1. La Newsletter dell’Ambasciata di Palestina
Roma, Italia
No 58
20 febbraio 2017
“La soluzione dei due Stati deriva dall’adozione da parte della Palestina di una formula
internazionale. Essa rappresenta infatti un doloroso e storico compromesso attraverso il quale i
palestinesi hanno riconosciuto a Israele oltre il 78% della Palestina storica”
Saeb Erekat, Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP
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NEWSLETTER No 58
Indice:
I) L’incontro tra Trump e Netanyahu suscita preoccupazioni
II) Fayyad: un’esclusione che sa di discriminazione
III) Il Rapporto Onu sulle aziende degli insediamenti si fa attendere
IV) Ci vogliono sanzioni per le banche degli insediamenti
V) Il film palestinese sulle carceri israeliane premiato a Berlino
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I – L’incontro tra Trump e Netanyahu suscita preoccupazioni
Non è ancora chiaro cosa avesse in mente Donald Trump quando, lo scorso 15 febbraio, ospitando
per il primo incontro ufficiale Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, ha annunciato che per lui
andrebbe bene qualsiasi soluzione del conflitto israelo-palestinese: “uno Stato, due Stati”,
l’importante è che siano tutti contenti e che si raggiunga la pace. Una frase che potrebbe voler dire
tutto e niente, ma che ha destato interessanti reazioni, insieme a una sincera preoccupazione, sia
nella leadership palestinese che nella comunità internazionale. Il parlamentare della Knesset per la
Lista Araba Unita Ahmad Tibi, ad esempio, ha sottolineato come non si possa semplicemente dire
“scegliete voi la soluzione migliore” perché in Palestina “c’è un problema che si chiama
occupazione”. Per questo Tibi ha lanciato una provocazione: “Se dovesse prevalere l’opzione di uno
Stato unico, il diritto di voto dovrebbe essere garantito a tutti gli abitanti compresi tra il fiume
Giordano e il Mar Mediterraneo, inclusi i palestinesi della Cisgiordania. Ma io mi candiderei come
Primo Ministro e vi garantisco che vincerei su Netanyahu, perché noi siamo di più e non mi
voterebbero solo tutti i palestinesi, ma anche qualche ebreo israeliano”. Piuttosto, “Cerchiamo di
rafforzare la soluzione dei due Stati e di porre termine all’occupazione. Questo è quello che qualsiasi
amministrazione statunitense – compresa quella di Trump – dovrebbe fare”.
Saeb Erekat, Segretario Generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, ha voluto ricordare che “la
soluzione dei due Stati deriva dall’adozione da
parte della Palestina di una formula internazionale.
Essa rappresenta infatti un doloroso e storico
compromesso attraverso il quale i palestinesi
hanno riconosciuto a Israele oltre il 78% della
Palestina storica”. Il punto, secondo Erekat, è che,
“contrariamente al piano di Netanyahu per uno
Stato e due sistemi, equivalente al’Apartheid,
l’unica alternativa a due Stati sovrani e democratici
sui confini del 1967 sarebbe un solo Stato ma laico
e democratico, con uguali diritti per tutti: cristiani,
musulmani ed ebrei, sull’intera Palestina storica”.
Secondo Hanan Ashrawi, Membro del Comitato Esecutivo dell’OLP, "Se il Presidente degli Stati Uniti
Donald Trump sta cercando di creare realtà alternative, dovrebbe dire quali sono le opzioni”; e
Ahmed Majdalani, anch’egli Membro del Comitato Esecutivo dell’OLP, ha spiegato: “Noi non
abbiamo problemi con una soluzione a uno Stato con ebrei, musulmani e cristiani che vivono in
pace, ma crediamo che l’unica soluzione reale al conflitto sia quella dei due Stati”.
