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STORIA MINIMA DI UN RAPPORTO COMPLESSO
                                                   SCUOLA E CITTADINANZA


                                                       AURORA DELMONACO

       Quando le maestre dell’Italia liberale insegnavano ai ragazzini a leggere,
scrivere, far di conto e amare la patria, le barriere di genere, ceto e nazionalità
erano il modello di una cittadinanza da costruire1. Poi la scuola diventò lo
strumento politico dello Stato etico che dal “cittadino” intendeva estrarre il
“fascista”. Questa sovrapposizione tra educazione e politica ha generato anticorpi
resistenti (“a scuola non si fa politica!”) ma anche un’aspirazione diffusa a un
chiuso mondo sicuro, magari delegandone ad altri la responsabilità.
       Dopo la guerra era necessario trasformare i sudditi in cittadini. “È miracolo
che solo la scuola può compiere” scrisse Calamandrei2. Le indicazioni venivano
dalla pedagogia progressiva degli Stati Uniti, dalla scuola di Dewey per ispirazione
alleata3, ma anche dal cuore stesso della Resistenza: “Scuola è vita. C’è a Milano
una scuola democratica. Cinque partigiani se l’erano sognata in montagna”4, e
nacquero i Convitti-scuola della Rinascita, anche se ebbero vita piuttosto breve.
Era necessario un rapporto nuovo fra la scuola e la democrazia, ma per i
programmi delle superiori bastò una sommaria ripulitura dalle impronte fasciste,
mentre per quelli delle elementari l’attivismo deweyano, un empirismo pratico non
sempre coerente e spunti neoidealistici trovarono un compromesso nobilitato dal
sigillo cattolico. Questo fu ancora più chiaramente ribadito nella premessa dei
nuovi programmi del 1955: la formazione ha “per dettato esplicito della legge,
come suo fondamento e coronamento l'insegnamento della dottrina cristiana
secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”5. Eppure l’11 dicembre 1947
l’Assemblea Costituente aveva votato un ordine del giorno di Aldo Moro perché la



1
  Nel catalogo dei manuali scolastici dell’editore Remo Sandron per l’anno 1900 troviamo, debitamente approvati dal
Ministero, T. e F. Orsi, Senno e virtù. Letture educative ad uso delle scuole elementari maschili; degli stessi, Pensieri
ed affetti. Letture educative ad uso delle scuole elementari femminili; infine, Dalla scuola ai campi. Letture educative
ad uso delle scuole rurali. V. A. Delmonaco, La signorina a quadretti e altre lavoratrici insegnanti, in G. Chianese (a
cura di), Mondi femminili in cento anni di sindacato, vol. 1, Ediesse edizioni, Roma, 2008, pp. 209-272.
2
  P. Calamandrei, Contro il privilegio dell’istruzione, in “Il Ponte”, n. 1, gennaio 1946, pp. 4-5
3
  Allievo di Dewey, il colonnello-pedagogista Carleton Wolsey Washburne lasciò l’esperimento di Winnetka, di cui era
stato l’anima, per dirigere nell’Italia liberata la Sottocommissione alleata per l’istruzione pubblica.
4
  L. Succi, in “Il Politecnico”, n. 23, 1946, cit. in M. T. Sega (a cura), La scuola fa la storia. Gli archivi scolastici per la
ricerca e la didattica, Ediciclo-nuovadimensione, Perugia, 2002, p. 161.
5
  DPR 14 giugno 1955, n. 503.
nuova Carta trovasse “senza indugio adeguato posto nel quadro didattico nella
scuola di ogni ordine e grado”.
       Per formare cittadini democratici era dunque necessario aprire le aule alla
Costituzione, ma solo nel 1958 lo stesso Moro, ministro della Pubblica Istruzione,
introdusse nelle scuole secondarie l’educazione civica perché mirasse “a suscitare
nei giovani un impulso morale a secondare e promuovere la libera e solidale
ascesa delle persone nella società” giovandosi tuttavia “di un costante riferimento
alla Costituzione della Repubblica, che rappresenta il culmine della nostra attuale
esperienza storica, e nei cui principi fondamentali si esprimono i valori morali che
integrano la trama spirituale della nostra civile convivenza”6.
       Il dettato costituzionale si costituiva come sfondo comune a tutte le materie,
stimolo ideale della vita scolastica e cuore di una disciplina specifica abbinata alla
storia con un unico voto e due ore mensili, il tutto inquadrato nella “biografia della
nazione” per ricostruire i pilastri civili della casa Italia. Nel frattempo si
cominciava a costruire la casa europea.
       L’educazione civica non riuscì a trovare l’anima e la forza di una paideia
convincente per la tendenza a farne oggetto di esortazioni morali più che di
analisi e riflessione, per la collocazione oraria della materia7 che dava di essa una
percezione debole, ma soprattutto perché il suo contenuto evitava il nodo caldo
della Costituzione, la storia recente.
       Prima del 1960 a scuola i programmi di storia si fermavano alla Prima
Guerra Mondiale e fu necessaria una battaglia culturale, vinta solo dopo l’estate
del governo Tambroni, perché dal novembre 19608 i programmi includessero la
Resistenza e l’età presente9. Che poi lo si facesse davvero, è da vedere. In
moltissimi casi il limite del 1918 restò invalicato e l’educazione civica fu un
proposito assolto, se fu assolto, in modo formale e sbrigativo.
       Esistevano due difficoltà per una didattica della storia recente e per
l’educazione         ad     una       cittadinanza          vera,      aperta,       serena.       La     prima       era
l’impreparazione degli insegnanti poiché prima degli anni ’60 nelle Università non
6
  DPR 13 giugno 1958, n. 585.
7
  Era inserita in una disciplina come la storia, che a sua volta o era inclusa nel gruppo letterario in cui l’italiano era
materia-principe, o era abbinata alla più “prestigiosa” filosofia.
8
  DPR 6 novembre 1960, n. 1457.
9
  La circolare 19 novembre 1960, n. 443 del ministro della Pubblica Istruzione Bosco stabilisce che nei licei e istituti
magistrali l’ultimo anno di insegnamento della storia debba incentrarsi su “la guerra mondiale, la Resistenza, la lotta di
liberazione, la Costituzione della Repubblica italiana, ideali e realizzazioni della democrazia, tramonto del colonialismo
e nuovi stati del mondo, istituti ed organizzazioni per la cooperazione tra i popoli, comunità europea”.
esistevano cattedre di storia contemporanea10. La seconda, sostanziale, era che la
realtà italiana era intessuta da contraddizioni politiche, contrasti civili e memorie
divise proprio mentre cominciava ad attuarsi la speranza d’integrazione europea
che in Italia l’antifascismo di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi aveva generato.
