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Storie di Successo dal sistema camerale
Istituto Tagliacarne
Dopo una pausa estiva, ritornano le nostre interviste dal mondo della progettazione europea. Questa volta
abbiamo allargato i nostri orizzonti e raccolto la testimonianza di un ente diverso dalle Camere, che ha
un’esperienza pluriennale nei progetti europei e una costante collaborazione con il mondo camerale. Stiamo
parlando dell’Istituto Tagliacarne, ed in particolare della Project Manager Debora Giannini, che ha
gentilmente acconsentito a rispondere alle nostre domande.
Buongiorno Dott.ssa Giannini. Come saprà, la sua è la prima intervista realizzata per questa newsletter
con un ente diverso da una Camera di Commercio italiana all’estero. Le chiedo per questo, per prima cosa,
se ci potesse presentare l’Istituto Tagliacarne e le sue attività.
L’Istituto Tagliacarne è una Fondazione dell’Unione Italiana delle
Camere di commercio, che nasce nel 1986 con lo scopo di
promuovere l’analisi economico-statistica e la formazione, con
particolare riferimento al mondo camerale. Sul tema formazione,
ci focalizziamo sui temi di maggiore interesse per le camere, come
ad esempio la digitalizzazione, l’imprenditorialità e la creazione di
start-up. Oltre a questi campi d’azione, da molti anni realizziamo
anche progetti, sia con fondi europei che con fondi nazionali e altri
finanziamenti.
Per quanto riguarda i fondi europei, di quali progetti vi state occupando?
Già da qualche anno abbiamo fatto la scelta di gestire non più di 3 o 4 progetti in contemporanea, di cui uno
da leader. In questo momento, partecipiamo a due progetti Erasmus+ come partner. Il primo ha come
capofila Eurochambres ed è incentrato sull’apprendistato, mentre il secondo è guidato dal Centro
Produttività Veneto e si occupa delle problematiche relative all’alternanza scuola/lavoro transnazionale.
Siamo invece i Leader partner di un unico progetto, ENTREFISH.
Ed è appunto di questo progetto da Leader che andremo a parlare in maniera approfondita. Di che
progetto si tratta?
ENTREFISH è un progetto incentrato sul settore della pesca e dell’acquacultura, a valere sul Fondo Europeo
per la Pesca e gli Affari Marittimi, con l’obbiettivo di aumentare la sostenibilità delle PMI del settore
aumentando le competenze degli addetti e stimolando l’inserimento di nuovi imprenditori. L’acquacultura in
particolare è un settore sul quale l’UE sta puntando molto, ma che richiede competenze multidisciplinari che
non si ottengono in alcun percorso universitario. Attraverso questo progetto, vogliamo restringere questo
gap di conoscenze, permettendo a studenti e neolaureati di diverse discipline di confrontarsi con
imprenditori e lavoratori del settore ittico.
Com’è nata l’idea progettuale?
L’idea è partita quando abbiamo notato la call for proposal, con
scadenza maggio 2017, che ci è sembrata da subito interessante.
L’istituto è da sempre interessato al tema dell’imprenditorialità,
ed in particolare alle competenze digitali, sulle quali facciamo
attività di formazione. Inoltre, venivamo da un’esperienza
importante a livello nazionale come ente di appoggio per
l’implementazione di Garanzia Giovani. Oltre a noi, ha dimostrato
molto interesse anche DINTEC, ente in-house di Unioncamere per
l’innovazione tecnologica, che veniva da un’esperienza
progettuale con il ministero sul tema della pesca. Abbiamo così
coniugato l’esperienza dei due enti e iniziato la costruzione del
progetto e del partenariato.
Come avete selezionato i partner?
