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Pratiche
Le logiche della condivisione, della cooperazione, l’autogestione. Le
produzioni sociali e le esperienze dell’open source, le economie della
condivisione, del dono, stampanti 3D, smart-contracts, ecc…
Corso di formazione politica
IL FUTURO E’ GIA’ QUI, SOLO CHE E’ MAL DISTRIBUITO
2
Digitale e politica
Una formazione politica che voglia innestarsi nel solco del movimento operaio del novecento, e tenti di interpretare le
trasformazioni della società nel nuovo millennio, deve basare la sua analisi sui profondi effetti dell’innovazione tecnologica
sul ciclo produttivo, sugli stili di vita, sulle relazione tra esseri umani, sul rapporto uomo e natura, sulla sfera della
comunicazione, su tutto l’immaginario e sulla modifica stessa della percezione del senso della vita.
Comprendere le conseguenti minacce verso la cittadinanza, non solo in termini di privacy, ma soprattutto di inibizione del
potere democratico e di sudditanza decisionale ed economica, ma cogliere anche le nuove contraddizioni e le nuove
possibilità di liberazione.
Occorre inserirsi nelle nuove dinamiche del digitale, per intraprendere una battaglia di trasformazione, perché il digitale
possa convertirsi da formidabile strumento di dominio a mezzo di emancipazione
3
Il digitale come strumento del capitalismo
Con la fine dell’esperienza del socialismo reale, terminate le necessità di contenere la
spinta del movimento operaio, si è chiuso il periodo contraddistinto dal compromesso
capitale-lavoro, basato sul tentativo di inibizione della competizione tra capitali
internazionali ed il sostegno alla domanda per reggere il consumo, garantendo diritti e
potere d’acquisto alla classe lavoratrice
Modificate le condizioni geopolitiche, il capitalismo ha ripreso a correre, portando ad una
esasperazione del conflitto di classe ed alla storica sconfitta del movimento operaio.
L’innovazione tecnologica ha assunto il ruolo di strumento principe: ha pervaso il ciclo
produttivo, ha trasformato i rapporti tra le classi, ha reciso ogni freno inibitorio da parte
dei rappresentanti del capitale e della finanza e innescato il cosiddetto
“turbocapitalismo”.
4
Il digitale come strumento del capitalismo
E’ ripresa la competizione tra capitali e si è passati da un modello economico basato sul sostegno alla domanda
interna ad uno basato sull’esportazione, sulla conquista dei mercati internazionali, sulla diminuzione dei costi e
sulla libera circolazione di merci e capitali.
Come previsto da Marx, l’innovazione tecnologica nel ciclo produttivo si è sostanziata nella continua
sostituzione del lavoro vivo con quello delle macchine, ovvero l’aumento incessante della Composizione organica
del capitale, e dal parallelo aumento del saggio di sfruttamento (tramite anche lo spostamento della produzione
in paesi dove i salari sono più bassi).
Non è più interesse del capitale sostenere la domanda interna (e quindi mantenere i salari sopra una certa
soglia), ma solo aumentare la produttività e diminuire i costi di produzione e distribuzione per rimanere
competitivi sui mercati internazionali.
Flessibilità, perdita dei diritti, precarizzazione, frammentazione del mondo del lavoro, delocalizzazione,
disoccupazione di massa, sono questi gli effetti, visibili da parte di tutti, della lotta di classe vinta dal capitale.
Sono state modificate le Costituzioni dei paesi democratici, quelle reali se non quelle formali. E’ sempre più
chiara la perdita di sovranità democratica, il potere dal popolo passa ad organismi tecnocratici non eletti e non
rappresentativi di istanze democratiche, le stesse finalità delle grandi Istituzioni nazionali e transnazionali sono
modificate (gli obiettivi delle Banche Centrali sono passati dai nobili scopi della ricerca del “pieno impiego”
alla semplice finalità della “stabilità dei prezzi”). Anche il potere di spesa (esercitato con il governo
dell’emissione della moneta) si trasferisce dagli Stati (soggetti alla sovranità dei popoli) ad Enti transnazionali
sottoposti al potere finanziario.
Il capitale ha utilizzato tutti gli strumenti che l’innovazione tecnologica ha fornito: per accelerare la sua
pervasività e l’invasione di tutti i settori dell’esistente.
5
Digitale e declino del lavoro salariato
Internet, la rete, la digitalizzazione permettono non più solo scambi di informazioni, ma la creazione di un enorme
mercato di produzione materiale ed immateriale, le grandi aziende ne hanno approfittato per fornire servizi, spesso
gratuiti, che in verità utilizzano il nostro lavoro non pagato, il cosiddetto “lavoro implicito”. Emblematico è il detto:
“Se il servizio è gratis, il prodotto sei TU”.
BIG DATA: Tramite una raccolta di dati enorme le grandi aziende possono realizzare la profilatura di tutti i cittadini
che si affacciano su internet, consentendo il controllo ed il condizionamento, diretto o indiretto, della volontà di
consumo, riuscendo ad indirizzare il ciclo produttivo: il digitale ed internet sono diventati in breve tempo la vera
infrastruttura di base per la produzione, la distribuzione ed il consumo.
L’automazione spinta, le nanotecnologie, il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale e dell’internet delle cose, le
applicazioni delle innovazioni tecnologiche sull’Industria (4.0) stanno permettendo il compimento definitivo della
fondamentale funzione storica del Capitalismo: diminuire il tempo di lavoro necessario alla produzione sostituendolo
con le macchine
Attenzione: la sostituzione del lavoro vivo con le macchine è ed è stata una funzione positiva che ha sottratto alla
schiavitù della “fatica” miliardi di persone nel mondo
Nelle società avanzate il contributo del lavoro (agricolo o industriale) è, già oggi, dell’ordine del 3%.
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Produzione materiale ed immateriale
Il valore della produzione immateriale (informazioni, software, servizi, app, algoritmi, musica, film, …) già da alcuni anni ha
sopravanzato il valore della produzione materiale, almeno paesi più avanzati: le più grandi Aziende mondiali, le più capitalizzate,
sono produttori sostanzialmente di beni immateriali.
I beni immateriali hanno una semplice caratteristica, sono riproducibili praticamente senza costi aggiuntivi, una volta realizzato
un bene immateriale, non costa nulla riprodurne un altro, altri mille o un miliardo.
Nella stessa produzione classica “materiale” la componente immateriale è la più importante: nella progettazione, in una linea di
montaggio, in un filiera logistica, nei sistemi di trasporto, nella rete di distribuzione, la parte informativa, la comunicazione, il
software, l’analisi dati, è come se la fase materiale sia l’ultima propaggine di un processo quasi totalmente immateriale.
La caratteristica della nuova modalità di produzione è quella dove l’essere umano è sostituito dalle macchine, dove una volta
realizzato un prototipo, per la produzione di massa non serve più ulteriore lavoro, insomma una modalità dove chi produce può
fare a meno del lavoro, o comunque il ruolo del lavoro progressivamente minore e residuale.
Il rapporto tra Capitale e Lavoro non è più un rapporto di conflitto dove il “Lavoro” possa esercitare funzioni di controllo e
cogestione, o almeno possa contrattare con il Capitale modalità produttive e forme di organizzazione del lavoro, il “come
produrre” se non addirittura il “cosa produrre”.
E’ un cambio di paradigma storico che rende obsolete tutte le forme di lotta precedentemente sperimentate (anche lo sciopero
perde il valore che per due secoli aveva rappresentato, diventando una forma di “comunicazione”, che misura il consenso verso
obiettivi e piattaforme sindacali, è ancora uno strumento utile ma risulta profondamente depotenziato.)
7
Produzione del Capitale senza Lavoro o del Lavoro
senza Capitale?
Per poter reagire e trovare forme di contrasto è necessario comprendere che il
Capitale vuole una produzione senza Lavoro (e sta raggiungendo l’obiettivo) e
che quello che sta avvenendo è un passaggio critico dalla forma dello
sfruttamento alla forma del dominio.
Occorre allora analizzare le nuove contraddizioni della nuova fase capitalistica
contraddistinta dalla tecnologia e studiare le nuove leve su cui poggiare la
capacità di contrastare il nuovo dominio e costruire un mondo migliore
Come scriveva Claudio Napoleoni dobbiamo “cercare ancora” perchè possiamo
ribaltare la tendenza verso una forma di Produzione senza il Lavoro per proporre
e raggiungere una Produzione senza Capitale!
8
Le buone pratiche
Il digitale in questi decenni non è stato solo privazione della privacy, controllo ed induzione dei nostri
comportamenti, estrazione di valore dai nostri dati personali, è stato indubbiamente anche un mezzo
per far star meglio le persone, migliorando i servizi tradizionali, o trasformandoli per renderli più
efficienti e vicini alle esigenze delle persone:
tutto quello che sappiamo e facciamo oggi con i tantissimi strumenti tecnologici che utilizziamo sia
hardware che software (internet, siti, comunicazioni, informazioni, email, smartphone, PC, fotografia,
audio, video, ebook, ecc. ecc.) sono stati sicuramente un progresso per tutte/i
La tecnologia ha permesso di sviluppare fortemente progetti e idee in linea con le caratteristiche
tipiche delle comunità umane: l’aspirazione a cooperare e fare comunità, ad aiutarsi vicendevolmente
per cercare di controllare e rendere più comoda e sicura la vita di ognuno di noi.
La maggior parte di quello che noi qui chiamiamo “buone pratiche”, sono state rese possibili grazie
alla tecnologia, o meglio, grazie al digitale hanno potuto svilupparsi in modo formidabile e contribuire
al bene comune.
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Le buone pratiche: il software libero
Il Software libero
Il software libero è stato il progetto che più ha contribuito a sottrarre alla completa
mercificazione un settore fondamentale per le nostre vite: non riguarda solo la
programmazione informatica, ma la proprietà delle idee e la libertà della trasmissione del
sapere. Se oggi abbiamo uno spazio di libertà che ci lascia ancora speranza per il futuro
lo dobbiamo ad un uomo, Richard Matthew Stallman, che paradossalmente non aveva
una cultura di sinistra, si potrebbe definire un anarco-liberista, ma è la persona che più ha
contribuito a socializzare il bene comune della conoscenza
Il software libero viene chiamato anche open source;
poiché esistono delle differenze di approccio e di impostazione ideologica tra i due
termini (nel primo caso si pone l’accento sul concetto di libertà, nel secondo sui vantaggi
di un metodo aperto) e non tutti sono d’accordo alla loro completa identificazione, è nato
il termine FOSS che racchiude le due definizioni: Free Open Source Software, ovvero
Software Libero Open Source, ma sostanzialmente i due termini sono sinonimi.
10
Il Software Libero Open Source
Nel 1979 Stallman si accorse che la società fornitrice di una stampante del suo dipartimento universitario, aveva
voluto limitare l'accesso al software di configurazione e reso illegale quella operazione, al tempo comune, di
modificare e personalizzare i driver di stampa per adattarle alle necessità degli utenti. Stallman considerò il divieto
di accedere al software “un crimine contro l'umanità”. Egli chiarì, anni dopo, che quello che lui considera un crimine
non è far pagare i software, bensì ostacolare la libertà dell'utente.
Nel settembre del 1983 diede avvio al progetto GNU con l'intento di creare un sistema operativo simile a Unix, ma
composto interamente da software libero: da ciò prese vita il movimento del software libero. Nell'ottobre del 1985
fondò la Free Software Foundation (FSF). Pioniere del concetto di copyleft, nel 1989 creò la GNU General Public
License, una delle licenze libere più diffuse
Il Software Libero nasce da una idea di Richard
Matthew Stallman (New York, 16 marzo 1953) un
programmatore, informatico e attivista statunitense
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Il Software Libero
«Ho avviato il movimento del software libero per rimpiazzare il software non libero che controlla l'utente con software libero
rispettoso della libertà. Con il software libero, possiamo almeno avere il controllo su quel che il software fa nei nostri computer.»
(Richard Stallman)
Un software è libero se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
Libertà di studiare il codice sorgente e modificare il software;
Possibilità di fare copie e distribuirle;
Possibilità (soprattutto per i programmatori) di fare versioni migliorate e, perchè no?, farsi pagare per la distribuzione.
Inoltre deve essere soddisfatta la libertà principale: la libertà di eseguire il programma per qualunque fine, senza vincolarla al suo
modo di utilizzo.
La licenza Gnu/Gpl
Le suddette condizioni da sole non tutelano pero' da un rischio, che qualcuno sfrutti il codice libero per apporre modifiche e poi
“rivenderselo” come proprietario. A questo scopo è nata la licenza Gnu/Gpl, dove GPL sta per “General Public License”,
ovvero è una licenza pubblica che garantisce che, se il software viene modificato, anche le versione successive debbono
necessariamente rimanere con la stessa licenza GPL.
In pratica la licenza GPL stabilisce che la libertà di modifica è subordinata al fatto che il software rimanga “libero”, è a ben
vedere una forma di protezione da appropriazioni indebite.
L'obiettivo è diffondere la libertà e la cooperazione, incoraggiando la diffusione del software libero in sostituzione al software
proprietario:
«Rendo disponibile il mio codice affinché venga usato nel software libero, e non nel software proprietario, con lo scopo di
incoraggiare chi programma a fare altrettanto. Ho capito che, poiché gli sviluppatori di software proprietario usano il diritto
d'autore per impedirci di condividere il software, noi che cooperiamo possiamo usare il diritto d'autore per favorire coloro che come
noi cooperano: possono usare il nostro codice.» (Richard Stallman)
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Il Software Libero e Linux
Le caratteristiche di queste licenze software fanno in modo che sia impossibile l’appropriazione da parte di qualche privato o
azienda, tutti i software derivati da un utilizzo o miglioramento del software originale rilasciato con queste licenze
rimangono disponibili per tutti, il software diviene un bene comune inalienabile
La condivisione del sapere non permette a un gruppo ristretto di persone di sfruttare la conoscenza (in questo caso
tecnologica) per acquisire una posizione di potere. Inoltre, è promossa la cooperazione delle persone, che tendono
naturalmente ad organizzarsi in comunità, cioè in gruppi animati da un interesse comune
Il modello del software libero si è naturalmente esteso ad altri campi del sapere. Chi crede nel modello copyleft pensa che
questo possa essere applicato ad esempio alla musica o alla divulgazione. L'esempio più riuscito di applicazione di questo
modello ad un campo differente dal software è oggi Wikipedia, che promuove la condivisione del sapere e la formazione di
una comunità
Il sistema operativo Linux (kernel) vide la luce il 25
agosto 1991 grazie al giovane studente finlandese
Linus Torvalds. Per poter rendere fruibile da tutti il
suo sistema Torvalds utilizzo le licenze del software
libero (GPL): Nacque in questo modo il sistema
GNU/Linux ed iniziò la sua diffusione globale e
virale
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Il Software Libero e Linux
Anche Android, il sistema operativo per dispositivi
mobili, è basato su Linux e, pur con qualche
distinguo, è un software libero, e oggi equipaggia
circa due terzi degli smartphone nel mondo.
Oltre l'80% dei siti web utilizza linguaggi di
programmazione server-side o client-side open source,
come PHP o JavaScript. I server web più diffusi sono
open source
Una caratteristica fondamentale del Software Libero è senz'altro il modello di lavoro, fondato sui valori
della cooperazione, della condivisione, della partecipazione. Le comunità di sviluppatori sono in perenne
contatto per rilasciare continuamente versioni migliorate dei prodotti software, ed i risultati sono sotto gli
occhi di tutti.
Il sistema operativo Linux, il rappresentante per eccellenza di questa categoria, gode di fama indiscussa in
quanto a affidabilità, versatilità, sicurezza, funzionalità. Una buone dose del successo di Linux è dovuta
anche al prezzo esiguo, spesso addirittura gratuito, necessario per dotarsi di tutte le licenze necessarie per
equipaggiare i computer.
I software applicativi open source attualmente più diffusi sono Firefox, VLC, Gimp, 7-Zip, OpenOffice,
LibreOffice, le famiglie di sistemi operativi BSD, GNU, Android e il kernel Linux i cui autori e fautori hanno
contribuito in modo fondamentale alla nascita del movimento. La comunità open source è molto attiva,
comprende decine di migliaia di progetti, numero tendenzialmente in crescita.
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Le buone pratiche: le creative commons
Mentre l’open source vale per il software, per la creatività e la diffusione dell’arte e della cultura sono nate le licenze
Creative Commons, ovvero i Beni Comuni Creativi .
Fanno parte del cosiddetto copyleft: le nuove forme di diritto d’autore più elastiche e permissive, propense alla
condivisione e alla libertà di fruizione.
