall’uso particolare della prospettiva. Nella pittura di paesaggio la prospettiva non ha, come in Occidente, un unico punto di fuga, ma è plurima. Questo particolare uso della prospettiva permette all’occhio di muoversi liberamente dentro lo spazio e produce una grande dinamicità della composizione pittorica. Wang Meng, Pergamena appesa, Dinastia Yuan (1271–1368), inchiostro e colore su tela.
  • 14. 13 Alla libertà dalla prospettiva e dal disegno si accosta anche la libertà dal colore, che viene impiegato per comunicare il senso delle diverse energie degli elementi rappresentati. Questi concetti dimostrano come nella pittura cinese, così come nella filosofia, non vi sia alcuna divisione tra il mondo sensibile e quello intelligibile, tra materiale e spirituale. Nel gesto pittorico accade l’incontro tra dimensione fisica esteriore e dimensione spirituale interiore.
  • 15. 14 Oscar Wilde: Ritratto dell’Età Vittoriana In ambiente inglese, durante l’età Vittoriana, il movimento letterario estetico fu rappresentato al meglio da Oscar Wilde. Nato nel 1856 a Dublino, Wilde divenne discepolo del teorico dell’Estetismo inglese, Walter Pater, accettando la teoria dell’“arte per l’arte stessa”. L’autore è in particolar modo ricordato per aver scritto il romanzo “The Picture of Dorian Gray”, insieme ad altri capolavori letterari e commedie teatrali. Dorian Gray, protagonista del romanzo, è la figura estremizzata del dandy, convertito al culto della bellezza, del piacere e del desiderio. Nonostante questo, il romanzo non è una semplice “propaganda” all’estetismo, ma piuttosto un avvertimento: per l’esteta non esiste distinzione tra morale e immorale, solamente tra ciò che aumenta o che diminuisce la felicità personale. Dorian Gray pare avvalersi del solo lato immorale del piacere, gratificando i suoi desideri tramite l’abbandono, fino a che il suo comportamento non ucciderà gli altri e ucciderà se stesso, più infelice che mai, facendo pensare ad una rivisitazione del mito di Faust. Piuttosto che un esempio di puro estetismo, “The Picture of Dorian Gray” è un esempio di come esso celi molti pericoli, se non seguito con prudenza. L’estetismo, come afferma Wilde stesso, si allinea troppo spesso unicamente con la comune immoralità, risultando in un totale isolamento dal resto della società, che non può che condurre all’isolamento da se stessi. Oscar Wilde, fotografia scattata da Napoleon Sarony, New York, 1882.
  • 16. 15 Una diversa interpretazione consiste nel far coincidere l’idea dell’autore con quella del personaggio di Lord Henry, che parlando al giovane Dorian, dirà: «Siamo puniti per i nostri rifiuti. Ogni impulso che cerchiamo di soffocare fermenta nella nostra mente e ci avvelena»9 . Wilde, tramite Lord Henry, attacca la società della contemporanea età Vittoriana e la moralità che necessiti del rifiuto di sé e di tutto ciò che c’è di più bello nella vita, non lasciando altre alternative che non portino all’autodistruzione. Qualunque sia l’interpretazione scelta, è innegabile che Dorian Gray possa essere, entro certi limiti, l’alter ego dell’autore, che visse sempre come ribelle e dandy, affermando che la sua vita doveva essere condotta come un’opera d’arte e scrivendo nella prefazione al romanzo che «non esistono libri morali o libri immorali. I libri sono scritti bene o male». 9 O. Wilde, The Picture of Dorian Gray.
  • 17. 16 Gabriele D’Annunzio: Da Esteta a Superuomo È Gabriele D’Annunzio il primo letterato italiano a dare uno sguardo oltralpe, entrando in contatto con il contesto culturale della fine del XIX secolo e portando le sue novità all’interno della letteratura italiana. Spaziando dal positivismo alle teorie di Darwin, D’Annunzio deriverà una concezione del mondo e della vita tendente al materialismo e all’ateismo, che in seguito spingerà le sue idee verso il vitalismo del superomismo. Seguendo le idee di Nietzsche, D’Annunzio concepisce la vita come un eterno e ciclico divenire fine a se stesso, non animato da alcun principio metafisico o religioso, e per questo sviluppa l’idea che essa debba essere vissuta per se stessa, con atteggiamento egoistico e, se necessario, amorale, mantenendo come unico assoluto l’io superomistico. Nel 1889 D’Annunzio pubblica “Il piacere”, il suo romanzo più noto, superando completamente il Naturalismo che aveva caratterizzato le opere precedenti. Il protagonista, Andrea Sperelli è un giovane nobile, attratto dall’amore di due donne. Ogni sua parola, ogni oggetto, minuziosamente descritto, che adorna la sua casa, non ha valore di per sé, ma in quanto contribuisce a rendere la sua esistenza qualcosa di esemplare, da mostrare agli altri. Di fronte alla mediocrità borghese reagisce infatti subordinando ogni valore all’arte e alla bellezza, secondo l’ideale dell’autore stesso. Andrea Sperelli, non vive una vita secondo le regole della morale, bensì seguendo delle regole nuove: “le regole del bello”. Non ha più importanza il punto di vista etico; la menzogna, i compromessi, le parole, servono per arrivare ad uno scopo, per arrivare a conquistare e a far abbandonare la vittima, la donna, manipolandola e creando per l’incontro con lei un adeguato scenario.
