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ANTONIO CANTARO - FEDERICO LOSURDO
L’INTEGRAZIONE EUROPEA DOPO IL TRATTATO
DI LISBONA*
Sommario: 1. Le “filosofie” dell’integrazione
sovranazionale. - 2. La filosofia “federalista”.
L’integrazione politico-statuale. - 3. La filosofia
“funzionalista” e “comunitarista”. L’integrazione
economico-giuridica. - 4. La filosofia “costituzionalista”.
L’integrazione “identitaria”. - 5. La filosofia
“neofunzionalista”. L’integrazione “differenziata” e
“flessibile”. - 6. Verso un diritto costituzionale
“asimmetrico”.
Le “filosofie” dell’integrazione sovranazionale
1.1. La finalità fondamentale che informa tutti i Trattati
europei, a partire da quelli originari degli anni cinquanta dello
scorso secolo, è sempre stata l’integrazione sovranazionale2:
* La chiave interpretativa e la struttura dello scritto sono da
imputare interamente a entrambi gli autori, così come i
paragrafi 1 e 6. Antonio Cantaro ha scritto i paragrafi 2 e 3.
Federico Losurdo i paragrafi 4 e 5.
2 Vedi a tal proposito il recente contributo di S. Mangiameli,
L’Europa sopranazionale, in P. Barcellona (a cura di), La
società europea, Identità, simboli e politiche, Torino, 2009.
l’obiettivo ‘costituzionale’3 dell’ “unione sempre più stretta
fra i popoli europei” di cui parlava già il Preambolo del
Trattato Cee del 1957.
Anche nelle fasi storiche più difficili e contrastate della
costruzione europea le classi dirigenti del vecchio continente
hanno sempre esplicitamente ed enfaticamente sottolineato la
natura fondante e strategica dell’obiettivo dell’integrazione
politica e socio-culturale dell’Europa.
L’obiettivo costituzionale dell’“unione sempre più stretta
dei popoli europei” non è, almeno retoricamente, messo in
discussione nemmeno quando, a partire dai primi anni
novanta, l’Unione considererà altrettanto strategico l’obiettivo
“di politica estera” della stabilizzazione dell’ex blocco di
Varsavia: l’obiettivo dell’“allargamento” (l’integrazione
orizzontale) non meno dell’obiettivo dell’”approfondimento”
(l’integrazione verticale).
La storia degli ultimi 15 anni è stata, anzi, letta come il
tentativo di perseguire l’obiettivo dell’integrazione
orizzontale (e segnatamente, dell’allargamento ai Paesi
3 N. Verola, L’integrazione europea tra allargamento e
approfondimento, in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, n.1, p. 93 s.
dell’Europa centro-orientale)
senza pregiudicare l’obiettivo dell’integrazione verticale 4.
E’ dunque ‘naturale’ che il Trattato di Lisbona abbia
mantenuto inalterate le formulazioni a suo tempo adottate a
Maastricht. Quella dell’articolo uno (“Il presente trattato
segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione
sempre più stretta tra i popoli europei”). Quella contenuta nel
Preambolo, al primo capoverso (“Decisi a segnare una nuova
tappa nel processo di integrazione intrapreso con l’istituzione
della Comunità europea”) e al quattordicesimo (“In previsione
degli ulteriori passi da compiere ai fini dello sviluppo
dell’integrazione europea”).
1.2. La costante rappresentazione dell’integrazione quale
fondamentale obiettivo strategico perseguito dai Trattati
istitutivi della Comunità e dell’Unione indica
inequivocabilmente la continuità dell’esperienza
costituzionale europea nell’ultimo mezzo secolo5
Le cesure e le discontinuità non attengono soltanto alla
“teleologia” ultima del processo di integrazione (Stato
4 Ibidem.
5 S. Mangiameli, L’esperienza costituzionale europea, Roma,
2008.
federale, Confederazione, Unione di Stati, e così via).
Altrettanto significative, e connesse alle prime, sono le cesure
e le discontinuità in ordine alla “intensità” e “velocità”
dell’integrazione, alla sua morfologia.
Lo testimoniano le diverse, variegate, (e, talvolta,
contrapposte) “filosofie” dell’integrazione che dalle origini ad
oggi si sono contese il campo.
A) La filosofia “federalista”: l’integrazione politico-
statuale del vecchio continente, l’integrazione nella forma
della “Federazione europea” ( par. 2);
B) La filosofia “funzionalista” e “comunitarista”:
l’integrazione economico-giuridica, l’integrazione nella forma
di uno “spazio” prevalentemente di mercato retto da un
“diritto comune” (par. 3);
c) La filosofia “costituzionalista”: l’integrazione
“identitaria”, l’integrazione nella forma di un catalogo,
depositato in una higher law(“costituzione”), di principi, di
diritti e valori fondamentali espressivi ed identificativi
dell’identità collettiva europea (par. 4).
1.3. A quale di queste diverse “filosofie” dell’integrazione è
più vicino il Trattato di Lisbona? In quali “forme”, con quale
“intensità” e “velocità”, il ratificando Trattato si prefigge di
perseguire l’ “eterna” finalità costituzionale dell’“unione
sempre più stretta dei popoli europei”?
A questi cruciali interrogativi la scienza giuridica europea
non riesce ancora a fornire una risposta netta, nitida, a tutto
tondo.
E’ comprensibile. Il Trattato di Lisbona occulta e rimuove la
cultura che lo sostiene in nome di un ethos ‘realista’,
giustificato dalla necessità, dopo il fallimento del Trattato
costituzionale, di andare avanti, comunque, nel processo
d’integrazione, di uscire dalla logica considerata paralizzante
del “tutti o nessuno”. Una filosofia “neofunzionalista” che
segna una significativa cesura tanto rispetto al
“funzionalismo” delle origini, quanto rispetto alla filosofia del
dopo Maastricht e, segnatamente, rispetto alla filosofia del c.
d. “quinquennio costituzionale” dell’inizio del XXI secolo
(par. 5).
Il Trattato ha, invero, “istituzionalizzato” e reso “norma”
una “forma” dell’ integrazione, l’integrazione “differenziata”,
che ‘programmaticamente’ postula la legittimità – se non
proprio l’auspicabilità - di una Europa à la carte. Come è
stato detto, “meno integrazione forzata per tutti in cambio di
più flessibilità per chi ne sente il bisogno”6.
Il nuovo Trattato, pur non rinnegando la finalità
dell’integrazione, ne sfuma sostanzialmente il carattere di
“dovere” incondizionato, collocando in un futuro variabile (e
indeterminato) l’adozione da parte di tutti gli Stati membri di
quelle politiche comuni in materia di governance economica,
di coesione sociale, di cooperazione giudiziaria e di polizia, di
politica estera e di sicurezza, che materialmente dovrebbero
oggi segnare una nuova tappa nel processo di creazione di un’
“unione sempre più stretta dei popoli europei”.
D’altra parte, lo stesso Trattato, con l’estesa previsione di
procedure e meccanismi di cooperazione rafforzata, prefigura
la legittimità e l’opportunità di scenari di più stretta e intensa
integrazione tra “avanguardie” virtuose, istituzionalmente
chiamate ad assolvere una funzione
trainante dell’intero processo di costruzione europea7.
6 N. Verola, L’identità europea tra eredità e progetto, in F.
Bassanini, G. Tiberi (a cura di), Le nuove istituzioni europee.
Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, 2008, p. 88
7 G. Tiberi, “Uniti nella diversità”: l’integrazione differenziata
e le cooperazioni rafforzate nell’Unione europea, in Le nuove
istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, cit. pp.
265 ss.
1.4. L’istituzionalizzazione dell’integrazione “differenziata”
e “flessibile” rappresenta la cifra politico-giuridica più
significativa ed autentica del Trattato di Lisbona.
Unità (uniformità) e diversità (differenziazione), continuano
a sostenere i fautori del costituzionalismo multilivello e della
continuità del nuovo trattato con il “Trattato costituzionale”.
Ma è proprio così? In realtà, l’istituzionalizzazione
dell’integrazione “differenziata” e “flessibile” introduce una
cesura profonda rispetto alle “filosofie dell’integrazione” a
lungo prevalenti nel secondo dopoguerra. Lungi dal
rappresentare una forma di integrazione “morbida”, come
generalmente sostengono i suoi più convinti sostenitori,
l’integrazione “differenziata” potrebbe rilevarsi una forma
particolarmente “dura” d’integrazione.
Essa, invero, incrina, almeno simbolicamente, il “dogma
dell’unità” dell’ordinamento comunitario che ha
caratterizzato per quasi mezzo secolo il “discorso giuridico
europeo”. Prefigura la costituzione in “foro separato” delle
avanguardie “lungimiranti”. Legittima, di fatto, distinzioni fra
nazioni di “serie a”, di “serie b”, di “serie c” che virtualmente
contraddicono la sostanza dei principi di eguaglianza e di
solidarietà tra gli Stati membri.
Insomma, “diversi nell’Unione”, capovolgendo quello che
fu il motto del Trattato costituzionale (“uniti nella diversità”).
Se così fosse assisteremo, presto o tardi, all’emersione di un
“diritto costituzionale asimmetrico” (par. 6). E gli
interrogativi, con i quali Giuliano Amato nel 2005 concludeva
a Catania il Convegno annuale dei costituzionalisti italiani,
assumerebbero un carattere di stringente attualità politico-
costituzionale.
“Qual è il rapporto tra unità e diversità, che rende o
mantiene funzionale la loro coesistenza? C’è un minimo di
unità al di sotto della quale il procedere delle diversità fa
collassare l’insieme? E al crescere delle diversità non è
conseguentemente essenziale far crescere il tasso d’unità
[…]?8”
8 G. Amato, Intervento conclusivo al Convegno annuale dei
costituzionalisti italiani L’integrazione dei sistemi
costituzionali europeo e nazionali, tenutosi a Catania il 14-15
ottobre 2005, disponibile sul sito www.
associazionedeicostituzionalisti.it.
La filosofia “federalista”. L’integrazione politico-statuale
2.1. Per tutto il secondo dopoguerra, praticamente sino
agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, il “discorso”
politico, giuridico e costituzionale sull’Europa è stato
largamente egemonizzato da due grandi “filosofie”
dell’integrazione, apparentemente del tutto antitetiche e
inconciliabili. La filosofia “federalista” e la filosofia
“funzionalista”.
La filosofia “federalista” dell’integrazione affonda le sue
origini nei movimenti di resistenza della seconda guerra
mondiale come risposta ideale e contraria all’“unificazione
nazista dell’Europa”9. Laddove, infatti, questa predicava e
praticava una “unificazione” imperialistica e militare fondata
sull’espansione della sovranità nazionale dello Stato più forte
che limitava o eliminava la sovranità degli Stati assoggettati,
la filosofia “federalista” predicava l’ideale di una
“unificazione” pacifica fondata sulla limitazione volontaria
9 M. Sassatelli, Identità, cultura, Europa. Le “Città europee
della cultura”, Milano, 2005, p. 47. Più analiticamente sul
contributo dei movimenti federalisti vedi il saggio di D.
Preda, Dalla parte dell’“iniziativa”:il ruolo dei movimenti nel
processo di unificazione europea, in Idee d'Europa e
integrazione europea, in A. Landuyt. (a cura di ), Bologna,
2004, pp. 505 ss.
della singole sovranità che avrebbero delegato un numero
crescente di poteri ad una entità sovranazionale
All’unificazione imperialistica e militare dei totalitarismi
europei, i movimenti federalisti del novecento
contrapponevano, in sostanza, la concezione ereditata dalla
tradizione federalista classica (Kant, Hamilton) di una entità
sovranazionale (una federazione) democratica e pacifista.10
Questo ideale sarà condiviso anche da diversi funzionalisti,
tra i quali alcuni “padri fondatori” della Comunità europea11.
Lo specifico dei movimenti ‘federalisti’ è che questi
affidavano il perseguimento dell’ “unificazione” pacifica ad
una azione politica immediata ed esplicitamente diretta –
nelle parole di Altiero Spinelli – a promuovere e ad “imporre
la creazione di istituti federali europei”12.
10 Per più ampi riferimenti vedi il volume di U. Campagnolo,
Verso una costituzione federale per l’Europa. Una proposta
inedita del 1943, in M. G. Losano (a cura di), Milano, 2003.
11 In tal senso vedi tutta la storiografia sul processo di
integrazione europea. Indicazioni preziose con riferimenti
diretti alle fonti nella rassegna curata da E. Colombo, Europa
e culture nazionali: i Trattati istitutivi, in G. Bonacchi (a cura
di), Una Costituzione senza Stato, Bologna, 2001, pp. 239 ss.
12 A. Spinelli, Sviluppo del moto per l’unità europea dopo la
II guerra mondiale, in G. Haines (a cura di), L’integrazione
europea, Bologna, 1957, p. 82.
2.2. La filosofia “federalista” affidava, insomma, la
finalità dell’ “unione sempre più stretta dei popoli europei” ad
una ‘strumentazione’ dichiaratamente e classicamente
politico-democratica e politico-costituzionale. Laddove,
viceversa, la filosofia “funzionalista” si affidava ad una
‘strumentazione’ prevalentemente empirica e incrementale13,
concentrata soprattutto sugli “obiettivi intermedi” – all’inizio
il “mercato comune”, poi il “mercato unico”, infine la
“moneta unica” - del processo di integrazione.
13 Per più ampi svolgimenti e riferimenti, anche bibliografici,
vedi A. Cantaro, La disputa sulla Costituzione europea, in Aa.
Vv., Verso la Costituzione europea, Milano, 2003, pp. 29 ss.
A differenza, cioè, dell’ “europeismo comunitarista”,
per l’“europeismo federalista”14 l’integrazione sovranazionale
andava perseguita tramite un cambiamento radicale della
storia europea. Un cambiamento affidato ad un esplicito atto
fondativo di un “potere costituente” popolare e transnazionale
che “de iure” e “de facto” avrebbe proceduto ad una
14 Le due grandi filosofie e famiglie politico-culturali europee
che predicano l’integrazione sovranazionale vengono qui
qualificate “europeismo comunitarista” ed “europeismo
federalista”. Questa denominazione è frutto di una ‘libera’
interpretazione del bel saggio di J.H.H. Weiler, Gli ideali
dell’integrazione europea, in B. Beutler, R. Bieber, J. Pipkorn,
J. Streil, J.H.H. Weiler, L’Unione europea. Istituzioni,
ordinamento e politiche, Bologna, 1998, pp. 22 ss.. Pur nelle
profonde differenze in ordine a quale debba essere la
“morfologia” del processo di integrazione, l’“europeismo
comunitarista” e l’“europeismo federalista” condividono (v.
infra nel testo) la “meta finale” della Federazione europea. Da
questo punto di vista, entrambi si contrappongono
radicalmente a quegli approcci, quali il realismo e
l’intergovernativismo, che rifiutano l’idea della rinuncia –
graduale o meno che sia – alla sovranità da parte degli stati
nazionali (S. George, Politics and policy in the european
Community, Oxford, Clarendon, 1985) e auspicano –
posizione condivisa ancora oggi da un ampio fronte
“eurotiepido” di stati membri - che l’Unione funzioni come
una sorta di “hub” di coordinamento delle politiche nazionali
dedito ad assicurare il corretto funzionamento del mercato
unico (N.Verola, L’identità europea tra eredità e progetto, cit.,
p. 78).
espropriazione coattiva della sovranità dei vecchi Stati
nazionali europei a vantaggio di una
inedita sovranità europea15.
Il modello ideale dell’“europeismo federalista” era, in
altri termini, quello americano della Convenzione
costituzionale e di una
trasformazione rivoluzionaria ed istantanea16. La creazione di
un organismo sovranazionale - una Federazione europea, uno
Stato europeo – al quale gli Stati avrebbero “delegato” ampie
porzioni dei loro poteri in settori strategici e fondamentali
della sovranità, quali la politica estera, la difesa, la politica
economica. L’integrazione come “unificazione” politico-
statale; come reductio ad unum di quella pluralità di Stati
sovrani che tutta una secolare ed autorevolissima tradizione di
pensiero giuridico-politico aveva considerato costitutiva e
15 D. Preda, Dalla parte dell’ “iniziativa”: il ruolo dei
movimenti nel processo di unificazione europea, cit.
16 M. Cartabia J.H.H. Weiler, L’Italia in Europa. Profili
istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, p. 19. Uno
stimolante confronto, in chiave storica, tra la vicenda
costituzionale americana e la vicenda ‘costituzionale’ europea
è contenuta nel saggio di L. Siendtop, La democrazia in
Europa, Torino, 2001.
coessenziale della “costituzione materiale” dell’Europa,
ancor prima che dell’ “idea” di Europa17.
Se volessimo fissare in una formula – in un motto - la
filosofia “federalista” dell’integrazione europea, questa
suonerebbe pressappoco così: “unità dalla diversità”, dove
l’unità costituisce l’istanza qualitativamente superiore
alle diversità che concorrono a formarla18. Insomma, dalla
“vecchia” Europa degli Stati nazionali a un “moderno” Stato
federale: uno Stato vissuto e rappresentato come la
concretizzazione di una preesistente unità culturale e
spirituale dell’Europa, come la “forma” politico-
costituzionale che ne incarna il “destino comune”.
2.3. L’integrazione europea non ha seguito le vie
immaginate dal “federalismo rivoluzionario” del Novecento.
Nella realtà del secondo dopoguerra il passaggio dalla
teoria federalista alla pratica politica presentava una duplice
frattura. Con la divisione dell’Europa in due blocchi, la futura
federazione europea poteva riguardare soltanto l’Europa
17 Per più ampi svolgimenti vedi A. Cantaro, Presentazione a
G. Foglio, Theatrum imperii. La sovranità e la genealogia
dell’Europa, Roma, 2008.
18 M. Sassatelli, Identità, cultura, Europa. Le “Città europee
della cultura” cit., p. 58.
occidentale e filoamericana, escludendo così quell’area
centro-europea che tradizionalmente aveva sempre fatto parte
della civiltà europea. Inoltre, all’interno dei singoli Stati
dell’Europa occidentale, il consenso politico per i piani
federativi europei era debole a causa degli avversari di destra
(sostenitori della sovranità nazionale) e di sinistra: (in
particolare i partiti comunisti) non favorevoli a una
integrazione europea intesa come baluardo antisovietico
(come, in effetti, la prefiguravano gli Stati Uniti che, dopo
l’avvento della guerra fredda, erano diventati ferventi
sostenitori del progetto federalista)19.
Durante tutto l’arco della guerra fredda la proposta
politico-costituzionale federalista è tornata, perciò, ad essere
prevalentemente oggetto del dibattito teorico fra pochi
illuminati, senza esercitare alcuna effettiva influenza sulle
politiche nazionali degli Stati membri e sulla politica europea
nel suo complesso.
La storia dei primi cinquanta anni di integrazione
europea si è svolta, come ha riconosciuto Joschka Fischer in
un celebre discorso pronunciato il 12 maggio 2000
19 M. G. Losano, Una carta fondamentale per l’Unione
Europea: costituzione o trattato?, Venezia, 2005, in www.
societaeuropeacultura.it
all’università Humboldt di Berlino20, seguendo percorsi e
paradigmi assai più vicini a quelli prefigurati dall’
“europeismo comunitarista”. Anche per questa ragione
Fischer, pur prefigurando un compiuto disegno federale
(lontano da ogni tentativo di rinazionalizzazione delle
politiche comunitarie), si mostrava nel suo “discorso” assai
attento a non riproporre sic et simpliciter i temi del
“federalismo rivoluzionario”. Consapevole dei limiti della
visione “rivoluzionaria” “vetero-federalista” e, segnatamente,
del rischio che ancora una volta si perpetuasse l’immagine di
un federalismo giacobino, centralizzatore, superstatalista.
La nuova entità federale, si premurava di precisare
l’allora ministro degli esteri della Repubblica federale
tedesca, non deve sorgere “in uno spazio politico vuoto”. Gli
Stati nazionali non vanno “spazzati via con il pensiero” e loro
istituzioni non vanno svalutate.
Il “nuovo sovrano” non deve nascere da una esplicita
espropriazione della sovranità degli Stati membri, ma da una
nuova ripartizione dei poteri e delle competenze tra gli Stati
membri e la federazione europea, stabilendo esattamente
20 J. Fischer, Dall’Unione di Stati alla federazione. Riflessioni
sulle finalità dell’integrazione europea, in Rivista di studi di
politica internazionale, n. 268, ottobre-dicembre 2000, pp.
603 ss.
“cosa dovrà essere regolato europeamente e che cosa dovrà
essere disciplinato, anche in futuro, nazionalmente”. Il
perseguimento di questo obiettivo va affidato – concludeva
Fischer - ad un “Trattato costituzionale” che sorga da “un
consapevole atto politico ricostituivo dell’Europa”: da una sua
“rifondazione costituzionale” che sancisca “il passaggio da
un’Unione di Stati alla completa parlamentarizzazione in una
federazione europea”, con un “Parlamento europeo e un
governo europeo che eserciti, effettivamente, il potere
legislativo ed esecutivo all’interno della Federazione”.
