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Estratto dal sito
www.ilfuturomigliore.org
TERREMOTI E SOCCORSI,
EMERGENZA E SOLIDARIETA’,
RICOSTRUZIONE E RISANAMENTO,
MODELLO DI SVILUPPO
sergio benassai
Dopo l’ultimo dramma del terremoto di Amatrice e dintorni, un dramma che nel nostro paese si
replica ogni pochi anni, e tenendo conto che terremoti di piccola e grande intensità si verificheranno
di nuovo, sarebbe necessario riflettere su come prepararsi al meglio a tali evenienze.
1. NON SIAMO ONNISCIENTI
Una riflessione che dovrebbe partire in primo luogo da un dato: ci sono probabilità non trascurabili
di nuovi terremoti anche di alta intensità, ma non siamo in grado di prevedere né il dove, né il
quando.
Certo possiamo ritenere che le probabilità sono certamente più alte nelle aree già classificate come a
più alto rischio, ma nessuna/o può indicare se il prossimo forte terremoto si verificherà in Friuli o in
Garfagnana, in Irpinia o in Abruzzo, nell’Emilia o a Messina, e neppure se si verificherà fra un
anno, o cinque o dieci o venti anni.
Così come non è possibile prevedere se le decine e centinaia di scosse successive che caratterizzano
un terremoto seguano una sequenza prestabilita in termini di intensità.
Un forte terremoto può caratterizzarsi per una scossa di entità elevata, seguita da innumerevoli
scosse di intensità inferiori, anche se significative, ma può anche caratterizzarsi per scosse di
intensità elevata alle quali può seguire una scossa di intensità ancor più elevata.
In poche parole non esiste alcuna possibilità di poter dare indicazioni affidabili né sul verificarsi di
un terremoto in una certa zona, né sulla possibile intensità, né sull’andamento temporale delle
scosse.
Dobbiamo renderci conto che, nonostante tutti gli sforzi finora compiuti, non si è in grado di fare
previsioni affidabili e che quindi è sbagliato e pericoloso ritenere che vi siano segnali che indichino
l’arrivo di un terremoto e le sue caratteristiche. Si deve quindi evitare di credere a chi afferma di
avere “scoperto” un metodo affidabile, ed evitando anche di accusare sia le autorità istituzionali che
le comunità scientifiche di non aver fornito indicazioni tempestive sugli eventi possibili
nell’immediato (indicazioni che non sono in grado di fornire).
Questo naturalmente non significa che non si debba proseguire nella ricerca: magari in un futuro
non troppo lontano potremo riuscire a collegare dati e fenomeni alla previsione di terremoti. Ma è
alla comunità scientifica nel suo complesso che dobbiamo guardare, non al pullulare di sciocchezze
su internet !
2. GESTIRE L’EMERGENZA E GLI AIUTI
Credo che sia doveroso riconoscere che il sistema di protezione civile del nostro paese è qualcosa
del quale dobbiamo essere soddisfatte/i e orgogliose/i.
E per questo dobbiamo anche ripensare ai modelli tanto esaltati delle/i volontarie/i spontanei che
pure hanno dimostrato la loro efficacia nel passato.
Proprio dall’esperienza del terremoto del Friuli è nato il sistema delle/i volontarie/i della protezione
civile.
Ed è un “sistema” (quello che abbiamo) di cui c’è bisogno.
Perché nell’emergenza una delle priorità è l’organizzazione. Non c’è bisogno (anzi possono essere
un ostacolo) delle persone volenterose, ma non professionalmente preparate ed inquadrate.
A questo proposito credo sia utile anche riflettere sul moltiplicarsi di iniziative per la raccolta di
beni e denaro per l’aiuto alle comunità terremotare.
Se è vero, come è vero, che la protezione civile è una macchina efficiente, solo lì dovrebbero essere
concentrate le raccolte di beni e denaro, per evitare due cose:
a) la raccolta di beni che non sono utili alle necessità del momento e che, per questo, rischiano di
essere solo una complicazione da gestire
b) la non corretta gestione dei fondi raccolti, che può andare da una non utile definizione della
priorità fino al una gestione indebita (per non dire altro)
Sarebbe dunque utile prevedere che sul sito della protezione civile si indicassero le necessità di
beni, mantenendo un continuo aggiornamento di tali richieste (e facendo comunque riferimento alle
sedi della protezione civile ove convogliare le donazioni di beni).