Siamo partiti innanzitutto dall’Italia, individuando nell’Università del Salento un partner importante per
coinvolgere studenti con background diversi nel progetto. Abbiamo, infatti, coinvolto sia il Dipartimento di
Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali che il Dipartimento di Scienze dell'Economia, cosa che ci ha
permesso di aggiungere un primo aspetto di multidisciplinarietà al progetto. All’Università abbiamo
naturalmente affiancato la Camera di Commercio di Lecce, per coinvolgere anche le PMI e gli imprenditori
già attivi nel settore, e l’istituto UNIMAR, che svolge attività di ricerca scientifica nell’ambito della pesca e
dell’acquacoltura. Oltre ai partner scientifici e di business, abbiamo inserito un partner tecnico, l’impresa
“Arcadia Consulting” che si occupa, fra le altre cose, di business gaming. Infine, abbiamo inserito un unico
partner internazionale, la Camera di Commercio Italiana a Marsiglia, sebbene questo non fosse richiesto dal
bando.
Come è stato valutato il progetto? Quali sono stati i vostri punti di forza?
Sui circa 100 progetti presentati, solo sette sono stati finanziati, fra cui il nostro. Il progetto è stato valutato
molto positivamente, nonostante un partenariato incentrato sull’Italia, poiché siamo riusciti a coinvolgere
tre tipologie fondamentali di attori: le imprese, la ricerca e le istituzioni. Siamo così riusciti a dare una forte
multidisciplinarietà al progetto, assolutamente necessaria per un settore come quello ittico in cui si devono
coniugare capacità manageriali e di business con accurate conoscenze scientifiche.
Un altro fattore positivo, a mio avviso, è stata la presenza di docenti e formatori a disposizione dei partner di
progetto, cosa che permette di avere un’implementazione delle attività di progetto più semplice ed un alto
potenziale di sostenibilità nel lungo periodo.
Infine, il progetto è risultato interessante anche per altri attori, quali l’università di Marsiglia, che lo hanno
promosso e vi hanno partecipato sebbene non siano membri del partenariato e non abbiano un budget
dedicato.
A che punto del progetto vi trovate ora?
In questo momento stiamo selezionando i soggetti che dovranno partecipare alle attività di formazione. Si
tratta di cento ragazzi, laureandi e laureati, provenienti dall’Università, e di settanta imprese che operano
nel settore ittico locale. Per le imprese sono previste ottanta ore di formazione, tutte di tipo frontale,
mentre per gli studenti vi saranno sessanta ore frontali e quaranta ore online, attraverso una piattaforma
che userà il metodo della “gamification” per rendere la formazione più appetibile. Alla fine del percorso
formativo, i laureandi avranno la possibilità di fare un training in azienda, mentre i laureati dovranno
preparare un Project work, ovvero affiancare l’azienda nella creazione di un piano di sviluppo concreto e
finanziabile, che promuova la sostenibilità del business. Si può trattare, ad esempio, della creazione di un
marchio di qualità per promuovere un determinato prodotto locale.
Come vi trovate nella gestione del progetto? I bandi del Fondo per la pesca e gli affari marittimi sono
sostanzialmente diversi da altre tipologie di fondi?
Innanzitutto, il bando è gestito dall’EASME, che segue dunque l’implementazione del progetto. A livello
amministrativo, il bando non era particolarmente diverso da quelli di altri programmi, così come la gestione
e la rendicontazione del progetto non si discostano dalla norma. La maggiore differenza che abbiamo notato
è un maggior coinvolgimento diretto della Commissione Europea nelle attività. Ad esempio, tutti i progetti
vincitori sono stati invitati a Bruxelles per un evento di lancio, mentre l’EASME utilizza i propri mezzi di
comunicazione per dare ampio risalto al progetto e ai suoi risultati. Inoltre, la Commissione pone particolare
enfasi su alcuni aspetti legati al coinvolgimento delle imprese, all’occupabilità e alla sostenibilità dei risultati
di progetto.
Come siete organizzati internamente per la scrittura e gestione dei progetti?
Il team di progettazione è molto ridotto, in quanto composto da me come coordinatrice e una collega come
vice-coordinatrice. Come detto, gestiamo non più di 3 o 4 progetti contemporaneamente, cosa che ci
permette di avere una squadra così ridotta. Per quanto riguarda la scrittura, tendiamo ad occuparcene nei
progetti in cui siamo coordinatori, mentre quando siamo solamente partner, provvediamo solo alla parte
amministrativa di nostra competenza e, eventualmente, a contribuire alla scrittura quando ci viene richiesto.