Per questo il Presidente Abu Mazen ha insistito sul fatto che “la sua amministrazione aderisce
all’opzione dei due Stati così come al diritto e alla legittimità internazionale per assicurare la fine
dell’occupazione israeliana e la creazione di uno Stato di Palestina indipendente con capitale
Gerusalemme Est, a fianco dello Stato di Israele sui confini del 4 giugno 1967”, enfatizzando allo
stesso tempo la sua prontezza a “trattare in modo positivo con l’amministrazione del Presidente
Usa Donald Trump per conseguire la pace”. Un aspetto, quest’ultimo, su cui si è mostrato possibilista
anche il Ministero degli Esteri palestinese, dichiarando che “è troppo presto per parlare di una
coincidenza di posizioni tra gli Stati Uniti e Israele”.
Fatto sta che numerosi leader mondiali si sono detti preoccupati dalle parole di Trump. Nella
sessione del Consiglio di Sicurezza convocata subito dopo le dichiarazioni del Presidente USA, il
Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite per il Processo di Pace in Medio Oriente, Nickolay
Mladenov, ha chiarito che “la soluzione dei due Stati è la via da seguire per soddisfare l’aspirazione
alla pace di palestinesi e israeliani”; il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres e quello della
Lega Araba Aboul-Gheit, in un comunicato congiunto, hanno espresso pieno sostegno alla creazione
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di uno Stato palestinese, sostenendo che quella dei due Stati è “la sola via ad una soluzione giusta
della causa palestinese”; il Ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault ha definito la posizione
statunitense “confusa e preoccupante”; il suo collega tedesco Sigmar Gabriel ha sottolineato che
“gli insediamenti israeliani rendono impraticabile la soluzione dei due Stati e possibile lo scoppio di
una guerra”; e il Ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano ha dichiarato che "L'Italia ha da
sempre creduto alla soluzione dei due Stati e continuiamo a portarla avanti", perché "il mondo
intero avrebbe beneficio da questa soluzione", mentre "Guardiamo con preoccupazione ad ogni
azione concreta che scoraggi la speranza", e a gesti “che mandano indietro il processo di pace".
Il popolo palestinese, intanto, sta facendo la sua parte, mobilitandosi. Sono più di 100.000 le lettere
scritte da cittadini della Cisgiordania, di Gaza e della diaspora per chiedere a Trump di sostenere il
movimento per la sovranità della Palestina. Le ha raccolte il Centro Giovanile per lo Sviluppo e
l’Innovazione di Nablus, che ha coordinato questa campagna dal giorno dell’inaugurazione della
nuova amministrazione statunitense.
Vedi:
http://www.huffingtonpost.it/2017/02/15/trump-netanyahu_n_14776622.html v
http://it.radiovaticana.va/news/2017/02/16/trump_in_medio_oriente_due_stati_due_pooli_non
_%C3%A8_unica_via/1292885
http://www.haaretz.com/israel-news/1.772355
http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Arab-Israeli-MK-In-case-of-one-state-solution-I-
would-be-prime-minister-481739
http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Abbas-We-are-still-committed-to-a-two-state-
solution-481682
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=ZhvJeJa52417796475aZhvJeJ
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=nSE2CBa52418748228anSE2CB
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=oPyX62a52409230698aoPyX62
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=Y2jNuva52406375439aY2jNuv
http://english.wafa.ps/page.aspx?id=ztqsufa52402568427aztqsuf
http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2017/02/palestine-letter-campaign-president-trump-
policies.html
http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/palestina/2017/02/20/mo-alfano-italia-
continua-a-sostenere-soluzione-due-stati_1090a8d4-02b8-45da-8bd0-96e27c308273.html
II – Fayyad: un’esclusione che sa di discriminazione
Prima ancora dell’incontro tra il nuovo
Presidente USA e il Premier Netanyahu, gli Stati
Uniti a guida Trump, il 10 febbraio, avevano
dato un altro segnale nella direzione del
disconoscimento dei diritti del popolo
palestinese, opponendosi alla nomina dell’ex
premier della Palestina, Salam Fayyad -
condivisa dagli altri 14 Membri del Consiglio di
Sicurezza - a capo della missione Onu in Libia
(Unsmil).
