L’Unione fa la forza
La crisi che ha pesantemente colpito l’Europa nel 2008 non sembra ancora vedere un’effettiva ripresa generale. Il motivo, a nostro avviso, risiede nell’assenza di una reale unità di intenti all’interno dell’UE.
Dossier sul trattato di libero commercio (TTIP) tra Unione Europea e Stati Uniti.
L’originale è stato pubblicato in Spagna dal Frente Civico www.frentecivicosomosmayoria.es
10 incontri a partire da mercoledì 2 ottobre 2013 a Jesi.
L’Italia si trova ad affrontare una tremenda crisi economica. Nata dal mondo della finanza, essa si è estesa sempre di più fino a contagiare l’economia reale; prova ne sono il numero massiccio di attività commerciali e piccole e medie imprese che negli ultimi due anni hanno chiuso i battenti e, di conseguenza, la percentuale crescente - a giugno 2013 il 12,1% - di popolazione che si trova senza lavoro.
Dossier sul trattato di libero commercio (TTIP) tra Unione Europea e Stati Uniti.
L’originale è stato pubblicato in Spagna dal Frente Civico www.frentecivicosomosmayoria.es
10 incontri a partire da mercoledì 2 ottobre 2013 a Jesi.
L’Italia si trova ad affrontare una tremenda crisi economica. Nata dal mondo della finanza, essa si è estesa sempre di più fino a contagiare l’economia reale; prova ne sono il numero massiccio di attività commerciali e piccole e medie imprese che negli ultimi due anni hanno chiuso i battenti e, di conseguenza, la percentuale crescente - a giugno 2013 il 12,1% - di popolazione che si trova senza lavoro.
Una serie di articoli sulle politiche di gestione e controllo dei bilanci nazionali nell'ambito dell'Unione Europea, partendo dal Trattato di Maastricht fino ad arrivare al Meccanismo europeo di Stabilità (MES), approfondendo di volta in volta i temi più rilevanti.
In questo primo numero si affronta il Trattato di Maastricht e la sua implementazione attraverso il Patto di Stabilità e Crescita, con approfondimenti sui limiti del 3% di deficit e del 60% debito/PIL
Aumento delle-aliquote-iva-trappola-o-opportunitaFabio Ghiselli
IPSOA Quotidiano. La neutralizzazione delle clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento delle aliquote Iva è un dichiarato impegno del Governo. Ma davvero rappresenta la scelta più adatta?
Una volta tanto siamo d’accordo con il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, quando per l’Europa dice: “No a chi propone vecchie politiche”. Quando promuove, cioè, un totale cambio di linea rispetto all’appiattimento colpevole, negli anni della crisi, delle istituzioni europee in generale, e della Commissione di Barroso in particolare, rispetto a un’Unione a trazione tedesca, che tanti guai ha portato non solo alla moneta unica e all’idea di Europa in sé, ma anche e soprattutto a quei paesi che via via sono stati al centro delle ondate di speculazione finanziaria.
Voluntary Disclosure Bis
La Voluntary Disclosure Bis (chiamata in gergo, Voluntary Disclosure 2.0) proposta dal governo consente, ora, la regolarizzazione anche di contanti e valori al portatore conservati in Italia.
Tra le misure contenute nel testo del Decreto Legge del 22 ottobre 2016 n. 193 (in vigore dal 24.10.2016), collegato alla Legge di Bilancio 2017, coordinato con la Legge di conversione 1° dicembre 2016, n. 225, pubblicata nella GU n. 282 del 02.12.2016 – Supplemento Ordinario n. 53, troviamo inserita anche la nuova procedura di Voluntary Disclosure (VD), letteralmente: rivelazione volontaria.
Una serie di articoli sulle politiche di gestione e controllo dei bilanci nazionali nell'ambito dell'Unione Europea, partendo dal Trattato di Maastricht fino ad arrivare al Meccanismo europeo di Stabilità (MES), approfondendo di volta in volta i temi più rilevanti.
In questo primo numero si affronta il Trattato di Maastricht e la sua implementazione attraverso il Patto di Stabilità e Crescita, con approfondimenti sui limiti del 3% di deficit e del 60% debito/PIL
Aumento delle-aliquote-iva-trappola-o-opportunitaFabio Ghiselli
IPSOA Quotidiano. La neutralizzazione delle clausole di salvaguardia che prevedono l'aumento delle aliquote Iva è un dichiarato impegno del Governo. Ma davvero rappresenta la scelta più adatta?
