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Guerra

i

e.

Canti! patriottici
del

X

n

Popolo
^

Italiano

cura di

RINf^LDO

CrtDDEO
S'^

Edizione

aumentata
Presented to the

LIBRARY of the
UNIVERSITY OF TORONTO
from
the estate of

GIORGIO BANDINI
'NNI DI

GUERRA
PROPRIETÀ' LETTERARIA

Stabilimento Tipografico della Società Editoriale Italiana

-

Milano
Inni di

Guerra e

Canti patriottici
del Popolo Italiano
Scelti e annotati

S'i'i

/ÌA'''

^

da Rinaldo Caddeo

d'Italia!

SII,

in

anni!

coraggio!

Rerchet.

Terza edizione

ccjrretta

ed aumentata

MILANO
CASA EDITRICE RISORGIMENTO
1915
APRI

7 1995
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

Questo volumetto, che

si

la

più

autorevole stampa

proponeva,

guerra che

morale

preparazione

alla

l'Italia

sta

combattendo per

zionali e per la giustizia internazionale.

memoria

grande

della

suoi

diritti

na-

Richiamando

alla

i

degli Italiani gli inni guerreschi dei loro Padri,

facendo risuonare nuovamente nelle masse popolari
dei canti

tornelli

ita-

chiamato aureo, ha veramente contribuito, come

liana ha

l'Autore forni

patriottici

quali

coi

fu

fatta

più rapidamente avevano intuito e affermata

la

ri-

Patria,

la

cosidetti interventisti, ossia a coloro

ai

i

che

necessità

imprescindibile della lotta contro l'Austria, un formidabile

mezzo
e di

di

propaganda

in

quegli angosciosi mesi di aprile

maggio, quando parve possibile l'estrema

viltà

del

neutralismo austro-tedesco che avrebbe fatto per sempre
dell'Italia

vassallo

un paese senza
spregevole

e

onore

venale

Nelle piazze e nelle strade dove
liberatrice

si

videro gruppi

di

e

senza

degli
si

inneggiava

frontiere

dove
di

i

nostri

iniziare

verso Fiume e

la

la

soldati

si

in

guerra

alla

mano;

un

centrali.

giovani e di vecchi

cedere cantando col libro del Caddeo

pazienza

potenza,

Imperi

pro-

e dalle

struggevano nell'im-

marcia verso Trieste e Trento,

Dalmazia, lettere vibranti

di

entusiasmo
—
e di

VI

—

riconoscenza giungevano a noi, espressione sincera

grande anima

della

italiana,

riboccante di

idealità

e fe-

dele alle generose tradizioni del nostro passato.

Pubblicando,

dopo

soli

due mesi dalla prima,

conda edizione riveduta, corretta
di

guerra

e

la

se-

aumentata, degli Inni

e

Canti patriottici del Popolo Italiano, noi for-

muliamo l'augurio che

fra

breve

i

nostri

vittoriosi

sol-

dati possano far risuonare nelle vie di Trieste e di Trento
le

strofe

sando

di

animose
vittoria

(ìiiigno,

al

in

canto delle

quali essi

stanno pas-

vittoria.

1915.

GLI EDITORI.
PRUA

Questo piccolo

il

giorno

in cui

la

gicventij nostra,
sul

spiriti

mentre

ardimentosi

momento dà

alla

avvicina rapidamente

avrà non più sem-

ci

ed è dedicato

attori,

quella che vigila con l'arma

a

mal tracciato confine ed

gravità del

si

guerra mondiale

ma

spettatori

plici

un contributo

vuol

libro

mobilitazione degli

EDIZIONE

essere

PREFAZIONE ALLA

alla

piede

al

quella che conscia della

a

tutta se stessa all'opera di prepa-

razione morale della Nazione.
Io credo
sia

fermamente che

ineluttabile.

e realtà,

venire,

Tutto

la

spinge

guerra contro l'Austria
alla

bisogno

di

:

sentimento

riunire alla Patria le terre che ane-

lano a ricongiungersi

ad essa e quello di assicurare

lavoro italiano una più vasta sfera
tico,

guerra

tradizione del passato e le necessità dell'av-

la

il

ci

di

attività

al

sull'Adria-

nell'Asia Minore, sul vasto Mediterraneo.

Non siamo
non

guerra,

rola dell'odio.

zione

di

noi

siamo

che abbiamo voluto e scatenato
t^pi

generosità ignota agli

dal

seminato

la

pa-

la

Vi è nell'anima italiana una gentile tradi-

rore delle battaglie, pur tra
niero,

abbiamo

che

cuore della

le

nostra

altri

popoli.

Pur

tra

il

fu-

sofferenze del giogo stra-

gente è

uscita

spesso

la

della
parola del perdono, della solidarietà internazionale,
—

Dopo aver predicato

più squisita umanità.

contro

—

vili

la

guerra santa

Goffredo Mameli esprimeva dalla sua

lo straniero,

anima purissima questo voto

:

Dimenticate

popoli

ì

L'ire d'un dì che

Sarà

terra

la

Come una

agli

gran

muore,
uomini

città

;

Libera, grande, unita,

Vivrà una nuova vita
La stanca umanità.

A

siamo

quest'ideale

Italiani

;

per esso molti,

devoti anche

stati

dei

e

troppo,

generosi

più

dei

avevano financo creduto possibile un'intesa con
una eterna alleanza con

Germania

la

stata l'Austria stessa a risvegliarci dal
a riaprire
in

di

di

noi, colpendoci

più caro e di più vitale noi avessimo.

La guerra
cipio

l'Austria,

ecco che è

sogno ingannatore,

vecchio conto che aveva con

il

quanto

Ma

!

noi

nostri,

mettendo l'Austria contro

d'oggi,

contro

nazionalità,

la

prin-

il

indipendenza dei piccoli

popoli, contro lo spirito democratico animatore della vita
italiana,

ci

sforza ad essere contro di

patrimonio ideale e materiale che

mento
di

ci

hanno

ingrandirlo

principii

e

fecondarlo

di

della civiltà

Come hanno
1797

in

difesa del

in

lasciato in eredità con T'espresso incarico

poi

in

armonia

sublimi

coi

umana.

potuto dimenticare a Vienna che l'Au-

stria in guerra, l'Italia

Dal

gli

lei,

uomini del Risorgi-

i

non può che essere contro

suoi nemici furono

sue sventure furono

le

nostre fortune.

i

nostri

Non

amici,

:

è

necessità di

le

è rettorica,

non è nemmeno sentimentalismo malsano che ce
considerare ancora nemica

lei?

di

tutte

la

le

fa

no-

stre aspirazioni ideali, di tutte le nostre tendenze di razza,
—
di civiltà, di

commerci,

IX

—

espansione nel mondo.

di

che l'Austria ha aperto con noi dal trattato
formio non è chiuso perchè l'Impero
di

'59,
la

per

saldarlo

si

nostra

tranquillità

la

Campo-

di

sempre

è rifiutato

sua

e

'49,

il

:

conto

Il

il

'66 sono operazioni di un affare che attende ancora

il

sua liquidazione

questione

finale.

Resta ancora da risolvere

nazionale del Trentino

la

questione militare

la

:

dell'Alto Adige che deve dare all'Italia la sicurezza del

confine nord;

la

mica insieme

del

del

Friuli

questione nazionale, militare ed econo-

possesso pieno ed

intiero

Fiume;

Orientale, dell'Istria con

marittima della Dalmazia che deve darci

una

rarci

sente

L'Italia

che

giunto,

che

il

momento

delle

!

La gran voce

coloro

ai

quali

assicu-

di

dell'Adriatico.

decisioni

forti

del passato che

verso l'avvenire possa risuonare
di

modo

dominio

il

questione

è

del nostro assetto orientale è suonata!

l'ora

Ora o mai più

sempre

per

volta

Trieste,

di
la

fondo

in

alla

ci

spinge

coscienza

Nazione guarda con speranzosa

la

tre-

pidazione.

Dopo

un'interruzione

di

alcuni decenni l'epopea nazio-

nale italiana sta per ricominciare

;

nemico è

il

da raggiungere sono ancora

ideali

lo stesso, gli

medesimi, confortati

i

da una più estesa comprensione dei bisogni materiali e
sociali della

Nazione, ed

popolo non sono,

non

si

muta

in

i

sentimenti che animano

nostro

il

fondo, mutati. L'orizzonte di un paese

nel giro di pochi lustri

;

i

motivi ideali della

nostra grande Rivoluzione nazionale sussisteranno fino a

quando
della
ci

tutti

gli

Italiani

Madre comune,

non saranno

fintanto che

il

rientrati

aggiriamo non sarà compiuto. Sfrondiamo

guerra ed

i

nel

sene

ciclo storico nel quale
gli

inni

di

canti patriottici del Risorgimento delle forme
.



--

che suonano arcaiche

-

-

orecchi

nostri

ai

come

freschi, vivaci, modernissimi,

e

troveremo

li

se fossero

pen

stati

sati oggi, interpreti fedeli dei nostri ideali politici.

popolo nostro ha incominciato a cantare nelle strade

11

e

case

nelle

inni

gli

e

canzoni

le

e

suoi

i

tempo
in
,

musicisti

gli

Napoleone,

di

poi

Italia;

il

che

nazionali

stesso esprimeva dal suo seno fecondo o che

preparavano a

esso

suoi poeti

i

incominciare

rigeneratore del sentimento

dai

patrii,

ha continuato a segnare ogni rivolgimento,

ogni insurrezione, ogni battaglia, ogni vittoria, ogni mar

sua causa con canti e con

tirio della

1831

inni

di

Nel 1821 e nei

inni.

guerra corsero da un capo

penisola mettendo

nelle

delle azioni generose e

vene degli

magnanime.

delki

all'altro

l'impazienza

Italiani

1848, l'anno

11

me

laviglioso del nostro riscatto, fece fiorire le più beile crea

musa popolare

zioni della

ingaggiata

lotta

sione lenta

nosa

ma

in

inni di guerra,

gli

cantate

tutta

Italia,

tra

le

canzoni

l'entusiasmo della

accompagnarono l'ascen

sicura della Nazione verso

popolo ancora oggi

il

;

;

quell'anno,

nate

popolari

ripete,

le

nezza trionfale che non cade per volger

vetta lum.

la

nella

11

vide una nuova primavera di canti patriottici che

lungo fino a tutto
il

—

era fatta

1860

:

poi, tranne

verso

altri

Ce
tinuato

se non compiuta

la

—

e

I85li

prc

per brevi momenti

i

nuovi bisogni mate
incanalaron,.

sfoghi le attività poetiche degli Italiani.