E anche prevedere che tutte le donazioni in denaro confluiscano in un unico conto corrente della
protezione civile.
Questo non significa “vietare” ogni iniziativa personale, ma significa garantire maggiore efficacia.
3. MESSA IN SICUREZZA
Prima ancora di pensare all’eventuale ricostruzione, c’è la necessità di mettere in sicurezza le aree
colpite dal terremoto.
Che significa garantire la viabilità, eliminare le strutture pericolanti e censire le strutture ancora in
piedi per verificarne l’abitabilità.
Non sono operazioni semplici.
Basti pensare alla gestione dei rifiuti costituiti dalle macerie. E tremo all’idea che qualcuna/o pensi
ad una rigida applicazione dell’attuale normativa sui rifiuti senza tener conto dell’eccezionalità
della situazione.
Oppure alla responsabilità di chi si assume la dichiarazione di agibilità.
Ma, contemporaneamente, la messa in sicurezza può e deve essere intesa anche come la necessità
di garantire condizioni di vita dignitose alle persone terremotate.
E’ un enorme sforzo dal punto di vista organizzativo ed anche estremamente delicato poiché sono in
gioco le condizioni di vita delle persone terremotate che, non va dimenticato, oltre ad aver diritto
alle citate condizioni di vita dignitose, non possono non preoccuparsi sia di come affrontare le
settimane ed i mesi successivi, sia di quale saranno le prospettive di vita e di lavoro nel futuro.
Naturalmente le scelte in proposito dipendono dalle condizioni locali e temporali: probabilmente
diverse sono le strutture adatte ad ospitare le persone terremotate in zone montuose o in zone
pianeggianti, in estate o in inverno.
Ma c’è comunque una scelta fondamentale da operare: strutture provvisorie (nel senso di una
previsione di soggiorno in tali strutture di qualche mese) o strutture stabili (nel senso di una
previsione di soggiorno in tali strutture di qualche anno) ?
La scelta in realtà dovrebbe essere operata sulla base di un’ipotesi di “ricostruzione” delle località
terremotate.
E quindi strutture provvisorie hanno un senso solo se, entro un tempo breve, viene approvata un
programma di “ricostruzione”, a sua volta da realizzarsi in tempi brevi.
A tale proposito ritengo che l’orientamento, trascorsi i primi giorni o settimane, dovrebbe essere in
generale quello di mettere a disposizione case mobili, che possono costituire una soluzione per
periodi più o meno lunghi.
4. RICOSTRUZIONE
Ricostruire: ma cosa ?
Quello che è stato distrutto non è solo la vita di tante persone, edifici pubblici e privati,
infrastrutture.
E’ stato distrutto anche un tessuto produttivo e sociale.
Quindi, prima di programmare la ricostruzione è necessario chiedersi: ricostruzione di cosa ? con
che modalità ? con che tempi ?
Ma, ancora prima, quale prospettiva economica e sociale si individua per le persone che, oltre a
persone care ed affetti, hanno perso l’abitazione, i locali ove svolgevano le loro attività, il lavoro, i
servizi (dalla scuola alla sanità), le relazioni sociali, i loro beni, le loro ricchezze ?
Sarebbe forse necessario che vi fossero delle linee guida in proposito, del tipo:
- determinazione quantitativa e temporale degli aiuti economici che sono riconosciuti per le
persone terremotate (tenendo conto dei danni subiti in termini di perdita parziale o totale di edifici,
di attività, di lavoro, di condizioni sociali) e per le amministrazioni locali (tenendo conto dei danni
subiti e di un non breve periodo nel corso del quale non si potrà far conto su significative entrate
locali, e della necessità, in alcuni casi, di ricostruire gli archivi, le banche dati, le informazioni)
- indagine preliminare sulla volontà di mantenere residenza e attività nelle zone terremotate
- individuazione delle aree disponibili per nuova edilizia (se necessaria)
- definizione di tempi (e relativi stanziamenti) per la ricostruzione, a cura dello stato, degli edifici
pubblici e per il riavvio delle relative attività
- rigido controllo sulla costruzione di nuovi edifici per garantire il rispetto della normativa
antisismica
5. PREVENZIONE
E qui arriva il problema maggiore.