Possiamo affermare che le CC sono lo strumento legale per il rilascio di opere in copyleft
Le licenze CC consentono di modificare facilmente i termini di copyright dall’originario "tutti i diritti sono riservati" ad
"alcuni diritti sono riservati": consentono cioè di modificare i termini di copyright per soddisfare al meglio le esigenze
degli autori di opere creative.
Le licenze di tipo Creative Commons permettono a quanti detengono dei diritti di autore, di trasmettere alcuni di questi
diritti al pubblico e di conservare gli altri, per mezzo di una varietà di schemi di licenze e di contratti, lo scopo è di evitare
i problemi che le attuali leggi sul copyright creano per la diffusione e la condivisione delle informazioni.
Spesso, o quasi sempre, gli autori e gli artisti in generale, sono favorevoli alla diffusione (anche gratuita) delle loro opere,
spesso ciò che interessa è la popolarità, ma ci tengono al riconoscimento della paternità dell’opera e vogliono avere il
controllo dello sfruttamento commerciale. Le CC nascono e si sono diffuse soprattutto per questo.
Oggi le licenze CC sono il principale modo in cui vengono diffuse le opere culturali su internet, da Wikipedia ai siti
istituzionali degli enti governativi, dalle principali testate giornalistiche alle università.
Anche le licenze CC sono nate dalle comunità di internet, con l’apporto di un noto Prof. USA Lawrence Lessig
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Le buone pratiche: Wikipedia
E’ ormai entrata nel vocabolario comune. Si tratta dell’enciclopedia numero uno del web, redatta autonomamente dagli
internauti secondo alcune norme prestabilite, che si basa sui principi di collaborazione tipici dell’Opensource. Wikipedia
è sostenuta da un’associazione senza fini di lucro, la Wikimedia Foundation. Con più di 45 milioni di voci in oltre 280
lingue è l'opera più grande mai scritta nell’Umanità, tra i dieci siti web più visitati al mondo, costituisce la maggiore e
più consultata opera di riferimento su Internet (circa 400 milioni di visitatori unici al mese).
Wikipedia nasce con l’obiettivo di creare un'enciclopedia libera, ovvero liberamente accessibile, a contenuto libero,
aperto, e "universale" e possiamo affermare che abbia raggiunto il suo scopo.
Tutti possono contribuire alla sua stesura (attualmente sono circa 71.000 gli utenti attivi)
l’Enciclopedia è divenuta l’esempio più chiaro di come la cooperazione umana possa raggiungere vette inarrivabili
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Le buone pratiche: hardware libero
Hardware Libero
Fino ad ora abbiamo parlato di sapere, conoscenza, software, cultura, ma anche
l’hardware (o la macchina) può essere libero e condiviso.
La cultura hacker quella che ritiene che il sapere non abbia limiti e che vada sempre
condiviso, che ama le sfide per diffondere la conoscenza contro ogni imposizione dei
poteri, ha pervaso anche il mondo delle macchine.
E’ nato così il concetto di hardware libero, parte integrante della cultura dell'open
source, che espande quest'ideologia al di fuori dell'ambito del software.
Il termine viene principalmente usato per esprimere la libera divulgazione di
informazioni riguardanti il progetto stesso dell'hardware, comprendente gli schemi, la
lista dei materiali, il layout dei dati del circuito stampato, solitamente insieme al
software libero (open source) per far girare l'hardware.
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Le buone pratiche: Arduino
Arduino (hardware libero)
Arduino è una piattaforma hardware composta da una serie di schede elettroniche dotate di un microcontrollore. È
stata ideata e sviluppata da alcuni membri dell'Interaction Design Institute di Ivrea (come l’italiano Massimo
Banzi) come strumento per la prototipazione rapida e per scopi hobbistici, didattici e professionali.
Il nome della scheda deriva da quello del bar di Ivrea frequentato dai fondatori del progetto, nome che ricorda in
qualche modo il concetto di hARDware e richiama a sua volta quello di Arduino d'Ivrea, Re d'Italia nel 1002.
Con Arduino si possono realizzare in maniera relativamente rapida e semplice piccoli dispositivi come controllori di
luci, di velocità per motori, sensori di luce, automatismi per il controllo della temperatura e dell'umidità e molti
altri progetti che utilizzano sensori, attuatori e comunicazione con altri dispositivi. È abbinato ad un semplice
ambiente di sviluppo integrato per la programmazione del microcontrollore. Tutto il software a corredo è libero, e
gli schemi circuitali sono distribuiti come hardware libero. Sui siti dedicati sono pubblicati e liberalmente
scaricabili migliaia di progetti per replicare i dispositivi ed assemblare i componenti
L’hardware originale Arduino è interamente realizzato in Italia dalla Smart Projects, mentre i cloni della scheda
possono essere realizzati da chiunque in qualsiasi parte del mondo.
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Le buone pratiche: la filosofia “do it yourself”
Piccolo inciso: va ricordato che all’interno dell’Umanità è sempre esistita una cultura della cooperazione e
condivisione che ha pervaso movimenti operai e contadini, libere associazioni di cittadini, movimenti di idee,
comunità artistiche e musicali e quindi comunità tecnologiche. Non solo quindi i movimenti tradizionali ma
anche le avanguardie: importanti sono state le culture hippy e, in generale, le culture alternative negli USA
(ad es. la filosofia alla base del best seller Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta) oppure,
ancora meglio, la cultura punk degli anni 70 e 80 che ha sviluppato il DIY.
Il DIY (abbreviazione di Do It Yourself, equivalente dell'italiano fai da te) è un'etica nata e diffusa all'interno
dei movimenti punk, che propugna il rifiuto per le major della distribuzione musicale, ritenute capitaliste,
espresso nello slogan DIY not EMI, e la formazione di etichette indipendenti con cui pubblicare i propri album.
E’ su questa idea dell’autoorganizzazione e del fai da te che si è innestata la cultura hacker della condivisione
del sapere tecnologico. Il rifiuto della dipendenza dal potere economico e politico e l’auto-organizzazione
sociale
DIY
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Le buone pratiche: le stampanti 3D
“la stampa 3D rappresenta la naturale evoluzione della tradizionale stampa 2D”.
Con stampa 3D si intende la realizzazione di oggetti tridimensionali mediante produzione “additiva”,
partendo da un modello 3D digitale. Il modello digitale viene prodotto con software dedicati e
successivamente elaborato per essere poi realizzato, strato dopo strato, attraverso una stampante 3D.
Il principio di funzionamento è identico a quando si vuole costruire qualcosa con i mattoncini LEGO:
inizialmente si posano i pezzi che compongono la base, poi si procede verso l’alto incastrandoli in modo da
ottenere il profilo voluto. Così la stampante 3D realizza strati solidi a partire da un ugello, che segue un
movimento controllato, da cui fuoriesce un materiale fuso. Sono utilizzati dei filamenti, plastici o metallici,
arrotolati su una sorta di matassa che viene progressivamente srotolata durante la stampa.
Tramite la stampa 3D oggi viene normalmente realizzata la prototipazione rapida. E’ possibile costruire
oggetti e cose a partire da innumerevoli progetti liberamente disponibili su siti web aperti. I materiali con cui
realizzare le cose sono ancora limitati ma tendono continuamente ad aumentare.
Stampa 3D
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Le buone pratiche: le stampanti 3D
E’ grazie alla cultura del fai da te, vista anche come azione politica e sociale e non solo economica,
che i valori del software libero e dell’hardware libero hanno preso il sopravvento nello sviluppo delle
stampanti 3D.
Con la scadenza dei relativi brevetti e la progressiva riduzione dei costi, la stampa 3D non è stata più
un’esclusiva delle grandi aziende, ma ha raggiunto anche l’ambito domestico.
Il popolare portale svedese The Pirate Bay ha aperto all’inizio del 2012 una sezione, "Physibles",
dedicata proprio alla condivisione dei file da dare in pasto a questa tipologia di stampanti, per
realizzare modelli di qualsiasi tipo: dai giocattoli ai modellini, passando per loghi, rappresentazioni di
quadri in tre dimensioni e molto altro ancora.
Il mercato delle stampanti 3D è in continua crescita (circa + 24% l’anno) e tra produzione e
prototipazione investe i settori automobilistico, aerospaziale, progettazione di prodotti di consumo e
assistenza sanitaria (protesi dentarie o chirurgiche, ecc.)
Gli unici limiti allo sviluppo produzione e progettazione sono dettati dalla fantasia e dalle dimensioni
della stampante.
Stampanti 3D
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Le buone pratiche: Open Manufacturing
Hardware libero, stampanti 3D, software libero, propensione alla condivisione e cooperazione delle persone
organizzate in comunità hanno reso possibile il cosiddetto Open Manufacturing, un fenomeno che sperimenta
l’applicazione del modello collaborativo Open Source nel campo della manifattura e che, ad oggi, ha investito
gli ambiti più disparati: architettura, ingegneria, agricoltura, moda, mobilità, robotica, ambiente, medicina,
ricerca scientifica, didattica, ecc.
Sono ormai innumerevoli i Fab Lab sparsi in tutta Italia e nel Mondo, laboratori di fabbricazione digitale
Il portale Instructables (https://www.instructables.com nato nel 2005) pubblica, in maniera collaborativa,
migliaia e migliaia di progetti “fai da te” sui temi più disparati (dall’elettronica alle ricette di cucina, al taglio e
cucito, alle biciclette)
E’ nata la generazione dei maker, appassionati del fai da te digitale che si raccontano in rete condividendo
progetti ed esperienze.
Henry Ford affermò che “c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per
tutti“.
La massima espressione di questo ideale è rappresentata dalle potenzialità che hardware e software liberi,
controllati dagli utenti/produttori (prosumer) possono mettere a disposizione per realizzare progetti di
emancipazione sociale.
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Le buone pratiche
Alcuni esempi:
Il collettivo Open Source Ecology è un’organizzazione no-profit che raccoglie una numerosa e ben
distribuita comunità di progettisti, ingegneri, agricoltori e costruttori impegnati nell’ambizioso progetto di
sviluppare in maniera aperta e collaborativa il Global Village Construction Set (GVCS), un insieme di quelle
che, secondo la stessa comunità, sono le macchine e le tecnologie fondamentali in grado di costruire da
zero (e tenere in vita) una civiltà moderna.
WikiHouse è una piattaforma Open Source per progettare e costruire case modulari, accoglienti, efficienti
ed eco-sostenibili. L’idea è quella di una libreria di modelli 3D accessibili a tutti, che possano essere
scaricati e adattati alle singole esigenze e di rendere possibile, con un semplice click, la generazione di un
output di una serie di file di sagome che possano essere facilmente prodotte con materiali standard e
macchine comuni, ottenendo una sorta di “casa in scatola di montaggio”. La casa deve poter essere
assemblata senza attrezzature o macchinari complessi o costosi, per l’assemblaggio non devono occorrere
competenze specifiche e non si devono realizzare elementi che non possano essere sollevati e posizionati da
un gruppo di più di 2-3 persone. Si realizzano delle sezioni della casa suddivise in elementi simili a pezzi di
un puzzle e serrati tra loro senza l’ausilio di viti o bulloni, bensì tramite cunei e cavicchi, in modo da
limitare gli attrezzi necessari a comuni mazze e martelli.
Con gli stessi obiettivi è nato il progetto OpenDesk, focalizzato sulla progettazione di mobili e sulla
fabbricazione a km zero, una sorta di Ikea fai da te, democratica e libera
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Le buone pratiche: il file sharing
Abbiamo citato Pirate Bay, lo storico portale della condivisione: una delle pratiche più positive è proprio quello del file sharing.
Sono frutto delle comunità opensource la quasi totalità dei client o anche dei protocolli di condivisione e distribuzione dei file
(pensiamo ad esempio a Bit-torrent che ha permesso un salto di qualità nella velocità e nell’efficienza dei download).
Anche se spesso confina con le pratiche illegali, non si può non citare come la condivisione di file musicali e di video ha
rappresentato un mezzo imponente di diffusione della cultura e dell’informazione. Già dagli anni 90 il sito precursore Napster era
stato definito il più grande jukebox della storia. Ma anche i siti di condivisione di video (legali come youtube o illegali come ad
esempio emule o i portali contenenti file torrent) possono essere visti come grandi biblioteche multimediali aperte a tutti.
Piuttosto la domanda che ci dobbiamo fare è perché queste biblioteche non possano essere di proprietà pubblica, o meglio perché
non esistano dei siti simili a youtube, di proprietà statale o comunale come appunto le biblioteche, dove i cittadini possano
condividere le proprie realizzazioni e fruire dei contenuti presenti.
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Le buone pratiche: Wikileaks e il whistleblowing
Wikileaks è il noto sito dove vengono rivelati i documenti segreti dei governi di tutto il mondo e, con
buona ragione, fa parte delle buone pratiche delle comunità collaborative.
WikiLeaks (dall'inglese leak «perdita o fuga» di notizie) è un'organizzazione internazionale senza scopo
di lucro che riceve in modo anonimo, grazie a un contenitore (drop box) protetto da un potente sistema
di cifratura, documenti coperti da segreto (di Stato, militare, industriale, bancario) e poi li carica sul
proprio sito web. WikiLeaks riceve, in genere, documenti di carattere governativo o aziendale da fonti
coperte dall'anonimato.
Il sito è curato da giornalisti, attivisti e scienziati, anch’essi in generale anonimi. Potenzialmente tutti i
cittadini di ogni parte del mondo possono inviare materiali segreti «che portino alla luce
comportamenti non etici di governi e aziende».
L'obiettivo dell'organizzazione è di assicurare che gli informatori non vengano perseguiti per la
diffusione di documenti riservati.
Wikileaks è il precursore ed il più importante tra i siti di whistleblowing, serie di piattaforme e
strumenti tecnologici per la denuncia anonima.
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Le buone pratiche: Wikileaks
Wikileaks, prima di pubblicare il materiale, ne verifica l'autenticità e si premura che venga preservato
l'anonimato degli informatori e di tutti coloro che sono implicati nella fuga di notizie.
Non ha una sede fisica, proprio perché si prefigge di essere «una versione irrintracciabile di Wikipedia che
consenta la pubblicazione e l'analisi di massa di documentazione riservata». Lo scopo ultimo è quello della
trasparenza da parte dei governi quale garanzia di giustizia, di etica e di una più forte democrazia
Il sito è stato fondato, tra gli altri, dall'attivista informatico Julian Assange, che ne è il caporedattore,
rinchiuso da alcuni anni nell’ambasciata londinese dell’Ecuador.
E’ grazie a Wikileaks che conosciamo i comportamenti inaccettabili dell’esercito USA occupante in Irak
(Manning), il controllo totale della NSA sulle comunicazioni internet (Snowden), la lista degli evasori con conti
correnti in Svizzera (Falciani), gli accordi fiscali del Lussemburgo guidato da Juncker con le multinazionali del
web, o il fatto (che mi ha personalmente stupito) che nel 1989 nella Piazza Tienanmen non ci sia stata nessuna
strage ma si siano sentiti solo sparuti colpi molto in lontananza
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Le buone pratiche: Anonymous
Non solo Wikileaks
Il fenomeno della ricerca della verità e della trasparenza, dei Whistleblower, cioè
dei cittadini che denunciano fatti precedentemente tenuti coperti non riguarda
solo Wikileaks o siti simili.
Molto importante è la pratica dell’attivismo in rete anonimo, come ad esempio
Anonymous, una sigla che identifica singoli utenti o intere comunità online che
agiscono anonimamente – in modo coordinato o anche individualmente – per
perseguire un obiettivo concordato anche approssimativamente. Grazie alle azioni
illegali di Anonymous che ha hackerato mailserver o datacenter siamo venuti a
conoscenza di molte informazioni prima segrete.
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Bitcoin e le criptomonete
Una delle opportunità maggiori che la tecnologia ha messo a disposizione delle persone è la possibilità di creare
una moneta condivisa e democratica
Bitcoin è una criptovaluta e un sistema di pagamento mondiale creato nel 2009 da un anonimo inventore, noto
con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto
Bitcoin usa la tecnologia peer-to-peer per fare a meno di un’autorità centrale o delle banche; la gestione delle
transazioni e l'emissione di bitcoin viene effettuata collettivamente dalla rete. Bitcoin è open-source: la sua
progettazione è pubblica, nessuno possiede o controlla Bitcoin e ognuno può prendere parte al progetto.
Per convenzione se il termine Bitcoin è utilizzato con l'iniziale maiuscola si riferisce alla tecnologia e alla rete,
mentre se minuscola (bitcoin) si riferisce alla valuta in sé.
Il Bitcoin utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni, ma sfrutta la
crittografia per gestire gli aspetti funzionali, come la generazione di nuova moneta e l'attribuzione della proprietà
dei bitcoin.