tuttavia qualche provincia,
a

si

sua ispirazione... L'italiu

Paese diventato grande Potenza

del

liali

1

il

popolo parve aver perduto

giovi

loro

anni.

di

cantare

italianità vi è

scia perenne,

patriotticamente

dove

il

popolo ha cou

perchè

la

lotta

pe.

rimasta un martirio delle anime, jun'angc

una

lotta formidabile,

spesso disperata, nell
—

—

XI

quale veniva giuocato tutto per
ledente,

Orientale, Trieste e
terre,

rimaste

e

dopo l'infausto

»

razza

alla

tentò

si

:

una razza straniera

da millenni,
terre

allo

italiane.

alla

scopo

solamente una difesa

come

i

Essi,

verso

lo

slavo invasore

si

canti degli irredenti

del

Risorgimento,

stesso ardore

alla

rina italiana

lottarono cantando

notato,

lingua

non

ai

ricordare

s/

e

E'

la

d'odio

prima volta che

vengono stampati accanto
quali

dei

in

hanno

lo

una unità ideale che

hanno

compito

il

si

a quelli

stesso palpito,

lo

lirico

i

al

1915

l'esercito e

si

la

ri-

ma-

di stabilire eterna.

raccomanda ma

inni e

eroica giovinezza ed

trimonio

perchè nella

così riuniti, questi inni di guerra e di fede

;

dotti
gli

del

nasconde potente e perseve-

Lavoro modestissimo, senza pretese
e

caratteri della

i

loro canti nazionali

i

che vanno dal principio del secolo XIX

compongono

Italiani

gli

fu

rante l'amore alla Patria Italiana.
i

cioè

stanzr.

na^

generosi,

attaccamento

ha

veramente una difesa

hanno un carattere speciale che va
di

vi

irredenti

dagli

prodi del Risorgimento, ed

espressione

regioni

sostituzione

la

zionale contro una invasione che aveva

barbarie medioevale.

favella

alla

non

fatta

politica, fu

conob-

persecu

la

ma

rendere stranieri

di

Queste

'66,

razza italiana che

La difesa

Friuli

il

disgraziate

nelle

ir-

di quella subita

conobbero

dalla Venezia,

una violenta trasformazione etnica,

m

Provincie

e la Dalmazia.

sentimento nazionale non solo,

al

italiana

di

le

:

oppressione più feroce

di

Lombardia e

;.ione

Fiume

l'Istria,

austriache

«

bero una forma
dalla

tutto

il

Trentino e l'Alto Adige, Gorizia e

il

ai

di sorta,

è

il

mio,

pochi che vogliono

canti concitativi della loro lontana
ai

molti che

un

così prezioso patri-

e patriottico non conoscono che male ed
—
minima

in

parte.

Ho compreso

tutte le poesie patriottiche

messe

in

nella

mia raccolta non

l'Italia

che

ha composto nella

ma

sua lunga ed aspra battaglia,
state

—

XII

solo

che sono

quelle

musica o comunque cantate nei giorni

Da queste

della preparazione e nei giorni della battaglia.

strofe

questi

ritmi

da

appassionate,

italiana.

altro

Al canto

Davanti
nostro

da

questi

inni

guerra

di

terra

la

dei

miracolo della propria resurrezione
gli stessi canti

terra dei vivi, se tutti

la

esser degni di

del

di
il

ne compirà con

ora che è

veementi,

ritornelli

animatori balza l'eroica e generosa anima

morti ha compiuto

un

questi

suoi

i

:

ora che è risorta,
figli

sapranno

lei.

nostro spirito

al

Risorgimento

e

si

apre

la

dell'opera

visione magnifica

che

compiremo.

L'aspra voce del cannone riempie del suo macabro boato
tutto l'orizzonte e copre di terrore

lontananza eccelsa

si

il

mondo,

ma

avvicina gradatamente a noi

divino dei nostri morti

;

le

loro voci

si

da una
il

coro

innalzano chiare

dicono ha

e forti nel cielo e ciò che esse

ci

di rincorarci, di farci sicuri delle

nostre sorti, di additarci

la via sicura

Le profezie

al

potertza

da seguire.
dei nostri martiri stanno per compiersi.

Dante non aspetta
fino

la

piìi

solamente a Trento,

ma

ci

chiama

Brennero, sulle Alpi Giulie che cingono Trieste

e Fiume, sulle Dinariche che difendono Zara...
Italiani, noi

siamo per vivere un meraviglioso momento.

Possiamo non viverlo invano per

le

fortune d'Italia!

Milano, Pasqua di Resurrezione, 1915.

RINALDO CADDEO.
«XX)(MMHXMMXMMMMXMMXM
L'INNO DELL'ALBERO
DELLA LIBERTA'
Marsigliese, la Carmagnola, il fa ira, importati
di Francia, l'inno dell'aurora del pensiero nazionale italiano. Gli inni francesi furono cantati intorno agli alberi della
libertà, eretti negli anni 1796-99 nelle piazze cittadine, prima nella loro
dizione originale, poi in curiose traduzioni e riduzioni. Il Qa ira itaKano,
per esempio, suonava così

insieme con

E',

la

dagli eserciti repubblicani

;

Ah, ga
Il

ga ira, ga ira.
patriottismo risponderà.
ira,

Senza temere né ferro né fuoco
Gl'Italiani sempre vinceran.
Ah, ga ira, ga ira, ga ira!

Non

patriotti sentirono il bisogno di un inno propr'o
tardò molto che
sorse dal seno del popolo Vlnno dell'Albero, cfie fece dimeninni francesi
gli
la sua musica
era solenne, piena di una religiosa dolcezza. Giuseppe Mazzini lo ebbe carissimo e a Londra, nei
lunghi anni d'esilio, amava canticchiarlo sovente, accompagnandosi con
la chitarra. Un altro Inno dell'Albero, detto della Repubblica Partenopea,
fu musicato dal Cimarosa su parole di Luigi Rossi
diceva

e

i

così

ticare

;

:

;

ormai

desia,
Italiani all'armi, all'armi
Altra sorte ormai non resta
Che di vincere, o morir.

Bella

Italia,

ti

:

Ecco
apiirito

dei

Vlnno dell'Albero
tempi e tradisce

Or

Libertà, che è tutto
sua origine giacobina.

della
la

informato

allo

ch'innalzato è l'albero

tiranni
S'abbassino
Dai suoi superbi scanni
i

Scenda

la

;

nobiltà.

Un

dolce

S'accenda

in

amor

Formiam comuni
Viva

la

di

patria

questi lidi;

libertà

!

i

gridi

'
;
— —
2

L'indegno aristocratico

Non
Se

osi alzar la testa

l'alza, allor

Tragica

si

:

la festa

farà.

Un

amor

dolce

S'accenda

Formiam comuni
Viva

la

libertà

Già reso uguale

Ma
È

patria

di

questi

in

lidi

gridi

i

;

;

!

e libero

suddito alla legge,

il

popolo che regge

Sovrano

:

ei sol sarà-

Un

dolce

amor

di

S'accenda in questi

Formiam comuni
Viva

la

libertà

patria
lidi

gridi

i

;

;

!

Sul torbido Danubio

Penda

l'austriaca spada

Nell'Itala contrada

Mai

:

•

più lampeggerà.

Un

dolce

S'accenda

in

amor

Formiam comuni
Viva

la

di

patria

questi lidi;

libertà

!

i

gridi

;
—3—
"-PARTIRÒ' PARTIRÒ '...,,
CANTO POPOLA RE
E uno
rimonta

dei

a più di

più

antichi

un secolo

canti

fa,

al

popolari

tempo

e

italiani

come

il

precedente

delle guerre napoleoniche,

quando

nostra gioventù, disusata al mestiere delle armi da una secolare tradizione di mollezza, di vigliaccheria e di servaggio, fu restituita dal Capitano corso alla virtù militare, rigeneratrice dei costumi e madre di
libertà. Vi è in queste strofe un accento di sconforto e di amarezza
caratteristico
si sente il dolore del distacco dal
paese adorato, dalla
famiglia mai prima di allora abbandonata, distacco non confortato da
la

:

un'idea superiore che potesse fare accettare di buon animo il sacrifizio,
né dal miraggio di una patria grande, forte e libera. Militando con Napoleone, all'ombra della bandiera tricolore (verde, bianco, rosso) che
il
gran condottiero aveva già trovata adottata dai patriotti al suo ingresso in Milano nel 1796, i soldati italiani compirono prodigi di valore, entrarono due volte trionfalmente in Vienna, si coprirono di gloria
in Spagna e Russia, acquistarono la coscienza del proprio valore. Partiti
con rammarico per le guerre napoleoniche, tornati tristemente in
patria dopo la caduta del gigante, furono
veterani di Napoleone che
conservarono gelosamente il culto della tricolore bandiera e la innalzarono nei movimenti del 1821 e del 1831 segnacolo di rigenerazione
nazionale. E noto che gli ufficiali e
soldati italiani di Napoleone appartennero a centinaia alla Carboneria e alle altre società segrete politiche e furono sempre tra
più fedeli e ardenti seguaci delle idee di
indipendenza e di libertà dell'Italia. Questa canzone fu popolarissima
e venne ripetuta con lievi varianti anche nelle guerre del 1848, del
1849 e del 1859.
i

i

i

Partirò, partirò, partir bisogna

Dove comanderà
Chi prenderà

'1

nostro sovrano

;

Bologna,
E chi anderà a Parigi e chi a Milano.
la

strada

di

Ah, che partenza amara,
Gigina cara, mi convien fare.

Vado

alla guerra,

spero

di tornare.

Se il nostro Imperator ce lo comanda,
Ci batteremo e finirem la vita
Al rullo de' tamburi, a sunn di banda
;

Farem

dal

Ah che

mondo

l'ultima partita.

partenza amara,

Gigia mia cara, Gigia mia bella
Di

me

;

più non avrai forse novella.
—
BELLA

4

ITALIA,

AM ATE SPONDE „

ODE

DI

VINCENZO MONTI

Quest'ode famosa del Monti (nato in Alfonsine di Romagna il
febbraio 1754, morto in Milano il 13 ottobre 1828) in onore del
generale Desaix fu scritta nel 1801, quando il poeta potè tornare
in
Italia dall'esilio di Parigi dopo la vittoria francese di Marengo. Si
compone di 23 strofe, le prime delle quali divennero popolarissime
nel
periodo del Risorgimento, e furono cantate specialmente fra gli
19

esuli.

Bella

Pur

vi

amate

Italia,

sponde,

torno a riveder

!

Trema

in petto e si confonde
L'alma oppressa dal piacer.

