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La Newsletter dell’Ambasciata di Palestina
Roma, Italia
No 45
14 novembre 2016
“Adesso basta, il 2017 deve essere l’anno in cui porre termine all’occupazione israeliana”
Abu Mazen
1
NEWSLETTER No 45
Indice:
I) L’effetto Trump
II) Israele: Un “No” sempre più secco all’Iniziativa Francese
III) Se i bambini vanno in prigione
IV) Tombe palestinesi distrutte a Gerusalemme
V) La resistenza degli artigiani
VI) Contro l’occupazione ricordando Arafat
2
I – L’effetto Trump
"E' finita l'era dello Stato palestinese". Questo il commento di Naftali Bennett, Ministro
dell'Educazione e leader del partito di destra religiosa
Focolare Ebraico, vicino al movimento dei coloni,
all'elezione di Donald Trump. “La sua vittoria - ha
aggiunto - è una formidabile occasione per Israele per
annunciare l'immediata revoca dell’idea di uno Stato
palestinese nel cuore della nostra terra, che va
direttamente contro la nostra sicurezza e contro la
giustezza della nostra causa". "Questa - ha spiegato - è
la concezione del neo-eletto Presidente USA così come
compare nel suo programma politico e di sicuro deve essere la sua politica".
Anche il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha salutato con soddisfazione l'elezione di Trump e si è
augurato che, come promesso in campagna elettorale, il Presidente USA "trasferisca l'ambasciata
americana da Tel Aviv a Gerusalemme".
Vedi:
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2016/11/09/ministro-israele-fine-stato-
palestinese_084150c7-9b05-4c2c-84a0-5bd1d68eef92.html
II - Da Israele un “No” sempre più secco all’Iniziativa Francese
Il 7 novembre le autorità palestinesi hanno ribadito il loro sì al piano francese per una Conferenza
Internazionale: “Abbiamo incoraggiato la Francia ad
andare avanti con la sua iniziativa e sostenuto i suoi
sforzi per organizzare una conferenza multilaterale
prima della fine dell’anno”, ha detto il Segretario
Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP dopo
l’incontro con l’inviato Francese a Ramallah Pierre
Vimont. Il Presidente Abu Mazen avrebbe infatti
spronato Vimont perché non permettesse a Israele di
“sabotare” la Conferenza. Anche se, come ha spiegato
lo stesso Erekat, il problema è molto più vasto: “Israele
è uno Stato che non solo rifiuta di partecipare a
conferenze internazionali, rifiuta più che altro di riconoscere la Palestina, di adempiere agli accordi
sottoscritti e alle risoluzione dell’ONU così come agli obblighi derivanti dal diritto internazionale.
Israele vuole solo mantenere lo status quo continuando con la sua politica degli insediamenti e furti
di terra”. Ecco perché Il Primo Ministro Netanyahu insiste con i negoziati diretti, come ha fatto lo
stesso 7 novembre attraverso una dichiarazione rilasciata durante un incontro con il Primo Ministro
delle Isole Fiji: “Ogni volta che viene qui un leader straniero io dico: ‘Guardi, sarei contento di iniziare
negoziati di pace senza condizioni, ma negoziati diretti con il Presidente Abbas’”. Ogni altra iniziativa
che contraddica “la posizione ufficiale dello Stato di Israele”, hanno spiegato gli inviati di Netanyahu
a Vimont, “serve solo a portare la regione più lontano dal processo di pace”. Tutto questo
nonostante le rassicurazioni di Vimont che la Conferenza proposta dalla Francia ha l’unico scopo di
salvare l’opzione dei due Stati in un momento in cui i negoziati diretti non sono fattibili.
Vedi:
http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Palestinians-say-oui-to-Paris-peace-conference-after-
Israel-balks-471951
3
III – Se i bambini vanno in prigione
Il tribunale distrettuale di Gerusalemme lunedì 7 novembre ha emesso tre sentenze “esemplari” che
condannano a un numero di anni spropositato tre ragazzini palestinesi accusati di aver aggredito dei
cittadini israeliani. In particolare, Ahmad Manasrah, che aveva 13 anni al momento dell’episodio
denunciato e adesso ne ha 14 dopo aver seguito un anno percorso “riabilitativo”, è il più giovane
dei tre ed ha ricevuto una condanna a 12 anni di carcere più una multa impossibile da pagare di circa
50.000 dollari che dovrebbero servire a compensare i coloni dell’insediamento di Pisgat Zeev, a
Gerusalemme Est, che Ahmad avrebbe ferito nell’ottobre
del 2015.