2.4. La riattualizzazione dell’idea della Federazione
europea proposta da Fischer, di certo politicamente più
prudente nei toni e costituzionalmente meno statual-
sovranista del “federalismo rivoluzionario”, non si discosta,
tuttavia, radicalmente dalla classica filosofia “federalista” che
ha sempre pensato l’integrazione come un processo di
“unificazione” politico-statuale. Un processo legittimato da
una “costituzione progetto”, da una “decisione fondamentale”
sull’unità politica dell’Europa deliberata da un organismo
direttamente rappresentativo
della volontà costituente del popolo europeo21.
Così, malgrado la proposta di Fischer non sia stata
criticata frontalmente, non sono mancate nelle solenni prese
di posizione delle più autorevoli personalità politiche europee
dell’epoca (tedesche, francesi, britanniche, italiane22),
significativi distinguo diretti, con tutta evidenza, a raffreddare
la nettezza del percorso costituzionale prefigurato dal
“federalista” Fischer. A prendere le distanze dalla nettezza
21 Una buona base per inquadrare la proposta costituzionale
del federalismo europeo sono i saggi contenuti in U. De
Servio (a cura di), Costituzionalizzare l’Europa ieri e oggi,
Bologna, 2001.
22 Per una prima ricostruzione dei termini del dibattito seguito
al discorso di J. Fischer vedi E. Scoditti. La Costituzione
senza popolo, Unione europea e nazioni, Bari, 2001, pp. 47-
54; L. Violini, La Costituzione europea tra passato e presente,
in U. De Servio (a cura di) Costituzionalizzare L’Europa, cit.,
p. 71 ss.; B. De Giovanni, L’ambigua potenza dell’Europa,
Napoli, 2002.
delle “riflessioni” di Fischer “sulle finalità dell’integrazione
europea”, sul suo approdo finale (la Federazione europea)23.
Con diversità di motivi e di accenti in queste diverse
prese di posizione veniva puntualizzato che la futura
Federazione non andava intesa come riproposizione di un
super-stato europeo. Una precisazione – esplicitamente
contenuta anche nella comunicazione del 22 maggio 2002
della Commissione europea24 - diretta con tutta evidenza a
sottolineare che il “processo costituente” che si stava aprendo
non era diretto a realizzare un passaggio di sovranità dagli
23 Di particolare rilievo il discorso del 27 giugno 2000 di
Jacques Chirac al Bundestag e quello di Carlo Azelio Ciampi
del 6 luglio a Lipsia, in occasione del conferimento della
laurea Honoris causa di tale Università (in C.A. Ciampi, Verso
una costituzione europea. 1999-2000, Roma, Presidenza della
Repubblica italiana, 2000, pp. 49 ss.). Ma si vedano anche gli
scritti di Giuliano Amato, Carlo Azelio Ciampi, Lionel
Jiospin, Johamas Rau, pubblicati in Aspenia, n. 14-15, 2001,
pp. 8 ss.
24 COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Un
progetto per l’ Unione Europea, Bruxelles, 22 maggio 2002,
“I cittadini, pur mostrandosi generalmente ‘desiderosi’
d’Europa, vogliono comprendere meglio l’integrazione
europea(…). Vogliono più chiarezza, più controllo
democratico, chiedono un’Unione che rispetti le identità
nazionali, un’Unione che incoraggi e protegga, una forma
superiore d’organizzazione ben distante dal mito del
superstato”.
stati verso le istituzioni sovranazionali, un trasferimento della
sovranità verso l’alto.
Interprete di questa preoccupazione è, in particolare, la
formula “Federazione di stati nazione”, originariamente
coniata da Jacques Delors e prontamente ripresa in questa fase
da tanti leaders europei. Una ‘declinazione’ della filosofia
federalista dell’integrazione sensibile alle diffidenze francesi
verso un modello – La Federazione europea – che appariva
troppo ritagliato sull’architettura istituzionale tedesca e,
comunque, assai distante dalla tradizione gollista dell’
Europe des nations25.
Se la Federazione europea allude più chiaramente ad
un’Europa come soggetto politico sovranazionale, la formula
della “Federazione di stati nazione” appare più attenta a
“conciliare sviluppi in senso federale e difesa delle identità
nazionali”26. E prefigura una permanente tensione tra organi
degli stati e organi dell’Unione, specialmente in coloro che
hanno introdotto l’ulteriore variante della “federazione di
stati sovrani”, rivolta a sottolineare ancor più enfaticamente
25 In questo senso vedi L. Jospin, Il futuro dell’Unione
allargata, in Aspenia, n.14-15, 2001, in particolare p. 29.
26 A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, Bologna,
2001, p. 77.
l’esigenza di una soluzione al problema dell’identità
costituzionale europea assai rispettosa del tradizionale assetto
statualistico del continente.
La filosofia “funzionalista” e “comunitarista”.
L’integrazione economico-giuridica
3.1. La diffidenza nei confronti della filosofia
“federalista” dell’integrazione è risalente e di tale diffidenza è
stata a lungo interprete, implicitamente ed esplicitamente, la
filosofia “funzionalista”: la filosofia dell’integrazione per
settori funzionali di Jean Monnet.
La filosofia “funzionalista”, al contrario di quella
“federalista”, ha, infatti, sempre volutamente lasciato sullo
sfondo – in un orizzonte di tipo metapolitico – la questione
dell’approccio costituzionale del processo d’integrazione
europea, delle sue implicazioni istituzionali a lungo termine. I
padri fondatori dell’Europa comunitaria e i fautori del
funzionalismo di matrice monnetiana condividevano con l’
“europeismo federalista” (con la filosofia “federalista”) la
“metà finale” della “Federazione”. Solo che la Federazione
alla quale essi pensavano non prefigurava alcuna costruzione
costituzional-statale (una “Federazione senza Stato”) e la sua
realizzazione era affidata a tempi lunghi, ad un percorso
graduale, empirico, incrementale.
La fiducia che la filosofia “funzionalista”
dell’integrazione riponeva sul metodo gradualista e
incrementale era, innanzitutto, dettata – come ha ancora di
recente ricordato Nicola Verola - da ragioni di prudenza
politica. La “messa tra parentesi” degli scopi ultimi del
processo di integrazione e la contestuale enfatizzazione degli
“obiettivi intermedi” puntava a far sì – cosa che si è a lungo
avverata - che gli Stati membri potessero condividere le stesse
decisioni, dando però loro una interpretazione diversa: “tappe
di avvicinamento” all’obiettivo della federazione europea, per
alcuni; scelte di efficienza e migliorie della collaborazione
intra-europea, per altri.
Senza il rassicurante “velo di ignoranza” circa le finalità
ultime del processo di integrazione, sarebbe stato difficile
ottenere l’adesione al progetto di molti degli attuali Stati
membri. L’enfasi sui guadagni materiali immediati e
concretamente perseguibili ha consentito di far convergere gli
Stati membri su impegnative scelte integrative riducendo al
minimo le tensioni politiche tra loro27.
27 N. Verola, L’identità europea tra eredità e progetto p. 78 s.
Ma non si trattava soltanto di lungimiranza politica. La
filosofia “funzionalista” dell’integrazione si fondava, in
realtà, sull’assunto teorico - largamente inedito per la
tradizione giuridica europea e, tuttavia, rivelatosi assai
perspicuo e vitale - che “l’autorità si possa collegare ad una
attività o funzione e non solo a un territorio” e che la pace sul
continente europeo poteva essere “perseguita moltiplicando i
soggetti autorevoli su specifiche materie, o meglio su settori
funzionali,
ponendo così fine al monopolio statale della sovranità”28.
“L’Europa – è scritto nella celebre Dichiarazione
Schuman del 9 maggio 1950, una sorta di ‘manifesto
costituzionale’ dell’etica processuale dell’integrazione - non
28 M. Sassatelli, Identità, cultura, Europa. Le “Città europee
della cultura”, cit., p. 48 che richiama, in proposito l’opera
pionieristica del 1943 – A Working Peace System- del padre
del funzionalismo, il rumeno D. Mitrany. Successivamente il
funzionalismo viene riveduto e corretto (si parla nella
letteratura specialistica di neofunzionalismo) dallo
statunitense E. B. Haas, (The Uniting of Europe, Stanford,
1958; Beyond the Nation State: functionalism and
international organization, Stanford, 1964) che lo applica al
suo studio della Ceca. L’opera di Haas ottiene molto successo
e viene imitata da molti altri per interpretare lo sviluppo
successivo delle istituzioni europee (vedi in particolare L.
Lindberg, The Political Dynamics of european economic
integration, Stanford, 1963)
potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme;
essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una
solidarietà di fatto […]”. Infatti, “La fusione delle produzioni
di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi
comuni per lo sviluppo economico”, mentre l’istituzione di
un’“Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la
Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il
primo nucleo concreto di una Federazione
europea indispensabile al mantenimento della pace”29.
3.2. La CECA (Comunità economica del carbone e
dell’acciaio e la CEE (Comunità economica europea) portano
impresso nel loro stesso nomen la filosofia “funzionalista”.
Una “teoria” ed una “narrazione” dell’Europa contemporanea
che sono anche, e indissolubilmente, una “ricetta” per
l’integrazione europea.
Il postulato del funzionalismo sociologico americano
dominante negli anni nei quali vedono la luce i primi Trattati
europei – l’integrazione come processo evolutivo e non
problematico, teleologicamente orientato ad armonizzare
sempre più settori o sottosistemi sino a creare un tutto
29 Uno stralcio praticamente completo della Dichiarazione
Schuman è contenuto in M. Cartabia, J.H.H. Weiler, L’Italia
in Europa, cit., p. 19 ss.
coerente - si incarna concretamente nella ‘pratica’
dell’integrazione europea attraverso l’armonizzazione
economica. Questa è, infatti, rappresentata come la prima
pietra (“il primo passo”) dell’“unione sempre più stretta dei
popoli europei” alla quale si sarebbe un giorno pervenuti “del
tutto naturalmente”.
Secondo questo postulato, noto con il nome di spillover
(spillover funzionale, spillover politico), l’integrazione di un
certo settore economico (all’origine la fusione della
produzione del carbone e dell’acciaio, poi la realizzazione di
un’area di libero scambio) determina la necessità, a causa dei
legami esistenti tra i diversi settori, di un’ulteriore
cooperazione in ambiti inizialmente non previsti (ad esempio,
nel settore dei trasporti). L’impossibilità ‘tecnica’ di isolare un
settore dall’altro genera, insomma, pressioni ad estendere la
cooperazione da un settore all’altro, rendendo “automatico”
ed “autopropulsivo” il processo di integrazione.
Gli sviluppi concreti del processo di integrazione
europea hanno a lungo ‘confermato’, a dispetto della loro
accentuata natura deterministica, le predizioni del postulato
funzionalista. Adottato sin dai primi trattati, il meccanismo
dello spillover sembra raggiungere il suo apice e, in un certo
senso, il suo ‘compimento’ con il Trattato di Maastricht del
1992. La nascita dell’unione economica e monetaria e poi
l’introduzione della moneta unica vengono, infatti, lette e
rappresentate dalla filosofia “funzionalista” come una
conseguenza naturale del mercato unico, della ineluttabile
“necessità” di disporre, in un mercato ormai completamente
unificato, di un solo mezzo di pagamento.
3.3. In realtà, gli sviluppi e i successi dell’integrazione
europea sino alla fine degli anni ottanta non vanno imputati
esclusivamente al postulato “funzionalista” della progressiva
e irresistibile armonizzazione economica; ma, altresì,
all’altrettanto fondamentale postulato ‘comunitarista’ della
necessaria “integrazione giuridica” (Rechtsintegration,
Intégration juridique, legal integration, integracìon jurìdica)
fra gli ordinamenti degli Stati membri30.
La costruzione di un “diritto comune europeo” si è,
invero, rilevata sin da subito una condizione necessaria e uno
strumento imprescindibile per la realizzazione
30 G. Itzcovich, Integrazione giuridica. Un’analisi concettuale,
in Dir. pubbl., n. 3, 2005, pp. 749 ss, che giustamente
richiama gli studi ‘pionieristici di P. Pescatore, The law of
integration, A.W. Sijthoff, Leiden, 1974 e di H.P. Ipsen,
Europaeisches Gemeinschaftsrecht, Tubingen, Mohr, 1972.
dell’integrazione economica.
L’integrazione economica è stata ‘decisa’ politicamente31,
omogeneizzando e armonizzando, secondo un moto che è
apparso sino a qualche tempo fa irresistibile, gli ordinamenti
degli stati membri secondo le prescrizioni delle norme
giuridiche sopranazionali emanate dalle istituzioni
comunitarie (il “diritto comunitario”).
Non a caso una delle più risalenti, ma anche preveggenti
definizioni dell’allora Comunità economica europea – ha
ricordato Mario Chiti in un suo recente scritto32 – è quella di
“Comunità di diritto”. L’autore della definizione (Walter
Hallstein, che ne fece uso nel 1965 in un dibattito al
Parlamento europeo) intendeva in tal modo riprendere il
succo della nozione del Rechtsstaatprinzip, applicandolo al
nuovo potere pubblico da poco instaurato, ma anche
sottolineare il ruolo fondamentale, senza precedenti, del
diritto quale architrave della Cee. La Comunità non era, e
31 A. Sandulli, La scienza italiana del diritto pubblico e
l’integrazione europea, in Riv. italiana dir. pubbl.
comunitario, 2005, p. 860 s.
32 M.P. Chiti, Dalla “Comunità di diritto“ all’Unione dei
diritti, in S. Micossi, G.L. Tosato (a cura di), L’Unione
europea nel XXI secolo. “Nel dubbio per l’Europa”. Bologna,
2008, pp. 259 ss.
tuttora non è, dotata di un proprio potere coercitivo: “il diritto
che essa crea – si è detto,
con felice e fulminante espressione– è la sola sua forza”33.
Integrazione economico-giuridica senza Stato. La più
plateale cesura rispetto ai postulati del giuspositivismo
statalista entro cui per secoli era vissuta la scienza giuridica
europea, ma anche la più plateale smentita di uno dei più
ideologici ‘dogmi’ del “federalismo rivoluzionario”: il dogma
dell’integrazione statale su scala europea come condizione
necessaria e imprescindibile dell’integrazione economico-
giuridica.
Questa radicata convinzione farà dire ad Altiero Spinelli
che il mercato comune era da considerarsi “una beffa”, perché
“s’indicavano obiettivi ambiziosi, ma impossibili a realizzarsi
senza un Governo europeo”. E a Mario Albertini che si
trattava comunque di una scommessa persa in partenza:
“Avevamo imparato da Lionel Robbins e da Luigi Einaudi
che per avere un mercato comune su un’area pluristatale
bisogna istituire una federazione. Ora i nostri governi ci
insegnano il contrario. Dietro ogni unificazione vi è sempre
33 S.U. Louis, L’ordinamento giuridico comunitario,
Commissione delle Comunità europee, Bruxelles-
Luxembourg, 1989, pp. 43 ss.
stato un potere politico e, quando limitate unificazioni hanno
coperto aree pluristatali non federali, v’è sempre stato uno
Stato molto forte capace di imporre una condotta comune agli
altri Stati. Dietro il mercato comune europeo non c’è né l’una
né l’altra cosa. Quindi la previsione che non si realizzerà non
è né massimalista, né intransigente, ma semplicemente
scientifica”.
3.4. Come sappiamo, non è andata così. Il successo dei
postulati ‘funzionalisti’ e ‘comunitaristi’ è stato tutt’altro che
effimero.
L’idea della Comunità di diritto – una Comunità non
politica, da “Stato giurisdizionale”; così Carl Schmitt aveva a
suo tempo definito l’idea di
ascendenza savignyana e gierkiana di “comunità di diritto”34
- sottostà alla giurisprudenza costituzionale della Corte di
Giustizia degli anni sessanta dello scorso secolo e poi in modo
esplicito a quella degli anni ottanta.
La Comunità economica è diventata realmente una
“comunità di diritto”. Una Comunità fondata sul diritto dei
trattati istitutivi e che, pur agendo senza disporre direttamente
34 C. Schmitt, Legalità e legittimità (1932), in ID., Le
categorie del ’politico’, Bologna, 1972, pp. 216 ss.
della coazione, garantisce il rispetto dei principi fondamentali
dello Stato di diritto, primo fra tutti la subordinazione dei
pubblici poteri, sia comunitari, sia nazionali, a un “diritto
comune”.
Un diritto che si impone per forza sua in quanto,
appunto, “comune”. Poiché se la sua efficacia – come è scritto
già nella celebre sentenza Costa c. Enel del 1964 – “variasse
da uno stato all’altro (…), ciò metterebbe in pericolo
l’attuazione degli scopi del Trattato (…) e causerebbe una
discriminazione vietata dall’art. 7”.
Da qui il “dogma politico” dell’ acquis communautaire,
il “dogma” che ‘prescrive’ l’inderogabile accettazione da
parte dei nuovi stati membri del diritto comune esistente. Da
qui il “dogma giuridico” della supremazia del diritto
comunitario sul diritto nazionale, anche di rango
costituzionale.
L’integrazione economico-giuridica ‘funzionalista’ e
‘comunitarista’ non è, insomma, un’integrazione qualsiasi. E’
integrazione monodirezionale: è “integrazione del diritto
comunitario negli ordinamenti giuridico statali”.
E’ vero che nel discorso ‘funzionalista’ e ‘comunitarista’
l’integrazione monodirezionale del diritto comunitario è un
processo ‘pacifico’ e graduale. Un processo che, proprio
perché graduale, non avviene secondo i paradigmi noti al
diritto internazionale e alla teoria dell’ordinamento giuridico
otto-novecenteschi dell’unificazione tout court e della brusca
interruzione della validità-effettività di uno degli ordinamenti
che si “integra”(successione fra Stati, incorporazione a
seguito di annessione territoriale, atti di capitolazione o
sottomissione, istituzione di uno Stato federale e così via)35.
L’Europa “funzionalista” e “comunitarista” - per dirla con le
parole di Tommaso Padoa Schioppa - è una “forza gentile”36,
il cui potere si fonda esclusivamente sull’adesione volontaria
e sulla condivisione della nuova “sovranità sovranazionale”37.
Nondimeno, la “morfologia”, se guardiamo agli effetti
‘sostanziali’ e finali, è monodirezionale quanto quella otto-
novecentesca. Finché, infatti, il processo d’integrazione
economico-giuridica procede, esso muove in direzione di un
unico ordinamento giuridico – l’ordinamento comune, –
fondato su un proprio diritto, il “diritto comunitario”.
Il quadro comincia a mutare sensibilmente quando
l’integrazione giuridica da monodirezionale diventa
35 G. Itzcovich, Integrazione giuridica, cit., p. 759.
36 T. Padoa Schioppa, L’Europa, forza gentile, Bologna, 2001.
37 M. P. Chiti; Dalla Comunità di diritto, cit., p. 260.
integrazione bidirezionale. Quando non solo il diritto
comunitario si integra negli ordinamenti statali, ma anche il
diritto costituzionale statale si integra nel diritto comunitario,
‘costringendo’ questo ad aprirsi ai principi delle “tradizioni
costituzionali comuni degli stati membri”38 (la filosofia
“costituzionalista dell’integrazione”: vedi infra par. 4). E
quando, con il Trattato di Maastricht, l’integrazione
“funzionalista” e “comunitarista”- giunta al suo “apice” e al
suo “compimento”- mostra il suo principale limite teorico e
culturale: l’aver geneticamente rimosso dal suo orizzonte di
senso le questioni dell’appartenenza e dell’identità collettiva
europea che un variegato complesso di culture cominciano
sempre più insistentemente a considerare essere una
dimensione precedente alla costituzione degli interessi
economici e sociali39 (l’ “integrazione identitaria”).
La filosofia “costituzionalista”.
L’integrazione “identitaria”
4.1. La filosofia “costituzionalista” dell’integrazione ha
il suo apice nel c.d. “quinquennio costituzionale”. Nel
38 G. Itzcovich, Integrazione giuridica, cit., p. 751
39 M. Sassatelli, Identità, cultura, Europa. Le “Città europee
della cultura”, cit., p. 50.
quinquennio, cioè, che si apre nel 2000 a Nizza con la
proclamazione della Carta dei Diritti fondamentali, prosegue
con la Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione e
‘tramonta’ nel 2005 con la mancata ratifica francese e
olandese del Trattato costituzionale.
E’ questa, indubbiamente, la fase nella quale il ‘discorso’
politico europeo appare più intimamente ed indissolubilmente
legato al ‘discorso’ sull’identità europea40. Il precipitato di
questa fase è, come è noto, il Trattato costituzionale: il
tentativo più maturo e consapevole di tenere assieme la
molteplicità delle tradizioni culturali e giuridiche nazionali ed
europee nella cornice legittimante e integrante di una Carta
fondamentale intesa come un catalogo di principi, valori,
diritti, obiettivi espressivi dell’identità collettiva del
Continente.