Il valore del bitcoin è determinato unicamente dalla leva domanda e offerta, ma poggia sulle sue potenti
caratteristiche, in quanto permette utilizzi che non potrebbero essere coperti da nessun altro sistema di
pagamento precedente.
Bitcoin
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Bitcoin e le criptomonete
La rete Bitcoin consente il possesso e il trasferimento anonimo delle monete; i dati necessari a
utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o più personal computer o dispositivi
elettronici quali smartphone o PC, sotto forma di "portafoglio" digitale, o mantenuti presso
terze parti che svolgono funzioni simili a una banca; i bitcoin possono essere trasferiti
attraverso Internet verso chiunque disponga di un "indirizzo bitcoin".
La struttura peer-to-peer della rete Bitcoin e la mancanza di un ente centrale rende impossibile
a qualunque autorità, governativa o meno, il blocco dei trasferimenti, il sequestro di bitcoin
senza il possesso delle relative chiavi o la svalutazione dovuta all'immissione di nuova moneta.
Bitcoin
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Bitcoin e le criptomonete
La rete Bitcoin non potrebbe esistere senza la cosiddetta BlockChain.
La blockchain è una sorta di libro mastro digitale, decentralizzato, su cui poggiano i bitcoin
e la maggior parte delle valute virtuali, che non passando per banche né intemediari
finanziari, hanno bisogno di un metodo sicuro per registrare le transazioni.
La blockchain, distribuisce il registro delle transazioni (blocchi) tra milioni di utenti nel
mondo: ogni nodo (un computer connesso alla rete) riceve una copia del registro
automaticamente. E in questo modo nessun dato registrato può essere alterato. Grazie a tali
caratteristiche, la blockchain è considerata paragonabile alle banche dati e ai registri gestiti
in maniera centralizzata da autorità riconosciute e regolamentate (pubbliche
amministrazioni, banche, assicurazioni, intermediari di pagamento, ecc.), e ne rappresenta
pertanto un'alternativa in termini di sicurezza, affidabilità e costi
BlockChain
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Bitcoin e le criptomonete
Come funziona la Blockchain?
Quando avviene una transazione digitale, questa viene raggruppata in un blocco (block)
protetto da crittografia, insieme alle altre transazioni concluse negli ultimi 10 minuti e
diffuse in tutto il network, dove vengono validate dai cosiddetti miner: questi ultimi sono gli
utenti che mettono la potenza di calcolo dei loro computer a disposizione del processo,
ricevendone una ricompensa in bitcoin o altre criptovalute.
Al blocco così validato viene apposta una "etichetta" che contiene le indicazioni sulla data e
l'ora in cui è stato creato: a questo punto viene unito ad altri blocchi, formando una catena
(chain) dove, tutti insieme, sono disposti in ordine cronologico (dal più vecchio al più
recente) continuamente aggiornato, così che ogni ledger (letteralmente “libro mastro”) nel
network sia uguale a tutti gli altri, consentendo a tutti i membri di dimostrare in qualsiasi
momento chi possiede cosa, senza rischio di truffe.
BlockChain
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Bitcoin e le criptomonete
La caratteristica di incorruttibilità della blockchain fa in modo che essa sia la tecnologia ideale da
impiegare anche al di fuori degli scambi di criptovalute, in tutti quei settori dove è fondamentale la
certificazione di una transazione e la certezza dell’identità dei contraenti.
In generale, la blockchain potrebbe essere programmata per "certificare" tutto ciò che abbia valore,
come ad esempio
ID digitali: La creazione dell’identità digitale, che ci renda riconoscibili nelle operazioni che facciamo
online
Voto digitale: i sistemi usati finora non garantiscono la sicurezza necessaria. la tecnologia blockchain
è già teoricamente in grado di permetterci di votare con un clic, e in modo abbastanza trasparente da
consentire a qualsiasi autorità di verificare se avvengono tentativi di intrusione o se qualcuno ha
provato a modificare i voti
Catasto e atti del notaio: gli atti di acquisto di una casa o di un'auto possono essere archiviati
facilmente in formato digitale, proprio come avviene con il libro mastro delle transazioni dei bitcoin.
La cosa vale per ogni tipo di contratto (smart contracts)
Utilizzi della BlockChain
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Le cripto Monete
Bitcoin non è l’unica criptovaluta esistente, sono centinaia i progetti nati per la
realizzazioni di monete virtuali aventi caratteristiche leggermente diverse tra loro,
focalizzate a a specifiche transazioni oppure più adatte a risolvere le problematiche
a cui va incontro bitcoin, migliorandone le prestazioni (aumento delle velocità delle
transazioni, con conseguente abbattimento dei costi per ogni registrazione,
maggior efficienza nella gestione dei dati dovuta alla grandezza della blockcain,
anonimato, ecc.). Tutte le criptomonete mantengono la caratteristica di essere a
guida decentralizzata e digitale la cui implementazione si basa sui principi della
crittografia per convalidare le transazioni e la generazione di moneta in sé.
Le più degne di nota sono: Ethereum, Monero, Litecoin, Ripple
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Le cripto monete e gli smart contract
Gli smart contract
– La criptovaluta prima citata, la Ethereum, permette l’inserimento nella blockchain
di smart contract, un accordo tra le parti “intelligente” regolato da un algoritmo.
Come funziona uno smart contract:
–
–
–
–
 Due o più parti identificano un interesse comune
 Scrivono insieme uno smart contract ponendo le
condizioni e gli effetti desiderati
 Inseriscono lo smart contract nella Blockchain
di Ethereum
 La stessa Blockchain di Ethereum diventa il
garante del contratto
 Quando nella rete si ottiene il consenso, il
contratto esegue le sue condizioni
 Dopo che le condizioni sono state eseguite, la
Blockchain verrà aggiornata dalla modifica di
stato del sistema.
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Le cripto Monete e gli Smart contract
Gli smart contract
–
ESEMPIO:
A deve corrispondere mensilmente l’affitto di 400 euro a B. I due utenti scrivono
uno smart contract garantendo che dal conto di A -ogni 30 giorni- verrà erogata
la somma di 400 verso il conto di B. Automaticamente, il programma svolgerà
l’operazione, seguendo le regole e i comandi preimpostati.
Quando due utenti scrivono uno smart contract, entrambi devo porre su questo la
loro firma privata in modo che il contratto possa ottenere il consenso dai full
nodes di Ethereum.
Le transazioni di 400€ verranno costantemente verificate dagli utenti attraverso
la solita catena di blocchi: se l’utente A non dispone di sufficiente denaro per
pagare B, l’operazione verrà bloccata senza creare debito nel sistema. Tutte le
operazioni e transazioni sono sempre pubbliche e mostrate nella piattaforma
Blockchain. Ovviamente, come abbiamo spiegato qui, ogni operazione richiede
una costo di transazione, che dipende dalla potenza computazionale richiesta.
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Le Monete complementari
Si stima che nel mondo oggi esistano circa 5.000 monete complementari (o sistemi di
scambio che ad esse possano essere assimilabili) utilizzate da diverse comunità sulla base di
sistemi articolati e diversificati. Al di là della denominazione con cui le vogliamo indicare
(monete locali, sociali, comunitarie, solidali, parallele, complementari) sono tutte
caratterizzate da un qualche rapporto con la moneta ufficiale e con uno spazio, fisico o
virtuale, certo e delimitato. Esse più generalmente possono essere considerare circuiti
complementari di commercio di servizi e beni, con compensazioni di crediti e debiti.
Le monete complementari non hanno corso legale e sono accettate su base volontaria: ciò
contribuisce al loro aspetto identitario, cioè al loro identificare la comunità all'interno della
quale sono usate alla stregua dei vantaggi di una tessera associativa
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Le Monete complementari
Tutte le monete complementari sono legate alla dimensione territoriale e, soprattutto, ad una comunità di persone che condividono certi
valori e sono disposte ad utilizzarle: le monete complementari rappresentano uno strumento che rende visibile il legame sociale e di
solidarietà fra i suoi membri i quali scambiano per tramite della moneta i frutti del loro lavoro.
Non si può quindi ascrivere la moneta complementare alle buone pratiche consentite dal digitale, perché ne sono preesistenti, ma
l’innovazione tecnologia ha amplificato al massimo le potenzialità. E’ grazie alla virtualizzazione o dematerializzazione che le monete
complementari hanno potuto fare un balzo in avanti nella diffusione e distribuzione.
Oggi in Italia la moneta complementare è diffusa grazie a diverse comunità, associazioni o imprese e consorzi privati, ma sono tutte
organizzazioni di tipo collaborativo, etico ed a proprietà “distribuita”. Tra le più importanti:
•L’associazione Arcipelago SCEC - solidarietà che cammina ha riunito diverse esperienze locali e promuove su base nazionali gli SCEC una
sorta di buoni sconti.
•Il Sardex è una piattaforma di scambio, gestita da una impresa privata, che facilita il credito ed il pagamento complementare e quindi le
relazioni tra soggetti economici operanti in un dato territorio. Ha avuto una diffusione capillare in Sardegna, dove coinvolge migliaia di
aziende che transano in Sardex circa 100 milioni di controvalore in euro.
Circuito cloni diramazioni del Sardex si sono diffusi in ogni regione d’Italia assumendo nomi diversi (Piemex, Tibex, Umbrex, ecc.)
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La Moneta fiscale
Definizione:
La Moneta Fiscale è un titolo che lo Stato si impegna ad accettare per l’adempimento di obbligazioni
fiscali (tasse, imposte, contributi ai sistemi sanitari e pensionistici pubblici, eccetera). E’ un diritto di
riduzione degli importi dovuti, quindi un diritto a beneficiare di uno sconto fiscale.
La Moneta Fiscale non rappresenta moneta legale: nessuno, né in Italia né tanto meno in altri paesi
dell’Eurozona, è obbligato ad accettarla come forma di pagamento, e lo Stato non si impegna a
convertirla in moneta legale. La moneta legale rimane l’euro.
La Moneta Fiscale ha tuttavia un valore “agganciato” all’euro, in quanto permette di ridurre, in
proporzione 1:1, pagamenti altrimenti dovuti all’erario. Mille euro di Moneta Fiscale, in altri termini,
saranno sempre e comunque equivalenti a mille euro in meno di tasse da pagare.
La Moneta Fiscale è inoltre negoziabile, trasferibile e scambiabile tra soggetti terzi volontariamente
disposti ad accettarla in corrispettivo di transazioni reali (beni e servizi) o finanziarie. Il percettore di
Moneta Fiscale può, quindi, spenderla immediatamente
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La Moneta fiscale
Anche la Moneta fiscale non può essere correttamente definita una buona pratica comunitaria,
ma vale la pena inserirla per due motivi;
1) perché rappresenta uno strumento formidabile per ridare sovranità monetaria al nostro
paese senza infrangere i trattati europei e senza uscire dall’Euro, e soprattutto sottrarre lo
Stato, la politica, la Democrazia alla dipendenza del credito della finanza (quella che lo stesso
Draghi definisce il regime di “Monetary Dominance”).
2) perché il progetto può essere messo in atto solo utilizzando un circuito virtuale di moneta
elettronica, accettato su base volontaria, cioè una sorta di moneta complementare ma gestita
dallo Stato
'Tis impossible to be sure of any thing but Death and Taxes
(è impossibile essere sicuri di qualcosa se non della morte e delle
tasse)
Christopher Bullock (1690 – 1724), commediografo britannico.
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La Moneta fiscale
Il progetto prevede l’erogazione gratuita, a individui e aziende, di Moneta Fiscale mediante carte elettroniche per effettuare pagamenti in modo analogo
a un Bancomat o a una carta di credito.
La Moneta Fiscale potrà essere scambiata tramite una piattaforma elettronica che gestirà i conti degli operatori economici residenti nel paese (individui,
imprese, associazioni, banche, enti pubblici) disponibili a effettuare transazioni in Moneta Fiscale.
Sulla base di accordi liberamente e volontariamente sottoscritti, o anche di prassi operative che si diffonderanno spontaneamente, imprese, lavoratori,
categorie di esercenti, aziende di distribuzione, imprese di pubblica utilità ecc. accetteranno pagamenti in Moneta Fiscale. L’accettazione non sarà
obbligatoria, ma verrà attivamente promossa dallo Stato.
La Moneta Fiscale potrà essere erogata anche sotto forma di titoli (CCF Certificati di Credito Fiscale) e potrà essere scambiata, vendendola contro euro,
sulle normali piattaforme di negoziazione dei titoli di Stato, allo stesso modo in cui è possibile vendere prima della scadenza un BOT o un BTP. Un CCF in
effetti è un titolo di Stato, anche se non costituisce una forma di debito pubblico (lo Stato non si impegna a rimborsarlo a una scadenza data) ma deriva
il suo valore dalla possibilità di utilizzarlo per ridurre pagamenti d’imposta (e dal connesso impegno dello Stato ad accettarlo a tal fine).
Elemento essenziale del progetto è la dilazione temporale del diritto di conseguire gli sconti fiscali (almeno due anni).
Tramite il meccanismo di differimento dell’utilizzabilità fiscale la Moneta Fiscale diventa strumento di generazione di crescita del PIL mediante
l’espansione della domanda nel contesto di un’economia come quella italiana, che opera molto al di sotto del suo potenziale produttivo.
E’ chiaro che uno strumento simile, se associato a specifiche politiche di indirizzamento della crescita, può diventare una forma di sostegno ad una
domanda “qualificata”, cioè ecosostenibile e rivolta al contrasto delle disuguaglianze, rivolta ad un diverso modello di sviluppo basato sulla promozione
delle comunità e dei valori della condivisione e dell’auto-organizzazione auto-produzione
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Le buone pratiche
L’economia della condivisione è una economia che può essere utilizzata, come troppo spesso succede oggi, per
accedere al sapere comune e utilizzarlo per fini propri. Facebook, AirBnb, Uber, utilizzano piattaforme
informatiche basate sul software libero, ma lo utilizzano per estrarre valore e guadagnare sulle nostre relazioni
sociali e la nostra propensione alla cooperazione. Ma come abbiamo visto, per fortuna esistono comunità che si
autoorganizzano, dove il valore creato dal lavoro, implicito ed operoso, rimane nelle comunità e diventa un
bene ed un vantaggio per coloro che utilizzano il servizio sociale.
Non si tratta quindi di nazionalizzare le piattaforme, ma di garantire l’accesso al sapere e alla tecnologia, e
promuovere forme collaborative e comunitarie per la generazione di piattaforme ed algoritmi alternativi, aperti
a tutti e finalizzato a distribuire i vantaggi verso tutti.
Alcune esperienze di economia della condivisione promossa da imprese e privati, anche se non sono sempre un
esempio di estremo successo, sono comunque degne di nota e rappresentano sviluppi positivi:
Ad esempio per la mobilità sostenibile citiamo le piattaforme
BlaBlaCar per il Car pooling, ovvero la modalità di trasporto che consiste nella condivisione di automobili
private tra un gruppo di persone, con il fine principale di ridurre i costi del trasporto.
Oppure Enjoy o Car2Go o le molte altri piattaforme private per il Car Sharing, meglio ancora il Bike Sharing,
nonostante i vari fallimenti di esperienze soprattutto a Roma (ad es. oBike)
41
Le buone pratiche
I Centri culturali di aggregazione
Tra le buone pratiche ci sono anche i centri di aggregazione, luoghi fisici e locali, dove le persone possono
incontrarsi, organizzare od assistere ad eventi, serate, concerti, proiezioni, mostre artistiche, presentazione di
libri, partecipare a corsi di formazione, seminari, convegni, fruire di alimentazione responsabile, luoghi dove è
possibile condividere idee, esperienze e progetti.
Esempi sono i vari centri sociali occupati, in passato lo è stato il Linux Club di Roma, locale precursore della
socialità impegnata nella diffusione e promozione dell’arte e della cultura libera. Oggi sono presenti il Fusolab
sulla Casilina, oppure i vari FabLab dedicati all’autoproduzione con stampanti 3D e hardware libero.
Un obiettivo di una nuova forza politica consapevole dovrà essere anche quella di sostenere e promuovere centri
di aggregazione simili per la diffusione dei valori di condivisione, cooperazione e auto-organizzazione solidale.
42
Le buone pratiche
Tutte le buone pratiche che abbiamo illustrate (ma ce ne sarebbero molte altre), hanno in comune la
caratteristica di essere state realizzate, promosse e diffuse da comunità solidali.
Non sono organizzazioni molto diverse da quelle dal passato, dalle comunità di contadini ai movimenti
operai, le persone hanno sempre cercato di organizzarsi con forme di solidarietà e di mutua assistenza,
con l’ambizione di controllare la produzione (agricola o industriale) e riappropriarsi delle proprie vite.