Al di là del fatto che Ahmad ha sempre proclamato la propria
innocenza, dicendo di essere stato costretto ad ammettere
qualcosa perché sottoposto a dure pressioni fisiche e
psicologiche, sconcerta che alla sua giovane età questo
ragazzino continui ad essere trattato come non dovrebbe
essere trattato nemmeno un adulto, e colpisce il fatto che –
pur essendo stato ferito e ricoperto dagli insulti dei passanti - possa dirsi addirittura fortunato
rispetto al cugino Hassan, che nella stessa circostanza è stato ucciso a sangue freddo.
Lo stesso tribunale di Gerusalemme ha poi condannato altri due minorenni a 11 anni di prigione
ciascuno e al pagamento di una multa di 13.000 dollari. Munther Abu Shamali, di 15 anni di età, e
Muhammad Taha, di 16, erano stati accusati di aver compiuto un’aggressione simile nel mese di
gennaio.
Esplicito il commento di Lea Tsemel, avvocato israeliano di Ahmad Manasrah: “La nostra sconfitta
come team legale non è nulla in confronto alla profonda sconfitta che questa sentenza infligge non
solo alla giustizia israeliana ma soprattutto alla società israeliana”.
La Presidenza dell’Autorità Palestinese, da parte sua, ha subito rilasciato una dichiarazione in cui
denunciava la sentenza riservata ad Ahmad come “contraria a qualsiasi legge riguardante i diritti del
fanciullo” e “finalizzata a spargere il terrore tra i bambini palestinesi come misura deterrente”. Ma
ha anche avviato una petizione rivolta alle Nazioni Unite e già firmata da mezzo milione di persone
in cui chiede all’Organizzazione di fare pressione su Israele perché liberi il ragazzo.
Allo stesso tempo, martedì 10 decine di ragazzini palestinesi hanno partecipato a un sit-in di fronte
alla sede dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU a Gaza, saltando volentieri scuola per
protestare contro la stessa sentenza e chiedere di agire per impedire che sia messa in atto. Queste
le parole di uno di loro: “La nostra infanzia è perduta. Per quanto tempo resterete ancora in
silenzio?”. E l’ex detenuto Palestinese Mahmoud Hijawi si è appellato all’Autorità Palestinese perché
prenda la decisione politica di far giudicare le autorità israeliane dalla Corte Penale Internazionale.
Ricordiamo che almeno 1.000 giovani palestinesi tra gli 11 e i 18 anni sono stati arrestati dal mese
di gennaio e che sono 340 quelli attualmente detenuti nelle carceri israeliane.
Vedi:
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=ru8fkZa51589771365aru8fkZ
https://www.maannews.com/Content.aspx?id=773876
http://www.dailymail.co.uk/wires/afp/article-3912952/Palestinian-teen-jailed-12-years-attack-
Israelis-lawyer.html
IV – Tombe palestinesi distrutte a Gerusalemme
Il 1 novembre le forze dell’Autorità Israeliana per la Natura e i Parchi hanno demolito numerose
tombe e lapidi nel cimitero palestinese di Bab Al-Rahma, che si estende lungo le Mura Orientali della
4
Città Vecchia, nella Gerusalemme Est Occupata. Secondo quanto riferisce Sheikh Omar Al-Kiswani,
Direttore del Complesso della Moschea di Al-Aqsa, le autorità israeliane avrebbero giustificato
l’azione sostenendo che le tombe si trovassero su
un terreno già confiscato da Israele, ma – qualora
ce ne fosse bisogno nel caso di luoghi dove si
conservano i resti di essere umani - documenti
ufficiali provano che si trattava invece di proprietà
privata di due famiglie palestinesi.
Non è la prima volta che l’Autorità Israeliana per la
Natura e i Parchi rivendica parti del cimitero, in
linea con l’obiettivo di trasformare la zona in un
parco turistico che circonda la città.
Il Consigliere dell’Autorità Palestinese per gli Affari
Islamici e Religiosi, Mahmoud Al-Habbash, ha immediatamente condannato questo violento abuso,
definendolo un segno della “confusione politica” in cui il governo di Israele sembra essere piombato
in seguito alla decisione dell’UNESCO di condannare le violazioni israeliane sulla Spianata delle
Moschee. Si tratta, secondo Al-Habbash, di un crimine contro un patrimonio sacro ai musulmani,
“per cui il governo di Israele deve essere punito, in accordo con il diritto internazionale”
Vedi:
https://www.maannews.com/Content.aspx?id=773803
V - La resistenza degli artigiani
La resistenza pacifica del popolo palestinese all’occupazione israeliana si dimostra anche così.