Una volta tanto siamo d’accordo con il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, quando per l’Europa dice: “No a chi propone vecchie politiche”. Quando promuove, cioè, un totale cambio di linea rispetto all’appiattimento colpevole, negli anni della crisi, delle istituzioni europee in generale, e della Commissione di Barroso in particolare, rispetto a un’Unione a trazione tedesca, che tanti guai ha portato non solo alla moneta unica e all’idea di Europa in sé, ma anche e soprattutto a quei paesi che via via sono stati al centro delle ondate di speculazione finanziaria.
Voluntary Disclosure Bis
La Voluntary Disclosure Bis (chiamata in gergo, Voluntary Disclosure 2.0) proposta dal governo consente, ora, la regolarizzazione anche di contanti e valori al portatore conservati in Italia.
Tra le misure contenute nel testo del Decreto Legge del 22 ottobre 2016 n. 193 (in vigore dal 24.10.2016), collegato alla Legge di Bilancio 2017, coordinato con la Legge di conversione 1° dicembre 2016, n. 225, pubblicata nella GU n. 282 del 02.12.2016 – Supplemento Ordinario n. 53, troviamo inserita anche la nuova procedura di Voluntary Disclosure (VD), letteralmente: rivelazione volontaria.
Economic Activities for the Junior CerticateNoel Hogan
Designed for Junior Certificate Geography Students in the Irish Second Level System. Covers Primary, Secondary and Tertiary economic activities and has some questions culled from past exam papers as well. Deals with Farming, Fishing, Exploitation of Peat bogs, manufacturing, tourism etc.
Jasmine Sandler copyrighted social media programs for corporationsJasmine Sandler
For B2B companies that need to develop a Social Media presence, drive social engagement, get their sales teams selling on B2B social media, these programs address every aspect required for proper B2B Social Media Marketing.
In principio, la manovra e' sufficiente per ottenere pareggio di bilancio, ma ha 3 punti di debolezza: consiste principalmente di aumenti di tasse, che fanno male alla crescita; per la maggior parte, queste tasse colpiscono le famiglie a reddito medio-basso; e buona parte della manovra non e' ancora stata definita nei dettagli e la fragile maggioranza di Governo non garantisce che questa verra' definita. L'intervento manca quindi di credibilita’.
La necessità di fare un grosso cambiamentoHoro Capital
Il 5 marzo 2013 il Dow Jones Industrial Average ha stabilito un nuovo massimo storico, superando il precedente massimo pari a 14,165.50 che era stato raggiunto nell'ottobre del 2007. Solo il mercato azionario non sembra prendere atto che il mondo si trova oggi in una situazione ben diversa rispetto a 5 anni e mezzo fa. Molti investitori parlano di un mercato ribassista, ma intanto percorrono la strada rialzista. Questa apparente contraddizione è funzione della convinzione diffusa che la politica della banca centrale sia questa proveniente da Tokyo, Francoforte, Londra o Washington fornisce un efficace copertura alla volatilità consentendo così agli investitori di ignorare i problemi economici e finanziari sottostanti, che continuano intanto a cuocere a fuoco lento.
Il piano d'azione ue per l'iva europea unicaPaolo Soro
Il piano d’azione UE per un’IVA europea unica
La Commissione UE ha licenziato lo scorso 7 aprile il piano d’azione che propone la creazione di un’unica IVA europea, al fine di rendere l’imposta: più semplice da utilizzare per le imprese, capace di combattere i crescenti rischi di frode, diventare maggiormente efficiente, e soprattutto essere basata su una maggiore fiducia.
Il documento (il cui contenuto, col presente elaborato, ci si prefigge di analizzare), sembra ripercorrere da un punto di vista IVA a livello comunitario, mutatis mutandis, quanto predisposto dall’OCSE col piano BEPS.
Circolari e risoluzioni amministrative
La Cassazione ha recentemente ribadito il valore non vincolante delle circolari e delle risoluzioni emanate dall’Agenzia delle Entrate: nulla quaestio! Senonché, in un sistema giuridico/normativo come quello italiano, affrontare la crescente complessità concernente la quotidiana attuazione delle varie disposizioni di legge appare spesso un’impresa improba.