Così facendo, l’amministrazione Trump sembrerebbe voler ignorare le risoluzioni sullo Stato
palestinese approvate dalle Nazioni Unite negli ultimi anni, a cominciare dall’ingresso della Palestina
nell’Assemblea Generale come Stato non Membro.
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Nikki Haley, la paladina dell’estrema destra nominata nuova Ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite,
è stata esplicita quando ha detto che l’amministrazione è rimasta “delusa” dalla decisione del
Segretario Generale Antonio Guterres di indicare Fayyad come suo inviato speciale in Libia: “Per
troppo tempo l’Onu è stata parziale in favore dei palestinesi”, ha detto. Per questo gli Stati Uniti non
approvano il “segnale” che si manderebbe con la nomina di Fayyad. Un incarico troppo prestigioso
per un palestinese, devono aver pensato Trump e il suo staff di falchi.
Di fatto, bloccare la nomina dell’ex primo ministro significa dire no al riconoscimento dei palestinesi
come popolo avente diritti e status internazionale. Entusiasta, non a caso, l’Ambasciatore di Israele
al Palazzo di Vetro Danny Danon: “Questo è l’inizio di una nuova era all’Onu, dove gli Usa sostengono
fermamente Israele contro ogni tentativo di danneggiare lo Stato ebraico”, ha commentato
compiaciuto.
Sbigottimento in casa palestinese: “È inconcepibile l’atto compiuto dall’ambasciatrice Nikki Haley,
una sfida alla logica, perché Salam Fayyad è il candidato più qualificato per quella posizione. La sua
nomina è stata bloccata perché percepita come dannosa per Israele: semplicemente assurdo”, ha
protestato Hanan Ashrawi, Membro del Comitato Esecutivo dell’OLP.
Dello stesso parere Guterres, che si è detto "profondamente dispiaciuto" e ha dichiarato di "non
vedere alcuna ragione" per il veto a Fayyad, definendo l’ex premier palestinese "la persona giusta
al momento giusto". Si tratta, ha aggiunto, di "una perdita per il processo di pace e per il popolo
libico".
Vedi:
https://ilmanifesto.it/esordio-israeliano-dei-nuovi-usa-no-a-fayyad-in-libia/
http://www.askanews.it/minaccia-isis/segretario-onu-profondamente-dispiaciuto-per-veto-usa-a-
fayyad_7111007381.htm
III – Il Rapporto Onu sulle aziende degli insediamenti si fa attendere
Si dovrà attendere probabilmente la fine dell’anno per leggere il Rapporto del Consiglio per i Diritti
Umani delle Nazioni Unite, che già il prossimo 27
febbraio avrebbe dovuto rivelare i nomi delle aziende
che hanno interessi commerciali all’interno degli
insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata. La
presenza di aziende che hanno permesso la crescita
degli insediamenti e ne hanno tratto profitto –
attraverso investimenti, finanziamenti, fornitura di
servizi e sfruttamento delle risorse naturali – era stata
denunciata lo scorso anno dal Consiglio delle Nazioni
Unite, che per questo era stato attaccato, a marzo, da
Israele. L’accusa era che un comportamento
“ossessivo” contro Israele avesse portato alla stesura di
un’ingiustificata “blacklist” (lista nera). La proposta
della creazione della banca dati, più che giustificata dal
carattere illegale degli insediamenti, era stata avanzata
dal Pakistan con il voto favorevole di 32 Stati e l’astensione di altri 15 tra cui Gran Bretagna, Francia,
Germania e Stati Uniti.
