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Michele Vianello
UNA SCOMMESSA DA VINCERE
“Le avventure di una Pubblica Amministrazione tra
Amministrare 2.0 e ordinarie follie quotidiane”
Michele Vianello: la mia biografia
i
Sono uno dei pochi esperti in Italia in "smart cities" e in social networking.
La mia attività è quella di condividere vision e favorire il posizionamento strategico di communi-
ties, territori, imprese.
Sono un ottimo formatore, provatemi sul campo.
Sono uno degli ideatori della rete "Connected City Council".
Dal 2009 al 2013 ho diretto VEGA PST di Venezia.
Ho realizzato l'infrastrutturazione banda larga a 300 mb, e le infrastrutture di cloud computing.
Ho ideato il primo edificio intelligente per una smart city: Pandora.
Ho realizzato VEGA inCUBE. Sono stato definito “pastore di startup”.
Precedentemente ho fatto il Vice Sindaco di Venezia con Massimo Cacciari.
In Amministrazione mi sono occupato di Bilancio, di gestione del personale, di innovazione.
Ho ideato i software che regolano i rapporti tra i cittadini e l’Amministrazione, iniziando a rifor-
mare l’organizzazione comunale
Ho trasformato la Società Venis in operatore di ICT. Ho ideato e realizzato l’infrastrutturazione
banda larga e connettività WIFI di parte della città di Venezia.
Ho ideato il portale Cittadinanza digitale finalizzato a promuovere l’accesso al WEB.
Ho ideato, primo in Italia, il portale per i servizi turistici denominato “//venice>connected”.
Scrivo libri. L’ultimo con l'Editore Maggioli: Smart Cities-Gestire la complessità urbana nell’era
di Internet. Un successo.
Faccio parte del Comitato per l'Agenda Digitale del Veneto.
Per la mia attività di innovatore ho avuto numerosi riconoscimenti:
"I diritti dei cittadini in rete", Forum PA 2009.
Insignito dalla community di TripAdvisor del premio "Travel Friendly City" 2009.
Premio Nazionale Cineca Awards "La città dei cittadini" 2010.
Premio Adecco "Festival delle città imprese" 2011.
Premio "Città Impresa" 2012.
Premio “Luigi Fantappié” Festival di cultura digitale Viterbo 2013
INTRODUZIONE
Mi è tornato tra le mani, dopo molto tem-
po, un instant book.
“Una scommessa da vincere” è stato scrit-
to nell’aprile del 2009 con con lo scopo di
dare una base “progettuale” ed “ideologi-
ca” all’attività di innovazione I.T. che stavo
conducendo in Comune di Venezia.
Oggi di occupo di smart city e di social net-
work. Sono diventati il mio mestiere, la mia
attività.
Non aspettatevi un libro sulle smart cities,
ho appena pubblica per Maggioli Editore il
libro “Smart Cities-Gestire la complessità
urbana nell’era di Internet”.
Una delle precondizioni per realizzare politi-
che smart in una città è quella di intrapren-
dere una attività di innovazione, digitalizza-
zione, dematerializzazione della macchina
amministrativa.
Questo libro non è quindi dedicato alle
smart cities, ma alle precondizioni.
Una “vecchia” macchina amministrativa im-
prontata all’autoconservazione di sé stes-
sa non potrà mai supportare le politiche
smart.
2
Nel frattempo, dal 2009, i Governi che si
sono succeduti alla guida del Paese -si fa
per dire- hanno introdotto, sotto il titolo
“Agenda digitale”, timidi e incompleti tenta-
tivi di innovare il Paese e la Pubblica Ammi-
nistrazione.
Si sono così sommati, in modo casuale,
provvedimenti sulla banda larga, e la conti-
nua riproposizione della carta d’identità
elettronica.
Chi segue il mio blog “michelecamp” sa
che polemizzo spesso con questi provvedi-
menti legislativi.
Non ritengo infatti che l’Agenda Digitale ita-
liana -almeno nella parte che riguarda la
Pubblica Amministrazione- debba limitarsi
a portare su Internet le storture burocrati-
che.
La burocrazia va eliminata, non deve esse-
re digitalizzata. Uso spesso, per indicare
questa cultura, il termine “digitalizzazione
dell’esistente”.
Sono fermamente convinto che, o cambia-
no i modelli organizzativi e gestionali della
Pubblica Amministrazione diventando “so-
cial oriented”, “open oriented”, “cloud
oriented”, o non ci sarò nulla da fare, per
quanto le tecnologie I.T. possano progredi-
te.
Un’altra mia convinzione è che la riforma
della Pubblica Amministrazione non può
essere affidata ai burocrati ministeriali.
C’é bisogno di una nuova cultura e di un
nuovo modo di pensare.
Confesso di sentirmi spesso in solitudine
nel condurre questa battaglia. Anche amici
carissimi -persone che stimo molto per le
continue battaglie che conducono- restano
troppo spesso inchiodati sulla frontiera del-
la “digitalizzazione dell’esistente”.
Dal 2009, da quando scrivevo “Una scom-
messa da vincere”, è cambiato poco. Chi
avrà la pazienza di seguirmi in questo mio
percorso dentro le “ordinarie follie quotidia-
ne” di una Pubblica Amministrazione si ac-
corgerà che siamo sempre arenati lì. I miei
giudizi non sono cambiati, per questo vi ri-
propongo questo scritto.
In fin dei conti sono passati solo 4 anni, po-
trebbe obiettare qualcuno. 4 anni nel mon-
do dell’I.T. rappresentano un’era geologi-
ca.
In questi 4 anni si è iniziato a parlare di de-
vice mobili, di cloud computing, di Big Da-
ta, di Internet of Things, solo per citare al-
cuni titoli. Ma, noi siamo sempre lì, a discu-
tere di lavagne luminose e di riunificazione
3
delle banche dati di tutta la Pubblica Ammi-
nistrazione.
Eppure la “vecchia” Pubblica Amministra-
zione italiana impedisce al nostro Paese di
decollare, di incrociare la ripresa economi-
ca. L’organizzazione dello Stato tutta (Mini-
steri, Enti Locali, Magistratura, Scuola
ecc.) genera debiti e inefficienza.
Non è digitalizzabile. Va eliminata. È la pal-
la al piede del nostro Paese.
Non si può fare, accordiamoci, dicono in
molti. Si può fare, dico io, con il mio eterno
ottimismo.
Questo scritto vuole ricordare assieme ad
una esperienza, anche una somma di
esempi realizzabili (sono cose fatte da una
Pubblica Amministrazione pure in presen-
za di questa legislazione) e, assieme, una
base progettuale e ideologica.
Troverete quindi “esempi veneziani” positi-
vi che potrete copiare assieme a molte in-
genuità dettate dall’entusiasmo.
Non leggete assolutamente questo libro
pensando che voglia esprimere qualsivo-
glia critica a chi è arrivato dopo di me a gui-
dare la Città di Venezia. Non solo chi scri-
ve non ha titolo per criticare (non sarebbe
eticamente corretto) ma, soprattutto, le per-
sone che governano Venezia godono di tut-
to il mio rispetto.
Se confronterete questo libro con l’edizio-
ne originaria, ho tagliato alcune parti trop-
po veneziane rimaneggiandole. Ho aggiun-
to inoltre alcune note e proposte progettua-
li elaborate in questi anni.
Naturalmente mi aspetto dai lettori criti-
che, suggerimenti ecc..
Nel mio nuovo mestiere di “Smart Commu-
nities Strategist” ho bisogno di costanti
confronti e idee.
Chi volesse approfondire l’esperienza vene-
ziana in modo più organico potrà leggere il
libro che ho pubblicato nel 2010 con Marsi-
lio Editore “VE 2.0-Cittadini e libertà di ac-
cesso alla rete”.
Naturalmente questo scritto è un ebook
scaricabile (per gli amanti della carta ci sa-
rà la versione PDF).
Non ho timore di essere copiato.
Copiatemi pure, voglio essere copiato.
Abbiate solo la cortesia di citarmi.
Grazie
Ed ora, buona lettura a tutti voi.
Agosto, Settembre 2013
4
5
“UNA SCOMMESSA DA VINCERE”
Le avventure di una Pubblica Amministrazione tra
Amministrare 2.0 e ordinarie follie quotidiane.
di
MICHELE VIANELLO
aprile 2009/settembre 2013
CAPITOLO 1
“INNOVARE GLI AMBIENTI URBANI”
Con grande generosità molte città italiane continuano ad auto-
definirsi “luoghi ideali” per ospitare le imprese e le attività di
ricerca nell’ “immateriale” e nel “digitale”.
Purtroppo le condizioni fondamentali per insediare su larga
scala sistemi produttivi di questo genere non erano - e non so-
no - presenti in modo decisivo in tutto il nostro Paese. Molti
sono spesso a citare a sproposito la Silicon Valley.
Non a caso si parla di “sistemi dell’innovazione” e non di qual-
che singola software house. 1
Insediare un call centre di Microsoft o della IBM, consente di
avere qualche centinaio di occupati in più - cosa sicuramente
non disdicevole - ma ciò non muta la qualità di una città.
6
Per innovare in modo pervasivo una città
mancano spesso alcune condizioni di par-
tenza.
Dove sono in Italia le Università in grado di
sfornare una “massa critica intellettuale”?
Dove è un sistema fiscale in grado di incen-
tivare l’insediamento di imprese innovati-
ve? Dove è un sistema creditizio o l’ inter-
vento pubblico che sostiene la ricerca, lo
sviluppo, la gemmazione di imprese, l’indu-
strializzazione dell’innovazione? Chi può
aiutare oggi in Italia i talenti e le nuove ge-
nerazioni di imprenditori dell’innovazione?
Dove è il sistema fiscale giusto per le im-
prese.
I Governi continuano a parlare di imprese,
di distretti produttivi pensando ancora al
‘900, alle vecchie politiche industriali.
Quando si parla di lavoro si pensa ancora
al sistema di garanzie e di diritti della fab-
brica e del pubblico impiego. Quel mondo
è finito.
Insomma, non siamo nella Silicon Valley,
né, tantomeno, a Bangalore.
Naturalmente, in modo autocritico, non na-
scondo le responsabilità delle Autonomie
locali che hanno anche esse il dovere di
promuovere quelle politiche e quelle condi-
zioni finalizzate a creare nelle aree urbane
un ambiente innovativo, “un ambiente più
ricco di interazioni e di stimoli culturali e
professionali” come ha scritto qualche an-
no fa Richard Florida. 2
In questa epoca la competizione avviene
tra le aree urbane.
Le aree urbane, tra le altre, competono, ol-
tre che sulle imprese, sulle persone.
Sono le persone che rendono ricca un’area
urbana.
E’ bene, quindi, riflettere sul fatto che nella
nostra epoca non sono le persone che si
spostano per “cercare il posto di lavoro”,
bensì sono le imprese lavorative che tendo-
no a seguire le persone, determinando co-
sì l’ascesa o il declino delle aree urbane.
E le persone da attirare in una Città, “per
fare la differenza”, non sono genericamen-
te “il ceto medio”, non sono “i trentenni, i
quarantenni”, sono invece coloro che Ri-
chard Florida definisce “la nuova classe
creativa”, e Robert Reich definisce gli “ana-
listi simbolici”. 3
“Il suo nucleo centrale comprende le perso-
ne impegnate nel campo scientifico, nell’in-
gegneria, architettura e design, nell’educa-
zione e nell’arte, musica e spettacolo, la
cui funzione economica è di creare idee,
7
tecnologie e/o contenuti creativi nuovi”. (Ri-
chard Florida) 4
“L’analista simbolico maneggia con abilità
equazioni, formule, analogie, modelli, sinte-
si intellettuali, categorie e metafore per rein-
terpretare e risistemare il caos di dati che
ci turbinano intorno...non trattano hardwa-
re, ma solo software puro”. (Robert Reich)
5
Una strada da imboccare senza esitazione
è quella di dotare la Città di infrastrutture
di rete a banda larga.
“Il premier Gordon Brown ha paragonato la
rivoluzione digitale alla rivoluzione indu-
striale come momento di fondamentale im-
portanza per la trasformazione dell’econo-
mia e la competitività del Paese...C’é la de-
terminazione in Gran Bretagna di fare di
questo settore (lo sviluppo delle banda lar-
ga) un punto di forza strategico per il futu-
ro”. (intervista a Francesco Caio - Il Sole
24 Ore) 6
Una città in rete, una città con la banda lar-
ga; vi posso garantire che il brand di una
città (soprattutto delle città d’arte), unito
all’innovazione generata dalla estensione
diffusa e capillare della rete, dà luogo ad
una miscela stimolante.
La scelta di una Amministrazione di dotare
una città di connettività a banda larga, di
stendere migliaia di chilometri di fibra otti-
ca, di consentire ai cittadini di poter acce-
dere senza limiti alla rete, è la condizione
nell’epoca moderna per una politica di “in-
novazione” economica e sociale. L’essere
dotati di infrastrutture di rete a fibra ottica
fa la differenza nella competizione tra le cit-
tà e i territori. 7
“La potenzialità tecnologica di una città e
di una regione non è legata solamente al
contesto industriale, della ricerca e della
loro innovatività ma anche alle infrastruttu-
re tecnologiche rivolte alla popolazione in
senso più ampio. La possibilità che un luo-
go dà alle persone di accedere agevolmen-
te ai mezzi di comunicazione e diffusione
delle informazioni (in particolare internet e
telefonia mobile) è senz’altro un aspetto im-
portante per lo sviluppo di una effettiva so-
cietà dell’informazione e della conoscenza.
Questa possibilità costituisce inoltre un for-
te elemento di attrazione per quelle perso-
ne che svolgono professioni in cui la con-
nettività è fondamentale (managers, ricer-
catori, professionisti, designers etc,tipica-
mente tutte le professioni altamente creati-
ve)”. 8
Innovare nell’epoca del WEB è pensare di
poter usufruire dello spazio virtuale illimita-
8
to consentito dalla rete, poterla riempire di
contenuti; la rete è, inoltre, la condizione
fondamentale per poter comunicare libera-
mente.
Una politica per l’innovazione in un’area ur-
bana, o un un piano di marketing territoria-
le “web oriented” non vanno quindi rivolti
“banalmente” solo ad insediare nuove im-
prese o a stringere rapporti di collaborazio-
ne con le Università e i Centri di ricerca.
L’innovazione è il frutto di rapporti virali,
che nascono spesso dal cambiamento di
attività ordinarie, svolte “in modo tradizio-
nale”. La scommessa da giocare è quella
di innovare il modo con cui ci si sposta
ogni giorno, cambiare il modo di produrre
e consumare la cultura e l’informazione,
cambiare il modo con cui ci si rapporta
con i servizi pubblici e con un Ente pubbli-
co.
Insomma bisogna innovare la vita di ogni
giorno, puntare sull’attività delle persone.
Creare (importare) “cittadini dell’innovazio-
ne”. Poi forse, un giorno, l’insieme degli
“atti innovativi”, miscelati dalla rete, verran-
no a costituire la massa critica per cambia-
re davvero la Città.
Questa mia convinzione è suffragata an-
che dal Rapporto “CITTALIA 2008 - Riparti-
re dalle Città” realizzato dall’ANCI :
“l’innovazione ha natura sistemica, nel
senso che prolifera in ambienti ricchi di re-
lazioni, reti e scambi tra contesti diversi;
non esiste un modello ideale per vincere
la sfida della competizione globale; l’unico
punto fermo resta la disponibilità di capita-
le umano di alto livello;
nell’economia della conoscenza muta la
natura dell’intervento pubblico, che pro-
muove le condizioni per l’attivazione di pro-
cessi di crescita cumulativi, trainati dallo
sviluppo e diffusione di nuova conoscenza,
attraverso azioni che favoriscano l’accumu-
lazione di capitale umano, la valorizzazione
delle specificità locali, l’internazionalizzazio-
ne delle imprese e del mondo della ricerca,
la diffusione delle tecnologie dell’informa-
zione e della comunicazione”.
Va sottolineata a questo punto la centralità
che viene ad assumere la comunicazione,
facilitata dalla presenza di rete a banda lar-
ga, perché la vita di ogni giorno è il frutto
di comunicazioni tra individui. E‘ stato scrit-
to recentemente che “se non si comunica,
non si è”. 9
Naturalmente la realizzazione di una infra-
struttura a banda larga dovrà essere il frut-
to di un accordo tra una Amministrazione e
gli operatori privati. Su questo concetto tor-
nerò più avanti.
9
Ma tutto ciò non è ancora sufficiente.
Quando ho realizzato, nel 2007, che il so-
gno di dotare Venezia 10 di una rete a ban-
da larga di proprietà dell’Amministrazione
pubblica, poteva trasformarsi in realtà,
quando abbiamo reperito le risorse finan-
ziarie necessarie, mi sono posto l’interroga-
tivo di quali contenuti la rete dovesse ospi-
tare, quali comportamenti innovativi ciò po-
tesse suscitare a partire dal cambiamento
del modo di operare dell’Ente pubblico.
Quanti e quali “dialoghi” la rete avrebbe
ospitato, quale valore l’attività di dialogo
avrebbe generato, quali servizi vecchi e
nuovi si sarebbero potuti erogare in modo
qualitativamente diverso.
Insomma, per usare una “metafora ferrovia-
ria”, quali vagoni si dovessero far correre
sui binari di proprietà dell’Amministrazione
e, con quali “compagnie ferroviarie” si do-
vessero tessere alleanze per poter estende-
re la rete di comunicazione.
La scelta del Comune di Venezia è stata,
anche per questi motivi, quella di dotarsi di
una “rete aperta” e di fibra ottica.
Mi é sembrato assolutamente limitante e
sbagliato assecondare l’idea secondo la
quale l’uso della rete dovesse essere circo-
scritto al miglioramento della comunicazio-
ne tra le diverse sedi comunali, o a consen-
tire un rapporto più stretto tra le diverse
Pubbliche Amministrazioni.
Altrettanto sbagliata mi pareva la scelta di
utilizzare la rete esclusivamente per veico-
lare le informazioni ai turisti, che in ampio
numero visitano ogni anno la Città.
Ovviamente non ho mai sottovaluto i risvol-
ti positivi delle scelte cui ho accennato più
sopra.
Ognuna di queste scelte aveva ed ha impli-
cazioni importanti sia dal punto di vista del-
l’efficienza economica e gestionale per
l’Amministrazione Comunale, che per ga-
rantire una migliore gestione dei servizi del-
la Città. Basti pensare che un uso corretto
del WEB può garantire strumenti di control-
lo dei flussi dei turisti fino ad ora assoluta-
mente non gestiti.
Un uso corretto delle piattaforme WEB, pe-
raltro, è la condizione per riformare le pro-
cedure, la prassi, la cultura della Pubblica
Amministrazione. Infatti, l’uso del WEB col-
laborativo consente e induce a cambiamen-
ti organizzativi e culturali, prima impensabi-
li, basati sulla condivisione e sulla comuni-
cazione, è la condizione per organizzare la
“dematerializzazione”.
Si è voluto quindi affermare un modo di or-
ganizzare la “macchina amministrativa co-
10
munale” secondo filosofie della collabora-
zione e della trasparenza coinvolgendo pie-
namente non solo i cittadini residenti, ma
anche i city user.
Il termine “Amministrare 2.0” ha indicato le
nuove prassi organizzative e gli strumenti
informatici che potevano consentire una di-
versa interazione tra il cittadino e la Pubbli-
ca Amministrazione.
Per fare un esempio, //Venice>Connected
non è un semplice portale concepito per
consentire la vendita online dei servizi pub-
blici e dei Musei Civici (in questo, peraltro,
Venezia è stata la prima e ineguagliata Cit-
tà al mondo che ha praticato questa attivi-
tà).
//Venice>Connected, ha rappresentato un
approccio totalmente innovativo alla gestio-
ne dei flussi turistici tale da garantire insie-
me sia la salvaguardia del patrimonio socia-
le e storico della città di Venezia, che il dirit-
to del turista a godere di una città migliore,
più ospitale.
11
CAPITOLO 2
...E IL CITTADINO? PER UNA MODERNA “CITTADINANZA
DIGITALE”
Nello scenario dettato dall’evolversi dei processi innovativi, ge-
neralmente, non viene considerato il soggetto fondamentale,
l’attore principale: il cittadino che pretende 11 di esercitare in
modo nuovo i propri diritti universali, i “diritti di cittadinanza”.
Certo, il cittadino che usufruisce delle piattaforme e dei servizi
WEB 2.0 “condividendo” con la Pubblica Amministrazione le
proprie esigenze, diventa un soggetto attivo; certo il turista
che può prenotare in rete i servizi pubblici e l’ingresso ai Mu-
12
sei e che, prima o poi, potrà esprimere i
propri feedback sui servizi della città, gode
di un nuovo diritto.
Ma ciò non è sufficiente: il cittadino non sa-
rà ancora il pieno protagonista della rivolu-
zione indotta dall’uso delle applicazioni 2.0
nel WEB, se non gli verrà consentito di
esercitare fino in fondo i diritti e i bisogni
che l’accesso a Internet oggi ha fatto emer-
gere come reali possibilità universali.
Le applicazioni WEB 2.0 generano la possi-
bilità di esercitare nuovi diritti da parte del
cittadino.
“Il Web è sociale. Le persone fanno il Web,
popolano il Web, socializzando e spostan-
do via via maggiori componenti della vita
fisica a quella online....il Web è partecipati-
vo. Si adotta un’architettura di partecipa-
zione che incoraggi gli utenti ad aggiunge-
re valore all’applicazione mentre la usano,
in alternativa al controllo gerarchico del
controllo all’accesso delle applicazioni”. 12
Ma, quando rifletto sui diritti universali, as-
socio il termine diritti alle “condizioni di par-
tenza”, alle “le pari opportunità” per poterli
esercitare pienamente.
Quali sono allora, le nuove “condizioni di
partenza” perché il cittadino possa eserci-
tare questi nuovi diritti? E soprattutto quali
sono e come si realizzano le nuove, eguali
“condizioni di partenza”?
Ho indicato un obiettivo da raggiungere
per affermare una forte idealità e per inau-
gurare una nuova stagione di diritti: l’affer-
mazione della “Cittadinanza Digitale”.
Cosa si vuole intendere nell’evocare il con-
cetto di “Cittadinanza Digitale”? Perché
mettere insieme un concetto, uno storico
ideale, tutto ciò che è evocato dal termine
“cittadinanza” e tutto ciò che nel nostro im-
maginario collettivo suscita la parola “digi-
tale”? Perché mettere insieme storia e inno-
vazione?
“L’informatica non riguarda più solo il com-
puter, è un modo di vivere” dice Nicholas
Negroponte, e già questa è una risposta. 13
La rivoluzione digitale pervade ogni angolo
della nostra vita, ne può mutare qualitativa-
mente i contenuti, ci dà l’opportunità di
partecipare attivamente ai processi sociali
ed economici.
Dietro il termine “Cittadinanza Digitale” si
manifestano ideali e prassi che possono
contribuire a cambiare in meglio il nostro
modo di vivere e i rapporti civili consolidati
nella società contemporanea. Non siamo
più all’enfatizzazione ingenua della tecnolo-
gia digitale e delle reti web come valori in
13
sé, possiamo invece valorizzare tutto ciò
che di nuovo, di “democratico”, di “civile”,
la tecnologia e le reti web oggi possono
consentire.
Attuiamo questa nuova politica di inclusio-
ne correndo volutamente dei rischi, consa-
pevoli della “carica anarchica” e antipoliti-
ca che spesso pervade le community on
line, convinti però della grande forza inno-
vativa sprigionata dal WEB e dalle tecnolo-
gie di rete.
Quale miscela nasce allora dalla somma,
meglio, dall’integrazione dei diritti di cittadi-
nanza e dalla spinta all’innovazione digita-
le. E ancora, come cambiano nell’era della
rete e dell’innovazione digitale i diritti di cit-
tadinanza? E, soprattutto, quali nuove dise-
guaglianze possono nascere da un uso di-
seguale del WEB?
E’ opportuno, a questo punto, chiarire il si-
gnificato del concetto di cittadinanza. Ciò
consentirà inoltre di giustificare (che brutto
verbo!!!) le motivazioni per le quali (le finali-
tà pubbliche) un Ente locale si debba occu-
pare attivamente di “Cittadinanza Digitale”.
Una bella definizione di cittadinanza la of-
fre T.H.Marshall: “La cittadinanza è uno
status che viene conferito a coloro che so-
no membri a pieno diritto di una comunità.
Tutti quelli che posseggono questo status
sono eguali rispetto ai diritti e ai doveri con-
feriti da tale status...La spinta in avanti lun-
go il sentiero così tracciato è una spinta
verso un maggior grado di eguaglianza, un
arricchimento del materiale di cui è fatto lo
status e un aumento del numero di perso-
ne cui è conferito questo status”. 14
“La cittadinanza non è un’idea utopistica;
è lo sviluppo di un’antica esperienza”. 15
Tutte queste calzanti definizioni vanno mes-
se in relazione con un’affermazione di Ro-
bert Dahl: “...tutti i regimi democratici devo-
no permettere alla gente di impegnarsi in
imprese collettive per proteggere diritti che
non possono essere garantiti spontanea-
mente dal mercato”. 16
La storia del “novecento”, “Il secolo breve”
così come lo ha definito Eric Hobsbawn, è
stata contrassegnata oltre che dal conflitto
per mutare i rapporti di produzione anche,
in parallelo, per affermare uguali condizioni
di partenza - o aumentare le chances di vi-
ta (arricchire lo status) per tutti i cittadini,
per garantire così il diritto di cittadinanza
(non solo i diritti politici e di rappresentan-
za), per consolidare le reti di protezione
per i più deboli, affinché nessuno “restasse
indietro”.
