Ulixe. Il lungo cammino delle idee tra arte, scienza e filosofia.Fausto Intilla
Solo in tempi assai recenti (storia contemporanea) si è riscoperto — poiché già noto in tempi antichi, quando ogni ambito della sfera umana si inseriva in uno stesso disegno, percepito da tutti con un profondo “senso del divino”; ovvero prima dell’era cartesiana — il sublime nesso tra tutte le cose presenti nel grande regno della realtà, che ci consente di visualizzare meglio ogni sottile collegamento tra tutto ciò che siamo sempre stati abituati a scindere, a suddividere in compartimenti stagni, ai quali abbiamo dato il nome di Arte, Scienza e Filosofia. Il tentativo di quest’opera, è dunque quello di esporre alcuni punti di partenza dai quali, seguendo percorsi diversi, si arrivi a un unico obiettivo: intravedere l’immagine di una realtà unitaria, dove tutto il sapere e l’operato umano, rivelino (seppure in termini metafisici ed astratti) la loro sottile interdipendenza con la natura dei nostri stessi sensi (filtri irremovibili e dai benèfici risvolti di stampo darwiniano), istinti ed emozioni.
Ulixe. Il lungo cammino delle idee tra arte, scienza e filosofia.Fausto Intilla
Solo in tempi assai recenti (storia contemporanea) si è riscoperto — poiché già noto in tempi antichi, quando ogni ambito della sfera umana si inseriva in uno stesso disegno, percepito da tutti con un profondo “senso del divino”; ovvero prima dell’era cartesiana — il sublime nesso tra tutte le cose presenti nel grande regno della realtà, che ci consente di visualizzare meglio ogni sottile collegamento tra tutto ciò che siamo sempre stati abituati a scindere, a suddividere in compartimenti stagni, ai quali abbiamo dato il nome di Arte, Scienza e Filosofia. Il tentativo di quest’opera, è dunque quello di esporre alcuni punti di partenza dai quali, seguendo percorsi diversi, si arrivi a un unico obiettivo: intravedere l’immagine di una realtà unitaria, dove tutto il sapere e l’operato umano, rivelino (seppure in termini metafisici ed astratti) la loro sottile interdipendenza con la natura dei nostri stessi sensi (filtri irremovibili e dai benèfici risvolti di stampo darwiniano), istinti ed emozioni.
Aderire al ciò che è. "Se l'uomo arriva al punto nel quale abdica alla mente, ciò che egli esprime è un'azione senza pensiero. Ma l’azione senza pensiero entra in contraddizione con tutta la vostra struttura logica, perché per voi ogni azione è segnata almeno dall'emozione e più spesso dal pensiero che si nasconde dietro l'emozione.."
Lezione introduttiva allo studio della filosofia di Immanuel Kant e alla comprensione del Criticismo e della Rivoluzione Copernicana. La lezione ricostruisce alcuni momenti del dibattito sul problema della conoscenza usando la metafora di una partita a scacchi svoltasi nel corso dei secoli tra autori diversi ciascuno dei quali compie la propria mossa teorica. Gli autori presi in esame sono: Platone, Aristotele, Descartes, Hume. Viene infine esaminata la "Mossa di Kant", ovvero il ribaltamento del tradizionale rapporto tra soggetto e oggetto che ridefinisce i termini della concezione della verità come corrispondenza e del realismo gnoseologico che avevano dominato la scena per 2.000 anni.
La presentazione è una libera rielaborazione dei capitoli su Hegel dei testi di Brandolini,
Debernardi, Leggero, Simposio vol 2, Laterza e di Sacchetto, Desideri, Petterlini,
L'esperienza del pensiero vol 4, Loescher.
L'articolo, liberamente ispirato dalla lettura del testo di Jou Tsung Hwa, "Il Tao del Tai-Chi Chuan" (1980), vuole essere una presentazione generale del concetto di Yin e Yang e della loro particolare relazione dinamica, partendo dai presupposti propri dell'antica filosofia cinese e con una attenzione alla declinazione che questi concetti possono avere nella vita di ciascuno, nonché in una corretta pratica di tipo marziale.
Alcune brevi annotazioni tratte dalla lettura di un noto poema simbolico, della tradizione del Buddhismo tibetano: il "Bardo tödöl", Il libro dei morti tibetani.