40 P. Rossi, Identità dell’Europa, Bologna, 2007.
La domanda e la ricerca41 di un fattore identitario al
quale ‘affidare’ la missione di rafforzare l’“unione sempre più
stretta dei popoli europei” si manifesta come particolarmente
urgente e pressante già a partire dai primi anni novanta del
secolo scorso. E ciò per un complesso concomitante di eventi
e di processi geopolitici, geoeconomici e geoculturali che
mutano profondamente l’orizzonte nel quale per tutto il
secondo dopoguerra si era sviluppata l’integrazione europea.
L’Europa comunitaria nell’epoca della guerra fredda si
‘pensava’ unificata idealmente e culturalmente come Europa
“occidentale”. Si rappresentava, insomma, come contrapposta
ad un’altra Europa, l’Europa “orientale”, unificata idealmente
e culturalmente dalla sua appartenenza all’orbita del
socialismo sovietico.
Dopo la caduta del muro, il venir meno di questo ideale e
potente fattore ‘federativo’ ha fatto venire allo scoperto una
41 F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Bari, 9° ed. “Quando
noi diciamo ‘Europa’, oggi, intendiamo alludere non soltanto
ad una certa estensione di terre, bagnate da certi mari, solcate
da certe catene montuose, sottoposte ad un certo clima etc.;
intendiamo assai più, alludere ad una certa forma di civiltà, ad
un ‘modo di essere’ che contraddistingue l’ ’Europeo’
dall’uomo di altri continenti. L’Europeo è assai più che il
‘bianco’ […] è anzitutto, soprattutto, un certo abito civile, un
certo modo di pensare e di sentire, a lui proprio e diverso”
(ivi, p. 20)
domanda politico-culturale, prima latente, di identità. Di
identità collettiva avente fondamenti propri e comuni e non
più esclusivamente ‘polemici’ (la schmittiana
contrapposizione amico/nemico).
Le classi dirigenti europee avvertono che la weberiana
necessità di un “comune sentimento d’appartenenza”, sino ad
allora rimossa dalla filosofia “funzionalista”
dell’integrazione, non può più a lungo essere elusa. La
riduzione dell’homo europeaus alla dimensione dell’homo
oeconomicus e dell’homo iuridicus (libero da appartenenze,
razionale, utilitarista e guidato solo da interessi materiali) si
manifesta nel nuovo contesto come del tutto insufficiente e
inadeguata a fronteggiare tanto le inedite sfide “esterne” della
globalizzazione e dell’allargamento42 all’“altra” Europa,
quanto le risalenti sfide “interne”, divenute ora più pressanti,
del deficit sociale, del deficit democratico e, soprattutto, del
deficit identitario.
42 Secondo B. De Giovanni, Verso una Costituzione
postnazionale?, in G. Vacca (a cura di), Dalla Convenzione
alla Costituzione, Bari, 2005, p. 21 ss., “allargamento e
Costituzione nascono insieme”, poiché “l’idea di mutare in
‘Trattato costituzionale’ i vecchi Trattati europei è certamente
nata insieme alla decisione di accogliere gli Stati dell’Europa
centro-orientale nell’Unione”.
D’altra parte, la genetica e costitutiva pluralità di culture
che compongono il mosaico del vecchio Continente continua,
a torto o a ragione, ad essere vissuta da grande parte
dell’intellighentia e dell’opinione pubblica europea come un
valore irrinunciabile. Come un ostacolo ad una “costruzione”
dell’identità collettiva fondata sui miti politico-culturali – la
nazione, il popolo la lingua, la religione.- che hanno
storicamente legittimato in Europa la nascita e il
consolidamento degli Stati territoriali nazionali.
Scartata, perciò, la strada dell’“invenzione” di una
“nazione europea”, lo sguardo si è volto, piuttosto, in
direzione della “ricostruzione” di un patrimonio giuridico in
grado di suscitare, in quanto condiviso, un habermasiano
patriottismo civico e costituzionale dei popoli europei. Un
insieme di valori fondamentali comuni da ‘riversare’ in una
vera e propria costituzione in senso formale: principi e diritti
“scritti” nelle tradizioni costituzionali dei paesi membri,
valori costitutivi e fondanti dell’ordinamento europeo, valori
cosmopolitici codificati da tempo nel diritto internazionale
sulla base di etiche pacifiste e universalistiche proprie del
pensiero europeo43.
Principi, diritti e valori investiti vissuti e rappresentati
come il fondamentale e pluralistico tessuto connettivo
dell’integrazione “identitaria” dell’Europa.
4.2. Questo ambizioso tentativo di formalizzare un
patrimonio costituzionale europeo attinge alla risalente
dialettica tra il ‘paradigma’ monistico della giurisprudenza
comunitaria e il paradigma dualista e pluralista di buona
parte dei Tribunali costituzionali dei paesi membri.
A lungo, infatti, la Corte di Giustizia ha considerato e
qualificato i trattati comunitari come la vera carta
43 Per I. Kant, Idee su einer allgemeinen Geschichte in
weltbuergerlicher absicht, trad. it., Idea per una storia
universale dal punto di vista cosmopolitico, in F. Gonnelli (a
cura di), Kant. Scritti di storia, politica e diritto, Roma-Bari,
1995) il perseguimento della pace e della sicurezza sono
l’esito di una “costituzione civile perfettamente giusta” (“eine
vollkommen gerechte buergerliche Verfassung”), di un
ordinamento politico, cioè, in grado di regolare e controllare
gli impulsi individualistici dell’uomo, sotto l’autorità morale
del diritto.
costituzionale dell’ordinamento europeo44, evocando, di fatto,
la prospettiva di una decostituzionalizzazione degli
ordinamenti statali. Di contro, le Corti Costituzionali
nazionali aderendo ad un ‘paradigma’ dualista e pluralista
hanno ‘difeso’ la persistente autonomia costituzionale degli
stati membri ed hanno, almeno implicitamente, rivendicato
una costituzionalizzazione dell’ordinamento europeo.
Sul piano strettamente giuridico-dommatico dei rapporti
tra ordinamenti, la rivendicazione dell’autonomia
costituzionale degli Stati membri è stata declinata nei termini
dell’esistenza di controlimiti “sostanziali” al primato del
diritto comunitario, diretti a preservare il proprio patrimonio
costituzionale nazionale in nome della intangibilità dei valori
44 “La Comunità europea – secondo la Corte di Giustizia
(sentenze: 23 aprile 1986, causa 294/83, Les
Verts/Parlamento, punto 23; 22 ottobre 1987, causa 314/85,
Foto-Frost, punto 16; 23 marzo 1993, causa C 314/91,
Weber/Parlamento, punto 8; parere 14 dicembre 1991, 1/91,
punto 21) - è una comunità di diritto nel senso che né gli Stati
membri né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della
conformità dei loro atti alla carta costituzionale fondamentale
costituita dal Trattato”.
“identitari” di cui i diversi ordinamenti (costituzionali
nazionali) sono custodi45.
L’emersione di un diritto costituzionale europeo
comincia a prendere forma nel momento in cui, da una parte,
le Corti costituzionali, riconoscendo il valore ‘etico’ implicito
dell’integrazione, hanno accettato che il diritto europeo
prevalesse (eccezion fatta per i principi fondamentali e
supremi), sulle norme nazionali (ivi comprese quelle di rango
costituzionale); e, dall’altra, quando la Corte di giustizia –
anche per contribuire al rafforzamento dell’autorità del diritto
comunitario - si è impegnata a garantire il rispetto dei diritti
45 Si possono portare ad esempio di quest’atteggiamento due
sentenze paradigmatiche: la decisione del Conseil
constitutionnel francese del 19 novembre 2004 e la sentenza
del Tribunal constitucional spagnolo del 13 dicembre 2004.
Entrambe, in misura diversa, rivendicano ai valori “interni” la
valenza di limiti “materiali” al diritto comunitario. Su questi
aspetti vedi A. Cantaro, Il rispetto delle funzioni essenziali
dello Stato, in S. Mangiameli (a cura di), L’ordinamento
europeo, Vol I, I principi dell’Unione, Milano 2006, 507 ss,
spec. p. 534 ss. J. Bast, The constitutional Treaty as a
reflexive Constitution, in The Unity of the european
Constitution, P. Dann, M. Rynkowski, eds., Springer, 2006,
13 ss; J.C. Piris, The Constitution for Europe. A Legal
Analysis, Cambridge, Cambridge University Press, 2007.
fondamentali e a far proprie le “tradizioni costituzionali
comuni” degli Stati membri46.
Questa integrazione giuridica bidirezionale tra
ordinamenti è, dal punto di vista politico-simbolico,
plasticamente visibile nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, per l’evidente tentativo, in essa
contenuto, di operare una sorta di osmosi tra i più significativi
principi, diritti e valori ricavabili dalle Carte Costituzionali
nazionali, dai Trattati europei, dalla giurisprudenza
comunitaria e da quella dei Tribunali costituzionali.
Nella Dichiarazione di Laeken è esplicitamente evocato
un ulteriore passaggio. La ‘proposta’ di una integrazione
giuridica tra ordinamenti, non solo “bidirezionale”, ma
“pluridirezionale”47.
A Laeken, infatti, si prefigura l’aggancio della
Costituzione europea ai valori universali “della Magna Carta,
del Bill of Rights, della rivoluzione francese e della caduta del
46 A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo,
Bologna, 2002; F. Belaguer Calderon, Le Corti costituzionali
e il processo di integrazione europea, in atti del convegno
annuale AIC 2006, La circolazione dei modelli e delle
tecniche del giudizio di costituzionalità in Europa (disponibile
sul sito www.associazioneitalianacostituzionalisti.it).
47 G. Itzcovich, Integrazione giuridica. Un’analisi concettuale,
ci., 752.
muro di Berlino”. Una internazionalizzazione
dell’ordinamento diretta a legittimare le ambizioni di
un’Europa attore globale, di un’Europa ‘cosmopolitica’ che si
candida a “svolgere un ruolo di primo piano in un nuovo
ordine planetario” ed a
“costituire nel contempo un faro per molti paesi e popoli”48.
4.3. La Costituzione europea – sebbene frutto di un
“inedito” processo costituente, disancorato da quei “miti
48 Il testo della “Dichiarazione sul futuro dell’Unione europea,
approvata dal Consiglio europeo (15-16 dicembre 2001) è
integralmente pubblicata – insieme ad altra documentazione
di rilievo – nel volume Aa. Vv. Institutional reforms in the
european Union. Memorandum for the Convention, Roma,
Europeos, 2002, pp. 225 ss. Per una valutazione delle scelte
fatte a Laeken vedi A. Pace, La dichiarazione di Laeken e il
processo costituente europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003,
p. 618 ss; C. Pinelli, Il momento della scrittura. Contributo al
dibattito sulla Costituzione europea, Bologna, 2002, pp. 209
ss.
politici” che avevano alimentato le costituzioni moderne49 -
ambiva, dunque, ad essere l’espressione giuridicamente più
elevata di una comune cultura europea. Essa si riproponeva lo
scopo di sostenere e alimentare un’identità collettiva europea
e, insieme, di preservare e rispettare le articolazioni e
specificità nazionali. Rappresentare un’Europa unita nella
diversità.
La diversità delle identità nazionali statali “insita nella
loro struttura fondamentale, politica e costituzionale” –
espressamente salvaguardata dall’art I-5 – è, infatti, nel
49 Secondo la dottrina del “costituzionalismo multilivello”,
l’integrazione europea è, infatti, fondata su un ( a dire il vero
assai improbabile e immaginario) contratto sociale europeo,
su un esercizio comune di potere costituente – via ratifica dei
Trattati e via referendaria – da parte dei Popoli degli Stati
partecipanti alla Comunità e all’Unione (I. Pernice, Multilevel
constitutionalism and the Traty of Amsterdam: European
Constitution-Making Revisited, in “Common Market Law
Review”, vol. 36, 1999, pp. 703 ss.; I. Pernice, F. Mayer, La
Costituzione integrata dell’Europa in G. Zagrebelsky (a cura
di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, cit., pp. 43 ss.;
E. Scoditti, Articolare le Costituzioni. L’Europa come
ordinamento giuridico integrato, in “Materiali per una storia
della cultura giuridica”, XXXIV, 1, 2004, pp.196 ss.) Un
fondamento “debole” di legittimazione basato su un misto di
“massimalismo giuridico - nella forma del “massimalismo
costituzionale - e di minimalismo politico” – nella forma del
minimalismo democratico (A. Cantaro, Europa sovrana La
Costituzione dell’Unione tra guerra e diritti, Bari, 2003).
Trattato costituzionale bilanciata dalla codificazione (art. I-2 e
I-3) delle “cifre identificative” (dell’ordinamento
costituzionale europeo), di una società europea fondata “sul
pluralismo, sulla non discriminazione, sulla tolleranza, sulla
giustizia, sulla solidarietà e sulla parità tra donne e uomini”.
Valori da promuovere all’esterno (art. I-3, 4 comma), non solo
come valori degli Stati membri (e, dunque, propri
dell’Unione) ma, altresì, come valori universali caratterizzanti
un dover essere dell’Unione50.
L’omogeneità intrinseca dell’ordinamento europeo era,
inoltre, alimentata da un significativo apparato simbolico
funzionale all’ identificazione dei cittadini degli Stati membri
con le istituzioni “pubbliche” europee (la bandiera, l’inno, il
motto, la giornata dell’Europa e la moneta: art. I-8) e aventi –
come enfaticamente e un po’ ingenuamente raccontava la
retorica ufficiale - l’obiettivo di ‘catturare’ gli animi dei
cittadini europei.
Ma non si trattava semplicemente di retorica.
L’accantonamento del tradizionale metodo intergovernativo di
50 Tanto più che con l’espressa adesione dell’Unione alla
Cedu (in base all’art. I-9) la Costituzione europea, che già
incorporava la Carta dei diritti, attuava un collegamento con
un più vasto ordine internazionale, quello del Consiglio
d’Europa composto da 46 Stati da Brest a Vladivostok.
revisione dei Trattati (mediante emendamenti a favore di una
Costituzione interamente sostitutiva ‘progettata’ da una
Convenzione) intendeva segnare, indubbiamente, una
rilevante cesura con il passato. Così come la netta separazione
tra le disposizioni attinenti ai principi fondamentali da quelle
più propriamente riguardanti l’organizzazione istituzionale
comunitaria e la distribuzione delle competenze era diretta a
rievocare la “tradizionale” ripartizione contenuta nelle
Costituzioni nazionali.
A ‘completare’ il quadro la formale incorporazione della
Carta dei diritti nel tessuto normativo del Trattato; l’impiego
di un lessico statuale per la definizione delle istituzioni
dell’Unione (Ministro degli Affari esteri) e dei suoi atti
normativi (legge europea, regolamento); il rafforzamento del
ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali al
fine di favorire la creazione di una dialettica interpartitica e,
conseguentemente, di un’opinione pubblica europea.
4.4. La pretesa (o, se si preferisce, la speranza) era
chiaramente quella che il corpus di simboli, diritti e di
principi fondamentali codificati nel Trattato costituzionale
potesse svolgere la funzione di sostituto funzionale dei miti
politici della nazione, del popolo, del potere costituente:
potesse colmare, insomma, il deficit democratico e il deficit
identitario dell’Europa.
L’astrattismo e il giuridicismo di questa pretesa si sono
infranti, prima ancora che nel voto referendario francese ed
olandese, nel momento in cui “i costituenti” sono stati
chiamati a dare un nome alle radici storico-culturali del
patrimonio valoriale..
Di fatto, la domanda sulle radici europee veniva, in realtà,
lasciata in sospeso già nel Preambolo costituzionale nel
momento in cui il patrimonio di “valori universali”, al quale
veniva affidata l’integrazione “identitaria” dell’Europa,
veniva genericamente ricollegato alle “eredità culturali,
religiose e umanistiche dell'Europa”.
L’asetticità della formula adottata era il segno della
straordinaria difficoltà di dare un contenuto specifico, anche
minimo, a queste eredità culturali, religiose e umanistiche.
Come è plasticamente testimoniato dal fatto che il mancato
inserimento delle formule relative al cristianesimo o ai valori
della fede veniva controbilanciato dall’esclusione dei
riferimenti alla ‘civiltà greca e romana’ e alle ‘correnti
filosofiche del secolo dei lumi’.
L’eliminazione di qualsiasi riferimento ideale ‘concreto’ e
‘sostanziale’ si è alla fine rivelata la cifra più ‘autentica’ del
Preambolo. Sulle matrici culturali effettive dei valori
universali proclamati è presto calato il silenzio51. Quel
silenzio ‘assordante’ che di lì a poco sarebbe calato su tutto il
progetto di costituzionalizzazione e, segnatamente, sulla
pretesa di consegnare tutto il peso dell’integrazione
“identitaria” dell’Europa a un catalogo di simboli, valori e
diritti, che agli occhi dei popoli europei è apparso troppo
generico, astratto e lontano. E, comunque, storicamente
inadeguato a fondare un’appartenenza condivisa ed
un”patriottismo” autentico.
La filosofia “neofunzionalista”.
L’integrazione “differenziata” e “flessibile”
5.1. Il lungo periodo “di riflessione” sembrerebbe essere
finito. Il Trattato di Lisbona,
51 A. Cantaro, C. Magnani, L’ambiguo preambolo: atto
formalmente internazionalistico dichiarazione
sostanzialmente costituzionale, in A.P. Griffi, A. Lucarelli (a
cura di), Studi sulla Costituzione europea, Napoli, 2003, pp.
65 ss.
abbandonato il progetto di “costituzionalizzazione”52 e la
relativa simbologia, si affida per rilanciare il processo
d’integrazione ad una maggiore articolazione (interna)
dell’edificio comunitario”53.
La “poesia” costituzionale cede il passo alla “prosa”
dell’efficienza delle procedure e dell’efficacia dell’azione
delle istituzioni europee, come traspare già dal nomen del
‘nuovo’ trattato intitolato al “funzionamento dell’Unione”
(TFUE). La filosofia “costituzionalista” cede il passo ad una
filosofia “neofunzionalista”, espressione di un ethos
“realista” e di un approccio “empirico”.
La cesura con il passato è assai forte e marcata più di
quanto riconosca la retorica ufficiale dei redattori del Trattato
di Lisbona e dei suoi primi commentatori. Le diverse
“filosofie” del secondo dopoguerra, che abbiamo qui passato
in rassegna, erano espressione, ciascuna a suo modo, di
un’etica dell’integrazione “unitaria” e “simmetrica”, nella
‘forma’ – come abbiamo visto - di una unificazione politico-
statuale quella “federalista”, di una armonizzazione
52 U. De Servio (a cura di), Costituzionalizzare l’Europa ieri e
oggi, cit.
53 N. Verola, L’identità europea tra eredità e progetto, cit., p.
85.
economico-giuridica quella “funzionalista”, di una
integrazione identitaria quella “costituzionalista”.
Con il Trattato di Lisbona si intendono, viceversa ,
privilegiare gli strumenti dell’integrazione “differenziata” e
“flessibile” nella convinzione (certamente autentica di alcuni
dei suoi fautori) che, nel medio periodo, non siano
necessariamente pregiudicate le finalità e le ragioni ultime
dell’integrazione “corale”.
Si immagina l’implementazione di una sorta di ‘inedito’
spillover ‘geografico’. Una determinata ‘nuova’ politica viene
intrapresa da alcuni Stati membri. Successivamente e
progressivamente gli altri Stati, sia per i legami indissolubili
tra loro esistenti (rispetto ad altre politiche comuni), sia per
l’impossibilità di separare nettamente una specifica politica
dalle altre, sono indotti, per ragioni ‘funzionali’ intrinseche,
a prendere parte al percorso intrapreso dagli altri Stati54.
54 Un esempio di questo approccio è stato il Trattato di Prüm
del 2005 in materia di cooperazione transfrontaliera nella lotta
alla criminalità. Adottato inizialmente da soli cinque stati
membri, il suo contenuto fu “recepito” successivamente nel
quadro giuridico dell’Unione per effetto della decisione del
Consiglio del 27 febbraio 2007.
5.2. Di questa filosofia dell’integrazione costituiscono un
significativo e paradigmatico ‘precedente’55 gli accordi di
Schengen sulla libera circolazione delle persone (inizialmente
firmati da parte di soli cinque Stati), la politica sociale con la
deroga concessa al Regno Unito in merito all’accordo sociale,
la deroga che ha consentito al Regno Unito e alla Danimarca
di non partecipare alla terza fase dell’Unione economica e
monetaria (prevedendosi per tali paesi regimi speciali
contenenti norme particolari applicabili solo a loro).