Il diritto all’assistenza sanitaria, l’affermarsi
dei sistemi di previdenza sociale, il diritto
14
all’istruzione, tutti si sono affermati come
la condizione per costruire le strutture fon-
danti del welfare state, affinché tutti i citta-
dini godessero delle medesime opportuni-
tà e degli stessi diritti sociali.
Contemporaneamente le Istituzioni demo-
cratiche hanno garantito il formarsi di una
rete di servizi sociali rivolti a tutti i cittadini.
L’affermarsi del progresso sociale e delle
libertà associative e il pluralismo politico
hanno garantito il consolidarsi dei diritti di
cittadinanza.
Si è trattato naturalmente di un processo
contraddittorio, non lineare, in continuo di-
venire, non ancora pienamente affermato
in molte parti del mondo dove tuttora sono
in atto violenti conflitti per l’affermazione
della democrazia, anche nei paesi che han-
no avuto altissimi tassi di crescita economi-
ca grazie all’introduzione di nuove tecnolo-
gie e di imprese innovative.
Il termine “democrazia”, quando questa
viene ad affermarsi, non va mai concepito
in modo statico, e la “cittadinanza” è og-
getto di continua rinegoziazione.
I processi di globalizzazione non governati
hanno inoltre accentuato tali contraddizio-
ni come ha ben sottolineato Eric Hob-
sbawm: “... io penso che il problema della
globalizzazione sia l’aspirazione a garantire
un accesso tendenzialmente egualitario a
tutti i prodotti di un mondo che invece è,
per sua natura, ineguale e diverso. C’é una
tensione tra due astratti. Si tenta di trovare
un denominatore comune cui possa acce-
dere tutta la gente del mondo, per ottenere
cose che non sono - ripeto - naturalmente
accessibili a tutti”. 17
I diritti universali di cittadinanza sono oggi
così attuali nel loro divenire, nel loro con-
traddittorio manifestarsi, fino ad essere sta-
ti il fondamento del messaggio di cambia-
mento e di progresso di Barack Obama.
Quando Barack Obama ha perseguito il di-
ritto per ogni cittadino a poter accedere a
una casella di posta elettronica, mette in
scena, ad un tempo, una speranza formida-
bile, ma anche ha rievocato, in modo mo-
derno, un diritto storico di ogni cittadino
americano cioè quello di scambiare sem-
pre e comunque la propria corrisponden-
za. Pensate per un attimo a quanto conta,
nella cultura statunitense, la leggenda del
pony express.
Proprio perché i diritti di cittadinanza non
possono essere considerati statici vanno
riempiti costantemente di nuovi contenuti.
Le “eguali condizioni di partenza” degli an-
ni 2000 nel mondo della globalizzazione,
15
non possono essere quelle del “secolo bre-
ve” degli “Stati nazionali”.
E se, come dice Robert Dahl, i regimi de-
mocratici devono permettere di proteggere
i diritti che non possono essere garantiti
dal mercato, il conflitto dialettico tra Stato
e Mercato (la nuova rinegoziazione) negli
anni 2000 si svolge attorno a contenuti di-
versi da quelli ai quali abbiamo assistito so-
lo qualche decennio fa.
Insomma, oggi le diseguaglianze si posso-
no manifestare secondo caratteristiche
completamente nuove. I diritti e le garan-
zie, quindi, vanno tutelati in modo diverso,
spesso inedito, rispetto al passato.
Emerge con sempre maggiore evidenza co-
me le diseguaglianze riguardino sempre
meno la sfera dei rapporti di produzione -
almeno per come si sono manifestati nel
‘900 - e si evidenzino sempre di più nel-
l’ambito del diritto all’accesso, all’informa-
zione, alla cultura.
Ad esempio, come si fa a parlare di scuola
e di formazione e non associare all’istruzio-
ne l’affermazione di nuove modalità di inse-
gnamento collegate al diritto all’accesso
alla rete? Non è forse vero che l’enciclope-
dia più consultata nel mondo è Wikipedia e
non più la “mitica” Enciclopedia britanni-
ca? Non è vero forse che il servizio Google
Libri offre milioni di testi di libri on line? Il
nuovo termine “analfabetismo informatico”
ci dice qualche cosa? L’accesso alla rete è
un lusso come pensano alcuni, o è diventa-
to a questo un punto un diritto universale?
Stupirà che nel 2013 si parli ancora del di-
ritto all’accesso alla rete in questo modo
“drammatico”. Larga parte dell’Italia soffre
ancora di una situazione di digital divide.
Soprattutto, come si può discutere di “par-
tecipazione ai processi di decisione politi-
ca ed istituzionale” e non operare, contem-
poraneamente, per lo sviluppo dell’eGo-
vernment come afferma con forza ormai
da tempo l’Unione Europea?
“Garantire a tutti l'accesso ai servizi pubbli-
ci online è la conditio sine qua non per la
diffusione dell'eGovernment. E si tratta di
una questione ancora più importante in
quanto i rischi che si venga a creare un "di-
vario digitale" - ovvero disuguaglianze nel-
l'accesso all'informazione e alle tecnologie
informatiche - sono in questo caso più che
reali. In questa prospettiva, l'insegnamento
e la formazione sono essenziali per acquisi-
re le conoscenze informatiche necessarie
per sfruttare al meglio i servizi offerti dal-
l'amministrazione in linea. Una migliore ac-
cessibilità dei servizi passa inoltre per un
potenziamento dell'approccio multipiatta-
16
forma (accesso ai servizi per il tramite di
piattaforme diverse: PC, televisione digita-
le, terminali mobili, Internet caffè ecc.)”. 18
Ribadisco ancora questo concetto: se la
comunicazione tra esseri umani costituisce
oggi “la condizione per esistere” e le comu-
nicazioni avvengono prevalentemente attra-
verso il WEB, la possibilità di accedere al
WEB è diventata un diritto universale per
tutti i cittadini.
Ed è dovere per lo Stato in tutte le sue arti-
colazioni operare per rimuovere le origini
della diseguaglianza.
Il “Settimo programma quadro” varato dal-
l’Unione Europea afferma, che la possibili-
tà di accedere alla rete è la condizione per
la diffusione dell’eGovernment e per affer-
mare la cittadinanza politica e per consenti-
re la partecipazione ai processi decisionali.
Si capisce allora senza alcun dubbio l’im-
portanza che assume oggi il diritto all’ac-
cesso a Internet e il significato profondo,
sul piano dell’affermazione dei nuovi diritti,
che viene ad assumere una politica per la
“Cittadinanza Digitale”.
Si comprende ancora di più perché una
Amministrazione pubblica debba interveni-
re attivamente per affermare la “Cittadinan-
za Digitale”.
17
CAPITOLO 3
“CITTADINANZA DIGITALE” E DIGITAL DIVIDE
A questo punto è importante definire il concetto di digital divi-
de.
In modo limitativo si potrebbe accomunare l’emergere di una
“diseguaglianza digitale” esclusivamente al permanere di una
condizione di “digital divide”, generata dall’assenza di infra-
strutture di rete a banda larga (o genericamente la connettività
veloce) in un territorio. L’assenza di queste infrastrutture impe-
disce, di fatto, ai cittadini residenti l’accesso ad Internet deter-
minando così condizioni di digital divide. Questa è l’interpreta-
zione delle cause del digital divide data da molta letteratura. E’
una lettura che contiene molti elementi di verità, ma è troppo
parziale.
18
Mi riconosco invece, poiché molto più com-
pleta, nella definizione del digital divide da-
ta da Wikipedia. 19
Peraltro, quella di Wikipedia, mi pare una
definizione molto aderente alla realtà e alle
aspettative di eguaglianza espresse dalla
società contemporanea, anche perché ela-
borata attraverso una scrittura collettiva
sul WEB.
“Il digital divide è riconducibile a un insie-
me di cause:
l'assenza di infrastrutture a banda larga;
l'analfabetismo informatico degli utenti, ri-
guardo il computer in genere, e le potenzia-
lità di Internet.
Il digital divide potrebbe incrementare infat-
ti le già esistenti diseguaglianze di tipo eco-
nomico, ma avere effetti drammatici anche
nell'accesso all'informazione implicando
ulteriori conseguenze.
Oggi sono attive diverse campagne per il
superamento del digital divide impegnate
nel riutilizzo dell'hardware (il così chiamato
“trashware”), spesso impiegando l'uso di
software libero...Una delle cause ampia-
mente condivise del digital divide è di carat-
tere economico che impedisce alla popola-
zione di tali paesi di acquisire un’alfabetiz-
zazione informatica che è causa stessa del
digital divide. Il circolo vizioso che si viene
a creare porta i paesi poveri ad impoverirsi
ulteriormente dato che vengono ulterior-
mente esclusi dalle nuove forme di produ-
zioni di ricchezze che sono basate sui beni
immateriali dell'informatica”.
Nell’elaborazione delle proposte, per elimi-
nare il digital divide, si sono manifestati al-
meno due grandi filoni di pensiero: l’uno af-
fida all’espansione continua delle tecnolo-
gie e del loro uso la “naturale soluzione”
del problema; l’altra ritiene che il digital divi-
de sia anche causato dalle differenze eco-
nomiche e sociali che dividono i cittadini.
Secondo questa lettura, il ruolo delle Istitu-
zioni pubbliche appare quindi decisivo, co-
sì come lo è stato in altra epoca storica,
per fare un esempio, nel garantire a tutti
l’istruzione, i servizi sociali o la previdenza
sociale.”
La difficoltà nell’accedere alla rete, dovuta
a motivi di diseguaglianza nelle condizioni
economiche, non riguarda solo i Paesi più
arretrati, riguarda anche l’Occidente. L’ac-
cesso al WEB a condizioni economiche so-
stenibili per tutti riguarda anche noi. La di-
sparità di accesso riguarda anche chi vive
nelle nostre Città (le eguali condizioni di
partenza).
19
L’affermare il diritto all’accesso alla rete
non è il retaggio di un antico vizio egualita-
rio; è l’affermazione di un moderno diritto
di cittadinanza.
Non si ironizzi sul diritto a disporre di Face-
book o a scaricare qualche filmato da You-
Tube; chi afferma ciò dimostra di coltivare
una visione limitativa e sbagliata dell’uso
del WEB.
Marshall parla dei cittadini come di “mem-
bri a pieno diritto di una comunità” e della
necessità di arricchire costantemente il
“materiale di cui è fatto lo status”.
Nel mondo moderno, nella rete WEB 2.0,
si formano ed agiscono le più importanti
ed “includenti” comunità capaci di forte au-
toregolamentazione nel loro agire conti-
nuo; anzi, di più, le moderne forme del sa-
pere come Wikipedia sono il frutto dei pro-
cessi comunitari.
La cooperazione e la condivisione delle
idee sono le parole magiche della rete di
nuova generazione. Oggi si parla diffusa-
mente di crowsourcing.
Partecipare, comunicare, scambiare noti-
zie ed informazioni sono la condizione per
essere, per esercitare attivamente il diritto
alla cittadinanza universale.
Ma è la connessione alla banda larga ciò
che fa la differenza tra l’uso di Internet per
la formazione, per il lavoro, per gli affari,
per lo sviluppo di nuovi sistemi di welfare,
o più semplicemente un uso della rete con-
finato all’ intrattenimento e a un uso limitati-
vo e convenzionale.
Per sottolineare l’importanza che viene ad
assumere il diritto all’accesso segnalo co-
me la stessa gestione della salute oggi pos-
sa avvenire anche attraverso i social net-
work, per non parlare delle frontiere della
telemedicina, naturalmente a condizione
che la rete a banda larga sia diffusa capil-
larmente in un territorio. 20
Dotare una città di rete a banda larga, lotta-
re contro l’analfabetismo informatico per
consentire a tutti di poter usufruire delle po-
tenzialità presenti in Internet, garantire l’ac-
cesso gratuito alla rete sono compiti nuovi,
pienamente legittimi e auspicabili di una
Amministrazione locale.
L’affermazione di politiche di “Cittadinanza
Digitale” è la nuova frontiera di un nuovo
“Welfare State” che estende la propria posi-
tiva influenza anche al là degli ambiti prati-
cati tradizionalmente.
Quando poi si parla di garantire l’accesso
alla rete dobbiamo essere consapevoli di
un intervento delle Istituzioni pubbliche
20
che travalica i tradizionali “confini naziona-
li”.
La “Cittadinanza Digitale” non è una misu-
ra di innovazione del welfare che possa
esercitare i propri effetti nell’ambito dello
stato nazionale tradizionale.
21
CAPITOLO 4
COME DOVREBBERO OPERARE IL PUBBLICHE AMMINI-
STRAZIONI PER SUPERARE IL DIGITAL DIVIDE
Preliminarmente una Amministrazione dovrebbe perseguire i
seguenti principi.
I principi che enuncerò di seguito dovrebbero guidare l’azione
dell’Amministrazione per superare il digital divide:
- ogni cittadino gode del diritto ad accedere ad Internet, usu-
fruendo delle potenzialità indotte dalla banda larga. Solo l’ac-
cesso ad Internet, godendo della banda larga, consente di di-
sporre di tutti i servizi potenzialmente disponibili nella rete;
22
- il valore/investimento da retribuire non è
tanto quello ottenibile dall’accesso alla re-
te (modello della telefonia), quanto quello
derivato dall’uso e dalla produzione dei
contenuti. Più i contenuti saranno autopro-
dotti più sarà disponibile “gratuità”;
- ogni cittadino gode del diritto di acquisire
le conoscenze che gli consentono di acce-
dere alla rete e di poter “navigare” libera-
mente e consapevolmente. Per poter usu-
fruire delle potenzialità presenti oggi in rete
è necessaria una conoscenza “non casua-
le”, frutto anche di specifica formazione.
Vanno inoltre rafforzate le motivazioni, an-
che quelle civili e partecipative a usare la
rete. Per promuovere queste attività l’Ente
pubblico viene ad assumere un ruolo fon-
damentale;
- ogni city user gode del diritto di accedere
alla banda larga a condizioni economiche
economicamente accessibili;
- una Amministrazione deve scegliere con-
sapevolmente di sviluppare politiche di
eGovernment improntate anche alle piatta-
forme e ai contenuti di rete denominati
WEB 2.0 e di incentivare sempre di più i cit-
tadini ad un rapporto partecipativo con
l’Amministrazione. Le piattaforme WEB
2.0. possiedono tutte le caratteristiche per
favorire l’affermazione dell’eGovernment.
A questo punto devo accennare ad una di-
scussione che appassiona, anche ingenua-
mente, le comunità WEB e il mondo econo-
mico: tutto gratis?
L’accesso alla rete sicuramente va garanti-
to a prezzi accessibili, ma i contenuti di re-
te? L’open source vuol dire che è tutto gra-
tis e, quindi, democratico? Linus Torvalds
è un benefattore dell’umanità?
Scrive Chris Anderson, il direttore di Wired
USA: “Nel corso dell’ultimo decennio, ab-
biamo costruito un’economia online in cui
il prezzo di default è zero: niente, nada,
nul, null. I beni digitali, dalla musica ai vi-
deo, passando per Wikipedia, possono es-
sere prodotti e distribuiti senza alcun costo
marginale e così, per le leggi economiche,
il prezzo è andato dalla stessa parte: a ze-
ro. Per la Google generation, internet è la
terra del Gratis...Significa però che gratis
non è abbastanza. Deve andare in coppia
con a pagamento. Come i rasoi gratuiti di
King Gillette avevano un senso in termini
di business solo se abbinati a lamette co-
stose, così gli imprenditori web di oggi non
devono inventarsi solo prodotti che la gen-
te ama, ma anche prodotti per cui la gente
pagherà”. 21
Scrive Luca de Biase: “L’avvento dell’epo-
ca della conoscenza rigenera le ragioni di
23
scambio, concentra il valore sull’immateria-
le e attribuisce qualità a ciò che ha senso.
In questo contesto, le relazioni tra le perso-
ne sono appunto generatrici di senso, dun-
que di valore, ma sono gratuite per defini-
zione, anche se per svilupparsi hanno biso-
gno di piattaforme che costano. E’ chiaro
che i gestori di queste piattaforme devono
riuscire a farle fruttare anche monetaria-
mente: ma non riusciranno a trovare un
profitto se lo cercheranno in modo tale da
mettere a repentaglio il valore d’uso, la qua-
lità relazionale, l’innovazione sociale, che
le piattaforme offrono, servono e abilita-
no”. 22
Ho accennato a questo spinoso tema, fa-
cendomi aiutare da opinioni autorevoli, che
condivido, per ribadire ancora una volta un
concetto: l’Amministrazione Comunale de-
ve favorire, tra le sue attività, l’accesso alla
rete. La formazione della conoscenza deve
essere incentrata sulla gratuità; accedere e
partecipare a Wikipedia è gratuito!!!.
I servizi e l’uso delle piattaforme hanno in-
vece un valore. Ciò è inevitabile se voglia-
mo garantire la qualità dei servizi che offria-
mo. Lo strumento pubblicitario per pagare
le spese di gestione non è sufficiente, so-
prattutto in un momento di crisi economica
in cui il mondo delle imprese ha tagliato
drasticamente i costi per la pubblicità.
D’altronde, non tutti i widget disponibili at-
traverso l’Apple Store sono forniti gratuita-
mente, ma non per questo evitiamo di utiliz-
zare l’Apple Store per arricchire le funziona-
lità del nostro iPhone.
Leggete l’accordo raggiunto ancora qual-
che anno fa tra Google e le Associazioni
degli autori e degli editori americani. Rap-
presenta un ottimo compromesso.
- “Libri protetti da copyright e in commer-
cio

I libri in commercio sono libri ancora vendu-
ti attivamente dagli editori, tutti quei libri
normalmente disponibili in libreria. Questo
accordo amplia il mercato online dei libri in
commercio permettendo ad autori ed edito-
ri di attivare modelli di "anteprima" e "ac-
quisto" che rendano i loro titoli disponibili
più facilmente attraverso Google Ricerca
Libri.
- Libri protetti da copyright ma fuori stam-
pa

I libri fuori stampa non sono attivamente in
pubblicazione o in vendita, quindi l'unico
modo per procurarsene uno è cercarlo in
biblioteca o nei negozi di libri usati. Quan-
do l'accordo sarà approvato, ogni libro fuo-
ri stampa da noi digitalizzato diventerà di-
sponibile online per l'anteprima e l'acqui-
sto, a meno che il relativo autore o editore
24
scelga di "disattivare" tale titolo. Riteniamo
che ciò rappresenterà una vera manna per
il settore editoriale, permettendo ad autori
ed editori di ottenere delle entrate da volu-
mi che sembravano scomparsi per sempre
dal mercato.
- Libri non protetti da copyright

Questo accordo non ha effetto sulla moda-
lità di visualizzazione dei libri non protetti
da copyright; gli utenti di Google Libri po-
tranno continuare a leggere, scaricare e
stampare tali titoli come hanno fatto fino a
oggi.”
Ed in tutti i casi, amici miei, non è forse ve-
ro che siamo disponibili a spendere centi-
naia di euro per possedere un device mobi-
le sul quale scaricare centinaia di titoli da
Amazon, da Apple Store?
25
CAPITOLO 5
LA RETE A FIBRA OTTICA DELL’AMMINISTRAZIONE COMU-
NALE VENEZIANA
UN MODELLO REPLICABILE 23
Fatte queste premesse, necessarie per comprendere il conte-
sto ideale e le “regole del gioco” che dovremmo adottare, rac-
conterò le scelte e l’iter adottato fin dal 2007 dall’Amministra-
zione Comunale di Venezia per realizzare la propria rete e i
software applicativi “Amministrare 2.0”.
Ciò servirà, tenendo conto di tutte le differenze dovute alle di-
mensioni territoriali, alle caratteristiche economiche e sociali
che contraddistinguono le diverse Amministrazioni, a utilizzare
questo modello.
26
Per realizzare il progetto “Cittadinanza Digi-
tale” l’Amministrazione comunale venezia-
na ha trasformato la propria società Venis
SPA 24 in operatore di I.C.T.
E’ stato predisposto il progetto per la realiz-
zazione di una rete in fibra ottica sia nel
Centro Storico veneziano che nella terrafer-
ma mestrina. Questa attività è stata facilita-
ta dalla scelta fatta dal Comune di Venezia,
fin dal 1998, di posare, contestualmente
all’attività ordinaria di manutenzione urba-
na, anche “cavedi dedicati” alla posa della
fibra ottica.
Il progetto è stato interamente finanziato
dall’Amministrazione comunale, che si è
così garantita la necessaria indipendenza
nei confronti degli operatori privati del set-
tore. La Società Venis SPA in collaborazio-
ne con i Laboratori Fondazione Marconi ha
progettato e sta proseguendo nel tempo
nella realizzazione di quest’opera.
La rete in fibra ottica (quasi 10.000 km) at-
traversa le dorsali più importanti del territo-
rio cittadino, collegando le più importanti
sedi comunali, gli impianti sportivi, le biblio-
teche pubbliche ecc..
L’Amministrazione comunale ha proposto,
nel corso del tempo, alle altre Istituzioni
pubbliche e private veneziane la “rilegatu-
ra” delle loro sedi.
Sulla rete a fibra ottica si sono installati gli
hot spot WIFI finalizzati a garantire ai city
user l’accesso alla rete. Vorrei ricordare
che quest’attività venne concepita pur in
presenza di una legislazione italiana che,
unica in Europa, per lungo tempo ha volu-
to limitare la libertà di accesso alla rete tra-
mite il wifi. 25
Ogni cittadino veneziano può accreditarsi
e ricevere la propria userid e la password
attraverso il portale “Cittadinanza Digitale”.
Quella di “Cittadinanza Digitale” resta tut-
t’ora l’esempio più avanzato -almeno in Ita-
lia- di una politica di inclusione digitale svi-
luppata da una Amministrazione pubblica.
In questo modo la rete comunale è stata
concepita, potenzialmente, per garantire
l’accesso a tutti i servizi del WEB (rete
aperta) e non solo ai servizi pubblici.
Il progetto banda larga/WIFI è stato ufficial-
mente inaugurato il 3 luglio 2009. 26
Tutto ciò è stato possibile, come ho già
avuto modo di dire, grazie all’articolazione
e alla pervasività della rete di proprietà del
Comune.
Ancora oggi è possibile un’ulteriore esten-
sione dei punti di connettività gratuiti, attra-
verso la firma di accordi di collaborazione
27
con altri operatori privati delle TLC, consen-
tendo in cambio l’uso della rete di proprie-
tà comunale.
Consiglio inoltre, ogni Amministrazione di
perseguire accordi con le reti GARR, per
consentire la connettività con il mondo
scientifico, universitario e della cultura con
le altre Istituzioni europee, oltre che di po-
ter usufruire di una linea di assoluta quali-
tà.
Le reti GARR (esempio di gestione della re-
te di assoluta eccellenza) sono molto diffu-
se e pervasive.
Per ritornare al tema delle condizioni per
creare un ambiente innovativo delle quali
ho parlato più sopra, immaginiamo le con-
seguenze che potrebbe innescare in una
Città un’opera sistematica di digitalizzazio-
ne dell’immenso patrimonio culturale sia
pubblico che privato.
Pensate ad un’attività che omogenizzi gli
standard di digitalizzazione, le modalità di
conservazione sul cloud (superando la “fisi-
cità” degli attuali supporti per la conserva-
zione), le modalità secondo le quali milioni
di persone potrebbero usufruire del nostro
immenso patrimonio usando le connessio-
ni di rete.
Pensate al salto culturale che provochereb-
be a Venezia il passaggio da un’idea che la
digitalizzazione e la rete servono “solo” al-
la conservazione dei beni culturali e invece
lo svilupparsi di un’attività sistematica per
consentire l’accesso universale ai beni cul-
turali della mia Città da ogni parte del mon-
do.
Ma, queste politiche sono possibili in pre-
senza di una infrastruttura a fibra ottica
che colleghi un’area urbana al mondo.
28
CAPITOLO 6
DAL “CLUETRAIN MANIFESTO” AL WEB 2.0
Chiarita (spero) l’importanza ideale e politica assunta dall’affer-
mazione del diritto di accedere alla rete, è giunto il momento
di parlare dei contenuti offerti dalla rete: quali sono, come si
formano, come si viene a stratificare la loro gerarchia, quali so-
no i processi democratici che devono sovrintendere al formar-
si dei contenuti di rete.
Parallelamente allo sviluppo della rete e all’evoluzione degli
strumenti abilitanti e delle piattaforme WEB 2.0, si è sviluppa-
ta una cultura e una ideologia spesso trascurati dalla “politi-
ca”, fino a che la vittoria di Barack Obama (e in Italia l’afferma-
zione del Movimento 5 Stelle e di Beppe Grillo) ha reso eviden-
ti fenomeni fino ad allora sottovalutati se non ridicolizzati.