Odorno ci invita a considerare che dopo
Auschwitz nulla potrà più essere come
prima, nessuna categoria, nessuna parola,
nemmeno quelle teologiche. La Shoah ci si
presenta, nella sua tragica insensatezza,
come una realtà con la quale dobbiamo
necessariamente fare i conti. Ma
confrontarsi con essa, cercare di
interpretarla, non può non portarci a
rimettere in discussione ciò che prima
avevamo creduto e pensato. È possibile
comprendere la Shoah? È ancora possibile
pensare e credere dopo Auschwitz?
Presentazione della "Fenomenologia dello Spirito" (1807) di Georg W. F. HEGEL.
Nell'approntare tale presentazione si è fatto in parte uso anche di materiale già disponibile sulla rete.
Presentazione in 13 slides dei contenuti fondamentali del testo teologico giovanile di Georg W. F. Hegel: "Lo spirito del Cristianesimo e il suo destino" (Francoforte, 1798-99).
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Letture buddhiste - Note al margine n.2 - La dottrina della vacuità tra nichilismo e compassione
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Letture buddhiste - Note al margine n. 2
La dottrina della vacuità tra nichilismo e compassione
Uno dei principi centrali del Buddhismo è l'affermazione che nulla sussista
indipendentemente, e che tutto si produce condizionato da altro. Tutto quanto - escluso il nirvana -
è frutto e causa di altre cose, serve ad altro, e si esaurisce nell'altro, in un processo che, senza rotture
o intervalli, si rinnova continuamente (dottrina della coproduzione condizionata). In questo senso,
tutte le cose sono vuote di sé, prive di una natura propria, dipendenti da altre cose ed ordinate
insieme ad altro, e quindi, di per se stesse, insussistenti.
Ma tale vacuità - secondo quanto scrive Nāgārjuna (pensatore buddhista dell'India
Meridionale, vissuto intorno al II secolo d. C.) nel testo del Madhyamakakarika ("Stanze del
Cammino di Mezzo") - è un'espressione metaforica soltanto e, nella misura in cui essa è una parola,
un segno, anch'essa è vuota, insussistente. Essa, pertanto, richiede, ed è, la rinuncia ad ogni
opinione.
"La vacuità è eliminazione di tutte le opinioni".
Nāgārjuna nella iconografia cinese
Compito del vero buddhista è eliminare ogni opinione. Si tratta di una critica inesorabile di
ogni dottrina, di ogni opinione buddhistica e non. Tutte le 'stanze del cammino di mezzo' sono la
confutazione di ogni tesi altrui senza averne nessuna come propria.
"Se io avessi una qualche tesi - dice Nāgārjuna - sarei vittima di quei controsensi. Senonché, io non ho
nessuna tesi e quindi non mi si può imputare nessun controsenso".
Questo tipo di critica non si ferma davanti a nulla. Tutti i dati fondamentali
dell'insegnamento buddhistico si frantumano come vetro sotto di essa. Nāgārjuna stesso si rende
conto, però, della pericolosità di tale atteggiamento.
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"La vacuità male intesa manda in rovina l'uomo di corto vedere così come il serpente male afferrato".
Ad ogni istante, sul seguace di Nāgārjuna, incombe infatti la dottrina del nichilismo
(ucchedavada). Qual è dunque il rimedio a questo pericolo ed in che cosa consiste il saper ben
afferrare la vacuità?
La risposta viene data dallo stesso Nāgārjuna ed è presente nella concezione del Buddhismo
Mahayana, così come è propria di ogni dottrina monistica, nella quale però vengano distinti due
piani di realtà.
"La realtà assoluta non può essere insegnata senza prima appoggiarsi sull'ordine pratico delle cose:
senza intendere la realtà assoluta il nirvana non può essere raggiunto".
Il fatto che tutte le cose, da un punto di vista assoluto, siano vuote, insussistenti, che tutto
quello che pensiamo sia privo di natura propria e, in ultima istanza, costituisca una falsificazione
della realtà, non implica che, relativamente, praticamente, queste stesse cose che sappiamo essere
vuote e insussistenti, siano necessariamente inutili. Il pensiero discorsivo è sì sempre fallace e deve
essere superato (la dottrina è simile ad una zattera e, forniti i suoi compiti, deve essere
abbandonata), ma è anche l'unico strumento di cui disponiamo per raggiungere un giorno la realtà.
