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Il ringraziamento più grande va a mia madre e mio fratello, per avermi sempre
spronato a non lasciare questo percorso nonostante le tante delusioni e difficoltà.
A miei coinquilini che mi hanno sostenuto durante le fatiche e lo sconforto degli esami
non passati.
A Leo e Fabrizio amici di vita i quali anche loro sono stati importanti in questo
percorso, sostenendomi non solo nei momenti di difficoltà ma nella vita in generale.
Ai colleghi e agli amici conosciuti durante questo percorso, un ringraziamento va
anche a loro che nonostante tutto sono entrati nella mia vita universitaria e sono
riusciti a renderla più semplice.
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1. Introduzione
2. Propagazione delle onde sismiche e comportamento meccanico dei terreni
2.1. Propagazione delle onde sismiche nel terreno
2.1.1. Comportamento non lineare e dissipativo del terreno
2.1.2. Comportamento a piccole deformazioni
2.1.3. Comportamento a medie deformazioni
2.1.4. Comportamento a grandi deformazioni
2.2. Tecniche di caratterizzazione sperimentale in sito
2.2.1. Sondaggi a carotaggio continuo
2.2.2. Prova geofisica attiva in foro – Down-Hole (DH)
2.2.3. Prova geofisica attiva in foro – Cross-Hole (CH)
2.2.4. Prova geofisica passiva a stazione singola
3. Risposta sismica locale: richiami teorici e metodi di valutazione
3.1. Valutazione dell’azione sismica secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni
(NTC18)
3.1.1. Vita nominale, classi d’uso e periodo di riferimento
3.1.2. Stati limite, probabilità di eccedenza e periodi di ritorno
3.1.3. Definizione della pericolosità sismica di base
3.2. Valutazione degli effetti di sito
3.2.1. Categorie di sottosuolo
3.2.2. Amplificazione stratigrafica
3.2.3. Amplificazione topografica
3.3. Valutazione dell’azione sismica di riferimento
3.3.1. Spettro di risposta elastico in accelerazione
3.3.2. Impiego di accelerogrammi
3.4. Analisi della risposta sismica locale
3.4.1. Metodi empirici
3.4.2. Metodi numerici
3.5. Risposta sismica locale di un sottosuolo ideale
3.5.1. Strato omogeneo elastico su substrato rigido
3.5.2. Strato omogeneo elastico su substrato deformabile
3.5.3. Strato omogeneo visco-elastico su substrato rigido
3.5.4. Strato omogeneo visco-elastico su substrato deformabile
3.6. Risposta sismica locale di un sottosuolo reale
3.6.1. Influenza dell’eterogeneità
3.6.2. Influenza del comportamento non lineare del terreno
3.6.3. Effetti di bordo
4. Caso di studio in Abruzzo (L’Aquila): la stazione accelerometrica AQA
4.1. Descrizione dell’area di studio
4.2. Inquadramento geografico
4.3. Inquadramento geologico e sismo-tettonico
4.4. Caratterizzazione geotecnica e geofisica
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5. Analisi di risposta sismica locale per la stazione accelerometrica AQA
5.1. Descrizione del software STRATA
5.1.1. General setting
5.1.2. Finestra soil types
5.1.3. Finestra motions
5.1.4. Finestra output specification
5.1.5. Finestra results
5.2. Definizione del modello di sottosuolo
5.3. Definizione dell’input sismico
5.4. Risultati
5.4.1. Analisi lineare
5.4.2. Analisi lineare equivalente
5.4.2.1. Modello 1A
5.4.2.2. Modello 1B
5.4.2.3. Modello 2B
5.4.2.4. Modello 3A
5.4.2.5. Modello 3B
5.4.2.6. Modello 4B
5.5. Confronti
6. Deconvoluzione dell’input sismico registrato dalla stazione accelerometrica AQA
6.1. Definizione del problema
6.2. Applicazione dell’input deconvoluto nella stazione sismica di AQV
6.2.1. Definizione del modello di sottosuolo
6.3. Risultati
6.4. Confronti
7. Conclusioni
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CAPITOLO 1
INTRODUZIONE
Il terremoto che nella notte tra domenica e lunedì 6 aprile 2009, alle 3.32 locali ha
devastato il centro storico della città di L’Aquila e decine di paesi lungo la valle del fiume
Aterno ha avuto una magnitudo locale stimata Ml=5.8 ed una magnitudo momento Mw
= 6.1 (INGV, 2009). Il terremoto è stato preceduto da una lunga sequenza sismica (Ml <
4.0) iniziata nella seconda metà di dicembre 2008 nella zona a sudovest di L’Aquila
(bacino di Roio) e culminata con un evento di Ml = 4.1 il 30 marzo 2009. Il terremoto di
L’Aquila ha generato, in relazione alle numerose repliche, la più grande e completa mole
di dati sperimentali, registrazioni accelerometriche e sismometriche a larga-banda. Grazie
alle informazioni fornite dalle registrazioni ottenute dalle stazioni permanenti e dalle
stazioni mobili, si è potuto ampliamente affrontare il fenomeno near-fault, caratterizzato
da una maggiore concentrazione di energia nel range delle alte frequenze e da alti valori
della componente verticale rispetto a quella orizzontale. Nel caso di studio affrontato si è
sviluppata un’analisi di risposta sismica locale (RSL) nel centro della valle del fiume
Aterno; in termini di valori di picco, misure spettrali e misure integrali; ottenute
utilizzando input sismici selezionati da database nazionali, spettro compatibili ed da
relazioni numeriche. Infine, i risultati dell’analisi di RSL sono stati confrontati con i
segnali ottenuti dalle registrazioni relative il mainshock del 6 aprile 2009, in termini di
storie temporali, spettri di risposta. Inoltre, è stata eseguita un’analisi, di deconvoluzione,
per mezzo della quale è stato possibile eseguire il passaggio dal moto sismico in
superficie, compatibile con le registrazioni delle scosse principali, al moto sismico di
riferimento su roccia rigida affiorante. Questo ha permesso di effettuare un confronto tra
i risultati ottenuti dall’analisi di deconvoluzione nella stazione di AQA e i segnali delle
registrazioni relative il mainshock della stazione di AQV; in termini di storie temporali,
spettri di risposta.
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CAPITOLO 2
PROPAGAZIONE DELLE ONDE SISMICHE A
COMPORTAMENTO MECCANICO DEI TERRENI
2.1 PROPAGAZIONE DELLE ONDE SISMICHE NEL TERRENO
La complessa natura e geometria dei meccanismi di generazione e propagazione di onde
sismiche nel sottosuolo, sembrerebbero pregiudicare la trattabilità del problema della
risposta sismica locale. L’obiettivo ingegneristico non si raggiunge se non operando una
serie di necessarie riduzioni e semplificazioni del problema, in termini sia di azione che
di risposta del materiale, come verrà esposto in seguito. Il fenomeno di vibrazione
prodotto da un evento sismico in sito è il risultato della propagazione di onde elastiche di
volume dalla sorgente, che in profondità attraversano ammassi di roccia lapidea ed in
superficie in genere interessano formazione di terreni sciolti.
Figura 2.1 Propagazione delle onde sismiche da ipocentro a epicentro
(Lanzo G., Silvestri F. 1999)
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Le onde sismiche associate a stati deformativi di compressione-dilatazione volumetrica,
dette onde P, si propagano con velocità pari a:
Dove Eed è il modulo di rigidezza a compressione monodimensionale e ρ la densità del
mezzo. La direzione è parallela allo spostamento dell’elemento di volume investito
dall’onda. Le onde connesse a fenomeni deformativi di tipo distorsionale e invece sono
caratterizzate da velocità di propagazione pari a:
Dove G0 è il modulo di rigidezza a taglio del materiale, la direzione è perpendicolare allo
spostamento dell’elemento di volume investito dall’onda.
(2.2)
(2.1)
0
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Figura 2.2 Rispettivamente Onde sismiche di tipo P onde sismiche di tipo S e Onde di Rayleigh
(Lanzo G., Silvestri F. 1999)
Le velocità nell’attraversare l’interfaccia tra due materiali 1 e 2 (p. es. al contatto tra
roccia e terreno), si verificano contemporaneamente svariati fenomeni:
• la generazione di onde superficiali. In particolare, quando il mezzo di destinazione
d non può trasmettere onde di volume, cioè rappresenta una superficie libera, la
combinazione di componenti P e SV delle onde incidenti genera ‘onde superficiali
Pag. 8 di 131
di Rayleigh’ (Fig. 2.2). Queste onde hanno velocità Vr di poco inferiore alla
velocità delle onde di taglio Vs, e producono vibrazioni in piani verticali
caratterizzate da componenti parallele e perpendicolari alla direzione dell’onda
• la generazione di onde riflesse (nel mezzo di provenienza) e rifratte (nel mezzo di
destinazione), anche di tipo diverso da quella incidente. In Fig. 2.3 è riportato il
caso dell’onda SV incidente secondo una direzione obliqua al piano di
separazione dei mezzi. Le onde SV e P riflesse e rifratte assumono direzioni
diverse da quella originaria , in ragione della ‘legge di Snell’:
i = angolo di incidenza;
r,s = angoli di riflessione (con r = i);
t,u = angoli di trasmissione (o rifrazione);
Vs e Vp sono le velocità delle onde S e P nei due mezzi.
Figura 2.3 Effetti prodotti da un onda SV incidente all’interfaccia di due mezzi
(Lanzo G., Silvestri F. 1999)
(2.3)
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Una modifica di ampiezza degli spostamenti in misura inversamente proporzionale al
prodotto ρV (‘impedenza sismica’) dei mezzi a contatto; nel caso di onde incidenti lungo
la normale all’interfaccia, dette ui, ur, ut rispettivamente le ampiezze di onde incidenti,
riflesse e rifratte, si ha:
dove si è definito con I il ‘rapporto tra le impedenze’ del mezzo di provenienza 2 rispetto
a quello di destinazione 1:
Quale che sia la successione delle formazioni attraversate dalle onde di volume, in genere
la velocità, la densità e l’inclinazione degli strati diminuiscono avvicinandosi alla
superficie. Ne deriva quindi che l’onda sismica, a partire dalla sorgente, segue un percorso
curvilineo che va progressivamente accostandosi alla verticale, mentre gli spostamenti
aumentano di entità. Questo comporta, per esempio, brusche deviazioni del tragitto in
corrispondenza della trasmissione di onde dalla roccia al terreno, come schematicamente
indicato in Fig. 2.1. Per depositi con stratificazione pressoché orizzontale, il fenomeno
sismico può pertanto essere assimilato a treni d'onde di volume che si propagano verso
l'alto a partire dal substrato roccioso di riferimento (bedrock). Nei depositi naturali saturi,
per l’elevata rapidità delle azioni, ci si trova in condizioni di drenaggio impedito: ne
consegue che il fenomeno sismico produce deformazioni volumetriche (associate alle
onde P) trascurabili rispetto a quelle distorsionale (indotte dalle onde S). Si assume quindi
spesso, nella pratica ingegneristica, di poter modellare la propagazione di un moto
sismico mediante l’analisi (in condizioni non drenate nei terreni saturi) di onde S
propagantisi verso l’alto, con un campo di spostamenti del terreno prevalentemente
orizzontale. L’assunzione è oltretutto giustificata dal fatto che il moto più significativo ai
fini della verifica sismica delle opere è quello orizzontale, corrispondente agli
spostamenti del terreno prodotti dalle onde S. Dalle considerazioni precedenti consegue
che lo stato deformativo maggiormente d’interesse per l’analisi del comportamento
meccanico dei terreni sotto azioni sismiche è quello distorsionale.
(2.4)
(2.5)
Pag. 10 di 131
2.1.1 COMPORTAMENTO NON LINEARE E DISSIPATIVO DEL TERRENO
Figura 2.4 Comportamento di un elemento di terreno sottoposto ad una sollecitazione, di taglio semplice
variabile nel tempo con una legge irregolare.
(Lanzo G., Silvestri F. 1999)
La schematizzazione concettuale del fenomeno sismico appena delineata richiede
l’analisi del comportamento meccanico del terreno in corrispondenza di un processo di
carico che sottopone l’elemento di volume, a partire dallo stato tensionale, ad una tensione
tangenziale variabile nel tempo con legge irregolare, W(t) (Fig. 2.4). Per sollecitazioni di
questo genere, prodotte dai terremoti di forte energia (strong-motion), il legame tensione-
deformazione dei terreni si mostra sensibilmente non lineare e non reversibile. Ciò
significa che manifesta dissipazione di energia meccanica e accumulo di deformazioni
permanenti, e risulta fortemente dipendente dalla storia delle sollecitazioni applicate. Per
un singolo ciclo di carico-scarico-ricarico in termini di tensioni tangenziali (Fig. 2.5), il
Pag. 11 di 131
terreno mostra un comportamento efficacemente rappresentabile mediante una coppia di
‘parametri equivalenti’:
• il modulo di rigidezza a taglio G, pari al rapporto tra ampiezze picco-picco di
tensioni e deformazioni tangenziali:
• il fattore di smorzamento D (damping ratio), corrispondente al rapporto:
dove WD è l’energia di deformazione dissipata nell’intero ciclo di scarico-ricarico (area
in chiaro in Fig. 2.5) e WS quella accumulata nel primo ramo di carico (area in scuro). A
seconda dei diversi aspetti osservabili, prima del raggiungimento della rottura si
individuano convenzionalmente tre campi di comportamento, distinti ma contigui:
piccole, medie e grandi deformazioni.
(2.7)
(2.6)
Pag. 12 di 131
Figura 2.5 Definizione dei parametri di rigidezza a taglio G0, e fattore di smorzamento D, in un
ciclo tensione-deformazione tangenziale
(Lanzo G., Silvestri F. 1999)
Figura 2.6 Livelli deformativi ed aspetti del comportamento meccanico del terreno in condizioni di taglio
semplice ciclico
(Lanzo G., Silvestri F. 1999)
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2.1.2 COMPORTAMENTO A PICCOLE DEFORMAZIONI
La Fig. 2.6 mostra che il modulo di taglio equivalente, G, assume un valore iniziale
massimo e poi evidenzia una graduale diminuzione con γ . Nonostante la non linearità del
terreno si manifesti già dai livelli deformativi minimi, si assume convenzionalmente G(γ
) costante e pari a G, per deformazioni inferiori ad una ‘soglia di linearità’. Questa assume
valori variabili tra 0.0001% e 0.01%, in relazione alle caratteristiche granulometriche e
microstrutturali del terreno. A questi livelli deformativi, corrispondenti ad eventi sismici
di energia molto bassa, i cicli Wγ racchiudono un'area molto piccola e la risposta del
terreno è rappresentabile con un modello costitutivo di tipo lineare, cioè con parametri
equivalenti indipendenti dall'ampiezza di deformazione.
2.1.3 COMPORTAMENTO A MEDIE DEFORMAZIONI
Per deformazioni superiori alla soglia γl, il terreno mostra un comportamento
marcatamente non lineare e dissipativo, evidenziato da una sensibile riduzione di
rigidezza G e da un corrispondente aumento dello smorzamento D con γ. Il materiale
conserva tuttavia un comportamento stabile ed indipendente dalla storia di carico; infatti,
sotto una sollecitazione ciclica di ampiezza costante, il terreno ripercorre lo stesso ciclo
tensione-deformazione (Fig. 2.6b). Nella nostra analisi utilizzeremo un modello lineare
equivalente. Il ‘modello lineare equivalente’ è definito dalla variazione dei parametri
equivalenti G e D, associati ad un valore di riferimento dell’ampiezza di deformazione γ
spesso sfruttando opportune relazioni analitiche G( γ ) e D( γ ). Questa assunzione è
frequentemente accoppiata all’uso di equazioni di equilibrio dinamico del mezzo visco-
elastico, mediante opportune relazioni che esprimono il fattore di smorzamento D in
funzione dei parametri di viscosità del materiale (Silvestri et al., 1989). Nelle analisi
dinamiche, l’approccio consente l’adozione di metodi di calcolo iterativi, nel dominio del
tempo o delle frequenze, che progressivamente aggiornano matrici di rigidezza e
smorzamento, o funzioni di trasferimento, per tener conto della dipendenza dei parametri
equivalenti dal livello deformativo ottenuto ad ogni iterazione.
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2.1.4 COMPORTAMENTO A GRANDI DEFORMAZIONI
All’aumentare dell'ampiezza delle sollecitazioni cicliche, si individua un'ulteriore soglia
di deformazione, denominata 'soglia volumetrica', γ v (Fig. 2.6a), oltre la quale il terreno
va soggetto a modifiche microstrutturali irreversibili. Questo livello deformativo è
superiore alla soglia lineare, γ l, per uno-due ordini di grandezza e, analogamente ad essa,
è influenzato da fattori costitutivi. Nel campo delle grandi deformazioni, il
comportamento ciclico dei terreni non può più essere a rigore descritto dalle stesse
relazioni convenzionali, G( γ ) e D( γ ) adoperate per l’analisi dei problemi dinamici ai
livelli deformativi inferiori.
2.2 TECNICHE DI CARATTERIZZAZIONE SPERIMENTALE IN SITO
Per poter eseguire la caratterizzazione geotecnica dei terreni del centro storico aquilano,
a valle del sisma del 6 Aprile, sono state eseguite una serie di indagini in sito; i dati così
ottenuti sono stati inseriti in un database che successivamente è stato utilizzato per la
Microzonazione sismica dell’area di L’Aquila, promosso dal Dipartimento della
Protezione Civile. In generale, accanto allo schema stratigrafico semplificato risultato dei
sondaggi svolti per ogni sito utilizzando i sondaggi a carotaggio continuo, sono
disponibili i profili delle velocità di propagazione delle onde di taglio Vs , ricavate dalle
prove down hole e cross hole. Questi risultati sono importanti anche per capire dove
posizionare il bedrock sismico durante le analisi. Il bedrock sismico è una successione
litostratigrafica caratterizzata da comportamento rigido, ovvero da valori di Vs
significativamente maggiori di quelli delle coperture localmente presenti. Nella
letteratura tecnica e scientifica internazionale il bedrock sismico è generalmente
considerato la roccia caratterizzata da Vs>800 m/s.
2.2.1 SONDAGGI A CAROTTAGGIO CONTINUO
La tecnica di perforazione attualmente più utilizzata per i sondaggi a carotaggio continuo
è a rotazione. Il terreno è perforato da un utensile spinto e fatto ruotare mediante una
batteria di aste. L’utensile di perforazione è un tubo di acciaio munito all’estremità di una
corona tagliente di materiale adeguato. Per evitare che il terreno campionato venga a
contatto con la parte rotante e sia almeno parzialmente protetto dal dilavamento del fluido
di circolazione, il cui impiego si rende talvolta necessario per l’esecuzione del foro,
Pag. 15 di 131
possono utilizzarsi carotieri a parete doppia, di cui solo quella sterna ruota. I risultati di
una perforazione di sondaggio vengono riportati in una scheda stratigrafica ove, oltre ai
dati generali relativi al cantiere e alle attrezzature impiegate, è rappresentata graficamente
la successione degli strati con la descrizione di ciascuno di essi, la profondità della falda,
la profondità dei campioni estratti, la profondità ed i risultati delle prove eseguite nel
corso della perforazione. Un esempio di scheda stratigrafica è riportato in figura 2.8.
Figura 2.7 Sondaggio a carotaggio continuo
(Facciorusso J. et al. 2017)
Pag. 16 di 131
Figura 2.8 Esempio di risultato ottenuto dal carotaggio profili (Gruppo di Lavoro MS–AQ 2010)
Pag. 17 di 131
2.2.2 PROVA GEOFISICA ATTIVA IN FORO: DOWN-HOLE (DH)
Le Prove “Down-hole” rappresentano un compromesso in termini di accuratezza e costi
di esecuzione, in quanto l’utilizzo di un solo foro consente un notevole risparmio sui costi.
La perturbazione meccanica avviene in questo caso sulla superficie del piano campagna
nelle immediate vicinanze del foro e l’onda viene rilevata da uno o più ricevitori
posizionati all’interno del foro stesso (Figura 2.9). La misura viene quindi ripetuta
variando la profondità a cui sono collocati i ricevitori. L’interpretazione può essere
effettuata seguendo almeno due diversi approcci. Una possibilità è quella di riferirsi
all’intervallo temporale tra i primi arrivi delle onde P ed S a due ricevitori posizionati a
diverse profondità, assegnando la velocità stimata al punto intermedio. Purtroppo, però
risente molto delle incertezze nella determinazione dell’istante di rimo arrivo ai due
ricevitori, soprattutto quando il rapporto segnale- rumore delle registrazioni è basso.
Infatti, la determinazione locale della velocità di propagazione è equivalente, dal punto
di vista numerico, alla instabile operazione di differenziazione. Una strategia alternativa
è basata sull’interpretazione dei tempi diretti, con la costruzione di una dromocrona che
rappresenta la variazione dei tempi di primo arrivo con la profondità. Le pendenze medie
individuate per diversi strati, sulla base delle indicazioni stratigrafiche ottenute durante
l’esecuzione dei fori e dei punti di discontinuità individuati nella dromocrona stessa,
consentono la stima delle velocità medie per ciascuno strato.
Figura 2.9 Schema di acquisizione Down-Hole (Crespellani T. 2004)
Pag. 18 di 131
2.2.3 PROVA GEOFISICA ATTIVA IN FORO: CROSS-HOLE (CH)
Le prove “Cross-Hole” sono basate su misure dirette dei tempi di percorrenza di onde di
volume lungo percorsi orizzontali, utilizzando sorgenti e ricevitori posti alla stessa
profondità all’interno del terreno. Esse consentono pertanto la determinazione delle
proprietà del terreno con la maggiore accuratezza ed i minori margini di incertezza,
rispetto ad altre tipologie di prove. Spostando la sorgente e i ricevitori a diverse
profondità, è possibile ottenere un profilo dettagliato monodimensionale di velocità delle
onde S e P. Il grado di dettaglio relativo è molto elevato e la risoluzione raggiungibile con
questo metodo non può essere ottenuta con altri metodi, soprattutto per la
caratterizzazione di strati sottili. Tuttavia, è necessario tenere presente che la prova “cross
hole” presuppone una geometria del deposito a strati piani e paralleli, condizione non
sempre verificata. La modalità di esecuzione consigliata prevede 3 fori nel primo viene
collocata la sorgente che genera la perturbazione, mentre negli altri due vengono collocati
i ricevitori. In questa configurazione, la velocità può essere determinata sulla base della
differenza tra gli arrivi in corrispondenza del secondo e terzo foro, evitando la necessita
del sistema di sincronizzazione che segnala l’istante di attivazione della sorgente, che
rappresenta una delle principali fonti di errore nell’interpretazione della prova eseguita
con due soli fori. In generale l’identificazione degli instanti di arrivo delle onde S e P
viene fatta manualmente, mediante ispezione visiva dei segnali sismici registrati, anche
se talvolta sono utilizzate tecniche più raffinate.
Figura 2.10 Schema di acquisizione Cross-Hole (Crespellani T. 2004)
Pag. 19 di 131
2.2.4 PROVA A GEOFISICA PASSIVA A STAZIONE SINGOLA
Nell’ambito della risposta sismica locale, sono spesso utilizzate tecniche sperimentali
basate sui rapporti spettrali tra coppie di segnali sismici registrati in diverse posizioni, che
forniscono una stima della funzione di amplificazione per il deposito. Misure analoghe
possono essere effettuate registrando le diverse componenti di moto con un sensore tri
direzionale ed analizzano il rapporto tra le componenti spettrali orizzontali e verticali
(METODO H/V). Sotto opportune ipotesi, è possibile dimostrare che tale rapporto è
prossimo alla funzione di amplificazione del deposito. Tali tecniche sono finalizzate
all’identificazione delle frequenze di risonanza proprie del deposito di terreno che ,
sebbene non diano indicazioni dirette sulla caratterizzazione dei depositi, costituiscono
un utile elemento di confronto per gli studi di risposta sismica locale La prova geofisica
passiva è una tecnica basata sull’analisi del campo di onde presenti alla superficie del
terreno come effetti di tipo naturale o antropico, si definiscono passive perché sono legate
all’analisi di una campo d’onde generato da sorgenti non controllate. Se le sorgenti sono
distribuite in modo statisticamente omogeneo attorno al punto di misura e si attivano in
modo non coordinato, allora la parte persistente del campo d’onda risulterà
statisticamente indipendente dalla natura e posizione delle sorgenti e dipenderà
soprattutto dalle caratteristiche del sottosuolo. Si basa sull’analisi dell’ampiezza delle
componenti spettrali del campo di vibrazioni ambientali misurato nelle tre direzioni
spaziali. Il metodo più utilizzato è il metodo di Nakamura dove le frequenze alle quali la
curva H/V mostra dei massimi sono legate alle frequenze di risonanza del terreno. Se la
misura è effettuata su affioramento roccioso la curva H/V non mostra picchi significativi
e l’ampiezza è circa 1. Lo strumento utilizzato per questa tipologia di prove è il
tromometro, ottimizza la misura del microtremore nell’intervallo di frequenze compreso
fra 0.1 e 200 Hz. Il Tromino ottiene questo risultato mantenendo una configurazione
ultracompatta e ultraleggera e può essere posizionato e messo in opera ovunque in pochi
secondi. Le ridotte dimensioni la leggerezza, il bassissimo consumo di energia, l’assenza
totale di cavi esterni e l’alta risoluzione dell’elettronica digitale impiegata, rendono
questo strumento quasi tascabile. Inoltre, lascia virtualmente imperturbato il campo
Pag. 20 di 131
d’onda presente nell’ambiente con un potere risolutivo comparabile con quello garantito
dai più moderni sistemi sismometrici permanenti attualmente disponibili sul mercato.