29
La “politica” ha incominciato ad interrogar-
si sul ruolo dei blog, sui social-network, sui
meetup, sull’influenza che questi strumenti
hanno sulle persone per influenzarne i com-
portamenti e il consenso politico. 27
Contemporaneamente, milioni di persone
hanno cominciato a concepire Internet e lo
“strumento” social network come una op-
portunità per poter “dire la loro” e per ri-
chiedere al mondo politico e amministrati-
vo la trasparenza nei suoi atti.
Molti “apprendisti stregoni” del mondo poli-
tico non hanno colto che, perché un mes-
saggio sul WEB sia efficace, la rete “va vis-
suta” e non va semplicemente usata come
un vecchio portale Internet.
Non è sufficiente raccontare la propria “vi-
ta finta” su Facebook in occasione di una
competizione elettorale o creare il gruppo
amici o nemici di qualche cosa o di qualcu-
no. Facebook (Twitter, nuova moda) non
serve per fare “spamming” introducendo
surrettiziamente messaggi politici. La rete
non è la “politica urlata” tra “mezzi busti”
in TV, magari intervallati dalle telefonate de-
gli amici.
La rete nell’epoca 2.0 ha sviluppato propri
anticorpi e proprie regole non scritte. Co-
me dice bene Luca Sofri: “E’ una delle co-
se che si imparano subito (...dimostri di te-
nere in considerazione ciò che gli altri dico-
no e scrivono e vi fai utile riferimento...),
nella osmotica e spesso confusa socializza-
zione alla blogosfera. E’ d’altronde una pra-
tica comunicativa che erode parte delle tra-
dizionali barriere tra produzione e fruizione:
grazie al link chiunque può valutare in tem-
po reale se è corretto il modo con il quale
viene riportato un pensiero o un evento e
rispondere pubblicamente attraverso il pro-
prio blog o i commenti”. 28
E, soprattutto non va dimenticato che il
WEB 2.0 è costituito da un assieme di “luo-
ghi” che generano una autonoma cultura,
figlia dell’interazione tra milioni di persone.
Questo mondo, il mondo del WEB 2.0, il
mondo dell’innovazione non è mai identifi-
cabile con la cultura e con la prassi orga-
nizzativa dell’economia e dell’industria tra-
dizionali. Ancora meno con l’approccio
consueto alla notizia proprio dei media tra-
dizionali.
Nel mondo 2.0 si sovverte il tradizionale
rapporto subordinato tra cliente e fornito-
re. Anche per questo il WEB sta soppian-
tando la TV o la sta integrando. 29
Nell’uso di Internet si sono sviluppate forti
soggettività, una cultura (culture) autono-
me e non convenzionali. La crisi della politi-
30
ca e dei suoi “luoghi” tradizionali di decisio-
ne ha accentuato questo processo.
Il mondo della rete e dell’innovazione digi-
tale sono stati gli artefici di una parte rile-
vante dello sviluppo economico degli ulti-
mi decenni, hanno rivoluzionato le abitudi-
ni e il costume di milioni di persone.
I protagonisti economici (gli inventori) delle
principali innovazioni della rete sono stati
tra gli attori più rilevanti dei processi di glo-
balizzazione.
Pensiamo a come, nell’immaginario colletti-
vo, si siano consolidate le figure e le gesta
di Steve Jobs, di Mark Zukerberg, di Jeff
Bezos, dei fondatori di Google. Come essi
siano considerati i moderni eroi dei nostri
tempi.
La “digitalizzazione” ha reso possibili i pro-
cessi di globalizzazione.
Apple e Google (solo per fare due esempi)
non si limitano a vendere prodotti e servizi,
vendono, prima di tutto, stili di vita o indu-
cono ad adottare nuovi stili di vita e di con-
sumo. Pensiamo, su tutti, al fenomeno
iPhone e ai negozi virtuali Amazon.
“Apple è diventata, al di là degli altri feno-
meni che si sovrappongono al suo settore
d’azione, un soggetto della cultura di mas-
sa. Fa parte del panorama sociale, ha toc-
cato corde e mosso le leve appropriate per
diventare qualitativamente qualcosa di di-
verso rispetto a un semplice fabbricante di
computer. Casomai, è un fabbricante di uni-
versi e futuri, di sensazioni e di possibilità
d’uso.” 30
E ancora, durante il contenzioso tra Micro-
soft e il Governo americano si affermò:
“Un’ingiunzione che ritardasse l’uscita di
Windows 98 potrebbe avere un impatto de-
cisamente negativo sul paese nel suo com-
plesso, incidendo sull’approvvigionamento
di pc nei periodi di rientro a scuola e delle
festività natalizie.” 31
Anche queste sono state le condizioni per-
ché nel mondo del WEB si consolidasse
una autonoma visione del mondo, dei rap-
porti sociali, del mercato.
Tutto ciò, naturalmente sommando i vizi e
le virtù dell’ “economia materiale”, contri-
buendo, quota parte, a determinare la crisi
nella quale il mondo si dibatte. E’ un mon-
do quello dell’innovazione (in altra epoca
definita New Economy) che ci illude e poi
ci tradisce perché è parte dell’economia
reale.
“Quel che è accaduto dopo il marzo del
2000 ha un valore simbolico che non si mi-
sura in percentuali. E’ la caduta degli idoli:
31
si credeva che la New Economy potesse
far lievitare all’infinito la ricchezza finanzia-
ria, che le società tecnologiche e le
dot.com - aziende di Internet - avessero
un potenziale di crescita illimitato, anche
se molte di loro non avevano mai chiuso
un bilancio in attivo, e nonostante la dub-
bia qualità di molti manager.” 32
Voglio segnalare a questo proposito il re-
cente articolo “New Economy, così la bolla
italiana del digitale è finita in mutande”. Ha
fatto discutere molto in queste settimane.
Ad un certo punto della mia attività politica
ed amministrativa ho “incrociato” il “Clue-
train Manifesto”. 33 Ho avuto la fortuna di
ascoltare, ad un meeting di Cisco, una le-
zione di David Weinberger.
È stata una folgorazione che ha influenzato
in modo determinante la mia cultura dell’in-
novazione e del web.
Il “Cluetrain Manifesto” è stato pubblicato
nel 1999 da Rick Levine, Christopher Loc-
ke, Doc Searls e David Weinberger.
Sono passati dieci anni, ma l’attualità di-
rompente delle idee espresse dal “Clue-
train Manifesto” è rimasta assolutamente
immutata.
Anzi, soprattutto oggi, di fronte ad una
drammatica crisi economica e sociale, la
lettura del “Cluetrain Manifesto” ci aiuta ad
una interpretazione innovativa degli abitua-
li schemi e delle consuetudini organizzati-
ve radicati nelle aziende e verso l’approc-
cio tradizionale ai mercati.
Ormai tutti riconoscono che gli schemi del
passato sono alla base della crisi che trava-
glia l’economia globale; forse ne sono una
delle cause. La crisi finanziaria ha fatto
esplodere gli assetti strutturali e le scelte
organizzative, l’approccio ai mercati dell’
“economia materiale” organizzata in modo
tradizionale. Pensiamo alla gravità della cri-
si che attanaglia l’industria dell’automobile
e tutti i più tradizionali segmenti dell’econo-
mia e del mercato.
Una nuova stagione di sviluppo economi-
co e sociale si baserà, nel prossimo futuro,
(ma. in alcuni ambiti dell’economia è già
così) sulla diffusione dell’innovazione -so-
prattutto dell’I.T.- e delle reti.
L’economia che è sorta dalla diffusione di
Internet, dai nuovi servizi di rete e dalla co-
stante competizione tra i produttori di stru-
menti di connettività, è un veicolo che ci
aiuterà a superare la crisi.
In questa sede affronterò “solo” i fattori
che stanno cambiando i rapporti tra i pro-
32
duttori e i consumatori. Ciò riguarda anche
il mondo della Pubblica Amministrazione.
Quando nel “Cluetrain Manifesto” si affer-
ma che “I mercati sono conversazioni” e si
aggiunge, su un piano consequenziale,
che “Internet permette delle conversazioni
tra esseri umani che erano semplicemente
impossibili nell’era dei mass media”, si pro-
pone un approccio all’economia e alla de-
mocrazia assolutamente originali.
Qualche anno dopo, questo messaggio si
è venuto a rafforzare, ha scritto Chris An-
derson: “Stiamo entrando in un’era radica-
le di cambiamento per i venditori. La fede
nella pubblicità e nelle istituzioni che la fi-
nanziano sta declinando, mentre la fede ne-
gli individui si sta rafforzando...I nuovi ta-
stemakers siamo noi. Il passaparola è oggi
una conversazione pubblica, che avviene
nei commenti dei blog e nelle recensioni
dei clienti, raccolte e misurate in modo
esaustivo. Le formiche hanno i megafoni.”
34
Valutiamo allora quale conseguenza possa
avere sull’economia, sulla società e sulle
strutture democratiche il sovvertimento ra-
dicale della gerarchia causato da milioni di
persone che conversano in un modo “sem-
plicemente impossibile nell’era dei mass
media”?
Si sta passando da un utilizzo della televi-
sione e dei suoi servizi - compresa la pub-
blicità - improntato sull’unidirezionalità del
messaggio, all’uso di moderni strumenti di
connettività basati sul dialogo tra gli indivi-
dui, alla loro diffusione costante, alla loro
continua evoluzione.
Le principali testate giornalistiche ormai da
molto tempo pubblicano le loro notizie onli-
ne con frequenza temporale costante, ren-
dendo quasi del tutto inutile l’acquisto al
mattino dei quotidiani. D’altronde il “nativo
digitale” generalmente non concepisce di
acquistare un quotidiano o un settimanale
in edicola, il suo orizzonte è il web.
Il termine “essere informato in tempo rea-
le” assume nell’epoca della rete e della
connettività significati totalmente diversi ri-
spetto anche ad un recente passato.
Un individuo può essere informato sempre
e ovunque a condizione che “sia in rete”.
Un individuo può comunicare sempre e
ovunque anzi, può contribuire a formare le
notizie a condizione che “sia in rete”. La
nozione di tempo e di spazio nella forma-
zione di una notizia o di un avvenimento
viene oggi a mutare radicalmente.
Dice nulla il termine citizen journalism?
33
La “notizia” si genera ed assume o perde
valore nel tempo del click di un mouse.
Nessun telegiornale, per quanto trasmesso
con frequenza, ha la stessa capacità di in-
formare del mio device mobile costante-
mente connesso in rete con i principali net-
work, o del mio BlackBerry, che invia e rice-
ve costantemente email.
Di fronte a questa rivoluzione, come si può
dire che l’affermazione dei principi di “Citta-
dinanza Digitale” non assuma oggi una
grande urgenza?
Ma, ed è questa la vera novità, la rete e gli
“strumenti di connettività” consentono con-
vergenze di contenuti che, fino ad ora, era-
no godibili solo separatamente.
Non esistono più il tradizionale computer o
il telefonino. Definiamoli, insieme, “strumen-
ti di connettività”. Un computer, soprattut-
to oggi, di fronte alla miniaturizzazione del-
l’apparecchio, è sempre meno destinato a
svolgere solo funzioni tradizionali (consenti-
te peraltro da software residenti invasivi e
“pesanti”), è sempre di più lo strumento
che ci consente di essere sempre on line.
Un “telefonino” serve sempre meno “solo”
a telefonare, è sempre di più uno strumen-
to per comunicare, facendo convergere più
servizi (SMS, mail, fotografie, video ecc.).
Indicatemi il messaggio pubblicitario di un
produttore di “telefonini” o di un operatore
di TLC che promuova esclusivamente un
telefonino o la tariffa di un singolo servizio.
Anzi un “telefonino” viene venduto in ap-
pendice ad un servizio di telefonia/Internet.
Tutti promuovono e ci vogliono vendere
convergenza, anche di contenuti. Ricordia-
mo, un libro si può scaricare e leggere an-
che su un iPhone.
La diffusione del WIFI e della fibra ottica
stanno accelerando esponenzialmente que-
sti processi, mutando i termini stessi della
concorrenza tra gli operatori delle TLC e
tra i produttori degli “strumenti di connetti-
vità”. Tutto ciò sta facendo evolvere la pro-
duzione di “contenuti”.
È decollato quindi su basi diverse rispetto
al passato la concorrenza tra le diverse
piattaforme su cui si è fondata per anni la
telefonia mobile.
Google (Android), Apple, Nokia, Microsoft
si confrontano ormai quotidianamente per
la conquista di sempre maggiori quote di
mercato. E il confronto si è spostato, oltre
che sui contenuti forniti al cliente e sulla di-
verse offerte tariffarie, anche sulla qualità
del design (Apple), o sul livello di “apertu-
ra” o meno della piattaforma (Android).
34
Symbian (Nokia) o Windows Mobile (Micro-
soft) hanno perso la loro sfida contro An-
droid (Google), perché queste piattaforme
non fanno partecipare alla competizione gli
utenti nel ruolo di cosviluppatori, determi-
nando così il successo del prodotto.
Ed è assolutamente stupefacente come
questa rivoluzione tocchi ogni strato socia-
le e ogni classe di età.
Si è diffusa ormai una estesa letteratura
che descrive “usi e costumi” dei “nativi di-
gitali”, ma non dimentichiamo che l’uso de-
gli strumenti innovativi si sta diffondendo
in ogni classe di età, generando nuove
aspettative, ma anche nuove diseguglian-
ze.
Contrariamente a quanto comunemente si
pensa, si colgono appieno da parte del
“non nativo” le potenzialità del WEB, e si
soffre al contempo della propria incapacità
a sfruttarle appieno. “Ho 62 anni. Cito Wiki-
pedia, perché convivo con internet per la-
voro, curiosità, svago e cultura personale.
Sono iscritto a Facebook e Twitter. Ho ritro-
vato sui social network molti che conosco
di persona. Ma ho scoperto che alcuni rie-
scono solo dietro la tastiera ad esternare
emozioni ed espressioni mai osate face to
face. Tutto intrigante e per certi versi affa-
scinante se non avessi un problema. Nel-
l’esplorazione di internet mi scontro con
l’ostilità di un pianeta web che sembra di-
fendersi dietro usanze e linguaggi per me
criptici. I caratteri sono minuscoli, l’italiano
è essenziale e molto rimaneggiato, sono
travolto da un torrente di acronimi e termi-
ni da fantascienza come RSS, feed, post,
backbones, mainframes, e-readiness ran-
kings. Un lessico davvero poco familiare
per chi non è cresciuto a kinder plasticati e
PC”. 35
Sono, come si capisce, fenomeni assoluta-
mente pervasivi, che nel manifestarsi gene-
rano nuovi consumi, nuova ricchezza e un
cambiamento radicale del modo di vivere e
di comunicare
La rete genera, infatti, libertà di scelta, al-
l’opposto della televisione e degli altri me-
dia tradizionali.
Ricordo spesso la prima televisione “a get-
tone” acquistata ratealmente dalla mia fa-
miglia negli anni ’60, il moltiplicarsi negli an-
ni successivi dei canali e degli spettacoli
che venivano offerti; c’era sempre più spet-
tacoli a disposizione, ma non venivano
scelti liberamente. Rivedo come in un film
l’attesa di quella alternativa costituita dal
debutto della seconda rete televisiva negli
anni sessanta del secolo scorso.
35
All’opposto, chi oggi va in rete sceglie libe-
ramente ciò che vuole vedere; comunica
con milioni di persone distanti tra di loro,
genera esso stesso i contenuti di rete.
“User generated content” è ciò che con-
traddistingue il WEB 2.0.
Ecco la vera rivoluzione alla quale voglia-
mo partecipare attivamente, la coproduzio-
ne dei contenuti. Dobbiamo tutti diventare
“prosumer”, ad un tempo siamo produttori
e consumatori di contenuti
Riflettiamo insieme a cosa ha significato
affermare, con preveggenza, nel “Cluetrain
Manifesto” che: “Gli hiperlink sovvertono
la gerarchia” e che “Queste conversazioni
in rete stanno facendo nascere nuove for-
me di organizzazione sociale e un nuovo
scambio della conoscenza”.
Recentemente ha scritto David Weinberger
“Ma il punto è che non ci stiamo limitando
a trasferire dei rettangoli di testo dalla pagi-
na di un libro a uno schermo: il collegamen-
to della conoscenza -il networking, la mes-
sa in rete o in circolo- sta in realtà cambian-
do la nostra più antica e fondamentale stra-
tegia del sapere.” 36
Pensiamo alla campagna elettorale di Ba-
rack Obama, o agli strumenti con cui que-
st’ultimo comunica con i cittadini nella sua
attività di governo. Ad esempio provate ad
esplorare, prestando particolare attenzione
alle logiche comunicative, il sito
www.MyBarakObama.com .
Nelle scelte comunicative di Obama é sicu-
ramente costante l’uso dei media tradizio-
nali, ma è preponderante una interlocuzio-
ne con gli elettori e con i cittadini attraver-
so gli strumenti messi a disposizione dal
WEB. È un metodo di governo, non sempli-
cemente un modo smart di comunicare.
L’attività di dialogo attuata da Barack Oba-
ma attraverso “Open for Questions” ha
avuto ad esempio un successo incredibile
e ha inaugurato un modo diverso e più de-
mocratico nel rapporto tra il “potere” e i cit-
tadini. Strumenti come questo “stanno fa-
vorendo l’apertura al dialogo bidirezionale
tra Transition team e la community the
Change.gov” per dirla con i gestori del ser-
vizio.
“L’iniziativa cui si fa riferimento è denomina-
ta Open for Questions ed ha ricevuto il 26
marzo (era il 2009) il varo ufficiale presso
la Casa Bianca, a testimonianza dell’impe-
gno profuso nella costruzione di un cammi-
no di trasparenza e responsabilità dell’azio-
ne presidenziale nei confronti dei cittadini
americani tutti.

L’incontro è stato seguito on-line da circa
36
67,000 utenti, secondo l’indicazione data
dal portavoce della Casa Bianca Nick Sha-
piro, ed il webcast è stato anche trasmesso
da diversi canali via cavo. Prima dell’even-
to, chiunque volesse porre una domanda al
Presidente ha potuto iscriversi sul sito della
Casa Bianca nella sezione Open for Que-
stions perché le domande, raccolte in ordi-
ne di frequenza, fossero trasmesse al Presi-
dente. L’entità del riscontro che l’iniziativa
ha avuto è rintracciabile in alcuni numeri
che Usa Today riporta come provenienti di-
rettamente dalla Casa Bianca: 92,931 per-
sone si sono iscritte e 104,103 sono le do-
mande effettivamente poste e 3,606,286 so-
no i voti finalizzati a determinare le frequen-
ze degli items sulla base delle quali si sa-
rebbe decisa la priorità delle domande po-
ste al presidente e quindi la probabilità che
la domanda fosse effettivamente posta. La
Cnn riporta che il Presidente ha risposto a
sette domande poste attraverso il sito e ad
altre poste dal pubblico presente nella East
Room.” 37
Qualcuno potrebbe obiettare che il “Clue-
train Manifesto” contestava i metodi svilup-
pati dal mondo dell’impresa privata e, so-
prattutto, mirava ad instaurare un diverso
rapporto tra i consumatori e il produttore e
quindi che il suo messaggio restava lì, cir-
coscritto al mondo dell’impresa.
All’opposto, il “Cluetrain Manifesto” espri-
me una critica universale, contrappone al-
l’assenza di soggettività, il dialogo sia nel-
l’impresa, che nei rapporti tra imprese, con
i mercati, con i consumatori.
“Siamo dentro e fuori le aziende. I confini
delle nostre conversazioni sembrano il Mu-
ro di Berlino di oggi, ma in realtà sono solo
una seccatura. Sappiamo che stanno crol-
lando. Lavoreremo da entrambe le parti
per farle venire giù”. E’ una espressione for-
te che afferma il primato del dialogo e del-
la comunicazione globali sulla “semplice”
produzione di beni.
Di fronte a queste prospettive, a queste
realtà “rivoluzionarie” quali sono gli interro-
gativi che si pone oggi un pubblico ammini-
stratore italiano o, più semplicemente, un
cittadino?
Come può esprimersi questa carica di cam-
biamento in un luogo di conservazione co-
me la Pubblica Amministrazione italiana?
Una risposta mi viene spontanea.
Non è forse che il favorire il dialogo, lo svi-
luppare la valorizzazione delle soggettività
e delle intelligenze sono il problema princi-
pale delle Pubbliche Amministrazioni?
Se ciò fosse vero -io ne sono convinto- su-
perare l’autoreferenzialità, la maschera
37
“della procedura”, il primato della “legifica-
zione” in ogni atto del pubblico dipenden-
te, per fare emergere la sua soggettività,
per liberare la voglia “di fare qualche cosa
di nuovo” è l’imperativo necessario per ri-
formare la Pubblica Amministrazione.
Contro l’immobilismo imperante è necessa-
rio cambiare costantemente; questa è la
lezione del WEB e della sua cultura.
I provvedimenti legislativi adottati, anche
recentemente, dal Governo Italiano non
rappresentano la fine dell’immobilismo.
Speso sono la codificazione dell’inefficien-
za e dell’immobilismo.
Per superare il primato “della procedura”
(anche se trasferita in rete) è necessario
mettere in discussione la gerarchia, così
come esce dalle procedure concorsuali inu-
tili e nozionistiche che comprimono le pro-
fessionalità e la voglia di fare e mortificano
il merito individuale.
Blog, meetup, social network rappresenta-
no un modello opposto a quello delle prati-
che gerarchiche, consolidate.
“Abbiamo usato i blog per rafforzare la co-
municazione dei nostri stakeholder e ora
stiamo implementando la tecnologia wiki
nei siti della nostra intranet e della nostra
extranet. Il beneficio principale sembra es-
sere un più forte senso di comunità, che
siamo in grado di alimentare grazie a delle
tecnologie più interattive.” 38
Sembra una conversazione incomprensibi-
le condita da terminologie un pò astruse,
si tratta invece di constatazioni manageriali
sui vantaggi generati dall’adozione in azien-
da dei nuovi strumenti di comunicazione
messi a disposizione dal WEB 2.0.
E’ opportuno allora che coloro che nella
Pubblica Amministrazione, un pò per piag-
geria, un pò per moda, pensano di importa-
re gli strumenti di dialogo 2.0 senza cam-
biare contemporaneamente l’organizzazio-
ne, la cultura e le prassi consolidate, valuti-
no l’immensa carica di innovazione presen-
te potenzialmente nella cultura del WEB.
Ne valutino le conseguenze i conservatori
della Pubblica Amministrazione, coloro
che pensano alla “rilegificazione”, “le eter-
ne gerarchie”, gli “immobili sindacalisti”, i
difensori dei finti diritti ormai superati dalle
cose e dall’innovazione.
In verità costoro cercano di tenere fuori dal-
la Pubblica Amministrazione la cultura del-
l’innovazione digitale. Ciò non è possibile,
Internet pervade ogni aspetto della nostra
vita; Internet ha mutato l’approccio dei cit-
tadini ai servizi offerti dalla Pubblica Ammi-
nistrazione.
38
Leggetevi la tesi 26) del “Cluetrain Manife-
sto” “Le Pubbliche Relazioni non si relazio-
nano con il pubblico. Le aziende hanno
una paura tremenda dei loro mercati.”
Pensate ora ad un qualsiasi cittadino mes-
so di fronte ad uno sportello di una qualsi-
voglia Pubblica Amministrazione in attesa
di essere rimandato ad un altro sportello
ancora “perché il suo problema non è di
mia competenza”.
Mettiamo fine alla ordinaria persecuzione
alla quale sono sottoposti i cittadini che so-
no le vittime delle perversioni alle quali so-
no sottoposti dalle cervellotiche forme or-
ganizzative adottate da tutta la Pubblica
Amministrazione italiana.
E quando allo sportello obietti ti viene ri-
sposto che è “la legge” che lo prevede.
Le tecnologie e la rete servono a cambiare
questo stato di cose, ma da sole non sono
sufficienti. 39
L’ approccio assolutamente innovativo al-
l’organizzazione aziendale, al rapporto tra
azienda e mercati, al marketing, alla conce-
zione del ruolo dei media e della comunica-
zione, così come suggerito dal “Cluetrain
Manifesto”, è sicuramente una chiave per
l’innovazione della Pubblica Amministrazio-
ne.
Ma quali sono le “conversazioni” alle quali
si riferisce il “Cluetrain Manifesto”? E, so-
prattutto, chi sono i soggetti che dialogano
tra di loro?
Il “Cluetrain Manifesto” va a questo punto
coniugato al WEB 2.0.
Quando si parla di WEB 2.0 si tende gene-
ralmente ad accomunare filosofie, piattafor-
me e strumenti abilitanti come se costituis-
sero un tutt’uno.
In un certo modo può essere vero, ma il
WEB 2.0 non è una tecnologia, è una filoso-
fia, è un approccio culturale all’uso della
rete.
Questa filosofia e questa cultura hanno ge-
nerato applicazioni di rete concettualmen-
te innovative rispetto ad un recente passa-
to.
Il termine WEB 2.0 è stato coniato da Tim
O’Reilly (2005).
