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La Newsletter dell’Ambasciata di Palestina
Roma, Italia
No 48
5 dicembre 2016
“Facciamo che il 2017 non segni solo il 50esimo anniversario dell’occupazione della terra dello
Stato di Palestina, compresa Gerusalemme Est, ma sia un anno internazionale per porre termine
all’occupazione israeliana”
Il Presidente Mahmoud Abbas
1
NEWSLETTER No 48
Indice:
I) La Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese
II) L’Organizzazione Mondiale della Sanità condanna gli attentati israeliani alla salute dei
palestinesi
III) C’è una data per la Conferenza Internazionale di Pace
IV) La violenza delle autodemolizioni
V) La censura contraddice qualsiasi democrazia
2
I – La Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese
Il 29 novembre di ogni anno l’ONU celebra la Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo
Palestinese, in virtù del mandato conferito
dall’Assemblea Generale con le risoluzioni 32/40 B
del 2 dicembre 1977, 34/65 D del 12 dicembre 1979
e successive risoluzioni adottate dall’Assemblea
Generale sulla questione palestinese.
La data del 29 novembre fu scelta per il significato
che essa ha per il popolo palestinese. Quel giorno,
nel 1947, l’Assemblea Generale adottò la
risoluzione 181 (II), che divenne nota come la
Risoluzione sulla Partizione. La risoluzione stabiliva
la creazione in Palestina di uno Stato israeliano e di
uno Stato arabo, con Gerusalemme come città aperta a tutte le religioni monoteiste. Dei due Stati
previsti dalla risoluzione, tuttavia, solo uno, Israele, ha visto la luce.
E’ quanto ha voluto sottolineare il Presidente Abu Mazen in occasione della celebrazione di
quest’anno, rinnovando l’impegno dei palestinesi “rispetto agli accordi raggiunti con Israele dal
1993”, ma sottolineando che “questo impegno deve essere contraccambiato da parte di Israele e
Israele deve riconoscere lo Stato di Palestina, lavorando per risolvere le questioni legate allo status
finale e cessando le attività degli insediamenti, gli attacchi e le aggressioni alle nostre città, villaggi
e campi profughi, nonché la sua politica di punizioni collettive, arresti e detenzione di migliaia di
palestinesi nelle sue prigioni”.
Anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha celebrato questa giornata con un
messaggio di condanna per “un’attività israeliana di insediamento illegale in espansione, che mette
a rischio i valori democratici stessi di Israele e il carattere della sua società”, evidenziando allo stesso
tempo che “il numero di demolizioni di case e altre strutture palestinesi ad opera delle forze
israeliane è raddoppiato rispetto al 2015”.
Il Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Peter Thomson, il 29 novembre ha
partecipato ad un incontro speciale del Comitato ONU per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del
Popolo Palestinese (CEIRPP), indossando una sciarpa con la bandiera palestinese.
Si tratta di manifestazioni di solidarietà molto apprezzate dal popolo palestinese, per il quale questa
data significa innanzitutto un riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, che i suoi diritti sono
ancora calpestati e che bisogna tutelarli.
Vedi:
https://unispal.un.org/DPA/DPR/unispal.nsf/solidarity.htm
II – C’è una data per la Conferenza Internazionale di Pace
Mercoledì 7 dicembre si è ricominciato a parlare molto della Conferenza Internazionale di Pace
proposta dalla Francia. Il primo è stato Saeb Erekat, Segretario Generale del Comitato Esecutivo
dell’OLP, secondo il quale la Conferenza potrebbe tenersi il 21 dicembre, puntuale rispetto a quanto
previsto mesi fa dagli organizzatori. Erekat ha anche anticipato che gli inviti ufficiali non sono stati
ancora inviati, che è prevista la partecipazione di almeno 70 Stati, e che Israele sicuramente non
sarà tra questi: “Netanyahu ha già optato per gli insediamenti e scelto di rimpiazzare la soluzione
dei due Stati con un orrendo Apartheid nei Territori Occupati della Cisgiordania e di Gerusalemme
Est”.