Figura 2.11 Esempio di frequenza fondamentale del sito
(Facciorusso J. et al. 2017)
Pag. 21 di 131
CAPITOLO 3
RISPOSTA SISMICA LOCALE: RICHIAMI TEORICI E
METODI DI VALUTAZIONE
Con il termine Risposta Sismica Locale s’intende la definizione dello studio della risposta
del terreno a una determinata sollecitazione sismica, finalizzato alla previsione del moto
sismico atteso in superficie in termini di ampiezza, contenuto in frequenza, tensioni e
deformazioni. L’obiettivo è quindi quello di determinare per un assegnato sito d’interesse,
l’entità del moto sismico rispetto a un terreno duro di riferimento (o roccia) e di
confrontare i risultati con quanto previsto dalle normative vigenti in materia di riduzione
del rischio sismico. Lo studio della Risposta Sismica Locale può considerarsi l’aspetto
principale dello studio di microzonazione sismica e sicuramente il più interessante dal
punto di vista geotecnico e ingegneristico. Valutare la pericolosità sismica locale significa
stimare gli effetti dello scuotimento superficiale dovuto a un evento sismico profondo il
quale muta le proprie caratteristiche (ampiezza, direzione e contenuto in frequenza)
durante il percorso che compie dalla sorgente alla superficie libera.
3.1 VALUTAZIONE DELL’AZIONE SISMICA SECONDO LE NTC 2018
Per poter definire l’azione sismica da utilizzare nelle verifiche o nella progettazione. Le
opere e le varie tipologie strutturali devono possedere i seguenti requisiti:
• sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli,
perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere
l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare
gravi danni ambientali e sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera;
• sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le
prestazioni previste per le condizioni di esercizio;
Pag. 22 di 131
• robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni
sproporzionati rispetto
3.1.1 VITA NOMINALE, CLASSI D’USO E PERIODO DI RIFERIMENTO
Le NTC18 prevedono che l’azione sismica sia associata a un periodo di riferimento (Vr)
dell’opera e ad una prefissata probabilità di eccedenza, cui è abbinato un periodo di
ritorno (Tr). Vr definisce il periodo di osservazione per l’accadimento di terremoti di
severità prefissata in base a Tr, mentre allo stato limite è associata la probabilità di
eccedenza, durante tale periodo, dell’azione sismica da considerare.
La Vn definisce la durata della vita di progetto della struttura. Nelle NTC18 vengono
definiti tre diversi valori di Vn, a seconda dell’importanza dell’opera e quindi delle
esigenze di durabilità:
Tabella 3.1 Valori minimi della Vita nominale VN di progetto per i diversi tipi di costruzioni ( NTC18 -
Tab. 2.4.I)
Le classe d’uso servono a dare un significato più chiaro ai coefficienti d’importanza: due
costruzioni appartenenti alla stessa classe d’importanza e quindi costruiti secondo criteri
equivalenti se utilizzate per scopi diversi, richiedono livelli di protezione diversa e quindi
coefficienti d’uso diversi. Nelle NTC18 sono previste quattro classi d’uso, mutuate
essenzialmente dalla normativa europea, con qualche piccolo aggiustamento. A ciascuna
classe d’uso è associato un valore del coefficiente d’uso Cu (tabella 3.2):
• Classe I include costruzioni con una occasionale presenza di persone;
• Classe II è quella delle costruzione ordinarie con normali affollamenti;
• Classe III è quella delle opere rilevanti, con particolari affollamenti, presenza
contemporanea di comunità di dimensioni significative o sostanze pericolose ad
esempio scuole, cinema, teatri ecc. ;
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• Classe IV è quella delle opere strategiche anche in riferimento alla gestione
dell’emergenza come ad esempio municipi, caserme, ospedali
Tabella 3.2 Valori del coefficiente d’uso CU (NTC18- Tab. 2.4.II)
3.1.2 STATI LIMITE, PROBABILITA’ DI ECCEDENZA E PERIODI DI
RITORNO
Nei confronti delle azioni sismiche, sia gli Stati limite di esercizio (SLE) che gli Stati
limite ultimi (SLU) sono individuati riferendosi alle prestazioni della costruzione nel suo
complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali e gli impianti. Gli
Stati limite di esercizio (SLE) comprendono:
• Stato Limite di Operatività (SLO): a seguito del terremoto la costruzione nel suo
complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali e le
apparecchiature rilevanti in relazione alla sua funzione, non deve subire danni ed
interruzioni d'uso significativi;
• Stato Limite di Danno (SLD): a seguito del terremoto la costruzione nel suo
complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali e le
apparecchiature rilevanti alla sua funzione, subisce danni tali da non mettere a
rischio gli utenti e da non compromettere significativamente la capacità di
resistenza e di rigidezza nei confronti delle azioni verticali ed orizzontali,
mantenendosi immediatamente utilizzabile pur nell’interruzione d’uso di parte
delle apparecchiature;
Gli Stati limite ultimi (SLU) comprendono:
• Stato Limite di salvaguardia della Vita (SLV): a seguito del terremoto la
costruzione subisce rotture e crolli dei componenti non strutturali ed
impiantistici e significativi danni dei componenti strutturali cui si associa una
perdita significativa di rigidezza nei confronti delle azioni orizzontali; la
costruzione conserva invece una parte della resistenza e rigidezza per azioni
Pag. 24 di 131
verticali e un margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni
sismiche orizzontali;
• Stato Limite di prevenzione del Collasso (SLC): a seguito del terremoto la
costruzione subisce gravi rotture e crolli dei componenti non strutturali ed
impiantistici e danni molto gravi dei componenti strutturali; la costruzione
conserva ancora un margine di sicurezza per azioni verticali ed un esiguo
margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni orizzontali;
Le probabilità di superamento nel periodo di riferimento PVR, cui riferirsi per individuare
l’azione sismica agente in ciascuno degli stati limite considerati, sono riportate nella Tab.
3.3
Tabella 3.3 Probabilità di superamento Pvr in funzione dello stato limite considerato (NTC18- Tab. 3.2.I)
Fissato il periodo di riferimento VR e la probabilità di superamento associata ad ogni
stato limite Pvt, il periodo di ritorno dell’azione sismica può essere calcolato utilizzando
una relazione biunivoca:
(3)
Tale relazione corrisponde ad assumere che i terremoti seguano un processo temporale di
accadimento. Sostituendo nell’equazione (3) le probabilità di superamento associate ad
ogni stato limite, si ottengono quindi le relazioni tra periodo di ritorno e il periodo di
riferimento VR riportate in Tabella 3.4
Tabella 3.4 Relazioni tra TR e VR per i diversi stati limite
3.1.3 DEFINIZIONE DELLA PERICOLOSITA’ SISMICA DI BASE
Pag. 25 di 131
Le caratteristiche del moto sismico atteso al sito di interesse, o pericolosità sismica di
base, per una prefissata Pvr, si ritengono definite quando se ne conosca l’accelerazione di
picco orizzontale ag ed il corrispondente spettro di risposta elastico in accelerazione Se;
entrambe queste grandezze sono riferite a condizioni di suolo rigido e superficie
topografica orizzontale. Per la prima volta nella NTC18 la pericolosità sismica si sgancia
dalle divisioni amministrative del territorio, cioè non è più vincolata ai confini geografici
dei comuni. Pertanto, al valore di pericolosità di ogni singolo comune italiano, viene
sostituita una definizione per ogni punto del reticolo di riferimento (identificato dalle
coordinate geografiche latitudine e longitudine). Ogni punto del reticolo in cui è stato
suddiviso il territorio nazionale è quindi caratterizzato da specifiche curve di pericolosità,
che forniscono la frequenza media annua di occorrenza di una serie di terremoti
caratterizzati da diversi livelli di severità (espressa in termini di ag). La nuova normativa
non fa più riferimento ad un numero finito di zone sismiche, ciascuna caratterizzata da un
preciso valore di accelerazione di riferimento (ag), ma i valori di pericolosità sono
assegnati ad ogni singolo nodo del reticolo. La pericolosità sismica di base, in condizioni
ideali di sito di riferimento è definita in termini di tre parametri a, F0 e T*
c, dove:
• ag – accelerazione massimo del terreno;
• F0 – valore massimo del fattore di amplificazione dello spettro in accelerazione
orizzontale;
• T*
c – periodo di inizio del tratto a velocità costante dello spettro in accelerazione
orizzontale ;
Pag. 26 di 131
Figura 3.5 Mappa di pericolosità sismica MPS04. Accelerazione massima attesa su suolo rigido con una
probabilità del 10% in 50 anni. [[http://esse1-gis.mi.ingv.it]]
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3.2 VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DI SITO
In generale gli effetti di un terremoto diminuiscono di intensità all’aumentare della
distanza dall’epicentro, ma anche in una certa zona, anche molto circoscritta, possono
esserci maggiori intensità rispetto alle zone vicine. Ciò è dovuto al fatto che le onde
sismiche subiscono delle modificazioni dipendenti da fattori morfologici e stratigrafici
locali. Quindi gli effetti del terremoto non dipendono solo dall’energia liberata ma anche
dall’assetto dei materiali geologici attraversati. Gli studi di microzonazione sismica sono
finalizzati all’individuazione di questi effetti di sito, cioè le condizioni geologiche,
geomorfologiche e geotecniche che a cala locale possono modificare più o meno
intensamente le caratteristiche dello scuotimento sismico, effetti co-sismici, cioè quei
fenomeni che vengono innescati dal terremoto. Gli Effetti di sito che influiscono
maggiormente sulla modificazione del moto sismico sono la morfologia superficiale, le
caratteristiche stratigrafiche e le proprietà geotecniche dei terreni in campo statico e
dinamico (le caratteristiche di un deposito possono "degradarsi" rapidamente se
sottoposte ad un intensa sollecitazione ciclica come quella causata dal passaggio delle
onde sismiche).
Figura 3.6 Amplificazioni stratigrafiche (Crespellani T. 2004)
La previsione delle modificazioni locali del moto sismico, degli spostamenti e delle
deformazioni che possono essere indotte nel terreno dal passaggio delle onde sismiche, è
di fondamentale interesse per la progettazione e la verifica sismica delle opere
Pag. 28 di 131
d’ingegneria civile. Il comportamento sismico di tali opere è infatti significativamente
governato dai movimenti del sottosuolo, transitori e permanenti, differenziali e assoluti,
che possono prodursi a seguito dei terremoti assunti come riferimento; infatti la NTC18
prevede che lazione sismica di base, definita su suolo rigido e superficie topografica
orizzontale, sia opportunamente modificata per tener conto delle condizioni lito-
stratigrafiche e topografiche del sito in esame. Quindi è necessario valutare l’effetto della
risposta sismica locale mediante analisi che consentono di definire le variazioni che il
segnale sismico subisce , a causa delle caratteristiche geologiche dei depositi di terreno e
delle proprietà fisiche e meccaniche dei materiali che li costituiscono. Queste analisi
presuppongono un’adeguata conoscenza delle proprietà geotecniche dei terreni, mediante
specifiche indagini e prove in sito e in laboratorio.
3.2.1 CATEGORIE DI SOTTOSUOLO
Come sopra menzionato, è possibile ricorrere ad una valutazione approssimata
dell’amplificazione lito-stratigrafica, basata sulla definizione di categorie di sottosuolo, a
cui viene associato un valore del coefficiente di amplificazione stratigrafica, che
moltiplica lazione sismica di riferimento.
Figura 3.7 Categorie di sottosuolo che permettono l’utilizzo dell’approccio semplificato (NTC18-Tab.
3.2.II)
Pag. 29 di 131
Vs è legata al periodo fondamentale di un deposito di terreno, che non influenza in modo
significativo l’amplificazione sismica, dalla relazione:
Per quanto riguarda l’approccio semplificato, la classificazione del sottosuolo si effettua
in base alle condizione stratigrafiche ed ai valori della velocità equivalente di
propagazione delle onde di taglio Vs,eq (in m/s ),definita dall’espressione:
Hi = spessore dello strato i-esimo
Vs,i = velocita delle onde di taglio nell’i-esimo strato
N = numero strati
H= profondità del substrato definito come quella formazione costituita da roccia o terreno
molto rigido, caratterizzata da vs non inferiore a 800 m/s
3.2.2 AMPLIFICAZIONE STRATIGRAFICA
Figura 3.8 Effetti stratigrafici (Lanzo G. 2010)
È noto che le caratteristiche dello scuotimento del terreno sono fortemente influenzate
dalle condizioni geologiche, geomorfologiche e geotecniche locali, che modificano anche
(3.1)
(3.2)
Pag. 30 di 131
significativamente, il moto sismico di ingresso al sito, in termini di ampiezza, contenuto
in frequenza e durata. L’amplificazione lito-stratigrafica, causata dalla propagazione
verticale delle onde in profili di suolo caratterizzati da una successione stratigrafica a
strati piani e paralleli, con contrasto di impedenza dal basso verso l’alto(effetti 1D),o dalla
propagazione in configurazioni geologiche complesse, con direzione dell’onda incidente
qualsiasi e generazione di fenomeni diffrattivi e onde di superficie(effetti 2D/3D). Ad
ogni categoria di sottosuolo (Tab.3.9) le NT108 associano un coefficiente di
amplificazione stratigrafica Ss , da applicare alle componenti orizzontali dell’azione
sismica. Viene inoltre definito un coefficiente Cc , che serve per il calcolo del periodo di
controllo Tc corrispondente all’inizio del tratto a velocità costante dello spettro elastico
in accelerazione. In particolare Tc è calcolato come prodotto di Cc e del T*
C , ottenuto
dallo studio di pericolosità. Si noti che, a parità di T*
C, , i valori di Cc aumentano al
decrescere della rigidezza del suolo, ovvero passando dalla cat.A,alle cat.B,C e D di suoli
più scadenti. A parità di categoria di sottosuolo il coefficiente Cc decresce al crescere di
T*
C, con il risultato di spostare l’effetto di amplificazione massima verso periodi più
elevati, aumentando l’estensione del tratto orizzontale caratterizzato da ordinata spettrale
massima.
Tabella 3.9 Classificazione del sito in categorie di sottosuolo prevista dalle NTC18 e definizione dei
coefficienti Ss e Cc (NTC18- Tab. 3.2.IV)
Pag. 31 di 131
3.2.3 AMPLIFICAZIONE TOPOGRAFICA
L’amplificazione topografica è un altro effetto locale che concorre a modificare
ampiezza, frequenza e durata dell’azione sismica di progetto; è causata dalla presenza di
eventuali irregolarità topografiche o dalle caratteristiche geomorfologiche del sito, che
producono fenomeni di focalizzazione delle traiettorie di propagazione delle onde
sismiche in presenza di rilievi, creste e avvallamenti.
Figura 3.10 Effetti topografici (Lanzo G. 2012)
Nel caso in cui il sito di costruzione sia caratterizzato da una superficie topografica che
si discosta da un superficie pianeggiante, le NTC18 consentono, per configurazioni
topografiche semplici, il ricorso ad una valutazione approssimata dell’amplificazione
topografica, basata sulla definizione di una serie di categorie topografiche. In particolare,
le NTC18 prevedono l’esistenza di 4 categorie topografiche, a ciascuna delle quali viene
associato un valore specifico del coefficiente di amplificazione topografica ST che
moltiplica l’azione sismica di riferimento. Le categorie topografiche “si riferiscono a
configurazioni geometriche prevalentemente bidimensionali, creste o dorsali allungate, e
devono essere considerate nella definizione dell’azione sismica se di altezza maggiore di
30 m”. Nel caso di siti di costruzione aventi altezza inferiore a 30 m, gli effetti di
amplificazione topografici possono essere trascurati. Tali effetti possono essere in oltre
trascurati (ST=1) per pendii e rilievi isolati con inclinazione media non superiore a
15°,ovvero i casi ricadenti nella cat. topografica T1. La Tabella 3.11 riporta la definizione
delle 4 categorie topografiche considerate nelle NTC18 e i corrispondenti valori massimi
del coefficiente di amplificazione topografica ST:
Pag. 32 di 131
Tabella 3.11 Categorie topografiche (NTC18-Tab. 3.2.III)
Tabella 3.12 Valori massimi del coefficiente di amplificazione topografica ST (NTC18 - Tab. 3.2.V)
La variazione spaziale del coefficiente di amplificazione topografica è definita da un
decremento lineare con l’altezza del pendio o rilievo, dalla sommità o cresta fino alla base
dove ST assume valore unitario.
3.3 VALUTAZIONE DELL’AZIONE SISMICA DI RIFERIMENTO
L'azione sismica è caratterizzata da 3 componenti traslazionali di moto, due orizzontali
contrassegnate da X ed Y ed una verticale contrassegnata da Z, da considerare tra di loro
indipendenti. Secondo le NTC18, lazione sismica può essere descritta per mezzo
dell’accelerazione orizzontale di picco attesa in superficie, definita dalla pericolosità
sismica di base ed eventualmente modificata per tener conto degli effetti di sito.
Alternativamente, in funzione del tipo di analisi da eseguire, l’azione simica può essere
descritta dallo spettro di risposta elastico in accelerazione (componente orizzontale e
verticale), oppure da opportune terne accelerometriche. In generale, il modello utilizzato
più frequentemente nelle applicazioni strutturali per rappresentare l’azione sismica è lo
spettro di risposta elastico in accelerazione, con smorzamento strutturale del 5%. Esso è
il luogo matematico dei picchi della risposta in accelerazione (in valore assoluto) di una
famiglia di oscillatori semplici ad un grado di libertà, ciascuno con un diverso valore del
periodo fondamentale e con un prefissato valore dello smorzamento strutturale. Questa
Pag. 33 di 131
definizione può essere facilmente estesa agli spettri di risposta elastici in velocità e
spostamento. La scelta delle modalità di rappresentazione dell’input sismico dipende
dalle finalità e dal tipo di analisi simica che si intende effettuare. Nel caso di un “analisi
lineare ( statica o dinamica) o un “analisi statica non lineare, l’azione sismica deve essere
descritta attraverso uno spettro di risposta in accelerazione. Nel caso di analisi dinamica
non lineare, l’azione sismica è rappresentata da accelerogrammi. Secondo le NTC18, le
due componenti orizzontali di moto, ortogonali tra loro e indipendenti, sono in generale
uguali, sia che l’azione sismica sia descritta in termini di spettri di risposta, sia di
accelerogrammi, ad eccezione dei casi in cui ci siano significativi effetti di campo. Se la
risposta viene valutata mediante analisi statica o dinamica in campo lineare, essa può
essere calcolata separatamente per ciascuna delle tre componenti; la risposta a ciascuna
componente, è combinata con gli effetti pseudo-statici indotti dagli spostamenti relativi
prodotti dalla variabilità spaziale della componente stessa, utilizzando la radice quadrata
della somma dei quadrati.
3.3.1 SPETTRO DI RISPOSTA ELASTICO IN ACCELERAZIONE
Lo spettro di risposta elastico in accelerazione è espresso da una forma spettrale (spettro
normalizzato) riferita ad uno smorzamento convenzionale del 5%, moltiplicata per il
valore della accelerazione orizzontale massima ag su sito di riferimento rigido orizzontale.
Sia la forma spettrale che il valore di ag variano al variare della probabilità di superamento
nel periodo di riferimento Vr. Gli spettri così definiti possono essere utilizzati per strutture
con periodo fondamentale minore o uguale a 4,0 s. Per strutture con periodi propri
superiori a 4 secondi, quali ad esempio edifici molto alti o strutture isolate alla base, lo
spettro di risposta in accelerazione deve essere definito sulla base di apposite analisi di
pericolosità sismica. In alternativa, l’azione sismica può essere descritta per mezzo di
accelerogrammi.
3.3.1.1 SPETTRO DI RISPOSTA ELASTICO IN ACCELERAZIONE DELLE
COMPONENTI ORIZZONTALI
Nelle NTC18, lo spettro di risposta elastico in accelerazione delle componenti
orizzontali è caratterizzato da quattro rami, descritti da specifiche espressioni analitiche,
ed è riferito ad un valore convenzionale dello smorzamento del 5%. Le equazioni dei
Pag. 34 di 131
quattro rami dello spettro di risposta elastico in accelerazione previsto dalle NTC18(
punto 3.2.3.2.1) sono:
Nelle quali:
• T è il periodo proprio di vibrazione
• S è il coefficiente che tiene conto della categoria di sottosuolo e delle condizioni
topografiche mediante la relazione seguente
essendo Ss il coefficiente di amplificazione stratigrafica e St il coefficiente di
amplificazione topografica
• n è il fattore che altera lo spettro elastico per coefficienti di smorzamento viscosi
convenzionali Β diversi dal 5%, mediante la relazione:
• ag è l’accelerazione di picco orizzontale su sito di riferimento rigido orizzontale
• F0 è il fattore che quantifica l’amplificazione spettrale massima, su sito di
riferimento rigido orizzontale, ed ha valore minimo pari a 2,2
(3.6)
(3.4)
(3.5)
Pag. 35 di 131
• Tc è il periodo corrispondente all’inizio del tratto a velocità costante dello spettro
,dato dalla relazione
dove: T*
c è definito al C3.2.2 e Cc è un coefficiente funzione della categoria di sottosuolo.
• TB è il periodo corrispondente all’inizio del tratto dello spettro ad accelerazione
costante, dato dalla relazione
• TD è il periodo corrispondente all’inizio del tratto a spostamento costante dello
spettro, espresso in secondi mediante la relazione:
Per categorie speciali di sottosuolo, per determinati sistemi geotecnici o se si intenda
aumentare il grado di accuratezza nella previsione dei fenomeni di amplificazione, le
azioni sismiche da considerare nella progettazione possono essere determinate mediante
più rigorose analisi di risposta sismica locale. Queste analisi presuppongono un’adeguata
conoscenza delle proprietà geotecniche dei terreni e, in particolare, delle relazioni sforzi-
deformazioni in campo ciclico, da determinare mediante specifiche indagini e prove.
3.3.1.2 SPETTRO DI RISPOSTA ELASTICO IN ACCELERAZIONE DELLA
COMPONENTE VERTICALE
Lo spettro di risposta elastico in accelerazione della componente verticale del moto
sismico, Sve, è definito dalle espressioni:
(3.7)
(3.8)
(3.9)
Pag. 36 di 131
nelle quali:
T ed Sve sono, rispettivamente, periodo di vibrazione ed accelerazione spettrale verticale;
Fv è il fattore che quantifica l’amplificazione spettrale massima, in termini di
accelerazione orizzontale massima del terreno ag su sito di riferimento rigido orizzontale,
mediante la relazione:
I valori di ag, F0, S, n sono definiti nel C3.3.1.1 per le componenti orizzontali del moto
sismico; i valori di SS, TB, TC e TD, salvo più accurate determinazioni, sono riportati nella
Tab.3.14:
Tab. 3.14 Valori dei parametri dello spettro di risposta elastico della componente verticale (NTC18-Tab.
3.2.VI)
3.3.2 IMPIEGO DI ACCELEROGRAMMI
L’utilizzo di metodi di analisi avanzati per strutture e le opere geotecniche richiede che
l’azione sismica sia rappresentata mediante un numero prefissato di terne
accelerometriche. Le NTC18 stabiliscono che gli stati limite, ultimi e di esercizio,
possono essere verificati mediante l’uso di accelerogrammi, appartenenti ad una delle
seguenti categorie:
(3.10)
(3.11)
Pag. 37 di 131
• accelerogrammi naturali, ovvero registrazioni accelerometriche relative ad eventi
sismici realmente avvenuti, reperibili in banche dati digitali “strong motion”
accreditate, nazionali e internazionali.
• accelerogrammi artificiali, ottenuti mediante tecniche di sintesi, eventualmente
vincolati ad essere compatibili con uno spettro di risposta obiettivo;
• accelerogrammi sintetici, ottenuti mediante una simulazione numerica del
fenomeno della rottura, basata su un modello cinematico di sorgente sismica
estesa e su un modello elastodinamico di propagazione delle onde fino al sito di
interesse.
In generale è preferibile utilizzare accelerogrammi naturali, che sono più realistici in
termini di contenuto in frequenza, durata, numero di cicli, correlazione tra componenti
orizzontali e verticali contenuto energetico in relazione ai parametri sismogenetici, inoltre
riflettono in modo compiuto tutti i fattori che caratterizzano un accelerogramma. Gli
accelerogrammi utilizzati devono essere compatibili con le caratteristiche del moto
sismico atteso per il sito di riferimento e derivanti da un’analisi di pericolosità sismica
locale.