Ricordiamo che l’ideologia del cittadino borghese, solo ed impaurito, è sempre stata minoritaria. Sia
nel periodo preindustriale, dove i contadini hanno combattuto per la salvaguardia dei beni comuni, dai
pascoli alle fonti ai terreni boschivi, ancora meglio con l’avvento delle fabbriche, il movimento operaio
ha lottato insieme, in forma collaborativa, per la gestione, o cogestione, del ciclo produttivo, cercando
di migliorare orari, paghe, condizioni di lavoro e di salute.
Non sono gli obiettivi che oggi sono diversi, ma sono i metodi, gli approcci e le modalità che devono
cambiare per sfidare i proprietari dei mezzi di produzione nell’era dell’automazione spinta.
Per individuarli occorre però partire dall’analisi
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Le nuove contraddizioni: il PostCapitalismo
Se ogni prodotto digitale può essere riprodotto “ad libitum”, diventa fondamentale il controllo dei mezzi di produzione: una
volta prodotto un bene se ne possono produrre infiniti beni uguali senza costi, cioè senza bisogno di lavoro aggiuntivo.
Sparisce la dialettica tra lavoro e capitale, dove la borghesia ha la funzione di reperire i mezzi di produzione tramite il capitale
accumulato ed il proletariato mette a disposizione il suo lavoro.
Se il lavoro si riduce ad un ruolo marginale, rimane un solo attore principale, se non unico, della produzione, colui che possiede
il mezzo di produzione, e questo cambiamento ha delle conseguenze che cambiano completamente i rapporti tra le classi.
Se il bene può essere prodotto solo da un soggetto, a causa di motivi di mercato, o tecnologici o legali (Monopoli, Brevetti
software, copyright, marchi ecc.), allora si trasforma la natura della produzione: il possesso del mezzo di produzione diventa
una forma di dominio diretta (dell’uomo sull’uomo) e non più, solo, una forma di sfruttamento.
Paul Mason nel suo libro Postcapitalismo descrive la crisi inevitabile del Capitalismo,
che si trasformerà in altro, una cosa che lui chiama PostCapitalismo, una forma ancora
incognita, che forse sarà più vicina al Feudalesimo, soprattutto se noi non riusciremo a
contrapporgli un nuovo Umanesimo Economico, sociale e culturale. Riprendendo la
teoria del valore di Marx (la teoria che indica che il valore di un bene è prodotto
esclusivamente dal lavoro) Mason dimostra che la produzione senza lavoro, produce beni
senza “valore”, rendendo impossibile la valorizzazione dei capitali se non tramite una
costrizione forzata: già oggi molte delle merci che acquistiamo hanno un prezzo forzato,
imposto da leggi su proprietà intellettuali e diritto d’autore, e da brevetti che
giuridicamente reprimono la libera disponibilità della tecnologia, non trovano
giustificazioni da riscontri oggettivi
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Le nuove contraddizioni
Ma quali sono i mezzi di produzione nella produzione immateriale: i computer? le reti? i cavi? i router? i data center? Ma questi
sono cose a disposizione di tutti o quasi, non sono più appannaggio esclusivo dei grandi Capitali, il vero mezzo di produzione è la
conoscenza, il sapere, gli algoritmi.
Ma dove risiedono gli strumenti della conoscenza? Risiedono nelle nostre teste, nelle teste dei nuovi produttori di valore, mezzi
di produzione e lavoro, sono nostre: potenzialmente una comunità “agente” è in grado di unire a se’ tutti i fattori della
produzione (digitale e non): mezzi di produzione e lavoro, è la prima volta che succede nella storia.
da mezzo di controllo e dominio il digitale può diventare a strumento di liberazione
Il digitale assume quindi caratteristiche abilitanti, impensabili fino a qualche decina di anni fa.
Come abbiamo visto in tanti settori centrali nello sviluppo futuro, al fine di realizzare una produzione alla portata di tutti,
occorre solo organizzare il sapere ed il lavoro, utilizzando le nuove modalità tipiche della rete, condivise e collaborative
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Produzione, Capitale, Lavoro
Il nostro futuro si trova davanti un ventaglio di scenari, che vanno da un estremo all’altro:
✔ Uno scenario apocalittico, purtroppo ancora il più probabile, quello a cui i rapporti di forza ed i livelli di (scarsa)
consapevolezza e di organizzazione sembrano consegnarci:
una società dove la produzione è un’esclusiva del capitale, senza bisogno del lavoro, o dove il lavoro assume un
ruolo marginale, una società dove l’automazione spinta è egemonizzata dalle grandi corporation e la stragrande
maggioranza della popolazione è relegata al ruolo di consumatori passivi.
✔ Uno scenario di liberazione, frutto di consapevolezza, organizzazione, cooperazione e condivisione:
una società dove la produzione fa sostanzialmente a meno del capitale, dove la produzione è decisa dalle
comunità, dove il sapere e la tecnologia condivise forniscono a i mezzi di produzione necessari. Una società dove
finalmente la produzione è messa a servizio dell’umanità e il lavoro non è più esclusivamente di tipo salariato.
E’ oggi possibile contrapporre al Capitale che produce senza Lavoro, un Lavoro che produce senza Capitale, anzi
del Lavoro “liberato” che produce senza Capitale
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La difesa delle libertà digitali
Cosa si impone quindi oggi per chi vuole rappresentare le istanze di liberazione dei subalterni, dei produttori di
valore, dei lavoratori dipendenti e precari?
Occorre promuovere la libera disponibilità della tecnologia, cioè difendere le libertà digitali.
Non è solo un fattore culturale ma economico, sociale e politico, in passato eravamo pronti a batterci per
socializzare i mezzi di produzione, oggi non serve togliere niente a nessuno, serve mantenere libero il sapere e la
conoscenza (c’è e ci sarà senz’altro una reazione ma non così violenta come in passato):
libertà digitali e non, solo, diritti digitali.
Nella produzione digitale ed immateriale (ma anche la produzione materiale) gli strumenti e i mezzi materiali di
produzione sono ormai alla portata di una ampia fascia di popolazione, ciò determina la possibilità della produzione
diretta di beni da parte di moltissimi lavoratori cognitivi.
Il nuovo rapporto di competizione che può stabilirsi tra produttori/lavoratori organizzati e possessori di capitali,
grazie alla minor influenza del capitale nel possesso dei mezzi di produzione di beni immateriali, fa assumere al
concetto di Libertà un ruolo prioritario rispetto al concetto di diritto digitale.
Non si vuole sottovalutare il ruolo fondamentale dei Diritti Digitali, che rappresentano una nuova forma di diritto di
Cittadinanza e di Democrazia, il diritto dei cittadini a non essere esclusi dalla comunicazione, dalla rete, e quindi
dalla partecipazione e dalla conoscenza.
Ma il concetto di Libertà Digitale è ancora più importante: “si tratta di affermare la possibilità di utilizzare
liberamente le tecnologie, di disporre degli strumenti dati dall'informatica, dalla scienza e dall'automazione per
emanciparsi, per costruire e realizzare progetti, per produrre ed autoprodurre beni e merci, per essere liberi di scambiare
idee, condividere cultura ed arte, sviluppare conoscenza e sapere, accrescere la preparazione e la formazione comune,
diffondere informazioni e comunicare con tutti, per elevare la condizione umana, delle persone e dei popoli.”
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Idee e progetti per il nostro futuro
Il modo di produzione e di estrazione del valore del futuro avrà una forma nuova.
Ma noi oggi non dobbiamo avere l’idea di “abbattere il capitalismo”, ci conviene destrutturarlo,
superarlo “girandogli attorno”.
Togliere i mezzi di produzione e la ricchezza ai Capitalisti è un’operazione che, quando è stata tentata,
ha richiesto il sangue e la morte di milioni di persone. Troppo devastante è stata e sarebbe la reazione
che le forze al potere sono disposte a mettere in campo (guerre, attentati, uccisioni mirate) pur di
sventare questa possibilità.
Oggi si può operare in modo diverso, meno impattante nell’immediato, ma più difficilmente
contrastabile, e sicuramente meno sanguinoso, che rende superflui e inessenziali la ricchezza e i mezzi di
produzione in mano ai Capitalisti. E’ questa un’operazione che, seppur difficile, è estremamente più
semplice della prima. Occorre progettare e proporre pratiche di mutualismo, autoorganizzazione e
autoproduzione che nella società realizzino e/o alludano, nel concreto, la società del futuro, l’economia
della vera condivisione.
Le nuove formazioni politiche non potranno più essere solo la sponda per le organizzazioni sociali e
culturali, ma dovranno promuovere ed incoraggiare direttamente nuove iniziative basate sulla
produzione diretta di beni e servizi a diretto valor d’uso, forme nuove di produzioni, di tipo cooperativo
e condiviso, che sperimentino forme di lavoro non salariato.
produzioni in modalità open source che consentano una libera fruizione della tecnologia e dei prodotti
tecnologici.
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Idee e progetti per il nostro futuro
Alcuni esempi:
Se ad esempio Facebook è il luogo virtuale dove si realizza la propria identità sociale e relazionale, ma
perché non è possibile creare e realizzare una nuova piattaforma di comunicazione e relazione più aperta,
trasparente e libera?
Se Youtube è la biblioteca del nuovo millennio perché non pensare ad una biblioteca pubblica universale
delle immagini?
Guardiamo alle aziende ed ai prodotti della sharing economy, come UBER o AirBnB, ma anche Amazon o i
portali di ecommerce, è tanto complicato incoraggiare la nascita di comunità open source di sviluppatori ed
utilizzatori che realizzi una piattaforma per un trasporto, od una ospitalità, veramente autoorganizzata dai
cittadini?
Perchè non proporre in ogni quartiere le FabLab, le fabbriche condivise, o piattaforme di scambio di beni o
servizi dove il valor d’uso sia prevalente rispetto alla mercificazione?
Fino ad arrivare alla sfida più grande: la realizzazione di una Moneta Sociale Digitale.
Una Moneta in grado di utilizzare le tecnologie già disponibili e sicure, basate sulla blockchain come
BITCOIN, che garantiscono sicurezza negli scambi finanziari, ma che perda ogni relazione di convertibilità
rispetto alle monete tradizionali, e che accompagni una nuova concezione della ricchezza e del rapporto tra
ricchezza e lavoro sociale, sia nella forma esplicita sia implicita del lavoro.
Una Moneta Sociale e Comune che romperebbe il monopolio della finanza da parte delle elite tecnocratiche
e che sarebbe in grado di restituire la sovranità economica alla collettività.
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La nuova politica
Ricordiamo che i valori della cultura hacker, delle
comunità che hanno imposto il software libero nel
mondo, sono i valori dell’unica esperienza che è riuscita a
contrastare in maniera vincente le pratiche e le ideologie
del neoliberismo, che è riuscita a sottrarre alle logiche
pervasive del capitale la diffusione della conoscenza,
evitando la completa mercificazione di software, sistemi
operativi e applicazioni, garantendo libero accesso alla
conoscenza e alla tecnologia ad ampi strati della
popolazione mondiale.
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La nuova politica
Il cambio di paradigma risolve le controversie
Tramite il nuovo paradigma della produzione (e autoproduzione) basata sulla condivisione e cooperazione, tutte le contrapposizioni tra i
movimenti progressisti del passato, come quelli dei liberaldemocratici, cristiano sociali, socialisti e socialdemocratici, anarchici,
ambientalisti e comunisti si possono risolvere e riconciliare. Si cambia prospettiva senza ripudiare i valori del passato:
- La contrapposizione tra libertà borghese e rivendicazione dei diritti da parte dei lavoratori può essere risolta. La libertà nell’epoca del
digitale e dell’autoproduzione condivisa assume solo il valore positivo, e non più quella della libertà borghese vista dall’operaio come
libertà di sfruttare (è la produzione capitalistica che ha imposto le figure dell’imprenditore “libero” e del lavoratore “sfruttato”).
La libertà di produrre si può estendere a tutti, non solo ai possessori di capitale, diventa anche la libertà di autoprodurre e assume
quindi solo il valore nobile di libertà di essere protagonisti e di poter scegliere e di realizzare idee e progetti;
- la produzione potrà essere “comune” e decisa insieme senza ricorrere alle degenerazioni imposte dalla pianificazione. Non è possibile
e non è giusto imporre in modo predeterminato cosa e quanto produrre e quindi consumare, ma le tecnologie permettono una
programmazione ed una regolazione condivisa
- può essere risolta la contrapposizione tra riformismo e rivoluzione, le nuove opportunità offerte dal digitale possono essere utilizzate
per costruire sin da subito una società nuova, che sperimenti ed alludi ad un modello di sviluppo diverso, ma allo stesso tempo
riformare progressivamente l’esistente;
- le nuove forme di produzione ed autoproduzione potranno essere al servizio dell’uomo e ecocompatibili, rispettose dell’ambiente e
dell’umanità, condivise e creative, individuali e collettive, solidali ed eque, dove una buona parte della ricchezza, sarà di per se’
riproducibile e quindi immediatamente ridistribuibile a tutti.
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Conclusioni
Conclusioni, scenari e proposte
Il futuro che si sta prospettando a breve vede una società dove regnerà la
disoccupazione di massa, con l’1% ricco e potente, una classe media (con stipendi
fissi e contratti continui) in minoranza, con un grande strato della popolazione
spinto verso il non lavoro e la parte maggioritaria della popolazione in uno stato di
costante precarietà lavorativa. Il tutto in uno scenario di riscaldamento globale e di
cambiamenti climatici distruttiva che rendono impossibile una crescita opulenta.
Ma non sarà semplice relegare il nuovo precariato metropolitano, istruito e
culturalmente preparate, alla rassegnazione a vivere in un mondo opprimente. Il
nuovo precariato è la nuova leva per costruire un futuro migliore, se solo
riusciremo a organizzare una formazione politica che sia consapevole e razionale,
capace di analisi e progetto, che si organizzi nei modi adeguati e partecipati,
all’altezza dei tempi e delle sfide della nuova era del digitale e del PostCapitalismo
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Post Scriptum
Non è il Capitalismo la tendenza naturale delle persone
L’economista ungherese Karl Polanyi nella sua opera principale – La grande
trasformazione – analizza in modo originale il fenomeno dell’economia di mercato e lo
fa in modo affatto ideologico, ma storico e scientifico.
La genesi e lo sviluppo del mercato autoregolato, definito da Polanyi “una pura
utopia”, sono rintracciati nell’Inghilterra della prima metà del XIX secolo: il tempo
della rivoluzione industriale e della conseguente ascesa politica della borghesia nel
parlamento inglese.
Il fine della sua opera è quello di mostrare come questo nuovo modo di organizzare la
vita economica della società non sia il naturale approdo di presunte inclinazioni umane
a “commerciare, barattare e scambiare”, ma la realizzazione di un preciso progetto di
natura politica e sociale che aveva nel liberismo la sua fonte ispiratrice. E soprattutto
che tale ordinamento nella storia delle istituzioni umane costituisca una novità
assoluta, il cui impatto sulla società sarebbe stato potenzialmente distruttivo se essa
stessa non avesse reagito nella forma di un ampio e multiforme contromovimento.
53
Post scriptum
In questo breve, ma significativo estratto de la grande trasformazione, viene smontato l’assunto di base del capitalismo, e cioè che
esso sia una tendenza naturale, determinata dal semplice evolversi degli eventi mondani.
<<La tesi della naturale inclinazione dell’uomo primitivo per le attività lucrose – sostenuta da Smith – è priva di fondamento.
La società tribale esercita una pressione continua sull’individuo in modo da eliminare l’interesse economico personale dalla sua coscienza
fino al punto di renderlo incapace, in molti casi (ma non certamente in tutti), anche di comprendere le implicazioni delle sue azioni in
termini di un simile interesse.
Questo atteggiamento è rafforzato dalla frequenza delle attività comunitarie come il prendere il cibo dal recipiente comune o la divisione del
bottino di qualche azzardata e pericolosa spedizione tribale. Il premio attribuito alla generosità è così grande, misurato in termini di
prestigio sociale, da rendere semplicemente non conveniente qualunque altro comportamento diverso dalla estrema dimenticanza di sé.