Dopo queste prime esperienze di cooperazione
“differenziata”, introdotte al di fuori del quadro comunitario,
il Trattato di Amsterdam ha esplicitamente proceduto, con
l’inserimento di un nuovo Titolo (il VII), alla
55 Forme di integrazione “differenziata” e “flessibile” sono,
invero, presenti nei Trattati europei fin dall’inizio. Tuttavia, i
principi di “differenziazione” e di “flessibilità” hanno avuto a
lungo il rango di principi eccezionali; il rango, cioè, di
principi derogatori al principio generale dell’“unità” e
“simmetricità” dell’ordinamento giuridico europeo. Cfr. G.
Della Cananea, Unità e avanguardie negli affari di sicurezza
interna, in S. Micossi, G.L. Tosato, a cura di, L’Unione
europea nel XXI secolo. «Nel dubbio, per l’Europa»,
Bologna, 2008; G. Tiberi, Uniti nella diversità”:
l’integrazione differenziata e le cooperazioni rafforzate
nell’Unione europea, cit. p. 287
istituzionalizzazione della cooperazione rafforzata56. Una
integrazione per cerchi concentrici tra “avanguardie” e
“retroguardie”, in base alla quale ciascuno Stato decide a
quali politiche prendere parte e da quali restare fuori e che ha
trovato un suo significativo sviluppo e consolidamento nel
Trattato di Lisbona.
L’ ‘etica’ dell’integrazione “à la carte” emerge con
particolare forza dalla rilevanza attribuita alle cooperazioni
rafforzate, per le quali è prevista una procedura istituzionale
unica, valida per tutte le materie (al di fuori di quelle oggetto
di competenza esclusiva dell’Unione). Le cooperazioni
rafforzate potranno essere avviate da nove Stati membri e a
differenza della precedente previsione definita in termini
percentuali (un terzo degli Stati), la soglia rimarrà identica
anche a seguito di ulteriori allargamenti dell'Unione (mentre
viene confermata la regola dell'apertura a tutti gli Stati che
successivamente vorranno aderire).
Il Trattato di Lisbona prevede, inoltre, attraverso un numero
particolarmente esteso di protocolli e dichiarazioni aggiunte,
numerose clausole c.d. di “opting in” e di “opting out”.
56 Vedi A. Klliker Flexibility and European Unification: The
Logic of Differentiated Integration, London, Rowman &
Littlefield, 2005; G. Gaja, La cooperazione rafforzata, in Dir
Un europea, 1996, 315 ss.
L’implementazione di interi settori delle politiche “comuni” è
così rimessa alla volontà sovrana degli Stati membri,
confermando e accentuando il “favor” per una Europa “a la
carte”.
5.3. Un'immagine che rischia di riprodursi anche sul
terreno della tutela dei diritti.
Emblematica,da questo punto di vista, è la vicenda
relativa al riconoscimento del valore giuridico della Carta di
Nizza.
In primo luogo, per la mancata incorporazione nel Trattato
di Lisbona, nel quale la Carta viene solo richiamata dall’art. 6
del NTUE con formula del tutto asettica. Una formulazione
assai distante dal pathos tradizionale delle Costituzioni
dell’Europa continentale57.
57 A compromettere la forza “cogente” generale della Carta
contribuisce la mancanza di alcuni importanti riferimenti alla
stessa nelle altre disposizioni dei due Trattati riformati. Su
queste “inquietanti lacune”, vedi O. Pollicino, V. Sciarabba,
La Carta di Nizza oggi tra “sdoganamento giurisprudenziale”
e Trattato di Lisbona, in Riv. dir pubbl. comun., 2008, p. 101
ss, spec. p. 111 ss, e nella stessa rivista E. Pagano, Dalla Carta
di Nizza alla Carta di Strasburgo dei diritti fondamentali, p.
94 ss.
In secondo luogo, per l'appannamento e la rottura della
sua “originaria” valenza “universalistica”, intaccata dalle
disposizioni finali e soggetta alle opzioni e volontà di alcuni
degli Stati membri. Il riferimento è alle esenzioni concesse al
Regno Unito e alla Polonia. Esenzioni -
dalla portata giuridica peraltro incerta58 - che potrebbero
costituire un “precedente” per ulteriori regimi speciali
concessi in deroga ad altri Stati membri.
La Carta di Nizza, negli auspici della scienza giuridica e
delle istituzioni europee, ambiva a rappresentare
simbolicamente il Bill of Rights dell’Unione europea. Nata
sotto il segno della portata “universale” dei diritti
fondamentali, individua, in via di principio, uno standard
comune di tutela dei diritti della "persona", puntando ad
estendere la propria efficacia giuridica anche al di là e 'oltre'
la cittadinanza europea (ai cittadini dei "Paesi terzi").
Tuttavia, soprattutto dopo Lisbona, la stessa Carta
potrebbe dar vita ad uno statuto dei diritti variabile in ragione
58 J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007, spec.
pp. 175-179.
(anche) del 'luogo'
nel quale viene invocata come strumento di tutela59.
5.4. Il futuro dell’Europa “asimmetrica” dipende, in realtà,
anche dai più generali assetti istituzionali prefigurati nel
Trattato di Lisbona, dall’orizzonte costituzionale nel quale
sono calate le richiamate modifiche normative in materia di
cooperazioni rafforzate e le nuove clausole à la carte60.
Un orizzonte costituzionale caratterizzato dal (possibile)
‘rafforzamento’ del principio di sussidiarietà e dal (simbolico)
‘declino’ del principio di supremazia del diritto europeo. Per
un verso l’inedito riferimento ai livelli di governo
infranazionali (contenuto nel art. 5 NTUE), legittimando la
possibilità di un intervento regionale nelle materie di
competenza non esclusiva dell’Unione, sembra rinvigorire il
“potenziale asimmetrico” insito nel principio di sussidiarietà.
59 O. Pollicino, V. Sciarabba, La Carta di Nizza oggi tra
“sdoganamento giurisprudenziale” e Trattato di Lisbona, cit.,
p. 115 s..
60 Vedi M. Fragola, Osservazioni sul Trattato di Lisbona tra
Costituzione europea e processo di
“decostituzionalizzazione”, in Dir. comun., e degli scambi
inter., 2008, n. 1, 205 ss; G. Tiberi Uniti nella diversità”:
l’integrazione differenziata e le cooperazioni rafforzate
nell’Unione europea, cit., 295. N. Verola, L’identita europea
tra eredità e progetto, cit., pp. 83 ss
Per altro verso l’indebolimento – sul piano formale - del
principio “simmetrico” del primato si presta anch’esso ad
essere interpretato come attenuazione dell’originaria
“tensione unitaria” del processo d’integrazione europea.
Anche coloro che negano la discontinuità61 del Trattato di
Lisbona rispetto al passato, denunciano il notevole
appesantimento delle regole di funzionamento dell’Unione, e
segnatamente il rinvio nel tempo - a date lontane e incerte - di
alcune importanti riforme. Quali, ad esempio, lo spostamento
al 2017 dell’introduzione del nuovo del sistema di voto in
Consiglio. O l’incertezza relativa all’effettivo superamento
61 Si è detto che sarebbe cambiata solo la forma il contenitore,
mentre la sostanza, il contenuto nelle sue linee essenziali
sarebbe identico (J. Ziller, il nuovo Trattato europeo, cit.; C.
Pinelli Il Preambolo, i valori, gli obiettivi, in Le nuove
istituzioni europee, cit., p. 57 ss.) In questo senso, la da più
parti denunciata decostituzionalizzazione del Trattato del
2004 (per tutti C. De Fiores, Il fallimento della Costituzione
europea. Note a margine del Trattato di Lisbona, in www.
costituzionalismo.it) sarebbe più apparente che reale.
Quest’ultimo trattato rappresentava, infatti, null’altro che una
formalizzazione di una Costituzione vigente e operante fin
dall’inizio e contenuta nei Trattati originari. “Alla
decostituzionalizzazione formale, corrisponderebbe, invece,
una realtà costituzionale reale: che con lo sblocco di Lisbona
si è rimessa in movimento” (A. Manzella, Un trattato
necessitato, in Le nuove istituzioni europee, cit., p. 432).
della regola che prevede che la Commissione sia composta da
un componente per Stato membro62.
A loro volta, i rilevanti poteri di blocco procedurale
attribuiti - in forma ancor maggiore rispetto al Trattato
costituzionale - ai Parlamenti nazionali, in relazione al
rispetto da parte di tutti gli atti legislativi comunitari dei
principi di sussidiarietà e proporzionalità, tendono ad
aggravare ulteriormente i rischi di una paralisi
delle procedure decisorie63. A tacere della ossessiva
reiterazione – contenuta in svariate disposizioni del Trattato
nuovo – del principio d’attribuzione, della continua
rivendicazione agli Stati membri del ruolo di “Signori dei
Trattati” 64.
62 Nel recente Consiglio europeo del 11-12 dicembre 2008 si è
deciso, al fine di indurre l’Irlanda a promuovere un altro
referendum sul Trattato di Lisbona, di adottare una decisione
che in via teorica ammette la possibilità che anche dopo il
2009 la Commissione continui a comprendere un componente
per ciascun Stato membro.
63 Per gli opportuni approfondimenti vedi L. Giannini, R.
Mastroianni, Il ruolo dei parlamenti nazionali, in Le nuove
istituzioni europee, cit., pp. 161 ss.
64 Per una articolata disamina di queste disposizioni
espressione di una “litania di affermazioni pleonastiche” vedi
J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, cit., spec. pp. 101 ss.
Tutto, insomma, tende ad avvalorare il ‘sospetto’ che le
cooperazioni rafforzate e le opzioni “à la carte”, ancor più che
meccanismi di ultima istanza (per permettere ad alcuni Stati
cooperatori di procedere in determinati settori con una
velocità più elevata rispetto al resto dei paesi membri), si
candidano a diventare, dopo Lisbona, una delle principali
manifestazioni di un ‘emergente’ diritto costituzionale
asimmetrico.65
Verso un diritto costituzionale “asimmetrico”
6.1. L’emersione di un inedito diritto costituzionale
asimmetrico è il portato di un vero e proprio “mutamento di
paradigma” del costituzionalismo europeo, al momento allo
stato latente e che, tuttavia, a noi pare compiutamente
delineato nel suo nucleo essenziale. Dal ‘classico’
paradigma dell’ “unità nella diversità” al paradigma
‘postmoderno’ della “diversità nell’unità” (recte: della
diversità nell’Unione).
Nel paradigma classico (dell’Unione) – che non a caso
costituiva uno dei simboli della ormai ‘abbandonata’
65 A. Lopez Pina, R. Miccù, La cooperazione rafforzata come
forma europea di governo. Verso un diritto costituzionale
asimmetrico?, in Diritto e cultura, n. 1-2, 2003, pp. 403 ss.
costituzione europea – l’equilibrio tra “unità” e “diversità”
si svolge nella prospettiva di un ordinamento pensato
geneticamente e strutturalmente come omogeneo. Si
riconoscono e garantiscono la diversità nei limiti di un
ordinamento ‘programmaticamente’, e in via di principio,
unitario, uniforme, corale, simmetrico (“unità nella
diversità”).
Nel paradigma ‘postmoderno’ il pendolo tra unità e
diversità si sposta a vantaggio della diversità.
L’ordinamento è pensato come geneticamente e
strutturalmente plurale, differenziato, asimmetrico
(“diversità nell’unità”).
L’emersione del paradigma può essere letta come
manifestazione di una più generale tendenza del nuovo
costituzionalismo europeo – il cosiddetto “costituzionalismo
postnazionale” – a istituzionalizzare e rendere "norma" un
generale principio di differenziazione.
Gli sviluppi ordinamentali più recenti segnalano,
infatti, una diffusione ed una crescente centralità del
paradigma “asimmetrico” nella maggior parte dei paesi
europei. Le diversità e le differenziazioni di status, in
origine limitate ed eccezionali, stanno sempre più
diventando la “regola” e la “normalità”.
Tendenze e processi analoghi hanno cominciato ad
interessare anche il quadro dei principi e delle regole del
processo d’integrazione europea a partire dalle prime
esperienze ‘pilota’ d’integrazione differenziata degli anni
novanta dello scorso secolo. Oggi più che in passato
l’originaria tensione “unitaria” e “simmetrica”
dell’integrazione viene messa in discussione da ripetute e
ormai istituzionalizzate asimmetrie “de iure” e “de facto”
tra gli Stati membri e, persino, tra i cittadini dell’Unione.
6.2. Una lettura “neutrale” e “rassicurante”
dell’integrazione “asimmetrica”, “differenziata” e “flessibile”
è quella che la rappresenta come una conseguenza logica sul
piano “sovranazionale” dell’affermazione sempre più
accentuata del costituzionalismo “asimmetrico” a livello
“nazionale”.
Il riferimento all’esistenza di asimmetrie costituzionali
è solitamente utilizzato nella letteratura specialistica per
descrivere ed analizzare il funzionamento e la logica
istituzionale degli ordinamenti federalistici ed autonomistici
a livello degli Stati nazionali. Ordinamenti, originariamente
rappresentati come ‘naturalmente’ simmetrici, vengono oggi
altrettanto ‘naturalmente’ rappresentati come asimmetrici.
Formule quali federalismo asimmetrico, regionalismo
asimmetrico, neoregionalismo asimmetrico sono ormai
entrate nel corrente lessico politico-giuridico europeo per
rappresentare le tendenze di fondo che negli ultimi decenni
caratterizzano il regionalismo in Italia, lo Stato
autonomistico in Spagna, il federalismo tedesco, il
federalismo ‘doppio’del Belgio, il regionalismo portoghese,
il decentramento francese, e così via66.
In verità, secondo questa lettura, in un primo momento
l’affermazione del paradigma asimmetrico all’interno degli
Stati membri sarebbe stato favorito dalla comune
appartenenza al contenitore dell’Unione che avrebbe
consentito di sdrammatizzare le riorganizzazioni in senso
differenziato degli ordinamenti degli Stati membri . In
tempi più recenti sarebbe, invece, il processo d’integrazione
europea a subire l’influenza del modello asimmetrico di
governance .
66 Per un quadro complessivo di questi processi vedi i
contributi contenuti in Integrazione europea e asimmetrie
regionali: modelli a confronto, G. D’Ignazio (a cura di),
Milano, 2007.
La pressante richiesta da parte delle articolazioni
territoriali degli Stati membri (in primis le Regioni) di
partecipare all’implementazione – sia in fase ascendente che
discendente - del diritto comunitario avrebbe costretto
l’Unione europea ad adottare un approccio a sua volta
differenziato e asimmetrico, che da elemento contingente
della sua organizzazione starebbe ben presto diventando un
elemento strutturale del suo ordinamento giuridico
complessivo. Come a livello degli ordinamenti dei Paesi
membri le forme asimmetriche si sarebbero fatte carico di
tenere insieme gli ordinamenti statali, valorizzando le
differenze territoriali, così sul piano europeo le forme
dell’integrazione asimmetrica favorirebbero un processo di
integrazione delle diversità economiche, sociali e territoriali
“nazionali” nel quadro unitario della costruzione europea67.
6.3. Si tendono, inoltre, ad evidenziare i vantaggi
“pratici” che le ‘forme’ del costituzionalismo asimmetrico e
67 Cfr D. Thym, “United in Diversity” – The integration of
Enhanced cooperation into the european constitutional order,
in The unity of european Constitution, cit., pp. 357 ss; G.
Rolla, Lo sviluppo del regionalismo asimmetrico e il principio
di autonomia nei nuovi sistemi costituzionali: un approccio di
diritto comparato, in Quaderni regionali, n. 1-2, 2007, pp. 387
ss.
relativi percorsi e soluzioni differenziate – le cooperazioni
rafforzate, le avanguardie – possono recare
nell’ordinamento europeo.
La scelta di differenziare tempi e modalità di adesione ha
consentito - si sottolinea – ad alcuni paesi una transizione
verso assetti ritenuti migliori,
ad altri di attendere condizioni o circostanze più opportune68.
Una prova della “ragionevolezza” del “metodo” delle
cooperazioni rafforzate è considerata la vicenda, già
segnalata, del Trattato di Schengen. Stipulato inizialmente da
cinque paesi membri è stato in seguito recepito da altri,
consentendo così di “bilanciare la libertà di circolazione delle
persone con controlli acconci” e di autorizzare deroghe “in
occasioni di particolari circostanze”. Un’ulteriore riprova
della “ragionevolezza” della filosofia delle cooperazioni
rafforzate viene rintracciata nel più recente Trattato di Prum
(del 27 maggio 2005) avente lo scopo di accrescere e
migliorare la cooperazione transfrontaliera, specie per
contrastare terrorismo, organizzazioni criminali e
immigrazione clandestina. Anche in questo caso, si osserva,
l’accordo stipulato da cinque dei paesi fondatori è aperto
68 Vedi H. Brady, An Avant-garde for Internal Security, in
CER-Bulletin, n. 44, October-November, 2005
all’adesione di tutti e non vi è motivo di escludere che alcuni
paesi seguano percorsi innovativi, sperimentino soluzioni
diverse, raggiungano intese più strette, purché non esclusive
I fautori dell’approccio “empirico” al tema dell’integrazione
“asimmetrica”, “differenziata” e “flessibile” tendono,
insomma, a sottolineare che non necessariamente questa
pregiudica nel medio periodo le finalità e le ragioni ultime
dell’integrazione “corale” e “simmetrica”. Come accade nei
sistemi nazionali di federalismo e regionalismo
“asimmetrico”, l’integrazione “differenziata” e “flessibile”
impedirebbe l’uniformizzazione tanto “verso il basso” (con
conseguenze negative per gli Stati più attivi e dinamici)
quanto “verso l’alto” (a discapito degli Stati più deboli o
ancora restii a condividere ulteriori porzioni di sovranità),
nella misura in cui agevola forme di “integrazione sempre più
stretta” tramite strumenti provvisori, aperti, non
discriminatori, incentivanti e non cogenti.
6.4. Se le pericolose tensioni centrifughe tipiche degli
ordinamenti asimmetrici possono essere contenute solo dalla
presenza di una struttura istituzionale centrale forte, c’è da
chiedersi quale effetto, nel lungo periodo, possa avere la
filosofia “asimmetrica” in una Unione europea, le cui
istituzioni, oltre a doversi ulteriormente consolidare in termini
di legittimazione democratica, sono, a loro volta, costrette a
confrontarsi con le asimmetrie sub-
nazionali diffuse nei Paesi membri69.
Poiché, come si è sottolineato, il Trattato di Lisbona
ingessa ulteriormente il funzionamento fisiologico delle
istituzioni dell’Unione europea c’è il serio pericolo che, in
mancanza di un potere “pubblico” centrale forte, l’Unione
sia incapace di controbilanciare le spinte centrifughe
connaturate all’asimmetria. Né vanno sottovalutati i riflessi
di lungo periodo sulla solidità delle istituzioni europee in
conseguenza dell’eventuale consolidarsi delle cooperazioni
rafforzate. Sulle materie che sono oggetto di cooperazione
rafforzata è, infatti, previsto che in Consiglio possano
votare solo gli Stati membri cooperatori, fermo restando la
possibilità di partecipare alle discussioni anche degli Stati
non cooperatori. Nel momento in cui dovessero aver corso
diverse cooperazioni rafforzate è ragionevole ipotizzare un
69 Vedi sul punto F. Leotta, Asimmetria e processo di
integrazione europea: soluzione transitoria o problema
definitivo?, in E. Castorina ( a cura di), Profili attuali e
prospettive di diritto costituzionale europeo, Torino, 2007,
142 ss.
ulteriore scollamento ed un’ulteriore frammentazione
interna alle stesse istituzioni europee.
Ad essere sottovalutato è, soprattutto, il rischio che un
gruppo di Stati, legati da accordi “asimmetrici”, possa
diventare “di fatto” una organizzazione alternativa rispetto a
quella comunitaria. Che gli accordi asimmetrici possano,
insomma, indebolire l’idea e l’etica integrativa, portando al
consolidamento di situazioni parcellizzate ed ‘evolvendo’ da
strumento transitorio e provvisorio in un assetto
permanente e definitivo70.
La filosofia dell’integrazione “asimmetrica” finirebbe, in tal
modo, non solo per tradire il fondamentale principio di
eguaglianza e solidarietà tra gli Stati membri, ma per
70 Come sembra paventare anche J. Ziller, op. cit., 199,
secondo il quale “solo l’esperienza ci dirà se i meccanismi
immaginati nel 2007 permetteranno davvero un’integrazione
più forte in certi settori, pur senza la partecipazione di alcuni
Stati. [...] se questi rimarranno meccanismi di applicazione
provvisoria, che permetteranno a gruppi di avanguardia di
esplorare nuove possibilità. O se questa diventerà una
provvisorietà permanente” (ivi).
determinare una differenziazione degli statuti legali
dei cittadini dell’Unione europea71.
Non va, insomma, affatto sottovalutato il pericolo che
la già difficile composizione del mosaico europeo diventi un
puzzle le cui tessere sia impossibile rimettere insieme.