Le NTC18 al punto 3.2.3.6 affermano che, “L’uso di accelerogrammi artificiali non è
ammesso nelle analisi dinamiche di opere e sistemi geotecnici. L’uso di accelerogrammi
generati mediante simulazione del meccanismo di sorgente e della propagazione è
ammesso a condizione che siano adeguatamente giustificate le ipotesi relative alle
caratteristiche sismogenetiche della sorgente e del mezzo di propagazione. L’uso di
accelerogrammi registrati è ammesso, a condizione che la loro scelta sia rappresentativa
della sismicità del sito e sia adeguatamente giustificata in base alle caratteristiche
sismogenetiche della sorgente, alle condizioni del sito di registrazione, alla magnitudo,
alla distanza dalla sorgente e alla massima accelerazione orizzontale attesa al sito. Gli
accelerogrammi registrati devono essere selezionati e scalati in modo da approssimare gli
spettri di risposta nel campo di periodi di interesse per il problema in esame.”
Le NTC18 al punto 3.2.3.6 stabiliscono inoltre un requisito di spettro-compatibilità per
gli accelerogrammi artificiali, consiste nel fatto che ” L'ordinata spettrale media non deve
presentare uno scarto in difetto superiore al 10%, rispetto alla corrispondente componente
dello spettro elastico, in alcun punto del maggiore tra gli intervalli 0,15s ÷ 2,0s e 0,15s ÷
Pag. 38 di 131
2T, in cui T è il periodo fondamentale di vibrazione della struttura in campo elastico, per
le verifiche agli stati limite ultimi, e 0,15 s ÷ 1,5 T, per le verifiche agli stati limite di
esercizio. Nel caso di costruzioni con isolamento sismico, il limite superiore
dell’intervallo di coerenza è assunto pari a 1,2 Tis, essendo Tis il periodo equivalente della
struttura isolata, valutato per gli spostamenti del sistema d’isolamento prodotti dallo stato
limite in esame.”
Inoltre si osserva che le NTC18, prescrivono che il requisito di spettro-compatibilità sopra
descritto, debba essere soddisfatto soltanto nel caso si utilizzino accelerogrammi
artificiali. Specificano inoltre che “gli accelerogrammi registrati devono essere
selezionati e scalati in modo da approssimare gli spettri di risposta nel campo di periodi
di interesse per il problema in esame”.
3.4 ANALISI DELLA RISPOSTA SISMICA LOCALE
La scelta dell’azione sismica di progetto deve essere effettuata congruentemente con le
condizioni locali presenti al sito. La prassi è quella di definire inizialmente l’azione
sismica in funzione delle caratteristiche generali di sismicità del sito e con riferimento ad
un sottosuolo ideale, rigido e con topografia orizzontale, sotto forma di parametri del
moto, di picco o spettrali o sottoforma di storia temporale dell’accelerazione. Come passo
successivo, questi parametri sono opportunamente modificati in funzione delle specifiche
condizioni locali, al fine di valutare le caratteristiche del moto sismico in superficie o alla
profondità di interesse. Le principali procedure di analisi di risposta sismica locale si
distinguono in:
• metodi empirici (correlazioni);
• relazioni approssimate;
• metodi numerici (codici di calcolo);
Le NTC2018 per determinare la risposta sismica locale fanno riferimento a due approcci:
• un approccio semplificato che si basa sulla classificazione del sottosuolo e
l’individuazione, mediante apposite tabelle fornite dalla normativa (NTC 2018,
C3.2.2-3)
Pag. 39 di 131
• un approccio rigoroso che per mezzo di un’analisi della risposta sismica locale
fornisce in modo più accurato i valori dei parametri necessari per definire gli
spettri di risposta in accelerazione per il sito della costruzione.
Inoltre per compiere un analisi di risposta sismica locale monodimensionale o
bidimensionale abbiamo bisogno di alcune informazioni riguardanti il terreno e la roccia:
• pesi dell’unità di volume sia del terreno che della roccia di base;
• profilo delle velocita di taglio Vs del terreno;
• velocità delle onde di taglio del bedrock sismico;
• coefficiente di Poisson v e velocità delle onde di compressione Vp (SOLO
ANALISI 2D);
• curve di decadimento del modulo di taglio G/G0(γ) e di incremento del fattore di
smorzamento D(γ);
3.4.1 METODI EMPIRICI
I metodi empirici si basano sull’elaborazione statistica di alcune caratteristiche del moto
sismico ottenute da registrazioni strumentali relative a differenti condizioni di sottosuolo.
Questi metodi consentono di determinare alcune caratteristiche della risposta in
superficie, in termini di parametri di picco del moto:
• Valore di picco dell'accelerazione amax o PGA;
• Spettro di risposta in accelerazione Sa(T);
la stima di questi parametri può essere effettuata direttamente mediante abachi o leggi di
attenuazione oppure attraverso la determinazione di fattori di amplificazione di picco o
spettrali, moltiplicativi dei parametri del moto sismico definiti su sottosuolo rigido di
riferimento. In generale il grado di accuratezza con cui sono determinati tali parametri è
strettamente connesso alla qualità delle informazioni disponibili (geologiche e/o
geotecniche) per definire le condizioni del sottosuolo. Un ulteriore criterio di suddivisione
dei metodi empirici può quindi essere basato sulla modalità di classificazione del
sottosuolo al sito di interesse.
Pag. 40 di 131
3.4.2 METODI NUMERICI
Per determinati sistemi geotecnici, per particolari condizioni di sottosuolo o se si intende
aumentare il grado di accuratezza nella previsione dei fenomeni di amplificazione, è
possibile ricorrere ad analisi numeriche della risposta sismica locale. Queste analisi sono
effettuate mediante codici di calcolo che simulano la propagazione di onde sismiche entro
un deposito di terreno, dalla sottostante formazione rocciosa fino in superficie. I codici di
calcolo disponibili possono operare in tensioni totali o tensioni efficaci, utilizzando
modelli lineari equivalenti o non lineari. Le analisi numeriche forniscono, non soltanto i
valori massimi della risposta ma anche le storie temporali delle tensioni tangenziali (τ),
delle deformazioni tangenziali (γ), delle accelerazioni e i corrispondenti spettri di risposta
e di Fourier, in superficie e anche a profondità intermedie nel sottosuolo. In generale, le
analisi numeriche si sviluppano attraverso tre fasi:
• definizione del modello geometrico e geotecnico del sottosuolo;
• definizione delle azioni sismiche di ingresso al basamento;
• scelta di un codice di calcolo e tipo di risultati ottenuti.
Il modello geometrico tipicamente utilizzato nelle analisi numeriche è quello
monodimensionale, rappresentato da un deposito di terreno con superficie orizzontale,
uniforme o stratificato orizzontalmente, poggiante su un basamento roccioso anch’esso a
superficie orizzontale.
Figura 3.15 Rappresentazione schematica di un’analisi numerica mono-dimensionale di risposta sismica
locale e rappresentazione di alcuni tipici risultati( linee guida AGI 2005)
Pag. 41 di 131
Nel modello 1-D i parametri geotecnici caratterizzanti sono:
• peso dell’unità di volume
• velocità delle onde di taglio alle piccole deformazioni Vs (o modulo di taglio
massimo G0)
• curve G/G0(γ) e D(γ)
Lo sviluppo di tecniche di modellazione, per l’analisi di risposta sismica locale, nel corso
degli ultimi anni ha portato a disporre oggi di una vasta gamma di applicazioni numeriche
per la valutazione del comportamento di un deposito sottoposto ad azione sismica.
Ciascun’applicazione, basata su modelli fisici consolidati e costantemente implementati
per migliorarne l’affidabilità, considera solo alcuni dei parametri che contribuiscono a
determinare la risposta sismica del sito. Per questo motivo ogni modello, identificato dalle
proprie caratteristiche operative in ragione dei parametri d’ingresso considerati, non può
essere utilizzato in tutte le situazioni possibili ma deve essere scelto in base alla
complessità richiesta dalla situazione reale cui deve essere applicato. Così, per
rappresentare una situazione relativamente semplice in termini di geometria del deposito,
effetti di bordo, amplificazione topografica, eterogeneità del deposito ecc.., un modello
eccessivamente complesso e “pretenzioso” riguardo il recepimento dei dati necessari, può
non essere il modello migliore da utilizzare. Le azioni sismiche di ingresso sono
rappresentate da accelerogrammi, reali o artificiali, compatibili con lo spettro di risposta
in accelerazione atteso su roccia. Gli accelerogrammi reali devono essere preferibilmente
selezionati in funzione di condizioni simili, in termini di ambiente tettonico, tipo di faglia,
magnitudo e distanza epicentrali, a quelle che governano le caratteristiche di sismicità al
sito di interesse. La scelta di questi accelerogrammi, generalmente in numero non
inferiore a 4, può essere effettuata nei database nazionali o internazionali, previa
valutazione della loro compatibilità con lo spettro di risposta su roccia; in alternativa
possono essere utilizzati accelerogrammi artificiali. Il principale vantaggio di questo
metodo è che risulta possibile riprodurre compiutamente lo spettro di risposta atteso su
roccia con un singolo accelerogramma. Di contro, essi non rappresentano moti “reali” e
quindi possono presentare un numero di cicli e un contenuto energetico, in tutto il campo
di frequenze, maggiore di quello che competerebbe ad un accelerogramma naturale di
pari ampiezza. Per questo motivo sarebbe preferibile disporre di più accelerogrammi
Pag. 42 di 131
artificiali che forniscono un identico spettro di risposta in accelerazione ma sono
caratterizzati da differenti pulsazioni presenti nel treno d’onda. I codici di calcolo più
frequentemente utilizzati per le analisi 1-D sono quello lineare equivalente SHAKE e
quello non lineare DESRA-2. Il codice di calcolo più diffuso per lo studio della risposta
locale bi-dimensionale è quello lineare equivalente QUAD4/QUAD4M. In generale i
codici di calcolo forniscono:
• le storie temporali delle tensioni tangenziali, delle deformazioni tangenziali, delle
accelerazioni e i corrispondenti spettri di risposta e di Fourier, in superficie e a
profondità intermedie nel sottosuolo;
• l’andamento con la profondità dei valori massimi di accelerazione, tensione e
deformazione di taglio.
Numerosi codici di calcolo sono attualmente disponibili per l’analisi numerica della
risposta sismica locale. Questi codici possono essere suddivisi principalmente in funzione
della geometria del modello e del tipo di analisi, lineare equivalente o non lineare, in
tensioni totali o tensioni efficaci. L’analisi lineare equivalente è condotta in tensioni totali.
Essa permette una trattazione semplificata del problema e allo stesso tempo di tenere in
conto aspetti complessi quali l’eterogeneità del deposito e la non linearità del legame
sforzi deformazione del terreno. Di contro l’analisi lineare equivalente non consente di:
• valutare gli eccessi di pressione interstiziale indotti;
• tenere conto del decadimento delle caratteristiche di rigidezza dei terreni
conseguente al processo di accumulo delle pressioni interstiziali;
• effettuare il calcolo delle deformazioni permanenti.
Le analisi non lineari possono essere condotte in tensioni totali e in tensioni efficaci.
L’adozione di un modello non lineare in tensioni efficaci consente di tenere conto di
importanti aspetti del comportamento ciclico del terreno quali:
• la generazione degli eccessi di pressione interstiziale, particolarmente rilevante se
l’analisi della risposta locale è finalizzata alla stima del potenziale di liquefazione
di un deposito;
• la ridistribuzione e la eventuale dissipazione degli eccessi di pressione interstiziale
durante e dopo il terremoto;
Pag. 43 di 131
• il decadimento progressivo delle caratteristiche di rigidezza dei terreni;
• le deformazioni permanenti.
In generale l’analisi non lineare consente quindi una modellazione più accurata e aderente
alla realtà del comportamento sforzi-deformazioni del terreno, rispetto ad un’analisi
lineare equivalente. La scelta tra l’analisi lineare equivalente e quella non lineare deve
essere adeguatamente ponderata in funzione dell’obiettivo dell’analisi e del costo
necessario per determinare valori rappresentativi dei parametri di input richiesti
dall’analisi. In prima approssimazione, questa scelta può essere effettuata sulla base del
livello di deformazione di taglio indotto nel terreno.
Figura 3.16 Campi di deformazione e associati metodi di analisi (Lanzo G. 2010)
3.5 RISPOSTA SISMICA LOCALE DI UN SOTTOSUOLO IDEALE
Lo schema di base, per un modello di sottosuolo semplice, è un problema
monodimensionale, rappresentato da uno strato di terreno omogeneo di spessore H,
poggiante su un basamento roccioso orizzontale, ed eccitato da una oscillazione armonica
costituita da un‟ onda di taglio S di frequenza F, incidente al basamento con direzione di
propagazione verticale. I parametri responsabili della variazione del modello sono i
seguenti:
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Figura 3.17 Modello monodimensionale (Lanzo G. 2010)
Geometrici :
• spessore del deposito di terreno H
Fisici-meccanici:
Terreno
• ρs= densità
• Vs= velocità onde di taglio
• D = fattore di smorzamento
• ρsVs= impedenza sismica
Roccia
• ρr= densità
• Vr= velocità onde di taglio
• D = 0
• ρrVr= impedenza sismica
Pag. 45 di 131
3.5.1 STRATO OMOGENEO ELASTICO SU SUBSTRATO RIGIDO
Figura 3.18 Modello monodimensionale di strato omogeneo elastico con substrato rigido (Lanzo G.
2010)
Nello schema più elementare si assume l’ipotesi di terreno a legame costitutivo elastico
lineare e substrato rigido con ρs e Vs sono rispettivamente indicate la densità e la velocità
delle onde di taglio del terreno. Il moto di vibrazione orizzontale può essere descritto
dall’equazione differenziale di equilibrio dinamico, che governa il problema della
propagazione delle onde all’interno di uno strato elastico:
(3.12)
dove, u(z,t) è la componente orizzontale dello spostamento. Nell’ipotesi di sollecitazione
armonica di frequenza circolare, facendo un separazione di variabili la soluzione diventa:
(3.13)
dove, p(z) è la funzione di forma, la quale descrive la distribuzione con le profondità delle
ampiezze di spostamento, in ogni punto variabili con frequenza pari a quella di
sollecitazione. Effettuando delle operazioni di sostituzione e di derivazione si ottiene che
l’espressione finale dello spostamento orizzontale:
(3.14)
che rappresenta un “onda stazionaria di ampiezza.
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La situazione più pericolosa in termini di fenomeni di amplificazione si verifica quando
la frequenza dell’eccitazione(ω) è pari ad una delle frequenze fondamentali dello strato
ωn (risonanza). In queste condizioni l’ampiezza del moto è teoricamente infinita.
Figura 3.19 Esempio di risonanza (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
3.5.2 STRATO OMOGENEO ELASTICO SU SUBSTRATO DEFORMABILE
Figura 3.20 Modello monodimensionale di strato omogeneo elastico con substrato deformabile e
propagazione delle onde (Lanzo G. 2010)
Le onde che si propagano verso il basso, a seguito della riflessione sulla superficie del
terreno, sono in parte riflesse all’interno dello strato e in parte trasmesse nella roccia
sottostante(smorzamento geometrico o di radiazione) Nel precedente caso di basamento
rigido le onde sono invece completamente riflesse dal substrato e restano “imprigionate”
nello strato dando luogo ad amplificazioni irrealistiche. La fig.3.15 riproduce il caso di
strato di terreno elastico lineare poggiante su semispazio roccioso deformabile, indicando
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con ρr e Vr rispettivamente la densità e la velocità delle onde di taglio della roccia di base
ricordando questa relazione (2.5):
(3.15)
Si indichi il rapporto tra impedenza sismica della roccia di base ρrVr e quella del terreno
ρsVs. Se invece si calcola il rapporto tra l’ampiezza dello spostamento in corrispondenza
dalla superficie dello strato e quella in corrispondenza dell’affioramento della roccia di
base, si ottiene una funzione di trasferimento:
(3.16)
La funzione di amplificazione Ad(w), modulo della funzione di trasferimento Hda(w) è:
(3.17)
In ipotesi di roccia deformabile, la funzione di amplificazione dipende, oltre che dalle
proprietà meccaniche del terreno, anche da quelle della roccia di base attraverso il
rapporto di impedenza I. In figura 3.15 è riportato l’andamento della funzione di
amplificazione in funzione del fattore di frequenza F, per diversi valori del rapporto di
impendenza roccia terreno. Per confronto, è anche riportata la funzione di amplificazione
relativa al caso precedente di substrato rigido. I valori massimi della funzione di
amplificazione assumono valori finiti e sono pari proprio al rapporto di impedenza. I
fenomeni di amplificazione sono tanto più marcati quanto maggiore è il contrasto di
impedenza tra la roccia di base e quella del terreno sovrastante
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Figura 3.21 Funzione di amplificazione relativa ad uno strato omogeneo elastico su substrato
deformabile (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
3.5.3 STRATO OMOGENEO VISCO-ELASTICO SU SUBSTRATO RIGIDO
Figura 3.22 Modello monodimensionale di strato omogeneo visco-elastico con substrato rigido (Lanzo G.
2010)
Le funzioni di amplificazione sin qui considerate sono state ricavate sulla base dell’ipotesi
di comportamento elastico lineare del sottosuolo d’altro canto nei terreni sono sempre
presenti fenomeni di dissipazione d’energia per smorzamento interno. Un modello di
riferimento più realistico può essere ottenuto assimilando il terreno a un mezzo visco-
elastico lineare, la cui equazione differenziale di equilibrio dinamico si scrive:
(3.18)
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Ove n è il coefficiente di viscosità. Applicando la definizione di smorzamento al mezzo
visco-elastico, è possibile mostrare che, per un ciclo di sollecitazione armonica a
frequenza w, vale la relazione:
(3.19)
Analogamente a quanto visto nel 3.12 ponendo la soluzione u (z,t) nella forma 3.13,
l’equazione di equilibrio dinamico si scrive:
(3.20)
In base a considerazioni analoghe a quelle effettuate nel 3.12, si arriva alla espressione
della funzione di trasferimento complessa, valutata come rapporto tra l’ampiezza dello
spostamento in corrispondenza della superficie dello strato e quella in corrispondenza del
basamento roccioso:
(3.21)
Di conseguenza, il numero d’onda complesso:
(3.22)
La funzione di trasferimento ha quindi espressione:
(3.23)
E la funzione di amplificazione si ottiene ancora una volta come modulo della Hr*(w):
Pag. 50 di 131
(3.24)
L’andamento della funzione di amplificazione con il fattore di frequenza F è
rappresentato in figura 3.23, per diversi valori del fattore F. I picchi di risonanza si
riducono pertanto all’aumentare della frequenza F, in maniera più marcata quanto
maggiore è D. L’effetto è ben illustrato anche dalle funzioni in forma. In corrispondenza
dalla prima frequenza naturale risulta, ponendo n=1
(3.25)
In definitiva, per uno strato omogeneo a comportamento visco-elastico lineare poggiante
su substrato rigido, il valore massimo dell’amplificazione, attinto in corrispondenza della
frequenza fondamentale, dipende soltanto dallo smorzamento del terreno ed è
inversamente proporzionale ad esso. L’influenza dei fenomeni di smorzamento interno
sulla funzione di amplificazione è poi sempre più significativa all’aumentare di F.
Figura 3.23 Funzione di amplificazione relativa ad un strato omogeneo visco-elastico su substrato rigido
(Lanzo G., Silvestri F. 1999)
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3.5.4 STRATO OMOGENEO VISCO-ELASTICO SU SUBSTRATO
DEFORMABILE
Figura 3.24 Modello monodimensionale di strato omogeneo visco-elastico con substrato deformabile
(Lanzo G. 2010)
La funzione di trasferimento, calcolata come rapporto tra le ampiezze di spostamento in
corrispondenza della superficie del terreno e dell’affioramento roccioso. Per D = 0, in
assenza cioè di smorzamento interno del terreno, la funzione di amplificazione diminuisce
Per un fissato valore di D>0 , l’amplificazione massima aumenta al crescere del rapporto
di impedenza I, similmente , a parità di rapporto di impedenza I, si verifica una riduzione
del picco di amplificazione all’aumentare di D.
Figura 3.25 Influenza del rapporto di impedenza I sull’amplificazione massima relativa alla frequenza
fondamentale. Nel caso di strato omogeneo visco-elastico su substrato deformabile (Lanzo G., Silvestri F.
1999)
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3.6 RISPOSTA SISMICA DI UN SOTTOSUOLO REALE
La funzione di amplificazione di un sito fornisce, come si è appena visto, una
rappresentazione dell’effetto filtrante di un deposito. Tale funzione mette in evidenza che
essa può indurre effetti significativi sull’effetto di amplificazione del moto sismico
incidente o, viceversa, se tali effetti possano addirittura tradursi in un’attenuazione delle
ampiezze in superficie. Nel dominio delle frequenze, è possibile esprimere il fenomeno
di amplificazione attraverso l’operazione cosiddetta di convoluzione (prodotto frequenza
per frequenza):
(3.26)
Tra lo spettro di Fourier del moto al bedrock, Fr(f), e la funzione di trasferimento H(f)
del deposito, ottenendo così lo spettro di Fourier del moto in superficie, Fs(f).
Figura 3.26 Schema di calcolo della risposta di un banco omogeneo eccitato da un segnale sismico
(Lanzo G., Silvestri F. 1999)
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In questo esempio raffigurato, si può osservare come la risposta superficiale sia
fortemente condizionata dalla prima frequenza di vibrazione del sottosuolo intorno a 2Hz
in quanto l’eccitazione sismica alla base è caratterizzata da un contenuto in frequenza
abbastanza uniforme. Se il moto di riferimento avesse però un contenuto energetico
concentrato in corrispondenza di 5-6Hz la risposta in superficie potrebbe risultare più
elevata nell’intorno di tale frequenza piuttosto che di quella fondamentale.
3.6.1 ETEROGENEITA’ DEL TERRENO
L’effetto dell’eterogeneità del banco sulla funzione di amplificazione è mostrato
efficacemente dall’esempio che prende spunto dall’analisi della riposta delle argille
tenere di città del Messico, che verrà più volte ripreso in seguito. In base ai dati
sperimentali disponibili, il banco in esame è caratterizzabile da una distribuzione
parabolica della velocità delle onde di taglio Vs, crescente con la profondità. La funzione
di amplificazione relativa al modello di terreno eterogeneo è confrontata con quella
relativa al caso di un sottosuolo omogeneo con velocita delle onde di taglio costante in
tutto lo strato e pari al valore medio. Come già anticipato l’effetto di eterogeneità porta
all’avvicinamento delle frequenze fondamentali del sottosuolo omogeneo. Nel complesso
entrambi i fattori implicano che ridurre un sottosuolo con proprietà di rigidezza in
aumento con la profondità ad un banco omogeneo equivalente può sottostimarne i
potenziali di amplificazione del moto sismico.
Figura 3.27 Caso di Città del Messico; profili di velocità (a) e confronto tra funzioni di amplificazione(b)
relative alle ipotesi di sottosuolo omogeneo e eterogeneo (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
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3.6.2 INFLUENZA DEL COMPORTAMENTO NON LINEARE DEL TERRENO
In generale tutte le osservazioni strumentali di eventi sismici hanno mostrato l’evidenza
di fenomeni di non linearità nel comportamento del terreno. Esistono diversi criteri
“diagnostici” per identificare una risposta non lineare del terreno da analisi di
registrazione strumentali. Questi criteri si basano su confronti tra :
• Fattori di amplificazione ( in termini di accelerazione di picco)
• Funzioni di amplificazione spettrale ( spettri di Fourier o di accelerazione)
Per eventi sismici di debole e forte intensità. La figura 3.28 mostra l’influenza della non
linearità sull’accelerazione di picco; per semplicità si considera uno strato di terreno
omogeneo, poggiante su un basamento roccioso orizzontale, soggetto ad un moto sismico
avente valori dell’accelerazione di picco amax, r ,via via crescenti ,al bedrock.
Figura 3.28 Influenza della non linearità sull’accelerazione di picco (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
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(a) (b) (c) (d)
Figura 3.29 Variazione dei profili di deformazione taglio massima γmax,del modulo di taglio G,del
fattore di smorzamento D e dell’accelerazione di picco amax (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
A causa del comportamento non lineare del terreno, al crescere di amax, r si ha un
aumento della deformazione di taglio massima e una riduzione del modulo di taglio e un
aumento del fattore di smorzamento. Per bassi livelli di energia del terremoto di
riferimento, l’accelerazione di picco lungo il profilo dello strato aumenta dal basamento
roccioso alla superficie (curve 1-2 fig. 3.29d). Per alti livelli di energia, l’accelerazione
di picco viceversa diminuisce (curva 3). Questo si verifica perché, a causa della non
linearità la riduzione delle caratteristiche di rigidezza del terreno riduce la trasmissione
di frequenze elevate; al contrario l’aumento del fattore di smorzamento abbatte i picchi
di amplificazione delle ampiezze di spostamento. La non linearità del comportamento del
terreno influenza anche la funzione di amplificazione (fig.3.30). Al crescere dell’intensità
del moto sismico la frequenza fondamentale di vibrazione dello strato F si riduce a causa
della riduzione del modulo di taglio G. Il valore di picco della funzione di amplificazione
si riduce a causa dell’aumentare del fattore di smorzamento D. Inoltre, al crescere
dell’intensità del moto sismico i picchi della funzione di amplificazione si riducono e si
spostano verso frequenze minori (fig.3.30).