Il carattere personale ha poco a che fare con la questione […]. Le passioni umane, buone o cattive, sono semplicemente dirette verso fini non
economici, l’ostentazione cerimoniale serve a spronare al massimo l’emulazione e la consuetudine del lavoro comune tende a spingere gli
standards quantitativi e qualitativi ai valori più alti. La prestazione di tutti gli atti di scambio come doni spontanei che ci si attende che
vengano ricambiati anche se non necessariamente da parte dello stesso individuo – una procedura minutamente articolata e perfettamente
salvaguardata da elaborati metodi di pubblicità, da riti magici e dall’istituzione di «dualità» nelle quali i gruppi sono legati da obblighi
reciproci – dovrebbe da sola spiegare l’assenza della nozione del guadagno o anche della ricchezza tranne che per quegli oggetti che
tradizionalmente elevano il prestigio sociale.>>
La vera naturalità umana è la condivisione e il dono:
DAI E TI SARA’ DATO, sembra un precetto evangelico ma è il modo in cui gli essere umani tendono a vivere il mondo

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Corso di Formazione Politica Netleft: Le Buone Pratiche del Digitale

  • 1. Pratiche Le logiche della condivisione, della cooperazione, l’autogestione. Le produzioni sociali e le esperienze dell’open source, le economie della condivisione, del dono, stampanti 3D, smart-contracts, ecc… Corso di formazione politica IL FUTURO E’ GIA’ QUI, SOLO CHE E’ MAL DISTRIBUITO
  • 2. 2 Digitale e politica Una formazione politica che voglia innestarsi nel solco del movimento operaio del novecento, e tenti di interpretare le trasformazioni della società nel nuovo millennio, deve basare la sua analisi sui profondi effetti dell’innovazione tecnologica sul ciclo produttivo, sugli stili di vita, sulle relazione tra esseri umani, sul rapporto uomo e natura, sulla sfera della comunicazione, su tutto l’immaginario e sulla modifica stessa della percezione del senso della vita. Comprendere le conseguenti minacce verso la cittadinanza, non solo in termini di privacy, ma soprattutto di inibizione del potere democratico e di sudditanza decisionale ed economica, ma cogliere anche le nuove contraddizioni e le nuove possibilità di liberazione. Occorre inserirsi nelle nuove dinamiche del digitale, per intraprendere una battaglia di trasformazione, perché il digitale possa convertirsi da formidabile strumento di dominio a mezzo di emancipazione
  • 3. 3 Il digitale come strumento del capitalismo Con la fine dell’esperienza del socialismo reale, terminate le necessità di contenere la spinta del movimento operaio, si è chiuso il periodo contraddistinto dal compromesso capitale-lavoro, basato sul tentativo di inibizione della competizione tra capitali internazionali ed il sostegno alla domanda per reggere il consumo, garantendo diritti e potere d’acquisto alla classe lavoratrice Modificate le condizioni geopolitiche, il capitalismo ha ripreso a correre, portando ad una esasperazione del conflitto di classe ed alla storica sconfitta del movimento operaio. L’innovazione tecnologica ha assunto il ruolo di strumento principe: ha pervaso il ciclo produttivo, ha trasformato i rapporti tra le classi, ha reciso ogni freno inibitorio da parte dei rappresentanti del capitale e della finanza e innescato il cosiddetto “turbocapitalismo”.
  • 4. 4 Il digitale come strumento del capitalismo E’ ripresa la competizione tra capitali e si è passati da un modello economico basato sul sostegno alla domanda interna ad uno basato sull’esportazione, sulla conquista dei mercati internazionali, sulla diminuzione dei costi e sulla libera circolazione di merci e capitali. Come previsto da Marx, l’innovazione tecnologica nel ciclo produttivo si è sostanziata nella continua sostituzione del lavoro vivo con quello delle macchine, ovvero l’aumento incessante della Composizione organica del capitale, e dal parallelo aumento del saggio di sfruttamento (tramite anche lo spostamento della produzione in paesi dove i salari sono più bassi). Non è più interesse del capitale sostenere la domanda interna (e quindi mantenere i salari sopra una certa soglia), ma solo aumentare la produttività e diminuire i costi di produzione e distribuzione per rimanere competitivi sui mercati internazionali. Flessibilità, perdita dei diritti, precarizzazione, frammentazione del mondo del lavoro, delocalizzazione, disoccupazione di massa, sono questi gli effetti, visibili da parte di tutti, della lotta di classe vinta dal capitale. Sono state modificate le Costituzioni dei paesi democratici, quelle reali se non quelle formali. E’ sempre più chiara la perdita di sovranità democratica, il potere dal popolo passa ad organismi tecnocratici non eletti e non rappresentativi di istanze democratiche, le stesse finalità delle grandi Istituzioni nazionali e transnazionali sono modificate (gli obiettivi delle Banche Centrali sono passati dai nobili scopi della ricerca del “pieno impiego” alla semplice finalità della “stabilità dei prezzi”). Anche il potere di spesa (esercitato con il governo dell’emissione della moneta) si trasferisce dagli Stati (soggetti alla sovranità dei popoli) ad Enti transnazionali sottoposti al potere finanziario. Il capitale ha utilizzato tutti gli strumenti che l’innovazione tecnologica ha fornito: per accelerare la sua pervasività e l’invasione di tutti i settori dell’esistente.
  • 5. 5 Digitale e declino del lavoro salariato Internet, la rete, la digitalizzazione permettono non più solo scambi di informazioni, ma la creazione di un enorme mercato di produzione materiale ed immateriale, le grandi aziende ne hanno approfittato per fornire servizi, spesso gratuiti, che in verità utilizzano il nostro lavoro non pagato, il cosiddetto “lavoro implicito”. Emblematico è il detto: “Se il servizio è gratis, il prodotto sei TU”. BIG DATA: Tramite una raccolta di dati enorme le grandi aziende possono realizzare la profilatura di tutti i cittadini che si affacciano su internet, consentendo il controllo ed il condizionamento, diretto o indiretto, della volontà di consumo, riuscendo ad indirizzare il ciclo produttivo: il digitale ed internet sono diventati in breve tempo la vera infrastruttura di base per la produzione, la distribuzione ed il consumo. L’automazione spinta, le nanotecnologie, il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale e dell’internet delle cose, le applicazioni delle innovazioni tecnologiche sull’Industria (4.0) stanno permettendo il compimento definitivo della fondamentale funzione storica del Capitalismo: diminuire il tempo di lavoro necessario alla produzione sostituendolo con le macchine Attenzione: la sostituzione del lavoro vivo con le macchine è ed è stata una funzione positiva che ha sottratto alla schiavitù della “fatica” miliardi di persone nel mondo Nelle società avanzate il contributo del lavoro (agricolo o industriale) è, già oggi, dell’ordine del 3%.
  • 6. 6 Produzione materiale ed immateriale Il valore della produzione immateriale (informazioni, software, servizi, app, algoritmi, musica, film, …) già da alcuni anni ha sopravanzato il valore della produzione materiale, almeno paesi più avanzati: le più grandi Aziende mondiali, le più capitalizzate, sono produttori sostanzialmente di beni immateriali. I beni immateriali hanno una semplice caratteristica, sono riproducibili praticamente senza costi aggiuntivi, una volta realizzato un bene immateriale, non costa nulla riprodurne un altro, altri mille o un miliardo. Nella stessa produzione classica “materiale” la componente immateriale è la più importante: nella progettazione, in una linea di montaggio, in un filiera logistica, nei sistemi di trasporto, nella rete di distribuzione, la parte informativa, la comunicazione, il software, l’analisi dati, è come se la fase materiale sia l’ultima propaggine di un processo quasi totalmente immateriale. La caratteristica della nuova modalità di produzione è quella dove l’essere umano è sostituito dalle macchine, dove una volta realizzato un prototipo, per la produzione di massa non serve più ulteriore lavoro, insomma una modalità dove chi produce può fare a meno del lavoro, o comunque il ruolo del lavoro progressivamente minore e residuale. Il rapporto tra Capitale e Lavoro non è più un rapporto di conflitto dove il “Lavoro” possa esercitare funzioni di controllo e cogestione, o almeno possa contrattare con il Capitale modalità produttive e forme di organizzazione del lavoro, il “come produrre” se non addirittura il “cosa produrre”. E’ un cambio di paradigma storico che rende obsolete tutte le forme di lotta precedentemente sperimentate (anche lo sciopero perde il valore che per due secoli aveva rappresentato, diventando una forma di “comunicazione”, che misura il consenso verso obiettivi e piattaforme sindacali, è ancora uno strumento utile ma risulta profondamente depotenziato.)
  • 7. 7 Produzione del Capitale senza Lavoro o del Lavoro senza Capitale? Per poter reagire e trovare forme di contrasto è necessario comprendere che il Capitale vuole una produzione senza Lavoro (e sta raggiungendo l’obiettivo) e che quello che sta avvenendo è un passaggio critico dalla forma dello sfruttamento alla forma del dominio. Occorre allora analizzare le nuove contraddizioni della nuova fase capitalistica contraddistinta dalla tecnologia e studiare le nuove leve su cui poggiare la capacità di contrastare il nuovo dominio e costruire un mondo migliore Come scriveva Claudio Napoleoni dobbiamo “cercare ancora” perchè possiamo ribaltare la tendenza verso una forma di Produzione senza il Lavoro per proporre e raggiungere una Produzione senza Capitale!
  • 8. 8 Le buone pratiche Il digitale in questi decenni non è stato solo privazione della privacy, controllo ed induzione dei nostri comportamenti, estrazione di valore dai nostri dati personali, è stato indubbiamente anche un mezzo per far star meglio le persone, migliorando i servizi tradizionali, o trasformandoli per renderli più efficienti e vicini alle esigenze delle persone: tutto quello che sappiamo e facciamo oggi con i tantissimi strumenti tecnologici che utilizziamo sia hardware che software (internet, siti, comunicazioni, informazioni, email, smartphone, PC, fotografia, audio, video, ebook, ecc. ecc.) sono stati sicuramente un progresso per tutte/i La tecnologia ha permesso di sviluppare fortemente progetti e idee in linea con le caratteristiche tipiche delle comunità umane: l’aspirazione a cooperare e fare comunità, ad aiutarsi vicendevolmente per cercare di controllare e rendere più comoda e sicura la vita di ognuno di noi. La maggior parte di quello che noi qui chiamiamo “buone pratiche”, sono state rese possibili grazie alla tecnologia, o meglio, grazie al digitale hanno potuto svilupparsi in modo formidabile e contribuire al bene comune.
  • 9. 9 Le buone pratiche: il software libero Il Software libero Il software libero è stato il progetto che più ha contribuito a sottrarre alla completa mercificazione un settore fondamentale per le nostre vite: non riguarda solo la programmazione informatica, ma la proprietà delle idee e la libertà della trasmissione del sapere. Se oggi abbiamo uno spazio di libertà che ci lascia ancora speranza per il futuro lo dobbiamo ad un uomo, Richard Matthew Stallman, che paradossalmente non aveva una cultura di sinistra, si potrebbe definire un anarco-liberista, ma è la persona che più ha contribuito a socializzare il bene comune della conoscenza Il software libero viene chiamato anche open source; poiché esistono delle differenze di approccio e di impostazione ideologica tra i due termini (nel primo caso si pone l’accento sul concetto di libertà, nel secondo sui vantaggi di un metodo aperto) e non tutti sono d’accordo alla loro completa identificazione, è nato il termine FOSS che racchiude le due definizioni: Free Open Source Software, ovvero Software Libero Open Source, ma sostanzialmente i due termini sono sinonimi.
  • 10. 10 Il Software Libero Open Source Nel 1979 Stallman si accorse che la società fornitrice di una stampante del suo dipartimento universitario, aveva voluto limitare l'accesso al software di configurazione e reso illegale quella operazione, al tempo comune, di modificare e personalizzare i driver di stampa per adattarle alle necessità degli utenti. Stallman considerò il divieto di accedere al software “un crimine contro l'umanità”. Egli chiarì, anni dopo, che quello che lui considera un crimine non è far pagare i software, bensì ostacolare la libertà dell'utente. Nel settembre del 1983 diede avvio al progetto GNU con l'intento di creare un sistema operativo simile a Unix, ma composto interamente da software libero: da ciò prese vita il movimento del software libero. Nell'ottobre del 1985 fondò la Free Software Foundation (FSF). Pioniere del concetto di copyleft, nel 1989 creò la GNU General Public License, una delle licenze libere più diffuse Il Software Libero nasce da una idea di Richard Matthew Stallman (New York, 16 marzo 1953) un programmatore, informatico e attivista statunitense
  • 11. 11 Il Software Libero «Ho avviato il movimento del software libero per rimpiazzare il software non libero che controlla l'utente con software libero rispettoso della libertà. Con il software libero, possiamo almeno avere il controllo su quel che il software fa nei nostri computer.» (Richard Stallman) Un software è libero se sono soddisfatte le seguenti condizioni: Libertà di studiare il codice sorgente e modificare il software; Possibilità di fare copie e distribuirle; Possibilità (soprattutto per i programmatori) di fare versioni migliorate e, perchè no?, farsi pagare per la distribuzione. Inoltre deve essere soddisfatta la libertà principale: la libertà di eseguire il programma per qualunque fine, senza vincolarla al suo modo di utilizzo. La licenza Gnu/Gpl Le suddette condizioni da sole non tutelano pero' da un rischio, che qualcuno sfrutti il codice libero per apporre modifiche e poi “rivenderselo” come proprietario. A questo scopo è nata la licenza Gnu/Gpl, dove GPL sta per “General Public License”, ovvero è una licenza pubblica che garantisce che, se il software viene modificato, anche le versione successive debbono necessariamente rimanere con la stessa licenza GPL. In pratica la licenza GPL stabilisce che la libertà di modifica è subordinata al fatto che il software rimanga “libero”, è a ben vedere una forma di protezione da appropriazioni indebite. L'obiettivo è diffondere la libertà e la cooperazione, incoraggiando la diffusione del software libero in sostituzione al software proprietario: «Rendo disponibile il mio codice affinché venga usato nel software libero, e non nel software proprietario, con lo scopo di incoraggiare chi programma a fare altrettanto. Ho capito che, poiché gli sviluppatori di software proprietario usano il diritto d'autore per impedirci di condividere il software, noi che cooperiamo possiamo usare il diritto d'autore per favorire coloro che come noi cooperano: possono usare il nostro codice.» (Richard Stallman)
  • 12. 12 Il Software Libero e Linux Le caratteristiche di queste licenze software fanno in modo che sia impossibile l’appropriazione da parte di qualche privato o azienda, tutti i software derivati da un utilizzo o miglioramento del software originale rilasciato con queste licenze rimangono disponibili per tutti, il software diviene un bene comune inalienabile La condivisione del sapere non permette a un gruppo ristretto di persone di sfruttare la conoscenza (in questo caso tecnologica) per acquisire una posizione di potere. Inoltre, è promossa la cooperazione delle persone, che tendono naturalmente ad organizzarsi in comunità, cioè in gruppi animati da un interesse comune Il modello del software libero si è naturalmente esteso ad altri campi del sapere. Chi crede nel modello copyleft pensa che questo possa essere applicato ad esempio alla musica o alla divulgazione. L'esempio più riuscito di applicazione di questo modello ad un campo differente dal software è oggi Wikipedia, che promuove la condivisione del sapere e la formazione di una comunità Il sistema operativo Linux (kernel) vide la luce il 25 agosto 1991 grazie al giovane studente finlandese Linus Torvalds. Per poter rendere fruibile da tutti il suo sistema Torvalds utilizzo le licenze del software libero (GPL): Nacque in questo modo il sistema GNU/Linux ed iniziò la sua diffusione globale e virale
  • 13. 13 Il Software Libero e Linux Anche Android, il sistema operativo per dispositivi mobili, è basato su Linux e, pur con qualche distinguo, è un software libero, e oggi equipaggia circa due terzi degli smartphone nel mondo. Oltre l'80% dei siti web utilizza linguaggi di programmazione server-side o client-side open source, come PHP o JavaScript. I server web più diffusi sono open source Una caratteristica fondamentale del Software Libero è senz'altro il modello di lavoro, fondato sui valori della cooperazione, della condivisione, della partecipazione. Le comunità di sviluppatori sono in perenne contatto per rilasciare continuamente versioni migliorate dei prodotti software, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il sistema operativo Linux, il rappresentante per eccellenza di questa categoria, gode di fama indiscussa in quanto a affidabilità, versatilità, sicurezza, funzionalità. Una buone dose del successo di Linux è dovuta anche al prezzo esiguo, spesso addirittura gratuito, necessario per dotarsi di tutte le licenze necessarie per equipaggiare i computer. I software applicativi open source attualmente più diffusi sono Firefox, VLC, Gimp, 7-Zip, OpenOffice, LibreOffice, le famiglie di sistemi operativi BSD, GNU, Android e il kernel Linux i cui autori e fautori hanno contribuito in modo fondamentale alla nascita del movimento. La comunità open source è molto attiva, comprende decine di migliaia di progetti, numero tendenzialmente in crescita.