Un primo incontro preparatorio dei ministri degli esteri di 28 Paesi si è tenuto a Parigi lo scorso mese
di giugno con la partecipazione degli Stati Uniti ma senza i rappresentanti della Palestina e di Israele,
3
che non erano stati invitati. Questa volta, mentre si sa già che sono tutti invitati a partecipare, non
si sa ancora se gli Stati Uniti parteciperanno,
mentre è evidente l’intenzione della Palestina di
esserci e quella di Israele di boicottare l’Iniziativa.
Sempre mercoledì, il Primo Ministro Netanyahu ha
detto esplicitamente al Presidente francese
François Hollande che avrebbe accettato volentieri
l’invito ad incontrarlo insieme al Presidente Abu
Mazen, a condizione che non si tenesse nessuna
conferenza internazionale. La linea del governo
israeliano resta infatti quella di affossare
“l’internazionalizzazione” della questione
palestinese, riesumando improbabili negoziati diretti. Ciò nonostante, secondo quanto riportato
immediatamente da Le Figaro, la Francia sembra determinata ad andare avanti, imperturbata
“dall’accoglienza glaciale” di Israele.
Vedi:
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=j0YUVua51800108778aj0YUVu
http://www.ilvelino.it/it/article/2016/12/07/francia-hollande-invita-a-parigi-leader-israele-e-
palestina-per-una-ri/08fcc4b8-fb94-415a-833a-5239af115b48/
http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Netanyahu-accepts-Paris-invite-to-meet-Abbas-if-
France-drops-conference-474760
III – L’Organizzazione Mondiale della Sanità condanna gli attentati israeliani alla
salute dei palestinesi
In occasione della Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato un rapporto su Gaza che valuta
l’accesso alle cure mediche nel corso di due anni,
denunciando come il sistema israeliano dei
permessi e le barriere fisiche imposte dallo stesso
sistema impediscano di fatto a pazienti, infermieri,
medici e ambulanze di raggiungere i luoghi di cura.
Lo studio, intitolato “Il diritto alla salute: il
superamento delle barriere per accedere alle cure
nei Territori Palestinesi Occupati, 2014-2015”, si
basa su dati forniti dall’Autorità Palestinese e da
organizzazioni non-profit, ma anche su interviste
con pazienti e ricerche sul campo.
Oltre alla questione dell’accesso alla salute, il rapporto affronta quella degli attacchi israeliani ad
ospedali, pazienti e personale medico in Cisgiordania, con particolare riferimento all’Area C, sotto il
totale controllo di Israele.
Stando alle informazioni dell’OMS, il numero di pazienti in cerca di permessi per transitare dal
checkpoint di Erez, a Nord della Striscia di Gaza, in cerca di cure mediche soprattutto in Cisgiordania,
è più che raddoppiato dal 2012 al 2015, mentre i permessi accordati sono calati drasticamente,
passando dal 92% al 77,5% di quelli richiesti.
4
Nel 2016, poi, secondo la stessa Organizzazione la situazione a Gaza è ulteriormente peggiorata, con
una percentuale di permessi rilasciati lo scorso mese di ottobre pari al 44% delle richiese, che ha
segnato il minimo storico degli ultimi sette anni.
Robert Piper, Coordinatore delle Nazioni Unite per l’Aiuto Umanitario e le Attività di Sviluppo, ha
così commentato: “Stiamo parlando della libertà di movimento al suo livello essenziale – il diritto di
accedere, letteralmente, a servizi che possono salvare la tua vita, quella di un tuo anziano genitore,
o di un tuo giovanissimo figlio”. Aggiungendo: “La sola idea che un recinto, un muro, una guardia di
sicurezza o un burocrate possano frapporsi tra te e questi servizi salva-vita dovrebbe riempire tutti
noi con un comune senso di paura”.