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Figura 3.30 Influenza della non linearità sull’accelerazione di picco (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
3.6.3 EFFETTI DI BORDO
Dopo lunghi studi è stato possibile riconoscere che alla superficie di depositi alluvionali
possono verificarsi fenomeni di amplificazione, con notevole aumento del tempo di un
moto sismico. Nel caso di deposito di terreno legittimamente riconducibile a uno schema
monodimensionale, è stato osservato che le cause principali di amplificazione sono
dovute al fenomeno di intrappolamento di onde S all’interno del deposito che la risonanza
determina dalla prossimità delle frequenze del moto al substrato a quelle naturali di
vibrazione del deposito. Nel caso di una valle alluvionale, oltre ai fattori sopra
menzionati, bisogna considerare gli effetti di bordo dovuti alla bidimensionalità. Il primo
effetto è quello che si verifica lungo le strisce di terreno poste al margine di valli
alluvionali dovute all’interferenza tra campo d’onda riflesso e quello rifratto. Mentre il
secondo effetto è quello che viene prodotto dall’incidenza delle onde sismiche in
corrispondenza dell’interfaccia non orizzontale. Le onde di superficie così generate in
presenza di basamento roccioso e un’alta impedenza tra terreno e roccia restano confinate
all’interno della valle e sono soggette a riflessioni multiple.
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Figura 3.31 Schema di generazione di onde in superficie prodotte da effetti di bordo ai margini di una
valle alluvionale (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
Al fine di esplorare la sensibilità della risposta sismica 2D dei bacini trapezoidali a diversi
parametri come la geometria del bacino e le proprietà del materiale, viene condotta una
vasta serie di analisi numeriche di bacini con terreno omogeneo con comportamento
lineare visco-elastico. L'omogeneità e il comportamento visco-elastico sono scelti come
presupposto di riferimento e l’approssimazione del primo passo, una pratica abituale in
questo tipo di studi. Il codice consente anche simulazioni 1D per i modelli 1D locali
definiti dalle distribuzioni dei parametri del materiale lungo ciascuna linea della griglia
verticale. (tabella 3.33)
I Parametri sono:
• Width (m) = lunghezza del bacino
• Thickness (m)= profondità del bacino considerato fino al bedrock
• Angles set (deg) = angoli del bacino
• Velocity contrast= contrasto di velocità tra roccia fresca e sedimenti (Vc=Vs
deposito/ Vs bedrock)
• Shape ratio= Rapporto di forma, definito come il rapporto tra lo spessore
• T0,c=il periodo fondamentale 1D al centro del bacino (T0, c = 4h / Vs), che
combina le caratteristiche della geometria del bacino e le proprietà dei sedimenti.
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Tabella 3.33 Main geometrical and dynamic properties of all models. (Riga et.al 2016)
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Figura 3.32 Geometrical configuration of the models (Riga et.al 2016)
Trentadue geometrie (Fig. 3.32) di larghezza, w, spessore, h , angoli del bordo inclinati,
a1-a2 vengono analizzate. Le combinazioni larghezza-spessore selezionate, indicate nella
Tabella 3.6.3a, sono combinate con quattro coppie di angoli di bordo inclinati a1-a2 (20-
20 °, 45−45°,65-65°,20-65°). Per ciascuno configurazione geometrica tre diversi materiali
omogenei sono considerati per i sedimenti, per un totale di 96 modelli di bacini. Il
materiale del bedrock sismico è lo stesso in tutti i modelli. Una volta calcolato il proprio
bacino si mette a confronto con questi modelli e si trova quella che approssima meglio
uno dei risultati. Infine l’amplificazione indotta dal bacino è quantificata attraverso un
fattore di aggravamento dipendente dal periodo (AGF), definito come il rapporto tra gli
spettri di risposta all’accelerazione 2D e 1D lungo la superficie del bacino. Vengono
studiate la distribuzione spaziale dei fattori di aggravamento massimo, che sono di
interesse ingegneristico, lungo la larghezza del bacino, nonché la loro dipendenza dai
parametri esaminati. La risposta 2D deve essere deamplificata rispetto alla corrispondente
risposta 1D in particolare per le pendenze ripide. Il MaxAGF aumenta con il rapporto di
forma e l’aumento è più pronunciato nella parte centrale del bacino. Quindi anche i fattori
di aggravamento variano al variare della regione ( tabella 3.35).
Figura 3.34 Divions of basins into regions (Riga et. al 2016)
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Tabella 3.35 Maximum values of mean aggravation factors for regions a1,b 1,c 1,d1,e 1 of Figura 3.6.4
(Riga et.al 2016)
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4. CASO DI STUDIO IN ABRUZZO (L’AQUILA): LA STAZIONE
ACCELEROMETRICA AQA
4.1 DESCRIZIONE DELL’AREA DI STUDIO
Il terremoto che nella notte tra domenica e lunedì 6 Aprile 2009, alle 3.32 locali, ha
devastato il centro storico della città di L’Aquila e decine di paesi lungo la valle del fiume
Aterno ha avuto una magnitudo locale stimata Ml=5.8 ed una magnitudo momento
Mw=6.1 (INGV, 2009). Il terremoto è stato preceduto da una lunga sequenza sismica
(Ml<4.0) iniziata nella seconda metà di dicembre nella zona a sudovest di L’Aquila
(bacino di Roio) e culminata con un evento di Ml=4.1 il 30 Marzo 2009. Due scosse
avvenute a cavallo della mezzanotte del 5 Aprile (Ml=3.9 e Ml=3.5), fortemente avvertite
dalla popolazione aquilana, hanno indotto molte persone a passare la notte nelle
automobili od a spostarsi in luoghi ritenuti più sicuri, così che l’evento devastante delle
3.32 ha causato probabilmente meno vittime di quante la gravità dei crolli ne avrebbe
provocate. I danni maggiori si sono verificati nella città di L’Aquila, popolata da circa
73000 abitanti, e molti piccoli villaggi del circondario, come Paganica, Onna,
Castelnuovo, hanno subito danni significativi. Durante l’evento sismico hanno perso la
vita 309 persone e altre 1500 circa sono risultate ferite. Il terremoto ha condotto
all’evacuazione di circa 80.000 residenti nelle aree colpite e ha lasciato circa 24000 di
questi senza casa. Accanto ai danni riportate dalle abitazioni, ci sono stati effetti anche
sull’ambiente fisico: fratturazioni, frane sismo indotte, sprofondamenti, liquefazioni e
fenomeni deformativi. L’area sismica si estende per circa 20 km in direzione nord-ovest
sud-est. Castelnuovo ed Onna sono risultati i paesi maggiormente danneggiati. Le località
visitate sono state oltre 300 ed a ciascuna è stato assegnato il grado nella scala MCS
(Mercalli, Cancani, Sieberg). In figura 4.1 viene rappresentato l’epicentro macrosismico
con la stella vuota, laddove per ipocentro macrosismico si intende il punto esatto,
all'interno del sottosuolo, in cui avviene la frattura che dà origine alle onde sismiche. In
occasione di grandi terremoti un gruppo di “pronto intervento macrosismico” (QUEST:
Quick Earthquake Survey Team), composto da operatori afferenti a diverse istituzioni, si
attiva al fine di realizzare il rilievo speditivo del danneggiamento in termini di scala MCS.
Anche in tale occasione il QUEST ha provveduto a stimare i danni, assegnando a ciascuna
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delle località visitate il rispettivo grado della scala MCS. Coppito, località presso la quale
è ubicata la nostra stazione accelerometrica di AQA, è stata classificata dal QUEST con
Is=VII , il che implica “terremoto che viene notato da tutti con paura, molti fuggono
all’aperto, alcuni hanno la sensazione d’instabilità. Liquidi si muovono fortemente;
quadri, libri e cose simili cadono dalle pareti e dagli scaffali; porcellane si frantumano;
suppellettili assai stabili, e perfino pezzi d’arredo vengono spostati se non rovesciati;
piccole campane in cappelle e chiese, e orologi di campanili battono. Case isolate,
solidamente costruite subiscono danni leggeri; spaccature all’intonaco, caduta del
rinzaffo di soffitti e di pareti. Danni più forti, ma non ancora pericolosi, si hanno sugli
edifici mal costruiti. Qualche tegola e pietra di camino cade”. (Sieberg. 1930).
Figura 4.1 Distribuzione dei punti di intensità MCS. (Galli P. et al., 2009).
A seguito del sisma, sono stati prodotti numerosi studi relativi ai risultati delle stazioni
accelerometriche della valle dell’Aterno (AQG, AQA, AQV,AQM,AQF) , in quanto esse
si trovano lungo un bacino e potrebbero essere soggette a un effetto amplificativo a causa
di quest’ultimo; grazie alle registrazioni del 6 aprile 2009, siamo in grado di studiare le
variazioni della risposta del terreno dalla zona di bordo alla zona centrale. Per poter
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studiare tale effetto bidimensionale, si è fatto riferimento alla pubblicazione di Riga et al.
2016, la quale pone dei coefficienti di amplificazione per gli spettri da 1D a 2D. Nel caso
specifico abbiamo scelto la stazione di AQA, ubicata a Coppito, in quanto anch’essa si
trova lungo questo all’interno di questo bacino.
4.2 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO
Nella figura 4.1 viene mostrata la stazione di AQA (Viale Delle Fiamme Gialle, Coppito),
la quale è ubicata sulla sponda destra del fiume Aterno ad una quota di 693 m.s.l.m. ed è
caratterizzata da una classe topografica di tipo T1, con coordinate pari a 42.37553° di
latitudine e 13.3393° di longitudine ed è caratterizzata secondo le NTC18 da una categoria
di sottosuolo di tipo B. Nella Figura 4.2 vengono mostrate tutte le stazioni
accelerometriche posizionate nella valle del fiume Aterno. Esse sono composte tutte da
cabine in vetroresina, sono posizionate in superficie e sono di tipo permanente.
Figura 4.1 Inquadramento geografico di AQA
(https://earth.google.com/web/@42.37528046,13.33840289,641.13823213a,909.67710827d,35y,-
4.75034902h,4.36470664t,0r)
AQA
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Tabella 4.2a Caratteristiche delle stazioni accelerometriche posizionate nella valle dell’Aterno
Figura 4.2b Postazioni accelerometriche AQA, AQF, AQG, AQM e AQV nella Valle dell’Aterno. Le frecc
e indicano il tracciato della faglia di Pettino. Il verso di scorrimento del fiume Aterno è da sinistra verso
destra ( Di Capua Giuseppe et al. 2009)
Indirizzo Latitudine Longitudine m.s.l.m.
Categoria
di
sottosuolo
(NTC18)
Categoria
topografica
(NTC18)
AQV Via dei
Colatoi II,
L’Aquila
42.37722° 13.34389° 692 B T1
AQG Via Colle
dei Grilli,
Coppito
42.37347° 13.33703° 721 A T1
AQF Konrad
Adenauer,
L’Aquila
42.38054° 13.35474° 836 B T2
AQM Via
Antica
Arischia,
L’Aquila
42.37864° 13.34926° 724 A T1
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4.3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E SISMO-TETTONICO
Ci sono due principali set di faglie attive nell’area di interesse: l’uno, nel settore più
esterno della catena degli Appennini , caratterizzato da faglie e sistemi di faglia normali
c.d. “silenti”, le quali presentano evidenze geologiche e geomorfologiche di attività tardo
pleistocene superiore-olocene, alle quali tuttavia non è possibile attribuire terremoti da
catalogo (sistemi di faglie della Laga, di Campo Imperatore e del Monte Morrone,
rispettivamente LMFS, CIFS e MMFS in Fig. 4.3); l’altro, nel settore più interno, al quale
sono stati associati gli eventi più distruttivi presenti nei repertori sismologici (sistemi di
faglie dell’alta valle dell’Aterno, di Campo Felice Ovindoli e del Fucino, rispettivamente
UAFS, CFCFS,OPFS e FFS in Fig.4.3). La Figura 4.3 mostra schematicamente i due set
di faglie ed i terremoti con Mw 6.3 associati al sistema occidentale. Il terremoto del 1703
(2 febbraio, Mw=6.7) è stato causato dall’attivazione del sistema di faglie dell’alta valle
dell’Aterno (UAFS; faglie del M. Marine e del M. Pettino), quello del 1349 molto
dubitativamente dal sistema di faglie intorno a Campo Felice (OPFS-CFCFS, faglie di
Ovindoli-Pezza, Campo Felice e Colle Cerasitto) e quello catastrofico del 1915 (Mw=7)
dal sistema di faglie del Fucino (FFS). Per quanto concerne il terremoto del 1461
(Mw=6.5), Galadini & Galli (2000) non forniscono indicazioni se non la possibilità che
esso sia stato generato dalla faglia di Assergi, oppure da una delle faglie minori nella valle
dell’Aterno (presumibilmente faglie di Paganica-San Demetrio PSDFS). Infine, per
quanto concerne i possibili tempi di ritorno simili a quello dell’Aprile 2009, è possibile
ipotizzare un intervallo di qualche centinaio di anni. Infatti, ipotizzando che il terremoto
del 1461 sia “gemello” di quello del 2009 e che sia stato generato dalla stessa sorgente, il
tempo trascorso tra i due è di 550 anni e potrebbe essere preso come riferimento per questa
classe di magnitudo. Tuttavia, dal momento che il sistema di faglie di Paganica può
interagire con i sistemi posti sia a nord-ovest con UAFS che a sud-est con MAFS, non si
possono escludere terremoti anche più grandi al di fuori di questo arco temporale. A
sostegno di ciò si pensi al terremoto più forte del 1703, che potrebbe essere stato generato
dal sistema Paganica.
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Figura 4.3 Schema delle faglie attive primarie dell’appennino aquilano. LMFS, sistema di faglie dei
Monti della Laga; CIFS, sistema di faglie del Monte San Franco (ad occidente) e di Campo Imperatore
(ad oriente); UAFS, sistema di faglie dell’alta valle dell’Aterno (i.e., faglie del Monte Marine e del Monte
Pettino); in grassetto: PSDFS, sistema di faglie di Paganica-San Demetrio (a, segmento Collebrincioni-
Colle Praticciolo; b, Colle Enzano; c, Paganica; d, San Gregorio; e, San Demetrio): l’intero sistema ha
mostrato segni di riattivazione superficiale in occasione del terremoto del 6 Aprile; MAFS, sistema di
faglie della media valle dell’Aterno; MMFS, sistema di faglie bordiero della piana di Sulmona (faglie del
Monte Morrone); CFCFS, sistema di faglie di Campo Felice-Colle Cerasitto; OPFS, faglie di Ovindoli-
Piano di Pezza; FFS, sistema di faglie del bacino del Fucino.(Gallo et al. 2009)
Pag. 67 di 131
L’area epicentrale del terremoto del 6 Aprile 2009 è localizzata nella parte centrale della
catena appenninica, in corrispondenza di uno dei più complessi bacini post-orogeni di
origine tettonica: il bacino dell'Aquila (Fig. 4.4). La depressione morfo-tettonica,
corrispondente alla parte dell’alta e media valle dell’Aterno, ospita spesse successioni di
sedimenti continentali pliocenico-quaternari generalmente di origine lacustre o fluviale,
distinte in numerose unità deposizionali. Nella zona di L’Aquila – Scoppito, affiora la più
antica unità deposizionale, denominata pianola, costituita da sabbie e limi stratificati di
origine lacustre del pleistocene inferiore-pliocene superiore. Questi sedimenti sono
caratterizzati da abbondante presenza di granuli di quarzo, plagioclasio e miche che
suggeriscono una provenienza dalle aree di affioramento dei flysch, progressivamente e
parzialmente smantellati dall’erosione. Sono probabilmente da riferire a questa unità
anche le cosiddette “megabrecce di L’Aquila”, depositi caratterizzati dalla presenza di
ammassi caotici di brecce carbonatiche, inglobanti blocchi anche di grandi dimensioni,
intercalati a volte a livelli limoso sabbiosi. L’unità deposizionale di pianola presenta
importanti deformazioni con significative inclinazioni degli strati verso nord. Depositi
con caratteristiche simili sono presenti anche in altri bacini intramontani dell’Appennino
laziale-abruzzese, come ad esempio il Fucino e la valle del Salto, dove in base alle
caratteristiche sedimentologiche, ai rapporti stratigrafici con le unità più recenti ed al fatto
che contengono blocchi calcarei non più affioranti ai bordi degli attuali bacini, è stata
ipotizzata una loro età pliocenica (Bosi et al. 2003). L’ipotesi che anche l’unità di pianola
abbia un’età maggiore di 1,77 Ma è suggerita sia dalle intense deformazioni che la
contraddistinguono, indicativa di lunga storia tettonica, sia dalla polarità magnetica
normale che la contraddistingue e riferibile verosimilmente all’epoca Gauss (Messina et
al. 2001).
Pag. 68 di 131
Figura 4.4 Schema geologico del bacino di L'Aquila.( Gruppo di Lavoro MS–AQ 2010)
A causa del terremoto del 6 Aprile 2009 il centro storico de L’Aquila ha subito danni tali
da far prevedere, fin dai primi momenti, la necessità di diversi anni per la sua
ricostruzione, ma anche il resto del territorio comunale ha mostrato segni di distruzione
vasti, anche se non diffusi in modo uniforme. Questa circostanza ha reso evidente la
necessità di uno studio approfondito e sistematico, finalizzato a definire in dettaglio le
caratteristiche geomorfologiche del territorio, in modo da poter individuare sia le aree più
adatte per la costruzione delle strutture alloggiative, sia le linee di fattibilità della
successiva ricostruzione effettuata in termini di massima sicurezza antisismica. Lo studio
di microzonazione è stato promosso e coordinato dal dipartimento della protezione civile
e dalla regione Abruzzo; ha consentito di rispondere alle esigenze poste dalla
ricostruzione dei comuni aquilani che hanno subito un’intensità macrosismica pari o
superiore al VII grado MCS. Gli studi di microzonazione sismica hanno l’obiettivo di
razionalizzare la conoscenza sulle alterazioni che lo scuotimento sismico può subire in
superficie, restituendo informazioni utili per il governo del territorio, per la progettazione,
per la pianificazione per l’emergenza e per la ricostruzione post-sisma. I comuni
interessati sono stati raggruppati in 12 macroaree e per ciascuna area sono state riportate
tutte le elaborazioni e la sintesi delle indagini realizzate. L’area oggetto di studio è
individuata nella macroarea 2. Quest’ultima si estende per circa 20 km2
, da ovest a est,
dalla scuola della guardia di finanza di Coppito a S. Antonio-Pile e, da nord a sud, Dal
Pag. 69 di 131
M. Pettino al M. Roio, comprendendo trasversalmente per intero la valle del fiume Aterno
e del suo affluente Raio. La stazione accelerometrica di AQA si trova nella carta
geologica della macroarea2 (figura 4.7) sulla sezione M2S4 tra la 5^ e la 6^ sezione. Si
può notare che il terreno sottostante è composto da due tipologie di depositi alluvionali.
Il primo è un deposito alluvionale del fiume Aterno e del torrente Raio, composto da
un’alternanza di ghiaie eterometriche parzialmente clasto-sostenute, con elementi
calcarei sia arrotondati che subangolosi, che presentano embricature a sabbie sottilmente
stratificate con lenti e livelli limoso-argillosi intercalati. Questi depositi affiorano ad una
quota compresa tra 640 e 590m. Più in profondità troviamo dei depositi alluvionali
terrazzati del fosso Vetoio; essi sono strati di spessore e dimensione variabile composte
da ghiaie, sabbie, limi sabbiosi e argillosi. Le ghiaie presentano varie colorazioni: alcuni
strati sono giallastri, dovuti principalmente alla sabbia presente come matrice; altri sono
rosso-bruno, a causa di processi di alterazione; altri ancora sono grigio-nerastri per via di
patine di manganese. Tali ghiaie sono di natura prevalentemente calcarea e
subordinatamente silicea ed i clasti provengono prevalentemente dalle formazioni di
scarpata-bacino delle unità del Gran Sasso. Le ghiaie hanno varie classificazioni: da poco
a fortemente cementate con legante calcitico, arrotondate e con una sfericità nell’insieme
bassa e in alcune porzioni, si notano gradazione più o meno evidenti dirette e inverse ed
embriciature. Le sabbie si dispongono in lenti di vario spessore ed in livelli con
laminazioni piano-parallele e incrociate, alternate alle ghiaie, a *formare strutture tipo
forset. I sedimenti più fini, presenti nella parte sommitale della serie, sono costituiti da
limi sabbiosi ed argillosi di colore grigiastro, ricchi di gasteropodi dulcicoli e
caratterizzati da un’alta percentuale di minerali vulcanici; al di sopra di questi ultimi è
presente un livello tufitico di 20 cm. Questo tipo di sedimenti affiorano a quote comprese
tra 625 e 640 metri. Lo spessore non supera i 30 metri. Infine, nella parte più profonda è
presente la Maiolica detritica, che corrisponde a una roccia sedimentaria detritica,
dall’aspetto porcellanaceo ed è costituita da calcari quasi puri, compatti, a grana fine, con
stratificazione continua e regolare in strati con spessori da 10 a 35 cm e con noduli di
selce di colore grigio.
Pag. 70 di 131
Figura 4.5 Carta geologica. Unità quaternarie Ri riporti; Cl depositi eluvio-colluviali;Dt detrito di
falda, Al depositi alluvionali del fiume Aterno e del torrente Raio, Cd depositi di conoide del Monte
Pettino, At depositi alluvionali terrazzati del fosso Vetoio, Br1 brecce dell’Aquila, Mo unità terrigena
marnosa, Ma maiolica detritica e calciruditi a fucoidi, Co corniola e calcari diasprini detritici, A
giacitura strati, B strati orizzontali, C faglia, D sovrascorrimento, E specchio di faglia inclinato con
indicazione della immersione e della inclinazione, F zona cataclasata, G orlo di terrazzo fluviale, H
conoide alluvionale e di detrito, I frana sismoindotta, L sondaggio, M traccia dei profili (Gruppo di
Lavoro MS–AQ 2010)
Figura 4.7 Sezione geologica .Dt detrito di falda, Al depositi alluvionali del fiume Aterno e del torrente
Raio, Cd depositi di conoide del Monte Pettino, At depositi alluvionali terrazzati del fosso Vetoio, Mo
unità terrigena marnosa, Ma maiolica detritica e calciruditi a fucoidi, Co corniola e calcari diasprini
detritici. profili (Gruppo di Lavoro MS–AQ 2010)
Pag. 71 di 131
4.4 CARATTERIZZAZIONE GEOTECNICA E GEOFISICA
La valutazione della risposta sismica locale non può non avere un’accurata ricostruzione
del modello geologico del sottosuolo tramite l’utilizzo delle informazioni geologiche di
superficie, nonché indagini geotecniche e geofisiche. L’acquisizione di numerosi
parametri (tra cui spessori, velocità e densità dei litotipi indagati, ricavati tramite l’utilizzo
delle indagini condotte) costituisce il primo passo per gli studi di microzonazione sismica,
i quali possono essere sfruttati come input per le modellazioni. Questo tipo di approccio
è di fondamentale importanza per la valutazione della risposta sismica locale in quanto,
permette di simulare il comportamento dei terreni al verificarsi di un evento sismico. Le
caratteristiche geotecniche del nostro terreno sono state determinate tramite un sondaggio
a carotaggio continuo, fino alla profondità di 30 metri. Nella figura 4.8 possiamo notare
l’andamento stratigrafico localizzato al di sotto della stazione accelerometrica di AQA. Il
sito è stato sottoposto anche a una prova down-hole utilizzata per calcolare il profilo delle
velocità. L’unione di questi profili serve a ricostruire un modello che possa essere
utilizzato per le analisi numeriche. Nel profilo delle velocità sono presenti onde S e onde
P, ma nel di specie si tratterà solo delle onde S, poiché le onde P vengono utilizzate solo
per analisi di tipo 2D. Il profilo delle velocità mostra un andamento di questo tipo: 1-4
metri Vs= 245 m/s; 4-8 metri Vs= 575 m/s; 9 metri Vs= 945 m/s; 9-19 metri Vs=700/800
m/s ; 20 metri Vs=955 m/s ;20-30 metri Vs= 900m/s. Nella figura 4.8 presenta il risultato
del sondaggio a carotaggio continuo che mostra un terreno eterogeneo composto da: 0-1
metro terreno di riporto; 1-4 metri argilla limosa con pietrisco; 4 -6 metri ghiaie sabbiosa
; 6-17 metri argilla limosa con pietrisco; 17-20 metri roccia calcarea; 20-30 metri argilla
limosa con pietrisco.