  • 14. 14 Le buone pratiche: le creative commons Mentre l’open source vale per il software, per la creatività e la diffusione dell’arte e della cultura sono nate le licenze Creative Commons, ovvero i Beni Comuni Creativi . Fanno parte del cosiddetto copyleft: le nuove forme di diritto d’autore più elastiche e permissive, propense alla condivisione e alla libertà di fruizione. Possiamo affermare che le CC sono lo strumento legale per il rilascio di opere in copyleft Le licenze CC consentono di modificare facilmente i termini di copyright dall’originario "tutti i diritti sono riservati" ad "alcuni diritti sono riservati": consentono cioè di modificare i termini di copyright per soddisfare al meglio le esigenze degli autori di opere creative. Le licenze di tipo Creative Commons permettono a quanti detengono dei diritti di autore, di trasmettere alcuni di questi diritti al pubblico e di conservare gli altri, per mezzo di una varietà di schemi di licenze e di contratti, lo scopo è di evitare i problemi che le attuali leggi sul copyright creano per la diffusione e la condivisione delle informazioni. Spesso, o quasi sempre, gli autori e gli artisti in generale, sono favorevoli alla diffusione (anche gratuita) delle loro opere, spesso ciò che interessa è la popolarità, ma ci tengono al riconoscimento della paternità dell’opera e vogliono avere il controllo dello sfruttamento commerciale. Le CC nascono e si sono diffuse soprattutto per questo. Oggi le licenze CC sono il principale modo in cui vengono diffuse le opere culturali su internet, da Wikipedia ai siti istituzionali degli enti governativi, dalle principali testate giornalistiche alle università. Anche le licenze CC sono nate dalle comunità di internet, con l’apporto di un noto Prof. USA Lawrence Lessig
  • 15. 15 Le buone pratiche: Wikipedia E’ ormai entrata nel vocabolario comune. Si tratta dell’enciclopedia numero uno del web, redatta autonomamente dagli internauti secondo alcune norme prestabilite, che si basa sui principi di collaborazione tipici dell’Opensource. Wikipedia è sostenuta da un’associazione senza fini di lucro, la Wikimedia Foundation. Con più di 45 milioni di voci in oltre 280 lingue è l'opera più grande mai scritta nell’Umanità, tra i dieci siti web più visitati al mondo, costituisce la maggiore e più consultata opera di riferimento su Internet (circa 400 milioni di visitatori unici al mese). Wikipedia nasce con l’obiettivo di creare un'enciclopedia libera, ovvero liberamente accessibile, a contenuto libero, aperto, e "universale" e possiamo affermare che abbia raggiunto il suo scopo. Tutti possono contribuire alla sua stesura (attualmente sono circa 71.000 gli utenti attivi) l’Enciclopedia è divenuta l’esempio più chiaro di come la cooperazione umana possa raggiungere vette inarrivabili
  • 16. 16 Le buone pratiche: hardware libero Hardware Libero Fino ad ora abbiamo parlato di sapere, conoscenza, software, cultura, ma anche l’hardware (o la macchina) può essere libero e condiviso. La cultura hacker quella che ritiene che il sapere non abbia limiti e che vada sempre condiviso, che ama le sfide per diffondere la conoscenza contro ogni imposizione dei poteri, ha pervaso anche il mondo delle macchine. E’ nato così il concetto di hardware libero, parte integrante della cultura dell'open source, che espande quest'ideologia al di fuori dell'ambito del software. Il termine viene principalmente usato per esprimere la libera divulgazione di informazioni riguardanti il progetto stesso dell'hardware, comprendente gli schemi, la lista dei materiali, il layout dei dati del circuito stampato, solitamente insieme al software libero (open source) per far girare l'hardware.
  • 17. 17 Le buone pratiche: Arduino Arduino (hardware libero) Arduino è una piattaforma hardware composta da una serie di schede elettroniche dotate di un microcontrollore. È stata ideata e sviluppata da alcuni membri dell'Interaction Design Institute di Ivrea (come l’italiano Massimo Banzi) come strumento per la prototipazione rapida e per scopi hobbistici, didattici e professionali. Il nome della scheda deriva da quello del bar di Ivrea frequentato dai fondatori del progetto, nome che ricorda in qualche modo il concetto di hARDware e richiama a sua volta quello di Arduino d'Ivrea, Re d'Italia nel 1002. Con Arduino si possono realizzare in maniera relativamente rapida e semplice piccoli dispositivi come controllori di luci, di velocità per motori, sensori di luce, automatismi per il controllo della temperatura e dell'umidità e molti altri progetti che utilizzano sensori, attuatori e comunicazione con altri dispositivi. È abbinato ad un semplice ambiente di sviluppo integrato per la programmazione del microcontrollore. Tutto il software a corredo è libero, e gli schemi circuitali sono distribuiti come hardware libero. Sui siti dedicati sono pubblicati e liberalmente scaricabili migliaia di progetti per replicare i dispositivi ed assemblare i componenti L’hardware originale Arduino è interamente realizzato in Italia dalla Smart Projects, mentre i cloni della scheda possono essere realizzati da chiunque in qualsiasi parte del mondo.
  • 18. 18 Le buone pratiche: la filosofia “do it yourself” Piccolo inciso: va ricordato che all’interno dell’Umanità è sempre esistita una cultura della cooperazione e condivisione che ha pervaso movimenti operai e contadini, libere associazioni di cittadini, movimenti di idee, comunità artistiche e musicali e quindi comunità tecnologiche. Non solo quindi i movimenti tradizionali ma anche le avanguardie: importanti sono state le culture hippy e, in generale, le culture alternative negli USA (ad es. la filosofia alla base del best seller Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta) oppure, ancora meglio, la cultura punk degli anni 70 e 80 che ha sviluppato il DIY. Il DIY (abbreviazione di Do It Yourself, equivalente dell'italiano fai da te) è un'etica nata e diffusa all'interno dei movimenti punk, che propugna il rifiuto per le major della distribuzione musicale, ritenute capitaliste, espresso nello slogan DIY not EMI, e la formazione di etichette indipendenti con cui pubblicare i propri album. E’ su questa idea dell’autoorganizzazione e del fai da te che si è innestata la cultura hacker della condivisione del sapere tecnologico. Il rifiuto della dipendenza dal potere economico e politico e l’auto-organizzazione sociale DIY
  • 19. 19 Le buone pratiche: le stampanti 3D “la stampa 3D rappresenta la naturale evoluzione della tradizionale stampa 2D”. Con stampa 3D si intende la realizzazione di oggetti tridimensionali mediante produzione “additiva”, partendo da un modello 3D digitale. Il modello digitale viene prodotto con software dedicati e successivamente elaborato per essere poi realizzato, strato dopo strato, attraverso una stampante 3D. Il principio di funzionamento è identico a quando si vuole costruire qualcosa con i mattoncini LEGO: inizialmente si posano i pezzi che compongono la base, poi si procede verso l’alto incastrandoli in modo da ottenere il profilo voluto. Così la stampante 3D realizza strati solidi a partire da un ugello, che segue un movimento controllato, da cui fuoriesce un materiale fuso. Sono utilizzati dei filamenti, plastici o metallici, arrotolati su una sorta di matassa che viene progressivamente srotolata durante la stampa. Tramite la stampa 3D oggi viene normalmente realizzata la prototipazione rapida. E’ possibile costruire oggetti e cose a partire da innumerevoli progetti liberamente disponibili su siti web aperti. I materiali con cui realizzare le cose sono ancora limitati ma tendono continuamente ad aumentare. Stampa 3D
  • 20. 20 Le buone pratiche: le stampanti 3D E’ grazie alla cultura del fai da te, vista anche come azione politica e sociale e non solo economica, che i valori del software libero e dell’hardware libero hanno preso il sopravvento nello sviluppo delle stampanti 3D. Con la scadenza dei relativi brevetti e la progressiva riduzione dei costi, la stampa 3D non è stata più un’esclusiva delle grandi aziende, ma ha raggiunto anche l’ambito domestico. Il popolare portale svedese The Pirate Bay ha aperto all’inizio del 2012 una sezione, "Physibles", dedicata proprio alla condivisione dei file da dare in pasto a questa tipologia di stampanti, per realizzare modelli di qualsiasi tipo: dai giocattoli ai modellini, passando per loghi, rappresentazioni di quadri in tre dimensioni e molto altro ancora. Il mercato delle stampanti 3D è in continua crescita (circa + 24% l’anno) e tra produzione e prototipazione investe i settori automobilistico, aerospaziale, progettazione di prodotti di consumo e assistenza sanitaria (protesi dentarie o chirurgiche, ecc.) Gli unici limiti allo sviluppo produzione e progettazione sono dettati dalla fantasia e dalle dimensioni della stampante. Stampanti 3D
  • 21. 21 Le buone pratiche: Open Manufacturing Hardware libero, stampanti 3D, software libero, propensione alla condivisione e cooperazione delle persone organizzate in comunità hanno reso possibile il cosiddetto Open Manufacturing, un fenomeno che sperimenta l’applicazione del modello collaborativo Open Source nel campo della manifattura e che, ad oggi, ha investito gli ambiti più disparati: architettura, ingegneria, agricoltura, moda, mobilità, robotica, ambiente, medicina, ricerca scientifica, didattica, ecc. Sono ormai innumerevoli i Fab Lab sparsi in tutta Italia e nel Mondo, laboratori di fabbricazione digitale Il portale Instructables (https://www.instructables.com nato nel 2005) pubblica, in maniera collaborativa, migliaia e migliaia di progetti “fai da te” sui temi più disparati (dall’elettronica alle ricette di cucina, al taglio e cucito, alle biciclette) E’ nata la generazione dei maker, appassionati del fai da te digitale che si raccontano in rete condividendo progetti ed esperienze. Henry Ford affermò che “c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti“. La massima espressione di questo ideale è rappresentata dalle potenzialità che hardware e software liberi, controllati dagli utenti/produttori (prosumer) possono mettere a disposizione per realizzare progetti di emancipazione sociale.
  • 22. 22 Le buone pratiche Alcuni esempi: Il collettivo Open Source Ecology è un’organizzazione no-profit che raccoglie una numerosa e ben distribuita comunità di progettisti, ingegneri, agricoltori e costruttori impegnati nell’ambizioso progetto di sviluppare in maniera aperta e collaborativa il Global Village Construction Set (GVCS), un insieme di quelle che, secondo la stessa comunità, sono le macchine e le tecnologie fondamentali in grado di costruire da zero (e tenere in vita) una civiltà moderna. WikiHouse è una piattaforma Open Source per progettare e costruire case modulari, accoglienti, efficienti ed eco-sostenibili. L’idea è quella di una libreria di modelli 3D accessibili a tutti, che possano essere scaricati e adattati alle singole esigenze e di rendere possibile, con un semplice click, la generazione di un output di una serie di file di sagome che possano essere facilmente prodotte con materiali standard e macchine comuni, ottenendo una sorta di “casa in scatola di montaggio”. La casa deve poter essere assemblata senza attrezzature o macchinari complessi o costosi, per l’assemblaggio non devono occorrere competenze specifiche e non si devono realizzare elementi che non possano essere sollevati e posizionati da un gruppo di più di 2-3 persone. Si realizzano delle sezioni della casa suddivise in elementi simili a pezzi di un puzzle e serrati tra loro senza l’ausilio di viti o bulloni, bensì tramite cunei e cavicchi, in modo da limitare gli attrezzi necessari a comuni mazze e martelli. Con gli stessi obiettivi è nato il progetto OpenDesk, focalizzato sulla progettazione di mobili e sulla fabbricazione a km zero, una sorta di Ikea fai da te, democratica e libera
  • 23. 23 Le buone pratiche: il file sharing Abbiamo citato Pirate Bay, lo storico portale della condivisione: una delle pratiche più positive è proprio quello del file sharing. Sono frutto delle comunità opensource la quasi totalità dei client o anche dei protocolli di condivisione e distribuzione dei file (pensiamo ad esempio a Bit-torrent che ha permesso un salto di qualità nella velocità e nell’efficienza dei download). Anche se spesso confina con le pratiche illegali, non si può non citare come la condivisione di file musicali e di video ha rappresentato un mezzo imponente di diffusione della cultura e dell’informazione. Già dagli anni 90 il sito precursore Napster era stato definito il più grande jukebox della storia. Ma anche i siti di condivisione di video (legali come youtube o illegali come ad esempio emule o i portali contenenti file torrent) possono essere visti come grandi biblioteche multimediali aperte a tutti. Piuttosto la domanda che ci dobbiamo fare è perché queste biblioteche non possano essere di proprietà pubblica, o meglio perché non esistano dei siti simili a youtube, di proprietà statale o comunale come appunto le biblioteche, dove i cittadini possano condividere le proprie realizzazioni e fruire dei contenuti presenti.
  • 24. 24 Le buone pratiche: Wikileaks e il whistleblowing Wikileaks è il noto sito dove vengono rivelati i documenti segreti dei governi di tutto il mondo e, con buona ragione, fa parte delle buone pratiche delle comunità collaborative. WikiLeaks (dall'inglese leak «perdita o fuga» di notizie) è un'organizzazione internazionale senza scopo di lucro che riceve in modo anonimo, grazie a un contenitore (drop box) protetto da un potente sistema di cifratura, documenti coperti da segreto (di Stato, militare, industriale, bancario) e poi li carica sul proprio sito web. WikiLeaks riceve, in genere, documenti di carattere governativo o aziendale da fonti coperte dall'anonimato. Il sito è curato da giornalisti, attivisti e scienziati, anch’essi in generale anonimi. Potenzialmente tutti i cittadini di ogni parte del mondo possono inviare materiali segreti «che portino alla luce comportamenti non etici di governi e aziende». L'obiettivo dell'organizzazione è di assicurare che gli informatori non vengano perseguiti per la diffusione di documenti riservati. Wikileaks è il precursore ed il più importante tra i siti di whistleblowing, serie di piattaforme e strumenti tecnologici per la denuncia anonima.
  • 25. 25 Le buone pratiche: Wikileaks Wikileaks, prima di pubblicare il materiale, ne verifica l'autenticità e si premura che venga preservato l'anonimato degli informatori e di tutti coloro che sono implicati nella fuga di notizie. Non ha una sede fisica, proprio perché si prefigge di essere «una versione irrintracciabile di Wikipedia che consenta la pubblicazione e l'analisi di massa di documentazione riservata». Lo scopo ultimo è quello della trasparenza da parte dei governi quale garanzia di giustizia, di etica e di una più forte democrazia Il sito è stato fondato, tra gli altri, dall'attivista informatico Julian Assange, che ne è il caporedattore, rinchiuso da alcuni anni nell’ambasciata londinese dell’Ecuador. E’ grazie a Wikileaks che conosciamo i comportamenti inaccettabili dell’esercito USA occupante in Irak (Manning), il controllo totale della NSA sulle comunicazioni internet (Snowden), la lista degli evasori con conti correnti in Svizzera (Falciani), gli accordi fiscali del Lussemburgo guidato da Juncker con le multinazionali del web, o il fatto (che mi ha personalmente stupito) che nel 1989 nella Piazza Tienanmen non ci sia stata nessuna strage ma si siano sentiti solo sparuti colpi molto in lontananza
  • 26. 26 Le buone pratiche: Anonymous Non solo Wikileaks Il fenomeno della ricerca della verità e della trasparenza, dei Whistleblower, cioè dei cittadini che denunciano fatti precedentemente tenuti coperti non riguarda solo Wikileaks o siti simili. Molto importante è la pratica dell’attivismo in rete anonimo, come ad esempio Anonymous, una sigla che identifica singoli utenti o intere comunità online che agiscono anonimamente – in modo coordinato o anche individualmente – per perseguire un obiettivo concordato anche approssimativamente. Grazie alle azioni illegali di Anonymous che ha hackerato mailserver o datacenter siamo venuti a conoscenza di molte informazioni prima segrete.