"Esportiamo merci in tutto il mondo con una etichetta che porta scritto ‘Made in Hebron’. Ogni
oggetto racconta una storia che risale a
centinaia di anni fa." Con queste parole,
Al-Hajj Abdul Jawad Abdul Hamid Al-
Natsheh, 86 anni, descrive i prodotti
realizzati dagli artigiani della sua fabbrica,
nata a Hebron più di 150 anni fa. La città
di Hebron, in Cisgiordania, è famosa per
l'artigianato, che l'ha portata a vincere il
Premio Mondiale Città dell’Artigianato
(World Crafts City Award) per l'anno 2016;
ma la fabbrica Natsheh, conosciuta come
la Fabbrica di Vetro e Ceramica di Hebron (Hebron Glass and Ceramics Factory) è rimasta una delle
poche che continuano a lavorare nonostante gli ostacoli inauditi derivanti dall’occupazione della
città nel 1967. Le ceramiche artigianali risalgono al periodo ottomano, hanno detto ad Al-Monitor i
residenti della città. Allora la ceramica veniva realizzata nella città vecchia nelle case di famiglia, fino
a quando si è trasformata in una fonte primaria di reddito. Gli stessi residenti sostengono poi che
l'industria del vetro sia proprio nata a Hebron, quando un gruppo di viaggiatori fece un gran fuoco
sulla sabbia nella zona a Sud della città e nei giorni successivi furono trovate forme di vetro.
Bader Al-Tamimi, Presidente del Centro per l’Artigianato Tradizionale (Traditional Handcrafts
Center) a Hebron, ha spiegato che i responsabili del settore stanno cercando di proteggere
l’artigianato dall’estinzione. Per loro questo non è solo una professione e un mezzo di
sostentamento, ma rappresenta anche una testimonianza storica, una storia che lega queste
5
famiglie alla città. Per loro, l'industria è un racconto storico legato alla seconda città più colpita dalla
colonizzazione dopo Gerusalemme.
Vedi:
http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2016/10/palestine-hebron-craft-industry-
factories.html#ixzz4NTACOA35
http://www.amiciziaitalo-
palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=5520:come-questi-artigiani-
palestinesi-stanno-mantenendo-vivo-il-loro-lavoro&catid=25&Itemid=75
VI – Contro l’occupazione ricordando Arafat
Per i 12 anni dalla morte del leader palestinese Yasser Arafat, giovedì 10 novembre si è tenuta a
Ramallah una grande cerimonia di commemorazione presso il Quartier Generale della Muqata.
L’attuale sede della Presidenza è stato anche il luogo da cui Arafat operava e in cui è stato costretto
a vivere sotto assedio per 34 mesi prima di trasferirsi in Francia in cerca di cure, interrotte quando
si è spento a Parigi l’11 novembre del 2004.
Da qui, dalla Muqata, il Presidente Abu Mazen si è rivolto alle migliaia di persone accorse per
ricordare il leader scomparso, con un discorso politico oltre che celebrativo: “Questo non è soltanto
un desiderio. Con il lavoro, con la lotta e con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, noi diciamo
al mondo che adesso basta, il 2017 deve essere l’anno in cui porre termine all’occupazione
israeliana”. A cominciare dagli insediamenti costruiti dopo il 1967, che il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite dovrebbe rimuovere attraverso un’apposita risoluzione, perché “rappresentano una
vera minaccia contro la pace”. A questo stesso Consiglio di Sicurezza Abu Mazen chiederà che la
Palestina diventi finalmente “un
membro delle Nazioni Unite a pieno
titolo”.
Durante tutto questo processo, l’OLP di
Arafat resterà – ha detto Abu Mazen -
l’unico rappresentante legittimo del
popolo palestinese, mentre la memoria
del suo leader storico sarà conservata
oltre che nei cuori dei palestinesi e di
chi ama la pace, nello spazioso Museo a
lui dedicato dentro alla Muqata,
inaugurato dal Presidente proprio in
questi giorni.