Tua

bellezza,

che

di

pianti

Fonte amara ognor ti fu,
Di stranieri e crudi amanti
T'avea posta in servitù.

Ma

bugiarda

La speranza
Il

giardino

e

fìa

di

malsicura

de' re

natura

No, pei barbari non

è.

:
—5—
SORGI CHE TARDI ANCORA?,,
I

INNO

GABRIELE ROSSETTI

DI

Gabriele Rossetti (nato a Vasto il 28 febbraio 1783, morto a Londra il 26 aprile 1854) fu il poeta della prima rivoluzione napoletana,
quella del luglio 1820, che mosse la rivoluzione siciliana dello stesso
anno e quella piemontese del 1821. Il Rossetti salutò la Costituzione
promessa dal re Ferdinando 1 e sciolse poi un inno alla Costituzione
giurata « splendido d'imagini antiche » come lo chiamò il Carducci, e
che costò al Poeta 30 anni di esilio e la morte in terra straniera.
E quello che incomincia cosi
:

Sei pur

Che

bella

scintillali

E pur

dolce

cogli astri

sul

crine,

guai vivi zaffiri;
quel flato che spiri.

Porporina foriera del di.
Col sorriso del pago desio
Tu ci annunzi dal balzo vicino

Che
Il

Ma

d'Italia

giardino

nell'almo

per sempre

serraggio

finì.

Napoli, dopo
congressi di Troppavia (ottobre
1820) e di Lubiana (gennaio 1821) divenne spergiuro e con l'aiuto delle
soldatesche austriache mosse a soffocare la Costituzione. Fu allora che
il
Rossetti lanciò quest'inno di guerra, nell'illusione che le truppe cogenerali Pepe e Carascosa riuscissero a
stituzionali comandate
dai
sconfìggere lo straniero e a tener lontano dal regno di Napoli il desposta fedifrago.
il

tiranno

di

i

Che
Tu dormi,

Sorgi

!

ancora ?

tardi

Italia? Ali no!

Di libertà l'aurora
Sui colli tuoi
Sorgi

;

e'

raffrena

spuntò.

corso

il

D'esercito invasor,

Che

porta

i

segni

Del gallico valor

al

dorso

!

Ah, su quel dorso indegno.
Curvato a servitiì
Imprima un qualche segno
Pur l'itala virtij
!
E

soffrirai che armati
Rechin più ceppi a te

Que'

sudditi scettrati

Che

Come

ti

miravi

il

valor degli avi

al

pie?

Poni in oblio così ?
O schiava de' tuoi schiavi,
Fosti regina un di.

Snuda Tacciar da
Ricingi l'elmo
Sorgi

tra

:

Qui pende

forte,

il

crin,

al

vita e

morte

tuo destin

!

Aperta è già la strada
Al nuovo tuo valor
Se impugnerai la spada,
:

Sarai regina ancor.

È giunto

il

D'uscir

tempo omai
di

servitù,

E se sfuggir tei
Non tornerà mai

fai

più.
ALL'ARMI! ALL'ARM I!
DI

GIOVANNI BERCHET

Giovanni Berchet (nato a Milano il 23 dicembre 1783, morto a
Torino il 23 dicembre 1852), esule e poeta, compose fuori d'Italia le
sue poesie patriottiche più ardenti e più belle. Il Romito del Cenisio
ed il Rimorso giunsero in patria come pericoloso contrabbando al quale
la
polizia
austriaca diede una caccia spietata... quando già esso si
era sparso dappertutto. 11 Berchet seguiva dall'esilio con la massima
attenzione lo svolgersi e l'affermarsi dell'idea nazionale che
processi
e le condanne piemontesi ed austriache fomentavano, e quando, dopo
la
morte di Leone XII, negli Stati del Papa nacquero moti parziali
contro il Governo, egli scrisse quest'inno guerresco, che fu cantato
dai patriotti per un lungo periodo di tempo.
i

Su,

figli

su, in armi!

d'Italia!

coraggio!

Il

suolo qui è nostro

Il

turpe mercato finisce pei re.

Un
In

del nostro retaggio

;

popol diviso per sette destini.
spezzato da sette confini,
fonde in un solo, più servo non

è.

Venuto

è

sette

Si

Su,

Italia

su,

!

armi

in

Dei re congiurati

la

!

tresca

finì

il

tuo

dì

!

il

tuo

dì

!

!

Dall'Alpi allo Stretto fratelli slam tutti!

Su

i

limiti schiusi,

su

i

troni distrutti

Il

verde,

la

comuni tre nostri color
speme tant'anni pasciuta

Il

rosso,

la

gioia d'averla

Il

bianco,

Piantiamo

Su,

i

!

la

Italia

!

su,

in

Dei re congiurati
Gli orgogli minuti via

La gloria è de'
Dall'Alpi

Deposte
Confusi

allo

:

compiuta;
fede fraterna d'amor.
armi
la

!

Venuto

tresca

finì

è

!

tutti all'oblio!

forti.

Stretto,

—

Su, forti, per Dio,
da questo a quel mar'

gare d'un secol disfatto.
un nome, legati a un sol patto.
Sommessi a noi soli giuriam di restar.
Su,

le

in

Italia

!

su.

in

Dei re congiurati

armi
la

!

Venuto

tresca

finì

!

è

il

tuo

dì

!
—8—
Su,

novella

Italia

Mal abbia

!

su,

libera ed

una

!

chi a vasta, secura fortuna

L'angustia prepone d'anguste città!

d'un solo stendardo!
Mal abbia il codardo,
L'inetto che sogna parzial libertà
Sien tutte
Su,

fide

le

da tutte

tutti

!

!

Su,

Italia

!

su,

in

Dei re congiurati

armi
la

!

Venuto

tresca

finì

Voi chiusi ne' borghi, voi sparsi alla
Udite le trombe, sentite la squilla

Che

all'armi vi

Fratelli,

chiama

a' fratelli

Gridate

al

L'Italia

è

dal

è

tuo

il

!

vostro

villa,

Comun

correte in aiuto!

tedesco che guarda sparuto
concorde; non serve a nessun.
:

!

dì

!
—9—
UNITA E LIBERTA
INNO DI GABRIELE ROSSETTI
'48

Nel
l'inno

del

e

'49

Rossetti

moltissimo

cantato

fu

composto

fin

—

con

e

grande

entusiasmo

1830. Fu carissimo a Garibaldi.
diceva l'Eroe (ricordo di A. G. Bar-

dal

Ecco una bella e forte musica
quantunque in parte ricavata da un'opera giocosa (musica del
Rossini del Barbiere)
ed è veramente dispiacevole che nessuno dei
nostri giovanotti l'abbia cantata più nelle marce e negli accampamenti.
Con quest'inno dei miei legionari di Roma mi avete ringiovanito di
«

rili),

;

dodici

anni. »

Minaccioso l'arcangiol di guerra
Già passeggia per l'itala terra
Lo precede la bellica tromba
Che dal sonno l'Italia svegliò
L'App;nnino per lungo rimbomba
:

:

E

dal Liri va l'eco sul Po.

Tutta

l'Italia

pare

Rimescolato mare
E voce va tonando
Per campi e per città
Giuriam giuriam sul
O morte o libertà
:

:

—

I

brando

—

La Trinacria che all'ire s"è desta
Mise grido di rauca tempesta
Le tre punte del Delta fèr eco,
Per tre valli quell'eco muggì
Tonò l'Etna dal concavo speco,
:

;

Latrò Scilla, Cariddi ruggì.

—

All'arme! all'arme!

Che va
E l'eco

di

—

è

il

lido;

lido in

replicando

Di lido in lido va
Giuriam giuriam sul brando
:

—
O

morte o

libertà

!

—

grido
—

—

IO

dall'Alpe che serra Lamagna,
Sull'immensa lombarda campagna

Qua

Simil grido que' detti

ripete,

Simil eco quell'ire destò

O

:

sorgete sorgete!

fratelli,

Del riscatto già l'ora suonò!
il centro ed ambo
Brulicheran d'armati,

Se

lati

i

Chi affronterà pugnando
unità?

L'italica

— Giuriam giuriam
morte o

Ma

qual plauso

libertà

brando

sul

—

!

leva dal centro

si

Oh, qual plauso

!

Né

!

resta là dentro

:

Come

tuono cui tuono rincalza
O balen cui succede balen,
Dai due lati nel centro rimbalza

E

dal centro sui lati rivien.

plauso che più cresce
Questa canzon si mesce,

Al

petti

1

Di

infervorando

patria

carità

:

— Giuriam giuriam sul brando
—
O morte o
libertà

—

—

!

Siam fratelli
nel centro risuona,
Siam fratelli
nei lati rituona

—
E

già

questi

Dai tre

—
E

Iati

Siam
i

—

godendo

fratelli,

ridir

fratelli,

:

fratelli,

confini per tutto sparir

Ardir,
Il

;

s'abbraccian con quelli,

fratelli!

E'

sospirato punto

!

—

giunto

:

Di

—

quando
nuovo ei tornerà?
Giuriam giuriam sul brando

O

morte o

S'ei passa, ahi, chi sa

libertà

!

—
—

—

11

Questo fuoco che all'alme s'apprende

E

invade. 1« scuote, le accende,

le

Questo fuoco,

Che

sveli

vi

fratelli,

tempra non

terrestre di

è

Ah, discese dall'ara de' cieli
La scintilla che incendio si

Da

fé

!

quell'altar discese

Che infiamma
E

;

a sante

imprese,

infervorando
Tutti esclamar ci fa
cuori

i

:

— Giuriam
O
Sette

giuriam sul brando
libertà

morte o

Siri «i

coiman

!

—

mali

di

Pari

ai

sette peccati mortali

Pari

ai

capi

Cui d'Alcide

mietè.

clava

la

;

lernea

dell'idra

Tristi capi d'un 'idra pili rea.

Nuovo Alcide
Quanti
Tanti

la

lontano non
patria ha

saran

gli

è

!

fidi

Alcidi

;

Deh, un giorno memorando
Cangi una lunga età
Giuriam giuriam sul brando
O morte o libertà
!

•

—

!

—

Ci divise perfìdia e sciagura,
Ma congiunti ci volle natura
Alma diva, cui l'Alpe corona
Fra gli amplessi di duplice mar,
Se una lingua sul labbro ti suona
;

Un

sol culto

Chi

ti

sacri l'aitar!

in sette

Tradì l'idea

E
Il

—
O

ti

di

partìo

Dio,

mostro abbominando
fio ne pagherà
Giuriam giuriam sul brando
morte o libertà
il

:

!