  • 27. 27 Bitcoin e le criptomonete Una delle opportunità maggiori che la tecnologia ha messo a disposizione delle persone è la possibilità di creare una moneta condivisa e democratica Bitcoin è una criptovaluta e un sistema di pagamento mondiale creato nel 2009 da un anonimo inventore, noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto Bitcoin usa la tecnologia peer-to-peer per fare a meno di un’autorità centrale o delle banche; la gestione delle transazioni e l'emissione di bitcoin viene effettuata collettivamente dalla rete. Bitcoin è open-source: la sua progettazione è pubblica, nessuno possiede o controlla Bitcoin e ognuno può prendere parte al progetto. Per convenzione se il termine Bitcoin è utilizzato con l'iniziale maiuscola si riferisce alla tecnologia e alla rete, mentre se minuscola (bitcoin) si riferisce alla valuta in sé. Il Bitcoin utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni, ma sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali, come la generazione di nuova moneta e l'attribuzione della proprietà dei bitcoin. Il valore del bitcoin è determinato unicamente dalla leva domanda e offerta, ma poggia sulle sue potenti caratteristiche, in quanto permette utilizzi che non potrebbero essere coperti da nessun altro sistema di pagamento precedente. Bitcoin
  • 28. 28 Bitcoin e le criptomonete La rete Bitcoin consente il possesso e il trasferimento anonimo delle monete; i dati necessari a utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o più personal computer o dispositivi elettronici quali smartphone o PC, sotto forma di "portafoglio" digitale, o mantenuti presso terze parti che svolgono funzioni simili a una banca; i bitcoin possono essere trasferiti attraverso Internet verso chiunque disponga di un "indirizzo bitcoin". La struttura peer-to-peer della rete Bitcoin e la mancanza di un ente centrale rende impossibile a qualunque autorità, governativa o meno, il blocco dei trasferimenti, il sequestro di bitcoin senza il possesso delle relative chiavi o la svalutazione dovuta all'immissione di nuova moneta. Bitcoin
  • 29. 29 Bitcoin e le criptomonete La rete Bitcoin non potrebbe esistere senza la cosiddetta BlockChain. La blockchain è una sorta di libro mastro digitale, decentralizzato, su cui poggiano i bitcoin e la maggior parte delle valute virtuali, che non passando per banche né intemediari finanziari, hanno bisogno di un metodo sicuro per registrare le transazioni. La blockchain, distribuisce il registro delle transazioni (blocchi) tra milioni di utenti nel mondo: ogni nodo (un computer connesso alla rete) riceve una copia del registro automaticamente. E in questo modo nessun dato registrato può essere alterato. Grazie a tali caratteristiche, la blockchain è considerata paragonabile alle banche dati e ai registri gestiti in maniera centralizzata da autorità riconosciute e regolamentate (pubbliche amministrazioni, banche, assicurazioni, intermediari di pagamento, ecc.), e ne rappresenta pertanto un'alternativa in termini di sicurezza, affidabilità e costi BlockChain
  • 30. 30 Bitcoin e le criptomonete Come funziona la Blockchain? Quando avviene una transazione digitale, questa viene raggruppata in un blocco (block) protetto da crittografia, insieme alle altre transazioni concluse negli ultimi 10 minuti e diffuse in tutto il network, dove vengono validate dai cosiddetti miner: questi ultimi sono gli utenti che mettono la potenza di calcolo dei loro computer a disposizione del processo, ricevendone una ricompensa in bitcoin o altre criptovalute. Al blocco così validato viene apposta una "etichetta" che contiene le indicazioni sulla data e l'ora in cui è stato creato: a questo punto viene unito ad altri blocchi, formando una catena (chain) dove, tutti insieme, sono disposti in ordine cronologico (dal più vecchio al più recente) continuamente aggiornato, così che ogni ledger (letteralmente “libro mastro”) nel network sia uguale a tutti gli altri, consentendo a tutti i membri di dimostrare in qualsiasi momento chi possiede cosa, senza rischio di truffe. BlockChain
  • 31. 31 Bitcoin e le criptomonete La caratteristica di incorruttibilità della blockchain fa in modo che essa sia la tecnologia ideale da impiegare anche al di fuori degli scambi di criptovalute, in tutti quei settori dove è fondamentale la certificazione di una transazione e la certezza dell’identità dei contraenti. In generale, la blockchain potrebbe essere programmata per "certificare" tutto ciò che abbia valore, come ad esempio ID digitali: La creazione dell’identità digitale, che ci renda riconoscibili nelle operazioni che facciamo online Voto digitale: i sistemi usati finora non garantiscono la sicurezza necessaria. la tecnologia blockchain è già teoricamente in grado di permetterci di votare con un clic, e in modo abbastanza trasparente da consentire a qualsiasi autorità di verificare se avvengono tentativi di intrusione o se qualcuno ha provato a modificare i voti Catasto e atti del notaio: gli atti di acquisto di una casa o di un'auto possono essere archiviati facilmente in formato digitale, proprio come avviene con il libro mastro delle transazioni dei bitcoin. La cosa vale per ogni tipo di contratto (smart contracts) Utilizzi della BlockChain
  • 32. 32 Le cripto Monete Bitcoin non è l’unica criptovaluta esistente, sono centinaia i progetti nati per la realizzazioni di monete virtuali aventi caratteristiche leggermente diverse tra loro, focalizzate a a specifiche transazioni oppure più adatte a risolvere le problematiche a cui va incontro bitcoin, migliorandone le prestazioni (aumento delle velocità delle transazioni, con conseguente abbattimento dei costi per ogni registrazione, maggior efficienza nella gestione dei dati dovuta alla grandezza della blockcain, anonimato, ecc.). Tutte le criptomonete mantengono la caratteristica di essere a guida decentralizzata e digitale la cui implementazione si basa sui principi della crittografia per convalidare le transazioni e la generazione di moneta in sé. Le più degne di nota sono: Ethereum, Monero, Litecoin, Ripple
  • 33. 33 Le cripto monete e gli smart contract Gli smart contract – La criptovaluta prima citata, la Ethereum, permette l’inserimento nella blockchain di smart contract, un accordo tra le parti “intelligente” regolato da un algoritmo. Come funziona uno smart contract: – – – –  Due o più parti identificano un interesse comune  Scrivono insieme uno smart contract ponendo le condizioni e gli effetti desiderati  Inseriscono lo smart contract nella Blockchain di Ethereum  La stessa Blockchain di Ethereum diventa il garante del contratto  Quando nella rete si ottiene il consenso, il contratto esegue le sue condizioni  Dopo che le condizioni sono state eseguite, la Blockchain verrà aggiornata dalla modifica di stato del sistema.
  • 34. 34 Le cripto Monete e gli Smart contract Gli smart contract – ESEMPIO: A deve corrispondere mensilmente l’affitto di 400 euro a B. I due utenti scrivono uno smart contract garantendo che dal conto di A -ogni 30 giorni- verrà erogata la somma di 400 verso il conto di B. Automaticamente, il programma svolgerà l’operazione, seguendo le regole e i comandi preimpostati. Quando due utenti scrivono uno smart contract, entrambi devo porre su questo la loro firma privata in modo che il contratto possa ottenere il consenso dai full nodes di Ethereum. Le transazioni di 400€ verranno costantemente verificate dagli utenti attraverso la solita catena di blocchi: se l’utente A non dispone di sufficiente denaro per pagare B, l’operazione verrà bloccata senza creare debito nel sistema. Tutte le operazioni e transazioni sono sempre pubbliche e mostrate nella piattaforma Blockchain. Ovviamente, come abbiamo spiegato qui, ogni operazione richiede una costo di transazione, che dipende dalla potenza computazionale richiesta.
  • 35. 35 Le Monete complementari Si stima che nel mondo oggi esistano circa 5.000 monete complementari (o sistemi di scambio che ad esse possano essere assimilabili) utilizzate da diverse comunità sulla base di sistemi articolati e diversificati. Al di là della denominazione con cui le vogliamo indicare (monete locali, sociali, comunitarie, solidali, parallele, complementari) sono tutte caratterizzate da un qualche rapporto con la moneta ufficiale e con uno spazio, fisico o virtuale, certo e delimitato. Esse più generalmente possono essere considerare circuiti complementari di commercio di servizi e beni, con compensazioni di crediti e debiti. Le monete complementari non hanno corso legale e sono accettate su base volontaria: ciò contribuisce al loro aspetto identitario, cioè al loro identificare la comunità all'interno della quale sono usate alla stregua dei vantaggi di una tessera associativa
  • 36. 36 Le Monete complementari Tutte le monete complementari sono legate alla dimensione territoriale e, soprattutto, ad una comunità di persone che condividono certi valori e sono disposte ad utilizzarle: le monete complementari rappresentano uno strumento che rende visibile il legame sociale e di solidarietà fra i suoi membri i quali scambiano per tramite della moneta i frutti del loro lavoro. Non si può quindi ascrivere la moneta complementare alle buone pratiche consentite dal digitale, perché ne sono preesistenti, ma l’innovazione tecnologia ha amplificato al massimo le potenzialità. E’ grazie alla virtualizzazione o dematerializzazione che le monete complementari hanno potuto fare un balzo in avanti nella diffusione e distribuzione. Oggi in Italia la moneta complementare è diffusa grazie a diverse comunità, associazioni o imprese e consorzi privati, ma sono tutte organizzazioni di tipo collaborativo, etico ed a proprietà “distribuita”. Tra le più importanti: •L’associazione Arcipelago SCEC - solidarietà che cammina ha riunito diverse esperienze locali e promuove su base nazionali gli SCEC una sorta di buoni sconti. •Il Sardex è una piattaforma di scambio, gestita da una impresa privata, che facilita il credito ed il pagamento complementare e quindi le relazioni tra soggetti economici operanti in un dato territorio. Ha avuto una diffusione capillare in Sardegna, dove coinvolge migliaia di aziende che transano in Sardex circa 100 milioni di controvalore in euro. Circuito cloni diramazioni del Sardex si sono diffusi in ogni regione d’Italia assumendo nomi diversi (Piemex, Tibex, Umbrex, ecc.)
  • 37. 37 La Moneta fiscale Definizione: La Moneta Fiscale è un titolo che lo Stato si impegna ad accettare per l’adempimento di obbligazioni fiscali (tasse, imposte, contributi ai sistemi sanitari e pensionistici pubblici, eccetera). E’ un diritto di riduzione degli importi dovuti, quindi un diritto a beneficiare di uno sconto fiscale. La Moneta Fiscale non rappresenta moneta legale: nessuno, né in Italia né tanto meno in altri paesi dell’Eurozona, è obbligato ad accettarla come forma di pagamento, e lo Stato non si impegna a convertirla in moneta legale. La moneta legale rimane l’euro. La Moneta Fiscale ha tuttavia un valore “agganciato” all’euro, in quanto permette di ridurre, in proporzione 1:1, pagamenti altrimenti dovuti all’erario. Mille euro di Moneta Fiscale, in altri termini, saranno sempre e comunque equivalenti a mille euro in meno di tasse da pagare. La Moneta Fiscale è inoltre negoziabile, trasferibile e scambiabile tra soggetti terzi volontariamente disposti ad accettarla in corrispettivo di transazioni reali (beni e servizi) o finanziarie. Il percettore di Moneta Fiscale può, quindi, spenderla immediatamente
  • 38. 38 La Moneta fiscale Anche la Moneta fiscale non può essere correttamente definita una buona pratica comunitaria, ma vale la pena inserirla per due motivi; 1) perché rappresenta uno strumento formidabile per ridare sovranità monetaria al nostro paese senza infrangere i trattati europei e senza uscire dall’Euro, e soprattutto sottrarre lo Stato, la politica, la Democrazia alla dipendenza del credito della finanza (quella che lo stesso Draghi definisce il regime di “Monetary Dominance”). 2) perché il progetto può essere messo in atto solo utilizzando un circuito virtuale di moneta elettronica, accettato su base volontaria, cioè una sorta di moneta complementare ma gestita dallo Stato 'Tis impossible to be sure of any thing but Death and Taxes (è impossibile essere sicuri di qualcosa se non della morte e delle tasse) Christopher Bullock (1690 – 1724), commediografo britannico.
  • 39. 39 La Moneta fiscale Il progetto prevede l’erogazione gratuita, a individui e aziende, di Moneta Fiscale mediante carte elettroniche per effettuare pagamenti in modo analogo a un Bancomat o a una carta di credito. La Moneta Fiscale potrà essere scambiata tramite una piattaforma elettronica che gestirà i conti degli operatori economici residenti nel paese (individui, imprese, associazioni, banche, enti pubblici) disponibili a effettuare transazioni in Moneta Fiscale. Sulla base di accordi liberamente e volontariamente sottoscritti, o anche di prassi operative che si diffonderanno spontaneamente, imprese, lavoratori, categorie di esercenti, aziende di distribuzione, imprese di pubblica utilità ecc. accetteranno pagamenti in Moneta Fiscale. L’accettazione non sarà obbligatoria, ma verrà attivamente promossa dallo Stato. La Moneta Fiscale potrà essere erogata anche sotto forma di titoli (CCF Certificati di Credito Fiscale) e potrà essere scambiata, vendendola contro euro, sulle normali piattaforme di negoziazione dei titoli di Stato, allo stesso modo in cui è possibile vendere prima della scadenza un BOT o un BTP. Un CCF in effetti è un titolo di Stato, anche se non costituisce una forma di debito pubblico (lo Stato non si impegna a rimborsarlo a una scadenza data) ma deriva il suo valore dalla possibilità di utilizzarlo per ridurre pagamenti d’imposta (e dal connesso impegno dello Stato ad accettarlo a tal fine). Elemento essenziale del progetto è la dilazione temporale del diritto di conseguire gli sconti fiscali (almeno due anni). Tramite il meccanismo di differimento dell’utilizzabilità fiscale la Moneta Fiscale diventa strumento di generazione di crescita del PIL mediante l’espansione della domanda nel contesto di un’economia come quella italiana, che opera molto al di sotto del suo potenziale produttivo. E’ chiaro che uno strumento simile, se associato a specifiche politiche di indirizzamento della crescita, può diventare una forma di sostegno ad una domanda “qualificata”, cioè ecosostenibile e rivolta al contrasto delle disuguaglianze, rivolta ad un diverso modello di sviluppo basato sulla promozione delle comunità e dei valori della condivisione e dell’auto-organizzazione auto-produzione
  • 40. 40 Le buone pratiche L’economia della condivisione è una economia che può essere utilizzata, come troppo spesso succede oggi, per accedere al sapere comune e utilizzarlo per fini propri. Facebook, AirBnb, Uber, utilizzano piattaforme informatiche basate sul software libero, ma lo utilizzano per estrarre valore e guadagnare sulle nostre relazioni sociali e la nostra propensione alla cooperazione. Ma come abbiamo visto, per fortuna esistono comunità che si autoorganizzano, dove il valore creato dal lavoro, implicito ed operoso, rimane nelle comunità e diventa un bene ed un vantaggio per coloro che utilizzano il servizio sociale. Non si tratta quindi di nazionalizzare le piattaforme, ma di garantire l’accesso al sapere e alla tecnologia, e promuovere forme collaborative e comunitarie per la generazione di piattaforme ed algoritmi alternativi, aperti a tutti e finalizzato a distribuire i vantaggi verso tutti. Alcune esperienze di economia della condivisione promossa da imprese e privati, anche se non sono sempre un esempio di estremo successo, sono comunque degne di nota e rappresentano sviluppi positivi: Ad esempio per la mobilità sostenibile citiamo le piattaforme BlaBlaCar per il Car pooling, ovvero la modalità di trasporto che consiste nella condivisione di automobili private tra un gruppo di persone, con il fine principale di ridurre i costi del trasporto. Oppure Enjoy o Car2Go o le molte altri piattaforme private per il Car Sharing, meglio ancora il Bike Sharing, nonostante i vari fallimenti di esperienze soprattutto a Roma (ad es. oBike)
  • 41. 41 Le buone pratiche I Centri culturali di aggregazione Tra le buone pratiche ci sono anche i centri di aggregazione, luoghi fisici e locali, dove le persone possono incontrarsi, organizzare od assistere ad eventi, serate, concerti, proiezioni, mostre artistiche, presentazione di libri, partecipare a corsi di formazione, seminari, convegni, fruire di alimentazione responsabile, luoghi dove è possibile condividere idee, esperienze e progetti. Esempi sono i vari centri sociali occupati, in passato lo è stato il Linux Club di Roma, locale precursore della socialità impegnata nella diffusione e promozione dell’arte e della cultura libera. Oggi sono presenti il Fusolab sulla Casilina, oppure i vari FabLab dedicati all’autoproduzione con stampanti 3D e hardware libero. Un obiettivo di una nuova forza politica consapevole dovrà essere anche quella di sostenere e promuovere centri di aggregazione simili per la diffusione dei valori di condivisione, cooperazione e auto-organizzazione solidale.