Non esisteva nel nostro paese una “sintesi repubblicana” su cui fondare la
cittadinanza e da cui partire per l’incontro con l’Europa. Il viaggio degli italiani
verso la democrazia è avvenuto sui binari di appartenenze separate, osservava
Pietro Scoppola11, e la repubblica si è sostenuta su un “noi” profondamente
diviso12. E poiché la Costituzione aveva una matrice antifascista, e la parola
d’ordine era “tenere la scuola lontana dalla politica”, in moltissimi casi si preferiva
il silenzio.
       Il lungo Sessantotto della scuola italiana forzò il blocco con una voglia di
cittadinanza del mondo che produsse altri contrasti e altre lotte ma aprì nella
scuola una nuova attenzione al presente. Si leggeva e si discuteva furiosamente su
tutto, le aule furono aperte agli operai e alle casalinghe delle 150 ore ma, con il
passaggio alla seconda modernità degli anni Ottanta, il blocco si ricostituì.
       Con le successive riforme l’educazione civica non cambiò, né con le proposte
ambiziose13 né con la ricerca di più definiti tratti di strada14.
       Continuava a mancare lo sfondo necessario di ogni discorso sulla
cittadinanza democratica, l’orizzonte storico, etico e politico dei diritti umani, e
non si affrontava il nodo dei problemi didattici che nascono quando bisogna dare
corpo all’astratto. Perché la concretezza dello sguardo bambino mette a fuoco il
vicino nel tempo e nello spazio e il resto, se non ha ancoraggi, può sfumare nel
10
   Su tutto ciò vedi L. Baldissara, M. Legnani, M. Pedrolo, Storia contemporanea e università. Inchiesta sui corsi di
laurea in storia, Ed. F. Angeli, Milano, 1993.
11
   P. Scoppola, La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, il Mulino, Bologna, 1997.
12
   R. Bodei, Il noi diviso. Ethos e idee dell'Italia repubblicana, Einaudi, Torino, 1998; F. De Felice, La questione della
nazione repubblicana, Laterza, Roma-Bari, 1999; P. Pezzino, Senza Stato. Le radici storiche della crisi italiana,
Laterza, Roma-Bari, 2002.
13
   Programmi Scuola media, D M 9 febbraio 1979: “L'educazione civica, intesa come finalità essenziale dell'azione
formativa della scuola, esige il responsabile impegno di tutti i docenti e la convergenza educativa di tutte le discipline e
di ogni aspetto della vita scolastica; essa è, pertanto un grande campo di raccordo culturale, interdisciplinare, che ha
anche suoi contenuti specifici rappresentati dalle informazioni sulle forme e sulle caratteristiche principali della vita
sociale e politica del Paese e che richiede interventi coordinati del Consiglio di classe intesi a far maturare la coscienza
delle responsabilità morali, civiche, politiche, sociali, personali e comunitarie di fronte ai problemi dell'umanità, nel
contesto sociale italiano, europeo, mondiale e, quindi, a fare acquisire comportamenti civilmente e socialmente
responsabili. […] la scuola media favorirà anche la formazione del cittadino dell'Europa e del mondo, educando […]
alla intuizione di valori comuni agli uomini per nella diversità delle civiltà, delle culture e delle strutture politiche”.
14
   Programmi Scuola elementare, DPR 12 febbraio 1985, n 104: “è necessario prendere in esame anche elementi relativi
all'organizzazione politica nazionale ed internazionale, con particolare riguardo all'Europa comunitaria, e al sistema
giuridico che la regge. Lo studio dei caratteri fondamentali della nostra Costituzione, visti anche nelle loro matrici
storiche ideali, consente di individuare gli elementi portanti del nostro sistema democratico”.
fantastico. Perché l’astratto presentato ai giovani difficilmente tende a convertirsi
in esplorazione del concreto. È impossibile risolvere i problemi se non si considera
che la scuola è formativa per i saperi che trasmette ma soprattutto per “come fa” a
determinare l’apprendimento. Forse la qualità più alta della cittadinanza è proprio
nell’esercizio della libertà di ricerca, di analisi, di accesso alle fonti d’informazione
e di espressione. È dunque accettabile che la scuola si fondi sui principi opposti?
        Per tale motivo, intorno al nocciolo dell’educazione civica, diverse scuole negli
anni ’80 e ‘90 hanno sperimentato percorsi attivi di cittadinanza scavalcando i
confini tra il locale, il nazionale, l’Europa e il mondo15, affrontando le differenze e
le pari opportunità, le culture e i loro rapporti, la legalità, la pace, la gestione
creativa dei conflitti, il dialogo interculturale e lo sviluppo sostenibile, l’ambiente e
il patrimonio culturale. Nuove esperienze didattiche da cui le vecchie discipline
sono state sollecitate a nuove reciproche solidarietà.
        Il Ministero nel 1990 per interpretare e stimolare il bisogno di confrontarsi
con la realtà lanciò un progetto generale di “educazione alla salute”16, che poi
diventò il Progetto Giovani ‘92 (poi ‘93) riferendosi alla data della vicina
costituzione dell’Unione Europea. Nel 1991, puntando alla data simbolica del
nuovo millennio, nacque il Progetto Ragazzi 200017 per connettere lo star bene
individuale (l'educazione fisica, sanitaria e alimentare, sessuale, l’orientamento, la
lotta contro la dispersione scolastica) ad un futuro impegnativo attraverso
l'educazione ambientale, ai diritti umani e alla pace, alla cooperazione e allo
sviluppo, all'integrazione fra diversi.
        Nel 1997 in poi con il decentramento del sistema scolastico18 la progettualità
formativa si diffuse a vari livelli, stato, regioni, enti territoriali, istituzioni
scolastiche autonome sostenute da un’apposita legge19.
15
   Questo itinerario, se fosse stato perseguito coerentemente, avrebbe potuto condurre all’incontro con l’Europa: “La
cittadinanza ha sempre un rapporto con lo spazio, quali che siano la sua dimensione e i suoi limiti. Nelle loro politiche
educative, tutti i paesi considerano il fatto che i futuri cittadini appartengono a differenti entità, a saperi locali, regionali,
nazionali, europei, internazionali, o globali” in Éducation & formation 2010 - L'urgence des réformes pour réussir la
stratégie de Lisbonne. Rapport intermédiaire conjoint du Conseil et de la Commission sur la mise en oeuvre du
programme de travail détaillé concernant le suivi des objectifs des systèmes d'éducation et de formation en Europe,
EDUC 43 6905/04.Conseil de l'Union européenne, Bruxelles 2004. - p. 42.