—
—
Mascherata

De'

chercuta

malizia

divisa,

T'iia

tuoi

—

12

venduta;
crudo governo

tradita,

figli

fé'

Quell'avara

malizia

crudel

Turpe

sbucata

d'inferno,

Che

si

furia

;

disse discesa dal ciel.

S'ella

mantenne

vita

in

Quell'idra imbaldanzita,

E l'una e
Da questo

l'altra

in

bando

—

n'andrà
Giuriam giuriam sul brando

O

morte o

suol

libertà

:

!

—

Cada cada l'antica potenza
Ch'è de' mali feconda semenza;
E la legge del Verbo di Dio,
Ch'ella appanna di nebbia d'error,
Radiante del lume natio
Rimariti

la

mente

col cor.

Finché quel servo culto,
Ch'all'uom, ch'a Dio fa insulto,
Dal sozzo aitar nefando

A

terra

non cadrà

— Giuriam giuriam
O

morte o

libertà

Divo fonte del culto

!

:

brando

sul

—

bello

piia

Che quell'empia converte in flagello,
Tu che inspiri sì nobile impresa,
Scudo e spada d'Italia
Saldo scudo di giusta

tu,

sii

difesa.

Forte spada di patria virtù

!

Mira una madre oppressa,
Ve'
figli intorno ad essa
Che fremono gridando
Di sdegno e di pietà
Giuriam giuriam sul brando
O morte o libertà
i

—

:

!

—
—

—

13

ALL'ARMI!
GABRIELE ROSSETTI

DI

Il
1831, che vide Modena insorta, e lo Stato del Papa quasi interamente guadagnato alla causa della rivoluzione nazionale affermatasi
il
26 febbraio a Bologna nell'assemblea dei deputati delle città libere
d'Italia dalla
quale usciva il decreto che statuiva la decadenza del
potere temporale, inspirò la musa patriottica di Gabriele Rossetti. Il
suo canto L'anno 1831 è uno dei piij belli che vanti la letteratura
'taliana del secolo XIX. Incomincia coi versi
:

brandisci la lancia di guerra.
Squassa in fronte quell'elmo piumato.
Scendi in campo, ministro del fato!
Oh, quai cose s'aspettan da te!

Su,

Non ebbe però
blica,

e

guerra
popolare.
di

il

la
diffusione dell'inno All'Armi! che qui si pubquale, distribuito clandestinamente, fu cantato come inno
per tutto il 1831 e fu anche negli anni appresso molto

all'armi,

Fratelli,

La

patria

Con

all'armi

chiamò

fra voi

!

:

carmi

eccitanti

gli

Anch'io

ci

verrò.

Nutrito dalle brine

Del bellico sudor,
si rinverde al crine

Mi

L'inaridito allòr.

Andiam, che Daci e Goti
Farem caderci al pie
!

No,

fra

Dubbio

Che

fia

Spartani e
il

Iloti

trofeo non è.

quel reo drappello

Ch'or v'osa cimentar?
Fia gregge che '1 macello
Sen viene ad incontrar.
Gelido

fia

qual ghiaccio

In faccia al nostro ardor

Che non ha
Se non

gli

forza

il

;

braccio

vien dal cor.
,

—
Pei

figli

—

14

della gloria

Nemici a servitù,
La pugna e la vittoria
Diversa mai non fu.
Dei nostri brandi

È

lampo

al

L'Europa arriderà
La via che mena

:

campo

al

via d'eternità.

E' bella ancor la morte
Sul letto dell'onor
:

Chi sa cader da

È

E

forte
;

pari al vincitor

s'ei

rimane oppresso

Campion

di

libertà,

Del vincitore istesso
Più grande allor si fa.

Quel servo gregge indegno
A che fra noi piombò?
Sappiam con qual disegno
I

boschi suoi lasciò.

Ah, che l'udir già parmi
Tra l'Unno ed il Teuton,
Commisto al suon dell'armi
Delle catene il suon
!

Trema,

servii coorte

Che

vendi

il

sangue

Le stesse tue
T'allacceremo

ai

re

ritorte
pie.

al

La mèsse che fiorita
I
campi ingombrerà.
Del sangue tuo nutrita
Più grata a noi sarà.

Trema

!

L'Italia intera

Alto giurar s'udì
Di tirannia straniera

—

:

.Questo è l'estremo

dì.

—
15

FUORI

BARBARO!

IL

CANZONE POPOLARE

DI

GUERRA

AGOSTINO RUFFINI

DI

Di Jacopo, Giovanni e Agostino Ruttìni, Giuseppe Mazzini, scrisse
ed
« L'amicizia
queste parole
che io strinsi coi giovani Ruffini
mi riconciliò alla
era per essi e per la santa madre loro un amore
vita e concesse sfogo alle ardenti passioni che ini fermentavano dentro.
Parlando con essi di lettere, di risorgimento italiano, di questioni filosofico-religiose, di piccole associazioni che erano preludi alla grande
da fondarsi per av«re di contrabbando libri e giornali vietati, l'anima
rassicurava
intravedeva possibile, comecché su piccola scala, l'asi
18.^0 quando scoppiò l'insurrezione francese)
zione... Ci demmo (nel
a fondere palle e a prepararci per un conflitto che salutavamo inevitabile e decisivo... ». E' di quel tempo la canzone popolare di guerra
di Agostino Ruffini. allora studente di giurisprudenza nell'Università di
:

—

—

;

Genova. La canzone ebbe diffusione limitata tra gli studenti
non fu
mai l'iubblicata e vide la luce soltanto nel 189.^, nell'ottimo libro del
prof. Carlo Cagnacci sui fratelli Ruffini e Mazzini, ma la riproduciamo
qui come un modello di poesia patriottica.
;

Ogni prode al suo manipolo.
Ogni schioppo alla sua spalla,
Su mostriamo ai duri austriaci
Se alla prova il cor ci falla
nostri carmi,
Suonin guerra
Sia di guerra ogni pensier

;

i

:

Italiani,

all'armi

Guerra eterna

all'armi.
allo

stranier.

nostro sangue,
Han succhiato
Han beffata la sventura,
Hanno fatta dell'Italia
Una vasta sepoltura
il

;

Su
Su

alla razza maledetta,
ai

feroci

Italiani,

alla

masnadier,
vendetta,

Guerra eterna

allo

stranier.
—

16

ma siam

Siamo pochi,

Ma
E'

—
liberi

Signor propizia

il

devota

ali

La masnada

Come

i

bravi

;

'esterminio

degli

schiavi,

che Barbarossa
Pianser morto i suoi scudier,
ai

dì

avanti

Italiani,

avanti,

Guerra eterna

allo

stranier.

Ora e sempre guerra ai barbari.
Ora e sempre ovunque guerra
Finché un sol di loro annebbia
:

Il

seren

Sian

di

Sia di

di

nostra terra,

guerra i nostri canti,
guerra ogni pensier,

Italiani,

Guerra eterna
Al

Signor,

,

avanti avanti.

pe'

allo

nostri

stranier.

martiri.

Per la vita, per la morte,
Far giurammo Italia libera
Una, egual, potente e forte
Or giuriam dell'armi al lampo
Sciorre il voto oppur cader.
Italiani, al campo al campo,
:

Guerra eterna

allo

stranier.

Splenda Rosso, Verde e Candido
Sulle schiere lo stendardo,

Orifiamma

dell'Italia...

Sovra lui figgete il guardo
Del riscatto e della gloria

:

Ei vi guidi sul sentier...
Italiani,

alla

vittoria...

Guerra eterna

allo stranier

!
17

FRATEL LI, S ORGET E!
CORO

DI

GIUSEPPE GIUSTI

Le strafai di Modena (2t) maggio 1831) ordinate dal Duca Francesco IV, nelle quali perirono Ciro Menotti e Giuseppe Borelli, ebbero
in tutta Italia una eco di terrore e di dolore. Il crudele tiranno di Modena divenne oggetto di universale esecrazione. Due anni dopo, si
sparse la voce in Toscana che Francesco IV, giovandosi dell'assenza
del granduca Leopoldo andato a Napoli a prender moglie, capitasse a
Firenze in incognito. « Non era vero (scrisse Ferdinando Martini a
pag. 10.3 di Simpatie), ma la voce sola bastò perchè, a detta della polizia medesima,
buoni sudditi toscani si amareggiassero, riguardando
quella comparsa
clandestina di forieri eventi. Gli studenti
non si
amareggiarono soltanto, parlarono e sparlarono, scrissero col carbone
S'.'i
muri tutti gli improperi che il Duca si meritava; le stanze dell'Ussero echeggiarono di invettive, le strade di canti patriottici... ». Fu in
quell'occasione, nel 1833, che Giuseppe Giusti (nato a Monsummano
il
12 maggio 1809, morto a Firenze il 31 marzo 1850), allora studente
a Pisa scrisse questo coro che a detta del suo condiscepolo Frassi, gli
studenti cantarono poi «tutti insieme palpitando e fremendo» (Vita di
G. Giusti, cap. 4"). Il coro fu pubblicato per la prima volta da Giosuè
Carducci nell'edizione delle poesie del Giusti fatta dal Barbèra nel 18.=^9.
i

Fratelli,

sorgete,

La patria vi chiama
Snudate la larr.a

;

Del libero acciar.

Sussurran vendetta
Menotti e Borelli
Sorgete,

La

;

fratelli.

patria a salvar.

Dell'itala

tromba

Rintroni lo squillo,
S'innalzi
Si

Ai

tocchi

forti

un

vessillo,

l'aitar.

l'alloro,

Infamia agli imbelli
Sorgete, fratelli,

La

patria

a

salvar.

:
18

VIVA
DI

IL

R E!

GIOVANNI PRATI

Quiest'inno-marcia fu scritto dal Poeta trentino nel 1843 dietro ordine
Carlo Alberto per una fanfara militare e cantato dai soldati piemontesi che lo ebbero caro per molto tempo. Giovanni Prati, nato a
Dasindo il 27 gennaio 1815, morto a Roma ti 4 maggio 1884, ebbe anni
di

di

invidiabile

empito

lirico

popolarità. Egli seppe esprimere con facile e brillante
l'onda di sentimenti patriottici che animava i suoi contem-

poranei.

il Re
Tra' suoi gagliardi,
Benedetto, ei muove il pie

Viva

!

:

Vivan sempre
Dell'Italia, e

Se

il

gli

stendardi

nostro Re!

i
nemici avremo a fronte,
Saran presti e braccio e cor,

E

ogni zolla del Piemonte

Stillerà del

sangue

lor.