Pag. 72 di 131
Figura 4.8 Profilo della stratigrafia e delle velocità di propagazione Vs e Vp profili (Gruppo di Lavoro
MS–AQ 2010)
Nella figura 4.9 viene mostrata la frequenza fondamentale, calcolata con l’analisi del
microtremore. Quest’ultima è una tecnica di analisi passiva, non invasiva, a stazione
singola del rumore sismico ambientale presente attorno ad una determinata posizione
sulla superficie del terreno; viene utilizzata per accertare che il modello di sottosuolo
realizzato abbia la stessa frequenza fondamentale di quello reale. Senza questa prova non
è possibile utilizzare il nostro modello per le successive analisi. Il tipo di curva mostrata
in figura è a picco singolo e misura 10 Hz.
Risposta sismica locale della stazione accelerometrica AQA
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Risposta sismica locale della stazione accelerometrica AQA

  • 1. Pag. 1 di 131 Il ringraziamento più grande va a mia madre e mio fratello, per avermi sempre spronato a non lasciare questo percorso nonostante le tante delusioni e difficoltà. A miei coinquilini che mi hanno sostenuto durante le fatiche e lo sconforto degli esami non passati. A Leo e Fabrizio amici di vita i quali anche loro sono stati importanti in questo percorso, sostenendomi non solo nei momenti di difficoltà ma nella vita in generale. Ai colleghi e agli amici conosciuti durante questo percorso, un ringraziamento va anche a loro che nonostante tutto sono entrati nella mia vita universitaria e sono riusciti a renderla più semplice.
  • 2. Pag. 2 di 131 1. Introduzione 2. Propagazione delle onde sismiche e comportamento meccanico dei terreni 2.1. Propagazione delle onde sismiche nel terreno 2.1.1. Comportamento non lineare e dissipativo del terreno 2.1.2. Comportamento a piccole deformazioni 2.1.3. Comportamento a medie deformazioni 2.1.4. Comportamento a grandi deformazioni 2.2. Tecniche di caratterizzazione sperimentale in sito 2.2.1. Sondaggi a carotaggio continuo 2.2.2. Prova geofisica attiva in foro – Down-Hole (DH) 2.2.3. Prova geofisica attiva in foro – Cross-Hole (CH) 2.2.4. Prova geofisica passiva a stazione singola 3. Risposta sismica locale: richiami teorici e metodi di valutazione 3.1. Valutazione dell’azione sismica secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC18) 3.1.1. Vita nominale, classi d’uso e periodo di riferimento 3.1.2. Stati limite, probabilità di eccedenza e periodi di ritorno 3.1.3. Definizione della pericolosità sismica di base 3.2. Valutazione degli effetti di sito 3.2.1. Categorie di sottosuolo 3.2.2. Amplificazione stratigrafica 3.2.3. Amplificazione topografica 3.3. Valutazione dell’azione sismica di riferimento 3.3.1. Spettro di risposta elastico in accelerazione 3.3.2. Impiego di accelerogrammi 3.4. Analisi della risposta sismica locale 3.4.1. Metodi empirici 3.4.2. Metodi numerici 3.5. Risposta sismica locale di un sottosuolo ideale 3.5.1. Strato omogeneo elastico su substrato rigido 3.5.2. Strato omogeneo elastico su substrato deformabile 3.5.3. Strato omogeneo visco-elastico su substrato rigido 3.5.4. Strato omogeneo visco-elastico su substrato deformabile 3.6. Risposta sismica locale di un sottosuolo reale 3.6.1. Influenza dell’eterogeneità 3.6.2. Influenza del comportamento non lineare del terreno 3.6.3. Effetti di bordo 4. Caso di studio in Abruzzo (L’Aquila): la stazione accelerometrica AQA 4.1. Descrizione dell’area di studio 4.2. Inquadramento geografico 4.3. Inquadramento geologico e sismo-tettonico 4.4. Caratterizzazione geotecnica e geofisica
  • 3. Pag. 3 di 131 5. Analisi di risposta sismica locale per la stazione accelerometrica AQA 5.1. Descrizione del software STRATA 5.1.1. General setting 5.1.2. Finestra soil types 5.1.3. Finestra motions 5.1.4. Finestra output specification 5.1.5. Finestra results 5.2. Definizione del modello di sottosuolo 5.3. Definizione dell’input sismico 5.4. Risultati 5.4.1. Analisi lineare 5.4.2. Analisi lineare equivalente 5.4.2.1. Modello 1A 5.4.2.2. Modello 1B 5.4.2.3. Modello 2B 5.4.2.4. Modello 3A 5.4.2.5. Modello 3B 5.4.2.6. Modello 4B 5.5. Confronti 6. Deconvoluzione dell’input sismico registrato dalla stazione accelerometrica AQA 6.1. Definizione del problema 6.2. Applicazione dell’input deconvoluto nella stazione sismica di AQV 6.2.1. Definizione del modello di sottosuolo 6.3. Risultati 6.4. Confronti 7. Conclusioni
  • 4. Pag. 4 di 131 CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Il terremoto che nella notte tra domenica e lunedì 6 aprile 2009, alle 3.32 locali ha devastato il centro storico della città di L’Aquila e decine di paesi lungo la valle del fiume Aterno ha avuto una magnitudo locale stimata Ml=5.8 ed una magnitudo momento Mw = 6.1 (INGV, 2009). Il terremoto è stato preceduto da una lunga sequenza sismica (Ml < 4.0) iniziata nella seconda metà di dicembre 2008 nella zona a sudovest di L’Aquila (bacino di Roio) e culminata con un evento di Ml = 4.1 il 30 marzo 2009. Il terremoto di L’Aquila ha generato, in relazione alle numerose repliche, la più grande e completa mole di dati sperimentali, registrazioni accelerometriche e sismometriche a larga-banda. Grazie alle informazioni fornite dalle registrazioni ottenute dalle stazioni permanenti e dalle stazioni mobili, si è potuto ampliamente affrontare il fenomeno near-fault, caratterizzato da una maggiore concentrazione di energia nel range delle alte frequenze e da alti valori della componente verticale rispetto a quella orizzontale. Nel caso di studio affrontato si è sviluppata un’analisi di risposta sismica locale (RSL) nel centro della valle del fiume Aterno; in termini di valori di picco, misure spettrali e misure integrali; ottenute utilizzando input sismici selezionati da database nazionali, spettro compatibili ed da relazioni numeriche. Infine, i risultati dell’analisi di RSL sono stati confrontati con i segnali ottenuti dalle registrazioni relative il mainshock del 6 aprile 2009, in termini di storie temporali, spettri di risposta. Inoltre, è stata eseguita un’analisi, di deconvoluzione, per mezzo della quale è stato possibile eseguire il passaggio dal moto sismico in superficie, compatibile con le registrazioni delle scosse principali, al moto sismico di riferimento su roccia rigida affiorante. Questo ha permesso di effettuare un confronto tra i risultati ottenuti dall’analisi di deconvoluzione nella stazione di AQA e i segnali delle registrazioni relative il mainshock della stazione di AQV; in termini di storie temporali, spettri di risposta.
  • 5. Pag. 5 di 131 CAPITOLO 2 PROPAGAZIONE DELLE ONDE SISMICHE A COMPORTAMENTO MECCANICO DEI TERRENI 2.1 PROPAGAZIONE DELLE ONDE SISMICHE NEL TERRENO La complessa natura e geometria dei meccanismi di generazione e propagazione di onde sismiche nel sottosuolo, sembrerebbero pregiudicare la trattabilità del problema della risposta sismica locale. L’obiettivo ingegneristico non si raggiunge se non operando una serie di necessarie riduzioni e semplificazioni del problema, in termini sia di azione che di risposta del materiale, come verrà esposto in seguito. Il fenomeno di vibrazione prodotto da un evento sismico in sito è il risultato della propagazione di onde elastiche di volume dalla sorgente, che in profondità attraversano ammassi di roccia lapidea ed in superficie in genere interessano formazione di terreni sciolti. Figura 2.1 Propagazione delle onde sismiche da ipocentro a epicentro (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
  • 6. Pag. 6 di 131 Le onde sismiche associate a stati deformativi di compressione-dilatazione volumetrica, dette onde P, si propagano con velocità pari a: Dove Eed è il modulo di rigidezza a compressione monodimensionale e ρ la densità del mezzo. La direzione è parallela allo spostamento dell’elemento di volume investito dall’onda. Le onde connesse a fenomeni deformativi di tipo distorsionale e invece sono caratterizzate da velocità di propagazione pari a: Dove G0 è il modulo di rigidezza a taglio del materiale, la direzione è perpendicolare allo spostamento dell’elemento di volume investito dall’onda. (2.2) (2.1) 0
  • 7. Pag. 7 di 131 Figura 2.2 Rispettivamente Onde sismiche di tipo P onde sismiche di tipo S e Onde di Rayleigh (Lanzo G., Silvestri F. 1999) Le velocità nell’attraversare l’interfaccia tra due materiali 1 e 2 (p. es. al contatto tra roccia e terreno), si verificano contemporaneamente svariati fenomeni: • la generazione di onde superficiali. In particolare, quando il mezzo di destinazione d non può trasmettere onde di volume, cioè rappresenta una superficie libera, la combinazione di componenti P e SV delle onde incidenti genera ‘onde superficiali
  • 8. Pag. 8 di 131 di Rayleigh’ (Fig. 2.2). Queste onde hanno velocità Vr di poco inferiore alla velocità delle onde di taglio Vs, e producono vibrazioni in piani verticali caratterizzate da componenti parallele e perpendicolari alla direzione dell’onda • la generazione di onde riflesse (nel mezzo di provenienza) e rifratte (nel mezzo di destinazione), anche di tipo diverso da quella incidente. In Fig. 2.3 è riportato il caso dell’onda SV incidente secondo una direzione obliqua al piano di separazione dei mezzi. Le onde SV e P riflesse e rifratte assumono direzioni diverse da quella originaria , in ragione della ‘legge di Snell’: i = angolo di incidenza; r,s = angoli di riflessione (con r = i); t,u = angoli di trasmissione (o rifrazione); Vs e Vp sono le velocità delle onde S e P nei due mezzi. Figura 2.3 Effetti prodotti da un onda SV incidente all’interfaccia di due mezzi (Lanzo G., Silvestri F. 1999) (2.3)
  • 9. Pag. 9 di 131 Una modifica di ampiezza degli spostamenti in misura inversamente proporzionale al prodotto ρV (‘impedenza sismica’) dei mezzi a contatto; nel caso di onde incidenti lungo la normale all’interfaccia, dette ui, ur, ut rispettivamente le ampiezze di onde incidenti, riflesse e rifratte, si ha: dove si è definito con I il ‘rapporto tra le impedenze’ del mezzo di provenienza 2 rispetto a quello di destinazione 1: Quale che sia la successione delle formazioni attraversate dalle onde di volume, in genere la velocità, la densità e l’inclinazione degli strati diminuiscono avvicinandosi alla superficie. Ne deriva quindi che l’onda sismica, a partire dalla sorgente, segue un percorso curvilineo che va progressivamente accostandosi alla verticale, mentre gli spostamenti aumentano di entità. Questo comporta, per esempio, brusche deviazioni del tragitto in corrispondenza della trasmissione di onde dalla roccia al terreno, come schematicamente indicato in Fig. 2.1. Per depositi con stratificazione pressoché orizzontale, il fenomeno sismico può pertanto essere assimilato a treni d'onde di volume che si propagano verso l'alto a partire dal substrato roccioso di riferimento (bedrock). Nei depositi naturali saturi, per l’elevata rapidità delle azioni, ci si trova in condizioni di drenaggio impedito: ne consegue che il fenomeno sismico produce deformazioni volumetriche (associate alle onde P) trascurabili rispetto a quelle distorsionale (indotte dalle onde S). Si assume quindi spesso, nella pratica ingegneristica, di poter modellare la propagazione di un moto sismico mediante l’analisi (in condizioni non drenate nei terreni saturi) di onde S propagantisi verso l’alto, con un campo di spostamenti del terreno prevalentemente orizzontale. L’assunzione è oltretutto giustificata dal fatto che il moto più significativo ai fini della verifica sismica delle opere è quello orizzontale, corrispondente agli spostamenti del terreno prodotti dalle onde S. Dalle considerazioni precedenti consegue che lo stato deformativo maggiormente d’interesse per l’analisi del comportamento meccanico dei terreni sotto azioni sismiche è quello distorsionale. (2.4) (2.5)
  • 10. Pag. 10 di 131 2.1.1 COMPORTAMENTO NON LINEARE E DISSIPATIVO DEL TERRENO Figura 2.4 Comportamento di un elemento di terreno sottoposto ad una sollecitazione, di taglio semplice variabile nel tempo con una legge irregolare. (Lanzo G., Silvestri F. 1999) La schematizzazione concettuale del fenomeno sismico appena delineata richiede l’analisi del comportamento meccanico del terreno in corrispondenza di un processo di carico che sottopone l’elemento di volume, a partire dallo stato tensionale, ad una tensione tangenziale variabile nel tempo con legge irregolare, W(t) (Fig. 2.4). Per sollecitazioni di questo genere, prodotte dai terremoti di forte energia (strong-motion), il legame tensione- deformazione dei terreni si mostra sensibilmente non lineare e non reversibile. Ciò significa che manifesta dissipazione di energia meccanica e accumulo di deformazioni permanenti, e risulta fortemente dipendente dalla storia delle sollecitazioni applicate. Per un singolo ciclo di carico-scarico-ricarico in termini di tensioni tangenziali (Fig. 2.5), il
  • 11. Pag. 11 di 131 terreno mostra un comportamento efficacemente rappresentabile mediante una coppia di ‘parametri equivalenti’: • il modulo di rigidezza a taglio G, pari al rapporto tra ampiezze picco-picco di tensioni e deformazioni tangenziali: • il fattore di smorzamento D (damping ratio), corrispondente al rapporto: dove WD è l’energia di deformazione dissipata nell’intero ciclo di scarico-ricarico (area in chiaro in Fig. 2.5) e WS quella accumulata nel primo ramo di carico (area in scuro). A seconda dei diversi aspetti osservabili, prima del raggiungimento della rottura si individuano convenzionalmente tre campi di comportamento, distinti ma contigui: piccole, medie e grandi deformazioni. (2.7) (2.6)
  • 12. Pag. 12 di 131 Figura 2.5 Definizione dei parametri di rigidezza a taglio G0, e fattore di smorzamento D, in un ciclo tensione-deformazione tangenziale (Lanzo G., Silvestri F. 1999) Figura 2.6 Livelli deformativi ed aspetti del comportamento meccanico del terreno in condizioni di taglio semplice ciclico (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
  • 13. Pag. 13 di 131 2.1.2 COMPORTAMENTO A PICCOLE DEFORMAZIONI La Fig. 2.6 mostra che il modulo di taglio equivalente, G, assume un valore iniziale massimo e poi evidenzia una graduale diminuzione con γ . Nonostante la non linearità del terreno si manifesti già dai livelli deformativi minimi, si assume convenzionalmente G(γ ) costante e pari a G, per deformazioni inferiori ad una ‘soglia di linearità’. Questa assume valori variabili tra 0.0001% e 0.01%, in relazione alle caratteristiche granulometriche e microstrutturali del terreno. A questi livelli deformativi, corrispondenti ad eventi sismici di energia molto bassa, i cicli Wγ racchiudono un'area molto piccola e la risposta del terreno è rappresentabile con un modello costitutivo di tipo lineare, cioè con parametri equivalenti indipendenti dall'ampiezza di deformazione. 2.1.3 COMPORTAMENTO A MEDIE DEFORMAZIONI Per deformazioni superiori alla soglia γl, il terreno mostra un comportamento marcatamente non lineare e dissipativo, evidenziato da una sensibile riduzione di rigidezza G e da un corrispondente aumento dello smorzamento D con γ. Il materiale conserva tuttavia un comportamento stabile ed indipendente dalla storia di carico; infatti, sotto una sollecitazione ciclica di ampiezza costante, il terreno ripercorre lo stesso ciclo tensione-deformazione (Fig. 2.6b). Nella nostra analisi utilizzeremo un modello lineare equivalente. Il ‘modello lineare equivalente’ è definito dalla variazione dei parametri equivalenti G e D, associati ad un valore di riferimento dell’ampiezza di deformazione γ spesso sfruttando opportune relazioni analitiche G( γ ) e D( γ ). Questa assunzione è frequentemente accoppiata all’uso di equazioni di equilibrio dinamico del mezzo visco- elastico, mediante opportune relazioni che esprimono il fattore di smorzamento D in funzione dei parametri di viscosità del materiale (Silvestri et al., 1989). Nelle analisi dinamiche, l’approccio consente l’adozione di metodi di calcolo iterativi, nel dominio del tempo o delle frequenze, che progressivamente aggiornano matrici di rigidezza e smorzamento, o funzioni di trasferimento, per tener conto della dipendenza dei parametri equivalenti dal livello deformativo ottenuto ad ogni iterazione.
  • 14. Pag. 14 di 131 2.1.4 COMPORTAMENTO A GRANDI DEFORMAZIONI All’aumentare dell'ampiezza delle sollecitazioni cicliche, si individua un'ulteriore soglia di deformazione, denominata 'soglia volumetrica', γ v (Fig. 2.6a), oltre la quale il terreno va soggetto a modifiche microstrutturali irreversibili. Questo livello deformativo è superiore alla soglia lineare, γ l, per uno-due ordini di grandezza e, analogamente ad essa, è influenzato da fattori costitutivi. Nel campo delle grandi deformazioni, il comportamento ciclico dei terreni non può più essere a rigore descritto dalle stesse relazioni convenzionali, G( γ ) e D( γ ) adoperate per l’analisi dei problemi dinamici ai livelli deformativi inferiori. 2.2 TECNICHE DI CARATTERIZZAZIONE SPERIMENTALE IN SITO Per poter eseguire la caratterizzazione geotecnica dei terreni del centro storico aquilano, a valle del sisma del 6 Aprile, sono state eseguite una serie di indagini in sito; i dati così ottenuti sono stati inseriti in un database che successivamente è stato utilizzato per la Microzonazione sismica dell’area di L’Aquila, promosso dal Dipartimento della Protezione Civile. In generale, accanto allo schema stratigrafico semplificato risultato dei sondaggi svolti per ogni sito utilizzando i sondaggi a carotaggio continuo, sono disponibili i profili delle velocità di propagazione delle onde di taglio Vs , ricavate dalle prove down hole e cross hole. Questi risultati sono importanti anche per capire dove posizionare il bedrock sismico durante le analisi. Il bedrock sismico è una successione litostratigrafica caratterizzata da comportamento rigido, ovvero da valori di Vs significativamente maggiori di quelli delle coperture localmente presenti. Nella letteratura tecnica e scientifica internazionale il bedrock sismico è generalmente considerato la roccia caratterizzata da Vs>800 m/s. 2.2.1 SONDAGGI A CAROTTAGGIO CONTINUO La tecnica di perforazione attualmente più utilizzata per i sondaggi a carotaggio continuo è a rotazione. Il terreno è perforato da un utensile spinto e fatto ruotare mediante una batteria di aste. L’utensile di perforazione è un tubo di acciaio munito all’estremità di una corona tagliente di materiale adeguato. Per evitare che il terreno campionato venga a contatto con la parte rotante e sia almeno parzialmente protetto dal dilavamento del fluido di circolazione, il cui impiego si rende talvolta necessario per l’esecuzione del foro,
  • 15. Pag. 15 di 131 possono utilizzarsi carotieri a parete doppia, di cui solo quella sterna ruota. I risultati di una perforazione di sondaggio vengono riportati in una scheda stratigrafica ove, oltre ai dati generali relativi al cantiere e alle attrezzature impiegate, è rappresentata graficamente la successione degli strati con la descrizione di ciascuno di essi, la profondità della falda, la profondità dei campioni estratti, la profondità ed i risultati delle prove eseguite nel corso della perforazione. Un esempio di scheda stratigrafica è riportato in figura 2.8. Figura 2.7 Sondaggio a carotaggio continuo (Facciorusso J. et al. 2017)
  • 16. Pag. 16 di 131 Figura 2.8 Esempio di risultato ottenuto dal carotaggio profili (Gruppo di Lavoro MS–AQ 2010)
  • 17. Pag. 17 di 131 2.2.2 PROVA GEOFISICA ATTIVA IN FORO: DOWN-HOLE (DH) Le Prove “Down-hole” rappresentano un compromesso in termini di accuratezza e costi di esecuzione, in quanto l’utilizzo di un solo foro consente un notevole risparmio sui costi. La perturbazione meccanica avviene in questo caso sulla superficie del piano campagna nelle immediate vicinanze del foro e l’onda viene rilevata da uno o più ricevitori posizionati all’interno del foro stesso (Figura 2.9). La misura viene quindi ripetuta variando la profondità a cui sono collocati i ricevitori. L’interpretazione può essere effettuata seguendo almeno due diversi approcci. Una possibilità è quella di riferirsi all’intervallo temporale tra i primi arrivi delle onde P ed S a due ricevitori posizionati a diverse profondità, assegnando la velocità stimata al punto intermedio. Purtroppo, però risente molto delle incertezze nella determinazione dell’istante di rimo arrivo ai due ricevitori, soprattutto quando il rapporto segnale- rumore delle registrazioni è basso. Infatti, la determinazione locale della velocità di propagazione è equivalente, dal punto di vista numerico, alla instabile operazione di differenziazione. Una strategia alternativa è basata sull’interpretazione dei tempi diretti, con la costruzione di una dromocrona che rappresenta la variazione dei tempi di primo arrivo con la profondità. Le pendenze medie individuate per diversi strati, sulla base delle indicazioni stratigrafiche ottenute durante l’esecuzione dei fori e dei punti di discontinuità individuati nella dromocrona stessa, consentono la stima delle velocità medie per ciascuno strato. Figura 2.9 Schema di acquisizione Down-Hole (Crespellani T. 2004)
  • 18. Pag. 18 di 131 2.2.3 PROVA GEOFISICA ATTIVA IN FORO: CROSS-HOLE (CH) Le prove “Cross-Hole” sono basate su misure dirette dei tempi di percorrenza di onde di volume lungo percorsi orizzontali, utilizzando sorgenti e ricevitori posti alla stessa profondità all’interno del terreno. Esse consentono pertanto la determinazione delle proprietà del terreno con la maggiore accuratezza ed i minori margini di incertezza, rispetto ad altre tipologie di prove. Spostando la sorgente e i ricevitori a diverse profondità, è possibile ottenere un profilo dettagliato monodimensionale di velocità delle onde S e P. Il grado di dettaglio relativo è molto elevato e la risoluzione raggiungibile con questo metodo non può essere ottenuta con altri metodi, soprattutto per la caratterizzazione di strati sottili. Tuttavia, è necessario tenere presente che la prova “cross hole” presuppone una geometria del deposito a strati piani e paralleli, condizione non sempre verificata. La modalità di esecuzione consigliata prevede 3 fori nel primo viene collocata la sorgente che genera la perturbazione, mentre negli altri due vengono collocati i ricevitori. In questa configurazione, la velocità può essere determinata sulla base della differenza tra gli arrivi in corrispondenza del secondo e terzo foro, evitando la necessita del sistema di sincronizzazione che segnala l’istante di attivazione della sorgente, che rappresenta una delle principali fonti di errore nell’interpretazione della prova eseguita con due soli fori. In generale l’identificazione degli instanti di arrivo delle onde S e P viene fatta manualmente, mediante ispezione visiva dei segnali sismici registrati, anche se talvolta sono utilizzate tecniche più raffinate. Figura 2.10 Schema di acquisizione Cross-Hole (Crespellani T. 2004)
  • 19. Pag. 19 di 131 2.2.4 PROVA A GEOFISICA PASSIVA A STAZIONE SINGOLA Nell’ambito della risposta sismica locale, sono spesso utilizzate tecniche sperimentali basate sui rapporti spettrali tra coppie di segnali sismici registrati in diverse posizioni, che forniscono una stima della funzione di amplificazione per il deposito. Misure analoghe possono essere effettuate registrando le diverse componenti di moto con un sensore tri direzionale ed analizzano il rapporto tra le componenti spettrali orizzontali e verticali (METODO H/V). Sotto opportune ipotesi, è possibile dimostrare che tale rapporto è prossimo alla funzione di amplificazione del deposito. Tali tecniche sono finalizzate all’identificazione delle frequenze di risonanza proprie del deposito di terreno che , sebbene non diano indicazioni dirette sulla caratterizzazione dei depositi, costituiscono un utile elemento di confronto per gli studi di risposta sismica locale La prova geofisica passiva è una tecnica basata sull’analisi del campo di onde presenti alla superficie del terreno come effetti di tipo naturale o antropico, si definiscono passive perché sono legate all’analisi di una campo d’onde generato da sorgenti non controllate. Se le sorgenti sono distribuite in modo statisticamente omogeneo attorno al punto di misura e si attivano in modo non coordinato, allora la parte persistente del campo d’onda risulterà statisticamente indipendente dalla natura e posizione delle sorgenti e dipenderà soprattutto dalle caratteristiche del sottosuolo. Si basa sull’analisi dell’ampiezza delle componenti spettrali del campo di vibrazioni ambientali misurato nelle tre direzioni spaziali. Il metodo più utilizzato è il metodo di Nakamura dove le frequenze alle quali la curva H/V mostra dei massimi sono legate alle frequenze di risonanza del terreno. Se la misura è effettuata su affioramento roccioso la curva H/V non mostra picchi significativi e l’ampiezza è circa 1. Lo strumento utilizzato per questa tipologia di prove è il tromometro, ottimizza la misura del microtremore nell’intervallo di frequenze compreso fra 0.1 e 200 Hz. Il Tromino ottiene questo risultato mantenendo una configurazione ultracompatta e ultraleggera e può essere posizionato e messo in opera ovunque in pochi secondi. Le ridotte dimensioni la leggerezza, il bassissimo consumo di energia, l’assenza totale di cavi esterni e l’alta risoluzione dell’elettronica digitale impiegata, rendono questo strumento quasi tascabile. Inoltre, lascia virtualmente imperturbato il campo
  • 20. Pag. 20 di 131 d’onda presente nell’ambiente con un potere risolutivo comparabile con quello garantito dai più moderni sistemi sismometrici permanenti attualmente disponibili sul mercato. Figura 2.11 Esempio di frequenza fondamentale del sito (Facciorusso J. et al. 2017)
  • 21. Pag. 21 di 131 CAPITOLO 3 RISPOSTA SISMICA LOCALE: RICHIAMI TEORICI E METODI DI VALUTAZIONE Con il termine Risposta Sismica Locale s’intende la definizione dello studio della risposta del terreno a una determinata sollecitazione sismica, finalizzato alla previsione del moto sismico atteso in superficie in termini di ampiezza, contenuto in frequenza, tensioni e deformazioni. L’obiettivo è quindi quello di determinare per un assegnato sito d’interesse, l’entità del moto sismico rispetto a un terreno duro di riferimento (o roccia) e di confrontare i risultati con quanto previsto dalle normative vigenti in materia di riduzione del rischio sismico. Lo studio della Risposta Sismica Locale può considerarsi l’aspetto principale dello studio di microzonazione sismica e sicuramente il più interessante dal punto di vista geotecnico e ingegneristico. Valutare la pericolosità sismica locale significa stimare gli effetti dello scuotimento superficiale dovuto a un evento sismico profondo il quale muta le proprie caratteristiche (ampiezza, direzione e contenuto in frequenza) durante il percorso che compie dalla sorgente alla superficie libera. 3.1 VALUTAZIONE DELL’AZIONE SISMICA SECONDO LE NTC 2018 Per poter definire l’azione sismica da utilizzare nelle verifiche o nella progettazione. Le opere e le varie tipologie strutturali devono possedere i seguenti requisiti: • sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera; • sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio;