6.5. Il rischio concreto è che le predette asimmetrie, sia
pur “legittimate” dalla necessità di fare andare comunque
avanti l’Unione, finiscano, in realtà, per segnare una cesura
del processo di integrazione e della sua “morfologia”
classica: introdurre una “metamorfosi” della missione
costituzionale dei Trattati originari di “una unione sempre
più stretta tra i popoli europei” e legittimare, –quel
“potenziale secessionistico” (sempre) connaturato ad un
ordinamento giuridico ancora non pienamente federalistico
quale è quello europeo.
L’emersione di un diritto costituzionale “asimmetrico”
può rappresentare a certe condizioni - il consolidamento
simbolico e politico dell’etica integrativa, del quale oggi è,
tuttavia, difficile scorgere traccia - un “rafforzatore delle
71 Cfr. il breve ma suggestivo saggio di M. Kowalsky,
Comment on Daniel Thym – United in diversity or diversified
in the Union?, in P. Dann, M. Rynkowski, eds., The unity of
european Constitution, cit.
missioni comuni”: una risposta ‘progressiva’ alle inedite
sfide che i processi di globalizzazione (e segnatamente in
Europa la sfida storica dell’allargamento ad Est) hanno
lanciato tanto al paradigma statualista classico, quanto al
tradizionale paradigma armonizzante ed unitario
dell’integrazione.
O, al contrario, rivelarsi - come già aveva intuito
Giuliano Amato – “l’alfiere populistico” di interessi
localistici: una risposta ‘regressiva’, se le diversità culturali
nazionali e sub-nazionali, piuttosto che essere integrate nel
quadro generale dell’Unione, venissero sospinte al di fuori
di essa.
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  • 1. ANTONIO CANTARO - FEDERICO LOSURDO L’INTEGRAZIONE EUROPEA DOPO IL TRATTATO DI LISBONA* Sommario: 1. Le “filosofie” dell’integrazione sovranazionale. - 2. La filosofia “federalista”. L’integrazione politico-statuale. - 3. La filosofia “funzionalista” e “comunitarista”. L’integrazione economico-giuridica. - 4. La filosofia “costituzionalista”. L’integrazione “identitaria”. - 5. La filosofia “neofunzionalista”. L’integrazione “differenziata” e “flessibile”. - 6. Verso un diritto costituzionale “asimmetrico”. Le “filosofie” dell’integrazione sovranazionale 1.1. La finalità fondamentale che informa tutti i Trattati europei, a partire da quelli originari degli anni cinquanta dello scorso secolo, è sempre stata l’integrazione sovranazionale2: * La chiave interpretativa e la struttura dello scritto sono da imputare interamente a entrambi gli autori, così come i paragrafi 1 e 6. Antonio Cantaro ha scritto i paragrafi 2 e 3. Federico Losurdo i paragrafi 4 e 5. 2 Vedi a tal proposito il recente contributo di S. Mangiameli, L’Europa sopranazionale, in P. Barcellona (a cura di), La società europea, Identità, simboli e politiche, Torino, 2009.
  • 2. l’obiettivo ‘costituzionale’3 dell’ “unione sempre più stretta fra i popoli europei” di cui parlava già il Preambolo del Trattato Cee del 1957. Anche nelle fasi storiche più difficili e contrastate della costruzione europea le classi dirigenti del vecchio continente hanno sempre esplicitamente ed enfaticamente sottolineato la natura fondante e strategica dell’obiettivo dell’integrazione politica e socio-culturale dell’Europa. L’obiettivo costituzionale dell’“unione sempre più stretta dei popoli europei” non è, almeno retoricamente, messo in discussione nemmeno quando, a partire dai primi anni novanta, l’Unione considererà altrettanto strategico l’obiettivo “di politica estera” della stabilizzazione dell’ex blocco di Varsavia: l’obiettivo dell’“allargamento” (l’integrazione orizzontale) non meno dell’obiettivo dell’”approfondimento” (l’integrazione verticale). La storia degli ultimi 15 anni è stata, anzi, letta come il tentativo di perseguire l’obiettivo dell’integrazione orizzontale (e segnatamente, dell’allargamento ai Paesi 3 N. Verola, L’integrazione europea tra allargamento e approfondimento, in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, n.1, p. 93 s.
  • 3. dell’Europa centro-orientale) senza pregiudicare l’obiettivo dell’integrazione verticale 4. E’ dunque ‘naturale’ che il Trattato di Lisbona abbia mantenuto inalterate le formulazioni a suo tempo adottate a Maastricht. Quella dell’articolo uno (“Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli europei”). Quella contenuta nel Preambolo, al primo capoverso (“Decisi a segnare una nuova tappa nel processo di integrazione intrapreso con l’istituzione della Comunità europea”) e al quattordicesimo (“In previsione degli ulteriori passi da compiere ai fini dello sviluppo dell’integrazione europea”). 1.2. La costante rappresentazione dell’integrazione quale fondamentale obiettivo strategico perseguito dai Trattati istitutivi della Comunità e dell’Unione indica inequivocabilmente la continuità dell’esperienza costituzionale europea nell’ultimo mezzo secolo5 Le cesure e le discontinuità non attengono soltanto alla “teleologia” ultima del processo di integrazione (Stato 4 Ibidem. 5 S. Mangiameli, L’esperienza costituzionale europea, Roma, 2008.
  • 4. federale, Confederazione, Unione di Stati, e così via). Altrettanto significative, e connesse alle prime, sono le cesure e le discontinuità in ordine alla “intensità” e “velocità” dell’integrazione, alla sua morfologia. Lo testimoniano le diverse, variegate, (e, talvolta, contrapposte) “filosofie” dell’integrazione che dalle origini ad oggi si sono contese il campo. A) La filosofia “federalista”: l’integrazione politico- statuale del vecchio continente, l’integrazione nella forma della “Federazione europea” ( par. 2); B) La filosofia “funzionalista” e “comunitarista”: l’integrazione economico-giuridica, l’integrazione nella forma di uno “spazio” prevalentemente di mercato retto da un “diritto comune” (par. 3); c) La filosofia “costituzionalista”: l’integrazione “identitaria”, l’integrazione nella forma di un catalogo, depositato in una higher law(“costituzione”), di principi, di diritti e valori fondamentali espressivi ed identificativi dell’identità collettiva europea (par. 4). 1.3. A quale di queste diverse “filosofie” dell’integrazione è più vicino il Trattato di Lisbona? In quali “forme”, con quale “intensità” e “velocità”, il ratificando Trattato si prefigge di
  • 5. perseguire l’ “eterna” finalità costituzionale dell’“unione sempre più stretta dei popoli europei”? A questi cruciali interrogativi la scienza giuridica europea non riesce ancora a fornire una risposta netta, nitida, a tutto tondo. E’ comprensibile. Il Trattato di Lisbona occulta e rimuove la cultura che lo sostiene in nome di un ethos ‘realista’, giustificato dalla necessità, dopo il fallimento del Trattato costituzionale, di andare avanti, comunque, nel processo d’integrazione, di uscire dalla logica considerata paralizzante del “tutti o nessuno”. Una filosofia “neofunzionalista” che segna una significativa cesura tanto rispetto al “funzionalismo” delle origini, quanto rispetto alla filosofia del dopo Maastricht e, segnatamente, rispetto alla filosofia del c. d. “quinquennio costituzionale” dell’inizio del XXI secolo (par. 5). Il Trattato ha, invero, “istituzionalizzato” e reso “norma” una “forma” dell’ integrazione, l’integrazione “differenziata”, che ‘programmaticamente’ postula la legittimità – se non proprio l’auspicabilità - di una Europa à la carte. Come è
  • 6. stato detto, “meno integrazione forzata per tutti in cambio di più flessibilità per chi ne sente il bisogno”6. Il nuovo Trattato, pur non rinnegando la finalità dell’integrazione, ne sfuma sostanzialmente il carattere di “dovere” incondizionato, collocando in un futuro variabile (e indeterminato) l’adozione da parte di tutti gli Stati membri di quelle politiche comuni in materia di governance economica, di coesione sociale, di cooperazione giudiziaria e di polizia, di politica estera e di sicurezza, che materialmente dovrebbero oggi segnare una nuova tappa nel processo di creazione di un’ “unione sempre più stretta dei popoli europei”. D’altra parte, lo stesso Trattato, con l’estesa previsione di procedure e meccanismi di cooperazione rafforzata, prefigura la legittimità e l’opportunità di scenari di più stretta e intensa integrazione tra “avanguardie” virtuose, istituzionalmente chiamate ad assolvere una funzione trainante dell’intero processo di costruzione europea7. 6 N. Verola, L’identità europea tra eredità e progetto, in F. Bassanini, G. Tiberi (a cura di), Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, 2008, p. 88 7 G. Tiberi, “Uniti nella diversità”: l’integrazione differenziata e le cooperazioni rafforzate nell’Unione europea, in Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, cit. pp. 265 ss.
  • 7. 1.4. L’istituzionalizzazione dell’integrazione “differenziata” e “flessibile” rappresenta la cifra politico-giuridica più significativa ed autentica del Trattato di Lisbona. Unità (uniformità) e diversità (differenziazione), continuano a sostenere i fautori del costituzionalismo multilivello e della continuità del nuovo trattato con il “Trattato costituzionale”. Ma è proprio così? In realtà, l’istituzionalizzazione dell’integrazione “differenziata” e “flessibile” introduce una cesura profonda rispetto alle “filosofie dell’integrazione” a lungo prevalenti nel secondo dopoguerra. Lungi dal rappresentare una forma di integrazione “morbida”, come generalmente sostengono i suoi più convinti sostenitori, l’integrazione “differenziata” potrebbe rilevarsi una forma particolarmente “dura” d’integrazione. Essa, invero, incrina, almeno simbolicamente, il “dogma dell’unità” dell’ordinamento comunitario che ha caratterizzato per quasi mezzo secolo il “discorso giuridico europeo”. Prefigura la costituzione in “foro separato” delle avanguardie “lungimiranti”. Legittima, di fatto, distinzioni fra nazioni di “serie a”, di “serie b”, di “serie c” che virtualmente contraddicono la sostanza dei principi di eguaglianza e di solidarietà tra gli Stati membri.
  • 8. Insomma, “diversi nell’Unione”, capovolgendo quello che fu il motto del Trattato costituzionale (“uniti nella diversità”). Se così fosse assisteremo, presto o tardi, all’emersione di un “diritto costituzionale asimmetrico” (par. 6). E gli interrogativi, con i quali Giuliano Amato nel 2005 concludeva a Catania il Convegno annuale dei costituzionalisti italiani, assumerebbero un carattere di stringente attualità politico- costituzionale. “Qual è il rapporto tra unità e diversità, che rende o mantiene funzionale la loro coesistenza? C’è un minimo di unità al di sotto della quale il procedere delle diversità fa collassare l’insieme? E al crescere delle diversità non è conseguentemente essenziale far crescere il tasso d’unità […]?8” 8 G. Amato, Intervento conclusivo al Convegno annuale dei costituzionalisti italiani L’integrazione dei sistemi costituzionali europeo e nazionali, tenutosi a Catania il 14-15 ottobre 2005, disponibile sul sito www. associazionedeicostituzionalisti.it.
  • 9. La filosofia “federalista”. L’integrazione politico-statuale 2.1. Per tutto il secondo dopoguerra, praticamente sino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, il “discorso” politico, giuridico e costituzionale sull’Europa è stato largamente egemonizzato da due grandi “filosofie” dell’integrazione, apparentemente del tutto antitetiche e inconciliabili. La filosofia “federalista” e la filosofia “funzionalista”. La filosofia “federalista” dell’integrazione affonda le sue origini nei movimenti di resistenza della seconda guerra mondiale come risposta ideale e contraria all’“unificazione nazista dell’Europa”9. Laddove, infatti, questa predicava e praticava una “unificazione” imperialistica e militare fondata sull’espansione della sovranità nazionale dello Stato più forte che limitava o eliminava la sovranità degli Stati assoggettati, la filosofia “federalista” predicava l’ideale di una “unificazione” pacifica fondata sulla limitazione volontaria 9 M. Sassatelli, Identità, cultura, Europa. Le “Città europee della cultura”, Milano, 2005, p. 47. Più analiticamente sul contributo dei movimenti federalisti vedi il saggio di D. Preda, Dalla parte dell’“iniziativa”:il ruolo dei movimenti nel processo di unificazione europea, in Idee d'Europa e integrazione europea, in A. Landuyt. (a cura di ), Bologna, 2004, pp. 505 ss.
  • 10. della singole sovranità che avrebbero delegato un numero crescente di poteri ad una entità sovranazionale All’unificazione imperialistica e militare dei totalitarismi europei, i movimenti federalisti del novecento contrapponevano, in sostanza, la concezione ereditata dalla tradizione federalista classica (Kant, Hamilton) di una entità sovranazionale (una federazione) democratica e pacifista.10 Questo ideale sarà condiviso anche da diversi funzionalisti, tra i quali alcuni “padri fondatori” della Comunità europea11. Lo specifico dei movimenti ‘federalisti’ è che questi affidavano il perseguimento dell’ “unificazione” pacifica ad una azione politica immediata ed esplicitamente diretta – nelle parole di Altiero Spinelli – a promuovere e ad “imporre la creazione di istituti federali europei”12. 10 Per più ampi riferimenti vedi il volume di U. Campagnolo, Verso una costituzione federale per l’Europa. Una proposta inedita del 1943, in M. G. Losano (a cura di), Milano, 2003. 11 In tal senso vedi tutta la storiografia sul processo di integrazione europea. Indicazioni preziose con riferimenti diretti alle fonti nella rassegna curata da E. Colombo, Europa e culture nazionali: i Trattati istitutivi, in G. Bonacchi (a cura di), Una Costituzione senza Stato, Bologna, 2001, pp. 239 ss. 12 A. Spinelli, Sviluppo del moto per l’unità europea dopo la II guerra mondiale, in G. Haines (a cura di), L’integrazione europea, Bologna, 1957, p. 82.
  • 11. 2.2. La filosofia “federalista” affidava, insomma, la finalità dell’ “unione sempre più stretta dei popoli europei” ad una ‘strumentazione’ dichiaratamente e classicamente politico-democratica e politico-costituzionale. Laddove, viceversa, la filosofia “funzionalista” si affidava ad una ‘strumentazione’ prevalentemente empirica e incrementale13, concentrata soprattutto sugli “obiettivi intermedi” – all’inizio il “mercato comune”, poi il “mercato unico”, infine la “moneta unica” - del processo di integrazione. 13 Per più ampi svolgimenti e riferimenti, anche bibliografici, vedi A. Cantaro, La disputa sulla Costituzione europea, in Aa. Vv., Verso la Costituzione europea, Milano, 2003, pp. 29 ss.
  • 12. A differenza, cioè, dell’ “europeismo comunitarista”, per l’“europeismo federalista”14 l’integrazione sovranazionale andava perseguita tramite un cambiamento radicale della storia europea. Un cambiamento affidato ad un esplicito atto fondativo di un “potere costituente” popolare e transnazionale che “de iure” e “de facto” avrebbe proceduto ad una 14 Le due grandi filosofie e famiglie politico-culturali europee che predicano l’integrazione sovranazionale vengono qui qualificate “europeismo comunitarista” ed “europeismo federalista”. Questa denominazione è frutto di una ‘libera’ interpretazione del bel saggio di J.H.H. Weiler, Gli ideali dell’integrazione europea, in B. Beutler, R. Bieber, J. Pipkorn, J. Streil, J.H.H. Weiler, L’Unione europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, Bologna, 1998, pp. 22 ss.. Pur nelle profonde differenze in ordine a quale debba essere la “morfologia” del processo di integrazione, l’“europeismo comunitarista” e l’“europeismo federalista” condividono (v. infra nel testo) la “meta finale” della Federazione europea. Da questo punto di vista, entrambi si contrappongono radicalmente a quegli approcci, quali il realismo e l’intergovernativismo, che rifiutano l’idea della rinuncia – graduale o meno che sia – alla sovranità da parte degli stati nazionali (S. George, Politics and policy in the european Community, Oxford, Clarendon, 1985) e auspicano – posizione condivisa ancora oggi da un ampio fronte “eurotiepido” di stati membri - che l’Unione funzioni come una sorta di “hub” di coordinamento delle politiche nazionali dedito ad assicurare il corretto funzionamento del mercato unico (N.Verola, L’identità europea tra eredità e progetto, cit., p. 78).
  • 13. espropriazione coattiva della sovranità dei vecchi Stati nazionali europei a vantaggio di una inedita sovranità europea15. Il modello ideale dell’“europeismo federalista” era, in altri termini, quello americano della Convenzione costituzionale e di una trasformazione rivoluzionaria ed istantanea16. La creazione di un organismo sovranazionale - una Federazione europea, uno Stato europeo – al quale gli Stati avrebbero “delegato” ampie porzioni dei loro poteri in settori strategici e fondamentali della sovranità, quali la politica estera, la difesa, la politica economica. L’integrazione come “unificazione” politico- statale; come reductio ad unum di quella pluralità di Stati sovrani che tutta una secolare ed autorevolissima tradizione di pensiero giuridico-politico aveva considerato costitutiva e 15 D. Preda, Dalla parte dell’ “iniziativa”: il ruolo dei movimenti nel processo di unificazione europea, cit. 16 M. Cartabia J.H.H. Weiler, L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, p. 19. Uno stimolante confronto, in chiave storica, tra la vicenda costituzionale americana e la vicenda ‘costituzionale’ europea è contenuta nel saggio di L. Siendtop, La democrazia in Europa, Torino, 2001.
  • 14. coessenziale della “costituzione materiale” dell’Europa, ancor prima che dell’ “idea” di Europa17. Se volessimo fissare in una formula – in un motto - la filosofia “federalista” dell’integrazione europea, questa suonerebbe pressappoco così: “unità dalla diversità”, dove l’unità costituisce l’istanza qualitativamente superiore alle diversità che concorrono a formarla18. Insomma, dalla “vecchia” Europa degli Stati nazionali a un “moderno” Stato federale: uno Stato vissuto e rappresentato come la concretizzazione di una preesistente unità culturale e spirituale dell’Europa, come la “forma” politico- costituzionale che ne incarna il “destino comune”. 2.3. L’integrazione europea non ha seguito le vie immaginate dal “federalismo rivoluzionario” del Novecento. Nella realtà del secondo dopoguerra il passaggio dalla teoria federalista alla pratica politica presentava una duplice frattura. Con la divisione dell’Europa in due blocchi, la futura federazione europea poteva riguardare soltanto l’Europa 17 Per più ampi svolgimenti vedi A. Cantaro, Presentazione a G. Foglio, Theatrum imperii. La sovranità e la genealogia dell’Europa, Roma, 2008. 18 M. Sassatelli, Identità, cultura, Europa. Le “Città europee della cultura” cit., p. 58.
  • 15. occidentale e filoamericana, escludendo così quell’area centro-europea che tradizionalmente aveva sempre fatto parte della civiltà europea. Inoltre, all’interno dei singoli Stati dell’Europa occidentale, il consenso politico per i piani federativi europei era debole a causa degli avversari di destra (sostenitori della sovranità nazionale) e di sinistra: (in particolare i partiti comunisti) non favorevoli a una integrazione europea intesa come baluardo antisovietico (come, in effetti, la prefiguravano gli Stati Uniti che, dopo l’avvento della guerra fredda, erano diventati ferventi sostenitori del progetto federalista)19. Durante tutto l’arco della guerra fredda la proposta politico-costituzionale federalista è tornata, perciò, ad essere prevalentemente oggetto del dibattito teorico fra pochi illuminati, senza esercitare alcuna effettiva influenza sulle politiche nazionali degli Stati membri e sulla politica europea nel suo complesso. La storia dei primi cinquanta anni di integrazione europea si è svolta, come ha riconosciuto Joschka Fischer in un celebre discorso pronunciato il 12 maggio 2000 19 M. G. Losano, Una carta fondamentale per l’Unione Europea: costituzione o trattato?, Venezia, 2005, in www. societaeuropeacultura.it
  • 16. all’università Humboldt di Berlino20, seguendo percorsi e paradigmi assai più vicini a quelli prefigurati dall’ “europeismo comunitarista”. Anche per questa ragione Fischer, pur prefigurando un compiuto disegno federale (lontano da ogni tentativo di rinazionalizzazione delle politiche comunitarie), si mostrava nel suo “discorso” assai attento a non riproporre sic et simpliciter i temi del “federalismo rivoluzionario”. Consapevole dei limiti della visione “rivoluzionaria” “vetero-federalista” e, segnatamente, del rischio che ancora una volta si perpetuasse l’immagine di un federalismo giacobino, centralizzatore, superstatalista. La nuova entità federale, si premurava di precisare l’allora ministro degli esteri della Repubblica federale tedesca, non deve sorgere “in uno spazio politico vuoto”. Gli Stati nazionali non vanno “spazzati via con il pensiero” e loro istituzioni non vanno svalutate. Il “nuovo sovrano” non deve nascere da una esplicita espropriazione della sovranità degli Stati membri, ma da una nuova ripartizione dei poteri e delle competenze tra gli Stati membri e la federazione europea, stabilendo esattamente 20 J. Fischer, Dall’Unione di Stati alla federazione. Riflessioni sulle finalità dell’integrazione europea, in Rivista di studi di politica internazionale, n. 268, ottobre-dicembre 2000, pp. 603 ss.