Rotti e pesti elmetti e maglie,

Ma

inoffeso

il

forte acciar,

Tornerem dalle battaglie
Nuovi tempi a cominciar.
Fremeran d'allegri suoni
Le borgate e le città,

E

di libere

Tutta

Italia

canzoni

echeggerà

!

siam d'un sol paese,
Solo un sangue in noi traspar
A ogni tromba piemontese

Tutti

Mandi un eco

e l'alpe e

il

mar.

il
Re! Tra' suoi gagliardi.
Benedetto, ei muove il pie

Viva

:

Vivan sempre

gli

Di Savoia, e

nostro Re.

il

stendardi

;
—

19

CHI PER LA PA TRIA MUOR
VISSUTO É ASSAI „
sentimento patrio fu espresso dagli Italiani non solamente con
canti ma anche coi cori, le romanze e le cabalette delle
ed
opere teatrali più diffuse. Tutti sanno qual significato abbia dato il
popolo ad espressioni ed armonie del Nabucco e dei Lombardi di
Verdi e con quale tenerezza commossa sia stato cantato
Il

gli

inni

i

Va, o pensiero, sull'ali dorate...
e

O

Signor che dal

tetto

natio...

Bandiera ed
loro compagni Niccolò Ricciotti, Domenico
Anacarsi Nardi, Francesco Berti, Domenico Lupatelli nel recarsi
versi
alla morte (avvenuta presso Cosenza il 25 luglio 1844) cantarono
della Donna Caritea del Mercadante
espressione di maraviglioso .'Stoicarnefici e valse ancor più ad accendere nel
cismo che impressionò
cuore degli Italiani gli ardori del sacrifizio per la grande e santa Patria
nostra.
prima volt»
La Donna Caritea era stata rappresentata la
nel 1828. Non Chi per la Patria munr era scritto, ma Chi per la gloria
muor ; non Sotto
tiranni, ma Per lunghi affanni.
liberali avevano
cambiato
due versi che così divennero popolari. Il coro è del primo
atto, cantato da «guastatori e soldati portoghesi». Anni dopo uno dei
condannati di Belfiore, Angelo Scarsellini, cantava in attesa del carnefice,
Fratelli

1

i

Aoro,

i

;

i

i

I

i

il

7

dicembre 1852, Tarla del Marin Faliero
Il

palco è a noi trionfo

Ove ascendiam

Ma

:

ridenti

sangue dei valenti
Perduto non sarà.
il

Arreni seguaci a noi
Più fortunati eroi;
Ma s'anche avverso ed empio
Il

fato lor sarà,

Avran da noi l'esempio

Come

a morir si va!

Aspra del militar

Benché la
Al lampo

vita,

dell'acciar

Gioia c'invita.
—

20

—

Chi per la Patria
Vissuto è assai

muor

;

La

foglia dell'allor

Non langue

mai.

Piuttosto che languir

Sotto

i

tiranni

E' meglio
Sul

fior

di

degli

morir
anni.
—

21

INNO

DI PIO IX

MEUCCI

DI FILIPPO

XVI, il nuovo Papa Pio IX (cardinale Giovanni
nato a Sinigaglia il 13 marzo 1792, morto a Roma
il
7
febbraio 1878) parve realizzare il sogno giobertiano di un capo
della cristianità
riformatore e amico dell'Italia.
L'amnistia ai condannati politici da lui concessa il Kì luglio 1846 destò un vero entusiasmo e in tutta la penisola poeti noti e non noti cantarono il PonicKce liberale e italofilo. Il poeta Sterbini gridava all'Italia

Morto Gregorio

Mastai

Ferretti,

:

Eri seduta

Madre

levati

:

di

eroi

tanti

:

Oggi t'innalza un cantico
L'amor dei figli tuoi.
E Gaetano Bonetti

:

unanimi
Pregar tue genti, o Più;
perdono,

Pace,

Tu rispondesti al fervido
Universal desio,
E già si vide splendere
Tua prima legge, amor.

Un
Diceva

musicato

inno

Gioacchino

da

Rossini

Su

letizia

fratelli,

tutta

l'Italia.

canti

si

magnanimo core di
Che alla santa favilla

Al

Pio,

di Dio
S'infiammò del più dolce pensier.

Un
lucci,

per

corse

:

diventato

inno,

altro

diceva

popolarissimo,

presto

v.

del

maestro

Nata-

:

Come
Agli

E

un'iri

di

sommo

gioia,

Ogni core

l'almo

Iddio

Te mostrò,

afflitti

Pio,

palpitò.

Fu, in tutta la penisola, un delirio patriottico, e il Papa divenne
presto l'idolo nazionale. L'Austria non tardò a capire la causa dell'idolatria degli italiani per Pio IX ed a proibire inni e canzoni. Francesco dall'Ongaro, in uno dei suoi stornelli diventati famosi, spiegava

che

cos'era

Pio

IX

Pio

Un

per

Nono
idolo

gli

italiani

:

è figlio del nostro cervello,
del cuore, un sogno d'oro...
—
Chi grida per
Vuol dir

La

patria

Che per

:

—

Pio nono! »
il perdono. i>
perdon vogliono dire
deve morire.
si

le

«

Viva

ed

il

l'Italia

22
vie
la

:

« Vii'a

patria ed

L'Inno di Pio IX fu scritto al principio del 1847 da Filippo Meucci,
romano, e musicato dal maestro Magazzari. La musica « aveva un andamento solenne, quasi trionfale, e come certi sussulti di gioia... »
(D'Ancona).

Del nuov'anno già l'alba primiera
Quirino la stirpe ridesta,
E l'invita alla santa bandiera
Di

Che

il

Vicario di Cristo innalzò.

Esultate, fratelli, accorrete,

Nuova

gioia a noi tutti si appresta

All'eterno preghiere porgete

Per quel grande che pace donò.

Su rompete

le

vane dimore,

Tutti al trono accorrete di Pio

:

Di ciascuno egli regna nel cuore,
Ei d'amore lo scettro impugnò.

Benedetto chi mai non dispera
suprema di Dio;
Benedetta la santa bandiera
Nell'alta

Che

il

Vicario di Cristo innalzò.

;
23

—
A PIO

IX
CORO POPOLARE
Dopo

gli
inni di gioia nacquero gli inni di guerra, nei quali si
palesemente della riscossa nazionale e della cacciata degli Auseguente coro popolare fu cantato la prima volta in Pisa
sera del ItJ giugno 1847 e ripetuto comunemente in Toscana e nel

parlava
striaci.
la

Il

Lazio per tutto quell'anno

Su,

fratelli

Or ne

!

attribuito

fu

:

Uom

D'un

la

E'

E'

Guerrazzi,

parola

stringe in santissimo patto.

Essa è verbo che chiama
Dell'Italia le cento città.

Il

al

che

parola

Leone

in

fa

d'Italia

al

riscatto

Campidoglio

ruggir-

di Pio la gran voce, che al sonno
Nostra madre, l'Italia, ha strappato
Di tre gemme il triregno ha fregiato,
Tre colori di sua libertà.
;

E'
II

O

che

parola

Leone

fa

d'Italia

in

Campidoglio

ruggir-

Profeta d'un'èra novella,

A un

tuo cenno slam venti milioni

Aspettiam

:

che doni
Alla patria uguaglianza e unità.
E'
Il

Non più
Tu ci

scintilla

la

parola che

Leone

schiavi

rendi

fa

d'Italia

al

la

in

Campidoglio

ruggir-

tedesco aborrito,

gloria

primiera

:

Sia la croce la nostra bandiera,

L'evangel nostra carta sarà.
E'
II

parola

Leone

che

fa

d'Italia

in

Campidoglio

ruggir-

ma

pare a torto.
—
Viva

—

La santa crociata
nuovo Alessandro, e rimira

Italia

Grida,

24

!

Cento popoli oppressi nell'ira,
Come un uomo, levarsi con te.
E'
Il

Viva

parola che

Leone

Italia

D'una

!

O

patria

fa in

Campidoglio

ruggir-

d'Italia

di Dio
ne guida all'acquisto

ministro

:

Poi rinnova l'esempio di Cristo

Che redense

e

non

volle esser Re.

E' parola che fa in Campidoglio

U Leone

d'Italia

ruggir.
—

25

INNO NAZIONALE
LEOPOLDO CEMPINI (7)

DI

Fu popolarissimo, quest'inno, per molti anni. Nato, a quanto si
crede, a Pisa tra la patriottica scolaresca di quell'illustre Ateneo, (lo
Sforza ne fa autore il Bosi, il D'Ancona ritiene che venisse da Roma)
ebbe il battesimo della popolarità a Firenze quando Leopoldo II firmò il
motu-proprio che istituiva la Guardia Civica. Davanti alla residenza
del Granduca vi fu una dimostrazione che innumerevoli testimonianze
affermano grandiosa e indimenticabile. Il Bandi nei Mille ricorda che
nel
1860 l'esaltante armonia di quest'inno trascinava all'attacco gli
eroici volontari che lo cantavano alternandolo con gli altri inni più in
voga

:

la

Bella Gigogin,

O

ì

Vlnno

Fratelli d' Italia e

di Garibaldi.

giovani ardenti
D'italico

amore,

Serbate il valore
Pel dì del pugnar.

Evviva l'Italia,
Evviva Pio Nono
Evviva l'unione

E

libertà

la

;

!

Per ora restiamo

Sommessi
Vedranno

Che

vili

e prudenti
le

non

Evviva

:

genti
si^'n.

ecc

l'Italia,

Stringiamoci insieme,

Ci unisca un sol patto
Del dì del riscatto
L'aurora spuntò.

Evviva

Stringiamoci insieme

Siam
In

tutti

giorni

ecc

l'Italia,

fratelli

;

;

più belli

Ci giova sperar.

Evviva

l'Italia,

ecc
— zeprence Leopoldo

li

Invitaci

Fra

all'armi

;

carmi
Sapremo pugnar.
bellici

Evviva

l'Italia,

Evviva Pio Nono
Evviva l'unione

E

la

libertà

;

!

Già l'armi son pronte
A un cenno di Pio
Mandato da Dio
L'Italia

salvar.

a

Evviva
Se

l'Italia,

vile tedesco

il

Non
Piij

Ferrara

lascia

Prepari

la

bara,

scampo non
Evviva,

Il

cielo

Su

A

ecc

ha.

l'Italia,

ecc

sereno

terra ridente
libera gente

Concesse
Evviva,

il

Signor.
l'Italia,

ecc
N
27

m

O ALLA GUA RDIA CIVICA
FIRENZE

DI
O

Signor che dal tetto natio » fu adattata dal popolo a queFirenze dopo la concessione della Guardia Civica,
ritenuta una grande vittoria popolare e un gran progresso nella via
della redenzione italiana.
L'aria

st'inno,

«

nato

a

Cittadini,

la

patria

La difesa
la

vi

affida

queste contrade

:

spade
patria v'invita a pugnar.