Pensieri sotto l’ombrellone: escapologia fiscale
Italiani, siate allegri: è arrivato il mago che vi svela i suoi segreti per riuscire, finalmente, a non pagare le tasse. C’è solo un piccolissimo, insignificante dettaglio da considerare: estote parati (anche voi, come fece lui) a fare un viaggetto in quel di Panama.
Lavoratori migranti: non tutti i mali vengono per nuocere?
La questione dei migranti è attualmente al primo posto fra le priorità che le forze politiche italiane e comunitarie devono affrontare e risolvere. I cittadini attendono risposte concrete con riferimento a una situazione che si va facendo ogni giorno più ardua, a partire dalle problematiche concernenti la pacifica convivenza di popoli così differenti fra loro, nel continente con la più alta densità mondiale.
America first
Trump conferma l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo mondiale sul clima. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta e quali sono le implicazioni per il mondo del lavoro.
Aspetti critici del Patent Box
La mancata armonizzazione internazionale della normativa sul Patent Box e talune criticità presenti nelle disposizioni nazionali, creano non pochi problemi di carattere pratico. Per contro, sono proprio le lacune esistenti che possono, in determinati casi, prospettare talune buone opportunità internazionali d’investimento.
Il Flexible Benefit
Le aziende metalmeccaniche, a partire dal 1° giugno 2017, devono mettere a disposizione una serie di buoni spesa per il welfare dei dipendenti e dei loro familiari.
L’ipotesi di accordo di rinnovo del CCNL per le aziende metalmeccaniche e dell’installazione di impianti, datata 26.11.2016, ha varato un nuovo istituto contrattuale che prevede dei particolari contributi economici a favore dei lavoratori: il flexible benefit.
Lavoro dipendente svolto allestero da cittadini italianiPaolo Soro
Lavoro dipendente svolto all’estero da cittadini italiani
In questo periodo, i contribuenti sono come al solito alle prese con la compilazione della dichiarazione dei redditi e l’eventuale conseguente pagamento delle imposte. Non per tutti, però, la situazione appare chiara.
Ogni anno aumenta sempre di più il numero dei cittadini italiani che si reca all’estero per lavorare alle dipendenze di un datore di lavoro locale, ma, da un punto di vista prettamente fiscale, resta residente in patria. Orbene, per tali soggetti, spesso non è affatto facile comprendere quali siano gli adempimenti cui devono provvedere e, in generale, quali eventuali obblighi abbiano nei confronti del Fisco nazionale.
Dubai, IVA al via!
Il Ministero delle Finanze degli EAU pubblica le FAQ, confermando per il prossimo 1° gennaio il Via! alla nuova normativa emiratina in materia d’IVA.
Continua la campagna informativa del Governo degli Emirati Arabi Uniti in vista dell’introduzione dell’IVA, prevista per il 1° gennaio 2018: il portale istituzionale del Ministero delle Finanze emiratino, al riguardo, ha pubblicato le risposte ai primi quesiti.
Mamma, ho perso l’aereo!
L’Alitalia al redde rationem.
Nella simpatica commedia americana, record d’incassi al botteghino, il piccolo Macaulay Carson è un passeggero che perde l’aereo per ben due volte. Gli autori, nonostante il successo ottenuto in entrambe le occasioni, hanno ritenuto che non sarebbe stato più credibile fargli mancare il volo anche in una terza circostanza.
In Italia, invece, per la terza volta nel giro di nove anni (2008 – 2013 – 2017), il personale dell’Alitalia (e non solo) “perde l’aereo”.
Stabile organizzazione occulta, work in progress
Il Senato è al lavoro per cercare di regolamentare le Stabili Organizzazioni Occulte in Italia delle OTT. Occorre, però, capire l’utilità concreta di una normativa in conflitto con le disposizioni delle Convenzioni internazionali che, in caso di conflitto, prevalgono rispetto alla legge nazionale.
TTIP e TPP: Mettiamo un po’ d’ordine
Il Transatlantic Trade and Investment Partnership e il Trans Pacific Partnership hanno in comune solo una cosa: il fatto che sono entrambi due accordi di collaborazione (partnership) concernenti gli scambi commerciali internazionali… o forse c’è dell’altro?
Framework fiscali internazionali
Senza andare a ipotizzare chissà quali complesse operazioni di fusione inversa transfrontaliera, analizziamo, di seguito, semplici strutture intra-UE ed extra-UE, sotto l’ottica della PMI che intende internazionalizzarsi.