Vedi:
http://nena-news.it/aziende-negli-insediamenti-coloniali-israeliani-onu-rinvia-documento/
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IV – Ci vogliono sanzioni per le banche degli insediamenti
Il Ministero degli Affari Esteri palestinese condanna duramente la partecipazione del governo della
Potenza occupante nel processo di
conferimento di prestiti finanziari da parte di
una banca israeliana all’impresa intitolata
“Insediamenti Amana”, in cambio di
un’ipoteca su terreni palestinesi occupati in
Cisgiordania di cui non era evidentemente
proprietaria, sotto la guida esplicita del
Ministero della Finanza e del Ministero per la
Costruzione e gli Alloggi, come chiarito dai
media israeliani. Ciò conferma, da una parte
quanto il governo israeliano sia coinvolto nel
furto di terra palestinese e nella falsificazione
di documenti di proprietà; dall’altra il
coinvolgimento di banche israeliane nella concessione di facilitazioni finanziarie a sostegno della
costruzione di insediamenti e di associazioni o imprese che mettono in pratica l’occupazione
coloniale. Il Ministero degli Esteri palestinese ritiene che questa frode trovi una copertura politica
nel governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu, costantemente impegnato nel soddisfare il
suo pubblico di estremisti e di coloni alle spese dei diritti e della terra del popolo palestinese. Per
questo, il Ministero segue da vicino una questione che ritiene grave, stando a stretto contatto con
gli enti locali, regionali e internazionali specializzati, e chiedendo alle Nazioni Unite e alle sue
agenzie, oltre che agli istituti finanziari internazionali, di dare un seguito a questa flagrante
violazione del diritto internazionale, imponendo le necessarie sanzioni al sistema bancario
israeliano, alle banche israeliane coinvolte, e a tutti coloro che procurano agevolazioni finanziarie ai
coloni e alla costruzione di colonie.
Vedi:
http://www.mofa.pna.ps/en/2017/02/14/ministry-of-foreign-affairs-calls-for-imposing-
international-sanctions-on-israeli-banks-accused-of-supporting-settlements-construction/
http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.771342
http://www.i24news.tv/en/news/israel/politics/137659-170214-palestinians-call-for-sanctions-
against-israeli-banks-supporting-settlements
V – Il film palestinese sulle carceri israeliane premiato a Berlino
“Ghost Hunting” di Raed Andoni, presentato nella sezione Panorama, ha avuto un gran successo alla
67esima edizione del Festival di Berlino che si è conclusa il 19 febbraio. Il regista palestinese ha
ricostruito l’esperienza – vissuta personalmente ad appena 18 anni – di chi come lui è stato
imprigionato nelle carceri israeliane. Per il film, il regista ha convocato una serie di costruttori,
architetti, pittori e carpentieri, tutti un tempo internati nella prigione di Al-Moskobiya. Il casting che
mette in scena all’inizio del film mostra attori palestinesi che, durante il provino, si cimentano nel
ruolo di vittima e di carnefice, torturato e torturatore. È qui che avviene una prima inversione, col
ragazzo arabo che si presenta per la parte di carceriere, la esegue davanti alla cinepresa, e poi gli
viene assegnato il ruolo di detenuto. Nel susseguirsi delle scene, il principale testimone delle torture
“diventa” idealmente il carceriere, che dà indicazioni, dirige gli altri, ricorda il divieto di andare al
bagno, corregge i compagni quando la violenza è irrealistica perché troppo lieve: in un’autoanalisi
davanti all’obiettivo, è lui il principale timone del riallestimento.
7. 6
Il film si propone come saldo di un debito personale, in cui il cineasta
si riconosce e può ricostruire la propria esperienza per interposta
messinscena. Lo spettro del titolo è il fantasma della sua reclusione,
che, una volta ricreata, si può finalmente combattere. Così, Andoni
compie allo stesso tempo un gesto catartico e di denuncia, umano e
politico, che aveva già incassato l’entusiasmo di Ken Loach e che
adesso ha spiazzato la Berlinale 2017, ottenendo il premio per il
miglior “documentario originale”.
Vedi:
https://www.berlinale.de/en/programm/berlinale_programm/datenblatt.php?film_id=201714127
#tab=video25
http://www.bookciakmagazine.it/dalla-palestina-dolore-lorrore-dei-carceri-israeliani-spiazza-la-
berlinale/
http://www.badtaste.it/2017/02/18/berlinale-2017-body-and-soul-vince-lorso-doro-premiati/222855/