Cittadini,

Se

di

cingete le

Siamo tutti d'un sangue redenti,
Siam fratelli al cospetto d'Iddio.
Lo proclama la voce di Pio
:

Ci

Una

sia sacra la patria e l'aitar-

nera, tremenda procella

Sull'Italia

mugghiando minaccia

Maledetto chi asconde

la

:

faccia

Al nemico dell'Italo suol.

Non

è

spenta

Benché

tolti

l'antica

virtude

da poco

al

servaggio.

Vendicare sapremo l'oltraggio
Di chi insulta a un represso valor.

Benché forti di mille codardi
Del nemico sian fatte le schiere,
Vinceranno le sante bandiere,
Il gigante temuto cadrà.

E

del Cristo

Che
Ci

A

ci

pugnando

tolse al

nel

comune

nome,

periglio,

fìa dato di volgere il ciglio
quel sole che Bruto scaldò.
—
Cittadini,

fia

28

—

sacra l'impresa,

Pende Europa sul vostro destino,
Chi discende dal sangue latino
Nacque, crebbe, guerriero morì.
Cittadini,

Già

correte, correte,

chiama, v'invita alla gloria
L'avvenire di certa vittoria.
vi

La difesa

d'Italia e

l'onor.
—

29

O DI O SIRE!
POESIA PATRIOTTICA SICILIANA
[Rivolta
liani,

per

a
i

cessivamente

Ferdinando
l'aveva

quali
in

tutte

le

nel 1847 dai rivoluzionari
poeta David Levi, e cantata
insurrezioni di quel fierissimo popolo.

o

Odi,

A

Borbone

II

scritta

noi

Sire.

Da

trent'anni

miseri ed oppressi

Involare
Gloria,

suoi tiranni

i

averi,

Dieci di

A

il

libertà.

son concessi

ti

noi rendi

il

:

prisco dritto,

insorgerà.

Sicilia

Siccome già su Ninive
La voce del Signore,
Voce d'un nume, il popolo
Al Re così parlò.
1

di

segnati volsero

Fiero
Il

Da campi
Patrizi

e

cittadi,

e pastori,
di

brandi,

pugnali

i

regi

è

il

:

core

;

popolo s'alzò...

Brillaron
I

dei

gioja,

e

terribili

banditi

fieri.

e guerrieri

brandiron Tacciar...
sfavillano

a

mille.

Non hanno che un suono le cento sue squille,
Non han che un affetto gl'intrepidi cor...
Chi gl'impeti affrena d'irato oceano?
Chi l'onde infocate d'acceso vulcano?
D'un popol che vuole chi doma il furor?
Odi,

o Sire,

ecc.

sici-

suc-
—

—

30

INNO AL RE
GIUSEPPE BERTOLDI

DI
Piemonte

ebbe una vera efflorescenza di inni nazionali e di
nel
1847 Carlo Alberto si mise sulle vie
in breve tempo dovevano portarlo alla concessione dello Statuto ed alla guerra all'Austria. Fino a quell'anno la
musa italiana, a dire il vero, aveva lanciato contro il Re di Sardegna
le pili atroci invettive
dopo di allora il tono cambiò e l'affetto, l'amIn

canti
delle

si

quando

patriottici

riforme

quali

le

:

mirazione,

la

accompagnarono

pietà

fino

alla

tomba

oltre

e

lo

sven-

sconfìtto di Novara.
Nel 1832 Carlo Alberto aveva ordinato
maestro Gabetti una Marcia reale, senza parole, che accompagnò
le truppe italiane in tutte le sue prove ed in tutti
suoi trionfi; poi
fece scrivere al poeta Giuseppe Bertoldi il seguente « Inno al Re »,
proprio nel tempo in cui aveva fatto proibire in tutti
suoi stati la bandiera tricolore. L'inno fu cantato la prima volta a Genova il 3 no-

turato
al

i

i

vembre

1847.

Con l'azzurra coccarda sul petto,
Con italici palpiti in core,

Come

d'un padre

figli

veniamo

Carlalberto,

E gridiamo
Viva

il

esultanti

Re! Viva

Figli tutti d'Italia noi

Forti e liberi

il

:

il

siamo,

mente

la

morte il servir
regge clemente

ti

;

godiamo obbedir.

Dio

di

Re grande,

:

degno,

sei

c'inalzi all'antica virtù.
si strinse con Pio
gran patto fu scritto lassù.

Carlalberto

Se

;

tiranni aborriamo,

messaggio

Di compirlo, o

Il

Re!

il

tuo vasto disegno

il

Attendesti

Tu

tuo pie';

d'amore
Re! Viva

braccio e

Più che morte i
Aborriam più che
Ma del Re che ci
Noi Siam figli, e

A compire

il

diletto,
al

sfidi la

Monta

Con

;

rabbia straniera,

in sella e solleva

il

azzurra coccarda e

tuo brando,
bandiera

Sorgerem tutti quanti con te
Voleremo alla pugna gridando
Viva il Re Viva il Re Viva
;

:

!

!

il

Re

!
—

31

INNO A CARLO ALBERTO
DI B.

MUZZONE

Quest" « Inno a Carlo Alberto », scritto da B. Muzzone e musidal maestro Bodoira, ehhe diffusione quando il Re di Sardegna
si
mise sulle vie delle riforme, con immenso giubilo delle sue popolazioni.
Una raccolta delle varie poesie scritte nei regi stati in
occasione delle riforme concesse da Carlo Alberto nel 1847 e nella
quale si trovano inseriti ben ottantasei componimenti poetici dà una
pallida immagine della gioia con la quale era stata accolta nel Regno
di Sardegna la piena e sincera conversione di Carlo Alberto alle idee
cato

liberali

e nazionali.

Viva
Si

Italia!

Viva

Su

Dall'Alpi

risveglia
Italia

Tebro

e dal

l'antico valore.

Un

!

novello splendore

quest'inclita terra brillò.

Emulando

la gloria

di

Pio

Carlo Alberto protese la destra
Al suo popol diletto, e maestra
Di sapienza sua voce s'alzò.

Viva
Si

Italia!

Viva

Su

Dall'Alpi

risveglia
Italia

Tebro

e dal

l'antico valore.
!

Un

novello splendore

quest'inclita terra brillò.

Sorge un grido di gioia e s'alterna
D'ogni parte un applauso sincero,
Che d'amore è suggello foriero
Di grandezza e di forti voler.

Già sicure

faccian d'intorno

si

Al gran trono Sabaudo

Or che

E' dischiuso un arringo

Viva
Si

Italia!

Dall'Alpi

risveglia

Viva

genti

le

accolte le inchieste,

Italia

e

dal

al

i

lamenti,

pensier.

Tebro

l'antico valore.
!

Un

Su quest'inclita

novello splendore
terra brillò.
—
Mormorando

—

32

affanna e

sì

si

asconde

La discordia invilita e derisa
Ve' l'Italia finora divisa

;

Confortarsi de' giorni avvenir!

Poiché

E
E
Viva
Si

amplesso fraterno

in

stretta

Doma

de' tempi

l'ira

e

oltraggi,

gli

mente de'

s'afRda alla

saggi,

de' forti nel provvido ardir.
Italia!

Dall'Alpi e dal Tebro

risveglia

Viva

Su

Italia

!

valore.

l'antico

Un

novello splendore

quest'inclita terra

brillò.

Sia di pace la nostra bandiera,

Sacro a tutti il comune
Maledetto chi desti il

E

diritto.

conflitto,

sollevi de' morti l'aitar.

La giustizia fremente col brando
Sperderà gli esecrati drappelli
Guai se il nume combatte i ribelli
Che oseranno il suo sdegno mutar.
;

Viva

Italia! Dall'Alpi

Si risveglia

Viva

Su

Italia

e dal

l'antico
!

Un

Tebro

valore.

novello splendore

quest'inclita terra brillò.

Come fiamma

che scorre

E grandeggia

in

Si diffonde nel

Uno

foresta

in

incendio repente,

cor,

nella

mente

spirto di patria virtù.

Cittadini

!

La

gloria

degli

avi

E' retaggio affidato ai nepoti.
Deh compite i lor fervidi voti,
E l'Italia ritorni qual fu.
!

Viva

Italia!

Dall'Alpi e dal TeDro

Si risveglia l'antico valore.

Viva

Su

Italia

!

Un

novello splendore

quest'inclita terra brillò.
33

—

DIO E POPO LO
INNO DI GOFFREDO MAMELI
Con quf'Sto canto G'^ffreuo Mameli, diciottenne, si annunziaa nuovo
poeta della patria. « La sera del 10 decenibre 184ti tutta Genova era
fiamme di gioia; ma non la città sola, tutti gli Apennini, (7 dosso d'Italia,
come Dante li chiama, risplendevano di fuochi; parea che gli antichi
vulcani

fossero risvegliati; era l'avviso, era la minaccia d'Italia
e ai tiranni. Il giovinetto Mameli guardava, guardava col
petto anelante quella città accesa, quei monti accesi; e intese che cosa
tutto ciò
significasse
dal passato
indovinò l'avvenire, il prossimo
avvenire
nella commemorazione della battaglia popolare di Prè, e di
Portoria, presentì le cinque giornate di Milano; e in imo di quei nu)menti che Platone avrebbe chiamato di « furore poetico » gitiò ai venti
d'Italia il canto Dio e Popolo, il canto precursore del quarantotto e del
quarantanove ». Così Giosuè Carducci.
Disse, anche, A. G. Barrili di quest'inno: «Fu scritto per il I!) dicembre 1846, giorno della grande passeggiata votiva di tutto il popolo
genovese al santuario di Oregina, celebrandosi il primo centenario
della cacciata degli
Austriaci da Genova
e fu recitato dall'Autore
il
9 dicembre, nel banchetto d'onore offerto dagli studenti genovesi
aìV Albergo de la
Ville,
a Terenzio
Mamiani
il
quale nel suo discorso a quei giovani, lodò grandemente il poeta. Parlò in quella occasione per tutti
compagni Gerolamo Boccardo, il principe degli
economisti italiani. Quanto all'inno Dio e Popolo, l'edizione del 1850,
nel secondo verso del ritornello, reca il soldatesco « Dio si mette alla
sua testa » forse sulla fede di qualche copia errata dell'inno. Nei manoscritti di Goffredo chiaramente e ripetutamente si legge « Dio comagli

si

stranieri

:

;

;

:

i

che ha sapore biblico, in tutto conforme agli studi che sulla
andava facendo il Poeta. Anche la edizione Tortonese ha la
più giusta lezione « Dio combatte » e dobbiamo lodarla di ciò ».

batte »

Bibbia

Come

narran sugli Apostoli,
Forse in fiamma sulla testa
Dio discese dell'Italia...
Forse è ciò; ma anch'è una
Nelle feste che fa il Popolo
Egli accende monti e piani

festa.