Pianificazione fiscale internazionale
L’internazionalizzazione delle PMI, specie oggigiorno, si sviluppa obbligatoriamente attraverso un’attenta attività di pianificazione tributaria e previdenziale (prima ancora che economica e finanziaria), rispettosa dei principi concernenti l’abuso del diritto e l’elusione fiscale.
Pianificazione fiscale etica
E’ possibile sviluppare un’attività di pianificazione fiscale internazionale etica (che sia cioè improntata su condivisibili precetti morali)? A modesto parere di chi scrive, assolutamente sì! E, in questo contributi, si cercherà di fornirne adeguata dimostrazione logica.
Il Gruppo IVA
La Legge denominata “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019”, appena entrata in vigore, ha introdotto una nuova figura fiscale denominata “Gruppo IVA”, mediante l’inserimento del “Titolo V-bis Gruppo IVA” nel D.P.R 633/72.
Il distacco in italia di dipendenti stranieriPaolo Soro
Il distacco in Italia di dipendenti stranieri
Vediamo come cambiano le procedure del distacco in Italia di dipendenti stranieri, alla luce della normativa 2016 e della recentissima circolare interpretativa (N. 1/2017) dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Di seguito si riporta una panoramica relativa ai più eclatanti casi di pianificazione fiscale aggressiva che hanno trovato spazio nelle principali testate giornalistiche mondiali, cercando di comprendere qual è il reale livello di elusione che i grossi gruppi multinazionali arrivano a conseguire.
La mappa internazionale del lavoro
Intrappolati nella nostra quotidianità, lastricata da innumerevoli ed estenuanti adempimenti, siamo spesso costretti a rubare preziosi momenti alle famiglie (e al più che meritato riposo domenicale), per immergerci obtorto collo nello studio delle numerose novità legislative, che oramai scandiscono la vita dei commercialisti con lo stesso ineluttabile alternarsi del giorno alla notte. Così facendo, però, dimentichiamo che abbiamo altresì il dovere di ritagliarci un minimo di tempo da dedicare a un aspetto fondamentale della nostra formazione professionale: ovverossia, l’analisi del mercato nazionale e internazionale in cui operiamo.
Accordo Italia – Principato di Monaco
La nuova Voluntary è in partenza e l’Agenzia delle Entrate pensa bene di ricordarlo a una platea di possibili interessati. Diamo qui uno sguardo all’accordo siglato con uno di quei Paesi da cui, statisticamente, è maggiormente probabile il verificarsi di richieste di rimpatrio dei capitali: il Principato di Monaco.
1. L’Unione fa la forza
La crisi che ha pesantemente colpito l’Europa nel 2008 non sembra ancora vedere un’effettiva
ripresa generale. Il motivo, a nostro avviso, risiede nell’assenza di una reale unità di intenti
all’interno dell’UE.
Nel 2007, in America, la bolla dei Subprime, il mercato americano ipotecario ad alto rischio, è
crollato originando una crisi economica senza precedenti, culminata con il fallimento della banca
d’affari Lehman Brothers (settembre 2008). Da lì, nonostante le assurdità raccontate dai presunti
esperti tedeschi, la depressione economica è giunta immediatamente in Europa, la quale, nel suo
complesso, non accenna ancora oggi a dare concreti segnali di un’effettiva ripresa, con inevitabili
pesantissime ricadute a livello occupazionale.
I report pubblicati in merito all’andamento economico nei vari Paesi membri da parte della
Commissione UE, da un lato, continuano a mostrare come i risultati positivi manifestatisi in taluni
anni siano effimeri, essendo in genere dovuti a circostanze di carattere eccezionale, temporaneo e
comunque settoriale, piuttosto che a una reale inversione di tendenza; da altro verso, dimostrano
– soprattutto – che i vari Stati membri agiscono permanendo in un’ottica nazionale, anziché
portare avanti un disegno che sia davvero di tipo unitario e comune a livello europeo.
Insomma, nonostante il trattato di Maastricht del 1992, e il passaggio dalla vecchia CEE (Comunità
Economica Europea) all’attuale UE (Unione Europea), i problemi di scarsa coesione restano, a
dispetto del nome.