Vista la vostra esperienza ormai consolidata, Le chiedo quali siano gli aspetti più importanti da tenere in
considerazione oggigiorno, quando si prepara un progetto europeo.
Da qualche anno a questa parte, vista la sempre più alta competitività dei bandi, è diventata molto più
importante qualità del partenariato e la capacità di avere un approccio multistakeholder ai progetti. Oltre a
coinvolgere soggetti forti nel partenariato, bisogna anche essere in grado di attivare la propria rete e fare
“networking”, coinvolgendo tutti i portatori di interessi. Inoltre, i progetti devono essere sempre spiegati in
maniera chiara e offrire elementi di innovatività. Va da sé che è necessario avere una buona padronanza
dell’inglese, una certa dimestichezza con la modulistica, una accurata conoscenza del bando che si va ad
affrontare e delle regole da seguire.
Nell’ambito della progettazione europea, quali sono secondo Lei i punti forti di una Camera di Commercio
italiana all’estero?
Le Camere hanno sicuramente molti punti di forza da poter sfruttare: un’attitudine transnazionale,
competenze linguistiche, una struttura snella che permette di rispondere velocemente e con flessibilità alle
sollecitazione, un atteggiamento proattivo e attento ai risultati finali, ed infine un’ampia rete, sia locale che a
livello Italiano, sulla quale fare affidamento.
Viste queste caratteristiche, quali consigli darebbe ad una Camera che vuole cimentarsi nella
progettazione?
Innanzitutto, bisogna cominciare entrando in progetti come partner e fare esperienza dall’interno. All’inizio,
bisogna accontentarsi anche di ruoli minori, che però permettono di vivere il progetto, capire le peculiarità
dei progetti europei e creare un pacchetto di conoscenze. In secondo luogo, consiglio a chi si approccia alla
scrittura di progetti per la prima volta, di farsi assistere da un esperto, sia esso interno o esterno. Infine,
bisogna sempre scegliere con cura le tematiche su cui impegnarsi e sfruttare i propri punti di forza,
soprattutto la transnazionalità insita nella Camere di Commercio Italiane all’estero.
Intervista Debora Giannini- Istituto tagliacarne

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Intervista Debora Giannini- Istituto tagliacarne

  • 1. Storie di Successo dal sistema camerale Istituto Tagliacarne Dopo una pausa estiva, ritornano le nostre interviste dal mondo della progettazione europea. Questa volta abbiamo allargato i nostri orizzonti e raccolto la testimonianza di un ente diverso dalle Camere, che ha un’esperienza pluriennale nei progetti europei e una costante collaborazione con il mondo camerale. Stiamo parlando dell’Istituto Tagliacarne, ed in particolare della Project Manager Debora Giannini, che ha gentilmente acconsentito a rispondere alle nostre domande. Buongiorno Dott.ssa Giannini. Come saprà, la sua è la prima intervista realizzata per questa newsletter con un ente diverso da una Camera di Commercio italiana all’estero. Le chiedo per questo, per prima cosa, se ci potesse presentare l’Istituto Tagliacarne e le sue attività. L’Istituto Tagliacarne è una Fondazione dell’Unione Italiana delle Camere di commercio, che nasce nel 1986 con lo scopo di promuovere l’analisi economico-statistica e la formazione, con particolare riferimento al mondo camerale. Sul tema formazione, ci focalizziamo sui temi di maggiore interesse per le camere, come ad esempio la digitalizzazione, l’imprenditorialità e la creazione di start-up. Oltre a questi campi d’azione, da molti anni realizziamo anche progetti, sia con fondi europei che con fondi nazionali e altri finanziamenti. Per quanto riguarda i fondi europei, di quali progetti vi state occupando? Già da qualche anno abbiamo fatto la scelta di gestire non più di 3 o 4 progetti in contemporanea, di cui uno da leader. In questo momento, partecipiamo a due progetti Erasmus+ come partner. Il primo ha come capofila Eurochambres ed è incentrato sull’apprendistato, mentre il secondo è guidato dal Centro Produttività Veneto e si occupa delle problematiche relative all’alternanza scuola/lavoro transnazionale. Siamo invece i Leader partner di un unico progetto, ENTREFISH. Ed è appunto di questo progetto da Leader che andremo a parlare in maniera approfondita. Di che progetto si tratta? ENTREFISH è un progetto incentrato sul settore della pesca e dell’acquacultura, a valere sul Fondo Europeo per la Pesca e gli Affari Marittimi, con l’obbiettivo di aumentare la sostenibilità delle PMI del settore aumentando le competenze degli addetti e stimolando l’inserimento di nuovi imprenditori. L’acquacultura in particolare è un settore sul quale l’UE sta puntando molto, ma che richiede competenze multidisciplinari che non si ottengono in alcun percorso universitario. Attraverso questo progetto, vogliamo restringere questo gap di conoscenze, permettendo a studenti e neolaureati di diverse discipline di confrontarsi con imprenditori e lavoratori del settore ittico. Com’è nata l’idea progettuale?