Per tutti questi motivi, il Rapporto si conclude con delle raccomandazioni ad Israele, in qualità di
forza occupante e principale responsabile legale, affinché rimuova tutti gli ostacoli alla salute dei
pazienti, facilitando il loro accesso alle cure.
Vedi:
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=yXGtXya51762990411ayXGtXy
https://unispal.un.org/DPA/DPR/unispal.nsf/47d4e277b48d9d3685256ddc00612265/fb66fb6c596a494e85
25807a00572134?OpenDocument
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=MsUyfqa51790591248aMsUyfq
IV – La violenza delle autodemolizioni
Due fratelli palestinesi del villaggio di Silwan, nella Gerusalemme Est Occupata, sono stati costretti
a demolire le loro case sabato 3 dicembre, in seguito
all’ordinanza di un tribunale israeliano. Uno di loro,
Said Al Abbasi, ha spiegato che lui e il fratello avevano
cominciato a costruire le case due anni e mezzo fa, ma
l’ordine di demolizione è arrivato prima che fossero
finite.
Padri di 12 figli, i fratelli Al Abbasi si sono inizialmente
visti obbligati a chiudere i cantieri, cercando di
ottenere una licenza dalle autorità israeliane che
però, ad ottobre di quest’anno hanno decretato
l’impossibilità di rilasciare permessi per case costruite
in una “riserva” come quella. Per questo i due fratelli hanno dovuto optare per l’autodemolizione
delle case per cui avevano così a lungo lottato, in modo da risparmiarsi almeno il dispiacere delle
spese che avrebbero dovuto affrontare se le demolizioni fossero state condotte dalle autorità
israeliane.
Non è la prima volta che cittadini palestinesi sono forzati a distruggere quello che hanno costruito
con le proprie mani. Come ha detto uno di loro, “Quando dai la prima picconata ti sembra di colpire
te stesso. Non è facile demolire il tuo sogno”.
Vedi:
http://maannews.com/Content.aspx?id=774247
http://interactive.aljazeera.com/aje/PalestineRemix/jerusalem-hitting-home.html#/26
V – La censura contraddice qualsiasi democrazia
A chi insiste nel dire che Israele è “l ’unica democrazia del Medio Oriente” non bastano l’occupazione
della terra palestinese e il razzismo di Stato nei confronti di un intero popolo per convincersi che in
questa democrazia c’è qualcosa che non funziona: qualcosa che calpesta i diritti fondamentali
5
dell’uomo. A questi cultori della democrazia israeliana può forse interessare sapere che la censura
militare in vigore nella cosiddetta democrazia israeliana negli ultimi 5 anni ha totalmente proibito
la pubblicazione di 1.936 articoli, cancellando almeno in parte informazioni da altri 14.196.
In particolare, sotto il nuovo capo della censura delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), entrato in
carica lo scorso anno, c’è stato un notevole incremento del
numero di casi in cui l’ufficio della censura ha contattato
persone che avevano pubblicato notizie, con la richiesta di
modificare o eliminare articoli già in circolazione.
La censura militare israeliana nel territorio di Israele trae la
propria autorità da regolamenti d’emergenza istituiti
durante il periodo del Mandato Britannico, molti dei quali
sono rimasti nei codici israeliani per oltre 70 anni. E’ così
possibile che ai mezzi di comunicazione, inclusi blog e siti
web indipendenti (come +972 Magazine), sia richiesto di
sottoporre al controllo della censura dell’IDF ogni articolo che rientri nell’ampia lista di argomenti
legati alla sicurezza nazionale e alle relazioni internazionali. Di conseguenza, è molto probabile che
la censura proibisca del tutto o in parte la pubblicazione di un articolo.
A questa pratica censoria si aggiunge poi quella dell’autocensura, con cui giornalisti e redattori
decidono di porsi un freno da soli, decidendo di non indagare, verificare o scrivere in merito ad
argomenti sensibili, sapendo già che la censura militare impedirebbe la pubblicazione del loro
lavoro.