La crisi economica ha, in effetti, mostrato come l’integrazione fra i diversi Stati dell’Unione
Europea sia ancora parziale. A partire dagli anni ‘90, sono state abolite le barriere doganali tra i
diversi Paesi, è stata consentita la libera circolazione delle persone, del lavoro e dei lavoratori,
sono state eliminate le frontiere ed è entrata in uso, nella maggior parte degli Stati dell’Unione
Europea, l’Euro, la moneta unica. Allo stesso tempo, però, è mancato un paritetico cammino di
integrazione politica tra quei medesimi Stati, e, anche a livello economico e sociale, persistono
ancora grandi diversità.
Orbene, tali evidenti differenze che non hanno finora consentito un’effettiva unione in Europa
(tanto che, prima ancora di averla compiutamente raggiunta, già molte nazioni stanno pensando
di abbandonarla), sono emerse in maniera netta – per l’appunto – con la crisi economica e
finanziaria iniziata nel 2008 che, possiamo dire, fungendo da cartina di tornasole, ha messo a nudo
la reale mancanza di volontà comune nel processo di unificazione, peraltro già di per sé stesso
ostacolato dalle naturali disomogeneità esistenti, persino geograficamente e socialmente, oltre
che da un punto di vista prettamente giuridico, economico e finanziario.
Inoltre, l’esplosione dei problemi di debito pubblico (specie in Spagna, Irlanda, Portogallo, Italia e
Grecia), a partire dal 2010, di certo non ha aiutato: i governi dei diversi Stati hanno faticato a
concordare politiche comuni e la Banca Centrale Europea ha dovuto fare i conti con i limiti imposti
alla sua azione dai previgenti accordi comunitari.
2. Allo stesso tempo, sono apparse sempre più evidenti le disparità tra i diversi Stati membri
dell’Unione ed è a tutti sembrato chiaro come spesso vi sono interessi contrastanti che non
consentono di perseguire quegli scopi unitari, indispensabili per sconfiggere in maniera definitiva
la crisi economica.
E’ noto che la Germania e tutti i Paesi che ruotano attorno al suo asse economico – gli Stati
scandinavi, i Paesi Bassi, l’Austria e alcune delle realtà più avanzate dell’Europa dell’Est – abbiano
conosciuto una discreta crescita, che ha avuto un rallentamento, in pratica, solo nel 2012. A
favorire il buon andamento dell’economia tedesca, in particolare, sono state fuor di dubbio le
esportazioni verso l’estero di tecnologie avanzate.
Più difficile, invece, la situazione economica di un Paese come la Francia, altra nazione
fondamentale nel processo di costruzione dell’Europa unita: l’economia francese vanta un buon
andamento dei consumi interni, ma è gravata da un debito pubblico in costante aumento.
Un discorso a parte merita, poi, la c. d. “periferia d’Europa”: Spagna, Irlanda, Portogallo, Italia e
Grecia. Si tratta di Paesi che hanno sofferto più di altri della crisi economica e finanziaria di questi
ultimi anni. Prima l’Irlanda e poi il Portogallo hanno dovuto, per esempio, ricorrere ad aiuti
economici di salvataggio messi a disposizione della BCE e dal Fondo Monetario Internazionale
(FMI). D’altronde, trattasi di nazioni con sistemi bancari fragili e molto dipendenti dalla Banca
Centrale Europea.
Relativamente a Spagna e Italia, occorre in particolare registrare il forte aumento del debito
pubblico, soprattutto, nel corso del 2011 e del 2012. In questi due Paesi la situazione è stata
affrontata principalmente con una politica di contenimento dei costi e di aumento della
tassazione: senonché, a giudicare dai dati riepilogati nelle relazioni tecniche dell’OCSE (che
smentiscono clamorosamente le analisi statistiche nazionali), il nostro Paese non è mai riuscito a
diminuire la spesa pubblica, la quale, semmai, ha continuato ininterrottamente ad aumentare ogni
anno; oltre a ciò, l’assoluta mancanza di un’uniformità tributaria a livello europeo e la spropositata
(e parimenti aumentata) pressione fiscale hanno portato alla chiusura di molte aziende e a una
spinta sui processi di internazionalizzazione delle imprese maggiormente in salute, con disastrose
conseguenze a livello di gettito erariale e, soprattutto, di occupazione interna.
Proprio riguardo alla questione fiscale, valgano per tutti, a titolo di esempio, le problematiche
connesse ai due principali progetti che, da alcuni anni la Commissione UE sta faticosamente
cercando di portare avanti: la base imponibile societaria consolidata comune (Common
Consolidated Corporate Tax Base), sul versante delle imposte dirette, e l’IVA unica europea, su
quello dei c. d. tributi armonizzati.