Vedi:
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=VGYwcza51624986226aVGYwcz
http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2016/11/10/mo-abu-mazen-
museo-arafat-preserva-eredita-grande-uomo_2fb4fa64-0d31-4c0a-9e28-9e4f2f9f1f7a.html

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  • 1. La Newsletter dell’Ambasciata di Palestina Roma, Italia No 45 14 novembre 2016 “Adesso basta, il 2017 deve essere l’anno in cui porre termine all’occupazione israeliana” Abu Mazen
  • 2. 1 NEWSLETTER No 45 Indice: I) L’effetto Trump II) Israele: Un “No” sempre più secco all’Iniziativa Francese III) Se i bambini vanno in prigione IV) Tombe palestinesi distrutte a Gerusalemme V) La resistenza degli artigiani VI) Contro l’occupazione ricordando Arafat
  • 3. 2 I – L’effetto Trump "E' finita l'era dello Stato palestinese". Questo il commento di Naftali Bennett, Ministro dell'Educazione e leader del partito di destra religiosa Focolare Ebraico, vicino al movimento dei coloni, all'elezione di Donald Trump. “La sua vittoria - ha aggiunto - è una formidabile occasione per Israele per annunciare l'immediata revoca dell’idea di uno Stato palestinese nel cuore della nostra terra, che va direttamente contro la nostra sicurezza e contro la giustezza della nostra causa". "Questa - ha spiegato - è la concezione del neo-eletto Presidente USA così come compare nel suo programma politico e di sicuro deve essere la sua politica". Anche il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha salutato con soddisfazione l'elezione di Trump e si è augurato che, come promesso in campagna elettorale, il Presidente USA "trasferisca l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme". Vedi: http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/mediooriente/2016/11/09/ministro-israele-fine-stato- palestinese_084150c7-9b05-4c2c-84a0-5bd1d68eef92.html II - Da Israele un “No” sempre più secco all’Iniziativa Francese Il 7 novembre le autorità palestinesi hanno ribadito il loro sì al piano francese per una Conferenza Internazionale: “Abbiamo incoraggiato la Francia ad andare avanti con la sua iniziativa e sostenuto i suoi sforzi per organizzare una conferenza multilaterale prima della fine dell’anno”, ha detto il Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP dopo l’incontro con l’inviato Francese a Ramallah Pierre Vimont. Il Presidente Abu Mazen avrebbe infatti spronato Vimont perché non permettesse a Israele di “sabotare” la Conferenza. Anche se, come ha spiegato lo stesso Erekat, il problema è molto più vasto: “Israele è uno Stato che non solo rifiuta di partecipare a conferenze internazionali, rifiuta più che altro di riconoscere la Palestina, di adempiere agli accordi sottoscritti e alle risoluzione dell’ONU così come agli obblighi derivanti dal diritto internazionale. Israele vuole solo mantenere lo status quo continuando con la sua politica degli insediamenti e furti di terra”. Ecco perché Il Primo Ministro Netanyahu insiste con i negoziati diretti, come ha fatto lo stesso 7 novembre attraverso una dichiarazione rilasciata durante un incontro con il Primo Ministro delle Isole Fiji: “Ogni volta che viene qui un leader straniero io dico: ‘Guardi, sarei contento di iniziare negoziati di pace senza condizioni, ma negoziati diretti con il Presidente Abbas’”. Ogni altra iniziativa che contraddica “la posizione ufficiale dello Stato di Israele”, hanno spiegato gli inviati di Netanyahu a Vimont, “serve solo a portare la regione più lontano dal processo di pace”. Tutto questo nonostante le rassicurazioni di Vimont che la Conferenza proposta dalla Francia ha l’unico scopo di salvare l’opzione dei due Stati in un momento in cui i negoziati diretti non sono fattibili. Vedi: http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Palestinians-say-oui-to-Paris-peace-conference-after- Israel-balks-471951