16
   Legge 26 giugno 1990, n. 162; conosciuta dall'opinione pubblica come “legge sulla punibilità del tossicodipendente”,
assegnava alla scuola nuove prospettive d'impegno.
17
   Circolare Ministeriale 2 agosto 1991, n. 240.
18
   La legge 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti
locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione”, all’art. 21 prevede l’autonomia delle
istituzioni scolastiche.
19
   Legge 10 dicembre 1997, n. 440, concernente l’istituzione del fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta
formativa e per gli interventi perequativi. Nel tempo tale fondo si è sensibilmente assottigliato soprattutto nell’ultimo
Nel maggio 1998 molti governi20 costituirono la Task Force per la
cooperazione internazionale sull'educazione, la memoria, la ricerca sull'Olocausto, e
l’Italia varò il progetto “Il ‘900. I giovani e la memoria”21 per incentivare nelle
scuole visite ai lager nazisti nell’ambito di iniziative per la conoscenza storica e la
formazione civile. Nello stesso anno un accordo quadro22 fra il Ministero per i Beni
e le Attività Culturali e il Ministero della Pubblica Istruzione favoriva “il diritto di
ogni cittadino ad essere educato alla conoscenza e all’uso consapevole del
patrimonio culturale”. La concertazione fra scuole e istituzioni del territorio creò le
premesse per una didattica dei beni culturali23 che facesse convergere episodiche e
sparse iniziative nella piena consapevolezza disciplinare e pedagogica. I confini
dell’educazione civica esplodevano.
       Nel 1996 aveva fatto un passo avanti lo studio del Novecento con il “Decreto
Berlinguer”24 che gli riservava l’ultimo anno delle superiori, essendo a tutti chiara
l’impossibilità di un percorso di storia dal 1815 al tempo attuale. Si formava così
la necessaria cornice storica per il discorso sulla cittadinanza italiana ed europea,
e tuttavia la vecchia scansione trovò molti accesi difensori.
       La scuola era meno che mai un blocco omogeneo. Fra tanti stili e tante realtà
scolastiche l’equilibrio fra gli obblighi curricolari e l’impegno nelle innovazioni era
sostenuto, con esiti più o meno felici, da una quota ampia di volontariato docente.
Perché si passasse dal volontariato disorganico al sistema, occorreva lo sforzo di
una grande riforma con adeguati investimenti nel bilancio statale. Questi non
giunsero mai, anzi negli ultimi tempi tagli consistenti “razionalizzano il sistema
scuola”.
       Nel 1996 il ministro Lombardi affidò a una commissione25 il compito di
ripensare        l’educazione         civica      recependo         i    documenti          degli     organismi
sovranazionali, dall’UNESCO al Consiglio d’Europa all’OMS. Ne nacque una
direttiva ministeriale con una bozza di decreto e il documento “Nuove dimensioni
formative, educazione civica e cultura costituzionale”26, che non ebbero effetto per

periodo.
20
   Svedese, inglese, americano, tedesco, israeliano, polacco, olandese, francese, italiano.
21
   Circolare Ministeriale 9 ottobre 1998, n. 411.
22
   Circolare MPI del 16 luglio 1998, n. 312.
23
   L’accordo fu preceduto dalla Récommandation N° R (98) 5 du Comité des Ministres aux Etats membres relative à la
pédagogie du Patrimoine e dalla legge 8 ottobre 1997, n. 352, “Disposizioni sui beni culturali”.
24
   DM 4 novembre 1996, n. 682.
25
   Presieduta dal pedagogista Luciano Corradini.
26
   Direttiva 8 febbraio 1996, n. 58.
la caduta del governo Dini ma in cui si riconosceva che “le attività extracurricolari
e i diversi momenti della vita scolastica, con modalità flessibili, anche in relazione
all'autonomia delle singole scuole” concorrevano a formare cittadini. Si osservava,
d’altra parte, che “i cataloghi di bisogni/valori/diritti che norme e documenti
internazionali propongono come condizioni per la vita umana e come guide e
criteri per l'azione educativa, anche della scuola, sono riconducibili all'educazione
alla democrazia e ai diritti umani, in particolare alla libertà, alla giustizia, al
lavoro, alla legalità, alla pace, allo sviluppo, alla salute, alla solidarietà, alla
sicurezza, alla sessualità, al senso, alla scienza, allo studio, all'identità,
all'intercultura,        all'ambiente,        all'alimentazione,           alla    famiglia,      alla     nazione,
all'Europa, al Mondo” mentre, “investita da questa raffica di proposte, che possono
rimotivarla o deprimerla, […] la scuola reagisce con difficoltà, incerta fra compiti di
tipo disciplinare e compiti di tipo trasversale”.
       Il ministro Berlinguer tentò di avviare la “grande riforma” con la nomina di
una Commissione di esperti (i “saggi”) che cominciò da una domanda
semplicissima, che generò infinite discussioni: perché si mandano i ragazzi a
scuola? per imparare che cosa?27 L’orizzonte era quello di un mondo sempre più
complesso, il punto di partenza quello dell’identità personale e, in mezzo, le vie dei
saperi e delle competenze: “Nella definizione dei fondamentali occorre muovere
non da un a-priori ideologico, […] ma dall'esigenza di definire saperi e valori che
possano risultare comuni a tutti i cittadini, indipendentemente dalla religione,
dall'etnia, dallo stato sociale, dal sesso, al termine del percorso della scolarità
obbligatoria”28. Nel documento finale si leggeva: “In questo contesto viene
rivitalizzata l'educazione civica per una cittadinanza critica e responsabile”29.
       Il processo era giunto alla stesura dei curricula per la scuola di base quando
cambiò il governo. Il ministero Moratti riuscì a produrre per la sola scuola di base
la legge delega 53/2003 in cui si prevedeva l’“educazione ai principi fondamentali
della convivenza civile” articolata in sei “educazioni”30: alla cittadinanza, alla
sicurezza stradale, all’ambiente, alla salute, all’alimentazione, all’affettività e
27
   AA.VV, Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana dei prossimi decenni. I
materiali della Commissione dei Saggi, Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, n. 78, Ed. Le
Monnier, Firenze, 1997.