  • 17. “cosa dovrà essere regolato europeamente e che cosa dovrà essere disciplinato, anche in futuro, nazionalmente”. Il perseguimento di questo obiettivo va affidato – concludeva Fischer - ad un “Trattato costituzionale” che sorga da “un consapevole atto politico ricostituivo dell’Europa”: da una sua “rifondazione costituzionale” che sancisca “il passaggio da un’Unione di Stati alla completa parlamentarizzazione in una federazione europea”, con un “Parlamento europeo e un governo europeo che eserciti, effettivamente, il potere legislativo ed esecutivo all’interno della Federazione”. 2.4. La riattualizzazione dell’idea della Federazione europea proposta da Fischer, di certo politicamente più prudente nei toni e costituzionalmente meno statual- sovranista del “federalismo rivoluzionario”, non si discosta, tuttavia, radicalmente dalla classica filosofia “federalista” che ha sempre pensato l’integrazione come un processo di “unificazione” politico-statuale. Un processo legittimato da una “costituzione progetto”, da una “decisione fondamentale” sull’unità politica dell’Europa deliberata da un organismo
  • 18. direttamente rappresentativo della volontà costituente del popolo europeo21. Così, malgrado la proposta di Fischer non sia stata criticata frontalmente, non sono mancate nelle solenni prese di posizione delle più autorevoli personalità politiche europee dell’epoca (tedesche, francesi, britanniche, italiane22), significativi distinguo diretti, con tutta evidenza, a raffreddare la nettezza del percorso costituzionale prefigurato dal “federalista” Fischer. A prendere le distanze dalla nettezza 21 Una buona base per inquadrare la proposta costituzionale del federalismo europeo sono i saggi contenuti in U. De Servio (a cura di), Costituzionalizzare l’Europa ieri e oggi, Bologna, 2001. 22 Per una prima ricostruzione dei termini del dibattito seguito al discorso di J. Fischer vedi E. Scoditti. La Costituzione senza popolo, Unione europea e nazioni, Bari, 2001, pp. 47- 54; L. Violini, La Costituzione europea tra passato e presente, in U. De Servio (a cura di) Costituzionalizzare L’Europa, cit., p. 71 ss.; B. De Giovanni, L’ambigua potenza dell’Europa, Napoli, 2002.
  • 19. delle “riflessioni” di Fischer “sulle finalità dell’integrazione europea”, sul suo approdo finale (la Federazione europea)23. Con diversità di motivi e di accenti in queste diverse prese di posizione veniva puntualizzato che la futura Federazione non andava intesa come riproposizione di un super-stato europeo. Una precisazione – esplicitamente contenuta anche nella comunicazione del 22 maggio 2002 della Commissione europea24 - diretta con tutta evidenza a sottolineare che il “processo costituente” che si stava aprendo non era diretto a realizzare un passaggio di sovranità dagli 23 Di particolare rilievo il discorso del 27 giugno 2000 di Jacques Chirac al Bundestag e quello di Carlo Azelio Ciampi del 6 luglio a Lipsia, in occasione del conferimento della laurea Honoris causa di tale Università (in C.A. Ciampi, Verso una costituzione europea. 1999-2000, Roma, Presidenza della Repubblica italiana, 2000, pp. 49 ss.). Ma si vedano anche gli scritti di Giuliano Amato, Carlo Azelio Ciampi, Lionel Jiospin, Johamas Rau, pubblicati in Aspenia, n. 14-15, 2001, pp. 8 ss. 24 COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Un progetto per l’ Unione Europea, Bruxelles, 22 maggio 2002, “I cittadini, pur mostrandosi generalmente ‘desiderosi’ d’Europa, vogliono comprendere meglio l’integrazione europea(…). Vogliono più chiarezza, più controllo democratico, chiedono un’Unione che rispetti le identità nazionali, un’Unione che incoraggi e protegga, una forma superiore d’organizzazione ben distante dal mito del superstato”.
  • 20. stati verso le istituzioni sovranazionali, un trasferimento della sovranità verso l’alto. Interprete di questa preoccupazione è, in particolare, la formula “Federazione di stati nazione”, originariamente coniata da Jacques Delors e prontamente ripresa in questa fase da tanti leaders europei. Una ‘declinazione’ della filosofia federalista dell’integrazione sensibile alle diffidenze francesi verso un modello – La Federazione europea – che appariva troppo ritagliato sull’architettura istituzionale tedesca e, comunque, assai distante dalla tradizione gollista dell’ Europe des nations25. Se la Federazione europea allude più chiaramente ad un’Europa come soggetto politico sovranazionale, la formula della “Federazione di stati nazione” appare più attenta a “conciliare sviluppi in senso federale e difesa delle identità nazionali”26. E prefigura una permanente tensione tra organi degli stati e organi dell’Unione, specialmente in coloro che hanno introdotto l’ulteriore variante della “federazione di stati sovrani”, rivolta a sottolineare ancor più enfaticamente 25 In questo senso vedi L. Jospin, Il futuro dell’Unione allargata, in Aspenia, n.14-15, 2001, in particolare p. 29. 26 A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, Bologna, 2001, p. 77.
  • 21. l’esigenza di una soluzione al problema dell’identità costituzionale europea assai rispettosa del tradizionale assetto statualistico del continente. La filosofia “funzionalista” e “comunitarista”. L’integrazione economico-giuridica 3.1. La diffidenza nei confronti della filosofia “federalista” dell’integrazione è risalente e di tale diffidenza è stata a lungo interprete, implicitamente ed esplicitamente, la filosofia “funzionalista”: la filosofia dell’integrazione per settori funzionali di Jean Monnet. La filosofia “funzionalista”, al contrario di quella “federalista”, ha, infatti, sempre volutamente lasciato sullo sfondo – in un orizzonte di tipo metapolitico – la questione dell’approccio costituzionale del processo d’integrazione europea, delle sue implicazioni istituzionali a lungo termine. I padri fondatori dell’Europa comunitaria e i fautori del funzionalismo di matrice monnetiana condividevano con l’ “europeismo federalista” (con la filosofia “federalista”) la “metà finale” della “Federazione”. Solo che la Federazione alla quale essi pensavano non prefigurava alcuna costruzione costituzional-statale (una “Federazione senza Stato”) e la sua
  • 22. realizzazione era affidata a tempi lunghi, ad un percorso graduale, empirico, incrementale. La fiducia che la filosofia “funzionalista” dell’integrazione riponeva sul metodo gradualista e incrementale era, innanzitutto, dettata – come ha ancora di recente ricordato Nicola Verola - da ragioni di prudenza politica. La “messa tra parentesi” degli scopi ultimi del processo di integrazione e la contestuale enfatizzazione degli “obiettivi intermedi” puntava a far sì – cosa che si è a lungo avverata - che gli Stati membri potessero condividere le stesse decisioni, dando però loro una interpretazione diversa: “tappe di avvicinamento” all’obiettivo della federazione europea, per alcuni; scelte di efficienza e migliorie della collaborazione intra-europea, per altri. Senza il rassicurante “velo di ignoranza” circa le finalità ultime del processo di integrazione, sarebbe stato difficile ottenere l’adesione al progetto di molti degli attuali Stati membri. L’enfasi sui guadagni materiali immediati e concretamente perseguibili ha consentito di far convergere gli Stati membri su impegnative scelte integrative riducendo al minimo le tensioni politiche tra loro27. 27 N. Verola, L’identità europea tra eredità e progetto p. 78 s.
  • 23. Ma non si trattava soltanto di lungimiranza politica. La filosofia “funzionalista” dell’integrazione si fondava, in realtà, sull’assunto teorico - largamente inedito per la tradizione giuridica europea e, tuttavia, rivelatosi assai perspicuo e vitale - che “l’autorità si possa collegare ad una attività o funzione e non solo a un territorio” e che la pace sul continente europeo poteva essere “perseguita moltiplicando i soggetti autorevoli su specifiche materie, o meglio su settori funzionali, ponendo così fine al monopolio statale della sovranità”28. “L’Europa – è scritto nella celebre Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, una sorta di ‘manifesto costituzionale’ dell’etica processuale dell’integrazione - non 28 M. Sassatelli, Identità, cultura, Europa. Le “Città europee della cultura”, cit., p. 48 che richiama, in proposito l’opera pionieristica del 1943 – A Working Peace System- del padre del funzionalismo, il rumeno D. Mitrany. Successivamente il funzionalismo viene riveduto e corretto (si parla nella letteratura specialistica di neofunzionalismo) dallo statunitense E. B. Haas, (The Uniting of Europe, Stanford, 1958; Beyond the Nation State: functionalism and international organization, Stanford, 1964) che lo applica al suo studio della Ceca. L’opera di Haas ottiene molto successo e viene imitata da molti altri per interpretare lo sviluppo successivo delle istituzioni europee (vedi in particolare L. Lindberg, The Political Dynamics of european economic integration, Stanford, 1963)
  • 24. potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto […]”. Infatti, “La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico”, mentre l’istituzione di un’“Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace”29. 3.2. La CECA (Comunità economica del carbone e dell’acciaio e la CEE (Comunità economica europea) portano impresso nel loro stesso nomen la filosofia “funzionalista”. Una “teoria” ed una “narrazione” dell’Europa contemporanea che sono anche, e indissolubilmente, una “ricetta” per l’integrazione europea. Il postulato del funzionalismo sociologico americano dominante negli anni nei quali vedono la luce i primi Trattati europei – l’integrazione come processo evolutivo e non problematico, teleologicamente orientato ad armonizzare sempre più settori o sottosistemi sino a creare un tutto 29 Uno stralcio praticamente completo della Dichiarazione Schuman è contenuto in M. Cartabia, J.H.H. Weiler, L’Italia in Europa, cit., p. 19 ss.
  • 25. coerente - si incarna concretamente nella ‘pratica’ dell’integrazione europea attraverso l’armonizzazione economica. Questa è, infatti, rappresentata come la prima pietra (“il primo passo”) dell’“unione sempre più stretta dei popoli europei” alla quale si sarebbe un giorno pervenuti “del tutto naturalmente”. Secondo questo postulato, noto con il nome di spillover (spillover funzionale, spillover politico), l’integrazione di un certo settore economico (all’origine la fusione della produzione del carbone e dell’acciaio, poi la realizzazione di un’area di libero scambio) determina la necessità, a causa dei legami esistenti tra i diversi settori, di un’ulteriore cooperazione in ambiti inizialmente non previsti (ad esempio, nel settore dei trasporti). L’impossibilità ‘tecnica’ di isolare un settore dall’altro genera, insomma, pressioni ad estendere la cooperazione da un settore all’altro, rendendo “automatico” ed “autopropulsivo” il processo di integrazione. Gli sviluppi concreti del processo di integrazione europea hanno a lungo ‘confermato’, a dispetto della loro accentuata natura deterministica, le predizioni del postulato funzionalista. Adottato sin dai primi trattati, il meccanismo dello spillover sembra raggiungere il suo apice e, in un certo
  • 26. senso, il suo ‘compimento’ con il Trattato di Maastricht del 1992. La nascita dell’unione economica e monetaria e poi l’introduzione della moneta unica vengono, infatti, lette e rappresentate dalla filosofia “funzionalista” come una conseguenza naturale del mercato unico, della ineluttabile “necessità” di disporre, in un mercato ormai completamente unificato, di un solo mezzo di pagamento. 3.3. In realtà, gli sviluppi e i successi dell’integrazione europea sino alla fine degli anni ottanta non vanno imputati esclusivamente al postulato “funzionalista” della progressiva e irresistibile armonizzazione economica; ma, altresì, all’altrettanto fondamentale postulato ‘comunitarista’ della necessaria “integrazione giuridica” (Rechtsintegration, Intégration juridique, legal integration, integracìon jurìdica) fra gli ordinamenti degli Stati membri30. La costruzione di un “diritto comune europeo” si è, invero, rilevata sin da subito una condizione necessaria e uno strumento imprescindibile per la realizzazione 30 G. Itzcovich, Integrazione giuridica. Un’analisi concettuale, in Dir. pubbl., n. 3, 2005, pp. 749 ss, che giustamente richiama gli studi ‘pionieristici di P. Pescatore, The law of integration, A.W. Sijthoff, Leiden, 1974 e di H.P. Ipsen, Europaeisches Gemeinschaftsrecht, Tubingen, Mohr, 1972.
  • 27. dell’integrazione economica. L’integrazione economica è stata ‘decisa’ politicamente31, omogeneizzando e armonizzando, secondo un moto che è apparso sino a qualche tempo fa irresistibile, gli ordinamenti degli stati membri secondo le prescrizioni delle norme giuridiche sopranazionali emanate dalle istituzioni comunitarie (il “diritto comunitario”). Non a caso una delle più risalenti, ma anche preveggenti definizioni dell’allora Comunità economica europea – ha ricordato Mario Chiti in un suo recente scritto32 – è quella di “Comunità di diritto”. L’autore della definizione (Walter Hallstein, che ne fece uso nel 1965 in un dibattito al Parlamento europeo) intendeva in tal modo riprendere il succo della nozione del Rechtsstaatprinzip, applicandolo al nuovo potere pubblico da poco instaurato, ma anche sottolineare il ruolo fondamentale, senza precedenti, del diritto quale architrave della Cee. La Comunità non era, e 31 A. Sandulli, La scienza italiana del diritto pubblico e l’integrazione europea, in Riv. italiana dir. pubbl. comunitario, 2005, p. 860 s. 32 M.P. Chiti, Dalla “Comunità di diritto“ all’Unione dei diritti, in S. Micossi, G.L. Tosato (a cura di), L’Unione europea nel XXI secolo. “Nel dubbio per l’Europa”. Bologna, 2008, pp. 259 ss.
  • 28. tuttora non è, dotata di un proprio potere coercitivo: “il diritto che essa crea – si è detto, con felice e fulminante espressione– è la sola sua forza”33. Integrazione economico-giuridica senza Stato. La più plateale cesura rispetto ai postulati del giuspositivismo statalista entro cui per secoli era vissuta la scienza giuridica europea, ma anche la più plateale smentita di uno dei più ideologici ‘dogmi’ del “federalismo rivoluzionario”: il dogma dell’integrazione statale su scala europea come condizione necessaria e imprescindibile dell’integrazione economico- giuridica. Questa radicata convinzione farà dire ad Altiero Spinelli che il mercato comune era da considerarsi “una beffa”, perché “s’indicavano obiettivi ambiziosi, ma impossibili a realizzarsi senza un Governo europeo”. E a Mario Albertini che si trattava comunque di una scommessa persa in partenza: “Avevamo imparato da Lionel Robbins e da Luigi Einaudi che per avere un mercato comune su un’area pluristatale bisogna istituire una federazione. Ora i nostri governi ci insegnano il contrario. Dietro ogni unificazione vi è sempre 33 S.U. Louis, L’ordinamento giuridico comunitario, Commissione delle Comunità europee, Bruxelles- Luxembourg, 1989, pp. 43 ss.
  • 29. stato un potere politico e, quando limitate unificazioni hanno coperto aree pluristatali non federali, v’è sempre stato uno Stato molto forte capace di imporre una condotta comune agli altri Stati. Dietro il mercato comune europeo non c’è né l’una né l’altra cosa. Quindi la previsione che non si realizzerà non è né massimalista, né intransigente, ma semplicemente scientifica”. 3.4. Come sappiamo, non è andata così. Il successo dei postulati ‘funzionalisti’ e ‘comunitaristi’ è stato tutt’altro che effimero. L’idea della Comunità di diritto – una Comunità non politica, da “Stato giurisdizionale”; così Carl Schmitt aveva a suo tempo definito l’idea di ascendenza savignyana e gierkiana di “comunità di diritto”34 - sottostà alla giurisprudenza costituzionale della Corte di Giustizia degli anni sessanta dello scorso secolo e poi in modo esplicito a quella degli anni ottanta. La Comunità economica è diventata realmente una “comunità di diritto”. Una Comunità fondata sul diritto dei trattati istitutivi e che, pur agendo senza disporre direttamente 34 C. Schmitt, Legalità e legittimità (1932), in ID., Le categorie del ’politico’, Bologna, 1972, pp. 216 ss.
  • 30. della coazione, garantisce il rispetto dei principi fondamentali dello Stato di diritto, primo fra tutti la subordinazione dei pubblici poteri, sia comunitari, sia nazionali, a un “diritto comune”. Un diritto che si impone per forza sua in quanto, appunto, “comune”. Poiché se la sua efficacia – come è scritto già nella celebre sentenza Costa c. Enel del 1964 – “variasse da uno stato all’altro (…), ciò metterebbe in pericolo l’attuazione degli scopi del Trattato (…) e causerebbe una discriminazione vietata dall’art. 7”. Da qui il “dogma politico” dell’ acquis communautaire, il “dogma” che ‘prescrive’ l’inderogabile accettazione da parte dei nuovi stati membri del diritto comune esistente. Da qui il “dogma giuridico” della supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale, anche di rango costituzionale. L’integrazione economico-giuridica ‘funzionalista’ e ‘comunitarista’ non è, insomma, un’integrazione qualsiasi. E’ integrazione monodirezionale: è “integrazione del diritto comunitario negli ordinamenti giuridico statali”. E’ vero che nel discorso ‘funzionalista’ e ‘comunitarista’ l’integrazione monodirezionale del diritto comunitario è un
  • 31. processo ‘pacifico’ e graduale. Un processo che, proprio perché graduale, non avviene secondo i paradigmi noti al diritto internazionale e alla teoria dell’ordinamento giuridico otto-novecenteschi dell’unificazione tout court e della brusca interruzione della validità-effettività di uno degli ordinamenti che si “integra”(successione fra Stati, incorporazione a seguito di annessione territoriale, atti di capitolazione o sottomissione, istituzione di uno Stato federale e così via)35. L’Europa “funzionalista” e “comunitarista” - per dirla con le parole di Tommaso Padoa Schioppa - è una “forza gentile”36, il cui potere si fonda esclusivamente sull’adesione volontaria e sulla condivisione della nuova “sovranità sovranazionale”37. Nondimeno, la “morfologia”, se guardiamo agli effetti ‘sostanziali’ e finali, è monodirezionale quanto quella otto- novecentesca. Finché, infatti, il processo d’integrazione economico-giuridica procede, esso muove in direzione di un unico ordinamento giuridico – l’ordinamento comune, – fondato su un proprio diritto, il “diritto comunitario”. Il quadro comincia a mutare sensibilmente quando l’integrazione giuridica da monodirezionale diventa 35 G. Itzcovich, Integrazione giuridica, cit., p. 759. 36 T. Padoa Schioppa, L’Europa, forza gentile, Bologna, 2001. 37 M. P. Chiti; Dalla Comunità di diritto, cit., p. 260.
  • 32. integrazione bidirezionale. Quando non solo il diritto comunitario si integra negli ordinamenti statali, ma anche il diritto costituzionale statale si integra nel diritto comunitario, ‘costringendo’ questo ad aprirsi ai principi delle “tradizioni costituzionali comuni degli stati membri”38 (la filosofia “costituzionalista dell’integrazione”: vedi infra par. 4). E quando, con il Trattato di Maastricht, l’integrazione “funzionalista” e “comunitarista”- giunta al suo “apice” e al suo “compimento”- mostra il suo principale limite teorico e culturale: l’aver geneticamente rimosso dal suo orizzonte di senso le questioni dell’appartenenza e dell’identità collettiva europea che un variegato complesso di culture cominciano sempre più insistentemente a considerare essere una dimensione precedente alla costituzione degli interessi economici e sociali39 (l’ “integrazione identitaria”). La filosofia “costituzionalista”. L’integrazione “identitaria” 4.1. La filosofia “costituzionalista” dell’integrazione ha il suo apice nel c.d. “quinquennio costituzionale”. Nel 38 G. Itzcovich, Integrazione giuridica, cit., p. 751 39 M. Sassatelli, Identità, cultura, Europa. Le “Città europee della cultura”, cit., p. 50.
  • 33. quinquennio, cioè, che si apre nel 2000 a Nizza con la proclamazione della Carta dei Diritti fondamentali, prosegue con la Dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione e ‘tramonta’ nel 2005 con la mancata ratifica francese e olandese del Trattato costituzionale. E’ questa, indubbiamente, la fase nella quale il ‘discorso’ politico europeo appare più intimamente ed indissolubilmente legato al ‘discorso’ sull’identità europea40. Il precipitato di questa fase è, come è noto, il Trattato costituzionale: il tentativo più maturo e consapevole di tenere assieme la molteplicità delle tradizioni culturali e giuridiche nazionali ed europee nella cornice legittimante e integrante di una Carta fondamentale intesa come un catalogo di principi, valori, diritti, obiettivi espressivi dell’identità collettiva del Continente. 40 P. Rossi, Identità dell’Europa, Bologna, 2007.