;

Come

bocche
Egli accende

di

le

vulcani.
città.

Popolo si desta,
il
Dio combatte alla sua testa.
La sua folgore gli dà.
Poi, se
—
Uno

A

scherzo ora

34

fa

il

—

popolo

;

festa ei si convita.

una

Ma

se è il popolo che è l'ospite,
Guai a lui ch'ei non invita!
Grande è sempre quel ch'egli opera
Or saluta una memoria,
Ma prepara una vittoria
;

E

dico in verità

vi

Che

se il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.

Noi credete ? Ecco la storia
AU'incirca son cent'anni
Che scendevano su Genova,
L'armi in spalla, gli Alemanni
Quei che contano gli eserciti
:

Disser

E

;

l'Austria è troppo forte;
le porte.

:

aprirono

gli

Questa

vii

genia non sa

Che

se il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.

Un

fanciullo gettò

Parve un

Che

le

Sassi

e

un

ciottolo

ciottolo

case vomitarono
fiamme da ogni

Perchè quando sorge
ceppi e
re
Sovra
i

Come

i

;

incantato,

il

lato.

Popolo

distrutti.

vento sovra i
Passeggiare Iddio lo fa.
il

flutti

Quando

Popolo si desta
il
Dio combatte alla sua testa.
La sua folgore gli dà.

Quei che contano
Vi son oggi

gli

come

eserciti

allora

:

Se crediamo alle lor ciance
Aprirem le porte ancora.
—
Confidiamo
I

satelliti

Non
E vi

si

in

dei

35

—

Dio. nel

Popolo

.

forti

contano che morti.

dico in verità

Che

se il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa
La sua folgore gli dà.
—

36

GIOBERTI E GARIBALDI
DI

GIUSEPPE BERTOLDI

E' questa poesia, forse, la prima che abbia corso l'Italia diftonil
Cavaliere dei popoli. Fu stampata alla fine de!
1847 a Torino sotto un ritratto di Garibaldi edito dal Doven.

dendo l'amore per

E va

Gioberti

Dell'Italo

pensiero

Ad

vindice

erger sugli elvetici

un

Dirupi

vero

trono' al

;

E' Garibaldi un fulmine

Che

acque

l'americane

fa

stupir.

grand'alma prodigo

Della

non sua contrada
Altro ei non chiede in premio
Che un tetto ed una spada,
Per

la

Molte battaglie e vittime,

E

degli ospiti

Il

giorno

Non

suoi la

affrettiam

glorioso

libertà.

precipiti
:

Quel giorno è nella provvida

Mente

di Dio nascoso
che la sua vindice
Destra folgoreggiando accennerà.

Allor

E

noi sorgiam terribili

Dai campi e dagli spaldi

;

In ogni seno palpiti
Il

cor di

Garibaldi

:

Beato l'uom che l'anima
In

quel santo conflitto esalerà.
37

FRATELLI
INNO

DI

ITALIA „
GOFFREDO MAMELI
D'

« lo
ero ancora fanciuilo, ma queste magiche parole, anche senza
musica, mi m.eltevano
brividi per tutte le ossa, ed anche oggi,
ripetendole, mi si inumidiscono gli occhi. » Con queste parole Giosuè
Carducci, che meglio di ogni altro ha inteso e reso in verso ed in
proKa lo spirito eroico del nostro Risorgimento, ricorda l'inno di Goffredo Mamer, il più bello e grandioso di tutti gli inni patriottici italiani.
Mameli (nato a Genova il 5 settembre 1827 dal marchese amIl
miraglio Giorgio, cagliaritano) costituì nel 1848 la squadra dei volontari genovesi che accorsero a
prestare aiuto all'insurrezione lombarda,
poi corse alla difesa della Repubblica Rom.ana. Ferito il 3 giugno

!a

i

1849, nel combattimento di Villa Corsini, alla tibia sinistra, ebbe amputata una gamba e morì il tì luglio successivo. Fu un'anima anMazzini, che lo amava come un figlio, scrisse per la sua
gelica.
mone alcune pagine maravigliose di sentimento e di poesia. Garibaldi,
che se Jo vide ferire al fianco, non poteva trattenere le lagrime tutte
le
vo'.te che gli si
parlava di lui.
Il
celebre Inno venne scritto da Goffredo il giorno 10 settembre

1847 e musicato il 24 novembre a Torino dal maestro Michele Novaro (1822-188.S) il quale raccontò nel 187.S ad Anton Giulio Barrili
(l'amoroso studioso e raccoglitore degli scritti del Mameli) il modo
come compose la musica di quei versi infuocati. Si trovava una sera
in casa di Lorenzo Valerio, dove conveniva una eletta schiera di patriotti che facevano musica e politica insieme, quando un amico giunto
« To', te lo manda Gofda Genova gli porse un foglietto dicendogli
fredo ». Il Novaro apre il foglio, legge, si commuove. Tutti gli si
Mameli vengono detti a voce alta, e la
versi del
affollano intorno;
stessa commozione si manifesta sul volto di tutti. « Io sentii, disse
Novaro, dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei
il
piansi, che ero agitalo e non potevo star fermo.
definire... So che
Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo,
assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, mettendo giù
frasi melodiche, l'una sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che
potessero adattarsi a quelle parole... Mi alzai, scontento di me, presi
congedo, corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai
pianoforte. Ai tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa
a!
Valerio; lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne
alle mani. Nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per
conseguenza anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'Inno
«Fratelli d'Italia». Cantato pubblicamente a Genova in una festa popolare, la polizia, conoscendo l'autore per un ardente mazziniano, lo
:

i

proibì

e

non

Garibaldi

lo

tollerò

stimava

marzo 1848.
il
Mameli come

che dopo

l'inno

di

guerresco dopo la Marsigliese
durante l'assedio di Roma e

e
la

lo

più trascinante inno
il
preferiva all'inno del Mercantini;
meravii-liosa, l'Eroe lo can^

ritirata
—

38

—

come del resto facevano tutti i suoi volontari.
canto del magico inno che elettrizzò tante migliaia di guerrieri e
11
volò come superbo arcangelo sui campi di battaglia, viene ancora adesso
considerato in Austria come reato politico, ciò che non impedisce agli
italiani ancora irredenti di cantarlo, sfidando le i. r. prigioni.
lava e zuffolava sempre,

Fratelli

Dell'elmo

Dov'è

la

Le porga

:

desta

;

Scipio

di

S'è cinta la

Che

Uniamoci, amiamoci
L'unione e l'amore
Rivelano ai popoli

d'Italia,

L'Italia s'è

Le vie del Signore.
Giuriamo far libero

test-ri.

vittoria?
la

schiava

chioma

suolo natio

Il
;

Roma

di

:

Uniti, per Dio,

Chi vincer

Iddio la creò.

Stringiamci a coorte

ci

può?

Stringiamci a coorte

!

!

Siam pronti alla mortf
Italia chiamò

Siam pronti alla morte
Italia chiamò
!

I

Dall'Alpe a

Noi siamo da secoli

Sicilia,

Perchè non slam popolo,
Perchè siam divisi.

Ovunque è Legnano
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core e la mano

Raccolgaci un'unica

I

Calpesti,

derisi.

Bandiera, una

;

speme

;

l'ora

;

II

suonò.

Vespri suonò.

I

Stringiamci a coorte

Stringiamci a coorte

!

Siam pronti alla morte
Italia chiamò

pronti alla morte

Italia

chiamò

Son giunchi che piegano
Le spade vendute
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il
sangue d'Italia
E il sangue polacco
Beve col Cosacco,
;

il

!

Siam

:

!

Ma

d'Italia

chiaman Balilla
suon d'ogni squilla

Si

;

Di fonderci insieme

Già

bimbi

cor le bruciò.

Stringiamci a coorte

!

Siam pronti alla morte
Italia chiamò
!

!
—

30

INNO ALL'ITALIA
Fu canijtn

a

Firen/e

12 settembre

il

1847 e per alcuni anni

Sorgi, depressa Italia,

Dalla iua muta tomba

Al suon

di

questa tromba

Ch'oggi squillar
L'armi

fidate

l'udì.

popolo

al

Segnano un nuovo
Ti

cingi

di.

ancor, o prospera

Regina delle genti
De' taciti lamenti
La lunga età finì.
L'armi

;

popolo

fidate al

Segnano un nuovo

dì.

Disse a' suoi figli un principe
Quest'armi a voi l'affido.
E plaudente un grido

—

Di fondo

L'armi

ai

cor parti.

fidate al

popolo

Segnano un nuovo

dì.

Sacra falange, il patrio
Suolo guardar v'è dato,
Questo giardin beato

Che

il

Cielo a noi

L'armi

fidate al

largì.

popolo

Segnano un nuovo

dì.

Ma

se la terra italica
L'estraneo insulti ardito

Muova il
Che noi

vessillo avito
fratelli

unì.

:

-

di

poi.
—
L'armi

4U

fidate al

—

popolo

Segnano un nuovo

dì.

Sappia pugnare e vincere
Il

cittadin guerriero,

Franga l'orgoglio altero
Di chi sprezzarci ardì.

L'armi

fidate al

popob

Segnano un nuovo

dì.
41

SONO

ITALIANO!...

CANTO POPOLARE
(Questo canto rimonta
Goticite di una popolarità

ai

primi mesi del 1848 e nacque in ToSi'ana.
oggi è molto noto in tutta

immensa ed ancor

l'ilatiia.
Nella Venezia e nelle terre alle quali stiamo dando
zione viene tuttora cantato con lo stesso spirito del 1848.

lihera-

la

Giovanottino daiia bruna chioma,

-

come si nom.a?
sono nato, o forestier cortese.
Nel paese più bel d'ogni paese
S'io chieggo a te della nativa terra
Rispondi
<< Io
son di Francia o d'Inghilterra.
Il

—

tuo loco natal
Io

:

:

Fiorenza è bella e Napoli t'ammalia,
Torino è forte e dappertutto è Italia
Se vuoi saper se nacqui in monte o

>>

;

Sono

in

piano.

Italiano.