  • 18. 17 «Questo delicato istrione (Andrea Sperelli) non comprendeva la comedia dell’amore senza gli scenari. Perciò la sua casa era un perfettissimo teatro; ed egli era un abilissimo apparecchiatore».10 La donna è ciò che il protagonista desidera. Non appagato dalla prima, Elena, la donna fatale dalla sensualità viziosa, è portato alla ricerca della seconda, Maria, la donna pura e prettamente stilnovista, senza limitarsi nel desiderare una terza. Ma nonostante l’abilità del giovane, egli viene abbandonato da entrambe e la sua storia si chiude nella solitudine. È infatti importante sottolineare come Andrea Sperelli fosse, secondo le idee di D’Annunzio, destinato a fallire nel tentativo di raggiungere la totale realizzazione, che solo più avanti verrà definita con la figura del superuomo. Il culto dell’io non deve essere perseguito solamente nella vita personale, ma in ciascuna realtà, da quella artistica a quella storica, come l’autore stesso tenterà nel corso della sua vita, con la sua raccolta letteraria, ma anche tramite una forte presa di posizione politica, che lo porterà ad azioni concrete come l’impresa di Fiume o i discorsi per l’interventismo nella prima guerra mondiale, tra i quali quello che segue: «[…] Accesa è tuttavia l'immensa chiusa fornace, o gente nostra, o fratelli, e che accesa resti vuole il nostro Genio, e che il fuoco ansi e che il fuoco fatichi finché tutto il metallo si strugga, finché la colata sia pronta, finché l'urto del ferro apra il varco al sangue rovente della resurrezione. […]».11 Non sarà solo Andrea Sperelli a fallire nel suo tentativo, ma con lui anche i protagonisti dei romanzi successivi, “Trionfo della morte”, “Le vergini delle rocce”, “Il fuoco”, che tenteranno di realizzarsi in contesti singoli. Nel 1892 D’Annunzio conosce Nietzsche, leggendo alcuni suoi scritti. Nasce così, nella poetica dannunziana, il mito del superuomo. Tralasciando il punto di vista filosofico, lo scrittore si accosta a Nietzsche solamente da quello pratico e dei modelli di vita, rielaborando la mitologia dell’istinto violento e della volontà di potenza. Il superomismo costituisce, per D’Annunzio, un’aristocrazia ideologica che abbia anche valore sociale, tramite la capacità di fare proprio lo “spirito dionisiaco”, nell’affermazione di sé e della propria superiorità. 10 G. D’Annunzio, Il piacere. 11 Orazione di G. D’Annunzio al popolo italiano, 3 maggio 1915.
  • 19. 18 La poetica superomistica dell’autore si chiude con le “Laudi”, composte da tre libri, “Maia”, “Elettra” e “Alcyone”. Quest’ultimo libro, incentrato completamente su una poetica della parola, non significativa, ma musicale, perché, come affermò lo stesso D’Annunzio, «La base indispensabile di ogni espressione artistica che tende alla perfezione è la Parola. La musica è il principio e la fine del linguaggio parlato», costituisce il capolavoro lirico di D’Annunzio, nel quale appare per la prima volta l’esperienza panica di unione tra uomo e natura, morte e rinascita, che permette il passaggio da esteta a superuomo. «[…] E l'alpi e l'isole e i golfi e i capi e i fari e i boschi e le foci ch'io nomai non han più l'usato nome che suona in labbra umane. Non ho più nome né sorte tra gli uomini; ma il mio nome è Meriggio. In tutto io vivo tacito come la Morte. E la mia vita è divina.»12 12 G. D’Annunzio, Meriggio, in Alcyone, Garzanti, Milano 1988.