  • 22. Pag. 22 di 131 • robustezza nei confronti di azioni eccezionali: capacità di evitare danni sproporzionati rispetto 3.1.1 VITA NOMINALE, CLASSI D’USO E PERIODO DI RIFERIMENTO Le NTC18 prevedono che l’azione sismica sia associata a un periodo di riferimento (Vr) dell’opera e ad una prefissata probabilità di eccedenza, cui è abbinato un periodo di ritorno (Tr). Vr definisce il periodo di osservazione per l’accadimento di terremoti di severità prefissata in base a Tr, mentre allo stato limite è associata la probabilità di eccedenza, durante tale periodo, dell’azione sismica da considerare. La Vn definisce la durata della vita di progetto della struttura. Nelle NTC18 vengono definiti tre diversi valori di Vn, a seconda dell’importanza dell’opera e quindi delle esigenze di durabilità: Tabella 3.1 Valori minimi della Vita nominale VN di progetto per i diversi tipi di costruzioni ( NTC18 - Tab. 2.4.I) Le classe d’uso servono a dare un significato più chiaro ai coefficienti d’importanza: due costruzioni appartenenti alla stessa classe d’importanza e quindi costruiti secondo criteri equivalenti se utilizzate per scopi diversi, richiedono livelli di protezione diversa e quindi coefficienti d’uso diversi. Nelle NTC18 sono previste quattro classi d’uso, mutuate essenzialmente dalla normativa europea, con qualche piccolo aggiustamento. A ciascuna classe d’uso è associato un valore del coefficiente d’uso Cu (tabella 3.2): • Classe I include costruzioni con una occasionale presenza di persone; • Classe II è quella delle costruzione ordinarie con normali affollamenti; • Classe III è quella delle opere rilevanti, con particolari affollamenti, presenza contemporanea di comunità di dimensioni significative o sostanze pericolose ad esempio scuole, cinema, teatri ecc. ;
  • 23. Pag. 23 di 131 • Classe IV è quella delle opere strategiche anche in riferimento alla gestione dell’emergenza come ad esempio municipi, caserme, ospedali Tabella 3.2 Valori del coefficiente d’uso CU (NTC18- Tab. 2.4.II) 3.1.2 STATI LIMITE, PROBABILITA’ DI ECCEDENZA E PERIODI DI RITORNO Nei confronti delle azioni sismiche, sia gli Stati limite di esercizio (SLE) che gli Stati limite ultimi (SLU) sono individuati riferendosi alle prestazioni della costruzione nel suo complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali e gli impianti. Gli Stati limite di esercizio (SLE) comprendono: • Stato Limite di Operatività (SLO): a seguito del terremoto la costruzione nel suo complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali e le apparecchiature rilevanti in relazione alla sua funzione, non deve subire danni ed interruzioni d'uso significativi; • Stato Limite di Danno (SLD): a seguito del terremoto la costruzione nel suo complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali e le apparecchiature rilevanti alla sua funzione, subisce danni tali da non mettere a rischio gli utenti e da non compromettere significativamente la capacità di resistenza e di rigidezza nei confronti delle azioni verticali ed orizzontali, mantenendosi immediatamente utilizzabile pur nell’interruzione d’uso di parte delle apparecchiature; Gli Stati limite ultimi (SLU) comprendono: • Stato Limite di salvaguardia della Vita (SLV): a seguito del terremoto la costruzione subisce rotture e crolli dei componenti non strutturali ed impiantistici e significativi danni dei componenti strutturali cui si associa una perdita significativa di rigidezza nei confronti delle azioni orizzontali; la costruzione conserva invece una parte della resistenza e rigidezza per azioni
  • 24. Pag. 24 di 131 verticali e un margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni sismiche orizzontali; • Stato Limite di prevenzione del Collasso (SLC): a seguito del terremoto la costruzione subisce gravi rotture e crolli dei componenti non strutturali ed impiantistici e danni molto gravi dei componenti strutturali; la costruzione conserva ancora un margine di sicurezza per azioni verticali ed un esiguo margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni orizzontali; Le probabilità di superamento nel periodo di riferimento PVR, cui riferirsi per individuare l’azione sismica agente in ciascuno degli stati limite considerati, sono riportate nella Tab. 3.3 Tabella 3.3 Probabilità di superamento Pvr in funzione dello stato limite considerato (NTC18- Tab. 3.2.I) Fissato il periodo di riferimento VR e la probabilità di superamento associata ad ogni stato limite Pvt, il periodo di ritorno dell’azione sismica può essere calcolato utilizzando una relazione biunivoca: (3) Tale relazione corrisponde ad assumere che i terremoti seguano un processo temporale di accadimento. Sostituendo nell’equazione (3) le probabilità di superamento associate ad ogni stato limite, si ottengono quindi le relazioni tra periodo di ritorno e il periodo di riferimento VR riportate in Tabella 3.4 Tabella 3.4 Relazioni tra TR e VR per i diversi stati limite 3.1.3 DEFINIZIONE DELLA PERICOLOSITA’ SISMICA DI BASE
  • 25. Pag. 25 di 131 Le caratteristiche del moto sismico atteso al sito di interesse, o pericolosità sismica di base, per una prefissata Pvr, si ritengono definite quando se ne conosca l’accelerazione di picco orizzontale ag ed il corrispondente spettro di risposta elastico in accelerazione Se; entrambe queste grandezze sono riferite a condizioni di suolo rigido e superficie topografica orizzontale. Per la prima volta nella NTC18 la pericolosità sismica si sgancia dalle divisioni amministrative del territorio, cioè non è più vincolata ai confini geografici dei comuni. Pertanto, al valore di pericolosità di ogni singolo comune italiano, viene sostituita una definizione per ogni punto del reticolo di riferimento (identificato dalle coordinate geografiche latitudine e longitudine). Ogni punto del reticolo in cui è stato suddiviso il territorio nazionale è quindi caratterizzato da specifiche curve di pericolosità, che forniscono la frequenza media annua di occorrenza di una serie di terremoti caratterizzati da diversi livelli di severità (espressa in termini di ag). La nuova normativa non fa più riferimento ad un numero finito di zone sismiche, ciascuna caratterizzata da un preciso valore di accelerazione di riferimento (ag), ma i valori di pericolosità sono assegnati ad ogni singolo nodo del reticolo. La pericolosità sismica di base, in condizioni ideali di sito di riferimento è definita in termini di tre parametri a, F0 e T* c, dove: • ag – accelerazione massimo del terreno; • F0 – valore massimo del fattore di amplificazione dello spettro in accelerazione orizzontale; • T* c – periodo di inizio del tratto a velocità costante dello spettro in accelerazione orizzontale ;
  • 26. Pag. 26 di 131 Figura 3.5 Mappa di pericolosità sismica MPS04. Accelerazione massima attesa su suolo rigido con una probabilità del 10% in 50 anni. [[http://esse1-gis.mi.ingv.it]]
  • 27. Pag. 27 di 131 3.2 VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DI SITO In generale gli effetti di un terremoto diminuiscono di intensità all’aumentare della distanza dall’epicentro, ma anche in una certa zona, anche molto circoscritta, possono esserci maggiori intensità rispetto alle zone vicine. Ciò è dovuto al fatto che le onde sismiche subiscono delle modificazioni dipendenti da fattori morfologici e stratigrafici locali. Quindi gli effetti del terremoto non dipendono solo dall’energia liberata ma anche dall’assetto dei materiali geologici attraversati. Gli studi di microzonazione sismica sono finalizzati all’individuazione di questi effetti di sito, cioè le condizioni geologiche, geomorfologiche e geotecniche che a cala locale possono modificare più o meno intensamente le caratteristiche dello scuotimento sismico, effetti co-sismici, cioè quei fenomeni che vengono innescati dal terremoto. Gli Effetti di sito che influiscono maggiormente sulla modificazione del moto sismico sono la morfologia superficiale, le caratteristiche stratigrafiche e le proprietà geotecniche dei terreni in campo statico e dinamico (le caratteristiche di un deposito possono "degradarsi" rapidamente se sottoposte ad un intensa sollecitazione ciclica come quella causata dal passaggio delle onde sismiche). Figura 3.6 Amplificazioni stratigrafiche (Crespellani T. 2004) La previsione delle modificazioni locali del moto sismico, degli spostamenti e delle deformazioni che possono essere indotte nel terreno dal passaggio delle onde sismiche, è di fondamentale interesse per la progettazione e la verifica sismica delle opere
  • 28. Pag. 28 di 131 d’ingegneria civile. Il comportamento sismico di tali opere è infatti significativamente governato dai movimenti del sottosuolo, transitori e permanenti, differenziali e assoluti, che possono prodursi a seguito dei terremoti assunti come riferimento; infatti la NTC18 prevede che lazione sismica di base, definita su suolo rigido e superficie topografica orizzontale, sia opportunamente modificata per tener conto delle condizioni lito- stratigrafiche e topografiche del sito in esame. Quindi è necessario valutare l’effetto della risposta sismica locale mediante analisi che consentono di definire le variazioni che il segnale sismico subisce , a causa delle caratteristiche geologiche dei depositi di terreno e delle proprietà fisiche e meccaniche dei materiali che li costituiscono. Queste analisi presuppongono un’adeguata conoscenza delle proprietà geotecniche dei terreni, mediante specifiche indagini e prove in sito e in laboratorio. 3.2.1 CATEGORIE DI SOTTOSUOLO Come sopra menzionato, è possibile ricorrere ad una valutazione approssimata dell’amplificazione lito-stratigrafica, basata sulla definizione di categorie di sottosuolo, a cui viene associato un valore del coefficiente di amplificazione stratigrafica, che moltiplica lazione sismica di riferimento. Figura 3.7 Categorie di sottosuolo che permettono l’utilizzo dell’approccio semplificato (NTC18-Tab. 3.2.II)
  • 29. Pag. 29 di 131 Vs è legata al periodo fondamentale di un deposito di terreno, che non influenza in modo significativo l’amplificazione sismica, dalla relazione: Per quanto riguarda l’approccio semplificato, la classificazione del sottosuolo si effettua in base alle condizione stratigrafiche ed ai valori della velocità equivalente di propagazione delle onde di taglio Vs,eq (in m/s ),definita dall’espressione: Hi = spessore dello strato i-esimo Vs,i = velocita delle onde di taglio nell’i-esimo strato N = numero strati H= profondità del substrato definito come quella formazione costituita da roccia o terreno molto rigido, caratterizzata da vs non inferiore a 800 m/s 3.2.2 AMPLIFICAZIONE STRATIGRAFICA Figura 3.8 Effetti stratigrafici (Lanzo G. 2010) È noto che le caratteristiche dello scuotimento del terreno sono fortemente influenzate dalle condizioni geologiche, geomorfologiche e geotecniche locali, che modificano anche (3.1) (3.2)
  • 30. Pag. 30 di 131 significativamente, il moto sismico di ingresso al sito, in termini di ampiezza, contenuto in frequenza e durata. L’amplificazione lito-stratigrafica, causata dalla propagazione verticale delle onde in profili di suolo caratterizzati da una successione stratigrafica a strati piani e paralleli, con contrasto di impedenza dal basso verso l’alto(effetti 1D),o dalla propagazione in configurazioni geologiche complesse, con direzione dell’onda incidente qualsiasi e generazione di fenomeni diffrattivi e onde di superficie(effetti 2D/3D). Ad ogni categoria di sottosuolo (Tab.3.9) le NT108 associano un coefficiente di amplificazione stratigrafica Ss , da applicare alle componenti orizzontali dell’azione sismica. Viene inoltre definito un coefficiente Cc , che serve per il calcolo del periodo di controllo Tc corrispondente all’inizio del tratto a velocità costante dello spettro elastico in accelerazione. In particolare Tc è calcolato come prodotto di Cc e del T* C , ottenuto dallo studio di pericolosità. Si noti che, a parità di T* C, , i valori di Cc aumentano al decrescere della rigidezza del suolo, ovvero passando dalla cat.A,alle cat.B,C e D di suoli più scadenti. A parità di categoria di sottosuolo il coefficiente Cc decresce al crescere di T* C, con il risultato di spostare l’effetto di amplificazione massima verso periodi più elevati, aumentando l’estensione del tratto orizzontale caratterizzato da ordinata spettrale massima. Tabella 3.9 Classificazione del sito in categorie di sottosuolo prevista dalle NTC18 e definizione dei coefficienti Ss e Cc (NTC18- Tab. 3.2.IV)
  • 31. Pag. 31 di 131 3.2.3 AMPLIFICAZIONE TOPOGRAFICA L’amplificazione topografica è un altro effetto locale che concorre a modificare ampiezza, frequenza e durata dell’azione sismica di progetto; è causata dalla presenza di eventuali irregolarità topografiche o dalle caratteristiche geomorfologiche del sito, che producono fenomeni di focalizzazione delle traiettorie di propagazione delle onde sismiche in presenza di rilievi, creste e avvallamenti. Figura 3.10 Effetti topografici (Lanzo G. 2012) Nel caso in cui il sito di costruzione sia caratterizzato da una superficie topografica che si discosta da un superficie pianeggiante, le NTC18 consentono, per configurazioni topografiche semplici, il ricorso ad una valutazione approssimata dell’amplificazione topografica, basata sulla definizione di una serie di categorie topografiche. In particolare, le NTC18 prevedono l’esistenza di 4 categorie topografiche, a ciascuna delle quali viene associato un valore specifico del coefficiente di amplificazione topografica ST che moltiplica l’azione sismica di riferimento. Le categorie topografiche “si riferiscono a configurazioni geometriche prevalentemente bidimensionali, creste o dorsali allungate, e devono essere considerate nella definizione dell’azione sismica se di altezza maggiore di 30 m”. Nel caso di siti di costruzione aventi altezza inferiore a 30 m, gli effetti di amplificazione topografici possono essere trascurati. Tali effetti possono essere in oltre trascurati (ST=1) per pendii e rilievi isolati con inclinazione media non superiore a 15°,ovvero i casi ricadenti nella cat. topografica T1. La Tabella 3.11 riporta la definizione delle 4 categorie topografiche considerate nelle NTC18 e i corrispondenti valori massimi del coefficiente di amplificazione topografica ST:
  • 32. Pag. 32 di 131 Tabella 3.11 Categorie topografiche (NTC18-Tab. 3.2.III) Tabella 3.12 Valori massimi del coefficiente di amplificazione topografica ST (NTC18 - Tab. 3.2.V) La variazione spaziale del coefficiente di amplificazione topografica è definita da un decremento lineare con l’altezza del pendio o rilievo, dalla sommità o cresta fino alla base dove ST assume valore unitario. 3.3 VALUTAZIONE DELL’AZIONE SISMICA DI RIFERIMENTO L'azione sismica è caratterizzata da 3 componenti traslazionali di moto, due orizzontali contrassegnate da X ed Y ed una verticale contrassegnata da Z, da considerare tra di loro indipendenti. Secondo le NTC18, lazione sismica può essere descritta per mezzo dell’accelerazione orizzontale di picco attesa in superficie, definita dalla pericolosità sismica di base ed eventualmente modificata per tener conto degli effetti di sito. Alternativamente, in funzione del tipo di analisi da eseguire, l’azione simica può essere descritta dallo spettro di risposta elastico in accelerazione (componente orizzontale e verticale), oppure da opportune terne accelerometriche. In generale, il modello utilizzato più frequentemente nelle applicazioni strutturali per rappresentare l’azione sismica è lo spettro di risposta elastico in accelerazione, con smorzamento strutturale del 5%. Esso è il luogo matematico dei picchi della risposta in accelerazione (in valore assoluto) di una famiglia di oscillatori semplici ad un grado di libertà, ciascuno con un diverso valore del periodo fondamentale e con un prefissato valore dello smorzamento strutturale. Questa
  • 33. Pag. 33 di 131 definizione può essere facilmente estesa agli spettri di risposta elastici in velocità e spostamento. La scelta delle modalità di rappresentazione dell’input sismico dipende dalle finalità e dal tipo di analisi simica che si intende effettuare. Nel caso di un “analisi lineare ( statica o dinamica) o un “analisi statica non lineare, l’azione sismica deve essere descritta attraverso uno spettro di risposta in accelerazione. Nel caso di analisi dinamica non lineare, l’azione sismica è rappresentata da accelerogrammi. Secondo le NTC18, le due componenti orizzontali di moto, ortogonali tra loro e indipendenti, sono in generale uguali, sia che l’azione sismica sia descritta in termini di spettri di risposta, sia di accelerogrammi, ad eccezione dei casi in cui ci siano significativi effetti di campo. Se la risposta viene valutata mediante analisi statica o dinamica in campo lineare, essa può essere calcolata separatamente per ciascuna delle tre componenti; la risposta a ciascuna componente, è combinata con gli effetti pseudo-statici indotti dagli spostamenti relativi prodotti dalla variabilità spaziale della componente stessa, utilizzando la radice quadrata della somma dei quadrati. 3.3.1 SPETTRO DI RISPOSTA ELASTICO IN ACCELERAZIONE Lo spettro di risposta elastico in accelerazione è espresso da una forma spettrale (spettro normalizzato) riferita ad uno smorzamento convenzionale del 5%, moltiplicata per il valore della accelerazione orizzontale massima ag su sito di riferimento rigido orizzontale. Sia la forma spettrale che il valore di ag variano al variare della probabilità di superamento nel periodo di riferimento Vr. Gli spettri così definiti possono essere utilizzati per strutture con periodo fondamentale minore o uguale a 4,0 s. Per strutture con periodi propri superiori a 4 secondi, quali ad esempio edifici molto alti o strutture isolate alla base, lo spettro di risposta in accelerazione deve essere definito sulla base di apposite analisi di pericolosità sismica. In alternativa, l’azione sismica può essere descritta per mezzo di accelerogrammi. 3.3.1.1 SPETTRO DI RISPOSTA ELASTICO IN ACCELERAZIONE DELLE COMPONENTI ORIZZONTALI Nelle NTC18, lo spettro di risposta elastico in accelerazione delle componenti orizzontali è caratterizzato da quattro rami, descritti da specifiche espressioni analitiche, ed è riferito ad un valore convenzionale dello smorzamento del 5%. Le equazioni dei
  • 34. Pag. 34 di 131 quattro rami dello spettro di risposta elastico in accelerazione previsto dalle NTC18( punto 3.2.3.2.1) sono: Nelle quali: • T è il periodo proprio di vibrazione • S è il coefficiente che tiene conto della categoria di sottosuolo e delle condizioni topografiche mediante la relazione seguente essendo Ss il coefficiente di amplificazione stratigrafica e St il coefficiente di amplificazione topografica • n è il fattore che altera lo spettro elastico per coefficienti di smorzamento viscosi convenzionali Β diversi dal 5%, mediante la relazione: • ag è l’accelerazione di picco orizzontale su sito di riferimento rigido orizzontale • F0 è il fattore che quantifica l’amplificazione spettrale massima, su sito di riferimento rigido orizzontale, ed ha valore minimo pari a 2,2 (3.6) (3.4) (3.5)
  • 35. Pag. 35 di 131 • Tc è il periodo corrispondente all’inizio del tratto a velocità costante dello spettro ,dato dalla relazione dove: T* c è definito al C3.2.2 e Cc è un coefficiente funzione della categoria di sottosuolo. • TB è il periodo corrispondente all’inizio del tratto dello spettro ad accelerazione costante, dato dalla relazione • TD è il periodo corrispondente all’inizio del tratto a spostamento costante dello spettro, espresso in secondi mediante la relazione: Per categorie speciali di sottosuolo, per determinati sistemi geotecnici o se si intenda aumentare il grado di accuratezza nella previsione dei fenomeni di amplificazione, le azioni sismiche da considerare nella progettazione possono essere determinate mediante più rigorose analisi di risposta sismica locale. Queste analisi presuppongono un’adeguata conoscenza delle proprietà geotecniche dei terreni e, in particolare, delle relazioni sforzi- deformazioni in campo ciclico, da determinare mediante specifiche indagini e prove. 3.3.1.2 SPETTRO DI RISPOSTA ELASTICO IN ACCELERAZIONE DELLA COMPONENTE VERTICALE Lo spettro di risposta elastico in accelerazione della componente verticale del moto sismico, Sve, è definito dalle espressioni: (3.7) (3.8) (3.9)
  • 36. Pag. 36 di 131 nelle quali: T ed Sve sono, rispettivamente, periodo di vibrazione ed accelerazione spettrale verticale; Fv è il fattore che quantifica l’amplificazione spettrale massima, in termini di accelerazione orizzontale massima del terreno ag su sito di riferimento rigido orizzontale, mediante la relazione: I valori di ag, F0, S, n sono definiti nel C3.3.1.1 per le componenti orizzontali del moto sismico; i valori di SS, TB, TC e TD, salvo più accurate determinazioni, sono riportati nella Tab.3.14: Tab. 3.14 Valori dei parametri dello spettro di risposta elastico della componente verticale (NTC18-Tab. 3.2.VI) 3.3.2 IMPIEGO DI ACCELEROGRAMMI L’utilizzo di metodi di analisi avanzati per strutture e le opere geotecniche richiede che l’azione sismica sia rappresentata mediante un numero prefissato di terne accelerometriche. Le NTC18 stabiliscono che gli stati limite, ultimi e di esercizio, possono essere verificati mediante l’uso di accelerogrammi, appartenenti ad una delle seguenti categorie: (3.10) (3.11)
  • 37. Pag. 37 di 131 • accelerogrammi naturali, ovvero registrazioni accelerometriche relative ad eventi sismici realmente avvenuti, reperibili in banche dati digitali “strong motion” accreditate, nazionali e internazionali. • accelerogrammi artificiali, ottenuti mediante tecniche di sintesi, eventualmente vincolati ad essere compatibili con uno spettro di risposta obiettivo; • accelerogrammi sintetici, ottenuti mediante una simulazione numerica del fenomeno della rottura, basata su un modello cinematico di sorgente sismica estesa e su un modello elastodinamico di propagazione delle onde fino al sito di interesse. In generale è preferibile utilizzare accelerogrammi naturali, che sono più realistici in termini di contenuto in frequenza, durata, numero di cicli, correlazione tra componenti orizzontali e verticali contenuto energetico in relazione ai parametri sismogenetici, inoltre riflettono in modo compiuto tutti i fattori che caratterizzano un accelerogramma. Gli accelerogrammi utilizzati devono essere compatibili con le caratteristiche del moto sismico atteso per il sito di riferimento e derivanti da un’analisi di pericolosità sismica locale. Le NTC18 al punto 3.2.3.6 affermano che, “L’uso di accelerogrammi artificiali non è ammesso nelle analisi dinamiche di opere e sistemi geotecnici. L’uso di accelerogrammi generati mediante simulazione del meccanismo di sorgente e della propagazione è ammesso a condizione che siano adeguatamente giustificate le ipotesi relative alle caratteristiche sismogenetiche della sorgente e del mezzo di propagazione. L’uso di accelerogrammi registrati è ammesso, a condizione che la loro scelta sia rappresentativa della sismicità del sito e sia adeguatamente giustificata in base alle caratteristiche sismogenetiche della sorgente, alle condizioni del sito di registrazione, alla magnitudo, alla distanza dalla sorgente e alla massima accelerazione orizzontale attesa al sito. Gli accelerogrammi registrati devono essere selezionati e scalati in modo da approssimare gli spettri di risposta nel campo di periodi di interesse per il problema in esame.” Le NTC18 al punto 3.2.3.6 stabiliscono inoltre un requisito di spettro-compatibilità per gli accelerogrammi artificiali, consiste nel fatto che ” L'ordinata spettrale media non deve presentare uno scarto in difetto superiore al 10%, rispetto alla corrispondente componente dello spettro elastico, in alcun punto del maggiore tra gli intervalli 0,15s ÷ 2,0s e 0,15s ÷
  • 38. Pag. 38 di 131 2T, in cui T è il periodo fondamentale di vibrazione della struttura in campo elastico, per le verifiche agli stati limite ultimi, e 0,15 s ÷ 1,5 T, per le verifiche agli stati limite di esercizio. Nel caso di costruzioni con isolamento sismico, il limite superiore dell’intervallo di coerenza è assunto pari a 1,2 Tis, essendo Tis il periodo equivalente della struttura isolata, valutato per gli spostamenti del sistema d’isolamento prodotti dallo stato limite in esame.” Inoltre si osserva che le NTC18, prescrivono che il requisito di spettro-compatibilità sopra descritto, debba essere soddisfatto soltanto nel caso si utilizzino accelerogrammi artificiali. Specificano inoltre che “gli accelerogrammi registrati devono essere selezionati e scalati in modo da approssimare gli spettri di risposta nel campo di periodi di interesse per il problema in esame”. 3.4 ANALISI DELLA RISPOSTA SISMICA LOCALE La scelta dell’azione sismica di progetto deve essere effettuata congruentemente con le condizioni locali presenti al sito. La prassi è quella di definire inizialmente l’azione sismica in funzione delle caratteristiche generali di sismicità del sito e con riferimento ad un sottosuolo ideale, rigido e con topografia orizzontale, sotto forma di parametri del moto, di picco o spettrali o sottoforma di storia temporale dell’accelerazione. Come passo successivo, questi parametri sono opportunamente modificati in funzione delle specifiche condizioni locali, al fine di valutare le caratteristiche del moto sismico in superficie o alla profondità di interesse. Le principali procedure di analisi di risposta sismica locale si distinguono in: • metodi empirici (correlazioni); • relazioni approssimate; • metodi numerici (codici di calcolo); Le NTC2018 per determinare la risposta sismica locale fanno riferimento a due approcci: • un approccio semplificato che si basa sulla classificazione del sottosuolo e l’individuazione, mediante apposite tabelle fornite dalla normativa (NTC 2018, C3.2.2-3)
  • 39. Pag. 39 di 131 • un approccio rigoroso che per mezzo di un’analisi della risposta sismica locale fornisce in modo più accurato i valori dei parametri necessari per definire gli spettri di risposta in accelerazione per il sito della costruzione. Inoltre per compiere un analisi di risposta sismica locale monodimensionale o bidimensionale abbiamo bisogno di alcune informazioni riguardanti il terreno e la roccia: • pesi dell’unità di volume sia del terreno che della roccia di base; • profilo delle velocita di taglio Vs del terreno; • velocità delle onde di taglio del bedrock sismico; • coefficiente di Poisson v e velocità delle onde di compressione Vp (SOLO ANALISI 2D); • curve di decadimento del modulo di taglio G/G0(γ) e di incremento del fattore di smorzamento D(γ); 3.4.1 METODI EMPIRICI I metodi empirici si basano sull’elaborazione statistica di alcune caratteristiche del moto sismico ottenute da registrazioni strumentali relative a differenti condizioni di sottosuolo. Questi metodi consentono di determinare alcune caratteristiche della risposta in superficie, in termini di parametri di picco del moto: • Valore di picco dell'accelerazione amax o PGA; • Spettro di risposta in accelerazione Sa(T); la stima di questi parametri può essere effettuata direttamente mediante abachi o leggi di attenuazione oppure attraverso la determinazione di fattori di amplificazione di picco o spettrali, moltiplicativi dei parametri del moto sismico definiti su sottosuolo rigido di riferimento. In generale il grado di accuratezza con cui sono determinati tali parametri è strettamente connesso alla qualità delle informazioni disponibili (geologiche e/o geotecniche) per definire le condizioni del sottosuolo. Un ulteriore criterio di suddivisione dei metodi empirici può quindi essere basato sulla modalità di classificazione del sottosuolo al sito di interesse.