28
   Ibidem.
29
    Il documento dei saggi. I contenuti essenziali per la formazione di base, documento redatto da Roberto Maragliano,
Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe, Mario Vegetti, sulla base dei lavori della
Commissione (gennaio/maggio 1997).
30
   DL 19 febbraio 2004, n.59.
sessualità. L’elenco, rispetto al “Documento” del 1996, si semplificava. C’erano lati
dubbi: in controtendenza rispetto ai Paesi europei l’educazione ambientale
assorbiva quella al patrimonio culturale con uno strappo epistemologico31;
l’educazione          alla     cittadinanza           entrava        nella      “convivenza          civile”      al    pari
dell’educazione stradale, appiattendo livelli diversi; in che modo l’insegnamento
della matematica avrebbe dovuto “anche lievitare comportamenti personali
adeguati”? E così via, ma i problemi maggiori erano altri. Le sei educazioni erano
molto debolmente collegate all’intero arco disciplinare nelle condizioni di orari,
contenuti e struttura delle materie esistenti con l’obiettivo generico di una
convivenza “civile”, aggettivo preferito a “democratico”32, difficilmente collocata in
una “prospettiva locale, nazionale, europea e mondiale”.
       Il successivo ministero Fioroni riconsiderò il piano generale chiamando una
commissione33 a riflettere su “Cultura, scuola, persona”34, in cui lo sfondo europeo
e mondiale era molto visibile anche per l’influsso determinante di Edgar Morin, fra
gli altri. Il governo però cadde prima di completare l’opera.
       Il nuovo ministero Gelmini ha ricominciato il percorso ristabilendo, come ai
tempi di Moro, una disciplina che avrebbe dovuto andare a regime nella scuola di
base nel 2010/2011, con un voto autonomo (Moro non lo prevedeva) e un orario
da ricavare “nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte-
ore complessivo previsto per le stesse”35. Intanto, però, queste “aree” non esistono
più perché la riforma Moratti aveva ripristinato e discipline, con un orario
complessivo ridotto di un terzo per la scomparsa delle scienze sociali: la storia
dovrebbe adesso cedere un ulteriore spazio alla nuova materia. Intanto un
concorso ministeriale ha selezionato le scuole che stanno sperimentando in
autonomia diversi modi di affrontare il problema: i lavori sono in corso e se ne
attendono gli esiti.




31
   “Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati nella Scuola primaria e nella Scuola Secondaria di 1°
grado”. Cfr. Silvia Mascheroni, Un’educazione che non c’è nelle “indicazioni nazionali”; v. http://www.clio92.it.
32
   Programmi Falcucci, DPR 12 febbraio 1985, n 104: “Educazione alla convivenza democratica. Il fanciullo sarà
portato a rendersi conto che ‘tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’ (art. 3 Cost.)”.
33
   Presieduta da Mauro Ceruti, professore ordinario di Filosofia della Scienza che ha introdotto in Italia l’epistemologia
della complessità.
34
   Reperibile al link: http://www.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicati/2007/allegati/indicazioni_nazionali.pdf
35
   Legge 30 ottobre 2008, n. 169.
Nei Regolamenti appena pubblicati36 per la riforma dei Licei si legge: “Le
attività e gli insegnamenti relativi a ‘Cittadinanza e Costituzione’, di cui all’art. 1
del decreto legge 1 settembre 2008 n. 137 convertito con modificazioni dalla legge
30 ottobre 2008 n. 169, si sviluppano nell’ambito delle aree storico-geografica e
storico-sociale nel monte-ore in esse previsto, con riferimento all’insegnamento di
‘Diritto ed economia’ o, in sua mancanza, all’insegnamento di ‘Storia’ ”.
          Per gli Istituti tecnici e professionali invece si prevede: “Le attività e gli
insegnamenti relativi a “Cittadinanza e Costituzione” di cui all’art. 1 del decreto
legge 1 settembre 2008 n. 137 convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre
2008 n. 169, coinvolgono tutti gli ambiti disciplinari e si sviluppano, in
particolare, in quelli di interesse storico-sociale e giuridico-economico”.
“Nell’ambito delle ore”: stando al disegno di legge del 1.8.2008, approvato dal
Consiglio dei Ministri, si prevede “l’istituzione per legge della “disciplina
denominata Cittadinanza e Costituzione, individuata nelle aree storico-geografica e
storico-sociale ed oggetto di specifica valutazione”, con una propria dotazione
oraria di trentatre ore annue e con voto distinto per tutti gli ordini e gradi di
scuola”. trentatre ore: l’insegnamento di Storia e Geografia nei Licei, ad esempio,
nella maggio parte degli indirizzi e delle classi ne prevede sessantasei. Negli altri
Istituti dipende.
Gli obiettivi della disciplina però sono affascinanti e colgono un’urgenza
indiscutibile:
         “Il cammino compiuto dalla nostra società, in ambito nazionale e
         internazionale, ha posto negli ultimi decenni il problema di pensare ai valori
         civici e sociali in orizzonti più vasti di quelli con cui sono state educate le
         generazioni precedenti l’attuale popolazione scolastica. La planetarizzazione
         dei problemi, delle interdipendenze, delle culture, delle conoscenze e dei diritti
         umani, ma anche dell’indifferentismo, del fanatismo, del particolarismo, della
         delinquenza organizzata, delle possibili catastrofi non solo ambientali, richiede
         un notevole sforzo di conoscenza, di comprensione, di impegno critico, e
         anche di sopportazione del peso di una convivenza che appare per più aspetti
         problematica, dal livello locale al livello mondiale.
         E la presenza nelle nostre classi di ragazzi che provengono da diversi paesi,
         con diverse lingue, culture, religioni e tradizioni, pone il problema di costruire
         itinerari formativi che valorizzino il dialogo e il confronto fra i modi diversi con
         cui in diversi paesi vengono adottati costumi ed elaborate costituzioni e norme
         non sempre compatibili con le nostre. Le scelte compiute dalla Costituzione
         italiana, in armonia con la Carta europea e con la dottrina internazionale dei
         diritti umani, costituiscono non solo un fattore identitario per il nostro popolo,
         ma anche un fattore di apertura per chiunque sui diritti di tutti e un impegno
         di lotta nei riguardi delle discriminazioni e delle prevaricazioni”.