“Quando gli utenti aggiungono nuovi con-
cetti e nuovi siti, questi vengono integrati
alla struttura del web dagli altri utenti che
ne scoprono il contenuto e creano link. Co-
sì come le sinapsi si formano nel cervello,
con le associazioni che diventano più forti
attraverso la ripetizione o l’intensità, le con-
nessioni nel web crescono organicamente
39
come risultato dell’attività collettiva di tutti
gli utenti del web”. 40
Ecco il WEB 2.0. Il WEB 2.0 è il frutto del-
l’attività collettiva di tutti gli utenti che ge-
nerano nuovi contenuti e siti, e che così
fanno crescere organicamente il WEB stes-
so attraverso un processo continuo, senza
una fine prestabilita (BETA perpetuo).
Ricordiamo, negli ultimi anni si sono venuti
a manifestare nel mondo della globalizza-
zione quattro fenomeni strettamente con-
nessi tra di loro:
- milioni di persone accedono alla rete. La
rete, come veicolo di comunicazione, ha
superato per numero di utenti i media tradi-
zionali. Anzi, come ho già detto, li ha fatti
convergere nel momento della distribuzio-
ne e della formazione dei contenuti. È nato
e si è affermato l’universo del social net-
working;
- sono aumentati di numero gli strumenti di
connettività. Sono, quindi, aumentate le ca-
pacità e le possibilità di convergenza;
- milioni di persone usano motori di ricerca
e strumenti WEB 2.0 (Google, YouTube, Fa-
cebook, Wikipedia, Twitter, Instagram
ecc.), frutto di una crescita dinamica che
ha fatto progredire esponenzialmente la re-
te e i contenuti di rete;
- si sono sviluppati nuovi linguaggi e proto-
colli 2.0: AJAX, CSS, uso semantico e dina-
mico del linguaggio HTML.
E’ così finita l’epoca dell’accesso passivo
alla rete, oggi: “gli utenti aggiungono nuovi
concetti e nuovi siti”.
Collegamento dopo collegamento, gli uten-
ti modellano il WEB.
Un sito tradizionale, è passivo, anche se
graficamente molto bello e ricco di informa-
zioni unidirezionali, sarà sempre meno fre-
quentato, non serve alla comunicazione
che si svolge nel WEB. E’ uno tra i tanti mi-
lioni di libri già letti, abbandonati in una im-
mensa libreria. Se ne perde la memoria,
via via precipita nella graduatoria dei moto-
ri di ricerca, il vero indice nell’epoca del
WEB. Più sei “cliccato” o “taggato” (nuovi
termini di un nuovo alfabeto), più scali la
graduatoria nel motore di ricerca, più hai
successo, più esisti.
La ricchezza e il successo del WEB 2.0 è
dato dall’apporto di milioni di persone che
condividono una bacheca su Facebook,
che usufruiscono delle informazioni fornite
da Wikipedia e contemporaneamente ne
arricchiscono i contenuti; il WEB 2.0 è fat-
to dalle persone che si scambiano filmati
su YouTubee che partecipano alla vita dei
blog.
40
Il WEB 2.0 è il frutto dei miliardi di scatti fo-
tografici postati usando Pinterest e Insta-
gram.
Il WEB 2.0 è diventato esso stesso un po-
tente media che coinvolge attivamente mi-
lioni di persone e contemporaneamente ne
viene arricchito dalla loro attività.
Fino a qualche anno fa la rete esprimeva le
proprie potenzialità (e consentiva aree im-
portanti di business) attraverso un rappor-
to unidirezionale - passivo si potrebbe dire
- tra gli utenti e i produttori che gestivano i
“loro portali”.
I portali ci consentivano egualmente di ac-
cedere alle notizie (ma non di ordinarle per
importanza taggandole), l’e-commerce ci
consentiva di acquistare in rete molti pro-
dotti, con il limite che il feedback sul pro-
dotto acquistato e sul produttore si espri-
meva in forme molto limitative e rudimenta-
li; la posta elettronica era (e resta) uno stru-
mento potente di comunicazione, ma non
esisteva la bacheca per condividere ogni
tipo di messaggio multimediale. Tutte que-
ste applicazioni erano non connesse tra di
loro e, soprattutto, non consentivano la
partecipazione dell’utente.
Il WEB 2.0, all’opposto, è “user generated
content”: questa è la vera trasformazione
dei contenuti del WEB.
“Napster (sebbene chiuso per ragioni lega-
li) ha costituito la sua rete non costruendo
un database di canzoni centralizzato, ma
architettando un sistema in modo tale che
chiunque scarichi un pezzo, diventi esso
stesso un server, facendo quindi crescere
il network”. 41
Le piattaforme come Instagram, che con-
sentono a milioni di persone di pubblicare
sul WEB le loro fotografie per condividerle
con altri, consentono che i tag identificativi
siano organizzati e proposti dagli utenti
stessi.
Le gerarchie sono così definite dall’utente,
sono il frutto della sua attività sul WEB
(Google insegna).
La scelta fatta a monte dagli sviluppatori
dei software 2.0 è quella di concepire una
“architettura partecipativa” tale da consen-
tire le attività di condivisione degli utenti.
Gli utenti sono, quindi, considerati dei co-
sviluppatori.
Nella Pubblica Amministrazione italiana sta
avvenendo questo processo quando pom-
posamente si “codifica” una Agenda Digita-
le?
41
CAPITOLO 7
WEB 2.0 E DELEGIFICAZIONE PER SMANTELLARE L’ULTI-
MO BALUARDO FORDISTA: LA PUBBLICA AMMINISTRA-
ZIONE ITALIANA
Nel mondo moderno ci sono ancora due modelli piramidali
consolidati fondati sul primato della “forma”.
La Pubblica Amministrazione Italiana e la Corea del nord.
Confesso che quando nel 2009 ho coniato il termine “Ammini-
strare 2.0” non avevo ancora ben chiare tutte le implicazioni
molto impegnative, anche sul piano ideale, che ho esposto fi-
no ad ora.
E, d’altronde, molti Sindaci si sarebbero accontentati di pre-
sentare alla comunità dei pubblici amministratori il nostro IRIS
42
(interazione partecipativa per la gestione
della manutenzione urbana) o ARGOS (ge-
stione e condivisione dei problemi della via-
bilità acquea) come esempi avanzati di in-
novazione. 42
Queste applicazioni possono essere una
bella vetrina; sono stati il motivo che ci ha
reso protagonisti in anni passati -ma non
solo- di molte tavole rotonde e convegni.
Onestamente ne sono molto orgoglioso an-
che dopo qualche anno.
Ancora oggi sono particolarmente grato al
gruppo di informatici di Venis (e a qualche
altra Azienda che opera nel settore) che
hanno sviluppato questi ed altri applicativi.
Ma, dietro alla realizzazione di questi soft-
ware, c’é stata innanzitutto, l’affermarsi di
una cultura, il consolidarsi di una convinzio-
ne. Insieme devono sovrintendere al cam-
biamento urgente della Pubblica Ammini-
strazione italiana (ma anche di altri settori
produttivi).
Prima di sviluppare un qualsiasi software si
deve avere chiara una proposta/progetto
di cambiamento della struttura organizzati-
va dell’Ente, si deve avere la volontà di
combattere la cultura dell’autoreferenziali-
tà.
Soprattutto si deve favorire in ogni ambito
l’affermazione di un processo partecipativo
da parte dei cittadini.
Va abbandonato il mondo che fino ad ora
abbiamo conosciuto. Dobbiamo esplorare
nuovi territori.
- La partecipazione dei cittadini deve es-
sere intrinseca all’architettura del soft-
ware.
- Deve cambiare l’organizzazione del-
l’Ente pubblico per potersi adeguare al
nuovo processo partecipativo.
E poiché i bisogni dei cittadini sono mute-
voli, la flessibilità e l’adattabilità devono
pervadere l’architettura del software e le
soluzioni organizzative. Sono stato (e so-
no) un seguace del BETA perpetuo, per
usare il gergo WEB 2.0.
David Weinberger ha espresso il seguente
interrogativo: “All’inizio del XXI secolo, l’e-
Government si farà strada a partire dai Go-
verni esistenti come una loro propaggine,
oppure stiamo assistendo ad un momento
fondante in cui l’e-Government emerge dai
nuovi cittadini?” 43
I cittadini - i “nuovi cittadini”- potrebbero
diventare così l’agente del cambiamento
fin dal momento in cui si approcciano alla
43
Pubblica Amministrazione per esprimere i
propri diritti.
Tradotto: la digitalizzazione della Pubblica
Amministrazione serve a consolidare in
modo moderno e più efficiente ciò che sia-
mo già oggi (inefficienze, storture burocrati-
che e autoreferenzialità comprese), o con-
sente ai cittadini di contribuire al nostro
cambiamento (noi Pubblica Amministrazio-
ne) nel momento in cui esercitano i loro di-
ritti?
Per e-Government intendiamo le “gloriose”
reti civiche (i portali istituzionali) già viste e
conosciute, fotografia spesso infedele (ci-
pria e belletto), di ciò che siamo, la carta di
identità elettronica, il libro di testo in forma-
to PDF, o si cambia e ci si evolve trasfor-
mando l’architettura informatica della Pub-
blica Amministrazione? Per e-Government
intendiamo quel processo che permette ai
cittadini di esprimere, senza momenti di
mediazione burocratico/amministrativa, le
loro aspettative?
In tutti i casi l’e-Government deve rappre-
sentare l’insieme delle politiche per l’inno-
vazione che devono pervadere ogni aspet-
to della vita dell’Ente Pubblico.
Chi adotta la filosofia “Amministrare 2.0”
deve apprestarsi a seguire questa strada,
rischiando molto, preparandosi ad affronta-
re continuamente rischi ed incomprensioni.
Ma, d’altronde, è questo il destino dei “vi-
sionari” e degli innovatori.
La Pubblica Amministrazione va quindi real-
mente e profondamente cambiata, abban-
donando slogan facili e annunci ad effetto,
rinunciando a facili iniziative giustizialiste
nei confronti dei pubblici dipendenti, ai
quali non possono essere addebitate, co-
me facili capri espiatori, tutte le inefficienze
del sistema pubblico.
Lavorare di più e meglio è il frutto sicura-
mente di un atteggiamento soggettivo - da
assoggettare a premi e punizioni -, ma so-
prattutto è conseguenza dell’organizzazio-
ne del lavoro che si adotta .
E‘ quindi necessario, prioritariamente, met-
tere mano, senza esitazione, all’attuale
struttura organizzativa che rappresenta il
maggiore ostacolo all’affermarsi di una
idea più avanzata dell’ eGovernement. Ho
già affermato che, senza questi cambia-
menti, anche l’Agenda Digitale resterà lette-
ra morta.
L’organizzazione della Pubblica Ammini-
strazione italiana va delegificata.
Per evidenziare le differenze tra i principi
che guidano il mondo (le imprese) 2.0 e la
44
Pubblica Amministrazione vorrei riportare
alcuni modelli organizzativi 2.0:
- “Le ideagorà consentono alle imprese di
accedere a un mercato globale di idee, in-
novazioni e menti dotate delle competenze
più ricercate, in modo da poterle utilizzare
per ampliare le loro capacità di problem
solving;
- Le piattaforme partecipative istituiscono
un palcoscenico globale sul quale ampie
comunità di partner hanno la possibilità di
creare valore e, in molti casi, dar vita a nuo-
ve imprese nell’ambito di un ecosistema
altamente sinergico;
- Le catene di montaggio globali sfruttano
tutte le facoltà del capitale umano al di là
delle frontiere e dei confini organizzativi, al-
lo scopo di progettare e assemblare ogget-
ti materiali.” 44
Che mondo è? dice il pubblico dipenden-
te, la politica, l’amministratore pubblico.
Che cambiamento ci proponi sottoponen-
doci queste astruse formule organizzative?
Proviamo a rispondere a questo ideale di-
pendente della Pubblica Amministrazione
-e anche agli altri- che hanno avuto la bon-
tà di arrivare fino a qui.
La struttura organizzativa della Pubblica
Amministrazione è rimasta l’ultima espres-
sione del “fordismo” dopo che si sono af-
fermati in tutto il mondo processi produtti-
vi e modelli organizzativi diversi ormai da
qualche decennio.
Proviamo allora a scomporre le fasi “di pro-
duzione” di un prodotto-servizio in un Ente
locale.
Prima dell’erogazione di un servizio (un pro-
dotto) offerto ad un cittadino, si sommano
in una ideale catena di montaggio:
- le attività di autoriproduzione della mac-
china e di autolegittimazione della struttura
organizzativa;
- le attività orientate al controllo del rispet-
to della prassi, della procedura, dei regola-
menti, delle leggi, della “forma”;
- le attività di costituzione dell’atto per con-
sentire l’uso delle risorse economiche stan-
ziate, secondo il principio in base al quale
la Pubblica Amministrazione si esprime at-
traverso “atti amministrativi”;
- le attività che consentono l’erogazione
del servizio vero e proprio;
- infine, l’erogazione vera e propria del ser-
vizio, spesso affidata a soggetti terzi rispet-
to all’Ente.
45
Ognuna di queste attività è rigorosamente
separata dalle altre rispettando uno sche-
ma organizzativo “verticale”. Ogni struttura
interessata al processo comunica, spesso
in modo conflittuale, con altre strutture se-
guendo uno schema “verticale”. L’assieme
delle strutture verticali viene a formare una
sorta di “cubo destrutturato”. Il momento
della sintesi è rappresentato dalla delibera
(l’atto finale?) alla quale tutti arrivano se-
guendo percorsi paralleli, spesso conflittua-
li. In fin dei conti, che cosa rappresenta “il
parere” di un ufficio, o di un settore che si
esprime sul lavoro degli altri, se non una
forma di “conflittualità contrattata”.
Al vertice del cubo sono situate strutture di
direzione generale (il Direttore Generale), di
verifica della legittimità degli atti (la Segre-
teria Generale), le strutture di direzione e
indirizzo politico (la Giunta). Per evidenti
motivi questi tre “poteri” al vertice non
sempre riescono a dare omogeneità al-
l’azione del “cubo destrutturato”, che conti-
nua ad esprimere nelle proprie strutture
una evidente autoreferenzialità.
E poiché la “comunicazione” unidirezionale
assume spesso caratteristiche di conflittua-
lità tra le strutture verticali, l’attività di ogni
dipendente tende ad annullare quella di un
altro, ad assumere cadenze temporali inde-
finite ed indefinibili per gli utenti finali.
Nella logica autoriproduttiva del “cubo de-
strutturato”, il “tempo” e la “qualità del pro-
46
dotto”, così come pretesi dal cittadino, so-
no fattori estranei, sono variabili indipen-
denti, sono lasciati all’intermediazione poli-
tica.
E’ evidente la differenza tra questa struttu-
ra organizzativa (fordista) e il modello wiki-
nomics-WEB 2.0?
Da una parte verticalità ed incomunicabili-
tà, dall’altra capitale umano che opera tra-
scendendo dal luogo fisico perché la rete
ci offre il meglio
Da una parte l’autoreferenzialità, dall’altra
la partecipazione, anche se si opera in am-
biti aziendali diversi!!!
E chiara la differenza? Sono chiari i vantag-
gi e gli svantaggi per i cittadini e i lavorato-
ri della Pubblica Amministrazione a secon-
da che si adotti un modello organizzativo
piuttosto che un’altro. Cosa ci impedisce
di introdurre nella Pubblica Amministrazio-
ne il modello organizzativo della wikino-
mics, del crowudsourcing, del social net-
working?
Non c’é una legge che lo vieti. Lo impedi-
scono le consuetudini, l’assenza di corag-
gio, una vecchia cultura organizzativa.
Come cambiano i software e l’uso della re-
te nei due diversi modelli?
L’architettura dei software gestionali nella
Pubblica Amministrazione, è plasmata se-
condo la struttura organizzativa “fordista”,
riproducendo e codificando la separatezza
tra i diversi settori. Gli “applicativi” del set-
tore anagrafe non sono concepiti per dialo-
gare con la cartografia del SIT. Ancora me-
no sono concepiti per poter dialogare con
le banche dati di un altro Enti Pubbblico.
Pensate al perché un cambio di residenza
anagrafica debba trasformarsi in un suppli-
zio e in una perdita di tempo per un cittadi-
no
In questo modo i software non aiutano il
sistema ad esprimere organicità, non godo-
no delle necessarie integrazioni. Ogni for-
ma di integrazione sembra impossibile, o è
enormemente difficoltosa nella sua realizza-
zione poiché incontra ostacoli burocratici
(la resistenza di chi difende la titolarità e il
primato del “suo” software, la proprietà del
“suo” database) o strutturali (software pro-
gettati secondo logiche diverse).
Un server, secondo questo schema, è il luo-
go dove si sommano e non si integrano le
diverse componenti della rete informatica
dell’Ente.
Non invidio il compito delle aziende che for-
niscono servizi informatici alle Pubbliche
Amministrazioni e che si assumono l’onere
47
di essere il “system integrator” di questa
Babele organizzativa!!!
Provate a confrontare questo processo, i
suoi tempi, i suoi riti, le sue regole, la sua
“verticalità”, l’autolegittimazione di ogni
parte della sua struttura (indipendentemen-
te dall’importanza effettiva che oggettiva-
mente dovrebbe assumere) con la logica
della novecentesca catena di montaggio,
con la cultura fordista, con il taylorismo.
Provate a paragonare gli atti dei singoli la-
voratori, le modalità di lavorare, l’uso delle
componenti con le quali venivano assem-
blate le parti di una automobile (di una lava-
trice, di una televisione) qualche decennio
fa e il processo che porterà all’emissione
di un “permesso a costruire”, all’erogazio-
ne di un servizio di assistenza domiciliare.
Le differenze sono “solo” quelle legate alla
natura del prodotto erogato, ad una mag-
giore attenzione ai costi sostenuti (nel pri-
vato), ma tutto il resto...
Non stiamo assistendo a un bel tuffo nel
passato? Siamo a ben prima della cultura
organizzativa della “qualità totale”.
Nel frattempo, per fare un esempio calzan-
te, nel “mondo reale” non esiste più la se-
paratezza tra i “lavori pubblici”, “l’urbanisti-
ca”, “l’edilizia pubblica o privata”, “l’am-
biente”, “l’anagrafe”.
Il “mondo reale” esige il governo del territo-
rio.
La normativa urbanistica ed edilizia, la nor-
mativa ambientale, il “piano triennale dei
lavori pubblici”, che si sommano tra di lo-
ro, che non si integrano, che non si fondo-
no organicamente, sono un vincolo, un im-
pedimento mortale allo sviluppo economi-
co e sociale di un territorio. Di più, rappre-
sentano l’impossibilità di esercitare i mo-
derni diritti di cittadinanza.
Queste considerazioni valgono ancora di
più nei settori in cui si erogano i servizi di
welfare, perché questo settore -il welfare-
viene ad incrociare i bisogni della parte più
debole della popolazione o la più bisogno-
sa di assistenza o che necessita della frui-
zione di un servizio.
Le leggi, frutto del patto sottoscritto tra Go-
verno e cittadini, che dovrebbero dettare le
condizioni di convivenza tra noi tutti, sono
vissute invece dalla generalità della popola-
zione come un ostacolo incomprensibile e
come una forma persecutoria.
La “politica” colpevolmente non ha opera-
to per ricomporre la frammentazione; anzi,
la “politica”, legificando, ha accentuato la
48
frammentazione per aumentare il proprio
potere.
L’assieme di questi fattori ha consolidato
l’incomunicabilità tra il cittadino e la Pubbli-
ca Amministrazione; questa organizzazio-
ne ne ha fatto emergere gli aspetti peggio-
ri, favorendo l’inefficienza ed ogni aspetto
deleterio a partire dagli episodi frequenti di
corruzione.
Per questo la Pubblica Amministrazione ol-
tre che essere un’espressione del passato,
un generatore di costi, rappresenta un fre-
no allo sviluppo del Paese.
La “politica” ha giustificato la propria as-
senza riformatrice alimentando un’assurda
ideologia che ha teorizzato la contrapposi-
zione tra “il pubblico” e “il privato”.
L’uno identificato come sede di ogni nefan-
dezza, l’altro come luogo di virtù. E’ chiaro
che così non si attua nessuna riforma; una
facile banalizzazione della concezione di
“pubblico” e di “privato” e del loro ruolo
non necessariamente conflittuale fa solo
parte di una facile propaganda che ci ripor-
ta al secolo appena trascorso.
Evidentemente le tecnologie e la rete da
sole sono impotenti ad essere lo stru-
mento di cambiamento in presenza di
un’organizzazione “autoreferenziale” ed
eccessivamente “normata” e “legifica-
ta”.
Paradossalmente le innovazioni tecnologi-
che che favorissero l’efficienza del potere
autoreferenziale, mantenendone però inal-
terata la sostanza, aiuterebbero solo a raf-
forzare il ruolo dei burocrati nel loro rap-
porto con i cittadini.
E’ il limite negativo più evidente delle vec-
chie politiche per “l’automazione” degli En-
ti pubblici riproposte oggi nelle leggi defini-
te Agenda Digitale.
Non è abnorme che per eliminare l’uso del
fax nella comunicazione tra diverse Pubbli-
che Amministrazioni e sostituirlo con la
mail, si sia dovuto varare un “combattutissi-
mo” provvedimento legislativo?
E, non sarebbe forse da cacciare quel Sot-
tosegretario che, per giustificare la sua op-
posizione a questo “banale provvedimen-
to”, ha affermato che “Internet si può gua-
stare?”
Per citare ancora David Weinberger: “Oggi
i Governi guardano a internet per rendere
più efficienti e trasparenti le loro funzioni
tradizionali. In termini di efficienza, l’elettro-
nica e la digitalizzazione dei dati superano
senza problemi code e moduli cartacei.” 45
49
Per quanto detto fino ad ora, se i cittadini
vivono la loro vita di ogni giorno usufruen-
do di “convergenza”, l’innovazione fa emer-
gere ora una contraddizione insanabile con
la “separatezza” imposta dall’organizzazio-
ne del lavoro dell’Ente pubblico.
Non è la scelta “esclusivamente organizza-
tiva” di costruire uno “sportello unico” (per
quanto efficiente esso sia) che ci salva la
coscienza. Non è manifestazione di effi-
cienza la pedissequa applicazione dei mo-
delli organizzativi burocratici riprodotta dal-
la Posta Elettronica Certificata.
La norma assurda può perseguitare un cit-
tadino in modo più efficiente “in un luogo
solo”, piuttosto che “in più luoghi”, ma la
sostanza non cambia.
La buona gestione di ciò che è “pubblico”
rappresenta un principio etico ed è questo
principio e tutto ciò che ne deriva, che va
tutelato dalla legge. Il rafforzamento per
via legislativa del “principio etico” rappre-
senta un valore positivo per la Società.
Il configurarsi dell’organizzazione dell’Ente,
nella sua progressiva articolazione e tra-
sformazione per adattarsi ai bisogni della
società, va invece esclusa dall’ambito legi-
slativo: essa è solo un mezzo. Non si pos-
sono confondere il principio etico con le
strutture e le prassi organizzative. Un con-
to è il principio da salvaguardare, un conto
sono gli strumenti per salvaguardarlo.
Sto dicendo che ogni Ente Pubblico do-
vrebbe organizzarsi come meglio ritie-
ne. La legge non c’entra nulla.
I Regolamenti sulla P.A. digitale costituisco-
no solo un impedimento all’innovazione.
Chiariti questi presupposti vanno allora ri-
progettate le politiche per “l’automazione”
dell’Ente pubblico.
I software (gli strumenti abilitanti) “Ammini-
strare 2.0” c’entrano pochissimo con le tra-
dizionali architetture informatiche dell’Ente
locale.
Per intenderci, i tradizionali software gestio-
nali per l’anagrafe, per i servizi demografi-
ci, per la gestione della contabilità dei lavo-
ri pubblici ecc. rappresentano la tradizio-
ne, per quanto efficienti essi siano.
Si tratta spesso di ottimi software, ma diffi-
cilmente integrati tra di loro, poiché sono a
supporto di una struttura organizzativa ver-
ticale e non sono stati concepiti per una dif-
fusione massiccia del WEB, per favorire
un dialogo continuo con gli utenti. Sono
software indispensabili per la vita dell’Ente
(sicuramente dovrebbero essere integrati
tra di loro!!!), ma rappresentano una fase
50
della vita dell’Ente destinata ad essere su-
perata.
La digitalizzazione e l’automazione 2.0 de-
vono rispondere a politiche e a principi or-
ganizzativi e gestionali diversi, devono ri-
spondere ad un nuovo decalogo culturale.
Ho sistematizzato e ordinato questi princi-
pi dando vita ad una sorta di “Cluetrain Ma-
nifesto” per le Pubbliche Amministrazioni.
46
51
CAPITOLO 8
IL PRINCIPI PER FAVORIRE L’ INNOVAZIONE ORGANIZZATI-
VA DI UNA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
L’attuale organizzazione di un Ente pubblico è figlia di un’epo-
ca in cui le persone chiedevano ad una Amministrazione pro-
dotti semplici e unici.
Il certificato anagrafico è un unico “prodotto”.