Una buona prevenzione (che, vale la pena di ripeterlo, non garantisce una sicurezza assoluta; come
dice l’Amleto di Shakespeare “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quanto ne sogni la tua
filosofia”; ovvero: non siamo in grado di conoscere e governare tutto) è un elemento essenziale.
Prevenzione che poi si concretizza nel rispetto della normativa antisismica esistente.
Che però non può garantire molto, per le seguenti ragioni:
a) la normativa antisismica si basa su una zonizzazione del nostro territorio, basata su un diverso
grado di rischio sismico; un rischio che è derivato da un’analisi storica dei terremoti verificatisi nel
passato e che quindi può al meglio identificare le zone con maggiori probabilità di terremoti
significativi, ma non può dare certezze
b) la normativa antisismica si applica agli edifici di nuova costruzione
c) una parte significativa del patrimonio edilizio comprende edifici costruiti prima dell’entrata in
vigore della normativa antisismica
d) i contenuti tecnici della stessa normativa antisismica sono, giustamente, oggetto di continuo
aggiornamento: basti pensare alla talvolta trascurata necessità di prendere in considerazione non
solo le strutture, ma anche le caratteristiche geologiche del terreno sul quale poggiano gli edifici
Ovviamente quindi il problema maggiore è costituito dagli edifici costruiti prima della normativa
antisismica.
Possiamo adeguarli tutti alla normativa antisismica più recente ?
Certo che si può fare, a condizione che si accetti che alcuni edifici, anche di estrema rilevanza
storico-culturale, siano dichiarati inagibili o quasi, oppure soggetti a pesanti ristrutturazioni che
possono minarne alcune caratteristiche significative (a questo proposito, come non citare le
discussioni sulla possibilità di adeguare gli edifici storici a tutte le norme di sicurezza, magari
“appiccicando” scale di sicurezza su parti di edifici che ne “stravolgono” l’armonia strutturale ?).
Comunque si può fare, sia per gli edifici pubblici che per quelli privati.
Ma con che costi ? Chi paga ? Con che tempi ? Con che garanzie ?
E’ esattamente lo stesso problema del rischio idrogeologico.
Costi enormi. Non può certo pagare tutto lo stato; ma i privati non vogliono o possono pagare tutto.
E poi, entro quanto si dovrebbero mettere in sicurezza tutti gli edifici ?
E chi controlla che effettivamente gli interventi siano quelli giusti, che non vi siano distorsioni
dovuti alla corruzione o a possibili infiltrazioni mafiose ?
6. UN’AGENDA PER CHI VUOLE CAMBIARE IN MEGLIO (LA SINISTRA ?)
Ci sono alcune parole magiche per una sinistra, nazionale ed internazionale, che provi ad uscire
dalla crisi che ormai la caratterizza da decenni: “nuovo modello di sviluppo”.
Bene, come applicarle al problema “terremoti” ?
Proviamo a lasciare ad altre/i le polemiche, pur dando per scontato che non ci piacciono gli attuali
governi e le attuali vere potenze, quelle economiche-finanziarie.
Perché, se vogliamo cambiare il mondo in meglio, non possiamo solo rincorrere le proteste (anche
se giuste), ma dobbiamo (mettiamolo in maiuscolo: DOBBIAMO) indicare percorsi praticabili.
Allora, in tema di terremoti, cosa proponiamo in coerenza con una visione complessiva (che però
dobbiamo ancora forse ben ridefinire) ?
Al di là delle “suggestioni” che ho avanzato sopra, sono aperto a contributi diversi, anche
alternativi.
Ma, certo, le pur più che giustificate critiche ad alcune posizioni del governo, del PD (sulle
posizioni del centrodestra, della destra, del Movimento5Stelle, stendiamo un velo pietoso), spesso,
credo, frutto di una “scontata” polemica politica, non mi mettono l’animo in pace.
La sinistra, che peraltro non riesco a ben identificare, sembra cullarsi nella critica più che avanzare
proposte alternative e realizzabili. Eppure la ben nota “dialettica” prevede che, dopo l’opposizione
di una “antitesi” alla “tesi” dominante, si arrivi ad una “sintesi”: o no ?