  • 34. La domanda e la ricerca41 di un fattore identitario al quale ‘affidare’ la missione di rafforzare l’“unione sempre più stretta dei popoli europei” si manifesta come particolarmente urgente e pressante già a partire dai primi anni novanta del secolo scorso. E ciò per un complesso concomitante di eventi e di processi geopolitici, geoeconomici e geoculturali che mutano profondamente l’orizzonte nel quale per tutto il secondo dopoguerra si era sviluppata l’integrazione europea. L’Europa comunitaria nell’epoca della guerra fredda si ‘pensava’ unificata idealmente e culturalmente come Europa “occidentale”. Si rappresentava, insomma, come contrapposta ad un’altra Europa, l’Europa “orientale”, unificata idealmente e culturalmente dalla sua appartenenza all’orbita del socialismo sovietico. Dopo la caduta del muro, il venir meno di questo ideale e potente fattore ‘federativo’ ha fatto venire allo scoperto una 41 F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Bari, 9° ed. “Quando noi diciamo ‘Europa’, oggi, intendiamo alludere non soltanto ad una certa estensione di terre, bagnate da certi mari, solcate da certe catene montuose, sottoposte ad un certo clima etc.; intendiamo assai più, alludere ad una certa forma di civiltà, ad un ‘modo di essere’ che contraddistingue l’ ’Europeo’ dall’uomo di altri continenti. L’Europeo è assai più che il ‘bianco’ […] è anzitutto, soprattutto, un certo abito civile, un certo modo di pensare e di sentire, a lui proprio e diverso” (ivi, p. 20)
  • 35. domanda politico-culturale, prima latente, di identità. Di identità collettiva avente fondamenti propri e comuni e non più esclusivamente ‘polemici’ (la schmittiana contrapposizione amico/nemico). Le classi dirigenti europee avvertono che la weberiana necessità di un “comune sentimento d’appartenenza”, sino ad allora rimossa dalla filosofia “funzionalista” dell’integrazione, non può più a lungo essere elusa. La riduzione dell’homo europeaus alla dimensione dell’homo oeconomicus e dell’homo iuridicus (libero da appartenenze, razionale, utilitarista e guidato solo da interessi materiali) si manifesta nel nuovo contesto come del tutto insufficiente e inadeguata a fronteggiare tanto le inedite sfide “esterne” della globalizzazione e dell’allargamento42 all’“altra” Europa, quanto le risalenti sfide “interne”, divenute ora più pressanti, del deficit sociale, del deficit democratico e, soprattutto, del deficit identitario. 42 Secondo B. De Giovanni, Verso una Costituzione postnazionale?, in G. Vacca (a cura di), Dalla Convenzione alla Costituzione, Bari, 2005, p. 21 ss., “allargamento e Costituzione nascono insieme”, poiché “l’idea di mutare in ‘Trattato costituzionale’ i vecchi Trattati europei è certamente nata insieme alla decisione di accogliere gli Stati dell’Europa centro-orientale nell’Unione”.
  • 36. D’altra parte, la genetica e costitutiva pluralità di culture che compongono il mosaico del vecchio Continente continua, a torto o a ragione, ad essere vissuta da grande parte dell’intellighentia e dell’opinione pubblica europea come un valore irrinunciabile. Come un ostacolo ad una “costruzione” dell’identità collettiva fondata sui miti politico-culturali – la nazione, il popolo la lingua, la religione.- che hanno storicamente legittimato in Europa la nascita e il consolidamento degli Stati territoriali nazionali. Scartata, perciò, la strada dell’“invenzione” di una “nazione europea”, lo sguardo si è volto, piuttosto, in direzione della “ricostruzione” di un patrimonio giuridico in grado di suscitare, in quanto condiviso, un habermasiano patriottismo civico e costituzionale dei popoli europei. Un insieme di valori fondamentali comuni da ‘riversare’ in una vera e propria costituzione in senso formale: principi e diritti “scritti” nelle tradizioni costituzionali dei paesi membri, valori costitutivi e fondanti dell’ordinamento europeo, valori cosmopolitici codificati da tempo nel diritto internazionale
  • 37. sulla base di etiche pacifiste e universalistiche proprie del pensiero europeo43. Principi, diritti e valori investiti vissuti e rappresentati come il fondamentale e pluralistico tessuto connettivo dell’integrazione “identitaria” dell’Europa. 4.2. Questo ambizioso tentativo di formalizzare un patrimonio costituzionale europeo attinge alla risalente dialettica tra il ‘paradigma’ monistico della giurisprudenza comunitaria e il paradigma dualista e pluralista di buona parte dei Tribunali costituzionali dei paesi membri. A lungo, infatti, la Corte di Giustizia ha considerato e qualificato i trattati comunitari come la vera carta 43 Per I. Kant, Idee su einer allgemeinen Geschichte in weltbuergerlicher absicht, trad. it., Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in F. Gonnelli (a cura di), Kant. Scritti di storia, politica e diritto, Roma-Bari, 1995) il perseguimento della pace e della sicurezza sono l’esito di una “costituzione civile perfettamente giusta” (“eine vollkommen gerechte buergerliche Verfassung”), di un ordinamento politico, cioè, in grado di regolare e controllare gli impulsi individualistici dell’uomo, sotto l’autorità morale del diritto.
  • 38. costituzionale dell’ordinamento europeo44, evocando, di fatto, la prospettiva di una decostituzionalizzazione degli ordinamenti statali. Di contro, le Corti Costituzionali nazionali aderendo ad un ‘paradigma’ dualista e pluralista hanno ‘difeso’ la persistente autonomia costituzionale degli stati membri ed hanno, almeno implicitamente, rivendicato una costituzionalizzazione dell’ordinamento europeo. Sul piano strettamente giuridico-dommatico dei rapporti tra ordinamenti, la rivendicazione dell’autonomia costituzionale degli Stati membri è stata declinata nei termini dell’esistenza di controlimiti “sostanziali” al primato del diritto comunitario, diretti a preservare il proprio patrimonio costituzionale nazionale in nome della intangibilità dei valori 44 “La Comunità europea – secondo la Corte di Giustizia (sentenze: 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, punto 23; 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost, punto 16; 23 marzo 1993, causa C 314/91, Weber/Parlamento, punto 8; parere 14 dicembre 1991, 1/91, punto 21) - è una comunità di diritto nel senso che né gli Stati membri né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale fondamentale costituita dal Trattato”.
  • 39. “identitari” di cui i diversi ordinamenti (costituzionali nazionali) sono custodi45. L’emersione di un diritto costituzionale europeo comincia a prendere forma nel momento in cui, da una parte, le Corti costituzionali, riconoscendo il valore ‘etico’ implicito dell’integrazione, hanno accettato che il diritto europeo prevalesse (eccezion fatta per i principi fondamentali e supremi), sulle norme nazionali (ivi comprese quelle di rango costituzionale); e, dall’altra, quando la Corte di giustizia – anche per contribuire al rafforzamento dell’autorità del diritto comunitario - si è impegnata a garantire il rispetto dei diritti 45 Si possono portare ad esempio di quest’atteggiamento due sentenze paradigmatiche: la decisione del Conseil constitutionnel francese del 19 novembre 2004 e la sentenza del Tribunal constitucional spagnolo del 13 dicembre 2004. Entrambe, in misura diversa, rivendicano ai valori “interni” la valenza di limiti “materiali” al diritto comunitario. Su questi aspetti vedi A. Cantaro, Il rispetto delle funzioni essenziali dello Stato, in S. Mangiameli (a cura di), L’ordinamento europeo, Vol I, I principi dell’Unione, Milano 2006, 507 ss, spec. p. 534 ss. J. Bast, The constitutional Treaty as a reflexive Constitution, in The Unity of the european Constitution, P. Dann, M. Rynkowski, eds., Springer, 2006, 13 ss; J.C. Piris, The Constitution for Europe. A Legal Analysis, Cambridge, Cambridge University Press, 2007.
  • 40. fondamentali e a far proprie le “tradizioni costituzionali comuni” degli Stati membri46. Questa integrazione giuridica bidirezionale tra ordinamenti è, dal punto di vista politico-simbolico, plasticamente visibile nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, per l’evidente tentativo, in essa contenuto, di operare una sorta di osmosi tra i più significativi principi, diritti e valori ricavabili dalle Carte Costituzionali nazionali, dai Trattati europei, dalla giurisprudenza comunitaria e da quella dei Tribunali costituzionali. Nella Dichiarazione di Laeken è esplicitamente evocato un ulteriore passaggio. La ‘proposta’ di una integrazione giuridica tra ordinamenti, non solo “bidirezionale”, ma “pluridirezionale”47. A Laeken, infatti, si prefigura l’aggancio della Costituzione europea ai valori universali “della Magna Carta, del Bill of Rights, della rivoluzione francese e della caduta del 46 A. Pizzorusso, Il patrimonio costituzionale europeo, Bologna, 2002; F. Belaguer Calderon, Le Corti costituzionali e il processo di integrazione europea, in atti del convegno annuale AIC 2006, La circolazione dei modelli e delle tecniche del giudizio di costituzionalità in Europa (disponibile sul sito www.associazioneitalianacostituzionalisti.it). 47 G. Itzcovich, Integrazione giuridica. Un’analisi concettuale, ci., 752.
  • 41. muro di Berlino”. Una internazionalizzazione dell’ordinamento diretta a legittimare le ambizioni di un’Europa attore globale, di un’Europa ‘cosmopolitica’ che si candida a “svolgere un ruolo di primo piano in un nuovo ordine planetario” ed a “costituire nel contempo un faro per molti paesi e popoli”48. 4.3. La Costituzione europea – sebbene frutto di un “inedito” processo costituente, disancorato da quei “miti 48 Il testo della “Dichiarazione sul futuro dell’Unione europea, approvata dal Consiglio europeo (15-16 dicembre 2001) è integralmente pubblicata – insieme ad altra documentazione di rilievo – nel volume Aa. Vv. Institutional reforms in the european Union. Memorandum for the Convention, Roma, Europeos, 2002, pp. 225 ss. Per una valutazione delle scelte fatte a Laeken vedi A. Pace, La dichiarazione di Laeken e il processo costituente europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, p. 618 ss; C. Pinelli, Il momento della scrittura. Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Bologna, 2002, pp. 209 ss.
  • 42. politici” che avevano alimentato le costituzioni moderne49 - ambiva, dunque, ad essere l’espressione giuridicamente più elevata di una comune cultura europea. Essa si riproponeva lo scopo di sostenere e alimentare un’identità collettiva europea e, insieme, di preservare e rispettare le articolazioni e specificità nazionali. Rappresentare un’Europa unita nella diversità. La diversità delle identità nazionali statali “insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale” – espressamente salvaguardata dall’art I-5 – è, infatti, nel 49 Secondo la dottrina del “costituzionalismo multilivello”, l’integrazione europea è, infatti, fondata su un ( a dire il vero assai improbabile e immaginario) contratto sociale europeo, su un esercizio comune di potere costituente – via ratifica dei Trattati e via referendaria – da parte dei Popoli degli Stati partecipanti alla Comunità e all’Unione (I. Pernice, Multilevel constitutionalism and the Traty of Amsterdam: European Constitution-Making Revisited, in “Common Market Law Review”, vol. 36, 1999, pp. 703 ss.; I. Pernice, F. Mayer, La Costituzione integrata dell’Europa in G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, cit., pp. 43 ss.; E. Scoditti, Articolare le Costituzioni. L’Europa come ordinamento giuridico integrato, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, XXXIV, 1, 2004, pp.196 ss.) Un fondamento “debole” di legittimazione basato su un misto di “massimalismo giuridico - nella forma del “massimalismo costituzionale - e di minimalismo politico” – nella forma del minimalismo democratico (A. Cantaro, Europa sovrana La Costituzione dell’Unione tra guerra e diritti, Bari, 2003).
  • 43. Trattato costituzionale bilanciata dalla codificazione (art. I-2 e I-3) delle “cifre identificative” (dell’ordinamento costituzionale europeo), di una società europea fondata “sul pluralismo, sulla non discriminazione, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla parità tra donne e uomini”. Valori da promuovere all’esterno (art. I-3, 4 comma), non solo come valori degli Stati membri (e, dunque, propri dell’Unione) ma, altresì, come valori universali caratterizzanti un dover essere dell’Unione50. L’omogeneità intrinseca dell’ordinamento europeo era, inoltre, alimentata da un significativo apparato simbolico funzionale all’ identificazione dei cittadini degli Stati membri con le istituzioni “pubbliche” europee (la bandiera, l’inno, il motto, la giornata dell’Europa e la moneta: art. I-8) e aventi – come enfaticamente e un po’ ingenuamente raccontava la retorica ufficiale - l’obiettivo di ‘catturare’ gli animi dei cittadini europei. Ma non si trattava semplicemente di retorica. L’accantonamento del tradizionale metodo intergovernativo di 50 Tanto più che con l’espressa adesione dell’Unione alla Cedu (in base all’art. I-9) la Costituzione europea, che già incorporava la Carta dei diritti, attuava un collegamento con un più vasto ordine internazionale, quello del Consiglio d’Europa composto da 46 Stati da Brest a Vladivostok.
  • 44. revisione dei Trattati (mediante emendamenti a favore di una Costituzione interamente sostitutiva ‘progettata’ da una Convenzione) intendeva segnare, indubbiamente, una rilevante cesura con il passato. Così come la netta separazione tra le disposizioni attinenti ai principi fondamentali da quelle più propriamente riguardanti l’organizzazione istituzionale comunitaria e la distribuzione delle competenze era diretta a rievocare la “tradizionale” ripartizione contenuta nelle Costituzioni nazionali. A ‘completare’ il quadro la formale incorporazione della Carta dei diritti nel tessuto normativo del Trattato; l’impiego di un lessico statuale per la definizione delle istituzioni dell’Unione (Ministro degli Affari esteri) e dei suoi atti normativi (legge europea, regolamento); il rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali al fine di favorire la creazione di una dialettica interpartitica e, conseguentemente, di un’opinione pubblica europea. 4.4. La pretesa (o, se si preferisce, la speranza) era chiaramente quella che il corpus di simboli, diritti e di principi fondamentali codificati nel Trattato costituzionale potesse svolgere la funzione di sostituto funzionale dei miti politici della nazione, del popolo, del potere costituente:
  • 45. potesse colmare, insomma, il deficit democratico e il deficit identitario dell’Europa. L’astrattismo e il giuridicismo di questa pretesa si sono infranti, prima ancora che nel voto referendario francese ed olandese, nel momento in cui “i costituenti” sono stati chiamati a dare un nome alle radici storico-culturali del patrimonio valoriale.. Di fatto, la domanda sulle radici europee veniva, in realtà, lasciata in sospeso già nel Preambolo costituzionale nel momento in cui il patrimonio di “valori universali”, al quale veniva affidata l’integrazione “identitaria” dell’Europa, veniva genericamente ricollegato alle “eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa”. L’asetticità della formula adottata era il segno della straordinaria difficoltà di dare un contenuto specifico, anche minimo, a queste eredità culturali, religiose e umanistiche. Come è plasticamente testimoniato dal fatto che il mancato inserimento delle formule relative al cristianesimo o ai valori della fede veniva controbilanciato dall’esclusione dei riferimenti alla ‘civiltà greca e romana’ e alle ‘correnti filosofiche del secolo dei lumi’.
  • 46. L’eliminazione di qualsiasi riferimento ideale ‘concreto’ e ‘sostanziale’ si è alla fine rivelata la cifra più ‘autentica’ del Preambolo. Sulle matrici culturali effettive dei valori universali proclamati è presto calato il silenzio51. Quel silenzio ‘assordante’ che di lì a poco sarebbe calato su tutto il progetto di costituzionalizzazione e, segnatamente, sulla pretesa di consegnare tutto il peso dell’integrazione “identitaria” dell’Europa a un catalogo di simboli, valori e diritti, che agli occhi dei popoli europei è apparso troppo generico, astratto e lontano. E, comunque, storicamente inadeguato a fondare un’appartenenza condivisa ed un”patriottismo” autentico. La filosofia “neofunzionalista”. L’integrazione “differenziata” e “flessibile” 5.1. Il lungo periodo “di riflessione” sembrerebbe essere finito. Il Trattato di Lisbona, 51 A. Cantaro, C. Magnani, L’ambiguo preambolo: atto formalmente internazionalistico dichiarazione sostanzialmente costituzionale, in A.P. Griffi, A. Lucarelli (a cura di), Studi sulla Costituzione europea, Napoli, 2003, pp. 65 ss.
  • 47. abbandonato il progetto di “costituzionalizzazione”52 e la relativa simbologia, si affida per rilanciare il processo d’integrazione ad una maggiore articolazione (interna) dell’edificio comunitario”53. La “poesia” costituzionale cede il passo alla “prosa” dell’efficienza delle procedure e dell’efficacia dell’azione delle istituzioni europee, come traspare già dal nomen del ‘nuovo’ trattato intitolato al “funzionamento dell’Unione” (TFUE). La filosofia “costituzionalista” cede il passo ad una filosofia “neofunzionalista”, espressione di un ethos “realista” e di un approccio “empirico”. La cesura con il passato è assai forte e marcata più di quanto riconosca la retorica ufficiale dei redattori del Trattato di Lisbona e dei suoi primi commentatori. Le diverse “filosofie” del secondo dopoguerra, che abbiamo qui passato in rassegna, erano espressione, ciascuna a suo modo, di un’etica dell’integrazione “unitaria” e “simmetrica”, nella ‘forma’ – come abbiamo visto - di una unificazione politico- statuale quella “federalista”, di una armonizzazione 52 U. De Servio (a cura di), Costituzionalizzare l’Europa ieri e oggi, cit. 53 N. Verola, L’identità europea tra eredità e progetto, cit., p. 85.
  • 48. economico-giuridica quella “funzionalista”, di una integrazione identitaria quella “costituzionalista”. Con il Trattato di Lisbona si intendono, viceversa , privilegiare gli strumenti dell’integrazione “differenziata” e “flessibile” nella convinzione (certamente autentica di alcuni dei suoi fautori) che, nel medio periodo, non siano necessariamente pregiudicate le finalità e le ragioni ultime dell’integrazione “corale”. Si immagina l’implementazione di una sorta di ‘inedito’ spillover ‘geografico’. Una determinata ‘nuova’ politica viene intrapresa da alcuni Stati membri. Successivamente e progressivamente gli altri Stati, sia per i legami indissolubili tra loro esistenti (rispetto ad altre politiche comuni), sia per l’impossibilità di separare nettamente una specifica politica dalle altre, sono indotti, per ragioni ‘funzionali’ intrinseche, a prendere parte al percorso intrapreso dagli altri Stati54. 54 Un esempio di questo approccio è stato il Trattato di Prüm del 2005 in materia di cooperazione transfrontaliera nella lotta alla criminalità. Adottato inizialmente da soli cinque stati membri, il suo contenuto fu “recepito” successivamente nel quadro giuridico dell’Unione per effetto della decisione del Consiglio del 27 febbraio 2007.
  • 49. 5.2. Di questa filosofia dell’integrazione costituiscono un significativo e paradigmatico ‘precedente’55 gli accordi di Schengen sulla libera circolazione delle persone (inizialmente firmati da parte di soli cinque Stati), la politica sociale con la deroga concessa al Regno Unito in merito all’accordo sociale, la deroga che ha consentito al Regno Unito e alla Danimarca di non partecipare alla terza fase dell’Unione economica e monetaria (prevedendosi per tali paesi regimi speciali contenenti norme particolari applicabili solo a loro). Dopo queste prime esperienze di cooperazione “differenziata”, introdotte al di fuori del quadro comunitario, il Trattato di Amsterdam ha esplicitamente proceduto, con l’inserimento di un nuovo Titolo (il VII), alla 55 Forme di integrazione “differenziata” e “flessibile” sono, invero, presenti nei Trattati europei fin dall’inizio. Tuttavia, i principi di “differenziazione” e di “flessibilità” hanno avuto a lungo il rango di principi eccezionali; il rango, cioè, di principi derogatori al principio generale dell’“unità” e “simmetricità” dell’ordinamento giuridico europeo. Cfr. G. Della Cananea, Unità e avanguardie negli affari di sicurezza interna, in S. Micossi, G.L. Tosato, a cura di, L’Unione europea nel XXI secolo. «Nel dubbio, per l’Europa», Bologna, 2008; G. Tiberi, Uniti nella diversità”: l’integrazione differenziata e le cooperazioni rafforzate nell’Unione europea, cit. p. 287
  • 50. istituzionalizzazione della cooperazione rafforzata56. Una integrazione per cerchi concentrici tra “avanguardie” e “retroguardie”, in base alla quale ciascuno Stato decide a quali politiche prendere parte e da quali restare fuori e che ha trovato un suo significativo sviluppo e consolidamento nel Trattato di Lisbona. L’ ‘etica’ dell’integrazione “à la carte” emerge con particolare forza dalla rilevanza attribuita alle cooperazioni rafforzate, per le quali è prevista una procedura istituzionale unica, valida per tutte le materie (al di fuori di quelle oggetto di competenza esclusiva dell’Unione). Le cooperazioni rafforzate potranno essere avviate da nove Stati membri e a differenza della precedente previsione definita in termini percentuali (un terzo degli Stati), la soglia rimarrà identica anche a seguito di ulteriori allargamenti dell'Unione (mentre viene confermata la regola dell'apertura a tutti gli Stati che successivamente vorranno aderire). Il Trattato di Lisbona prevede, inoltre, attraverso un numero particolarmente esteso di protocolli e dichiarazioni aggiunte, numerose clausole c.d. di “opting in” e di “opting out”. 56 Vedi A. Klliker Flexibility and European Unification: The Logic of Differentiated Integration, London, Rowman & Littlefield, 2005; G. Gaja, La cooperazione rafforzata, in Dir Un europea, 1996, 315 ss.