Gli aggregati, gli elementi, il dolore stesso, sono distinzioni mentali e illusorie, ma di essi non
possiamo fare a meno proprio per poterli un giorno trascendere. L'importante è non confonderli con
le cose reali, non ipostatizzarli in una realtà, ma tener sempre presente davanti a sé il loro valore
puramente strumentale. Chi nega la realtà relativa va fatalmente incontro al nichilismo. Colui che
sulle rovine del senso comune eleva il suo edificio dialettico, come se esso fosse la vera realtà,
compie un grave errore.
"Sino a che non sia raggiunta la vera realtà, si lasci in pace questa realtà relativa, la quale, è vero, non
è se non illusione, ma è, ciononostante, fonte di progresso spirituale che porta verso la liberazione, per
chi desidera liberarsi".
Questa concezione dei due piani di realtà è comune a tutto il Buddhismo del Grande
Veicolo. Da un lato la realtà assoluta, "il silenzio dei santi", "non comunicabile da altri, pacificata,
non dispiegata dallo spiegamento del pensiero discorsivo, priva di rappresentazioni soggettive", e
dall'altro lato il vario immaginare discorsivo, concepito come una specie di ignoranza innata,
impotente a cogliere la realtà così com'è, ma, se ben usato, valido strumento, l'unico anzi che
abbiamo, per raggiungere la vera realtà. Il valore del nostro pensiero non sta nella sua realtà (esso è
irreale per definizione), ma nella sua effettività pratica. Sia l'acqua reale sia l'acqua di un miraggio,
nella misura in cui sono immagini discorsive, sono ambedue ugualmente insussistenti, prive di
natura propria, vuote. Questa loro vacuità non toglie tuttavia che l'una di esse sia praticamente
efficiente - nel senso che è in grado di dissetare, ecc. - mentre l'altra, viceversa, è delusiva. L'errore
ha due facce, di cui l'una praticamente efficiente, utile, e l'altra mera fonte di delusione, e per questo
doppiamente erronea. Il primo compito di chi cerca la verità è quello di distinguere quindi tra
l'errore utile e l'errore dannoso.
L'errore, così articolato, è religiosamente la "compassione" (karuna), la bontà effettiva ed
instancabile, il senso di simpatia e di uguaglianza verso tutte le creature che soffrono. La
compassione diviene anzi l'unico strumento di verità. Il seguace del Cammino di Mezzo si muove
continuamente fra due diversi piani di realtà, fra due verità: fra il fine ed il mezzo, fra la "gnosi" e la
"compassione". La dimenticanza della gnosi, della vacuità, lo espone al pericolo dell'eternalismo
(sasvatavada), mentre, viceversa, se perde di vista la compassione, sorge immediatamente contro di
lui il demone del nichilismo. Nel bodhisattva (ossia il futuro Svegliato, la "creatura in risveglio")
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l'incarnazione della compassione infinita, di questo "errore" consapevole e volontario, è l'unica via
che porta alla gnosi. In fondo, la distinzione tra gnosi e compassione è anch'essa di ordine
puramente empirico, e in realtà esse sono un'unica cosa.
"La vacuità non è diversa dalle cose né v'è cosa senza vacuità, in quanto che cose e vacuità sono due
idee inseparabilmente connesse, né più né meno che l'idea di prodotto e quella di impermanente.
L'affermazione della vera realtà non implica l'eliminazione della realtà relativa. Anzi, la realtà vera
non può essere concepita indipendentemente dalla realtà relativa".
La realtà, il nirvana, secondo Nāgārjuna, non è diverso dalla realtà relativa, dalle cose del
mondo, ma consiste semplicemente nella conoscenza, visione del mondo, così com'è veramente,
vale a dire nella rimozione dell'illusione che ce lo fa sembrare doloroso e insufficiente. "Il nirvana
non è altro che la piena conoscenza dell'esistenza fenomenica".
"Tra la trasmigrazione (samsara) e il nirvana non c'è la più piccola differenza. Tra il nirvana e la
trasmigrazione non c'è la più piccola differenza. Quello che è il confine del nirvana, questo è anche il
confine della trasmigrazione. Tra essi due non c'è neppure la minima diversità".
Nagarjuna in un dipinto tibetano