  • 2. L’idea è partita quando abbiamo notato la call for proposal, con scadenza maggio 2017, che ci è sembrata da subito interessante. L’istituto è da sempre interessato al tema dell’imprenditorialità, ed in particolare alle competenze digitali, sulle quali facciamo attività di formazione. Inoltre, venivamo da un’esperienza importante a livello nazionale come ente di appoggio per l’implementazione di Garanzia Giovani. Oltre a noi, ha dimostrato molto interesse anche DINTEC, ente in-house di Unioncamere per l’innovazione tecnologica, che veniva da un’esperienza progettuale con il ministero sul tema della pesca. Abbiamo così coniugato l’esperienza dei due enti e iniziato la costruzione del progetto e del partenariato. Come avete selezionato i partner? Siamo partiti innanzitutto dall’Italia, individuando nell’Università del Salento un partner importante per coinvolgere studenti con background diversi nel progetto. Abbiamo, infatti, coinvolto sia il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali che il Dipartimento di Scienze dell'Economia, cosa che ci ha permesso di aggiungere un primo aspetto di multidisciplinarietà al progetto. All’Università abbiamo naturalmente affiancato la Camera di Commercio di Lecce, per coinvolgere anche le PMI e gli imprenditori già attivi nel settore, e l’istituto UNIMAR, che svolge attività di ricerca scientifica nell’ambito della pesca e dell’acquacoltura. Oltre ai partner scientifici e di business, abbiamo inserito un partner tecnico, l’impresa “Arcadia Consulting” che si occupa, fra le altre cose, di business gaming. Infine, abbiamo inserito un unico partner internazionale, la Camera di Commercio Italiana a Marsiglia, sebbene questo non fosse richiesto dal bando. Come è stato valutato il progetto? Quali sono stati i vostri punti di forza? Sui circa 100 progetti presentati, solo sette sono stati finanziati, fra cui il nostro. Il progetto è stato valutato molto positivamente, nonostante un partenariato incentrato sull’Italia, poiché siamo riusciti a coinvolgere tre tipologie fondamentali di attori: le imprese, la ricerca e le istituzioni. Siamo così riusciti a dare una forte multidisciplinarietà al progetto, assolutamente necessaria per un settore come quello ittico in cui si devono coniugare capacità manageriali e di business con accurate conoscenze scientifiche. Un altro fattore positivo, a mio avviso, è stata la presenza di docenti e formatori a disposizione dei partner di progetto, cosa che permette di avere un’implementazione delle attività di progetto più semplice ed un alto potenziale di sostenibilità nel lungo periodo. Infine, il progetto è risultato interessante anche per altri attori, quali l’università di Marsiglia, che lo hanno promosso e vi hanno partecipato sebbene non siano membri del partenariato e non abbiano un budget dedicato. A che punto del progetto vi trovate ora? In questo momento stiamo selezionando i soggetti che dovranno partecipare alle attività di formazione. Si tratta di cento ragazzi, laureandi e laureati, provenienti dall’Università, e di settanta imprese che operano nel settore ittico locale. Per le imprese sono previste ottanta ore di formazione, tutte di tipo frontale, mentre per gli studenti vi saranno sessanta ore frontali e quaranta ore online, attraverso una piattaforma che userà il metodo della “gamification” per rendere la formazione più appetibile. Alla fine del percorso formativo, i laureandi avranno la possibilità di fare un training in azienda, mentre i laureati dovranno preparare un Project work, ovvero affiancare l’azienda nella creazione di un piano di sviluppo concreto e