  • 42. 42 Le buone pratiche Tutte le buone pratiche che abbiamo illustrate (ma ce ne sarebbero molte altre), hanno in comune la caratteristica di essere state realizzate, promosse e diffuse da comunità solidali. Non sono organizzazioni molto diverse da quelle dal passato, dalle comunità di contadini ai movimenti operai, le persone hanno sempre cercato di organizzarsi con forme di solidarietà e di mutua assistenza, con l’ambizione di controllare la produzione (agricola o industriale) e riappropriarsi delle proprie vite. Ricordiamo che l’ideologia del cittadino borghese, solo ed impaurito, è sempre stata minoritaria. Sia nel periodo preindustriale, dove i contadini hanno combattuto per la salvaguardia dei beni comuni, dai pascoli alle fonti ai terreni boschivi, ancora meglio con l’avvento delle fabbriche, il movimento operaio ha lottato insieme, in forma collaborativa, per la gestione, o cogestione, del ciclo produttivo, cercando di migliorare orari, paghe, condizioni di lavoro e di salute. Non sono gli obiettivi che oggi sono diversi, ma sono i metodi, gli approcci e le modalità che devono cambiare per sfidare i proprietari dei mezzi di produzione nell’era dell’automazione spinta. Per individuarli occorre però partire dall’analisi
  • 43. 43 Le nuove contraddizioni: il PostCapitalismo Se ogni prodotto digitale può essere riprodotto “ad libitum”, diventa fondamentale il controllo dei mezzi di produzione: una volta prodotto un bene se ne possono produrre infiniti beni uguali senza costi, cioè senza bisogno di lavoro aggiuntivo. Sparisce la dialettica tra lavoro e capitale, dove la borghesia ha la funzione di reperire i mezzi di produzione tramite il capitale accumulato ed il proletariato mette a disposizione il suo lavoro. Se il lavoro si riduce ad un ruolo marginale, rimane un solo attore principale, se non unico, della produzione, colui che possiede il mezzo di produzione, e questo cambiamento ha delle conseguenze che cambiano completamente i rapporti tra le classi. Se il bene può essere prodotto solo da un soggetto, a causa di motivi di mercato, o tecnologici o legali (Monopoli, Brevetti software, copyright, marchi ecc.), allora si trasforma la natura della produzione: il possesso del mezzo di produzione diventa una forma di dominio diretta (dell’uomo sull’uomo) e non più, solo, una forma di sfruttamento. Paul Mason nel suo libro Postcapitalismo descrive la crisi inevitabile del Capitalismo, che si trasformerà in altro, una cosa che lui chiama PostCapitalismo, una forma ancora incognita, che forse sarà più vicina al Feudalesimo, soprattutto se noi non riusciremo a contrapporgli un nuovo Umanesimo Economico, sociale e culturale. Riprendendo la teoria del valore di Marx (la teoria che indica che il valore di un bene è prodotto esclusivamente dal lavoro) Mason dimostra che la produzione senza lavoro, produce beni senza “valore”, rendendo impossibile la valorizzazione dei capitali se non tramite una costrizione forzata: già oggi molte delle merci che acquistiamo hanno un prezzo forzato, imposto da leggi su proprietà intellettuali e diritto d’autore, e da brevetti che giuridicamente reprimono la libera disponibilità della tecnologia, non trovano giustificazioni da riscontri oggettivi
  • 44. 44 Le nuove contraddizioni Ma quali sono i mezzi di produzione nella produzione immateriale: i computer? le reti? i cavi? i router? i data center? Ma questi sono cose a disposizione di tutti o quasi, non sono più appannaggio esclusivo dei grandi Capitali, il vero mezzo di produzione è la conoscenza, il sapere, gli algoritmi. Ma dove risiedono gli strumenti della conoscenza? Risiedono nelle nostre teste, nelle teste dei nuovi produttori di valore, mezzi di produzione e lavoro, sono nostre: potenzialmente una comunità “agente” è in grado di unire a se’ tutti i fattori della produzione (digitale e non): mezzi di produzione e lavoro, è la prima volta che succede nella storia. da mezzo di controllo e dominio il digitale può diventare a strumento di liberazione Il digitale assume quindi caratteristiche abilitanti, impensabili fino a qualche decina di anni fa. Come abbiamo visto in tanti settori centrali nello sviluppo futuro, al fine di realizzare una produzione alla portata di tutti, occorre solo organizzare il sapere ed il lavoro, utilizzando le nuove modalità tipiche della rete, condivise e collaborative
  • 45. 45 Produzione, Capitale, Lavoro Il nostro futuro si trova davanti un ventaglio di scenari, che vanno da un estremo all’altro: ✔ Uno scenario apocalittico, purtroppo ancora il più probabile, quello a cui i rapporti di forza ed i livelli di (scarsa) consapevolezza e di organizzazione sembrano consegnarci: una società dove la produzione è un’esclusiva del capitale, senza bisogno del lavoro, o dove il lavoro assume un ruolo marginale, una società dove l’automazione spinta è egemonizzata dalle grandi corporation e la stragrande maggioranza della popolazione è relegata al ruolo di consumatori passivi. ✔ Uno scenario di liberazione, frutto di consapevolezza, organizzazione, cooperazione e condivisione: una società dove la produzione fa sostanzialmente a meno del capitale, dove la produzione è decisa dalle comunità, dove il sapere e la tecnologia condivise forniscono a i mezzi di produzione necessari. Una società dove finalmente la produzione è messa a servizio dell’umanità e il lavoro non è più esclusivamente di tipo salariato. E’ oggi possibile contrapporre al Capitale che produce senza Lavoro, un Lavoro che produce senza Capitale, anzi del Lavoro “liberato” che produce senza Capitale
  • 46. 46 La difesa delle libertà digitali Cosa si impone quindi oggi per chi vuole rappresentare le istanze di liberazione dei subalterni, dei produttori di valore, dei lavoratori dipendenti e precari? Occorre promuovere la libera disponibilità della tecnologia, cioè difendere le libertà digitali. Non è solo un fattore culturale ma economico, sociale e politico, in passato eravamo pronti a batterci per socializzare i mezzi di produzione, oggi non serve togliere niente a nessuno, serve mantenere libero il sapere e la conoscenza (c’è e ci sarà senz’altro una reazione ma non così violenta come in passato): libertà digitali e non, solo, diritti digitali. Nella produzione digitale ed immateriale (ma anche la produzione materiale) gli strumenti e i mezzi materiali di produzione sono ormai alla portata di una ampia fascia di popolazione, ciò determina la possibilità della produzione diretta di beni da parte di moltissimi lavoratori cognitivi. Il nuovo rapporto di competizione che può stabilirsi tra produttori/lavoratori organizzati e possessori di capitali, grazie alla minor influenza del capitale nel possesso dei mezzi di produzione di beni immateriali, fa assumere al concetto di Libertà un ruolo prioritario rispetto al concetto di diritto digitale. Non si vuole sottovalutare il ruolo fondamentale dei Diritti Digitali, che rappresentano una nuova forma di diritto di Cittadinanza e di Democrazia, il diritto dei cittadini a non essere esclusi dalla comunicazione, dalla rete, e quindi dalla partecipazione e dalla conoscenza. Ma il concetto di Libertà Digitale è ancora più importante: “si tratta di affermare la possibilità di utilizzare liberamente le tecnologie, di disporre degli strumenti dati dall'informatica, dalla scienza e dall'automazione per emanciparsi, per costruire e realizzare progetti, per produrre ed autoprodurre beni e merci, per essere liberi di scambiare idee, condividere cultura ed arte, sviluppare conoscenza e sapere, accrescere la preparazione e la formazione comune, diffondere informazioni e comunicare con tutti, per elevare la condizione umana, delle persone e dei popoli.”
  • 47. 47 Idee e progetti per il nostro futuro Il modo di produzione e di estrazione del valore del futuro avrà una forma nuova. Ma noi oggi non dobbiamo avere l’idea di “abbattere il capitalismo”, ci conviene destrutturarlo, superarlo “girandogli attorno”. Togliere i mezzi di produzione e la ricchezza ai Capitalisti è un’operazione che, quando è stata tentata, ha richiesto il sangue e la morte di milioni di persone. Troppo devastante è stata e sarebbe la reazione che le forze al potere sono disposte a mettere in campo (guerre, attentati, uccisioni mirate) pur di sventare questa possibilità. Oggi si può operare in modo diverso, meno impattante nell’immediato, ma più difficilmente contrastabile, e sicuramente meno sanguinoso, che rende superflui e inessenziali la ricchezza e i mezzi di produzione in mano ai Capitalisti. E’ questa un’operazione che, seppur difficile, è estremamente più semplice della prima. Occorre progettare e proporre pratiche di mutualismo, autoorganizzazione e autoproduzione che nella società realizzino e/o alludano, nel concreto, la società del futuro, l’economia della vera condivisione. Le nuove formazioni politiche non potranno più essere solo la sponda per le organizzazioni sociali e culturali, ma dovranno promuovere ed incoraggiare direttamente nuove iniziative basate sulla produzione diretta di beni e servizi a diretto valor d’uso, forme nuove di produzioni, di tipo cooperativo e condiviso, che sperimentino forme di lavoro non salariato. produzioni in modalità open source che consentano una libera fruizione della tecnologia e dei prodotti tecnologici.
  • 48. 48 Idee e progetti per il nostro futuro Alcuni esempi: Se ad esempio Facebook è il luogo virtuale dove si realizza la propria identità sociale e relazionale, ma perché non è possibile creare e realizzare una nuova piattaforma di comunicazione e relazione più aperta, trasparente e libera? Se Youtube è la biblioteca del nuovo millennio perché non pensare ad una biblioteca pubblica universale delle immagini? Guardiamo alle aziende ed ai prodotti della sharing economy, come UBER o AirBnB, ma anche Amazon o i portali di ecommerce, è tanto complicato incoraggiare la nascita di comunità open source di sviluppatori ed utilizzatori che realizzi una piattaforma per un trasporto, od una ospitalità, veramente autoorganizzata dai cittadini? Perchè non proporre in ogni quartiere le FabLab, le fabbriche condivise, o piattaforme di scambio di beni o servizi dove il valor d’uso sia prevalente rispetto alla mercificazione? Fino ad arrivare alla sfida più grande: la realizzazione di una Moneta Sociale Digitale. Una Moneta in grado di utilizzare le tecnologie già disponibili e sicure, basate sulla blockchain come BITCOIN, che garantiscono sicurezza negli scambi finanziari, ma che perda ogni relazione di convertibilità rispetto alle monete tradizionali, e che accompagni una nuova concezione della ricchezza e del rapporto tra ricchezza e lavoro sociale, sia nella forma esplicita sia implicita del lavoro. Una Moneta Sociale e Comune che romperebbe il monopolio della finanza da parte delle elite tecnocratiche e che sarebbe in grado di restituire la sovranità economica alla collettività.
  • 49. 49 La nuova politica Ricordiamo che i valori della cultura hacker, delle comunità che hanno imposto il software libero nel mondo, sono i valori dell’unica esperienza che è riuscita a contrastare in maniera vincente le pratiche e le ideologie del neoliberismo, che è riuscita a sottrarre alle logiche pervasive del capitale la diffusione della conoscenza, evitando la completa mercificazione di software, sistemi operativi e applicazioni, garantendo libero accesso alla conoscenza e alla tecnologia ad ampi strati della popolazione mondiale.
  • 50. 50 La nuova politica Il cambio di paradigma risolve le controversie Tramite il nuovo paradigma della produzione (e autoproduzione) basata sulla condivisione e cooperazione, tutte le contrapposizioni tra i movimenti progressisti del passato, come quelli dei liberaldemocratici, cristiano sociali, socialisti e socialdemocratici, anarchici, ambientalisti e comunisti si possono risolvere e riconciliare. Si cambia prospettiva senza ripudiare i valori del passato: - La contrapposizione tra libertà borghese e rivendicazione dei diritti da parte dei lavoratori può essere risolta. La libertà nell’epoca del digitale e dell’autoproduzione condivisa assume solo il valore positivo, e non più quella della libertà borghese vista dall’operaio come libertà di sfruttare (è la produzione capitalistica che ha imposto le figure dell’imprenditore “libero” e del lavoratore “sfruttato”). La libertà di produrre si può estendere a tutti, non solo ai possessori di capitale, diventa anche la libertà di autoprodurre e assume quindi solo il valore nobile di libertà di essere protagonisti e di poter scegliere e di realizzare idee e progetti; - la produzione potrà essere “comune” e decisa insieme senza ricorrere alle degenerazioni imposte dalla pianificazione. Non è possibile e non è giusto imporre in modo predeterminato cosa e quanto produrre e quindi consumare, ma le tecnologie permettono una programmazione ed una regolazione condivisa - può essere risolta la contrapposizione tra riformismo e rivoluzione, le nuove opportunità offerte dal digitale possono essere utilizzate per costruire sin da subito una società nuova, che sperimenti ed alludi ad un modello di sviluppo diverso, ma allo stesso tempo riformare progressivamente l’esistente; - le nuove forme di produzione ed autoproduzione potranno essere al servizio dell’uomo e ecocompatibili, rispettose dell’ambiente e dell’umanità, condivise e creative, individuali e collettive, solidali ed eque, dove una buona parte della ricchezza, sarà di per se’ riproducibile e quindi immediatamente ridistribuibile a tutti.
  • 51. 51 Conclusioni Conclusioni, scenari e proposte Il futuro che si sta prospettando a breve vede una società dove regnerà la disoccupazione di massa, con l’1% ricco e potente, una classe media (con stipendi fissi e contratti continui) in minoranza, con un grande strato della popolazione spinto verso il non lavoro e la parte maggioritaria della popolazione in uno stato di costante precarietà lavorativa. Il tutto in uno scenario di riscaldamento globale e di cambiamenti climatici distruttiva che rendono impossibile una crescita opulenta. Ma non sarà semplice relegare il nuovo precariato metropolitano, istruito e culturalmente preparate, alla rassegnazione a vivere in un mondo opprimente. Il nuovo precariato è la nuova leva per costruire un futuro migliore, se solo riusciremo a organizzare una formazione politica che sia consapevole e razionale, capace di analisi e progetto, che si organizzi nei modi adeguati e partecipati, all’altezza dei tempi e delle sfide della nuova era del digitale e del PostCapitalismo
  • 52. 52 Post Scriptum Non è il Capitalismo la tendenza naturale delle persone L’economista ungherese Karl Polanyi nella sua opera principale – La grande trasformazione – analizza in modo originale il fenomeno dell’economia di mercato e lo fa in modo affatto ideologico, ma storico e scientifico. La genesi e lo sviluppo del mercato autoregolato, definito da Polanyi “una pura utopia”, sono rintracciati nell’Inghilterra della prima metà del XIX secolo: il tempo della rivoluzione industriale e della conseguente ascesa politica della borghesia nel parlamento inglese. Il fine della sua opera è quello di mostrare come questo nuovo modo di organizzare la vita economica della società non sia il naturale approdo di presunte inclinazioni umane a “commerciare, barattare e scambiare”, ma la realizzazione di un preciso progetto di natura politica e sociale che aveva nel liberismo la sua fonte ispiratrice. E soprattutto che tale ordinamento nella storia delle istituzioni umane costituisca una novità assoluta, il cui impatto sulla società sarebbe stato potenzialmente distruttivo se essa stessa non avesse reagito nella forma di un ampio e multiforme contromovimento.
  • 53. 53 Post scriptum In questo breve, ma significativo estratto de la grande trasformazione, viene smontato l’assunto di base del capitalismo, e cioè che esso sia una tendenza naturale, determinata dal semplice evolversi degli eventi mondani. <<La tesi della naturale inclinazione dell’uomo primitivo per le attività lucrose – sostenuta da Smith – è priva di fondamento. La società tribale esercita una pressione continua sull’individuo in modo da eliminare l’interesse economico personale dalla sua coscienza fino al punto di renderlo incapace, in molti casi (ma non certamente in tutti), anche di comprendere le implicazioni delle sue azioni in termini di un simile interesse. Questo atteggiamento è rafforzato dalla frequenza delle attività comunitarie come il prendere il cibo dal recipiente comune o la divisione del bottino di qualche azzardata e pericolosa spedizione tribale. Il premio attribuito alla generosità è così grande, misurato in termini di prestigio sociale, da rendere semplicemente non conveniente qualunque altro comportamento diverso dalla estrema dimenticanza di sé. Il carattere personale ha poco a che fare con la questione […]. Le passioni umane, buone o cattive, sono semplicemente dirette verso fini non economici, l’ostentazione cerimoniale serve a spronare al massimo l’emulazione e la consuetudine del lavoro comune tende a spingere gli standards quantitativi e qualitativi ai valori più alti. La prestazione di tutti gli atti di scambio come doni spontanei che ci si attende che vengano ricambiati anche se non necessariamente da parte dello stesso individuo – una procedura minutamente articolata e perfettamente salvaguardata da elaborati metodi di pubblicità, da riti magici e dall’istituzione di «dualità» nelle quali i gruppi sono legati da obblighi reciproci – dovrebbe da sola spiegare l’assenza della nozione del guadagno o anche della ricchezza tranne che per quegli oggetti che tradizionalmente elevano il prestigio sociale.>> La vera naturalità umana è la condivisione e il dono: DAI E TI SARA’ DATO, sembra un precetto evangelico ma è il modo in cui gli essere umani tendono a vivere il mondo