Vedi:
http://972mag.com/idf-censor-redacts-1-in-5-articles-submitted-prior-to-publication/122218/

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  • 1. La Newsletter dell’Ambasciata di Palestina Roma, Italia No 48 5 dicembre 2016 “Facciamo che il 2017 non segni solo il 50esimo anniversario dell’occupazione della terra dello Stato di Palestina, compresa Gerusalemme Est, ma sia un anno internazionale per porre termine all’occupazione israeliana” Il Presidente Mahmoud Abbas
  • 2. 1 NEWSLETTER No 48 Indice: I) La Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese II) L’Organizzazione Mondiale della Sanità condanna gli attentati israeliani alla salute dei palestinesi III) C’è una data per la Conferenza Internazionale di Pace IV) La violenza delle autodemolizioni V) La censura contraddice qualsiasi democrazia
  • 3. 2 I – La Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese Il 29 novembre di ogni anno l’ONU celebra la Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese, in virtù del mandato conferito dall’Assemblea Generale con le risoluzioni 32/40 B del 2 dicembre 1977, 34/65 D del 12 dicembre 1979 e successive risoluzioni adottate dall’Assemblea Generale sulla questione palestinese. La data del 29 novembre fu scelta per il significato che essa ha per il popolo palestinese. Quel giorno, nel 1947, l’Assemblea Generale adottò la risoluzione 181 (II), che divenne nota come la Risoluzione sulla Partizione. La risoluzione stabiliva la creazione in Palestina di uno Stato israeliano e di uno Stato arabo, con Gerusalemme come città aperta a tutte le religioni monoteiste. Dei due Stati previsti dalla risoluzione, tuttavia, solo uno, Israele, ha visto la luce. E’ quanto ha voluto sottolineare il Presidente Abu Mazen in occasione della celebrazione di quest’anno, rinnovando l’impegno dei palestinesi “rispetto agli accordi raggiunti con Israele dal 1993”, ma sottolineando che “questo impegno deve essere contraccambiato da parte di Israele e Israele deve riconoscere lo Stato di Palestina, lavorando per risolvere le questioni legate allo status finale e cessando le attività degli insediamenti, gli attacchi e le aggressioni alle nostre città, villaggi e campi profughi, nonché la sua politica di punizioni collettive, arresti e detenzione di migliaia di palestinesi nelle sue prigioni”. Anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha celebrato questa giornata con un messaggio di condanna per “un’attività israeliana di insediamento illegale in espansione, che mette a rischio i valori democratici stessi di Israele e il carattere della sua società”, evidenziando allo stesso tempo che “il numero di demolizioni di case e altre strutture palestinesi ad opera delle forze israeliane è raddoppiato rispetto al 2015”. Il Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Peter Thomson, il 29 novembre ha partecipato ad un incontro speciale del Comitato ONU per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese (CEIRPP), indossando una sciarpa con la bandiera palestinese. Si tratta di manifestazioni di solidarietà molto apprezzate dal popolo palestinese, per il quale questa data significa innanzitutto un riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, che i suoi diritti sono ancora calpestati e che bisogna tutelarli. Vedi: https://unispal.un.org/DPA/DPR/unispal.nsf/solidarity.htm II – C’è una data per la Conferenza Internazionale di Pace Mercoledì 7 dicembre si è ricominciato a parlare molto della Conferenza