Quando si trattava di erogare prodotti “complessi”, essi veni-
vano “assemblati” sommando in modo meccanico parti che
venivano implementate e conservate in modo “celibe”.
L’organizzazione dell’Ente è ancora oggi assimilabile all’idea
della “macchina celibe”. Naturalmente non mi riferisco alle
“macchine celibi” di Marcel Duchamp, quanto piuttosto agli
52
oggetti che non sono integrabili tra di loro
in modo organico.
In un bellissimo libro, 47 Federico Butera af-
fermava che le imprese nei loro modelli or-
ganizzativi dovevano tendere ad imitare gli
organismi viventi, piuttosto che assembla-
re singoli componenti rigidamente separati
tra di loro.
La Pubblica Amministrazione è spesso an-
cora organizzata per parti separate, senza
organicità.
Come abbiamo visto il WEB per dispiegare
tutte le sue potenzialità ha bisogno di orga-
nicità. La digitalizzazione di una Pubblica
Amministrazione per potersi affermare ha
bisogno di relazioni e integrazioni fino ad
ora sconosciute a questi mondi.
Il WEB 2.0 è organicità, interazione, bidire-
zionalità, apertura.
I city user oggi richiedono “prodotti com-
plessi” figli di interazioni e di organicità. An-
zi, a volte pretendono di poter autoassem-
blare il loro prodotto.
La Pubblica Amministrazione oggi non con-
cepisce culturalmente i “prodotti comples-
si”. La Pubblica Amministrazione non attri-
buisce un valore decisivo ai concetti di
“tempo”, “valore del prodotto”, “trasparen-
za”.
Da questo gap culturale e organizzativo na-
scono i ritardi, gli sprechi, gli episodi di cor-
ruzione.
Ecco un motivo in più perché a fianco o,
forse, prima di qualsiasi misura figlia di
una “Agenda Digitale” c’é bisogno di un
profondo cambiamento dei modelli e della
cultura dell’organizzazione.
Ecco allora alcuni principi che potranno
guidare un cambiamento organizzativo
“web oriented”.
- INTERNET è il luogo dove risiede la co-
noscenza collettiva;
- Tutti i dati vanno aperti e resi disponibi-
li;
- Tutti partecipano alla costruzione della
conoscenza;
- Le procedure e la filosofia WEB 2.0 tra-
sformano i favori per alcuni in diritti per
tutti;
- Il WEB 2.0 non è una tecnologia, è con-
tenuti generati dal processo di collabora-
zione tra gli utenti;
53
UNA SCOMMESSA DA VINCERE
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UNA SCOMMESSA DA VINCERE

  • 1. Michele Vianello UNA SCOMMESSA DA VINCERE “Le avventure di una Pubblica Amministrazione tra Amministrare 2.0 e ordinarie follie quotidiane”
  • 2. Michele Vianello: la mia biografia i Sono uno dei pochi esperti in Italia in "smart cities" e in social networking. La mia attività è quella di condividere vision e favorire il posizionamento strategico di communi- ties, territori, imprese. Sono un ottimo formatore, provatemi sul campo. Sono uno degli ideatori della rete "Connected City Council". Dal 2009 al 2013 ho diretto VEGA PST di Venezia. Ho realizzato l'infrastrutturazione banda larga a 300 mb, e le infrastrutture di cloud computing. Ho ideato il primo edificio intelligente per una smart city: Pandora. Ho realizzato VEGA inCUBE. Sono stato definito “pastore di startup”. Precedentemente ho fatto il Vice Sindaco di Venezia con Massimo Cacciari. In Amministrazione mi sono occupato di Bilancio, di gestione del personale, di innovazione. Ho ideato i software che regolano i rapporti tra i cittadini e l’Amministrazione, iniziando a rifor- mare l’organizzazione comunale Ho trasformato la Società Venis in operatore di ICT. Ho ideato e realizzato l’infrastrutturazione banda larga e connettività WIFI di parte della città di Venezia. Ho ideato il portale Cittadinanza digitale finalizzato a promuovere l’accesso al WEB. Ho ideato, primo in Italia, il portale per i servizi turistici denominato “//venice>connected”. Scrivo libri. L’ultimo con l'Editore Maggioli: Smart Cities-Gestire la complessità urbana nell’era di Internet. Un successo. Faccio parte del Comitato per l'Agenda Digitale del Veneto. Per la mia attività di innovatore ho avuto numerosi riconoscimenti: "I diritti dei cittadini in rete", Forum PA 2009. Insignito dalla community di TripAdvisor del premio "Travel Friendly City" 2009. Premio Nazionale Cineca Awards "La città dei cittadini" 2010. Premio Adecco "Festival delle città imprese" 2011. Premio "Città Impresa" 2012. Premio “Luigi Fantappié” Festival di cultura digitale Viterbo 2013
  • 3. INTRODUZIONE Mi è tornato tra le mani, dopo molto tem- po, un instant book. “Una scommessa da vincere” è stato scrit- to nell’aprile del 2009 con con lo scopo di dare una base “progettuale” ed “ideologi- ca” all’attività di innovazione I.T. che stavo conducendo in Comune di Venezia. Oggi di occupo di smart city e di social net- work. Sono diventati il mio mestiere, la mia attività. Non aspettatevi un libro sulle smart cities, ho appena pubblica per Maggioli Editore il libro “Smart Cities-Gestire la complessità urbana nell’era di Internet”. Una delle precondizioni per realizzare politi- che smart in una città è quella di intrapren- dere una attività di innovazione, digitalizza- zione, dematerializzazione della macchina amministrativa. Questo libro non è quindi dedicato alle smart cities, ma alle precondizioni. Una “vecchia” macchina amministrativa im- prontata all’autoconservazione di sé stes- sa non potrà mai supportare le politiche smart. 2
  • 4. Nel frattempo, dal 2009, i Governi che si sono succeduti alla guida del Paese -si fa per dire- hanno introdotto, sotto il titolo “Agenda digitale”, timidi e incompleti tenta- tivi di innovare il Paese e la Pubblica Ammi- nistrazione. Si sono così sommati, in modo casuale, provvedimenti sulla banda larga, e la conti- nua riproposizione della carta d’identità elettronica. Chi segue il mio blog “michelecamp” sa che polemizzo spesso con questi provvedi- menti legislativi. Non ritengo infatti che l’Agenda Digitale ita- liana -almeno nella parte che riguarda la Pubblica Amministrazione- debba limitarsi a portare su Internet le storture burocrati- che. La burocrazia va eliminata, non deve esse- re digitalizzata. Uso spesso, per indicare questa cultura, il termine “digitalizzazione dell’esistente”. Sono fermamente convinto che, o cambia- no i modelli organizzativi e gestionali della Pubblica Amministrazione diventando “so- cial oriented”, “open oriented”, “cloud oriented”, o non ci sarò nulla da fare, per quanto le tecnologie I.T. possano progredi- te. Un’altra mia convinzione è che la riforma della Pubblica Amministrazione non può essere affidata ai burocrati ministeriali. C’é bisogno di una nuova cultura e di un nuovo modo di pensare. Confesso di sentirmi spesso in solitudine nel condurre questa battaglia. Anche amici carissimi -persone che stimo molto per le continue battaglie che conducono- restano troppo spesso inchiodati sulla frontiera del- la “digitalizzazione dell’esistente”. Dal 2009, da quando scrivevo “Una scom- messa da vincere”, è cambiato poco. Chi avrà la pazienza di seguirmi in questo mio percorso dentro le “ordinarie follie quotidia- ne” di una Pubblica Amministrazione si ac- corgerà che siamo sempre arenati lì. I miei giudizi non sono cambiati, per questo vi ri- propongo questo scritto. In fin dei conti sono passati solo 4 anni, po- trebbe obiettare qualcuno. 4 anni nel mon- do dell’I.T. rappresentano un’era geologi- ca. In questi 4 anni si è iniziato a parlare di de- vice mobili, di cloud computing, di Big Da- ta, di Internet of Things, solo per citare al- cuni titoli. Ma, noi siamo sempre lì, a discu- tere di lavagne luminose e di riunificazione 3
  • 5. delle banche dati di tutta la Pubblica Ammi- nistrazione. Eppure la “vecchia” Pubblica Amministra- zione italiana impedisce al nostro Paese di decollare, di incrociare la ripresa economi- ca. L’organizzazione dello Stato tutta (Mini- steri, Enti Locali, Magistratura, Scuola ecc.) genera debiti e inefficienza. Non è digitalizzabile. Va eliminata. È la pal- la al piede del nostro Paese. Non si può fare, accordiamoci, dicono in molti. Si può fare, dico io, con il mio eterno ottimismo. Questo scritto vuole ricordare assieme ad una esperienza, anche una somma di esempi realizzabili (sono cose fatte da una Pubblica Amministrazione pure in presen- za di questa legislazione) e, assieme, una base progettuale e ideologica. Troverete quindi “esempi veneziani” positi- vi che potrete copiare assieme a molte in- genuità dettate dall’entusiasmo. Non leggete assolutamente questo libro pensando che voglia esprimere qualsivo- glia critica a chi è arrivato dopo di me a gui- dare la Città di Venezia. Non solo chi scri- ve non ha titolo per criticare (non sarebbe eticamente corretto) ma, soprattutto, le per- sone che governano Venezia godono di tut- to il mio rispetto. Se confronterete questo libro con l’edizio- ne originaria, ho tagliato alcune parti trop- po veneziane rimaneggiandole. Ho aggiun- to inoltre alcune note e proposte progettua- li elaborate in questi anni. Naturalmente mi aspetto dai lettori criti- che, suggerimenti ecc.. Nel mio nuovo mestiere di “Smart Commu- nities Strategist” ho bisogno di costanti confronti e idee. Chi volesse approfondire l’esperienza vene- ziana in modo più organico potrà leggere il libro che ho pubblicato nel 2010 con Marsi- lio Editore “VE 2.0-Cittadini e libertà di ac- cesso alla rete”. Naturalmente questo scritto è un ebook scaricabile (per gli amanti della carta ci sa- rà la versione PDF). Non ho timore di essere copiato. Copiatemi pure, voglio essere copiato. Abbiate solo la cortesia di citarmi. Grazie Ed ora, buona lettura a tutti voi. Agosto, Settembre 2013 4
  • 6. 5 “UNA SCOMMESSA DA VINCERE” Le avventure di una Pubblica Amministrazione tra Amministrare 2.0 e ordinarie follie quotidiane. di MICHELE VIANELLO aprile 2009/settembre 2013
  • 7. CAPITOLO 1 “INNOVARE GLI AMBIENTI URBANI” Con grande generosità molte città italiane continuano ad auto- definirsi “luoghi ideali” per ospitare le imprese e le attività di ricerca nell’ “immateriale” e nel “digitale”. Purtroppo le condizioni fondamentali per insediare su larga scala sistemi produttivi di questo genere non erano - e non so- no - presenti in modo decisivo in tutto il nostro Paese. Molti sono spesso a citare a sproposito la Silicon Valley. Non a caso si parla di “sistemi dell’innovazione” e non di qual- che singola software house. 1 Insediare un call centre di Microsoft o della IBM, consente di avere qualche centinaio di occupati in più - cosa sicuramente non disdicevole - ma ciò non muta la qualità di una città. 6
  • 8. Per innovare in modo pervasivo una città mancano spesso alcune condizioni di par- tenza. Dove sono in Italia le Università in grado di sfornare una “massa critica intellettuale”? Dove è un sistema fiscale in grado di incen- tivare l’insediamento di imprese innovati- ve? Dove è un sistema creditizio o l’ inter- vento pubblico che sostiene la ricerca, lo sviluppo, la gemmazione di imprese, l’indu- strializzazione dell’innovazione? Chi può aiutare oggi in Italia i talenti e le nuove ge- nerazioni di imprenditori dell’innovazione? Dove è il sistema fiscale giusto per le im- prese. I Governi continuano a parlare di imprese, di distretti produttivi pensando ancora al ‘900, alle vecchie politiche industriali. Quando si parla di lavoro si pensa ancora al sistema di garanzie e di diritti della fab- brica e del pubblico impiego. Quel mondo è finito. Insomma, non siamo nella Silicon Valley, né, tantomeno, a Bangalore. Naturalmente, in modo autocritico, non na- scondo le responsabilità delle Autonomie locali che hanno anche esse il dovere di promuovere quelle politiche e quelle condi- zioni finalizzate a creare nelle aree urbane un ambiente innovativo, “un ambiente più ricco di interazioni e di stimoli culturali e professionali” come ha scritto qualche an- no fa Richard Florida. 2 In questa epoca la competizione avviene tra le aree urbane. Le aree urbane, tra le altre, competono, ol- tre che sulle imprese, sulle persone. Sono le persone che rendono ricca un’area urbana. E’ bene, quindi, riflettere sul fatto che nella nostra epoca non sono le persone che si spostano per “cercare il posto di lavoro”, bensì sono le imprese lavorative che tendo- no a seguire le persone, determinando co- sì l’ascesa o il declino delle aree urbane. E le persone da attirare in una Città, “per fare la differenza”, non sono genericamen- te “il ceto medio”, non sono “i trentenni, i quarantenni”, sono invece coloro che Ri- chard Florida definisce “la nuova classe creativa”, e Robert Reich definisce gli “ana- listi simbolici”. 3 “Il suo nucleo centrale comprende le perso- ne impegnate nel campo scientifico, nell’in- gegneria, architettura e design, nell’educa- zione e nell’arte, musica e spettacolo, la cui funzione economica è di creare idee, 7
  • 9. tecnologie e/o contenuti creativi nuovi”. (Ri- chard Florida) 4 “L’analista simbolico maneggia con abilità equazioni, formule, analogie, modelli, sinte- si intellettuali, categorie e metafore per rein- terpretare e risistemare il caos di dati che ci turbinano intorno...non trattano hardwa- re, ma solo software puro”. (Robert Reich) 5 Una strada da imboccare senza esitazione è quella di dotare la Città di infrastrutture di rete a banda larga. “Il premier Gordon Brown ha paragonato la rivoluzione digitale alla rivoluzione indu- striale come momento di fondamentale im- portanza per la trasformazione dell’econo- mia e la competitività del Paese...C’é la de- terminazione in Gran Bretagna di fare di questo settore (lo sviluppo delle banda lar- ga) un punto di forza strategico per il futu- ro”. (intervista a Francesco Caio - Il Sole 24 Ore) 6 Una città in rete, una città con la banda lar- ga; vi posso garantire che il brand di una città (soprattutto delle città d’arte), unito all’innovazione generata dalla estensione diffusa e capillare della rete, dà luogo ad una miscela stimolante. La scelta di una Amministrazione di dotare una città di connettività a banda larga, di stendere migliaia di chilometri di fibra otti- ca, di consentire ai cittadini di poter acce- dere senza limiti alla rete, è la condizione nell’epoca moderna per una politica di “in- novazione” economica e sociale. L’essere dotati di infrastrutture di rete a fibra ottica fa la differenza nella competizione tra le cit- tà e i territori. 7 “La potenzialità tecnologica di una città e di una regione non è legata solamente al contesto industriale, della ricerca e della loro innovatività ma anche alle infrastruttu- re tecnologiche rivolte alla popolazione in senso più ampio. La possibilità che un luo- go dà alle persone di accedere agevolmen- te ai mezzi di comunicazione e diffusione delle informazioni (in particolare internet e telefonia mobile) è senz’altro un aspetto im- portante per lo sviluppo di una effettiva so- cietà dell’informazione e della conoscenza. Questa possibilità costituisce inoltre un for- te elemento di attrazione per quelle perso- ne che svolgono professioni in cui la con- nettività è fondamentale (managers, ricer- catori, professionisti, designers etc,tipica- mente tutte le professioni altamente creati- ve)”. 8 Innovare nell’epoca del WEB è pensare di poter usufruire dello spazio virtuale illimita- 8
  • 10. to consentito dalla rete, poterla riempire di contenuti; la rete è, inoltre, la condizione fondamentale per poter comunicare libera- mente. Una politica per l’innovazione in un’area ur- bana, o un un piano di marketing territoria- le “web oriented” non vanno quindi rivolti “banalmente” solo ad insediare nuove im- prese o a stringere rapporti di collaborazio- ne con le Università e i Centri di ricerca. L’innovazione è il frutto di rapporti virali, che nascono spesso dal cambiamento di attività ordinarie, svolte “in modo tradizio- nale”. La scommessa da giocare è quella di innovare il modo con cui ci si sposta ogni giorno, cambiare il modo di produrre e consumare la cultura e l’informazione, cambiare il modo con cui ci si rapporta con i servizi pubblici e con un Ente pubbli- co. Insomma bisogna innovare la vita di ogni giorno, puntare sull’attività delle persone. Creare (importare) “cittadini dell’innovazio- ne”. Poi forse, un giorno, l’insieme degli “atti innovativi”, miscelati dalla rete, verran- no a costituire la massa critica per cambia- re davvero la Città. Questa mia convinzione è suffragata an- che dal Rapporto “CITTALIA 2008 - Riparti- re dalle Città” realizzato dall’ANCI : “l’innovazione ha natura sistemica, nel senso che prolifera in ambienti ricchi di re- lazioni, reti e scambi tra contesti diversi; non esiste un modello ideale per vincere la sfida della competizione globale; l’unico punto fermo resta la disponibilità di capita- le umano di alto livello; nell’economia della conoscenza muta la natura dell’intervento pubblico, che pro- muove le condizioni per l’attivazione di pro- cessi di crescita cumulativi, trainati dallo sviluppo e diffusione di nuova conoscenza, attraverso azioni che favoriscano l’accumu- lazione di capitale umano, la valorizzazione delle specificità locali, l’internazionalizzazio- ne delle imprese e del mondo della ricerca, la diffusione delle tecnologie dell’informa- zione e della comunicazione”. Va sottolineata a questo punto la centralità che viene ad assumere la comunicazione, facilitata dalla presenza di rete a banda lar- ga, perché la vita di ogni giorno è il frutto di comunicazioni tra individui. E‘ stato scrit- to recentemente che “se non si comunica, non si è”. 9 Naturalmente la realizzazione di una infra- struttura a banda larga dovrà essere il frut- to di un accordo tra una Amministrazione e gli operatori privati. Su questo concetto tor- nerò più avanti. 9
  • 11. Ma tutto ciò non è ancora sufficiente. Quando ho realizzato, nel 2007, che il so- gno di dotare Venezia 10 di una rete a ban- da larga di proprietà dell’Amministrazione pubblica, poteva trasformarsi in realtà, quando abbiamo reperito le risorse finan- ziarie necessarie, mi sono posto l’interroga- tivo di quali contenuti la rete dovesse ospi- tare, quali comportamenti innovativi ciò po- tesse suscitare a partire dal cambiamento del modo di operare dell’Ente pubblico. Quanti e quali “dialoghi” la rete avrebbe ospitato, quale valore l’attività di dialogo avrebbe generato, quali servizi vecchi e nuovi si sarebbero potuti erogare in modo qualitativamente diverso. Insomma, per usare una “metafora ferrovia- ria”, quali vagoni si dovessero far correre sui binari di proprietà dell’Amministrazione e, con quali “compagnie ferroviarie” si do- vessero tessere alleanze per poter estende- re la rete di comunicazione. La scelta del Comune di Venezia è stata, anche per questi motivi, quella di dotarsi di una “rete aperta” e di fibra ottica. Mi é sembrato assolutamente limitante e sbagliato assecondare l’idea secondo la quale l’uso della rete dovesse essere circo- scritto al miglioramento della comunicazio- ne tra le diverse sedi comunali, o a consen- tire un rapporto più stretto tra le diverse Pubbliche Amministrazioni. Altrettanto sbagliata mi pareva la scelta di utilizzare la rete esclusivamente per veico- lare le informazioni ai turisti, che in ampio numero visitano ogni anno la Città. Ovviamente non ho mai sottovaluto i risvol- ti positivi delle scelte cui ho accennato più sopra. Ognuna di queste scelte aveva ed ha impli- cazioni importanti sia dal punto di vista del- l’efficienza economica e gestionale per l’Amministrazione Comunale, che per ga- rantire una migliore gestione dei servizi del- la Città. Basti pensare che un uso corretto del WEB può garantire strumenti di control- lo dei flussi dei turisti fino ad ora assoluta- mente non gestiti. Un uso corretto delle piattaforme WEB, pe- raltro, è la condizione per riformare le pro- cedure, la prassi, la cultura della Pubblica Amministrazione. Infatti, l’uso del WEB col- laborativo consente e induce a cambiamen- ti organizzativi e culturali, prima impensabi- li, basati sulla condivisione e sulla comuni- cazione, è la condizione per organizzare la “dematerializzazione”. Si è voluto quindi affermare un modo di or- ganizzare la “macchina amministrativa co- 10
  • 12. munale” secondo filosofie della collabora- zione e della trasparenza coinvolgendo pie- namente non solo i cittadini residenti, ma anche i city user. Il termine “Amministrare 2.0” ha indicato le nuove prassi organizzative e gli strumenti informatici che potevano consentire una di- versa interazione tra il cittadino e la Pubbli- ca Amministrazione. Per fare un esempio, //Venice>Connected non è un semplice portale concepito per consentire la vendita online dei servizi pub- blici e dei Musei Civici (in questo, peraltro, Venezia è stata la prima e ineguagliata Cit- tà al mondo che ha praticato questa attivi- tà). //Venice>Connected, ha rappresentato un approccio totalmente innovativo alla gestio- ne dei flussi turistici tale da garantire insie- me sia la salvaguardia del patrimonio socia- le e storico della città di Venezia, che il dirit- to del turista a godere di una città migliore, più ospitale. 11
  • 13. CAPITOLO 2 ...E IL CITTADINO? PER UNA MODERNA “CITTADINANZA DIGITALE” Nello scenario dettato dall’evolversi dei processi innovativi, ge- neralmente, non viene considerato il soggetto fondamentale, l’attore principale: il cittadino che pretende 11 di esercitare in modo nuovo i propri diritti universali, i “diritti di cittadinanza”. Certo, il cittadino che usufruisce delle piattaforme e dei servizi WEB 2.0 “condividendo” con la Pubblica Amministrazione le proprie esigenze, diventa un soggetto attivo; certo il turista che può prenotare in rete i servizi pubblici e l’ingresso ai Mu- 12
  • 14. sei e che, prima o poi, potrà esprimere i propri feedback sui servizi della città, gode di un nuovo diritto. Ma ciò non è sufficiente: il cittadino non sa- rà ancora il pieno protagonista della rivolu- zione indotta dall’uso delle applicazioni 2.0 nel WEB, se non gli verrà consentito di esercitare fino in fondo i diritti e i bisogni che l’accesso a Internet oggi ha fatto emer- gere come reali possibilità universali. Le applicazioni WEB 2.0 generano la possi- bilità di esercitare nuovi diritti da parte del cittadino. “Il Web è sociale. Le persone fanno il Web, popolano il Web, socializzando e spostan- do via via maggiori componenti della vita fisica a quella online....il Web è partecipati- vo. Si adotta un’architettura di partecipa- zione che incoraggi gli utenti ad aggiunge- re valore all’applicazione mentre la usano, in alternativa al controllo gerarchico del controllo all’accesso delle applicazioni”. 12 Ma, quando rifletto sui diritti universali, as- socio il termine diritti alle “condizioni di par- tenza”, alle “le pari opportunità” per poterli esercitare pienamente. Quali sono allora, le nuove “condizioni di partenza” perché il cittadino possa eserci- tare questi nuovi diritti? E soprattutto quali sono e come si realizzano le nuove, eguali “condizioni di partenza”? Ho indicato un obiettivo da raggiungere per affermare una forte idealità e per inau- gurare una nuova stagione di diritti: l’affer- mazione della “Cittadinanza Digitale”. Cosa si vuole intendere nell’evocare il con- cetto di “Cittadinanza Digitale”? Perché mettere insieme un concetto, uno storico ideale, tutto ciò che è evocato dal termine “cittadinanza” e tutto ciò che nel nostro im- maginario collettivo suscita la parola “digi- tale”? Perché mettere insieme storia e inno- vazione? “L’informatica non riguarda più solo il com- puter, è un modo di vivere” dice Nicholas Negroponte, e già questa è una risposta. 13 La rivoluzione digitale pervade ogni angolo della nostra vita, ne può mutare qualitativa- mente i contenuti, ci dà l’opportunità di partecipare attivamente ai processi sociali ed economici. Dietro il termine “Cittadinanza Digitale” si manifestano ideali e prassi che possono contribuire a cambiare in meglio il nostro modo di vivere e i rapporti civili consolidati nella società contemporanea. Non siamo più all’enfatizzazione ingenua della tecnolo- gia digitale e delle reti web come valori in 13