36
     23 febbraio 2010
Trentatre ore per la Storia insieme alla Geografia, senza di cui non c’è
consapevolezza né dei vasti orizzonti né della planetarizzazione dei problemi:
un’ora alla settimana.
Trentatre ore per Cittadinanza e Costituzione, per un notevole sforzo di
conoscenza, di comprensione, di impegno critico verso una convivenza che appare
per più aspetti problematica, dal livello locale al livello mondiale: un’ora alla
settimana.
Sessantasei ore in tutto l’anno. Se va bene.

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Aurora Delmonaco: storia minima

  • 1. STORIA MINIMA DI UN RAPPORTO COMPLESSO SCUOLA E CITTADINANZA AURORA DELMONACO Quando le maestre dell’Italia liberale insegnavano ai ragazzini a leggere, scrivere, far di conto e amare la patria, le barriere di genere, ceto e nazionalità erano il modello di una cittadinanza da costruire1. Poi la scuola diventò lo strumento politico dello Stato etico che dal “cittadino” intendeva estrarre il “fascista”. Questa sovrapposizione tra educazione e politica ha generato anticorpi resistenti (“a scuola non si fa politica!”) ma anche un’aspirazione diffusa a un chiuso mondo sicuro, magari delegandone ad altri la responsabilità. Dopo la guerra era necessario trasformare i sudditi in cittadini. “È miracolo che solo la scuola può compiere” scrisse Calamandrei2. Le indicazioni venivano dalla pedagogia progressiva degli Stati Uniti, dalla scuola di Dewey per ispirazione alleata3, ma anche dal cuore stesso della Resistenza: “Scuola è vita. C’è a Milano una scuola democratica. Cinque partigiani se l’erano sognata in montagna”4, e nacquero i Convitti-scuola della Rinascita, anche se ebbero vita piuttosto breve. Era necessario un rapporto nuovo fra la scuola e la democrazia, ma per i programmi delle superiori bastò una sommaria ripulitura dalle impronte fasciste, mentre per quelli delle elementari l’attivismo deweyano, un empirismo pratico non sempre coerente e spunti neoidealistici trovarono un compromesso nobilitato dal sigillo cattolico. Questo fu ancora più chiaramente ribadito nella premessa dei nuovi programmi del 1955: la formazione ha “per dettato esplicito della legge, come suo fondamento e coronamento l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”5. Eppure l’11 dicembre 1947 l’Assemblea Costituente aveva votato un ordine del giorno di Aldo Moro perché la 1 Nel catalogo dei manuali scolastici dell’editore Remo Sandron per l’anno 1900 troviamo, debitamente approvati dal Ministero, T. e F. Orsi, Senno e virtù. Letture educative ad uso delle scuole elementari maschili; degli stessi, Pensieri ed affetti. Letture educative ad uso delle scuole elementari femminili; infine, Dalla scuola ai campi. Letture educative ad uso delle scuole rurali. V. A. Delmonaco, La signorina a quadretti e altre lavoratrici insegnanti, in G. Chianese (a cura di), Mondi femminili in cento anni di sindacato, vol. 1, Ediesse edizioni, Roma, 2008, pp. 209-272. 2 P. Calamandrei, Contro il privilegio dell’istruzione, in “Il Ponte”, n. 1, gennaio 1946, pp. 4-5 3 Allievo di Dewey, il colonnello-pedagogista Carleton Wolsey Washburne lasciò l’esperimento di Winnetka, di cui era stato l’anima, per dirigere nell’Italia liberata la Sottocommissione alleata per l’istruzione pubblica. 4 L. Succi, in “Il Politecnico”, n. 23, 1946, cit. in M. T. Sega (a cura), La scuola fa la storia. Gli archivi scolastici per la ricerca e la didattica, Ediciclo-nuovadimensione, Perugia, 2002, p. 161. 5 DPR 14 giugno 1955, n. 503.
  • 2. nuova Carta trovasse “senza indugio adeguato posto nel quadro didattico nella scuola di ogni ordine e grado”. Per formare cittadini democratici era dunque necessario aprire le aule alla Costituzione, ma solo nel 1958 lo stesso Moro, ministro della Pubblica Istruzione, introdusse nelle scuole secondarie l’educazione civica perché mirasse “a suscitare nei giovani un impulso morale a secondare e promuovere la libera e solidale ascesa delle persone nella società” giovandosi tuttavia “di un costante riferimento alla Costituzione della Repubblica, che rappresenta il culmine della nostra attuale esperienza storica, e nei cui principi fondamentali si esprimono i valori morali che integrano la trama spirituale della nostra civile convivenza”6. Il dettato costituzionale si costituiva come sfondo comune a tutte le materie, stimolo ideale della vita scolastica e cuore di una disciplina specifica abbinata alla storia con un unico voto e due ore mensili, il tutto inquadrato nella “biografia della nazione” per ricostruire i pilastri civili della casa Italia. Nel frattempo si cominciava a costruire la casa europea. L’educazione civica non riuscì a trovare l’anima e la forza di una paideia convincente per la tendenza a farne oggetto di esortazioni morali più che di analisi e riflessione, per la collocazione oraria della materia7 che dava di essa una percezione debole, ma soprattutto perché il suo contenuto evitava il nodo caldo della Costituzione, la storia recente. Prima del 1960 a scuola i programmi di storia si fermavano alla Prima Guerra Mondiale e fu necessaria una battaglia culturale, vinta solo dopo l’estate del governo Tambroni, perché dal novembre 19608 i programmi includessero la Resistenza e l’età presente9. Che poi lo si facesse davvero, è da vedere. In moltissimi casi il limite del 1918 restò invalicato e l’educazione civica fu un proposito assolto, se fu assolto, in modo formale e sbrigativo. Esistevano due difficoltà per una didattica della storia recente e per l’educazione ad una cittadinanza vera, aperta, serena. La prima era l’impreparazione degli insegnanti poiché prima degli anni ’60 nelle Università non 6 DPR 13 giugno 1958, n. 585. 7 Era inserita in una disciplina come la storia, che a sua volta o era inclusa nel gruppo letterario in cui l’italiano era materia-principe, o era abbinata alla più “prestigiosa” filosofia. 8 DPR 6 novembre 1960, n. 1457. 9 La circolare 19 novembre 1960, n. 443 del ministro della Pubblica Istruzione Bosco stabilisce che nei licei e istituti magistrali l’ultimo anno di insegnamento della storia debba incentrarsi su “la guerra mondiale, la Resistenza, la lotta di liberazione, la Costituzione della Repubblica italiana, ideali e realizzazioni della democrazia, tramonto del colonialismo e nuovi stati del mondo, istituti ed organizzazioni per la cooperazione tra i popoli, comunità europea”.