Hic Rhodus, hic salta

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TERREMOTI E SOCCORSI, EMERGENZA E SOLIDARIETA’, RICOSTRUZIONE E RISANAMENTO, MODELLO DI SVILUPPO

  • 1. Estratto dal sito www.ilfuturomigliore.org TERREMOTI E SOCCORSI, EMERGENZA E SOLIDARIETA’, RICOSTRUZIONE E RISANAMENTO, MODELLO DI SVILUPPO sergio benassai Dopo l’ultimo dramma del terremoto di Amatrice e dintorni, un dramma che nel nostro paese si replica ogni pochi anni, e tenendo conto che terremoti di piccola e grande intensità si verificheranno di nuovo, sarebbe necessario riflettere su come prepararsi al meglio a tali evenienze. 1. NON SIAMO ONNISCIENTI Una riflessione che dovrebbe partire in primo luogo da un dato: ci sono probabilità non trascurabili di nuovi terremoti anche di alta intensità, ma non siamo in grado di prevedere né il dove, né il quando. Certo possiamo ritenere che le probabilità sono certamente più alte nelle aree già classificate come a più alto rischio, ma nessuna/o può indicare se il prossimo forte terremoto si verificherà in Friuli o in Garfagnana, in Irpinia o in Abruzzo, nell’Emilia o a Messina, e neppure se si verificherà fra un anno, o cinque o dieci o venti anni. Così come non è possibile prevedere se le decine e centinaia di scosse successive che caratterizzano un terremoto seguano una sequenza prestabilita in termini di intensità. Un forte terremoto può caratterizzarsi per una scossa di entità elevata, seguita da innumerevoli scosse di intensità inferiori, anche se significative, ma può anche caratterizzarsi per scosse di intensità elevata alle quali può seguire una scossa di intensità ancor più elevata. In poche parole non esiste alcuna possibilità di poter dare indicazioni affidabili né sul verificarsi di un terremoto in una certa zona, né sulla possibile intensità, né sull’andamento temporale delle scosse. Dobbiamo renderci conto che, nonostante tutti gli sforzi finora compiuti, non si è in grado di fare previsioni affidabili e che quindi è sbagliato e pericoloso ritenere che vi siano segnali che indichino l’arrivo di un terremoto e le sue caratteristiche. Si deve quindi evitare di credere a chi afferma di avere “scoperto” un metodo affidabile, ed evitando anche di accusare sia le autorità istituzionali che
  • 2. le comunità scientifiche di non aver fornito indicazioni tempestive sugli eventi possibili nell’immediato (indicazioni che non sono in grado di fornire). Questo naturalmente non significa che non si debba proseguire nella ricerca: magari in un futuro non troppo lontano potremo riuscire a collegare dati e fenomeni alla previsione di terremoti. Ma è alla comunità scientifica nel suo complesso che dobbiamo guardare, non al pullulare di sciocchezze su internet ! 2. GESTIRE L’EMERGENZA E GLI AIUTI Credo che sia doveroso riconoscere che il sistema di protezione civile del nostro paese è qualcosa del quale dobbiamo essere soddisfatte/i e orgogliose/i. E per questo dobbiamo anche ripensare ai modelli tanto esaltati delle/i volontarie/i spontanei che pure hanno dimostrato la loro efficacia nel passato. Proprio dall’esperienza del terremoto del Friuli è nato il sistema delle/i volontarie/i della protezione civile. Ed è un “sistema” (quello che abbiamo) di cui c’è bisogno. Perché nell’emergenza una delle priorità è l’organizzazione. Non c’è bisogno (anzi possono essere un ostacolo) delle persone volenterose, ma non professionalmente preparate ed inquadrate. A questo proposito credo sia utile anche riflettere sul moltiplicarsi di iniziative per la raccolta di beni e denaro per l’aiuto alle comunità terremotare. Se è vero, come è vero, che la protezione civile è una macchina efficiente, solo lì dovrebbero essere concentrate le raccolte di beni e denaro, per evitare due cose: a) la raccolta di beni che non sono utili alle necessità del momento e che, per questo, rischiano di essere solo una complicazione da gestire b) la non corretta gestione dei fondi raccolti, che può andare da una non utile definizione della priorità fino al una gestione indebita (per non dire altro) Sarebbe dunque utile prevedere che sul sito della protezione civile si indicassero le necessità di beni, mantenendo un continuo aggiornamento di tali richieste (e facendo comunque riferimento alle sedi della protezione civile ove convogliare le donazioni di beni). E anche prevedere che tutte le donazioni in denaro confluiscano in un unico conto corrente della protezione civile. Questo non significa “vietare” ogni iniziativa personale, ma significa garantire maggiore efficacia. 3. MESSA IN SICUREZZA Prima ancora di pensare all’eventuale ricostruzione, c’è la necessità di mettere in sicurezza le aree colpite dal terremoto. Che significa garantire la viabilità, eliminare le strutture pericolanti e censire le strutture ancora in piedi per verificarne l’abitabilità. Non sono operazioni semplici.