Relativamente alla CCCTB, la proposta di direttiva è stata inizialmente presentata nel lontano
2011, prospettando alcuni indubbi vantaggi a livello comunitario:
- La riduzione dei costi di conformità
- L’eliminazione dei problemi legati al transfer pricing
- La compensazione e il consolidamento globale dei profitti e delle perdite
3. - La scomparsa pressoché totale dei casi di doppia imposizione
- L’eliminazione delle numerose ipotesi di discriminazione e delle restrizioni
Ebbene, dopo oltre quattro anni di discussioni tra i vari governi senza che la direttiva in questione
vedesse mai la luce, più di recente (giugno 2015), la Commissione Europea ha comunicato al
Parlamento Europeo e al Consiglio Europeo, un nuovo action plan “for a fair and efficient
corporate tax system in the EU”. Uno dei pilastri di tale action plan è stato proprio il rilancio della
proposta di direttiva CCCTB, la quale, però, risultava stravolta rispetto al progetto iniziale
giudicato, in tale forma, non praticabile, posto che non avrebbe mai trovato l’accordo di tutti Paesi
membri.
La CCCTB targata 2015 non riguardava più le aliquote dell'imposta sul reddito delle società, che
restavano una questione di sovranità nazionale: per esempio, l’aliquota al 12,5% di Irlanda e Cipro,
o quelle di Lussemburgo, Olanda e Belgio, rimanevano immutate.
E, purtuttavia, persistevano ancora svariati vincoli affinché si potesse trovare l’accordo sperato.
Così, nel 2016, la Commissione ha finalmente presentato le sue due ultime distinte proposte di
direttiva:
- quella sulla Common Corporate Tax base – CCTB (documento n. COM/2016/0685);
- quella sulla Common Consolidated Corporate Tax Base – CCCTB (documento n.
COM/2016/0683).
Con la prima (CCTB), vengono definite norme, condivise fra gli Stati membri, che si limitano
soltanto a presiedere alla determinazione della base imponibile comune ai fini delle imposte sul
reddito delle società. Conclusa tale fase, si procede con l’introduzione del consolidamento delle
basi imponibili, oggetto della seconda proposta (CCCTB).
Tirando le somme, pare doveroso ulteriormente sottolineare che, con l’adozione del doppio
regime CCTB/CCCTB, le società osserverebbero un unico corpus di norme per calcolare il reddito
nell’UE ai fini dell’imposta sul reddito delle società. La base imponibile comune consolidata
sarebbe, quindi, ripartita tra i membri di un gruppo in funzione di fattori quali: lavoro, asset
materiali immobilizzati e fatturato, in modo da garantire che i redditi vengano tassati dove
effettivamente sono realizzati. Le società avrebbero, inoltre, il vantaggio di interfacciarsi con una
sola Amministrazione Fiscale nell’UE (c.d. “principal tax authority”), individuata nello Stato
membro di residenza ai fini fiscali della società madre (c.d. “one-stop-shop”).
Dunque, non proprio l’unitarietà sperata, ma almeno il primo importante step di un cammino che
peraltro appare ancora lungo.
Come naturale corollario alle appena delineate proposte di direttive CCTB e CCCTB, nell’aprile del
2016, la Commissione UE ha, poi, licenziato il piano d’azione che propone la creazione di un’unica
IVA europea, al fine di rendere l’imposta: più semplice da utilizzare per le imprese, capace di
combattere i crescenti rischi di frode, diventare maggiormente efficiente, e soprattutto essere
basata su una maggiore fiducia.
4. Il documento sembra ripercorrere da un punto di vista IVA a livello comunitario, mutatis mutandis,
quanto predisposto dall’OCSE col piano BEPS.
La prima fondamentale questione concerne il passaggio dell’imposizione dal principio di origine a
quello di destinazione dei beni: una vera e propria rivoluzione di carattere concettuale, dunque.
Le iniziative svolte includono:
- un meccanismo di reazione veloce (Quick Reaction Mechanism) per combattere
l’improvvisa e vasta crescita di frodi IVA;
- l’implementazione di una nuova fonte di leggi, in linea con i principi generali, nel luogo di
destinazione, per le telecomunicazioni, la programmazione radiotelevisiva e per i servizi
elettronici forniti al consumatore finale con il One Stop Shop, onde semplificare gli
adempimenti fiscali;
- un nuovo sistema di governance più trasparente per il sistema IVA dell’UE, nel quale tutti i
portatori di interesse sono coinvolti in maniera maggiore.