Internazionale di Pace proposta dalla Francia. Il primo è stato Saeb Erekat, Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, secondo il quale la Conferenza potrebbe tenersi il 21 dicembre, puntuale rispetto a quanto previsto mesi fa dagli organizzatori. Erekat ha anche anticipato che gli inviti ufficiali non sono stati ancora inviati, che è prevista la partecipazione di almeno 70 Stati, e che Israele sicuramente non sarà tra questi: “Netanyahu ha già optato per gli insediamenti e scelto di rimpiazzare la soluzione dei due Stati con un orrendo Apartheid nei Territori Occupati della Cisgiordania e di Gerusalemme Est”. Un primo incontro preparatorio dei ministri degli esteri di 28 Paesi si è tenuto a Parigi lo scorso mese di giugno con la partecipazione degli Stati Uniti ma senza i rappresentanti della Palestina e di Israele,
  • 4. 3 che non erano stati invitati. Questa volta, mentre si sa già che sono tutti invitati a partecipare, non si sa ancora se gli Stati Uniti parteciperanno, mentre è evidente l’intenzione della Palestina di esserci e quella di Israele di boicottare l’Iniziativa. Sempre mercoledì, il Primo Ministro Netanyahu ha detto esplicitamente al Presidente francese François Hollande che avrebbe accettato volentieri l’invito ad incontrarlo insieme al Presidente Abu Mazen, a condizione che non si tenesse nessuna conferenza internazionale. La linea del governo israeliano resta infatti quella di affossare “l’internazionalizzazione” della questione palestinese, riesumando improbabili negoziati diretti. Ciò nonostante, secondo quanto riportato immediatamente da Le Figaro, la Francia sembra determinata ad andare avanti, imperturbata “dall’accoglienza glaciale” di Israele. Vedi: http://english.wafa.ps/page.aspx?id=j0YUVua51800108778aj0YUVu http://www.ilvelino.it/it/article/2016/12/07/francia-hollande-invita-a-parigi-leader-israele-e- palestina-per-una-ri/08fcc4b8-fb94-415a-833a-5239af115b48/ http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Netanyahu-accepts-Paris-invite-to-meet-Abbas-if- France-drops-conference-474760 III – L’Organizzazione Mondiale della Sanità condanna gli attentati israeliani alla salute dei palestinesi In occasione della Giornata Mondiale di Solidarietà con i Diritti del Popolo Palestinese, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato un rapporto su Gaza che valuta l’accesso alle cure mediche nel corso di due anni, denunciando come il sistema israeliano dei permessi e le barriere fisiche imposte dallo stesso sistema impediscano di fatto a pazienti, infermieri, medici e ambulanze di raggiungere i luoghi di cura. Lo studio, intitolato “Il diritto alla salute: il superamento delle barriere per accedere alle cure nei Territori Palestinesi Occupati, 2014-2015”, si basa su dati forniti dall’Autorità Palestinese e da organizzazioni non-profit, ma anche su interviste con pazienti e ricerche sul campo. Oltre alla questione dell’accesso alla salute, il rapporto affronta quella degli attacchi israeliani ad ospedali, pazienti e personale medico in Cisgiordania, con particolare riferimento all’Area C, sotto il totale controllo di Israele. Stando alle informazioni dell’OMS, il numero di pazienti in cerca di permessi per transitare dal checkpoint di Erez, a Nord della Striscia di Gaza, in cerca di cure mediche soprattutto in Cisgiordania, è più che raddoppiato dal 2012 al 2015, mentre i permessi accordati sono calati drasticamente, passando dal 92% al 77,5% di quelli richiesti.