  • 3. esistevano cattedre di storia contemporanea10. La seconda, sostanziale, era che la realtà italiana era intessuta da contraddizioni politiche, contrasti civili e memorie divise proprio mentre cominciava ad attuarsi la speranza d’integrazione europea che in Italia l’antifascismo di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi aveva generato. Non esisteva nel nostro paese una “sintesi repubblicana” su cui fondare la cittadinanza e da cui partire per l’incontro con l’Europa. Il viaggio degli italiani verso la democrazia è avvenuto sui binari di appartenenze separate, osservava Pietro Scoppola11, e la repubblica si è sostenuta su un “noi” profondamente diviso12. E poiché la Costituzione aveva una matrice antifascista, e la parola d’ordine era “tenere la scuola lontana dalla politica”, in moltissimi casi si preferiva il silenzio. Il lungo Sessantotto della scuola italiana forzò il blocco con una voglia di cittadinanza del mondo che produsse altri contrasti e altre lotte ma aprì nella scuola una nuova attenzione al presente. Si leggeva e si discuteva furiosamente su tutto, le aule furono aperte agli operai e alle casalinghe delle 150 ore ma, con il passaggio alla seconda modernità degli anni Ottanta, il blocco si ricostituì. Con le successive riforme l’educazione civica non cambiò, né con le proposte ambiziose13 né con la ricerca di più definiti tratti di strada14. Continuava a mancare lo sfondo necessario di ogni discorso sulla cittadinanza democratica, l’orizzonte storico, etico e politico dei diritti umani, e non si affrontava il nodo dei problemi didattici che nascono quando bisogna dare corpo all’astratto. Perché la concretezza dello sguardo bambino mette a fuoco il vicino nel tempo e nello spazio e il resto, se non ha ancoraggi, può sfumare nel 10 Su tutto ciò vedi L. Baldissara, M. Legnani, M. Pedrolo, Storia contemporanea e università. Inchiesta sui corsi di laurea in storia, Ed. F. Angeli, Milano, 1993. 11 P. Scoppola, La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, il Mulino, Bologna, 1997. 12 R. Bodei, Il noi diviso. Ethos e idee dell'Italia repubblicana, Einaudi, Torino, 1998; F. De Felice, La questione della nazione repubblicana, Laterza, Roma-Bari, 1999; P. Pezzino, Senza Stato. Le radici storiche della crisi italiana, Laterza, Roma-Bari, 2002. 13 Programmi Scuola media, D M 9 febbraio 1979: “L'educazione civica, intesa come finalità essenziale dell'azione formativa della scuola, esige il responsabile impegno di tutti i docenti e la convergenza educativa di tutte le discipline e di ogni aspetto della vita scolastica; essa è, pertanto un grande campo di raccordo culturale, interdisciplinare, che ha anche suoi contenuti specifici rappresentati dalle informazioni sulle forme e sulle caratteristiche principali della vita sociale e politica del Paese e che richiede interventi coordinati del Consiglio di classe intesi a far maturare la coscienza delle responsabilità morali, civiche, politiche, sociali, personali e comunitarie di fronte ai problemi dell'umanità, nel contesto sociale italiano, europeo, mondiale e, quindi, a fare acquisire comportamenti civilmente e socialmente responsabili. […] la scuola media favorirà anche la formazione del cittadino dell'Europa e del mondo, educando […] alla intuizione di valori comuni agli uomini per nella diversità delle civiltà, delle culture e delle strutture politiche”. 14 Programmi Scuola elementare, DPR 12 febbraio 1985, n 104: “è necessario prendere in esame anche elementi relativi all'organizzazione politica nazionale ed internazionale, con particolare riguardo all'Europa comunitaria, e al sistema giuridico che la regge. Lo studio dei caratteri fondamentali della nostra Costituzione, visti anche nelle loro matrici storiche ideali, consente di individuare gli elementi portanti del nostro sistema democratico”.
  • 4. fantastico. Perché l’astratto presentato ai giovani difficilmente tende a convertirsi in esplorazione del concreto. È impossibile risolvere i problemi se non si considera che la scuola è formativa per i saperi che trasmette ma soprattutto per “come fa” a determinare l’apprendimento. Forse la qualità più alta della cittadinanza è proprio nell’esercizio della libertà di ricerca, di analisi, di accesso alle fonti d’informazione e di espressione. È dunque accettabile che la scuola si fondi sui principi opposti? Per tale motivo, intorno al nocciolo dell’educazione civica, diverse scuole negli anni ’80 e ‘90 hanno sperimentato percorsi attivi di cittadinanza scavalcando i confini tra il locale, il nazionale, l’Europa e il mondo15, affrontando le differenze e le pari opportunità, le culture e i loro rapporti, la legalità, la pace, la gestione creativa dei conflitti, il dialogo interculturale e lo sviluppo sostenibile, l’ambiente e il patrimonio culturale. Nuove esperienze didattiche da cui le vecchie discipline sono state sollecitate a nuove reciproche solidarietà. Il Ministero nel 1990 per interpretare e stimolare il bisogno di confrontarsi con la realtà lanciò un progetto generale di “educazione alla salute”16, che poi diventò il Progetto Giovani ‘92 (poi ‘93) riferendosi alla data della vicina costituzione dell’Unione Europea. Nel 1991, puntando alla data simbolica del nuovo millennio, nacque il Progetto Ragazzi 200017 per connettere lo star bene individuale (l'educazione fisica, sanitaria e alimentare, sessuale, l’orientamento, la lotta contro la dispersione scolastica) ad un futuro impegnativo attraverso l'educazione ambientale, ai diritti umani e alla pace, alla cooperazione e allo sviluppo, all'integrazione fra diversi. Nel 1997 in poi con il decentramento del sistema scolastico18 la progettualità formativa si diffuse a vari livelli, stato, regioni, enti territoriali, istituzioni scolastiche autonome sostenute da un’apposita legge19. 15 Questo itinerario, se fosse stato perseguito coerentemente, avrebbe potuto condurre all’incontro con l’Europa: “La cittadinanza ha sempre un rapporto con lo spazio, quali che siano la sua dimensione e i suoi limiti. Nelle loro politiche educative, tutti i paesi considerano il fatto che i futuri cittadini appartengono a differenti entità, a saperi locali, regionali, nazionali, europei, internazionali, o globali” in Éducation & formation 2010 - L'urgence des réformes pour réussir la stratégie de Lisbonne. Rapport intermédiaire conjoint du Conseil et de la Commission sur la mise en oeuvre du programme de travail détaillé concernant le suivi des objectifs des systèmes d'éducation et de formation en Europe, EDUC 43 6905/04.Conseil de l'Union européenne, Bruxelles 2004. - p. 42. 16 Legge 26 giugno 1990, n. 162; conosciuta dall'opinione pubblica come “legge sulla punibilità del tossicodipendente”, assegnava alla scuola nuove prospettive d'impegno. 17 Circolare Ministeriale 2 agosto 1991, n. 240. 18 La legge 15 marzo 1997, n. 59, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione”, all’art. 21 prevede l’autonomia delle istituzioni scolastiche. 19 Legge 10 dicembre 1997, n. 440, concernente l’istituzione del fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi. Nel tempo tale fondo si è sensibilmente assottigliato soprattutto nell’ultimo