  • 40. Pag. 40 di 131 3.4.2 METODI NUMERICI Per determinati sistemi geotecnici, per particolari condizioni di sottosuolo o se si intende aumentare il grado di accuratezza nella previsione dei fenomeni di amplificazione, è possibile ricorrere ad analisi numeriche della risposta sismica locale. Queste analisi sono effettuate mediante codici di calcolo che simulano la propagazione di onde sismiche entro un deposito di terreno, dalla sottostante formazione rocciosa fino in superficie. I codici di calcolo disponibili possono operare in tensioni totali o tensioni efficaci, utilizzando modelli lineari equivalenti o non lineari. Le analisi numeriche forniscono, non soltanto i valori massimi della risposta ma anche le storie temporali delle tensioni tangenziali (τ), delle deformazioni tangenziali (γ), delle accelerazioni e i corrispondenti spettri di risposta e di Fourier, in superficie e anche a profondità intermedie nel sottosuolo. In generale, le analisi numeriche si sviluppano attraverso tre fasi: • definizione del modello geometrico e geotecnico del sottosuolo; • definizione delle azioni sismiche di ingresso al basamento; • scelta di un codice di calcolo e tipo di risultati ottenuti. Il modello geometrico tipicamente utilizzato nelle analisi numeriche è quello monodimensionale, rappresentato da un deposito di terreno con superficie orizzontale, uniforme o stratificato orizzontalmente, poggiante su un basamento roccioso anch’esso a superficie orizzontale. Figura 3.15 Rappresentazione schematica di un’analisi numerica mono-dimensionale di risposta sismica locale e rappresentazione di alcuni tipici risultati( linee guida AGI 2005)
  • 41. Pag. 41 di 131 Nel modello 1-D i parametri geotecnici caratterizzanti sono: • peso dell’unità di volume • velocità delle onde di taglio alle piccole deformazioni Vs (o modulo di taglio massimo G0) • curve G/G0(γ) e D(γ) Lo sviluppo di tecniche di modellazione, per l’analisi di risposta sismica locale, nel corso degli ultimi anni ha portato a disporre oggi di una vasta gamma di applicazioni numeriche per la valutazione del comportamento di un deposito sottoposto ad azione sismica. Ciascun’applicazione, basata su modelli fisici consolidati e costantemente implementati per migliorarne l’affidabilità, considera solo alcuni dei parametri che contribuiscono a determinare la risposta sismica del sito. Per questo motivo ogni modello, identificato dalle proprie caratteristiche operative in ragione dei parametri d’ingresso considerati, non può essere utilizzato in tutte le situazioni possibili ma deve essere scelto in base alla complessità richiesta dalla situazione reale cui deve essere applicato. Così, per rappresentare una situazione relativamente semplice in termini di geometria del deposito, effetti di bordo, amplificazione topografica, eterogeneità del deposito ecc.., un modello eccessivamente complesso e “pretenzioso” riguardo il recepimento dei dati necessari, può non essere il modello migliore da utilizzare. Le azioni sismiche di ingresso sono rappresentate da accelerogrammi, reali o artificiali, compatibili con lo spettro di risposta in accelerazione atteso su roccia. Gli accelerogrammi reali devono essere preferibilmente selezionati in funzione di condizioni simili, in termini di ambiente tettonico, tipo di faglia, magnitudo e distanza epicentrali, a quelle che governano le caratteristiche di sismicità al sito di interesse. La scelta di questi accelerogrammi, generalmente in numero non inferiore a 4, può essere effettuata nei database nazionali o internazionali, previa valutazione della loro compatibilità con lo spettro di risposta su roccia; in alternativa possono essere utilizzati accelerogrammi artificiali. Il principale vantaggio di questo metodo è che risulta possibile riprodurre compiutamente lo spettro di risposta atteso su roccia con un singolo accelerogramma. Di contro, essi non rappresentano moti “reali” e quindi possono presentare un numero di cicli e un contenuto energetico, in tutto il campo di frequenze, maggiore di quello che competerebbe ad un accelerogramma naturale di pari ampiezza. Per questo motivo sarebbe preferibile disporre di più accelerogrammi
  • 42. Pag. 42 di 131 artificiali che forniscono un identico spettro di risposta in accelerazione ma sono caratterizzati da differenti pulsazioni presenti nel treno d’onda. I codici di calcolo più frequentemente utilizzati per le analisi 1-D sono quello lineare equivalente SHAKE e quello non lineare DESRA-2. Il codice di calcolo più diffuso per lo studio della risposta locale bi-dimensionale è quello lineare equivalente QUAD4/QUAD4M. In generale i codici di calcolo forniscono: • le storie temporali delle tensioni tangenziali, delle deformazioni tangenziali, delle accelerazioni e i corrispondenti spettri di risposta e di Fourier, in superficie e a profondità intermedie nel sottosuolo; • l’andamento con la profondità dei valori massimi di accelerazione, tensione e deformazione di taglio. Numerosi codici di calcolo sono attualmente disponibili per l’analisi numerica della risposta sismica locale. Questi codici possono essere suddivisi principalmente in funzione della geometria del modello e del tipo di analisi, lineare equivalente o non lineare, in tensioni totali o tensioni efficaci. L’analisi lineare equivalente è condotta in tensioni totali. Essa permette una trattazione semplificata del problema e allo stesso tempo di tenere in conto aspetti complessi quali l’eterogeneità del deposito e la non linearità del legame sforzi deformazione del terreno. Di contro l’analisi lineare equivalente non consente di: • valutare gli eccessi di pressione interstiziale indotti; • tenere conto del decadimento delle caratteristiche di rigidezza dei terreni conseguente al processo di accumulo delle pressioni interstiziali; • effettuare il calcolo delle deformazioni permanenti. Le analisi non lineari possono essere condotte in tensioni totali e in tensioni efficaci. L’adozione di un modello non lineare in tensioni efficaci consente di tenere conto di importanti aspetti del comportamento ciclico del terreno quali: • la generazione degli eccessi di pressione interstiziale, particolarmente rilevante se l’analisi della risposta locale è finalizzata alla stima del potenziale di liquefazione di un deposito; • la ridistribuzione e la eventuale dissipazione degli eccessi di pressione interstiziale durante e dopo il terremoto;
  • 43. Pag. 43 di 131 • il decadimento progressivo delle caratteristiche di rigidezza dei terreni; • le deformazioni permanenti. In generale l’analisi non lineare consente quindi una modellazione più accurata e aderente alla realtà del comportamento sforzi-deformazioni del terreno, rispetto ad un’analisi lineare equivalente. La scelta tra l’analisi lineare equivalente e quella non lineare deve essere adeguatamente ponderata in funzione dell’obiettivo dell’analisi e del costo necessario per determinare valori rappresentativi dei parametri di input richiesti dall’analisi. In prima approssimazione, questa scelta può essere effettuata sulla base del livello di deformazione di taglio indotto nel terreno. Figura 3.16 Campi di deformazione e associati metodi di analisi (Lanzo G. 2010) 3.5 RISPOSTA SISMICA LOCALE DI UN SOTTOSUOLO IDEALE Lo schema di base, per un modello di sottosuolo semplice, è un problema monodimensionale, rappresentato da uno strato di terreno omogeneo di spessore H, poggiante su un basamento roccioso orizzontale, ed eccitato da una oscillazione armonica costituita da un‟ onda di taglio S di frequenza F, incidente al basamento con direzione di propagazione verticale. I parametri responsabili della variazione del modello sono i seguenti:
  • 44. Pag. 44 di 131 Figura 3.17 Modello monodimensionale (Lanzo G. 2010) Geometrici : • spessore del deposito di terreno H Fisici-meccanici: Terreno • ρs= densità • Vs= velocità onde di taglio • D = fattore di smorzamento • ρsVs= impedenza sismica Roccia • ρr= densità • Vr= velocità onde di taglio • D = 0 • ρrVr= impedenza sismica
  • 45. Pag. 45 di 131 3.5.1 STRATO OMOGENEO ELASTICO SU SUBSTRATO RIGIDO Figura 3.18 Modello monodimensionale di strato omogeneo elastico con substrato rigido (Lanzo G. 2010) Nello schema più elementare si assume l’ipotesi di terreno a legame costitutivo elastico lineare e substrato rigido con ρs e Vs sono rispettivamente indicate la densità e la velocità delle onde di taglio del terreno. Il moto di vibrazione orizzontale può essere descritto dall’equazione differenziale di equilibrio dinamico, che governa il problema della propagazione delle onde all’interno di uno strato elastico: (3.12) dove, u(z,t) è la componente orizzontale dello spostamento. Nell’ipotesi di sollecitazione armonica di frequenza circolare, facendo un separazione di variabili la soluzione diventa: (3.13) dove, p(z) è la funzione di forma, la quale descrive la distribuzione con le profondità delle ampiezze di spostamento, in ogni punto variabili con frequenza pari a quella di sollecitazione. Effettuando delle operazioni di sostituzione e di derivazione si ottiene che l’espressione finale dello spostamento orizzontale: (3.14) che rappresenta un “onda stazionaria di ampiezza.
  • 46. Pag. 46 di 131 La situazione più pericolosa in termini di fenomeni di amplificazione si verifica quando la frequenza dell’eccitazione(ω) è pari ad una delle frequenze fondamentali dello strato ωn (risonanza). In queste condizioni l’ampiezza del moto è teoricamente infinita. Figura 3.19 Esempio di risonanza (Lanzo G., Silvestri F. 1999) 3.5.2 STRATO OMOGENEO ELASTICO SU SUBSTRATO DEFORMABILE Figura 3.20 Modello monodimensionale di strato omogeneo elastico con substrato deformabile e propagazione delle onde (Lanzo G. 2010) Le onde che si propagano verso il basso, a seguito della riflessione sulla superficie del terreno, sono in parte riflesse all’interno dello strato e in parte trasmesse nella roccia sottostante(smorzamento geometrico o di radiazione) Nel precedente caso di basamento rigido le onde sono invece completamente riflesse dal substrato e restano “imprigionate” nello strato dando luogo ad amplificazioni irrealistiche. La fig.3.15 riproduce il caso di strato di terreno elastico lineare poggiante su semispazio roccioso deformabile, indicando
  • 47. Pag. 47 di 131 con ρr e Vr rispettivamente la densità e la velocità delle onde di taglio della roccia di base ricordando questa relazione (2.5): (3.15) Si indichi il rapporto tra impedenza sismica della roccia di base ρrVr e quella del terreno ρsVs. Se invece si calcola il rapporto tra l’ampiezza dello spostamento in corrispondenza dalla superficie dello strato e quella in corrispondenza dell’affioramento della roccia di base, si ottiene una funzione di trasferimento: (3.16) La funzione di amplificazione Ad(w), modulo della funzione di trasferimento Hda(w) è: (3.17) In ipotesi di roccia deformabile, la funzione di amplificazione dipende, oltre che dalle proprietà meccaniche del terreno, anche da quelle della roccia di base attraverso il rapporto di impedenza I. In figura 3.15 è riportato l’andamento della funzione di amplificazione in funzione del fattore di frequenza F, per diversi valori del rapporto di impendenza roccia terreno. Per confronto, è anche riportata la funzione di amplificazione relativa al caso precedente di substrato rigido. I valori massimi della funzione di amplificazione assumono valori finiti e sono pari proprio al rapporto di impedenza. I fenomeni di amplificazione sono tanto più marcati quanto maggiore è il contrasto di impedenza tra la roccia di base e quella del terreno sovrastante
  • 48. Pag. 48 di 131 Figura 3.21 Funzione di amplificazione relativa ad uno strato omogeneo elastico su substrato deformabile (Lanzo G., Silvestri F. 1999) 3.5.3 STRATO OMOGENEO VISCO-ELASTICO SU SUBSTRATO RIGIDO Figura 3.22 Modello monodimensionale di strato omogeneo visco-elastico con substrato rigido (Lanzo G. 2010) Le funzioni di amplificazione sin qui considerate sono state ricavate sulla base dell’ipotesi di comportamento elastico lineare del sottosuolo d’altro canto nei terreni sono sempre presenti fenomeni di dissipazione d’energia per smorzamento interno. Un modello di riferimento più realistico può essere ottenuto assimilando il terreno a un mezzo visco- elastico lineare, la cui equazione differenziale di equilibrio dinamico si scrive: (3.18)
  • 49. Pag. 49 di 131 Ove n è il coefficiente di viscosità. Applicando la definizione di smorzamento al mezzo visco-elastico, è possibile mostrare che, per un ciclo di sollecitazione armonica a frequenza w, vale la relazione: (3.19) Analogamente a quanto visto nel 3.12 ponendo la soluzione u (z,t) nella forma 3.13, l’equazione di equilibrio dinamico si scrive: (3.20) In base a considerazioni analoghe a quelle effettuate nel 3.12, si arriva alla espressione della funzione di trasferimento complessa, valutata come rapporto tra l’ampiezza dello spostamento in corrispondenza della superficie dello strato e quella in corrispondenza del basamento roccioso: (3.21) Di conseguenza, il numero d’onda complesso: (3.22) La funzione di trasferimento ha quindi espressione: (3.23) E la funzione di amplificazione si ottiene ancora una volta come modulo della Hr*(w):
  • 50. Pag. 50 di 131 (3.24) L’andamento della funzione di amplificazione con il fattore di frequenza F è rappresentato in figura 3.23, per diversi valori del fattore F. I picchi di risonanza si riducono pertanto all’aumentare della frequenza F, in maniera più marcata quanto maggiore è D. L’effetto è ben illustrato anche dalle funzioni in forma. In corrispondenza dalla prima frequenza naturale risulta, ponendo n=1 (3.25) In definitiva, per uno strato omogeneo a comportamento visco-elastico lineare poggiante su substrato rigido, il valore massimo dell’amplificazione, attinto in corrispondenza della frequenza fondamentale, dipende soltanto dallo smorzamento del terreno ed è inversamente proporzionale ad esso. L’influenza dei fenomeni di smorzamento interno sulla funzione di amplificazione è poi sempre più significativa all’aumentare di F. Figura 3.23 Funzione di amplificazione relativa ad un strato omogeneo visco-elastico su substrato rigido (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
  • 51. Pag. 51 di 131 3.5.4 STRATO OMOGENEO VISCO-ELASTICO SU SUBSTRATO DEFORMABILE Figura 3.24 Modello monodimensionale di strato omogeneo visco-elastico con substrato deformabile (Lanzo G. 2010) La funzione di trasferimento, calcolata come rapporto tra le ampiezze di spostamento in corrispondenza della superficie del terreno e dell’affioramento roccioso. Per D = 0, in assenza cioè di smorzamento interno del terreno, la funzione di amplificazione diminuisce Per un fissato valore di D>0 , l’amplificazione massima aumenta al crescere del rapporto di impedenza I, similmente , a parità di rapporto di impedenza I, si verifica una riduzione del picco di amplificazione all’aumentare di D. Figura 3.25 Influenza del rapporto di impedenza I sull’amplificazione massima relativa alla frequenza fondamentale. Nel caso di strato omogeneo visco-elastico su substrato deformabile (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
  • 52. Pag. 52 di 131 3.6 RISPOSTA SISMICA DI UN SOTTOSUOLO REALE La funzione di amplificazione di un sito fornisce, come si è appena visto, una rappresentazione dell’effetto filtrante di un deposito. Tale funzione mette in evidenza che essa può indurre effetti significativi sull’effetto di amplificazione del moto sismico incidente o, viceversa, se tali effetti possano addirittura tradursi in un’attenuazione delle ampiezze in superficie. Nel dominio delle frequenze, è possibile esprimere il fenomeno di amplificazione attraverso l’operazione cosiddetta di convoluzione (prodotto frequenza per frequenza): (3.26) Tra lo spettro di Fourier del moto al bedrock, Fr(f), e la funzione di trasferimento H(f) del deposito, ottenendo così lo spettro di Fourier del moto in superficie, Fs(f). Figura 3.26 Schema di calcolo della risposta di un banco omogeneo eccitato da un segnale sismico (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
  • 53. Pag. 53 di 131 In questo esempio raffigurato, si può osservare come la risposta superficiale sia fortemente condizionata dalla prima frequenza di vibrazione del sottosuolo intorno a 2Hz in quanto l’eccitazione sismica alla base è caratterizzata da un contenuto in frequenza abbastanza uniforme. Se il moto di riferimento avesse però un contenuto energetico concentrato in corrispondenza di 5-6Hz la risposta in superficie potrebbe risultare più elevata nell’intorno di tale frequenza piuttosto che di quella fondamentale. 3.6.1 ETEROGENEITA’ DEL TERRENO L’effetto dell’eterogeneità del banco sulla funzione di amplificazione è mostrato efficacemente dall’esempio che prende spunto dall’analisi della riposta delle argille tenere di città del Messico, che verrà più volte ripreso in seguito. In base ai dati sperimentali disponibili, il banco in esame è caratterizzabile da una distribuzione parabolica della velocità delle onde di taglio Vs, crescente con la profondità. La funzione di amplificazione relativa al modello di terreno eterogeneo è confrontata con quella relativa al caso di un sottosuolo omogeneo con velocita delle onde di taglio costante in tutto lo strato e pari al valore medio. Come già anticipato l’effetto di eterogeneità porta all’avvicinamento delle frequenze fondamentali del sottosuolo omogeneo. Nel complesso entrambi i fattori implicano che ridurre un sottosuolo con proprietà di rigidezza in aumento con la profondità ad un banco omogeneo equivalente può sottostimarne i potenziali di amplificazione del moto sismico. Figura 3.27 Caso di Città del Messico; profili di velocità (a) e confronto tra funzioni di amplificazione(b) relative alle ipotesi di sottosuolo omogeneo e eterogeneo (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
  • 54. Pag. 54 di 131 3.6.2 INFLUENZA DEL COMPORTAMENTO NON LINEARE DEL TERRENO In generale tutte le osservazioni strumentali di eventi sismici hanno mostrato l’evidenza di fenomeni di non linearità nel comportamento del terreno. Esistono diversi criteri “diagnostici” per identificare una risposta non lineare del terreno da analisi di registrazione strumentali. Questi criteri si basano su confronti tra : • Fattori di amplificazione ( in termini di accelerazione di picco) • Funzioni di amplificazione spettrale ( spettri di Fourier o di accelerazione) Per eventi sismici di debole e forte intensità. La figura 3.28 mostra l’influenza della non linearità sull’accelerazione di picco; per semplicità si considera uno strato di terreno omogeneo, poggiante su un basamento roccioso orizzontale, soggetto ad un moto sismico avente valori dell’accelerazione di picco amax, r ,via via crescenti ,al bedrock. Figura 3.28 Influenza della non linearità sull’accelerazione di picco (Lanzo G., Silvestri F. 1999)
  • 55. Pag. 55 di 131 (a) (b) (c) (d) Figura 3.29 Variazione dei profili di deformazione taglio massima γmax,del modulo di taglio G,del fattore di smorzamento D e dell’accelerazione di picco amax (Lanzo G., Silvestri F. 1999) A causa del comportamento non lineare del terreno, al crescere di amax, r si ha un aumento della deformazione di taglio massima e una riduzione del modulo di taglio e un aumento del fattore di smorzamento. Per bassi livelli di energia del terremoto di riferimento, l’accelerazione di picco lungo il profilo dello strato aumenta dal basamento roccioso alla superficie (curve 1-2 fig. 3.29d). Per alti livelli di energia, l’accelerazione di picco viceversa diminuisce (curva 3). Questo si verifica perché, a causa della non linearità la riduzione delle caratteristiche di rigidezza del terreno riduce la trasmissione di frequenze elevate; al contrario l’aumento del fattore di smorzamento abbatte i picchi di amplificazione delle ampiezze di spostamento. La non linearità del comportamento del terreno influenza anche la funzione di amplificazione (fig.3.30). Al crescere dell’intensità del moto sismico la frequenza fondamentale di vibrazione dello strato F si riduce a causa della riduzione del modulo di taglio G. Il valore di picco della funzione di amplificazione si riduce a causa dell’aumentare del fattore di smorzamento D. Inoltre, al crescere dell’intensità del moto sismico i picchi della funzione di amplificazione si riducono e si spostano verso frequenze minori (fig.3.30).