  • 15. sé, possiamo invece valorizzare tutto ciò che di nuovo, di “democratico”, di “civile”, la tecnologia e le reti web oggi possono consentire. Attuiamo questa nuova politica di inclusio- ne correndo volutamente dei rischi, consa- pevoli della “carica anarchica” e antipoliti- ca che spesso pervade le community on line, convinti però della grande forza inno- vativa sprigionata dal WEB e dalle tecnolo- gie di rete. Quale miscela nasce allora dalla somma, meglio, dall’integrazione dei diritti di cittadi- nanza e dalla spinta all’innovazione digita- le. E ancora, come cambiano nell’era della rete e dell’innovazione digitale i diritti di cit- tadinanza? E, soprattutto, quali nuove dise- guaglianze possono nascere da un uso di- seguale del WEB? E’ opportuno, a questo punto, chiarire il si- gnificato del concetto di cittadinanza. Ciò consentirà inoltre di giustificare (che brutto verbo!!!) le motivazioni per le quali (le finali- tà pubbliche) un Ente locale si debba occu- pare attivamente di “Cittadinanza Digitale”. Una bella definizione di cittadinanza la of- fre T.H.Marshall: “La cittadinanza è uno status che viene conferito a coloro che so- no membri a pieno diritto di una comunità. Tutti quelli che posseggono questo status sono eguali rispetto ai diritti e ai doveri con- feriti da tale status...La spinta in avanti lun- go il sentiero così tracciato è una spinta verso un maggior grado di eguaglianza, un arricchimento del materiale di cui è fatto lo status e un aumento del numero di perso- ne cui è conferito questo status”. 14 “La cittadinanza non è un’idea utopistica; è lo sviluppo di un’antica esperienza”. 15 Tutte queste calzanti definizioni vanno mes- se in relazione con un’affermazione di Ro- bert Dahl: “...tutti i regimi democratici devo- no permettere alla gente di impegnarsi in imprese collettive per proteggere diritti che non possono essere garantiti spontanea- mente dal mercato”. 16 La storia del “novecento”, “Il secolo breve” così come lo ha definito Eric Hobsbawn, è stata contrassegnata oltre che dal conflitto per mutare i rapporti di produzione anche, in parallelo, per affermare uguali condizioni di partenza - o aumentare le chances di vi- ta (arricchire lo status) per tutti i cittadini, per garantire così il diritto di cittadinanza (non solo i diritti politici e di rappresentan- za), per consolidare le reti di protezione per i più deboli, affinché nessuno “restasse indietro”. Il diritto all’assistenza sanitaria, l’affermarsi dei sistemi di previdenza sociale, il diritto 14
  • 16. all’istruzione, tutti si sono affermati come la condizione per costruire le strutture fon- danti del welfare state, affinché tutti i citta- dini godessero delle medesime opportuni- tà e degli stessi diritti sociali. Contemporaneamente le Istituzioni demo- cratiche hanno garantito il formarsi di una rete di servizi sociali rivolti a tutti i cittadini. L’affermarsi del progresso sociale e delle libertà associative e il pluralismo politico hanno garantito il consolidarsi dei diritti di cittadinanza. Si è trattato naturalmente di un processo contraddittorio, non lineare, in continuo di- venire, non ancora pienamente affermato in molte parti del mondo dove tuttora sono in atto violenti conflitti per l’affermazione della democrazia, anche nei paesi che han- no avuto altissimi tassi di crescita economi- ca grazie all’introduzione di nuove tecnolo- gie e di imprese innovative. Il termine “democrazia”, quando questa viene ad affermarsi, non va mai concepito in modo statico, e la “cittadinanza” è og- getto di continua rinegoziazione. I processi di globalizzazione non governati hanno inoltre accentuato tali contraddizio- ni come ha ben sottolineato Eric Hob- sbawm: “... io penso che il problema della globalizzazione sia l’aspirazione a garantire un accesso tendenzialmente egualitario a tutti i prodotti di un mondo che invece è, per sua natura, ineguale e diverso. C’é una tensione tra due astratti. Si tenta di trovare un denominatore comune cui possa acce- dere tutta la gente del mondo, per ottenere cose che non sono - ripeto - naturalmente accessibili a tutti”. 17 I diritti universali di cittadinanza sono oggi così attuali nel loro divenire, nel loro con- traddittorio manifestarsi, fino ad essere sta- ti il fondamento del messaggio di cambia- mento e di progresso di Barack Obama. Quando Barack Obama ha perseguito il di- ritto per ogni cittadino a poter accedere a una casella di posta elettronica, mette in scena, ad un tempo, una speranza formida- bile, ma anche ha rievocato, in modo mo- derno, un diritto storico di ogni cittadino americano cioè quello di scambiare sem- pre e comunque la propria corrisponden- za. Pensate per un attimo a quanto conta, nella cultura statunitense, la leggenda del pony express. Proprio perché i diritti di cittadinanza non possono essere considerati statici vanno riempiti costantemente di nuovi contenuti. Le “eguali condizioni di partenza” degli an- ni 2000 nel mondo della globalizzazione, 15
  • 17. non possono essere quelle del “secolo bre- ve” degli “Stati nazionali”. E se, come dice Robert Dahl, i regimi de- mocratici devono permettere di proteggere i diritti che non possono essere garantiti dal mercato, il conflitto dialettico tra Stato e Mercato (la nuova rinegoziazione) negli anni 2000 si svolge attorno a contenuti di- versi da quelli ai quali abbiamo assistito so- lo qualche decennio fa. Insomma, oggi le diseguaglianze si posso- no manifestare secondo caratteristiche completamente nuove. I diritti e le garan- zie, quindi, vanno tutelati in modo diverso, spesso inedito, rispetto al passato. Emerge con sempre maggiore evidenza co- me le diseguaglianze riguardino sempre meno la sfera dei rapporti di produzione - almeno per come si sono manifestati nel ‘900 - e si evidenzino sempre di più nel- l’ambito del diritto all’accesso, all’informa- zione, alla cultura. Ad esempio, come si fa a parlare di scuola e di formazione e non associare all’istruzio- ne l’affermazione di nuove modalità di inse- gnamento collegate al diritto all’accesso alla rete? Non è forse vero che l’enciclope- dia più consultata nel mondo è Wikipedia e non più la “mitica” Enciclopedia britanni- ca? Non è vero forse che il servizio Google Libri offre milioni di testi di libri on line? Il nuovo termine “analfabetismo informatico” ci dice qualche cosa? L’accesso alla rete è un lusso come pensano alcuni, o è diventa- to a questo un punto un diritto universale? Stupirà che nel 2013 si parli ancora del di- ritto all’accesso alla rete in questo modo “drammatico”. Larga parte dell’Italia soffre ancora di una situazione di digital divide. Soprattutto, come si può discutere di “par- tecipazione ai processi di decisione politi- ca ed istituzionale” e non operare, contem- poraneamente, per lo sviluppo dell’eGo- vernment come afferma con forza ormai da tempo l’Unione Europea? “Garantire a tutti l'accesso ai servizi pubbli- ci online è la conditio sine qua non per la diffusione dell'eGovernment. E si tratta di una questione ancora più importante in quanto i rischi che si venga a creare un "di- vario digitale" - ovvero disuguaglianze nel- l'accesso all'informazione e alle tecnologie informatiche - sono in questo caso più che reali. In questa prospettiva, l'insegnamento e la formazione sono essenziali per acquisi- re le conoscenze informatiche necessarie per sfruttare al meglio i servizi offerti dal- l'amministrazione in linea. Una migliore ac- cessibilità dei servizi passa inoltre per un potenziamento dell'approccio multipiatta- 16
  • 18. forma (accesso ai servizi per il tramite di piattaforme diverse: PC, televisione digita- le, terminali mobili, Internet caffè ecc.)”. 18 Ribadisco ancora questo concetto: se la comunicazione tra esseri umani costituisce oggi “la condizione per esistere” e le comu- nicazioni avvengono prevalentemente attra- verso il WEB, la possibilità di accedere al WEB è diventata un diritto universale per tutti i cittadini. Ed è dovere per lo Stato in tutte le sue arti- colazioni operare per rimuovere le origini della diseguaglianza. Il “Settimo programma quadro” varato dal- l’Unione Europea afferma, che la possibili- tà di accedere alla rete è la condizione per la diffusione dell’eGovernment e per affer- mare la cittadinanza politica e per consenti- re la partecipazione ai processi decisionali. Si capisce allora senza alcun dubbio l’im- portanza che assume oggi il diritto all’ac- cesso a Internet e il significato profondo, sul piano dell’affermazione dei nuovi diritti, che viene ad assumere una politica per la “Cittadinanza Digitale”. Si comprende ancora di più perché una Amministrazione pubblica debba interveni- re attivamente per affermare la “Cittadinan- za Digitale”. 17
  • 19. CAPITOLO 3 “CITTADINANZA DIGITALE” E DIGITAL DIVIDE A questo punto è importante definire il concetto di digital divi- de. In modo limitativo si potrebbe accomunare l’emergere di una “diseguaglianza digitale” esclusivamente al permanere di una condizione di “digital divide”, generata dall’assenza di infra- strutture di rete a banda larga (o genericamente la connettività veloce) in un territorio. L’assenza di queste infrastrutture impe- disce, di fatto, ai cittadini residenti l’accesso ad Internet deter- minando così condizioni di digital divide. Questa è l’interpreta- zione delle cause del digital divide data da molta letteratura. E’ una lettura che contiene molti elementi di verità, ma è troppo parziale. 18
  • 20. Mi riconosco invece, poiché molto più com- pleta, nella definizione del digital divide da- ta da Wikipedia. 19 Peraltro, quella di Wikipedia, mi pare una definizione molto aderente alla realtà e alle aspettative di eguaglianza espresse dalla società contemporanea, anche perché ela- borata attraverso una scrittura collettiva sul WEB. “Il digital divide è riconducibile a un insie- me di cause: l'assenza di infrastrutture a banda larga; l'analfabetismo informatico degli utenti, ri- guardo il computer in genere, e le potenzia- lità di Internet. Il digital divide potrebbe incrementare infat- ti le già esistenti diseguaglianze di tipo eco- nomico, ma avere effetti drammatici anche nell'accesso all'informazione implicando ulteriori conseguenze. Oggi sono attive diverse campagne per il superamento del digital divide impegnate nel riutilizzo dell'hardware (il così chiamato “trashware”), spesso impiegando l'uso di software libero...Una delle cause ampia- mente condivise del digital divide è di carat- tere economico che impedisce alla popola- zione di tali paesi di acquisire un’alfabetiz- zazione informatica che è causa stessa del digital divide. Il circolo vizioso che si viene a creare porta i paesi poveri ad impoverirsi ulteriormente dato che vengono ulterior- mente esclusi dalle nuove forme di produ- zioni di ricchezze che sono basate sui beni immateriali dell'informatica”. Nell’elaborazione delle proposte, per elimi- nare il digital divide, si sono manifestati al- meno due grandi filoni di pensiero: l’uno af- fida all’espansione continua delle tecnolo- gie e del loro uso la “naturale soluzione” del problema; l’altra ritiene che il digital divi- de sia anche causato dalle differenze eco- nomiche e sociali che dividono i cittadini. Secondo questa lettura, il ruolo delle Istitu- zioni pubbliche appare quindi decisivo, co- sì come lo è stato in altra epoca storica, per fare un esempio, nel garantire a tutti l’istruzione, i servizi sociali o la previdenza sociale.” La difficoltà nell’accedere alla rete, dovuta a motivi di diseguaglianza nelle condizioni economiche, non riguarda solo i Paesi più arretrati, riguarda anche l’Occidente. L’ac- cesso al WEB a condizioni economiche so- stenibili per tutti riguarda anche noi. La di- sparità di accesso riguarda anche chi vive nelle nostre Città (le eguali condizioni di partenza). 19
  • 21. L’affermare il diritto all’accesso alla rete non è il retaggio di un antico vizio egualita- rio; è l’affermazione di un moderno diritto di cittadinanza. Non si ironizzi sul diritto a disporre di Face- book o a scaricare qualche filmato da You- Tube; chi afferma ciò dimostra di coltivare una visione limitativa e sbagliata dell’uso del WEB. Marshall parla dei cittadini come di “mem- bri a pieno diritto di una comunità” e della necessità di arricchire costantemente il “materiale di cui è fatto lo status”. Nel mondo moderno, nella rete WEB 2.0, si formano ed agiscono le più importanti ed “includenti” comunità capaci di forte au- toregolamentazione nel loro agire conti- nuo; anzi, di più, le moderne forme del sa- pere come Wikipedia sono il frutto dei pro- cessi comunitari. La cooperazione e la condivisione delle idee sono le parole magiche della rete di nuova generazione. Oggi si parla diffusa- mente di crowsourcing. Partecipare, comunicare, scambiare noti- zie ed informazioni sono la condizione per essere, per esercitare attivamente il diritto alla cittadinanza universale. Ma è la connessione alla banda larga ciò che fa la differenza tra l’uso di Internet per la formazione, per il lavoro, per gli affari, per lo sviluppo di nuovi sistemi di welfare, o più semplicemente un uso della rete con- finato all’ intrattenimento e a un uso limitati- vo e convenzionale. Per sottolineare l’importanza che viene ad assumere il diritto all’accesso segnalo co- me la stessa gestione della salute oggi pos- sa avvenire anche attraverso i social net- work, per non parlare delle frontiere della telemedicina, naturalmente a condizione che la rete a banda larga sia diffusa capil- larmente in un territorio. 20 Dotare una città di rete a banda larga, lotta- re contro l’analfabetismo informatico per consentire a tutti di poter usufruire delle po- tenzialità presenti in Internet, garantire l’ac- cesso gratuito alla rete sono compiti nuovi, pienamente legittimi e auspicabili di una Amministrazione locale. L’affermazione di politiche di “Cittadinanza Digitale” è la nuova frontiera di un nuovo “Welfare State” che estende la propria posi- tiva influenza anche al là degli ambiti prati- cati tradizionalmente. Quando poi si parla di garantire l’accesso alla rete dobbiamo essere consapevoli di un intervento delle Istituzioni pubbliche 20
  • 22. che travalica i tradizionali “confini naziona- li”. La “Cittadinanza Digitale” non è una misu- ra di innovazione del welfare che possa esercitare i propri effetti nell’ambito dello stato nazionale tradizionale. 21
  • 23. CAPITOLO 4 COME DOVREBBERO OPERARE IL PUBBLICHE AMMINI- STRAZIONI PER SUPERARE IL DIGITAL DIVIDE Preliminarmente una Amministrazione dovrebbe perseguire i seguenti principi. I principi che enuncerò di seguito dovrebbero guidare l’azione dell’Amministrazione per superare il digital divide: - ogni cittadino gode del diritto ad accedere ad Internet, usu- fruendo delle potenzialità indotte dalla banda larga. Solo l’ac- cesso ad Internet, godendo della banda larga, consente di di- sporre di tutti i servizi potenzialmente disponibili nella rete; 22
  • 24. - il valore/investimento da retribuire non è tanto quello ottenibile dall’accesso alla re- te (modello della telefonia), quanto quello derivato dall’uso e dalla produzione dei contenuti. Più i contenuti saranno autopro- dotti più sarà disponibile “gratuità”; - ogni cittadino gode del diritto di acquisire le conoscenze che gli consentono di acce- dere alla rete e di poter “navigare” libera- mente e consapevolmente. Per poter usu- fruire delle potenzialità presenti oggi in rete è necessaria una conoscenza “non casua- le”, frutto anche di specifica formazione. Vanno inoltre rafforzate le motivazioni, an- che quelle civili e partecipative a usare la rete. Per promuovere queste attività l’Ente pubblico viene ad assumere un ruolo fon- damentale; - ogni city user gode del diritto di accedere alla banda larga a condizioni economiche economicamente accessibili; - una Amministrazione deve scegliere con- sapevolmente di sviluppare politiche di eGovernment improntate anche alle piatta- forme e ai contenuti di rete denominati WEB 2.0 e di incentivare sempre di più i cit- tadini ad un rapporto partecipativo con l’Amministrazione. Le piattaforme WEB 2.0. possiedono tutte le caratteristiche per favorire l’affermazione dell’eGovernment. A questo punto devo accennare ad una di- scussione che appassiona, anche ingenua- mente, le comunità WEB e il mondo econo- mico: tutto gratis? L’accesso alla rete sicuramente va garanti- to a prezzi accessibili, ma i contenuti di re- te? L’open source vuol dire che è tutto gra- tis e, quindi, democratico? Linus Torvalds è un benefattore dell’umanità? Scrive Chris Anderson, il direttore di Wired USA: “Nel corso dell’ultimo decennio, ab- biamo costruito un’economia online in cui il prezzo di default è zero: niente, nada, nul, null. I beni digitali, dalla musica ai vi- deo, passando per Wikipedia, possono es- sere prodotti e distribuiti senza alcun costo marginale e così, per le leggi economiche, il prezzo è andato dalla stessa parte: a ze- ro. Per la Google generation, internet è la terra del Gratis...Significa però che gratis non è abbastanza. Deve andare in coppia con a pagamento. Come i rasoi gratuiti di King Gillette avevano un senso in termini di business solo se abbinati a lamette co- stose, così gli imprenditori web di oggi non devono inventarsi solo prodotti che la gen- te ama, ma anche prodotti per cui la gente pagherà”. 21 Scrive Luca de Biase: “L’avvento dell’epo- ca della conoscenza rigenera le ragioni di 23
  • 25. scambio, concentra il valore sull’immateria- le e attribuisce qualità a ciò che ha senso. In questo contesto, le relazioni tra le perso- ne sono appunto generatrici di senso, dun- que di valore, ma sono gratuite per defini- zione, anche se per svilupparsi hanno biso- gno di piattaforme che costano. E’ chiaro che i gestori di queste piattaforme devono riuscire a farle fruttare anche monetaria- mente: ma non riusciranno a trovare un profitto se lo cercheranno in modo tale da mettere a repentaglio il valore d’uso, la qua- lità relazionale, l’innovazione sociale, che le piattaforme offrono, servono e abilita- no”. 22 Ho accennato a questo spinoso tema, fa- cendomi aiutare da opinioni autorevoli, che condivido, per ribadire ancora una volta un concetto: l’Amministrazione Comunale de- ve favorire, tra le sue attività, l’accesso alla rete. La formazione della conoscenza deve essere incentrata sulla gratuità; accedere e partecipare a Wikipedia è gratuito!!!. I servizi e l’uso delle piattaforme hanno in- vece un valore. Ciò è inevitabile se voglia- mo garantire la qualità dei servizi che offria- mo. Lo strumento pubblicitario per pagare le spese di gestione non è sufficiente, so- prattutto in un momento di crisi economica in cui il mondo delle imprese ha tagliato drasticamente i costi per la pubblicità. D’altronde, non tutti i widget disponibili at- traverso l’Apple Store sono forniti gratuita- mente, ma non per questo evitiamo di utiliz- zare l’Apple Store per arricchire le funziona- lità del nostro iPhone. Leggete l’accordo raggiunto ancora qual- che anno fa tra Google e le Associazioni degli autori e degli editori americani. Rap- presenta un ottimo compromesso. - “Libri protetti da copyright e in commer- cio
 I libri in commercio sono libri ancora vendu- ti attivamente dagli editori, tutti quei libri normalmente disponibili in libreria. Questo accordo amplia il mercato online dei libri in commercio permettendo ad autori ed edito- ri di attivare modelli di "anteprima" e "ac- quisto" che rendano i loro titoli disponibili più facilmente attraverso Google Ricerca Libri. - Libri protetti da copyright ma fuori stam- pa
 I libri fuori stampa non sono attivamente in pubblicazione o in vendita, quindi l'unico modo per procurarsene uno è cercarlo in biblioteca o nei negozi di libri usati. Quan- do l'accordo sarà approvato, ogni libro fuo- ri stampa da noi digitalizzato diventerà di- sponibile online per l'anteprima e l'acqui- sto, a meno che il relativo autore o editore 24
  • 26. scelga di "disattivare" tale titolo. Riteniamo che ciò rappresenterà una vera manna per il settore editoriale, permettendo ad autori ed editori di ottenere delle entrate da volu- mi che sembravano scomparsi per sempre dal mercato. - Libri non protetti da copyright
 Questo accordo non ha effetto sulla moda- lità di visualizzazione dei libri non protetti da copyright; gli utenti di Google Libri po- tranno continuare a leggere, scaricare e stampare tali titoli come hanno fatto fino a oggi.” Ed in tutti i casi, amici miei, non è forse ve- ro che siamo disponibili a spendere centi- naia di euro per possedere un device mobi- le sul quale scaricare centinaia di titoli da Amazon, da Apple Store? 25
  • 27. CAPITOLO 5 LA RETE A FIBRA OTTICA DELL’AMMINISTRAZIONE COMU- NALE VENEZIANA UN MODELLO REPLICABILE 23 Fatte queste premesse, necessarie per comprendere il conte- sto ideale e le “regole del gioco” che dovremmo adottare, rac- conterò le scelte e l’iter adottato fin dal 2007 dall’Amministra- zione Comunale di Venezia per realizzare la propria rete e i software applicativi “Amministrare 2.0”. Ciò servirà, tenendo conto di tutte le differenze dovute alle di- mensioni territoriali, alle caratteristiche economiche e sociali che contraddistinguono le diverse Amministrazioni, a utilizzare questo modello. 26
  • 28. Per realizzare il progetto “Cittadinanza Digi- tale” l’Amministrazione comunale venezia- na ha trasformato la propria società Venis SPA 24 in operatore di I.C.T. E’ stato predisposto il progetto per la realiz- zazione di una rete in fibra ottica sia nel Centro Storico veneziano che nella terrafer- ma mestrina. Questa attività è stata facilita- ta dalla scelta fatta dal Comune di Venezia, fin dal 1998, di posare, contestualmente all’attività ordinaria di manutenzione urba- na, anche “cavedi dedicati” alla posa della fibra ottica. Il progetto è stato interamente finanziato dall’Amministrazione comunale, che si è così garantita la necessaria indipendenza nei confronti degli operatori privati del set- tore. La Società Venis SPA in collaborazio- ne con i Laboratori Fondazione Marconi ha progettato e sta proseguendo nel tempo nella realizzazione di quest’opera. La rete in fibra ottica (quasi 10.000 km) at- traversa le dorsali più importanti del territo- rio cittadino, collegando le più importanti sedi comunali, gli impianti sportivi, le biblio- teche pubbliche ecc.. L’Amministrazione comunale ha proposto, nel corso del tempo, alle altre Istituzioni pubbliche e private veneziane la “rilegatu- ra” delle loro sedi. Sulla rete a fibra ottica si sono installati gli hot spot WIFI finalizzati a garantire ai city user l’accesso alla rete. Vorrei ricordare che quest’attività venne concepita pur in presenza di una legislazione italiana che, unica in Europa, per lungo tempo ha volu- to limitare la libertà di accesso alla rete tra- mite il wifi. 25 Ogni cittadino veneziano può accreditarsi e ricevere la propria userid e la password attraverso il portale “Cittadinanza Digitale”. Quella di “Cittadinanza Digitale” resta tut- t’ora l’esempio più avanzato -almeno in Ita- lia- di una politica di inclusione digitale svi- luppata da una Amministrazione pubblica. In questo modo la rete comunale è stata concepita, potenzialmente, per garantire l’accesso a tutti i servizi del WEB (rete aperta) e non solo ai servizi pubblici. Il progetto banda larga/WIFI è stato ufficial- mente inaugurato il 3 luglio 2009. 26 Tutto ciò è stato possibile, come ho già avuto modo di dire, grazie all’articolazione e alla pervasività della rete di proprietà del Comune. Ancora oggi è possibile un’ulteriore esten- sione dei punti di connettività gratuiti, attra- verso la firma di accordi di collaborazione 27
  • 29. con altri operatori privati delle TLC, consen- tendo in cambio l’uso della rete di proprie- tà comunale. Consiglio inoltre, ogni Amministrazione di perseguire accordi con le reti GARR, per consentire la connettività con il mondo scientifico, universitario e della cultura con le altre Istituzioni europee, oltre che di po- ter usufruire di una linea di assoluta quali- tà. Le reti GARR (esempio di gestione della re- te di assoluta eccellenza) sono molto diffu- se e pervasive. Per ritornare al tema delle condizioni per creare un ambiente innovativo delle quali ho parlato più sopra, immaginiamo le con- seguenze che potrebbe innescare in una Città un’opera sistematica di digitalizzazio- ne dell’immenso patrimonio culturale sia pubblico che privato. Pensate ad un’attività che omogenizzi gli standard di digitalizzazione, le modalità di conservazione sul cloud (superando la “fisi- cità” degli attuali supporti per la conserva- zione), le modalità secondo le quali milioni di persone potrebbero usufruire del nostro immenso patrimonio usando le connessio- ni di rete. Pensate al salto culturale che provochereb- be a Venezia il passaggio da un’idea che la digitalizzazione e la rete servono “solo” al- la conservazione dei beni culturali e invece lo svilupparsi di un’attività sistematica per consentire l’accesso universale ai beni cul- turali della mia Città da ogni parte del mon- do. Ma, queste politiche sono possibili in pre- senza di una infrastruttura a fibra ottica che colleghi un’area urbana al mondo. 28
  • 30. CAPITOLO 6 DAL “CLUETRAIN MANIFESTO” AL WEB 2.0 Chiarita (spero) l’importanza ideale e politica assunta dall’affer- mazione del diritto di accedere alla rete, è giunto il momento di parlare dei contenuti offerti dalla rete: quali sono, come si formano, come si viene a stratificare la loro gerarchia, quali so- no i processi democratici che devono sovrintendere al formar- si dei contenuti di rete. Parallelamente allo sviluppo della rete e all’evoluzione degli strumenti abilitanti e delle piattaforme WEB 2.0, si è sviluppa- ta una cultura e una ideologia spesso trascurati dalla “politi- ca”, fino a che la vittoria di Barack Obama (e in Italia l’afferma- zione del Movimento 5 Stelle e di Beppe Grillo) ha reso eviden- ti fenomeni fino ad allora sottovalutati se non ridicolizzati. 29