  • 4. 3 III – Se i bambini vanno in prigione Il tribunale distrettuale di Gerusalemme lunedì 7 novembre ha emesso tre sentenze “esemplari” che condannano a un numero di anni spropositato tre ragazzini palestinesi accusati di aver aggredito dei cittadini israeliani. In particolare, Ahmad Manasrah, che aveva 13 anni al momento dell’episodio denunciato e adesso ne ha 14 dopo aver seguito un anno percorso “riabilitativo”, è il più giovane dei tre ed ha ricevuto una condanna a 12 anni di carcere più una multa impossibile da pagare di circa 50.000 dollari che dovrebbero servire a compensare i coloni dell’insediamento di Pisgat Zeev, a Gerusalemme Est, che Ahmad avrebbe ferito nell’ottobre del 2015. Al di là del fatto che Ahmad ha sempre proclamato la propria innocenza, dicendo di essere stato costretto ad ammettere qualcosa perché sottoposto a dure pressioni fisiche e psicologiche, sconcerta che alla sua giovane età questo ragazzino continui ad essere trattato come non dovrebbe essere trattato nemmeno un adulto, e colpisce il fatto che – pur essendo stato ferito e ricoperto dagli insulti dei passanti - possa dirsi addirittura fortunato rispetto al cugino Hassan, che nella stessa circostanza è stato ucciso a sangue freddo. Lo stesso tribunale di Gerusalemme ha poi condannato altri due minorenni a 11 anni di prigione ciascuno e al pagamento di una multa di 13.000 dollari. Munther Abu Shamali, di 15 anni di età, e Muhammad Taha, di 16, erano stati accusati di aver compiuto un’aggressione simile nel mese di gennaio. Esplicito il commento di Lea Tsemel, avvocato israeliano di Ahmad Manasrah: “La nostra sconfitta come team legale non è nulla in confronto alla profonda sconfitta che questa sentenza infligge non solo alla giustizia israeliana ma soprattutto alla società israeliana”. La Presidenza dell’Autorità Palestinese, da parte sua, ha subito rilasciato una dichiarazione in cui denunciava la sentenza riservata ad Ahmad come “contraria a qualsiasi legge riguardante i diritti del fanciullo” e “finalizzata a spargere il terrore tra i bambini palestinesi come misura deterrente”. Ma ha anche avviato una petizione rivolta alle Nazioni Unite e già firmata da mezzo milione di persone in cui chiede all’Organizzazione di fare pressione su Israele perché liberi il ragazzo. Allo stesso tempo, martedì 10 decine di ragazzini palestinesi hanno partecipato a un sit-in di fronte alla sede dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU a Gaza, saltando volentieri scuola per protestare contro la stessa sentenza e chiedere di agire per impedire che sia messa in atto. Queste le parole di uno di loro: “La nostra infanzia è perduta. Per quanto tempo resterete ancora in silenzio?”. E l’ex detenuto Palestinese Mahmoud Hijawi si è appellato all’Autorità Palestinese perché prenda la decisione politica di far giudicare le autorità israeliane dalla Corte Penale Internazionale. Ricordiamo che almeno 1.000 giovani palestinesi tra gli 11 e i 18 anni sono stati arrestati dal mese di gennaio e che sono 340 quelli attualmente detenuti nelle carceri israeliane. Vedi: http://english.wafa.ps/page.aspx?id=ru8fkZa51589771365aru8fkZ https://www.maannews.com/Content.aspx?id=773876 http://www.dailymail.co.uk/wires/afp/article-3912952/Palestinian-teen-jailed-12-years-attack- Israelis-lawyer.html IV – Tombe palestinesi distrutte a Gerusalemme Il 1 novembre le forze dell’Autorità Israeliana per la Natura e i Parchi hanno demolito numerose tombe e lapidi nel cimitero palestinese di Bab Al-Rahma, che si estende lungo le Mura Orientali della
  • 5. 4 Città Vecchia, nella Gerusalemme Est Occupata. Secondo quanto riferisce Sheikh Omar Al-Kiswani, Direttore del Complesso della Moschea di Al-Aqsa, le autorità israeliane avrebbero giustificato l’azione sostenendo che le tombe si trovassero su un terreno già confiscato da Israele, ma – qualora ce ne fosse bisogno nel caso di luoghi dove si conservano i resti di essere umani - documenti ufficiali provano che si trattava invece di proprietà privata di due famiglie palestinesi. Non è la prima volta che l’Autorità Israeliana per la Natura e i Parchi rivendica parti del cimitero, in linea con l’obiettivo di trasformare la zona in un parco turistico che circonda la città. Il Consigliere dell’Autorità Palestinese per gli Affari Islamici e Religiosi, Mahmoud Al-Habbash, ha immediatamente condannato questo violento abuso, definendolo un segno della “confusione politica” in cui il governo di Israele sembra essere piombato in seguito alla decisione dell’UNESCO di condannare le violazioni israeliane sulla Spianata delle Moschee. Si tratta, secondo Al-Habbash, di un crimine