  • 56. Pag. 56 di 131 Figura 3.30 Influenza della non linearità sull’accelerazione di picco (Lanzo G., Silvestri F. 1999) 3.6.3 EFFETTI DI BORDO Dopo lunghi studi è stato possibile riconoscere che alla superficie di depositi alluvionali possono verificarsi fenomeni di amplificazione, con notevole aumento del tempo di un moto sismico. Nel caso di deposito di terreno legittimamente riconducibile a uno schema monodimensionale, è stato osservato che le cause principali di amplificazione sono dovute al fenomeno di intrappolamento di onde S all’interno del deposito che la risonanza determina dalla prossimità delle frequenze del moto al substrato a quelle naturali di vibrazione del deposito. Nel caso di una valle alluvionale, oltre ai fattori sopra menzionati, bisogna considerare gli effetti di bordo dovuti alla bidimensionalità. Il primo effetto è quello che si verifica lungo le strisce di terreno poste al margine di valli alluvionali dovute all’interferenza tra campo d’onda riflesso e quello rifratto. Mentre il secondo effetto è quello che viene prodotto dall’incidenza delle onde sismiche in corrispondenza dell’interfaccia non orizzontale. Le onde di superficie così generate in presenza di basamento roccioso e un’alta impedenza tra terreno e roccia restano confinate all’interno della valle e sono soggette a riflessioni multiple.
  • 57. Pag. 57 di 131 Figura 3.31 Schema di generazione di onde in superficie prodotte da effetti di bordo ai margini di una valle alluvionale (Lanzo G., Silvestri F. 1999) Al fine di esplorare la sensibilità della risposta sismica 2D dei bacini trapezoidali a diversi parametri come la geometria del bacino e le proprietà del materiale, viene condotta una vasta serie di analisi numeriche di bacini con terreno omogeneo con comportamento lineare visco-elastico. L'omogeneità e il comportamento visco-elastico sono scelti come presupposto di riferimento e l’approssimazione del primo passo, una pratica abituale in questo tipo di studi. Il codice consente anche simulazioni 1D per i modelli 1D locali definiti dalle distribuzioni dei parametri del materiale lungo ciascuna linea della griglia verticale. (tabella 3.33) I Parametri sono: • Width (m) = lunghezza del bacino • Thickness (m)= profondità del bacino considerato fino al bedrock • Angles set (deg) = angoli del bacino • Velocity contrast= contrasto di velocità tra roccia fresca e sedimenti (Vc=Vs deposito/ Vs bedrock) • Shape ratio= Rapporto di forma, definito come il rapporto tra lo spessore • T0,c=il periodo fondamentale 1D al centro del bacino (T0, c = 4h / Vs), che combina le caratteristiche della geometria del bacino e le proprietà dei sedimenti.
  • 58. Pag. 58 di 131 Tabella 3.33 Main geometrical and dynamic properties of all models. (Riga et.al 2016)
  • 59. Pag. 59 di 131 Figura 3.32 Geometrical configuration of the models (Riga et.al 2016) Trentadue geometrie (Fig. 3.32) di larghezza, w, spessore, h , angoli del bordo inclinati, a1-a2 vengono analizzate. Le combinazioni larghezza-spessore selezionate, indicate nella Tabella 3.6.3a, sono combinate con quattro coppie di angoli di bordo inclinati a1-a2 (20- 20 °, 45−45°,65-65°,20-65°). Per ciascuno configurazione geometrica tre diversi materiali omogenei sono considerati per i sedimenti, per un totale di 96 modelli di bacini. Il materiale del bedrock sismico è lo stesso in tutti i modelli. Una volta calcolato il proprio bacino si mette a confronto con questi modelli e si trova quella che approssima meglio uno dei risultati. Infine l’amplificazione indotta dal bacino è quantificata attraverso un fattore di aggravamento dipendente dal periodo (AGF), definito come il rapporto tra gli spettri di risposta all’accelerazione 2D e 1D lungo la superficie del bacino. Vengono studiate la distribuzione spaziale dei fattori di aggravamento massimo, che sono di interesse ingegneristico, lungo la larghezza del bacino, nonché la loro dipendenza dai parametri esaminati. La risposta 2D deve essere deamplificata rispetto alla corrispondente risposta 1D in particolare per le pendenze ripide. Il MaxAGF aumenta con il rapporto di forma e l’aumento è più pronunciato nella parte centrale del bacino. Quindi anche i fattori di aggravamento variano al variare della regione ( tabella 3.35). Figura 3.34 Divions of basins into regions (Riga et. al 2016)
  • 60. Pag. 60 di 131 Tabella 3.35 Maximum values of mean aggravation factors for regions a1,b 1,c 1,d1,e 1 of Figura 3.6.4 (Riga et.al 2016)
  • 61. Pag. 61 di 131 4. CASO DI STUDIO IN ABRUZZO (L’AQUILA): LA STAZIONE ACCELEROMETRICA AQA 4.1 DESCRIZIONE DELL’AREA DI STUDIO Il terremoto che nella notte tra domenica e lunedì 6 Aprile 2009, alle 3.32 locali, ha devastato il centro storico della città di L’Aquila e decine di paesi lungo la valle del fiume Aterno ha avuto una magnitudo locale stimata Ml=5.8 ed una magnitudo momento Mw=6.1 (INGV, 2009). Il terremoto è stato preceduto da una lunga sequenza sismica (Ml<4.0) iniziata nella seconda metà di dicembre nella zona a sudovest di L’Aquila (bacino di Roio) e culminata con un evento di Ml=4.1 il 30 Marzo 2009. Due scosse avvenute a cavallo della mezzanotte del 5 Aprile (Ml=3.9 e Ml=3.5), fortemente avvertite dalla popolazione aquilana, hanno indotto molte persone a passare la notte nelle automobili od a spostarsi in luoghi ritenuti più sicuri, così che l’evento devastante delle 3.32 ha causato probabilmente meno vittime di quante la gravità dei crolli ne avrebbe provocate. I danni maggiori si sono verificati nella città di L’Aquila, popolata da circa 73000 abitanti, e molti piccoli villaggi del circondario, come Paganica, Onna, Castelnuovo, hanno subito danni significativi. Durante l’evento sismico hanno perso la vita 309 persone e altre 1500 circa sono risultate ferite. Il terremoto ha condotto all’evacuazione di circa 80.000 residenti nelle aree colpite e ha lasciato circa 24000 di questi senza casa. Accanto ai danni riportate dalle abitazioni, ci sono stati effetti anche sull’ambiente fisico: fratturazioni, frane sismo indotte, sprofondamenti, liquefazioni e fenomeni deformativi. L’area sismica si estende per circa 20 km in direzione nord-ovest sud-est. Castelnuovo ed Onna sono risultati i paesi maggiormente danneggiati. Le località visitate sono state oltre 300 ed a ciascuna è stato assegnato il grado nella scala MCS (Mercalli, Cancani, Sieberg). In figura 4.1 viene rappresentato l’epicentro macrosismico con la stella vuota, laddove per ipocentro macrosismico si intende il punto esatto, all'interno del sottosuolo, in cui avviene la frattura che dà origine alle onde sismiche. In occasione di grandi terremoti un gruppo di “pronto intervento macrosismico” (QUEST: Quick Earthquake Survey Team), composto da operatori afferenti a diverse istituzioni, si attiva al fine di realizzare il rilievo speditivo del danneggiamento in termini di scala MCS. Anche in tale occasione il QUEST ha provveduto a stimare i danni, assegnando a ciascuna
  • 62. Pag. 62 di 131 delle località visitate il rispettivo grado della scala MCS. Coppito, località presso la quale è ubicata la nostra stazione accelerometrica di AQA, è stata classificata dal QUEST con Is=VII , il che implica “terremoto che viene notato da tutti con paura, molti fuggono all’aperto, alcuni hanno la sensazione d’instabilità. Liquidi si muovono fortemente; quadri, libri e cose simili cadono dalle pareti e dagli scaffali; porcellane si frantumano; suppellettili assai stabili, e perfino pezzi d’arredo vengono spostati se non rovesciati; piccole campane in cappelle e chiese, e orologi di campanili battono. Case isolate, solidamente costruite subiscono danni leggeri; spaccature all’intonaco, caduta del rinzaffo di soffitti e di pareti. Danni più forti, ma non ancora pericolosi, si hanno sugli edifici mal costruiti. Qualche tegola e pietra di camino cade”. (Sieberg. 1930). Figura 4.1 Distribuzione dei punti di intensità MCS. (Galli P. et al., 2009). A seguito del sisma, sono stati prodotti numerosi studi relativi ai risultati delle stazioni accelerometriche della valle dell’Aterno (AQG, AQA, AQV,AQM,AQF) , in quanto esse si trovano lungo un bacino e potrebbero essere soggette a un effetto amplificativo a causa di quest’ultimo; grazie alle registrazioni del 6 aprile 2009, siamo in grado di studiare le variazioni della risposta del terreno dalla zona di bordo alla zona centrale. Per poter
  • 63. Pag. 63 di 131 studiare tale effetto bidimensionale, si è fatto riferimento alla pubblicazione di Riga et al. 2016, la quale pone dei coefficienti di amplificazione per gli spettri da 1D a 2D. Nel caso specifico abbiamo scelto la stazione di AQA, ubicata a Coppito, in quanto anch’essa si trova lungo questo all’interno di questo bacino. 4.2 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO Nella figura 4.1 viene mostrata la stazione di AQA (Viale Delle Fiamme Gialle, Coppito), la quale è ubicata sulla sponda destra del fiume Aterno ad una quota di 693 m.s.l.m. ed è caratterizzata da una classe topografica di tipo T1, con coordinate pari a 42.37553° di latitudine e 13.3393° di longitudine ed è caratterizzata secondo le NTC18 da una categoria di sottosuolo di tipo B. Nella Figura 4.2 vengono mostrate tutte le stazioni accelerometriche posizionate nella valle del fiume Aterno. Esse sono composte tutte da cabine in vetroresina, sono posizionate in superficie e sono di tipo permanente. Figura 4.1 Inquadramento geografico di AQA (https://earth.google.com/web/@42.37528046,13.33840289,641.13823213a,909.67710827d,35y,- 4.75034902h,4.36470664t,0r) AQA
  • 64. Pag. 64 di 131 Tabella 4.2a Caratteristiche delle stazioni accelerometriche posizionate nella valle dell’Aterno Figura 4.2b Postazioni accelerometriche AQA, AQF, AQG, AQM e AQV nella Valle dell’Aterno. Le frecc e indicano il tracciato della faglia di Pettino. Il verso di scorrimento del fiume Aterno è da sinistra verso destra ( Di Capua Giuseppe et al. 2009) Indirizzo Latitudine Longitudine m.s.l.m. Categoria di sottosuolo (NTC18) Categoria topografica (NTC18) AQV Via dei Colatoi II, L’Aquila 42.37722° 13.34389° 692 B T1 AQG Via Colle dei Grilli, Coppito 42.37347° 13.33703° 721 A T1 AQF Konrad Adenauer, L’Aquila 42.38054° 13.35474° 836 B T2 AQM Via Antica Arischia, L’Aquila 42.37864° 13.34926° 724 A T1
  • 65. Pag. 65 di 131 4.3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E SISMO-TETTONICO Ci sono due principali set di faglie attive nell’area di interesse: l’uno, nel settore più esterno della catena degli Appennini , caratterizzato da faglie e sistemi di faglia normali c.d. “silenti”, le quali presentano evidenze geologiche e geomorfologiche di attività tardo pleistocene superiore-olocene, alle quali tuttavia non è possibile attribuire terremoti da catalogo (sistemi di faglie della Laga, di Campo Imperatore e del Monte Morrone, rispettivamente LMFS, CIFS e MMFS in Fig. 4.3); l’altro, nel settore più interno, al quale sono stati associati gli eventi più distruttivi presenti nei repertori sismologici (sistemi di faglie dell’alta valle dell’Aterno, di Campo Felice Ovindoli e del Fucino, rispettivamente UAFS, CFCFS,OPFS e FFS in Fig.4.3). La Figura 4.3 mostra schematicamente i due set di faglie ed i terremoti con Mw 6.3 associati al sistema occidentale. Il terremoto del 1703 (2 febbraio, Mw=6.7) è stato causato dall’attivazione del sistema di faglie dell’alta valle dell’Aterno (UAFS; faglie del M. Marine e del M. Pettino), quello del 1349 molto dubitativamente dal sistema di faglie intorno a Campo Felice (OPFS-CFCFS, faglie di Ovindoli-Pezza, Campo Felice e Colle Cerasitto) e quello catastrofico del 1915 (Mw=7) dal sistema di faglie del Fucino (FFS). Per quanto concerne il terremoto del 1461 (Mw=6.5), Galadini & Galli (2000) non forniscono indicazioni se non la possibilità che esso sia stato generato dalla faglia di Assergi, oppure da una delle faglie minori nella valle dell’Aterno (presumibilmente faglie di Paganica-San Demetrio PSDFS). Infine, per quanto concerne i possibili tempi di ritorno simili a quello dell’Aprile 2009, è possibile ipotizzare un intervallo di qualche centinaio di anni. Infatti, ipotizzando che il terremoto del 1461 sia “gemello” di quello del 2009 e che sia stato generato dalla stessa sorgente, il tempo trascorso tra i due è di 550 anni e potrebbe essere preso come riferimento per questa classe di magnitudo. Tuttavia, dal momento che il sistema di faglie di Paganica può interagire con i sistemi posti sia a nord-ovest con UAFS che a sud-est con MAFS, non si possono escludere terremoti anche più grandi al di fuori di questo arco temporale. A sostegno di ciò si pensi al terremoto più forte del 1703, che potrebbe essere stato generato dal sistema Paganica.
  • 66. Pag. 66 di 131 Figura 4.3 Schema delle faglie attive primarie dell’appennino aquilano. LMFS, sistema di faglie dei Monti della Laga; CIFS, sistema di faglie del Monte San Franco (ad occidente) e di Campo Imperatore (ad oriente); UAFS, sistema di faglie dell’alta valle dell’Aterno (i.e., faglie del Monte Marine e del Monte Pettino); in grassetto: PSDFS, sistema di faglie di Paganica-San Demetrio (a, segmento Collebrincioni- Colle Praticciolo; b, Colle Enzano; c, Paganica; d, San Gregorio; e, San Demetrio): l’intero sistema ha mostrato segni di riattivazione superficiale in occasione del terremoto del 6 Aprile; MAFS, sistema di faglie della media valle dell’Aterno; MMFS, sistema di faglie bordiero della piana di Sulmona (faglie del Monte Morrone); CFCFS, sistema di faglie di Campo Felice-Colle Cerasitto; OPFS, faglie di Ovindoli- Piano di Pezza; FFS, sistema di faglie del bacino del Fucino.(Gallo et al. 2009)
  • 67. Pag. 67 di 131 L’area epicentrale del terremoto del 6 Aprile 2009 è localizzata nella parte centrale della catena appenninica, in corrispondenza di uno dei più complessi bacini post-orogeni di origine tettonica: il bacino dell'Aquila (Fig. 4.4). La depressione morfo-tettonica, corrispondente alla parte dell’alta e media valle dell’Aterno, ospita spesse successioni di sedimenti continentali pliocenico-quaternari generalmente di origine lacustre o fluviale, distinte in numerose unità deposizionali. Nella zona di L’Aquila – Scoppito, affiora la più antica unità deposizionale, denominata pianola, costituita da sabbie e limi stratificati di origine lacustre del pleistocene inferiore-pliocene superiore. Questi sedimenti sono caratterizzati da abbondante presenza di granuli di quarzo, plagioclasio e miche che suggeriscono una provenienza dalle aree di affioramento dei flysch, progressivamente e parzialmente smantellati dall’erosione. Sono probabilmente da riferire a questa unità anche le cosiddette “megabrecce di L’Aquila”, depositi caratterizzati dalla presenza di ammassi caotici di brecce carbonatiche, inglobanti blocchi anche di grandi dimensioni, intercalati a volte a livelli limoso sabbiosi. L’unità deposizionale di pianola presenta importanti deformazioni con significative inclinazioni degli strati verso nord. Depositi con caratteristiche simili sono presenti anche in altri bacini intramontani dell’Appennino laziale-abruzzese, come ad esempio il Fucino e la valle del Salto, dove in base alle caratteristiche sedimentologiche, ai rapporti stratigrafici con le unità più recenti ed al fatto che contengono blocchi calcarei non più affioranti ai bordi degli attuali bacini, è stata ipotizzata una loro età pliocenica (Bosi et al. 2003). L’ipotesi che anche l’unità di pianola abbia un’età maggiore di 1,77 Ma è suggerita sia dalle intense deformazioni che la contraddistinguono, indicativa di lunga storia tettonica, sia dalla polarità magnetica normale che la contraddistingue e riferibile verosimilmente all’epoca Gauss (Messina et al. 2001).
  • 68. Pag. 68 di 131 Figura 4.4 Schema geologico del bacino di L'Aquila.( Gruppo di Lavoro MS–AQ 2010) A causa del terremoto del 6 Aprile 2009 il centro storico de L’Aquila ha subito danni tali da far prevedere, fin dai primi momenti, la necessità di diversi anni per la sua ricostruzione, ma anche il resto del territorio comunale ha mostrato segni di distruzione vasti, anche se non diffusi in modo uniforme. Questa circostanza ha reso evidente la necessità di uno studio approfondito e sistematico, finalizzato a definire in dettaglio le caratteristiche geomorfologiche del territorio, in modo da poter individuare sia le aree più adatte per la costruzione delle strutture alloggiative, sia le linee di fattibilità della successiva ricostruzione effettuata in termini di massima sicurezza antisismica. Lo studio di microzonazione è stato promosso e coordinato dal dipartimento della protezione civile e dalla regione Abruzzo; ha consentito di rispondere alle esigenze poste dalla ricostruzione dei comuni aquilani che hanno subito un’intensità macrosismica pari o superiore al VII grado MCS. Gli studi di microzonazione sismica hanno l’obiettivo di razionalizzare la conoscenza sulle alterazioni che lo scuotimento sismico può subire in superficie, restituendo informazioni utili per il governo del territorio, per la progettazione, per la pianificazione per l’emergenza e per la ricostruzione post-sisma. I comuni interessati sono stati raggruppati in 12 macroaree e per ciascuna area sono state riportate tutte le elaborazioni e la sintesi delle indagini realizzate. L’area oggetto di studio è individuata nella macroarea 2. Quest’ultima si estende per circa 20 km2 , da ovest a est, dalla scuola della guardia di finanza di Coppito a S. Antonio-Pile e, da nord a sud, Dal
  • 69. Pag. 69 di 131 M. Pettino al M. Roio, comprendendo trasversalmente per intero la valle del fiume Aterno e del suo affluente Raio. La stazione accelerometrica di AQA si trova nella carta geologica della macroarea2 (figura 4.7) sulla sezione M2S4 tra la 5^ e la 6^ sezione. Si può notare che il terreno sottostante è composto da due tipologie di depositi alluvionali. Il primo è un deposito alluvionale del fiume Aterno e del torrente Raio, composto da un’alternanza di ghiaie eterometriche parzialmente clasto-sostenute, con elementi calcarei sia arrotondati che subangolosi, che presentano embricature a sabbie sottilmente stratificate con lenti e livelli limoso-argillosi intercalati. Questi depositi affiorano ad una quota compresa tra 640 e 590m. Più in profondità troviamo dei depositi alluvionali terrazzati del fosso Vetoio; essi sono strati di spessore e dimensione variabile composte da ghiaie, sabbie, limi sabbiosi e argillosi. Le ghiaie presentano varie colorazioni: alcuni strati sono giallastri, dovuti principalmente alla sabbia presente come matrice; altri sono rosso-bruno, a causa di processi di alterazione; altri ancora sono grigio-nerastri per via di patine di manganese. Tali ghiaie sono di natura prevalentemente calcarea e subordinatamente silicea ed i clasti provengono prevalentemente dalle formazioni di scarpata-bacino delle unità del Gran Sasso. Le ghiaie hanno varie classificazioni: da poco a fortemente cementate con legante calcitico, arrotondate e con una sfericità nell’insieme bassa e in alcune porzioni, si notano gradazione più o meno evidenti dirette e inverse ed embriciature. Le sabbie si dispongono in lenti di vario spessore ed in livelli con laminazioni piano-parallele e incrociate, alternate alle ghiaie, a *formare strutture tipo forset. I sedimenti più fini, presenti nella parte sommitale della serie, sono costituiti da limi sabbiosi ed argillosi di colore grigiastro, ricchi di gasteropodi dulcicoli e caratterizzati da un’alta percentuale di minerali vulcanici; al di sopra di questi ultimi è presente un livello tufitico di 20 cm. Questo tipo di sedimenti affiorano a quote comprese tra 625 e 640 metri. Lo spessore non supera i 30 metri. Infine, nella parte più profonda è presente la Maiolica detritica, che corrisponde a una roccia sedimentaria detritica, dall’aspetto porcellanaceo ed è costituita da calcari quasi puri, compatti, a grana fine, con stratificazione continua e regolare in strati con spessori da 10 a 35 cm e con noduli di selce di colore grigio.
  • 70. Pag. 70 di 131 Figura 4.5 Carta geologica. Unità quaternarie Ri riporti; Cl depositi eluvio-colluviali;Dt detrito di falda, Al depositi alluvionali del fiume Aterno e del torrente Raio, Cd depositi di conoide del Monte Pettino, At depositi alluvionali terrazzati del fosso Vetoio, Br1 brecce dell’Aquila, Mo unità terrigena marnosa, Ma maiolica detritica e calciruditi a fucoidi, Co corniola e calcari diasprini detritici, A giacitura strati, B strati orizzontali, C faglia, D sovrascorrimento, E specchio di faglia inclinato con indicazione della immersione e della inclinazione, F zona cataclasata, G orlo di terrazzo fluviale, H conoide alluvionale e di detrito, I frana sismoindotta, L sondaggio, M traccia dei profili (Gruppo di Lavoro MS–AQ 2010) Figura 4.7 Sezione geologica .Dt detrito di falda, Al depositi alluvionali del fiume Aterno e del torrente Raio, Cd depositi di conoide del Monte Pettino, At depositi alluvionali terrazzati del fosso Vetoio, Mo unità terrigena marnosa, Ma maiolica detritica e calciruditi a fucoidi, Co corniola e calcari diasprini detritici. profili (Gruppo di Lavoro MS–AQ 2010)
  • 71. Pag. 71 di 131 4.4 CARATTERIZZAZIONE GEOTECNICA E GEOFISICA La valutazione della risposta sismica locale non può non avere un’accurata ricostruzione del modello geologico del sottosuolo tramite l’utilizzo delle informazioni geologiche di superficie, nonché indagini geotecniche e geofisiche. L’acquisizione di numerosi parametri (tra cui spessori, velocità e densità dei litotipi indagati, ricavati tramite l’utilizzo delle indagini condotte) costituisce il primo passo per gli studi di microzonazione sismica, i quali possono essere sfruttati come input per le modellazioni. Questo tipo di approccio è di fondamentale importanza per la valutazione della risposta sismica locale in quanto, permette di simulare il comportamento dei terreni al verificarsi di un evento sismico. Le caratteristiche geotecniche del nostro terreno sono state determinate tramite un sondaggio a carotaggio continuo, fino alla profondità di 30 metri. Nella figura 4.8 possiamo notare l’andamento stratigrafico localizzato al di sotto della stazione accelerometrica di AQA. Il sito è stato sottoposto anche a una prova down-hole utilizzata per calcolare il profilo delle velocità. L’unione di questi profili serve a ricostruire un modello che possa essere utilizzato per le analisi numeriche. Nel profilo delle velocità sono presenti onde S e onde P, ma nel di specie si tratterà solo delle onde S, poiché le onde P vengono utilizzate solo per analisi di tipo 2D. Il profilo delle velocità mostra un andamento di questo tipo: 1-4 metri Vs= 245 m/s; 4-8 metri Vs= 575 m/s; 9 metri Vs= 945 m/s; 9-19 metri Vs=700/800 m/s ; 20 metri Vs=955 m/s ;20-30 metri Vs= 900m/s. Nella figura 4.8 presenta il risultato del sondaggio a carotaggio continuo che mostra un terreno eterogeneo composto da: 0-1 metro terreno di riporto; 1-4 metri argilla limosa con pietrisco; 4 -6 metri ghiaie sabbiosa ; 6-17 metri argilla limosa con pietrisco; 17-20 metri roccia calcarea; 20-30 metri argilla limosa con pietrisco.
  • 72. Pag. 72 di 131 Figura 4.8 Profilo della stratigrafia e delle velocità di propagazione Vs e Vp profili (Gruppo di Lavoro MS–AQ 2010) Nella figura 4.9 viene mostrata la frequenza fondamentale, calcolata con l’analisi del microtremore. Quest’ultima è una tecnica di analisi passiva, non invasiva, a stazione singola del rumore sismico ambientale presente attorno ad una determinata posizione sulla superficie del terreno; viene utilizzata per accertare che il modello di sottosuolo realizzato abbia la stessa frequenza fondamentale di quello reale. Senza questa prova non è possibile utilizzare il nostro modello per le successive analisi. Il tipo di curva mostrata in figura è a picco singolo e misura 10 Hz.