  • 51. L’implementazione di interi settori delle politiche “comuni” è così rimessa alla volontà sovrana degli Stati membri, confermando e accentuando il “favor” per una Europa “a la carte”. 5.3. Un'immagine che rischia di riprodursi anche sul terreno della tutela dei diritti. Emblematica,da questo punto di vista, è la vicenda relativa al riconoscimento del valore giuridico della Carta di Nizza. In primo luogo, per la mancata incorporazione nel Trattato di Lisbona, nel quale la Carta viene solo richiamata dall’art. 6 del NTUE con formula del tutto asettica. Una formulazione assai distante dal pathos tradizionale delle Costituzioni dell’Europa continentale57. 57 A compromettere la forza “cogente” generale della Carta contribuisce la mancanza di alcuni importanti riferimenti alla stessa nelle altre disposizioni dei due Trattati riformati. Su queste “inquietanti lacune”, vedi O. Pollicino, V. Sciarabba, La Carta di Nizza oggi tra “sdoganamento giurisprudenziale” e Trattato di Lisbona, in Riv. dir pubbl. comun., 2008, p. 101 ss, spec. p. 111 ss, e nella stessa rivista E. Pagano, Dalla Carta di Nizza alla Carta di Strasburgo dei diritti fondamentali, p. 94 ss.
  • 52. In secondo luogo, per l'appannamento e la rottura della sua “originaria” valenza “universalistica”, intaccata dalle disposizioni finali e soggetta alle opzioni e volontà di alcuni degli Stati membri. Il riferimento è alle esenzioni concesse al Regno Unito e alla Polonia. Esenzioni - dalla portata giuridica peraltro incerta58 - che potrebbero costituire un “precedente” per ulteriori regimi speciali concessi in deroga ad altri Stati membri. La Carta di Nizza, negli auspici della scienza giuridica e delle istituzioni europee, ambiva a rappresentare simbolicamente il Bill of Rights dell’Unione europea. Nata sotto il segno della portata “universale” dei diritti fondamentali, individua, in via di principio, uno standard comune di tutela dei diritti della "persona", puntando ad estendere la propria efficacia giuridica anche al di là e 'oltre' la cittadinanza europea (ai cittadini dei "Paesi terzi"). Tuttavia, soprattutto dopo Lisbona, la stessa Carta potrebbe dar vita ad uno statuto dei diritti variabile in ragione 58 J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007, spec. pp. 175-179.
  • 53. (anche) del 'luogo' nel quale viene invocata come strumento di tutela59. 5.4. Il futuro dell’Europa “asimmetrica” dipende, in realtà, anche dai più generali assetti istituzionali prefigurati nel Trattato di Lisbona, dall’orizzonte costituzionale nel quale sono calate le richiamate modifiche normative in materia di cooperazioni rafforzate e le nuove clausole à la carte60. Un orizzonte costituzionale caratterizzato dal (possibile) ‘rafforzamento’ del principio di sussidiarietà e dal (simbolico) ‘declino’ del principio di supremazia del diritto europeo. Per un verso l’inedito riferimento ai livelli di governo infranazionali (contenuto nel art. 5 NTUE), legittimando la possibilità di un intervento regionale nelle materie di competenza non esclusiva dell’Unione, sembra rinvigorire il “potenziale asimmetrico” insito nel principio di sussidiarietà. 59 O. Pollicino, V. Sciarabba, La Carta di Nizza oggi tra “sdoganamento giurisprudenziale” e Trattato di Lisbona, cit., p. 115 s.. 60 Vedi M. Fragola, Osservazioni sul Trattato di Lisbona tra Costituzione europea e processo di “decostituzionalizzazione”, in Dir. comun., e degli scambi inter., 2008, n. 1, 205 ss; G. Tiberi Uniti nella diversità”: l’integrazione differenziata e le cooperazioni rafforzate nell’Unione europea, cit., 295. N. Verola, L’identita europea tra eredità e progetto, cit., pp. 83 ss
  • 54. Per altro verso l’indebolimento – sul piano formale - del principio “simmetrico” del primato si presta anch’esso ad essere interpretato come attenuazione dell’originaria “tensione unitaria” del processo d’integrazione europea. Anche coloro che negano la discontinuità61 del Trattato di Lisbona rispetto al passato, denunciano il notevole appesantimento delle regole di funzionamento dell’Unione, e segnatamente il rinvio nel tempo - a date lontane e incerte - di alcune importanti riforme. Quali, ad esempio, lo spostamento al 2017 dell’introduzione del nuovo del sistema di voto in Consiglio. O l’incertezza relativa all’effettivo superamento 61 Si è detto che sarebbe cambiata solo la forma il contenitore, mentre la sostanza, il contenuto nelle sue linee essenziali sarebbe identico (J. Ziller, il nuovo Trattato europeo, cit.; C. Pinelli Il Preambolo, i valori, gli obiettivi, in Le nuove istituzioni europee, cit., p. 57 ss.) In questo senso, la da più parti denunciata decostituzionalizzazione del Trattato del 2004 (per tutti C. De Fiores, Il fallimento della Costituzione europea. Note a margine del Trattato di Lisbona, in www. costituzionalismo.it) sarebbe più apparente che reale. Quest’ultimo trattato rappresentava, infatti, null’altro che una formalizzazione di una Costituzione vigente e operante fin dall’inizio e contenuta nei Trattati originari. “Alla decostituzionalizzazione formale, corrisponderebbe, invece, una realtà costituzionale reale: che con lo sblocco di Lisbona si è rimessa in movimento” (A. Manzella, Un trattato necessitato, in Le nuove istituzioni europee, cit., p. 432).
  • 55. della regola che prevede che la Commissione sia composta da un componente per Stato membro62. A loro volta, i rilevanti poteri di blocco procedurale attribuiti - in forma ancor maggiore rispetto al Trattato costituzionale - ai Parlamenti nazionali, in relazione al rispetto da parte di tutti gli atti legislativi comunitari dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, tendono ad aggravare ulteriormente i rischi di una paralisi delle procedure decisorie63. A tacere della ossessiva reiterazione – contenuta in svariate disposizioni del Trattato nuovo – del principio d’attribuzione, della continua rivendicazione agli Stati membri del ruolo di “Signori dei Trattati” 64. 62 Nel recente Consiglio europeo del 11-12 dicembre 2008 si è deciso, al fine di indurre l’Irlanda a promuovere un altro referendum sul Trattato di Lisbona, di adottare una decisione che in via teorica ammette la possibilità che anche dopo il 2009 la Commissione continui a comprendere un componente per ciascun Stato membro. 63 Per gli opportuni approfondimenti vedi L. Giannini, R. Mastroianni, Il ruolo dei parlamenti nazionali, in Le nuove istituzioni europee, cit., pp. 161 ss. 64 Per una articolata disamina di queste disposizioni espressione di una “litania di affermazioni pleonastiche” vedi J. Ziller, Il nuovo Trattato europeo, cit., spec. pp. 101 ss.
  • 56. Tutto, insomma, tende ad avvalorare il ‘sospetto’ che le cooperazioni rafforzate e le opzioni “à la carte”, ancor più che meccanismi di ultima istanza (per permettere ad alcuni Stati cooperatori di procedere in determinati settori con una velocità più elevata rispetto al resto dei paesi membri), si candidano a diventare, dopo Lisbona, una delle principali manifestazioni di un ‘emergente’ diritto costituzionale asimmetrico.65 Verso un diritto costituzionale “asimmetrico” 6.1. L’emersione di un inedito diritto costituzionale asimmetrico è il portato di un vero e proprio “mutamento di paradigma” del costituzionalismo europeo, al momento allo stato latente e che, tuttavia, a noi pare compiutamente delineato nel suo nucleo essenziale. Dal ‘classico’ paradigma dell’ “unità nella diversità” al paradigma ‘postmoderno’ della “diversità nell’unità” (recte: della diversità nell’Unione). Nel paradigma classico (dell’Unione) – che non a caso costituiva uno dei simboli della ormai ‘abbandonata’ 65 A. Lopez Pina, R. Miccù, La cooperazione rafforzata come forma europea di governo. Verso un diritto costituzionale asimmetrico?, in Diritto e cultura, n. 1-2, 2003, pp. 403 ss.
  • 57. costituzione europea – l’equilibrio tra “unità” e “diversità” si svolge nella prospettiva di un ordinamento pensato geneticamente e strutturalmente come omogeneo. Si riconoscono e garantiscono la diversità nei limiti di un ordinamento ‘programmaticamente’, e in via di principio, unitario, uniforme, corale, simmetrico (“unità nella diversità”). Nel paradigma ‘postmoderno’ il pendolo tra unità e diversità si sposta a vantaggio della diversità. L’ordinamento è pensato come geneticamente e strutturalmente plurale, differenziato, asimmetrico (“diversità nell’unità”). L’emersione del paradigma può essere letta come manifestazione di una più generale tendenza del nuovo costituzionalismo europeo – il cosiddetto “costituzionalismo postnazionale” – a istituzionalizzare e rendere "norma" un generale principio di differenziazione. Gli sviluppi ordinamentali più recenti segnalano, infatti, una diffusione ed una crescente centralità del paradigma “asimmetrico” nella maggior parte dei paesi europei. Le diversità e le differenziazioni di status, in
  • 58. origine limitate ed eccezionali, stanno sempre più diventando la “regola” e la “normalità”. Tendenze e processi analoghi hanno cominciato ad interessare anche il quadro dei principi e delle regole del processo d’integrazione europea a partire dalle prime esperienze ‘pilota’ d’integrazione differenziata degli anni novanta dello scorso secolo. Oggi più che in passato l’originaria tensione “unitaria” e “simmetrica” dell’integrazione viene messa in discussione da ripetute e ormai istituzionalizzate asimmetrie “de iure” e “de facto” tra gli Stati membri e, persino, tra i cittadini dell’Unione. 6.2. Una lettura “neutrale” e “rassicurante” dell’integrazione “asimmetrica”, “differenziata” e “flessibile” è quella che la rappresenta come una conseguenza logica sul piano “sovranazionale” dell’affermazione sempre più accentuata del costituzionalismo “asimmetrico” a livello “nazionale”. Il riferimento all’esistenza di asimmetrie costituzionali è solitamente utilizzato nella letteratura specialistica per descrivere ed analizzare il funzionamento e la logica istituzionale degli ordinamenti federalistici ed autonomistici a livello degli Stati nazionali. Ordinamenti, originariamente
  • 59. rappresentati come ‘naturalmente’ simmetrici, vengono oggi altrettanto ‘naturalmente’ rappresentati come asimmetrici. Formule quali federalismo asimmetrico, regionalismo asimmetrico, neoregionalismo asimmetrico sono ormai entrate nel corrente lessico politico-giuridico europeo per rappresentare le tendenze di fondo che negli ultimi decenni caratterizzano il regionalismo in Italia, lo Stato autonomistico in Spagna, il federalismo tedesco, il federalismo ‘doppio’del Belgio, il regionalismo portoghese, il decentramento francese, e così via66. In verità, secondo questa lettura, in un primo momento l’affermazione del paradigma asimmetrico all’interno degli Stati membri sarebbe stato favorito dalla comune appartenenza al contenitore dell’Unione che avrebbe consentito di sdrammatizzare le riorganizzazioni in senso differenziato degli ordinamenti degli Stati membri . In tempi più recenti sarebbe, invece, il processo d’integrazione europea a subire l’influenza del modello asimmetrico di governance . 66 Per un quadro complessivo di questi processi vedi i contributi contenuti in Integrazione europea e asimmetrie regionali: modelli a confronto, G. D’Ignazio (a cura di), Milano, 2007.
  • 60. La pressante richiesta da parte delle articolazioni territoriali degli Stati membri (in primis le Regioni) di partecipare all’implementazione – sia in fase ascendente che discendente - del diritto comunitario avrebbe costretto l’Unione europea ad adottare un approccio a sua volta differenziato e asimmetrico, che da elemento contingente della sua organizzazione starebbe ben presto diventando un elemento strutturale del suo ordinamento giuridico complessivo. Come a livello degli ordinamenti dei Paesi membri le forme asimmetriche si sarebbero fatte carico di tenere insieme gli ordinamenti statali, valorizzando le differenze territoriali, così sul piano europeo le forme dell’integrazione asimmetrica favorirebbero un processo di integrazione delle diversità economiche, sociali e territoriali “nazionali” nel quadro unitario della costruzione europea67. 6.3. Si tendono, inoltre, ad evidenziare i vantaggi “pratici” che le ‘forme’ del costituzionalismo asimmetrico e 67 Cfr D. Thym, “United in Diversity” – The integration of Enhanced cooperation into the european constitutional order, in The unity of european Constitution, cit., pp. 357 ss; G. Rolla, Lo sviluppo del regionalismo asimmetrico e il principio di autonomia nei nuovi sistemi costituzionali: un approccio di diritto comparato, in Quaderni regionali, n. 1-2, 2007, pp. 387 ss.
  • 61. relativi percorsi e soluzioni differenziate – le cooperazioni rafforzate, le avanguardie – possono recare nell’ordinamento europeo. La scelta di differenziare tempi e modalità di adesione ha consentito - si sottolinea – ad alcuni paesi una transizione verso assetti ritenuti migliori, ad altri di attendere condizioni o circostanze più opportune68. Una prova della “ragionevolezza” del “metodo” delle cooperazioni rafforzate è considerata la vicenda, già segnalata, del Trattato di Schengen. Stipulato inizialmente da cinque paesi membri è stato in seguito recepito da altri, consentendo così di “bilanciare la libertà di circolazione delle persone con controlli acconci” e di autorizzare deroghe “in occasioni di particolari circostanze”. Un’ulteriore riprova della “ragionevolezza” della filosofia delle cooperazioni rafforzate viene rintracciata nel più recente Trattato di Prum (del 27 maggio 2005) avente lo scopo di accrescere e migliorare la cooperazione transfrontaliera, specie per contrastare terrorismo, organizzazioni criminali e immigrazione clandestina. Anche in questo caso, si osserva, l’accordo stipulato da cinque dei paesi fondatori è aperto 68 Vedi H. Brady, An Avant-garde for Internal Security, in CER-Bulletin, n. 44, October-November, 2005
  • 62. all’adesione di tutti e non vi è motivo di escludere che alcuni paesi seguano percorsi innovativi, sperimentino soluzioni diverse, raggiungano intese più strette, purché non esclusive I fautori dell’approccio “empirico” al tema dell’integrazione “asimmetrica”, “differenziata” e “flessibile” tendono, insomma, a sottolineare che non necessariamente questa pregiudica nel medio periodo le finalità e le ragioni ultime dell’integrazione “corale” e “simmetrica”. Come accade nei sistemi nazionali di federalismo e regionalismo “asimmetrico”, l’integrazione “differenziata” e “flessibile” impedirebbe l’uniformizzazione tanto “verso il basso” (con conseguenze negative per gli Stati più attivi e dinamici) quanto “verso l’alto” (a discapito degli Stati più deboli o ancora restii a condividere ulteriori porzioni di sovranità), nella misura in cui agevola forme di “integrazione sempre più stretta” tramite strumenti provvisori, aperti, non discriminatori, incentivanti e non cogenti. 6.4. Se le pericolose tensioni centrifughe tipiche degli ordinamenti asimmetrici possono essere contenute solo dalla presenza di una struttura istituzionale centrale forte, c’è da chiedersi quale effetto, nel lungo periodo, possa avere la filosofia “asimmetrica” in una Unione europea, le cui
  • 63. istituzioni, oltre a doversi ulteriormente consolidare in termini di legittimazione democratica, sono, a loro volta, costrette a confrontarsi con le asimmetrie sub- nazionali diffuse nei Paesi membri69. Poiché, come si è sottolineato, il Trattato di Lisbona ingessa ulteriormente il funzionamento fisiologico delle istituzioni dell’Unione europea c’è il serio pericolo che, in mancanza di un potere “pubblico” centrale forte, l’Unione sia incapace di controbilanciare le spinte centrifughe connaturate all’asimmetria. Né vanno sottovalutati i riflessi di lungo periodo sulla solidità delle istituzioni europee in conseguenza dell’eventuale consolidarsi delle cooperazioni rafforzate. Sulle materie che sono oggetto di cooperazione rafforzata è, infatti, previsto che in Consiglio possano votare solo gli Stati membri cooperatori, fermo restando la possibilità di partecipare alle discussioni anche degli Stati non cooperatori. Nel momento in cui dovessero aver corso diverse cooperazioni rafforzate è ragionevole ipotizzare un 69 Vedi sul punto F. Leotta, Asimmetria e processo di integrazione europea: soluzione transitoria o problema definitivo?, in E. Castorina ( a cura di), Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo, Torino, 2007, 142 ss.
  • 64. ulteriore scollamento ed un’ulteriore frammentazione interna alle stesse istituzioni europee. Ad essere sottovalutato è, soprattutto, il rischio che un gruppo di Stati, legati da accordi “asimmetrici”, possa diventare “di fatto” una organizzazione alternativa rispetto a quella comunitaria. Che gli accordi asimmetrici possano, insomma, indebolire l’idea e l’etica integrativa, portando al consolidamento di situazioni parcellizzate ed ‘evolvendo’ da strumento transitorio e provvisorio in un assetto permanente e definitivo70. La filosofia dell’integrazione “asimmetrica” finirebbe, in tal modo, non solo per tradire il fondamentale principio di eguaglianza e solidarietà tra gli Stati membri, ma per 70 Come sembra paventare anche J. Ziller, op. cit., 199, secondo il quale “solo l’esperienza ci dirà se i meccanismi immaginati nel 2007 permetteranno davvero un’integrazione più forte in certi settori, pur senza la partecipazione di alcuni Stati. [...] se questi rimarranno meccanismi di applicazione provvisoria, che permetteranno a gruppi di avanguardia di esplorare nuove possibilità. O se questa diventerà una provvisorietà permanente” (ivi).
  • 65. determinare una differenziazione degli statuti legali dei cittadini dell’Unione europea71. Non va, insomma, affatto sottovalutato il pericolo che la già difficile composizione del mosaico europeo diventi un puzzle le cui tessere sia impossibile rimettere insieme. 6.5. Il rischio concreto è che le predette asimmetrie, sia pur “legittimate” dalla necessità di fare andare comunque avanti l’Unione, finiscano, in realtà, per segnare una cesura del processo di integrazione e della sua “morfologia” classica: introdurre una “metamorfosi” della missione costituzionale dei Trattati originari di “una unione sempre più stretta tra i popoli europei” e legittimare, –quel “potenziale secessionistico” (sempre) connaturato ad un ordinamento giuridico ancora non pienamente federalistico quale è quello europeo. L’emersione di un diritto costituzionale “asimmetrico” può rappresentare a certe condizioni - il consolidamento simbolico e politico dell’etica integrativa, del quale oggi è, tuttavia, difficile scorgere traccia - un “rafforzatore delle 71 Cfr. il breve ma suggestivo saggio di M. Kowalsky, Comment on Daniel Thym – United in diversity or diversified in the Union?, in P. Dann, M. Rynkowski, eds., The unity of european Constitution, cit.
  • 66. missioni comuni”: una risposta ‘progressiva’ alle inedite sfide che i processi di globalizzazione (e segnatamente in Europa la sfida storica dell’allargamento ad Est) hanno lanciato tanto al paradigma statualista classico, quanto al tradizionale paradigma armonizzante ed unitario dell’integrazione. O, al contrario, rivelarsi - come già aveva intuito Giuliano Amato – “l’alfiere populistico” di interessi localistici: una risposta ‘regressiva’, se le diversità culturali nazionali e sub-nazionali, piuttosto che essere integrate nel quadro generale dell’Unione, venissero sospinte al di fuori di essa.