  • 3. finanziabile, che promuova la sostenibilità del business. Si può trattare, ad esempio, della creazione di un marchio di qualità per promuovere un determinato prodotto locale. Come vi trovate nella gestione del progetto? I bandi del Fondo per la pesca e gli affari marittimi sono sostanzialmente diversi da altre tipologie di fondi? Innanzitutto, il bando è gestito dall’EASME, che segue dunque l’implementazione del progetto. A livello amministrativo, il bando non era particolarmente diverso da quelli di altri programmi, così come la gestione e la rendicontazione del progetto non si discostano dalla norma. La maggiore differenza che abbiamo notato è un maggior coinvolgimento diretto della Commissione Europea nelle attività. Ad esempio, tutti i progetti vincitori sono stati invitati a Bruxelles per un evento di lancio, mentre l’EASME utilizza i propri mezzi di comunicazione per dare ampio risalto al progetto e ai suoi risultati. Inoltre, la Commissione pone particolare enfasi su alcuni aspetti legati al coinvolgimento delle imprese, all’occupabilità e alla sostenibilità dei risultati di progetto. Come siete organizzati internamente per la scrittura e gestione dei progetti? Il team di progettazione è molto ridotto, in quanto composto da me come coordinatrice e una collega come vice-coordinatrice. Come detto, gestiamo non più di 3 o 4 progetti contemporaneamente, cosa che ci permette di avere una squadra così ridotta. Per quanto riguarda la scrittura, tendiamo ad occuparcene nei progetti in cui siamo coordinatori, mentre quando siamo solamente partner, provvediamo solo alla parte amministrativa di nostra competenza e, eventualmente, a contribuire alla scrittura quando ci viene richiesto. Vista la vostra esperienza ormai consolidata, Le chiedo quali siano gli aspetti più importanti da tenere in considerazione oggigiorno, quando si prepara un progetto europeo. Da qualche anno a questa parte, vista la sempre più alta competitività dei bandi, è diventata molto più importante qualità del partenariato e la capacità di avere un approccio multistakeholder ai progetti. Oltre a coinvolgere soggetti forti nel partenariato, bisogna anche essere in grado di attivare la propria rete e fare “networking”, coinvolgendo tutti i portatori di interessi. Inoltre, i progetti devono essere sempre spiegati in maniera chiara e offrire elementi di innovatività. Va da sé che è necessario avere una buona padronanza dell’inglese, una certa dimestichezza con la modulistica, una accurata conoscenza del bando che si va ad affrontare e delle regole da seguire. Nell’ambito della progettazione europea, quali sono secondo Lei i punti forti di una Camera di Commercio italiana all’estero? Le Camere hanno sicuramente molti punti di forza da poter sfruttare: un’attitudine transnazionale, competenze linguistiche, una struttura snella che permette di rispondere velocemente e con flessibilità alle sollecitazione, un atteggiamento proattivo e attento ai risultati finali, ed infine un’ampia rete, sia locale che a livello Italiano, sulla quale fare affidamento. Viste queste caratteristiche, quali consigli darebbe ad una Camera che vuole cimentarsi nella progettazione? Innanzitutto, bisogna cominciare entrando in progetti come partner e fare esperienza dall’interno. All’inizio, bisogna accontentarsi anche di ruoli minori, che però permettono di vivere il progetto, capire le peculiarità dei progetti europei e creare un pacchetto di conoscenze. In secondo luogo, consiglio a chi si approccia alla scrittura di progetti per la prima volta, di farsi assistere da un esperto, sia esso interno o esterno. Infine, bisogna sempre scegliere con cura le tematiche su cui impegnarsi e sfruttare i propri punti di forza, soprattutto la transnazionalità insita nella Camere di Commercio Italiane all’estero.