La Commissione presenterà poi una proposta di legge per modernizzare e semplificare l’IVA per
l’e-commerce transfrontaliero, specialmente con riguardo alle PMI.
Occorre, quantunque, evidenziare come (sempre secondo i dati ufficiali a disposizione) le frodi IVA
non colpiscano in maniera uguale tutti i Paesi dell’UE: il gap varia da meno del 5% a oltre il 40%.
Per tale motivo, alcuni Stati membri hanno richiesto l’autorizzazione per applicare il Temporary
Generalised Reverse Charge System, ovverossia un sistema temporaneo di sanzioni che deroga
rispetto ai principi generali della Direttiva in materia IVA. Detto sistema, non essendo in linea con
la VAT-Directive, richiede una modifica legislativa.
La Commissione ritiene che al riguardo sia doverosa un’analisi approfondita, onde valutare
seriamente le implicazioni politiche, legali ed economiche, di modo che, tali deroghe non finiscano
per danneggiare sproporzionalmente il corretto funzionamento del Mercato Unico.
In particolare, appare meritevole di attenzione specifica il possibile impatto sulle imprese e sulle
Amministrazioni Fiscali in termini di costi di aggiustamento, di probabile spostamento delle frodi
nei Paesi confinanti, e nel comparto del retail. Sembra, dunque, necessario che sul punto si
raggiunga l’unanimità del Consiglio. D’altra parte, è pur vero che delegare pieno potere di
decisione sulle aliquote agli Stati, non sarebbe privo di costi e svantaggi, anche se non dovrebbe di
per sé costituire un grave pericolo per il funzionamento del Mercato Unico nel suo complesso.
Quindi, anche in tema di IVA europea unica (vale a dire – giova ricordarlo – uno dei tributi
armonizzati per i quali è pacifica la sovranità dell’UE), gli attriti contro l’emanazione della direttiva
sono fortissimi e si giocano, sostanzialmente, sul timore che i rimedi vagliati per sconfiggere il
maggior livello di evasione esistente in alcune giurisdizioni e/o comparti lavorativi, finiscano col
ripercuotersi negativamente sulle regioni confinanti o comunque su altri settori, semplicemente
spostando (ossia, addossando sulle spalle di altri) i problemi, senza risolverli a livello di Unione
Europea nel suo complesso.
5. Ebbene, come anzidetto, il principale svantaggio di questa UE a più velocità, appare senza dubbio
esplicitarsi in maniera drammatica sul livello della disoccupazione, che ne subisce appieno tutte le
ricadute, aumentando notevolmente, seppure – è ovvio – in maniera disomogenea.
In particolare, nel nostro Paese, il sistema industriale appare tecnologicamente antiquato e non
più in condizione di reggere la concorrenza dei nuovi Paesi emergenti quali la Cina e l’India, prima
ancora di quelli europei. Ciò comporta grossi problemi di competitività da parte delle PMI
nazionali, che perdono appeal, non riescono a incrementare le esportazioni e il fatturato, e non
possono – neppure in minima parte – far fronte alla domanda di manodopera (sia essa
specializzata, qualificata od ordinaria).
Il governo, come noto, ha in merito recentemente varato degli aiuti sotto forma di vantaggi fiscali
per le imprese.
I principali paesi industrializzati si sono già da qualche tempo attivati a supporto dei settori
industriali nazionali in modo da cogliere quest’opportunità. L’Italia ha sviluppato un “Piano
nazionale Industria 4.0 2017-2020” che prevede delle misure in base a tre principali linee guida:
- operare in una logica di neutralità tecnologica;
- intervenire con azioni orizzontali e non verticali o settoriali;
- agire sui fattori abilitanti.