  • 3. Basti pensare alla gestione dei rifiuti costituiti dalle macerie. E tremo all’idea che qualcuna/o pensi ad una rigida applicazione dell’attuale normativa sui rifiuti senza tener conto dell’eccezionalità della situazione. Oppure alla responsabilità di chi si assume la dichiarazione di agibilità. Ma, contemporaneamente, la messa in sicurezza può e deve essere intesa anche come la necessità di garantire condizioni di vita dignitose alle persone terremotate. E’ un enorme sforzo dal punto di vista organizzativo ed anche estremamente delicato poiché sono in gioco le condizioni di vita delle persone terremotate che, non va dimenticato, oltre ad aver diritto alle citate condizioni di vita dignitose, non possono non preoccuparsi sia di come affrontare le settimane ed i mesi successivi, sia di quale saranno le prospettive di vita e di lavoro nel futuro. Naturalmente le scelte in proposito dipendono dalle condizioni locali e temporali: probabilmente diverse sono le strutture adatte ad ospitare le persone terremotate in zone montuose o in zone pianeggianti, in estate o in inverno. Ma c’è comunque una scelta fondamentale da operare: strutture provvisorie (nel senso di una previsione di soggiorno in tali strutture di qualche mese) o strutture stabili (nel senso di una previsione di soggiorno in tali strutture di qualche anno) ? La scelta in realtà dovrebbe essere operata sulla base di un’ipotesi di “ricostruzione” delle località terremotate. E quindi strutture provvisorie hanno un senso solo se, entro un tempo breve, viene approvata un programma di “ricostruzione”, a sua volta da realizzarsi in tempi brevi. A tale proposito ritengo che l’orientamento, trascorsi i primi giorni o settimane, dovrebbe essere in generale quello di mettere a disposizione case mobili, che possono costituire una soluzione per periodi più o meno lunghi. 4. RICOSTRUZIONE Ricostruire: ma cosa ? Quello che è stato distrutto non è solo la vita di tante persone, edifici pubblici e privati, infrastrutture. E’ stato distrutto anche un tessuto produttivo e sociale. Quindi, prima di programmare la ricostruzione è necessario chiedersi: ricostruzione di cosa ? con che modalità ? con che tempi ? Ma, ancora prima, quale prospettiva economica e sociale si individua per le persone che, oltre a persone care ed affetti, hanno perso l’abitazione, i locali ove svolgevano le loro attività, il lavoro, i servizi (dalla scuola alla sanità), le relazioni sociali, i loro beni, le loro ricchezze ? Sarebbe forse necessario che vi fossero delle linee guida in proposito, del tipo: - determinazione quantitativa e temporale degli aiuti economici che sono riconosciuti per le persone terremotate (tenendo conto dei danni subiti in termini di perdita parziale o totale di edifici, di attività, di lavoro, di condizioni sociali) e per le amministrazioni locali (tenendo conto dei danni subiti e di un non breve periodo nel corso del quale non si potrà far conto su significative entrate locali, e della necessità, in alcuni casi, di ricostruire gli archivi, le banche dati, le informazioni)
  • 4. - indagine preliminare sulla volontà di mantenere residenza e attività nelle zone terremotate - individuazione delle aree disponibili per nuova edilizia (se necessaria) - definizione di tempi (e relativi stanziamenti) per la ricostruzione, a cura dello stato, degli edifici pubblici e per il riavvio delle relative attività - rigido controllo sulla costruzione di nuovi edifici per garantire il rispetto della normativa antisismica 5. PREVENZIONE E qui arriva il problema maggiore. Una buona prevenzione (che, vale la pena di ripeterlo, non garantisce una sicurezza assoluta; come dice l’Amleto di Shakespeare “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quanto ne sogni la tua