  • 31. La “politica” ha incominciato ad interrogar- si sul ruolo dei blog, sui social-network, sui meetup, sull’influenza che questi strumenti hanno sulle persone per influenzarne i com- portamenti e il consenso politico. 27 Contemporaneamente, milioni di persone hanno cominciato a concepire Internet e lo “strumento” social network come una op- portunità per poter “dire la loro” e per ri- chiedere al mondo politico e amministrati- vo la trasparenza nei suoi atti. Molti “apprendisti stregoni” del mondo poli- tico non hanno colto che, perché un mes- saggio sul WEB sia efficace, la rete “va vis- suta” e non va semplicemente usata come un vecchio portale Internet. Non è sufficiente raccontare la propria “vi- ta finta” su Facebook in occasione di una competizione elettorale o creare il gruppo amici o nemici di qualche cosa o di qualcu- no. Facebook (Twitter, nuova moda) non serve per fare “spamming” introducendo surrettiziamente messaggi politici. La rete non è la “politica urlata” tra “mezzi busti” in TV, magari intervallati dalle telefonate de- gli amici. La rete nell’epoca 2.0 ha sviluppato propri anticorpi e proprie regole non scritte. Co- me dice bene Luca Sofri: “E’ una delle co- se che si imparano subito (...dimostri di te- nere in considerazione ciò che gli altri dico- no e scrivono e vi fai utile riferimento...), nella osmotica e spesso confusa socializza- zione alla blogosfera. E’ d’altronde una pra- tica comunicativa che erode parte delle tra- dizionali barriere tra produzione e fruizione: grazie al link chiunque può valutare in tem- po reale se è corretto il modo con il quale viene riportato un pensiero o un evento e rispondere pubblicamente attraverso il pro- prio blog o i commenti”. 28 E, soprattutto non va dimenticato che il WEB 2.0 è costituito da un assieme di “luo- ghi” che generano una autonoma cultura, figlia dell’interazione tra milioni di persone. Questo mondo, il mondo del WEB 2.0, il mondo dell’innovazione non è mai identifi- cabile con la cultura e con la prassi orga- nizzativa dell’economia e dell’industria tra- dizionali. Ancora meno con l’approccio consueto alla notizia proprio dei media tra- dizionali. Nel mondo 2.0 si sovverte il tradizionale rapporto subordinato tra cliente e fornito- re. Anche per questo il WEB sta soppian- tando la TV o la sta integrando. 29 Nell’uso di Internet si sono sviluppate forti soggettività, una cultura (culture) autono- me e non convenzionali. La crisi della politi- 30
  • 32. ca e dei suoi “luoghi” tradizionali di decisio- ne ha accentuato questo processo. Il mondo della rete e dell’innovazione digi- tale sono stati gli artefici di una parte rile- vante dello sviluppo economico degli ulti- mi decenni, hanno rivoluzionato le abitudi- ni e il costume di milioni di persone. I protagonisti economici (gli inventori) delle principali innovazioni della rete sono stati tra gli attori più rilevanti dei processi di glo- balizzazione. Pensiamo a come, nell’immaginario colletti- vo, si siano consolidate le figure e le gesta di Steve Jobs, di Mark Zukerberg, di Jeff Bezos, dei fondatori di Google. Come essi siano considerati i moderni eroi dei nostri tempi. La “digitalizzazione” ha reso possibili i pro- cessi di globalizzazione. Apple e Google (solo per fare due esempi) non si limitano a vendere prodotti e servizi, vendono, prima di tutto, stili di vita o indu- cono ad adottare nuovi stili di vita e di con- sumo. Pensiamo, su tutti, al fenomeno iPhone e ai negozi virtuali Amazon. “Apple è diventata, al di là degli altri feno- meni che si sovrappongono al suo settore d’azione, un soggetto della cultura di mas- sa. Fa parte del panorama sociale, ha toc- cato corde e mosso le leve appropriate per diventare qualitativamente qualcosa di di- verso rispetto a un semplice fabbricante di computer. Casomai, è un fabbricante di uni- versi e futuri, di sensazioni e di possibilità d’uso.” 30 E ancora, durante il contenzioso tra Micro- soft e il Governo americano si affermò: “Un’ingiunzione che ritardasse l’uscita di Windows 98 potrebbe avere un impatto de- cisamente negativo sul paese nel suo com- plesso, incidendo sull’approvvigionamento di pc nei periodi di rientro a scuola e delle festività natalizie.” 31 Anche queste sono state le condizioni per- ché nel mondo del WEB si consolidasse una autonoma visione del mondo, dei rap- porti sociali, del mercato. Tutto ciò, naturalmente sommando i vizi e le virtù dell’ “economia materiale”, contri- buendo, quota parte, a determinare la crisi nella quale il mondo si dibatte. E’ un mon- do quello dell’innovazione (in altra epoca definita New Economy) che ci illude e poi ci tradisce perché è parte dell’economia reale. “Quel che è accaduto dopo il marzo del 2000 ha un valore simbolico che non si mi- sura in percentuali. E’ la caduta degli idoli: 31
  • 33. si credeva che la New Economy potesse far lievitare all’infinito la ricchezza finanzia- ria, che le società tecnologiche e le dot.com - aziende di Internet - avessero un potenziale di crescita illimitato, anche se molte di loro non avevano mai chiuso un bilancio in attivo, e nonostante la dub- bia qualità di molti manager.” 32 Voglio segnalare a questo proposito il re- cente articolo “New Economy, così la bolla italiana del digitale è finita in mutande”. Ha fatto discutere molto in queste settimane. Ad un certo punto della mia attività politica ed amministrativa ho “incrociato” il “Clue- train Manifesto”. 33 Ho avuto la fortuna di ascoltare, ad un meeting di Cisco, una le- zione di David Weinberger. È stata una folgorazione che ha influenzato in modo determinante la mia cultura dell’in- novazione e del web. Il “Cluetrain Manifesto” è stato pubblicato nel 1999 da Rick Levine, Christopher Loc- ke, Doc Searls e David Weinberger. Sono passati dieci anni, ma l’attualità di- rompente delle idee espresse dal “Clue- train Manifesto” è rimasta assolutamente immutata. Anzi, soprattutto oggi, di fronte ad una drammatica crisi economica e sociale, la lettura del “Cluetrain Manifesto” ci aiuta ad una interpretazione innovativa degli abitua- li schemi e delle consuetudini organizzati- ve radicati nelle aziende e verso l’approc- cio tradizionale ai mercati. Ormai tutti riconoscono che gli schemi del passato sono alla base della crisi che trava- glia l’economia globale; forse ne sono una delle cause. La crisi finanziaria ha fatto esplodere gli assetti strutturali e le scelte organizzative, l’approccio ai mercati dell’ “economia materiale” organizzata in modo tradizionale. Pensiamo alla gravità della cri- si che attanaglia l’industria dell’automobile e tutti i più tradizionali segmenti dell’econo- mia e del mercato. Una nuova stagione di sviluppo economi- co e sociale si baserà, nel prossimo futuro, (ma. in alcuni ambiti dell’economia è già così) sulla diffusione dell’innovazione -so- prattutto dell’I.T.- e delle reti. L’economia che è sorta dalla diffusione di Internet, dai nuovi servizi di rete e dalla co- stante competizione tra i produttori di stru- menti di connettività, è un veicolo che ci aiuterà a superare la crisi. In questa sede affronterò “solo” i fattori che stanno cambiando i rapporti tra i pro- 32
  • 34. duttori e i consumatori. Ciò riguarda anche il mondo della Pubblica Amministrazione. Quando nel “Cluetrain Manifesto” si affer- ma che “I mercati sono conversazioni” e si aggiunge, su un piano consequenziale, che “Internet permette delle conversazioni tra esseri umani che erano semplicemente impossibili nell’era dei mass media”, si pro- pone un approccio all’economia e alla de- mocrazia assolutamente originali. Qualche anno dopo, questo messaggio si è venuto a rafforzare, ha scritto Chris An- derson: “Stiamo entrando in un’era radica- le di cambiamento per i venditori. La fede nella pubblicità e nelle istituzioni che la fi- nanziano sta declinando, mentre la fede ne- gli individui si sta rafforzando...I nuovi ta- stemakers siamo noi. Il passaparola è oggi una conversazione pubblica, che avviene nei commenti dei blog e nelle recensioni dei clienti, raccolte e misurate in modo esaustivo. Le formiche hanno i megafoni.” 34 Valutiamo allora quale conseguenza possa avere sull’economia, sulla società e sulle strutture democratiche il sovvertimento ra- dicale della gerarchia causato da milioni di persone che conversano in un modo “sem- plicemente impossibile nell’era dei mass media”? Si sta passando da un utilizzo della televi- sione e dei suoi servizi - compresa la pub- blicità - improntato sull’unidirezionalità del messaggio, all’uso di moderni strumenti di connettività basati sul dialogo tra gli indivi- dui, alla loro diffusione costante, alla loro continua evoluzione. Le principali testate giornalistiche ormai da molto tempo pubblicano le loro notizie onli- ne con frequenza temporale costante, ren- dendo quasi del tutto inutile l’acquisto al mattino dei quotidiani. D’altronde il “nativo digitale” generalmente non concepisce di acquistare un quotidiano o un settimanale in edicola, il suo orizzonte è il web. Il termine “essere informato in tempo rea- le” assume nell’epoca della rete e della connettività significati totalmente diversi ri- spetto anche ad un recente passato. Un individuo può essere informato sempre e ovunque a condizione che “sia in rete”. Un individuo può comunicare sempre e ovunque anzi, può contribuire a formare le notizie a condizione che “sia in rete”. La nozione di tempo e di spazio nella forma- zione di una notizia o di un avvenimento viene oggi a mutare radicalmente. Dice nulla il termine citizen journalism? 33
  • 35. La “notizia” si genera ed assume o perde valore nel tempo del click di un mouse. Nessun telegiornale, per quanto trasmesso con frequenza, ha la stessa capacità di in- formare del mio device mobile costante- mente connesso in rete con i principali net- work, o del mio BlackBerry, che invia e rice- ve costantemente email. Di fronte a questa rivoluzione, come si può dire che l’affermazione dei principi di “Citta- dinanza Digitale” non assuma oggi una grande urgenza? Ma, ed è questa la vera novità, la rete e gli “strumenti di connettività” consentono con- vergenze di contenuti che, fino ad ora, era- no godibili solo separatamente. Non esistono più il tradizionale computer o il telefonino. Definiamoli, insieme, “strumen- ti di connettività”. Un computer, soprattut- to oggi, di fronte alla miniaturizzazione del- l’apparecchio, è sempre meno destinato a svolgere solo funzioni tradizionali (consenti- te peraltro da software residenti invasivi e “pesanti”), è sempre di più lo strumento che ci consente di essere sempre on line. Un “telefonino” serve sempre meno “solo” a telefonare, è sempre di più uno strumen- to per comunicare, facendo convergere più servizi (SMS, mail, fotografie, video ecc.). Indicatemi il messaggio pubblicitario di un produttore di “telefonini” o di un operatore di TLC che promuova esclusivamente un telefonino o la tariffa di un singolo servizio. Anzi un “telefonino” viene venduto in ap- pendice ad un servizio di telefonia/Internet. Tutti promuovono e ci vogliono vendere convergenza, anche di contenuti. Ricordia- mo, un libro si può scaricare e leggere an- che su un iPhone. La diffusione del WIFI e della fibra ottica stanno accelerando esponenzialmente que- sti processi, mutando i termini stessi della concorrenza tra gli operatori delle TLC e tra i produttori degli “strumenti di connetti- vità”. Tutto ciò sta facendo evolvere la pro- duzione di “contenuti”. È decollato quindi su basi diverse rispetto al passato la concorrenza tra le diverse piattaforme su cui si è fondata per anni la telefonia mobile. Google (Android), Apple, Nokia, Microsoft si confrontano ormai quotidianamente per la conquista di sempre maggiori quote di mercato. E il confronto si è spostato, oltre che sui contenuti forniti al cliente e sulla di- verse offerte tariffarie, anche sulla qualità del design (Apple), o sul livello di “apertu- ra” o meno della piattaforma (Android). 34
  • 36. Symbian (Nokia) o Windows Mobile (Micro- soft) hanno perso la loro sfida contro An- droid (Google), perché queste piattaforme non fanno partecipare alla competizione gli utenti nel ruolo di cosviluppatori, determi- nando così il successo del prodotto. Ed è assolutamente stupefacente come questa rivoluzione tocchi ogni strato socia- le e ogni classe di età. Si è diffusa ormai una estesa letteratura che descrive “usi e costumi” dei “nativi di- gitali”, ma non dimentichiamo che l’uso de- gli strumenti innovativi si sta diffondendo in ogni classe di età, generando nuove aspettative, ma anche nuove diseguglian- ze. Contrariamente a quanto comunemente si pensa, si colgono appieno da parte del “non nativo” le potenzialità del WEB, e si soffre al contempo della propria incapacità a sfruttarle appieno. “Ho 62 anni. Cito Wiki- pedia, perché convivo con internet per la- voro, curiosità, svago e cultura personale. Sono iscritto a Facebook e Twitter. Ho ritro- vato sui social network molti che conosco di persona. Ma ho scoperto che alcuni rie- scono solo dietro la tastiera ad esternare emozioni ed espressioni mai osate face to face. Tutto intrigante e per certi versi affa- scinante se non avessi un problema. Nel- l’esplorazione di internet mi scontro con l’ostilità di un pianeta web che sembra di- fendersi dietro usanze e linguaggi per me criptici. I caratteri sono minuscoli, l’italiano è essenziale e molto rimaneggiato, sono travolto da un torrente di acronimi e termi- ni da fantascienza come RSS, feed, post, backbones, mainframes, e-readiness ran- kings. Un lessico davvero poco familiare per chi non è cresciuto a kinder plasticati e PC”. 35 Sono, come si capisce, fenomeni assoluta- mente pervasivi, che nel manifestarsi gene- rano nuovi consumi, nuova ricchezza e un cambiamento radicale del modo di vivere e di comunicare La rete genera, infatti, libertà di scelta, al- l’opposto della televisione e degli altri me- dia tradizionali. Ricordo spesso la prima televisione “a get- tone” acquistata ratealmente dalla mia fa- miglia negli anni ’60, il moltiplicarsi negli an- ni successivi dei canali e degli spettacoli che venivano offerti; c’era sempre più spet- tacoli a disposizione, ma non venivano scelti liberamente. Rivedo come in un film l’attesa di quella alternativa costituita dal debutto della seconda rete televisiva negli anni sessanta del secolo scorso. 35
  • 37. All’opposto, chi oggi va in rete sceglie libe- ramente ciò che vuole vedere; comunica con milioni di persone distanti tra di loro, genera esso stesso i contenuti di rete. “User generated content” è ciò che con- traddistingue il WEB 2.0. Ecco la vera rivoluzione alla quale voglia- mo partecipare attivamente, la coproduzio- ne dei contenuti. Dobbiamo tutti diventare “prosumer”, ad un tempo siamo produttori e consumatori di contenuti Riflettiamo insieme a cosa ha significato affermare, con preveggenza, nel “Cluetrain Manifesto” che: “Gli hiperlink sovvertono la gerarchia” e che “Queste conversazioni in rete stanno facendo nascere nuove for- me di organizzazione sociale e un nuovo scambio della conoscenza”. Recentemente ha scritto David Weinberger “Ma il punto è che non ci stiamo limitando a trasferire dei rettangoli di testo dalla pagi- na di un libro a uno schermo: il collegamen- to della conoscenza -il networking, la mes- sa in rete o in circolo- sta in realtà cambian- do la nostra più antica e fondamentale stra- tegia del sapere.” 36 Pensiamo alla campagna elettorale di Ba- rack Obama, o agli strumenti con cui que- st’ultimo comunica con i cittadini nella sua attività di governo. Ad esempio provate ad esplorare, prestando particolare attenzione alle logiche comunicative, il sito www.MyBarakObama.com . Nelle scelte comunicative di Obama é sicu- ramente costante l’uso dei media tradizio- nali, ma è preponderante una interlocuzio- ne con gli elettori e con i cittadini attraver- so gli strumenti messi a disposizione dal WEB. È un metodo di governo, non sempli- cemente un modo smart di comunicare. L’attività di dialogo attuata da Barack Oba- ma attraverso “Open for Questions” ha avuto ad esempio un successo incredibile e ha inaugurato un modo diverso e più de- mocratico nel rapporto tra il “potere” e i cit- tadini. Strumenti come questo “stanno fa- vorendo l’apertura al dialogo bidirezionale tra Transition team e la community the Change.gov” per dirla con i gestori del ser- vizio. “L’iniziativa cui si fa riferimento è denomina- ta Open for Questions ed ha ricevuto il 26 marzo (era il 2009) il varo ufficiale presso la Casa Bianca, a testimonianza dell’impe- gno profuso nella costruzione di un cammi- no di trasparenza e responsabilità dell’azio- ne presidenziale nei confronti dei cittadini americani tutti.
 L’incontro è stato seguito on-line da circa 36
  • 38. 67,000 utenti, secondo l’indicazione data dal portavoce della Casa Bianca Nick Sha- piro, ed il webcast è stato anche trasmesso da diversi canali via cavo. Prima dell’even- to, chiunque volesse porre una domanda al Presidente ha potuto iscriversi sul sito della Casa Bianca nella sezione Open for Que- stions perché le domande, raccolte in ordi- ne di frequenza, fossero trasmesse al Presi- dente. L’entità del riscontro che l’iniziativa ha avuto è rintracciabile in alcuni numeri che Usa Today riporta come provenienti di- rettamente dalla Casa Bianca: 92,931 per- sone si sono iscritte e 104,103 sono le do- mande effettivamente poste e 3,606,286 so- no i voti finalizzati a determinare le frequen- ze degli items sulla base delle quali si sa- rebbe decisa la priorità delle domande po- ste al presidente e quindi la probabilità che la domanda fosse effettivamente posta. La Cnn riporta che il Presidente ha risposto a sette domande poste attraverso il sito e ad altre poste dal pubblico presente nella East Room.” 37 Qualcuno potrebbe obiettare che il “Clue- train Manifesto” contestava i metodi svilup- pati dal mondo dell’impresa privata e, so- prattutto, mirava ad instaurare un diverso rapporto tra i consumatori e il produttore e quindi che il suo messaggio restava lì, cir- coscritto al mondo dell’impresa. All’opposto, il “Cluetrain Manifesto” espri- me una critica universale, contrappone al- l’assenza di soggettività, il dialogo sia nel- l’impresa, che nei rapporti tra imprese, con i mercati, con i consumatori. “Siamo dentro e fuori le aziende. I confini delle nostre conversazioni sembrano il Mu- ro di Berlino di oggi, ma in realtà sono solo una seccatura. Sappiamo che stanno crol- lando. Lavoreremo da entrambe le parti per farle venire giù”. E’ una espressione for- te che afferma il primato del dialogo e del- la comunicazione globali sulla “semplice” produzione di beni. Di fronte a queste prospettive, a queste realtà “rivoluzionarie” quali sono gli interro- gativi che si pone oggi un pubblico ammini- stratore italiano o, più semplicemente, un cittadino? Come può esprimersi questa carica di cam- biamento in un luogo di conservazione co- me la Pubblica Amministrazione italiana? Una risposta mi viene spontanea. Non è forse che il favorire il dialogo, lo svi- luppare la valorizzazione delle soggettività e delle intelligenze sono il problema princi- pale delle Pubbliche Amministrazioni? Se ciò fosse vero -io ne sono convinto- su- perare l’autoreferenzialità, la maschera 37
  • 39. “della procedura”, il primato della “legifica- zione” in ogni atto del pubblico dipenden- te, per fare emergere la sua soggettività, per liberare la voglia “di fare qualche cosa di nuovo” è l’imperativo necessario per ri- formare la Pubblica Amministrazione. Contro l’immobilismo imperante è necessa- rio cambiare costantemente; questa è la lezione del WEB e della sua cultura. I provvedimenti legislativi adottati, anche recentemente, dal Governo Italiano non rappresentano la fine dell’immobilismo. Speso sono la codificazione dell’inefficien- za e dell’immobilismo. Per superare il primato “della procedura” (anche se trasferita in rete) è necessario mettere in discussione la gerarchia, così come esce dalle procedure concorsuali inu- tili e nozionistiche che comprimono le pro- fessionalità e la voglia di fare e mortificano il merito individuale. Blog, meetup, social network rappresenta- no un modello opposto a quello delle prati- che gerarchiche, consolidate. “Abbiamo usato i blog per rafforzare la co- municazione dei nostri stakeholder e ora stiamo implementando la tecnologia wiki nei siti della nostra intranet e della nostra extranet. Il beneficio principale sembra es- sere un più forte senso di comunità, che siamo in grado di alimentare grazie a delle tecnologie più interattive.” 38 Sembra una conversazione incomprensibi- le condita da terminologie un pò astruse, si tratta invece di constatazioni manageriali sui vantaggi generati dall’adozione in azien- da dei nuovi strumenti di comunicazione messi a disposizione dal WEB 2.0. E’ opportuno allora che coloro che nella Pubblica Amministrazione, un pò per piag- geria, un pò per moda, pensano di importa- re gli strumenti di dialogo 2.0 senza cam- biare contemporaneamente l’organizzazio- ne, la cultura e le prassi consolidate, valuti- no l’immensa carica di innovazione presen- te potenzialmente nella cultura del WEB. Ne valutino le conseguenze i conservatori della Pubblica Amministrazione, coloro che pensano alla “rilegificazione”, “le eter- ne gerarchie”, gli “immobili sindacalisti”, i difensori dei finti diritti ormai superati dalle cose e dall’innovazione. In verità costoro cercano di tenere fuori dal- la Pubblica Amministrazione la cultura del- l’innovazione digitale. Ciò non è possibile, Internet pervade ogni aspetto della nostra vita; Internet ha mutato l’approccio dei cit- tadini ai servizi offerti dalla Pubblica Ammi- nistrazione. 38
  • 40. Leggetevi la tesi 26) del “Cluetrain Manife- sto” “Le Pubbliche Relazioni non si relazio- nano con il pubblico. Le aziende hanno una paura tremenda dei loro mercati.” Pensate ora ad un qualsiasi cittadino mes- so di fronte ad uno sportello di una qualsi- voglia Pubblica Amministrazione in attesa di essere rimandato ad un altro sportello ancora “perché il suo problema non è di mia competenza”. Mettiamo fine alla ordinaria persecuzione alla quale sono sottoposti i cittadini che so- no le vittime delle perversioni alle quali so- no sottoposti dalle cervellotiche forme or- ganizzative adottate da tutta la Pubblica Amministrazione italiana. E quando allo sportello obietti ti viene ri- sposto che è “la legge” che lo prevede. Le tecnologie e la rete servono a cambiare questo stato di cose, ma da sole non sono sufficienti. 39 L’ approccio assolutamente innovativo al- l’organizzazione aziendale, al rapporto tra azienda e mercati, al marketing, alla conce- zione del ruolo dei media e della comunica- zione, così come suggerito dal “Cluetrain Manifesto”, è sicuramente una chiave per l’innovazione della Pubblica Amministrazio- ne. Ma quali sono le “conversazioni” alle quali si riferisce il “Cluetrain Manifesto”? E, so- prattutto, chi sono i soggetti che dialogano tra di loro? Il “Cluetrain Manifesto” va a questo punto coniugato al WEB 2.0. Quando si parla di WEB 2.0 si tende gene- ralmente ad accomunare filosofie, piattafor- me e strumenti abilitanti come se costituis- sero un tutt’uno. In un certo modo può essere vero, ma il WEB 2.0 non è una tecnologia, è una filoso- fia, è un approccio culturale all’uso della rete. Questa filosofia e questa cultura hanno ge- nerato applicazioni di rete concettualmen- te innovative rispetto ad un recente passa- to. Il termine WEB 2.0 è stato coniato da Tim O’Reilly (2005). “Quando gli utenti aggiungono nuovi con- cetti e nuovi siti, questi vengono integrati alla struttura del web dagli altri utenti che ne scoprono il contenuto e creano link. Co- sì come le sinapsi si formano nel cervello, con le associazioni che diventano più forti attraverso la ripetizione o l’intensità, le con- nessioni nel web crescono organicamente 39