contro un patrimonio sacro ai musulmani, “per cui il governo di Israele deve essere punito, in accordo con il diritto internazionale” Vedi: https://www.maannews.com/Content.aspx?id=773803 V - La resistenza degli artigiani La resistenza pacifica del popolo palestinese all’occupazione israeliana si dimostra anche così. "Esportiamo merci in tutto il mondo con una etichetta che porta scritto ‘Made in Hebron’. Ogni oggetto racconta una storia che risale a centinaia di anni fa." Con queste parole, Al-Hajj Abdul Jawad Abdul Hamid Al- Natsheh, 86 anni, descrive i prodotti realizzati dagli artigiani della sua fabbrica, nata a Hebron più di 150 anni fa. La città di Hebron, in Cisgiordania, è famosa per l'artigianato, che l'ha portata a vincere il Premio Mondiale Città dell’Artigianato (World Crafts City Award) per l'anno 2016; ma la fabbrica Natsheh, conosciuta come la Fabbrica di Vetro e Ceramica di Hebron (Hebron Glass and Ceramics Factory) è rimasta una delle poche che continuano a lavorare nonostante gli ostacoli inauditi derivanti dall’occupazione della città nel 1967. Le ceramiche artigianali risalgono al periodo ottomano, hanno detto ad Al-Monitor i residenti della città. Allora la ceramica veniva realizzata nella città vecchia nelle case di famiglia, fino a quando si è trasformata in una fonte primaria di reddito. Gli stessi residenti sostengono poi che l'industria del vetro sia proprio nata a Hebron, quando un gruppo di viaggiatori fece un gran fuoco sulla sabbia nella zona a Sud della città e nei giorni successivi furono trovate forme di vetro. Bader Al-Tamimi, Presidente del Centro per l’Artigianato Tradizionale (Traditional Handcrafts Center) a Hebron, ha spiegato che i responsabili del settore stanno cercando di proteggere l’artigianato dall’estinzione. Per loro questo non è solo una professione e un mezzo di sostentamento, ma rappresenta anche una testimonianza storica, una storia che lega queste
  • 6. 5 famiglie alla città. Per loro, l'industria è un racconto storico legato alla seconda città più colpita dalla colonizzazione dopo Gerusalemme. Vedi: http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2016/10/palestine-hebron-craft-industry- factories.html#ixzz4NTACOA35 http://www.amiciziaitalo- palestinese.org/index.php?option=com_content&view=article&id=5520:come-questi-artigiani- palestinesi-stanno-mantenendo-vivo-il-loro-lavoro&catid=25&Itemid=75 VI – Contro l’occupazione ricordando Arafat Per i 12 anni dalla morte del leader palestinese Yasser Arafat, giovedì 10 novembre si è tenuta a Ramallah una grande cerimonia di commemorazione presso il Quartier Generale della Muqata. L’attuale sede della Presidenza è stato anche il luogo da cui Arafat operava e in cui è stato costretto a vivere sotto assedio per 34 mesi prima di trasferirsi in Francia in cerca di cure, interrotte quando si è spento a Parigi l’11 novembre del 2004. Da qui, dalla Muqata, il Presidente Abu Mazen si è rivolto alle migliaia di persone accorse per ricordare il leader scomparso, con un discorso politico oltre che celebrativo: “Questo non è soltanto un desiderio. Con il lavoro, con la lotta e con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, noi diciamo al mondo che adesso basta, il 2017 deve essere l’anno in cui porre termine all’occupazione israeliana”. A cominciare dagli insediamenti costruiti dopo il 1967, che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe rimuovere attraverso un’apposita risoluzione, perché “rappresentano una vera minaccia contro la pace”. A questo stesso Consiglio di Sicurezza Abu Mazen chiederà che la Palestina diventi finalmente “un membro delle Nazioni Unite a pieno titolo”. Durante tutto questo processo, l’OLP di Arafat resterà – ha detto Abu Mazen - l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese, mentre la memoria del suo leader storico sarà conservata oltre che nei cuori dei palestinesi e di chi ama la pace, nello spazioso Museo a lui dedicato dentro alla Muqata, inaugurato dal Presidente proprio in questi giorni. Vedi: http://english.wafa.ps/page.aspx?id=VGYwcza51624986226aVGYwcz http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2016/11/10/mo-abu-mazen- museo-arafat-preserva-eredita-grande-uomo_2fb4fa64-0d31-4c0a-9e28-9e4f2f9f1f7a.html