filosofia”; ovvero: non siamo in grado di conoscere e governare tutto) è un elemento essenziale. Prevenzione che poi si concretizza nel rispetto della normativa antisismica esistente. Che però non può garantire molto, per le seguenti ragioni: a) la normativa antisismica si basa su una zonizzazione del nostro territorio, basata su un diverso grado di rischio sismico; un rischio che è derivato da un’analisi storica dei terremoti verificatisi nel passato e che quindi può al meglio identificare le zone con maggiori probabilità di terremoti significativi, ma non può dare certezze b) la normativa antisismica si applica agli edifici di nuova costruzione c) una parte significativa del patrimonio edilizio comprende edifici costruiti prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica d) i contenuti tecnici della stessa normativa antisismica sono, giustamente, oggetto di continuo aggiornamento: basti pensare alla talvolta trascurata necessità di prendere in considerazione non solo le strutture, ma anche le caratteristiche geologiche del terreno sul quale poggiano gli edifici Ovviamente quindi il problema maggiore è costituito dagli edifici costruiti prima della normativa antisismica. Possiamo adeguarli tutti alla normativa antisismica più recente ? Certo che si può fare, a condizione che si accetti che alcuni edifici, anche di estrema rilevanza storico-culturale, siano dichiarati inagibili o quasi, oppure soggetti a pesanti ristrutturazioni che possono minarne alcune caratteristiche significative (a questo proposito, come non citare le discussioni sulla possibilità di adeguare gli edifici storici a tutte le norme di sicurezza, magari “appiccicando” scale di sicurezza su parti di edifici che ne “stravolgono” l’armonia strutturale ?). Comunque si può fare, sia per gli edifici pubblici che per quelli privati. Ma con che costi ? Chi paga ? Con che tempi ? Con che garanzie ? E’ esattamente lo stesso problema del rischio idrogeologico. Costi enormi. Non può certo pagare tutto lo stato; ma i privati non vogliono o possono pagare tutto. E poi, entro quanto si dovrebbero mettere in sicurezza tutti gli edifici ? E chi controlla che effettivamente gli interventi siano quelli giusti, che non vi siano distorsioni dovuti alla corruzione o a possibili infiltrazioni mafiose ?
  • 5. 6. UN’AGENDA PER CHI VUOLE CAMBIARE IN MEGLIO (LA SINISTRA ?) Ci sono alcune parole magiche per una sinistra, nazionale ed internazionale, che provi ad uscire dalla crisi che ormai la caratterizza da decenni: “nuovo modello di sviluppo”. Bene, come applicarle al problema “terremoti” ? Proviamo a lasciare ad altre/i le polemiche, pur dando per scontato che non ci piacciono gli attuali governi e le attuali vere potenze, quelle economiche-finanziarie. Perché, se vogliamo cambiare il mondo in meglio, non possiamo solo rincorrere le proteste (anche se giuste), ma dobbiamo (mettiamolo in maiuscolo: DOBBIAMO) indicare percorsi praticabili. Allora, in tema di terremoti, cosa proponiamo in coerenza con una visione complessiva (che però dobbiamo ancora forse ben ridefinire) ? Al di là delle “suggestioni” che ho avanzato sopra, sono aperto a contributi diversi, anche alternativi. Ma, certo, le pur più che giustificate critiche ad alcune posizioni del governo, del PD (sulle posizioni del centrodestra, della destra, del Movimento5Stelle, stendiamo un velo pietoso), spesso, credo, frutto di una “scontata” polemica politica, non mi mettono l’animo in pace. La sinistra, che peraltro non riesco a ben identificare, sembra cullarsi nella critica più che avanzare proposte alternative e realizzabili. Eppure la ben nota “dialettica” prevede che, dopo l’opposizione di una “antitesi” alla “tesi” dominante, si arrivi ad una “sintesi”: o no ? Hic Rhodus, hic salta