  • 41. come risultato dell’attività collettiva di tutti gli utenti del web”. 40 Ecco il WEB 2.0. Il WEB 2.0 è il frutto del- l’attività collettiva di tutti gli utenti che ge- nerano nuovi contenuti e siti, e che così fanno crescere organicamente il WEB stes- so attraverso un processo continuo, senza una fine prestabilita (BETA perpetuo). Ricordiamo, negli ultimi anni si sono venuti a manifestare nel mondo della globalizza- zione quattro fenomeni strettamente con- nessi tra di loro: - milioni di persone accedono alla rete. La rete, come veicolo di comunicazione, ha superato per numero di utenti i media tradi- zionali. Anzi, come ho già detto, li ha fatti convergere nel momento della distribuzio- ne e della formazione dei contenuti. È nato e si è affermato l’universo del social net- working; - sono aumentati di numero gli strumenti di connettività. Sono, quindi, aumentate le ca- pacità e le possibilità di convergenza; - milioni di persone usano motori di ricerca e strumenti WEB 2.0 (Google, YouTube, Fa- cebook, Wikipedia, Twitter, Instagram ecc.), frutto di una crescita dinamica che ha fatto progredire esponenzialmente la re- te e i contenuti di rete; - si sono sviluppati nuovi linguaggi e proto- colli 2.0: AJAX, CSS, uso semantico e dina- mico del linguaggio HTML. E’ così finita l’epoca dell’accesso passivo alla rete, oggi: “gli utenti aggiungono nuovi concetti e nuovi siti”. Collegamento dopo collegamento, gli uten- ti modellano il WEB. Un sito tradizionale, è passivo, anche se graficamente molto bello e ricco di informa- zioni unidirezionali, sarà sempre meno fre- quentato, non serve alla comunicazione che si svolge nel WEB. E’ uno tra i tanti mi- lioni di libri già letti, abbandonati in una im- mensa libreria. Se ne perde la memoria, via via precipita nella graduatoria dei moto- ri di ricerca, il vero indice nell’epoca del WEB. Più sei “cliccato” o “taggato” (nuovi termini di un nuovo alfabeto), più scali la graduatoria nel motore di ricerca, più hai successo, più esisti. La ricchezza e il successo del WEB 2.0 è dato dall’apporto di milioni di persone che condividono una bacheca su Facebook, che usufruiscono delle informazioni fornite da Wikipedia e contemporaneamente ne arricchiscono i contenuti; il WEB 2.0 è fat- to dalle persone che si scambiano filmati su YouTubee che partecipano alla vita dei blog. 40
  • 42. Il WEB 2.0 è il frutto dei miliardi di scatti fo- tografici postati usando Pinterest e Insta- gram. Il WEB 2.0 è diventato esso stesso un po- tente media che coinvolge attivamente mi- lioni di persone e contemporaneamente ne viene arricchito dalla loro attività. Fino a qualche anno fa la rete esprimeva le proprie potenzialità (e consentiva aree im- portanti di business) attraverso un rappor- to unidirezionale - passivo si potrebbe dire - tra gli utenti e i produttori che gestivano i “loro portali”. I portali ci consentivano egualmente di ac- cedere alle notizie (ma non di ordinarle per importanza taggandole), l’e-commerce ci consentiva di acquistare in rete molti pro- dotti, con il limite che il feedback sul pro- dotto acquistato e sul produttore si espri- meva in forme molto limitative e rudimenta- li; la posta elettronica era (e resta) uno stru- mento potente di comunicazione, ma non esisteva la bacheca per condividere ogni tipo di messaggio multimediale. Tutte que- ste applicazioni erano non connesse tra di loro e, soprattutto, non consentivano la partecipazione dell’utente. Il WEB 2.0, all’opposto, è “user generated content”: questa è la vera trasformazione dei contenuti del WEB. “Napster (sebbene chiuso per ragioni lega- li) ha costituito la sua rete non costruendo un database di canzoni centralizzato, ma architettando un sistema in modo tale che chiunque scarichi un pezzo, diventi esso stesso un server, facendo quindi crescere il network”. 41 Le piattaforme come Instagram, che con- sentono a milioni di persone di pubblicare sul WEB le loro fotografie per condividerle con altri, consentono che i tag identificativi siano organizzati e proposti dagli utenti stessi. Le gerarchie sono così definite dall’utente, sono il frutto della sua attività sul WEB (Google insegna). La scelta fatta a monte dagli sviluppatori dei software 2.0 è quella di concepire una “architettura partecipativa” tale da consen- tire le attività di condivisione degli utenti. Gli utenti sono, quindi, considerati dei co- sviluppatori. Nella Pubblica Amministrazione italiana sta avvenendo questo processo quando pom- posamente si “codifica” una Agenda Digita- le? 41
  • 43. CAPITOLO 7 WEB 2.0 E DELEGIFICAZIONE PER SMANTELLARE L’ULTI- MO BALUARDO FORDISTA: LA PUBBLICA AMMINISTRA- ZIONE ITALIANA Nel mondo moderno ci sono ancora due modelli piramidali consolidati fondati sul primato della “forma”. La Pubblica Amministrazione Italiana e la Corea del nord. Confesso che quando nel 2009 ho coniato il termine “Ammini- strare 2.0” non avevo ancora ben chiare tutte le implicazioni molto impegnative, anche sul piano ideale, che ho esposto fi- no ad ora. E, d’altronde, molti Sindaci si sarebbero accontentati di pre- sentare alla comunità dei pubblici amministratori il nostro IRIS 42
  • 44. (interazione partecipativa per la gestione della manutenzione urbana) o ARGOS (ge- stione e condivisione dei problemi della via- bilità acquea) come esempi avanzati di in- novazione. 42 Queste applicazioni possono essere una bella vetrina; sono stati il motivo che ci ha reso protagonisti in anni passati -ma non solo- di molte tavole rotonde e convegni. Onestamente ne sono molto orgoglioso an- che dopo qualche anno. Ancora oggi sono particolarmente grato al gruppo di informatici di Venis (e a qualche altra Azienda che opera nel settore) che hanno sviluppato questi ed altri applicativi. Ma, dietro alla realizzazione di questi soft- ware, c’é stata innanzitutto, l’affermarsi di una cultura, il consolidarsi di una convinzio- ne. Insieme devono sovrintendere al cam- biamento urgente della Pubblica Ammini- strazione italiana (ma anche di altri settori produttivi). Prima di sviluppare un qualsiasi software si deve avere chiara una proposta/progetto di cambiamento della struttura organizzati- va dell’Ente, si deve avere la volontà di combattere la cultura dell’autoreferenziali- tà. Soprattutto si deve favorire in ogni ambito l’affermazione di un processo partecipativo da parte dei cittadini. Va abbandonato il mondo che fino ad ora abbiamo conosciuto. Dobbiamo esplorare nuovi territori. - La partecipazione dei cittadini deve es- sere intrinseca all’architettura del soft- ware. - Deve cambiare l’organizzazione del- l’Ente pubblico per potersi adeguare al nuovo processo partecipativo. E poiché i bisogni dei cittadini sono mute- voli, la flessibilità e l’adattabilità devono pervadere l’architettura del software e le soluzioni organizzative. Sono stato (e so- no) un seguace del BETA perpetuo, per usare il gergo WEB 2.0. David Weinberger ha espresso il seguente interrogativo: “All’inizio del XXI secolo, l’e- Government si farà strada a partire dai Go- verni esistenti come una loro propaggine, oppure stiamo assistendo ad un momento fondante in cui l’e-Government emerge dai nuovi cittadini?” 43 I cittadini - i “nuovi cittadini”- potrebbero diventare così l’agente del cambiamento fin dal momento in cui si approcciano alla 43
  • 45. Pubblica Amministrazione per esprimere i propri diritti. Tradotto: la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione serve a consolidare in modo moderno e più efficiente ciò che sia- mo già oggi (inefficienze, storture burocrati- che e autoreferenzialità comprese), o con- sente ai cittadini di contribuire al nostro cambiamento (noi Pubblica Amministrazio- ne) nel momento in cui esercitano i loro di- ritti? Per e-Government intendiamo le “gloriose” reti civiche (i portali istituzionali) già viste e conosciute, fotografia spesso infedele (ci- pria e belletto), di ciò che siamo, la carta di identità elettronica, il libro di testo in forma- to PDF, o si cambia e ci si evolve trasfor- mando l’architettura informatica della Pub- blica Amministrazione? Per e-Government intendiamo quel processo che permette ai cittadini di esprimere, senza momenti di mediazione burocratico/amministrativa, le loro aspettative? In tutti i casi l’e-Government deve rappre- sentare l’insieme delle politiche per l’inno- vazione che devono pervadere ogni aspet- to della vita dell’Ente Pubblico. Chi adotta la filosofia “Amministrare 2.0” deve apprestarsi a seguire questa strada, rischiando molto, preparandosi ad affronta- re continuamente rischi ed incomprensioni. Ma, d’altronde, è questo il destino dei “vi- sionari” e degli innovatori. La Pubblica Amministrazione va quindi real- mente e profondamente cambiata, abban- donando slogan facili e annunci ad effetto, rinunciando a facili iniziative giustizialiste nei confronti dei pubblici dipendenti, ai quali non possono essere addebitate, co- me facili capri espiatori, tutte le inefficienze del sistema pubblico. Lavorare di più e meglio è il frutto sicura- mente di un atteggiamento soggettivo - da assoggettare a premi e punizioni -, ma so- prattutto è conseguenza dell’organizzazio- ne del lavoro che si adotta . E‘ quindi necessario, prioritariamente, met- tere mano, senza esitazione, all’attuale struttura organizzativa che rappresenta il maggiore ostacolo all’affermarsi di una idea più avanzata dell’ eGovernement. Ho già affermato che, senza questi cambia- menti, anche l’Agenda Digitale resterà lette- ra morta. L’organizzazione della Pubblica Ammini- strazione italiana va delegificata. Per evidenziare le differenze tra i principi che guidano il mondo (le imprese) 2.0 e la 44
  • 46. Pubblica Amministrazione vorrei riportare alcuni modelli organizzativi 2.0: - “Le ideagorà consentono alle imprese di accedere a un mercato globale di idee, in- novazioni e menti dotate delle competenze più ricercate, in modo da poterle utilizzare per ampliare le loro capacità di problem solving; - Le piattaforme partecipative istituiscono un palcoscenico globale sul quale ampie comunità di partner hanno la possibilità di creare valore e, in molti casi, dar vita a nuo- ve imprese nell’ambito di un ecosistema altamente sinergico; - Le catene di montaggio globali sfruttano tutte le facoltà del capitale umano al di là delle frontiere e dei confini organizzativi, al- lo scopo di progettare e assemblare ogget- ti materiali.” 44 Che mondo è? dice il pubblico dipenden- te, la politica, l’amministratore pubblico. Che cambiamento ci proponi sottoponen- doci queste astruse formule organizzative? Proviamo a rispondere a questo ideale di- pendente della Pubblica Amministrazione -e anche agli altri- che hanno avuto la bon- tà di arrivare fino a qui. La struttura organizzativa della Pubblica Amministrazione è rimasta l’ultima espres- sione del “fordismo” dopo che si sono af- fermati in tutto il mondo processi produtti- vi e modelli organizzativi diversi ormai da qualche decennio. Proviamo allora a scomporre le fasi “di pro- duzione” di un prodotto-servizio in un Ente locale. Prima dell’erogazione di un servizio (un pro- dotto) offerto ad un cittadino, si sommano in una ideale catena di montaggio: - le attività di autoriproduzione della mac- china e di autolegittimazione della struttura organizzativa; - le attività orientate al controllo del rispet- to della prassi, della procedura, dei regola- menti, delle leggi, della “forma”; - le attività di costituzione dell’atto per con- sentire l’uso delle risorse economiche stan- ziate, secondo il principio in base al quale la Pubblica Amministrazione si esprime at- traverso “atti amministrativi”; - le attività che consentono l’erogazione del servizio vero e proprio; - infine, l’erogazione vera e propria del ser- vizio, spesso affidata a soggetti terzi rispet- to all’Ente. 45
  • 47. Ognuna di queste attività è rigorosamente separata dalle altre rispettando uno sche- ma organizzativo “verticale”. Ogni struttura interessata al processo comunica, spesso in modo conflittuale, con altre strutture se- guendo uno schema “verticale”. L’assieme delle strutture verticali viene a formare una sorta di “cubo destrutturato”. Il momento della sintesi è rappresentato dalla delibera (l’atto finale?) alla quale tutti arrivano se- guendo percorsi paralleli, spesso conflittua- li. In fin dei conti, che cosa rappresenta “il parere” di un ufficio, o di un settore che si esprime sul lavoro degli altri, se non una forma di “conflittualità contrattata”. Al vertice del cubo sono situate strutture di direzione generale (il Direttore Generale), di verifica della legittimità degli atti (la Segre- teria Generale), le strutture di direzione e indirizzo politico (la Giunta). Per evidenti motivi questi tre “poteri” al vertice non sempre riescono a dare omogeneità al- l’azione del “cubo destrutturato”, che conti- nua ad esprimere nelle proprie strutture una evidente autoreferenzialità. E poiché la “comunicazione” unidirezionale assume spesso caratteristiche di conflittua- lità tra le strutture verticali, l’attività di ogni dipendente tende ad annullare quella di un altro, ad assumere cadenze temporali inde- finite ed indefinibili per gli utenti finali. Nella logica autoriproduttiva del “cubo de- strutturato”, il “tempo” e la “qualità del pro- 46
  • 48. dotto”, così come pretesi dal cittadino, so- no fattori estranei, sono variabili indipen- denti, sono lasciati all’intermediazione poli- tica. E’ evidente la differenza tra questa struttu- ra organizzativa (fordista) e il modello wiki- nomics-WEB 2.0? Da una parte verticalità ed incomunicabili- tà, dall’altra capitale umano che opera tra- scendendo dal luogo fisico perché la rete ci offre il meglio Da una parte l’autoreferenzialità, dall’altra la partecipazione, anche se si opera in am- biti aziendali diversi!!! E chiara la differenza? Sono chiari i vantag- gi e gli svantaggi per i cittadini e i lavorato- ri della Pubblica Amministrazione a secon- da che si adotti un modello organizzativo piuttosto che un’altro. Cosa ci impedisce di introdurre nella Pubblica Amministrazio- ne il modello organizzativo della wikino- mics, del crowudsourcing, del social net- working? Non c’é una legge che lo vieti. Lo impedi- scono le consuetudini, l’assenza di corag- gio, una vecchia cultura organizzativa. Come cambiano i software e l’uso della re- te nei due diversi modelli? L’architettura dei software gestionali nella Pubblica Amministrazione, è plasmata se- condo la struttura organizzativa “fordista”, riproducendo e codificando la separatezza tra i diversi settori. Gli “applicativi” del set- tore anagrafe non sono concepiti per dialo- gare con la cartografia del SIT. Ancora me- no sono concepiti per poter dialogare con le banche dati di un altro Enti Pubbblico. Pensate al perché un cambio di residenza anagrafica debba trasformarsi in un suppli- zio e in una perdita di tempo per un cittadi- no In questo modo i software non aiutano il sistema ad esprimere organicità, non godo- no delle necessarie integrazioni. Ogni for- ma di integrazione sembra impossibile, o è enormemente difficoltosa nella sua realizza- zione poiché incontra ostacoli burocratici (la resistenza di chi difende la titolarità e il primato del “suo” software, la proprietà del “suo” database) o strutturali (software pro- gettati secondo logiche diverse). Un server, secondo questo schema, è il luo- go dove si sommano e non si integrano le diverse componenti della rete informatica dell’Ente. Non invidio il compito delle aziende che for- niscono servizi informatici alle Pubbliche Amministrazioni e che si assumono l’onere 47
  • 49. di essere il “system integrator” di questa Babele organizzativa!!! Provate a confrontare questo processo, i suoi tempi, i suoi riti, le sue regole, la sua “verticalità”, l’autolegittimazione di ogni parte della sua struttura (indipendentemen- te dall’importanza effettiva che oggettiva- mente dovrebbe assumere) con la logica della novecentesca catena di montaggio, con la cultura fordista, con il taylorismo. Provate a paragonare gli atti dei singoli la- voratori, le modalità di lavorare, l’uso delle componenti con le quali venivano assem- blate le parti di una automobile (di una lava- trice, di una televisione) qualche decennio fa e il processo che porterà all’emissione di un “permesso a costruire”, all’erogazio- ne di un servizio di assistenza domiciliare. Le differenze sono “solo” quelle legate alla natura del prodotto erogato, ad una mag- giore attenzione ai costi sostenuti (nel pri- vato), ma tutto il resto... Non stiamo assistendo a un bel tuffo nel passato? Siamo a ben prima della cultura organizzativa della “qualità totale”. Nel frattempo, per fare un esempio calzan- te, nel “mondo reale” non esiste più la se- paratezza tra i “lavori pubblici”, “l’urbanisti- ca”, “l’edilizia pubblica o privata”, “l’am- biente”, “l’anagrafe”. Il “mondo reale” esige il governo del territo- rio. La normativa urbanistica ed edilizia, la nor- mativa ambientale, il “piano triennale dei lavori pubblici”, che si sommano tra di lo- ro, che non si integrano, che non si fondo- no organicamente, sono un vincolo, un im- pedimento mortale allo sviluppo economi- co e sociale di un territorio. Di più, rappre- sentano l’impossibilità di esercitare i mo- derni diritti di cittadinanza. Queste considerazioni valgono ancora di più nei settori in cui si erogano i servizi di welfare, perché questo settore -il welfare- viene ad incrociare i bisogni della parte più debole della popolazione o la più bisogno- sa di assistenza o che necessita della frui- zione di un servizio. Le leggi, frutto del patto sottoscritto tra Go- verno e cittadini, che dovrebbero dettare le condizioni di convivenza tra noi tutti, sono vissute invece dalla generalità della popola- zione come un ostacolo incomprensibile e come una forma persecutoria. La “politica” colpevolmente non ha opera- to per ricomporre la frammentazione; anzi, la “politica”, legificando, ha accentuato la 48
  • 50. frammentazione per aumentare il proprio potere. L’assieme di questi fattori ha consolidato l’incomunicabilità tra il cittadino e la Pubbli- ca Amministrazione; questa organizzazio- ne ne ha fatto emergere gli aspetti peggio- ri, favorendo l’inefficienza ed ogni aspetto deleterio a partire dagli episodi frequenti di corruzione. Per questo la Pubblica Amministrazione ol- tre che essere un’espressione del passato, un generatore di costi, rappresenta un fre- no allo sviluppo del Paese. La “politica” ha giustificato la propria as- senza riformatrice alimentando un’assurda ideologia che ha teorizzato la contrapposi- zione tra “il pubblico” e “il privato”. L’uno identificato come sede di ogni nefan- dezza, l’altro come luogo di virtù. E’ chiaro che così non si attua nessuna riforma; una facile banalizzazione della concezione di “pubblico” e di “privato” e del loro ruolo non necessariamente conflittuale fa solo parte di una facile propaganda che ci ripor- ta al secolo appena trascorso. Evidentemente le tecnologie e la rete da sole sono impotenti ad essere lo stru- mento di cambiamento in presenza di un’organizzazione “autoreferenziale” ed eccessivamente “normata” e “legifica- ta”. Paradossalmente le innovazioni tecnologi- che che favorissero l’efficienza del potere autoreferenziale, mantenendone però inal- terata la sostanza, aiuterebbero solo a raf- forzare il ruolo dei burocrati nel loro rap- porto con i cittadini. E’ il limite negativo più evidente delle vec- chie politiche per “l’automazione” degli En- ti pubblici riproposte oggi nelle leggi defini- te Agenda Digitale. Non è abnorme che per eliminare l’uso del fax nella comunicazione tra diverse Pubbli- che Amministrazioni e sostituirlo con la mail, si sia dovuto varare un “combattutissi- mo” provvedimento legislativo? E, non sarebbe forse da cacciare quel Sot- tosegretario che, per giustificare la sua op- posizione a questo “banale provvedimen- to”, ha affermato che “Internet si può gua- stare?” Per citare ancora David Weinberger: “Oggi i Governi guardano a internet per rendere più efficienti e trasparenti le loro funzioni tradizionali. In termini di efficienza, l’elettro- nica e la digitalizzazione dei dati superano senza problemi code e moduli cartacei.” 45 49
  • 51. Per quanto detto fino ad ora, se i cittadini vivono la loro vita di ogni giorno usufruen- do di “convergenza”, l’innovazione fa emer- gere ora una contraddizione insanabile con la “separatezza” imposta dall’organizzazio- ne del lavoro dell’Ente pubblico. Non è la scelta “esclusivamente organizza- tiva” di costruire uno “sportello unico” (per quanto efficiente esso sia) che ci salva la coscienza. Non è manifestazione di effi- cienza la pedissequa applicazione dei mo- delli organizzativi burocratici riprodotta dal- la Posta Elettronica Certificata. La norma assurda può perseguitare un cit- tadino in modo più efficiente “in un luogo solo”, piuttosto che “in più luoghi”, ma la sostanza non cambia. La buona gestione di ciò che è “pubblico” rappresenta un principio etico ed è questo principio e tutto ciò che ne deriva, che va tutelato dalla legge. Il rafforzamento per via legislativa del “principio etico” rappre- senta un valore positivo per la Società. Il configurarsi dell’organizzazione dell’Ente, nella sua progressiva articolazione e tra- sformazione per adattarsi ai bisogni della società, va invece esclusa dall’ambito legi- slativo: essa è solo un mezzo. Non si pos- sono confondere il principio etico con le strutture e le prassi organizzative. Un con- to è il principio da salvaguardare, un conto sono gli strumenti per salvaguardarlo. Sto dicendo che ogni Ente Pubblico do- vrebbe organizzarsi come meglio ritie- ne. La legge non c’entra nulla. I Regolamenti sulla P.A. digitale costituisco- no solo un impedimento all’innovazione. Chiariti questi presupposti vanno allora ri- progettate le politiche per “l’automazione” dell’Ente pubblico. I software (gli strumenti abilitanti) “Ammini- strare 2.0” c’entrano pochissimo con le tra- dizionali architetture informatiche dell’Ente locale. Per intenderci, i tradizionali software gestio- nali per l’anagrafe, per i servizi demografi- ci, per la gestione della contabilità dei lavo- ri pubblici ecc. rappresentano la tradizio- ne, per quanto efficienti essi siano. Si tratta spesso di ottimi software, ma diffi- cilmente integrati tra di loro, poiché sono a supporto di una struttura organizzativa ver- ticale e non sono stati concepiti per una dif- fusione massiccia del WEB, per favorire un dialogo continuo con gli utenti. Sono software indispensabili per la vita dell’Ente (sicuramente dovrebbero essere integrati tra di loro!!!), ma rappresentano una fase 50
  • 52. della vita dell’Ente destinata ad essere su- perata. La digitalizzazione e l’automazione 2.0 de- vono rispondere a politiche e a principi or- ganizzativi e gestionali diversi, devono ri- spondere ad un nuovo decalogo culturale. Ho sistematizzato e ordinato questi princi- pi dando vita ad una sorta di “Cluetrain Ma- nifesto” per le Pubbliche Amministrazioni. 46 51
  • 53. CAPITOLO 8 IL PRINCIPI PER FAVORIRE L’ INNOVAZIONE ORGANIZZATI- VA DI UNA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA L’attuale organizzazione di un Ente pubblico è figlia di un’epo- ca in cui le persone chiedevano ad una Amministrazione pro- dotti semplici e unici. Il certificato anagrafico è un unico “prodotto”. Quando si trattava di erogare prodotti “complessi”, essi veni- vano “assemblati” sommando in modo meccanico parti che venivano implementate e conservate in modo “celibe”. L’organizzazione dell’Ente è ancora oggi assimilabile all’idea della “macchina celibe”. Naturalmente non mi riferisco alle “macchine celibi” di Marcel Duchamp, quanto piuttosto agli 52
  • 54. oggetti che non sono integrabili tra di loro in modo organico. In un bellissimo libro, 47 Federico Butera af- fermava che le imprese nei loro modelli or- ganizzativi dovevano tendere ad imitare gli organismi viventi, piuttosto che assembla- re singoli componenti rigidamente separati tra di loro. La Pubblica Amministrazione è spesso an- cora organizzata per parti separate, senza organicità. Come abbiamo visto il WEB per dispiegare tutte le sue potenzialità ha bisogno di orga- nicità. La digitalizzazione di una Pubblica Amministrazione per potersi affermare ha bisogno di relazioni e integrazioni fino ad ora sconosciute a questi mondi. Il WEB 2.0 è organicità, interazione, bidire- zionalità, apertura. I city user oggi richiedono “prodotti com- plessi” figli di interazioni e di organicità. An- zi, a volte pretendono di poter autoassem- blare il loro prodotto. La Pubblica Amministrazione oggi non con- cepisce culturalmente i “prodotti comples- si”. La Pubblica Amministrazione non attri- buisce un valore decisivo ai concetti di “tempo”, “valore del prodotto”, “trasparen- za”. Da questo gap culturale e organizzativo na- scono i ritardi, gli sprechi, gli episodi di cor- ruzione. Ecco un motivo in più perché a fianco o, forse, prima di qualsiasi misura figlia di una “Agenda Digitale” c’é bisogno di un profondo cambiamento dei modelli e della cultura dell’organizzazione. Ecco allora alcuni principi che potranno guidare un cambiamento organizzativo “web oriented”. - INTERNET è il luogo dove risiede la co- noscenza collettiva; - Tutti i dati vanno aperti e resi disponibi- li; - Tutti partecipano alla costruzione della conoscenza; - Le procedure e la filosofia WEB 2.0 tra- sformano i favori per alcuni in diritti per tutti; - Il WEB 2.0 non è una tecnologia, è con- tenuti generati dal processo di collabora- zione tra gli utenti; 53