Le direttrici strategiche sono quattro:
1) Investimenti innovativi: stimolare l’investimento privato nell’adozione delle tecnologie
abilitanti dell’Industria 4.0 e aumentare la spese in ricerca, sviluppo e innovazione
2) Infrastrutture abilitanti: assicurare adeguate infrastrutture di rete, garantire la sicurezza e
la protezione dei dati, collaborare alla definizione di standard di inter-operabilità
internazionali
3) Competenze e Ricerca: creare competenze e stimolare la ricerca mediante percorsi
formativi ad hoc
4) Awareness e Governance: diffondere la conoscenza, il potenziale e le applicazioni delle
tecnologie Industria 4.0, al fine di garantire una governance pubblico-privata per il
raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Dando una rapida occhiata in Europa, abbiamo:
i. Regno Unito: CATAPULT – High Value Manufacturing. Piano d’azione sponsorizzato dal
Governo e dal Cambridge University’s Institute For Manufacturing, che coinvolge
università e player industriali, le cui principali manovre sono connesse al finanziamento
di progettualità aziendali e centri di ricerca applicata
ii. Germania: Industrie 4.0. Piano d’azione sponsorizzato a livello federale con il
coinvolgimento di grandi player industriali e tecnologici, le cui principali manovre
consistono nel:
- Finanziamento di progettualità aziendali e centri di ricerca applicata
6. - Agevolazioni fiscali per investimenti in startup tecnologiche
iii. Francia: Industrie du Futur. Piano di reindustrializzazione e di investimento in
tecnologie I4.0, guidato centralmente dal governo, mediante:
- Incentivi fiscali per investimenti privati
- Prestiti agevolati per PMI e per le mid-tier
- Credito d'imposta per la ricerca
- Finanziamento progetti "Industrie du Futur" e "Invest for the future"
iv. Olanda: Smart Industry. Approccio «network centric», in cui combinare le forze del
sistema industriale tradizionale con le nuove opportunità I4.0 coinvolgendo: il
Ministero degli affari Economici, la Camera di Commercio e gli altri principali organismi
istituzionali del Paese.
Dunque, nessuna particolare novità nel progetto patrocinato dal MISE, ma solo un’emulazione di
quanto già positivamente intrapreso in altre nazioni europee (le quali, peraltro, devono affrontare
una realtà interna assai differente rispetto a quella italiana).
Resta, comunque, il fatto che continua a risolversi tutto in azioni individuali, i cui risultati al
momento paiono ancora molto incerti e non in grado di far davvero rimettere in moto la macchina
economica europea.
L’unica maniera per far sì che nazioni come la nostra possano effettivamente svolgere un ruolo di
primo piano all’interno del sistema economico mondiale, è consolidare un processo di unione
(economica e reale, prima ancora che geografica e politica), in cui si possano adeguatamente
valutare e sfruttare le peculiarità di ogni Paese membro. Ciò che, però, allo stato delle cose,
sembra ancora ben lungi dall’essere raggiunto, proprio perché appare fondamentalmente errata la
mentalità di base che ci guida. D’altra parte, finché permangono persino invidie e competizioni al
livello regionale interno, diventa utopistico persino pensare di ragionare in termini comunitari.
Riepilogando, l’odierna Unione Europea, più che un vero e proprio continente federale, resta una
sorta di network internazionale in cui coesistono talune linee d’azione e interessi comuni, ma dove
ognuno fondamentalmente mira solo a proteggere il proprio orticello, in un’ottica
microeconomica completamente errata (senza voler andare a disturbare Keynes).
Pensare di voler frenare l’evoluzione mondiale costruendo dei “muri” per bloccare i nostri “vicini”
nell’era digitale, con il nuovo che avanza incontrastato e che dimostra di avere capacità e risorse
superiori alle nostre, è il miglior indicatore di quanto sia puerilmente errata la logica che guida i
nostri ragionamenti: un’impresa sceglie il proprio mercato indipendentemente dai confini
territoriali; analogamente, un lavoratore va a prestare la propria opera dove questa è
maggiormente richiesta e valorizzata, senza badare certo a fattori meramente nazionalistici.
L’unico modo per gestire tale inevitabile situazione creatasi in lustri di laissez faire imposto dalle
giurisdizioni più potenti nell’era del capitalismo, è quello di compattarsi e stabilire delle regole di
comportamento universali che consentano una corretta equi-distribuzione della produttività, tale
7. da far tornare a girare il famigerato volano dell’economia europea e mondiale, con il conseguente
immediato incremento dell’occupazione.
Finché, viceversa, il galeone UE continuerà ad affrontare la perigliosa navigazione nell’oceano
macroeconomico, sospinto da una ciurma disaggregata, che rema seguendo tempi diacronici,
conseguire una solida e generalizzata ripresa economica appare essere un obiettivo quanto mai
chimerico.