  • 5. Nel maggio 1998 molti governi20 costituirono la Task Force per la cooperazione internazionale sull'educazione, la memoria, la ricerca sull'Olocausto, e l’Italia varò il progetto “Il ‘900. I giovani e la memoria”21 per incentivare nelle scuole visite ai lager nazisti nell’ambito di iniziative per la conoscenza storica e la formazione civile. Nello stesso anno un accordo quadro22 fra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Ministero della Pubblica Istruzione favoriva “il diritto di ogni cittadino ad essere educato alla conoscenza e all’uso consapevole del patrimonio culturale”. La concertazione fra scuole e istituzioni del territorio creò le premesse per una didattica dei beni culturali23 che facesse convergere episodiche e sparse iniziative nella piena consapevolezza disciplinare e pedagogica. I confini dell’educazione civica esplodevano. Nel 1996 aveva fatto un passo avanti lo studio del Novecento con il “Decreto Berlinguer”24 che gli riservava l’ultimo anno delle superiori, essendo a tutti chiara l’impossibilità di un percorso di storia dal 1815 al tempo attuale. Si formava così la necessaria cornice storica per il discorso sulla cittadinanza italiana ed europea, e tuttavia la vecchia scansione trovò molti accesi difensori. La scuola era meno che mai un blocco omogeneo. Fra tanti stili e tante realtà scolastiche l’equilibrio fra gli obblighi curricolari e l’impegno nelle innovazioni era sostenuto, con esiti più o meno felici, da una quota ampia di volontariato docente. Perché si passasse dal volontariato disorganico al sistema, occorreva lo sforzo di una grande riforma con adeguati investimenti nel bilancio statale. Questi non giunsero mai, anzi negli ultimi tempi tagli consistenti “razionalizzano il sistema scuola”. Nel 1996 il ministro Lombardi affidò a una commissione25 il compito di ripensare l’educazione civica recependo i documenti degli organismi sovranazionali, dall’UNESCO al Consiglio d’Europa all’OMS. Ne nacque una direttiva ministeriale con una bozza di decreto e il documento “Nuove dimensioni formative, educazione civica e cultura costituzionale”26, che non ebbero effetto per periodo. 20 Svedese, inglese, americano, tedesco, israeliano, polacco, olandese, francese, italiano. 21 Circolare Ministeriale 9 ottobre 1998, n. 411. 22 Circolare MPI del 16 luglio 1998, n. 312. 23 L’accordo fu preceduto dalla Récommandation N° R (98) 5 du Comité des Ministres aux Etats membres relative à la pédagogie du Patrimoine e dalla legge 8 ottobre 1997, n. 352, “Disposizioni sui beni culturali”. 24 DM 4 novembre 1996, n. 682. 25 Presieduta dal pedagogista Luciano Corradini. 26 Direttiva 8 febbraio 1996, n. 58.
  • 6. la caduta del governo Dini ma in cui si riconosceva che “le attività extracurricolari e i diversi momenti della vita scolastica, con modalità flessibili, anche in relazione all'autonomia delle singole scuole” concorrevano a formare cittadini. Si osservava, d’altra parte, che “i cataloghi di bisogni/valori/diritti che norme e documenti internazionali propongono come condizioni per la vita umana e come guide e criteri per l'azione educativa, anche della scuola, sono riconducibili all'educazione alla democrazia e ai diritti umani, in particolare alla libertà, alla giustizia, al lavoro, alla legalità, alla pace, allo sviluppo, alla salute, alla solidarietà, alla sicurezza, alla sessualità, al senso, alla scienza, allo studio, all'identità, all'intercultura, all'ambiente, all'alimentazione, alla famiglia, alla nazione, all'Europa, al Mondo” mentre, “investita da questa raffica di proposte, che possono rimotivarla o deprimerla, […] la scuola reagisce con difficoltà, incerta fra compiti di tipo disciplinare e compiti di tipo trasversale”. Il ministro Berlinguer tentò di avviare la “grande riforma” con la nomina di una Commissione di esperti (i “saggi”) che cominciò da una domanda semplicissima, che generò infinite discussioni: perché si mandano i ragazzi a scuola? per imparare che cosa?27 L’orizzonte era quello di un mondo sempre più complesso, il punto di partenza quello dell’identità personale e, in mezzo, le vie dei saperi e delle competenze: “Nella definizione dei fondamentali occorre muovere non da un a-priori ideologico, […] ma dall'esigenza di definire saperi e valori che possano risultare comuni a tutti i cittadini, indipendentemente dalla religione, dall'etnia, dallo stato sociale, dal sesso, al termine del percorso della scolarità obbligatoria”28. Nel documento finale si leggeva: “In questo contesto viene rivitalizzata l'educazione civica per una cittadinanza critica e responsabile”29. Il processo era giunto alla stesura dei curricula per la scuola di base quando cambiò il governo. Il ministero Moratti riuscì a produrre per la sola scuola di base la legge delega 53/2003 in cui si prevedeva l’“educazione ai principi fondamentali della convivenza civile” articolata in sei “educazioni”30: alla cittadinanza, alla sicurezza stradale, all’ambiente, alla salute, all’alimentazione, all’affettività e 27 AA.VV, Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana dei prossimi decenni. I materiali della Commissione dei Saggi, Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, n. 78, Ed. Le Monnier, Firenze, 1997. 28 Ibidem. 29 Il documento dei saggi. I contenuti essenziali per la formazione di base, documento redatto da Roberto Maragliano, Clotilde Pontecorvo, Giovanni Reale, Luisa Ribolzi, Silvano Tagliagambe, Mario Vegetti, sulla base dei lavori della Commissione (gennaio/maggio 1997). 30 DL 19 febbraio 2004, n.59.