  • 5. 4 Nel 2016, poi, secondo la stessa Organizzazione la situazione a Gaza è ulteriormente peggiorata, con una percentuale di permessi rilasciati lo scorso mese di ottobre pari al 44% delle richiese, che ha segnato il minimo storico degli ultimi sette anni. Robert Piper, Coordinatore delle Nazioni Unite per l’Aiuto Umanitario e le Attività di Sviluppo, ha così commentato: “Stiamo parlando della libertà di movimento al suo livello essenziale – il diritto di accedere, letteralmente, a servizi che possono salvare la tua vita, quella di un tuo anziano genitore, o di un tuo giovanissimo figlio”. Aggiungendo: “La sola idea che un recinto, un muro, una guardia di sicurezza o un burocrate possano frapporsi tra te e questi servizi salva-vita dovrebbe riempire tutti noi con un comune senso di paura”. Per tutti questi motivi, il Rapporto si conclude con delle raccomandazioni ad Israele, in qualità di forza occupante e principale responsabile legale, affinché rimuova tutti gli ostacoli alla salute dei pazienti, facilitando il loro accesso alle cure. Vedi: http://english.wafa.ps/page.aspx?id=yXGtXya51762990411ayXGtXy https://unispal.un.org/DPA/DPR/unispal.nsf/47d4e277b48d9d3685256ddc00612265/fb66fb6c596a494e85 25807a00572134?OpenDocument http://english.wafa.ps/page.aspx?id=MsUyfqa51790591248aMsUyfq IV – La violenza delle autodemolizioni Due fratelli palestinesi del villaggio di Silwan, nella Gerusalemme Est Occupata, sono stati costretti a demolire le loro case sabato 3 dicembre, in seguito all’ordinanza di un tribunale israeliano. Uno di loro, Said Al Abbasi, ha spiegato che lui e il fratello avevano cominciato a costruire le case due anni e mezzo fa, ma l’ordine di demolizione è arrivato prima che fossero finite. Padri di 12 figli, i fratelli Al Abbasi si sono inizialmente visti obbligati a chiudere i cantieri, cercando di ottenere una licenza dalle autorità israeliane che però, ad ottobre di quest’anno hanno decretato l’impossibilità di rilasciare permessi per case costruite in una “riserva” come quella. Per questo i due fratelli hanno dovuto optare per l’autodemolizione delle case per cui avevano così a lungo lottato, in modo da risparmiarsi almeno il dispiacere delle spese che avrebbero dovuto affrontare se le demolizioni fossero state condotte dalle autorità israeliane. Non è la prima volta che cittadini palestinesi sono forzati a distruggere quello che hanno costruito con le proprie mani. Come ha detto uno di loro, “Quando dai la prima picconata ti sembra di colpire te stesso. Non è facile demolire il tuo sogno”. Vedi: http://maannews.com/Content.aspx?id=774247 http://interactive.aljazeera.com/aje/PalestineRemix/jerusalem-hitting-home.html#/26 V – La censura contraddice qualsiasi democrazia A chi insiste nel dire che Israele è “l ’unica democrazia del Medio Oriente” non bastano l’occupazione della terra palestinese e il razzismo di Stato nei confronti di un intero popolo per convincersi che in questa democrazia c’è qualcosa che non funziona: qualcosa che calpesta i diritti fondamentali
  • 6. 5 dell’uomo. A questi cultori della democrazia israeliana può forse interessare sapere che la censura militare in vigore nella cosiddetta democrazia israeliana negli ultimi 5 anni ha totalmente proibito la pubblicazione di 1.936 articoli, cancellando almeno in parte informazioni da altri 14.196. In particolare, sotto il nuovo capo della censura delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), entrato in carica lo scorso anno, c’è stato un notevole incremento del numero di casi in cui l’ufficio della censura ha contattato persone che avevano pubblicato notizie, con la richiesta di modificare o eliminare articoli già in circolazione. La censura militare israeliana nel territorio di Israele trae la propria autorità da regolamenti d’emergenza istituiti durante il periodo del Mandato Britannico, molti dei quali sono rimasti nei codici israeliani per oltre 70 anni. E’ così possibile che ai mezzi di comunicazione, inclusi blog e siti web indipendenti (come +972 Magazine), sia richiesto di sottoporre al controllo della censura dell’IDF ogni articolo che rientri nell’ampia lista di argomenti legati alla sicurezza nazionale e alle relazioni internazionali. Di conseguenza, è molto probabile che la censura proibisca del tutto o in parte la pubblicazione di un articolo. A questa pratica censoria si aggiunge poi quella dell’autocensura, con cui giornalisti e redattori decidono di porsi un freno da soli, decidendo di non indagare, verificare o scrivere in merito ad argomenti sensibili, sapendo già che la censura militare impedirebbe la pubblicazione del loro lavoro. Vedi: http://972mag.com/idf-censor-redacts-1-in-5-articles-submitted-prior-to-publication/122218/