  • 7. sessualità. L’elenco, rispetto al “Documento” del 1996, si semplificava. C’erano lati dubbi: in controtendenza rispetto ai Paesi europei l’educazione ambientale assorbiva quella al patrimonio culturale con uno strappo epistemologico31; l’educazione alla cittadinanza entrava nella “convivenza civile” al pari dell’educazione stradale, appiattendo livelli diversi; in che modo l’insegnamento della matematica avrebbe dovuto “anche lievitare comportamenti personali adeguati”? E così via, ma i problemi maggiori erano altri. Le sei educazioni erano molto debolmente collegate all’intero arco disciplinare nelle condizioni di orari, contenuti e struttura delle materie esistenti con l’obiettivo generico di una convivenza “civile”, aggettivo preferito a “democratico”32, difficilmente collocata in una “prospettiva locale, nazionale, europea e mondiale”. Il successivo ministero Fioroni riconsiderò il piano generale chiamando una commissione33 a riflettere su “Cultura, scuola, persona”34, in cui lo sfondo europeo e mondiale era molto visibile anche per l’influsso determinante di Edgar Morin, fra gli altri. Il governo però cadde prima di completare l’opera. Il nuovo ministero Gelmini ha ricominciato il percorso ristabilendo, come ai tempi di Moro, una disciplina che avrebbe dovuto andare a regime nella scuola di base nel 2010/2011, con un voto autonomo (Moro non lo prevedeva) e un orario da ricavare “nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte- ore complessivo previsto per le stesse”35. Intanto, però, queste “aree” non esistono più perché la riforma Moratti aveva ripristinato e discipline, con un orario complessivo ridotto di un terzo per la scomparsa delle scienze sociali: la storia dovrebbe adesso cedere un ulteriore spazio alla nuova materia. Intanto un concorso ministeriale ha selezionato le scuole che stanno sperimentando in autonomia diversi modi di affrontare il problema: i lavori sono in corso e se ne attendono gli esiti. 31 “Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati nella Scuola primaria e nella Scuola Secondaria di 1° grado”. Cfr. Silvia Mascheroni, Un’educazione che non c’è nelle “indicazioni nazionali”; v. http://www.clio92.it. 32 Programmi Falcucci, DPR 12 febbraio 1985, n 104: “Educazione alla convivenza democratica. Il fanciullo sarà portato a rendersi conto che ‘tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali’ (art. 3 Cost.)”. 33 Presieduta da Mauro Ceruti, professore ordinario di Filosofia della Scienza che ha introdotto in Italia l’epistemologia della complessità. 34 Reperibile al link: http://www.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicati/2007/allegati/indicazioni_nazionali.pdf 35 Legge 30 ottobre 2008, n. 169.
  • 8. Nei Regolamenti appena pubblicati36 per la riforma dei Licei si legge: “Le attività e gli insegnamenti relativi a ‘Cittadinanza e Costituzione’, di cui all’art. 1 del decreto legge 1 settembre 2008 n. 137 convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2008 n. 169, si sviluppano nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale nel monte-ore in esse previsto, con riferimento all’insegnamento di ‘Diritto ed economia’ o, in sua mancanza, all’insegnamento di ‘Storia’ ”. Per gli Istituti tecnici e professionali invece si prevede: “Le attività e gli insegnamenti relativi a “Cittadinanza e Costituzione” di cui all’art. 1 del decreto legge 1 settembre 2008 n. 137 convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2008 n. 169, coinvolgono tutti gli ambiti disciplinari e si sviluppano, in particolare, in quelli di interesse storico-sociale e giuridico-economico”. “Nell’ambito delle ore”: stando al disegno di legge del 1.8.2008, approvato dal Consiglio dei Ministri, si prevede “l’istituzione per legge della “disciplina denominata Cittadinanza e Costituzione, individuata nelle aree storico-geografica e storico-sociale ed oggetto di specifica valutazione”, con una propria dotazione oraria di trentatre ore annue e con voto distinto per tutti gli ordini e gradi di scuola”. trentatre ore: l’insegnamento di Storia e Geografia nei Licei, ad esempio, nella maggio parte degli indirizzi e delle classi ne prevede sessantasei. Negli altri Istituti dipende. Gli obiettivi della disciplina però sono affascinanti e colgono un’urgenza indiscutibile: “Il cammino compiuto dalla nostra società, in ambito nazionale e internazionale, ha posto negli ultimi decenni il problema di pensare ai valori civici e sociali in orizzonti più vasti di quelli con cui sono state educate le generazioni precedenti l’attuale popolazione scolastica. La planetarizzazione dei problemi, delle interdipendenze, delle culture, delle conoscenze e dei diritti umani, ma anche dell’indifferentismo, del fanatismo, del particolarismo, della delinquenza organizzata, delle possibili catastrofi non solo ambientali, richiede un notevole sforzo di conoscenza, di comprensione, di impegno critico, e anche di sopportazione del peso di una convivenza che appare per più aspetti problematica, dal livello locale al livello mondiale. E la presenza nelle nostre classi di ragazzi che provengono da diversi paesi, con diverse lingue, culture, religioni e tradizioni, pone il problema di costruire itinerari formativi che valorizzino il dialogo e il confronto fra i modi diversi con cui in diversi paesi vengono adottati costumi ed elaborate costituzioni e norme non sempre compatibili con le nostre. Le scelte compiute dalla Costituzione italiana, in armonia con la Carta europea e con la dottrina internazionale dei diritti umani, costituiscono non solo un fattore identitario per il nostro popolo, ma anche un fattore di apertura per chiunque sui diritti di tutti e un impegno di lotta nei riguardi delle discriminazioni e delle prevaricazioni”. 36 23 febbraio 2010
  • 9. Trentatre ore per la Storia insieme alla Geografia, senza di cui non c’è consapevolezza né dei vasti orizzonti né della planetarizzazione dei problemi: un’ora alla settimana. Trentatre ore per Cittadinanza e Costituzione, per un notevole sforzo di conoscenza, di comprensione, di impegno critico verso una convivenza che appare per più aspetti problematica, dal livello locale al livello mondiale: un’ora alla settimana. Sessantasei ore in tutto l’anno. Se va bene.