Giovanottin dalla pupilla nera,

-

Dimmi, qual'è il color di tua bandiera?
Se una rosa vermìglia e un gelsomino
A una foglia d'ailór metti vicino,

—

tre colori avrai piij cari e belli

I

A

noi che in

ci conosciam fratelli
che fremer fanno
L'insanguinato imperator tiranno.
Beato il dì che li vedrà Milano

tre

I

color avi

quei

;

ai

!

Sono

Italiano.

Giovanottin dalla dolce favella,

Dimmi dunque,

—

il

tuo re

come

si

appella?

una patria abbiamo e tutti un Dio
Dal Tebro a tutti benedice Pio
Dell'Arno là sulle rive leggiadre
Sta Leopoldo, più che Duca, padre
Tutti

;

;
—

42

—

Tardi Fernando si battè la guancia,
E Alberto aguzza la terribil lancia
;

Biscia e

Leone cacceran

i

'estrano:

Sono
-

Italiano

Giovanottin dall'elmo piumato,
se' giovane tanto e sei soldato!

Tu

—
E

Soldato no; son cittadino in armi,

soldo col sudor so procacciarmi.
Se giovin sono e se profondo io fero
il

Vedran

le

file

del ladron straniero.

Dunque ripeti, o forestier cortese.
Quando ritornerai nel tuo paese.
Che di bandiera, d'armi e di sovrano
Sono

Italiano
43

IL "

PATER NOSTER

'

DEI MILANESI
Dopo

la

morte

arcivescovo tedesco

dell'odiato

Gaysruck venne

a

1847) l'arcivescovo Romilli, bene accetto, perchè
grande bontà, alla cittadinanza milanese. Furono allora

Milano

(settembre

italiano

e

diffuse

numerose

di

orazioni

patriottiche

nelle

quali

religione

patria

e

fondevano sotto l'egida del nome benedetto di Pio IX. Nacquero
così un Catechismo nazionale, un Credo, due Pater Noster, le Litani^ dei Pellegrini Lombardi, ecc. Il primo Pater Noster in prosa diceva
« Padre nostro che siete a Vienna
Che il vostro nome sia per sempre dimenticato in Italia; Che il vostro regno si restringa al di là
delle Alpi
Che la vostra volontà non sia fatta sopra il cielo come
sopra la terra d'Italia; Rendete a' noi quel pane quotidiano chi ci
Come noi vi rendiamo la vostra carta monetata Non ci indurapiste
si

:

;

;

;

;

voi e
da tutti i vostri
liberateci da
cete nella disperazione; Ma
sgherri ; Una volta per sempre e così sia. » Il secondo Pater Noster
preparare gli
servì anch'esso a
è quello riprodotto qui appresso
animi per
fatti
del marzo 1S48. A Trieste, tra l'aprile e il maggio
:

i

dell'anno
«

Vittorio

tuo,

—

quando sembrava che

corrente,

dovesse riuscire

neutralizzare

a

Emanuele nostro die

venga

il

—

regno tuo,

—

la

pressione della Germania
seguente parafrasi
la

circolò

l'Italia,

Roma

sei

a

sia

fatta

—

:

sia

santificato

volontà tua,

la

sì

nome
come a

il

Trento, cosi a Trieste.
Amaci come siamo odiati, difendici perchè
Non t'induca Hiìtoiv in
siamo oppressi.
Dacci il tuo pane unico.
Così sia.
il ntazinne,
ma liberaci dall'Austria.

—

—

Padre nostro divin, che
Pietà del nostro duol

Signor,

—

—

ci

nei

sei
sì

scampa dall'ugne
dello

Sia

sempre
E tante
Quante

il

nome

volte

l'augel

e

Cieli,

lungo e fiero

:

crudeli
straniero.

tuo santificato,
tante benedetto,

biforme

è

bestemmiato
e maledetto.

Ah! venga il regno tuo, regno d'amore.
Che a Pio fu dato d'imitar qui in terra.
Che la virtude inalza ed all'errore
fa

cruda guerra.
44
Sia fatto

il

voler tuo, se ancor ritarda

Quel giorno di vendetta e di riscatto,
Che vegga Italia e la nazion lombarda
strette ad un patto.
In ciclo e in terra questo giorno è scritto,
In cui la biscia,

ed

il

Di libertà, co'.rarmi,

leone a lato.
sacro dritto

il

avran

Dacci oggi

Che
Il

lo

il

nostro pane quotidiano,

straniar

strappa

ci

vaso è colmo per
e

/

comprato-

la

fin

bocca

di

!

tua Milano,

orm.ai

trabocca.

che abbtam, Signor, perdona.

debiti

In quella guisa che paghiamo quelli

Dei

trattati

di

Vienna e

di

Verona,
veri

Non

tranelli

cadere in tentazione,
in noi tutti e core e
E vincerem nel dì della tenzone
sicuramente.
ci lasciar

Ma

Ma

rinforza

scampaci dal

Deh!

inai e

salva l'infelice

Dall'Aulico

consiglio

dai

tedeschi

mente,

:

Lombardia
e

da

Radeschi
e

:

cosi sia
—

45

—

LA DONN A LOMBARDA
STORNELLO
DI

FRANCESCO DALL'ONGARO

proposito tradotto in pratica con invitta costanza dai milaiicsi
Il
non più fumare per portar grave danno alle finanze austriache diede
vioalla polizia di compiere sulla cittadinanza atti di selvaggia
lenza. Nel gennaio 1848 la sbirraglia ubbriaca fu scatenata per le vie
di Milano; in Piazza Mercanti, sul Corso Francesco (ora Vittorio Emanuele)
altrove donne, ecchi, fanciulli vennero sciabolati barbarae
mente, e sei morti e cinquantanove feriti furono il triste bilancio di
fatti
di Miquella giornata- di ferocia austriaca. Nell'Europa liberale
lano destarono una enorme impressione; l'odio milanese per l'opprest'ore crebbe a mille doppi; e Francesco Dall'Ongaro (nato a Mar.';uc
(Oderzo) nel 1808, morto il 9 gennaio 1873) scrisse uno stornello
diventato popolare che fomentò negli oppressi il desiderio de!la liberazione, compiuta due mesi più tardi nel glorioso modo che tutti
di

modo

i

sanr.o.

Toglietemi d'attorno i panni gai.
Voglio vestirmi di bruno colore
Vidi scorrere il sangue ed ascoltai
Le grida di chi fere e di chi more.
;

Altri

Sui'

ornamenti non porterò mai
che un nastro vermiglio sopra

Mi chiederan dove quel nastro è
Ed io
Nel sangue del fratello

—

tinto,

estinto.

Mi chiederan come si può lavare.
Ed io
Non lo potria fiume né mare

—

core.

il

:

Macchia d'onore per lavar non langue
Se non si lava nel tedesco sangue.

-
46

LA BANDIÈRA TRICOLORE
CANTO POPOLARE
Dopo la cacciata dei tedeschi da Milano, ebbe molto voga la
seguente canzonetta popolare, che fu più tardi ripetuta dal '59 al '66.
Le due ultime strofe furono aggiunte dai soldati di Piemontesi che
cantavano nelle loro marce, e furono subito imparate e cantate
le
dai monelli milanesi.
La si canta ancora in tutta Italia, compresa
Trieste, con leggere modificazioni.

Anderemo a Roma santa,
Anderemo al Campidoglio,
Pianteremo sulla soglia
La bandiera dei tre color.

La bandiera dei tre colori
E' sempre stata la piià bella,
Noi vogliamo
Noi vogliamo

E

i

sempre
la

quella

libertà.

tedeschi coi suoi baffi

Son una massa di birbanti,
Impicchiamo tutti quanti,
pie.
Calpestiamo sotto
i

I

Gesuiti son

partiti

Son andati dal suo re
La corona dell'Impero
La vogliamo sotto ai pie.
;

I

Con

tedeschi son fuggiti

fumo dentro il sacco
Metternich e quel macaco
Si

il

dovranno

ritirar.

:
—

47

—

CANTO POPOLARE
Le Cinque Giornate
in

tutta

di

del Bertoldi
settentrionale.

l'Italia

Manzoni pubblicava la
scritta quando sembrava

uno dei

fu

Da

più

innumerevoli canti

a

popolari

che

e

si

diffuse

1848 Alessandro
« Marzo
lui
^821 »
da
passaggio del Ticino da parte

ricordare
impareggiabile ode

imminente il
piemontese guadagnato alla
aggiungendovi l'ultima strofa

dell'esercito

nazionale,

BERTOLDI

di G.

Milano diedero origine

questo

patriottici;

MIL A NO

LI BERAZIONE DI

LA

nel

rivoluzione

costituzionale

e

:

Oh

giornate del nostro riscatto!
dolente per sempre colui
lunge, dal labbro d'altrui.
Come un uomo straniero le udrà!
Che ai suoi figli narrandole un giorno
Dovrà dir sospirando: io non c'era;
Che la santa viitrice bandiera
Salutata quel dì non avrà!
Oli

Che da

Le Cinque Giornate furono precedute e seguite anche da una vera
poesie e di canti popolari in dialetto milanese che si trovano
un interessante volume di Carlo Romussi.

fioritura di
in

Di

Dio son tutti del mondo i regni,
più degni
Dio che a reggerli chiama
Ma quando l'empio quei regni toglie
Di

i

Egli alza

il

dito e

discioglie.

li

non ha

Il

A
I

regno a Dio

noi chi tolse la libertà?

tolto

centomila sgherri tedeschi
L'insubria inondano, duce Radeschi
Non scende in campo Iddio con l'asta:
Dal cielo ei mostrasi, mostrasi e basta.
Polvere sono dinanzi a Te,
Dio grande e forte, popoli e re.
:

Ecco

sul

sacro piano lombardo

Sventola

Ecco
Coi

il

il

libero

tre colori

un Carlalberto.

Sui vostri altari

Prodi

comun stendardo

trionfo a render certo

Lombardi,

ei

giurerà.

la

libertà.

:

;
—

48

L'ITALIA RISORTA
INNO

DI B. DE'

BANDI

Inno del 1848; parole di Bando de' Bandi, musica del maestro Mapopolarissimo a Milano e in Lombardia per tutto quell'anno.

bellini,

Via toglietemi dal capo
delle spine

La corona

Che una
Splenda

;

volta ancor sul crine
il

serto del valor.

Son l'Italia e son
Le catene io sento

risorta,

infrante,

Sorgerò come gigante
Sopra il campo dell'onor.
Fino all'ultimo Appennino
il
grido redentor

Voli

!

Fui signora delle genti,
Poi fui schiava e piansi tanto,

Ma

quei secoli di pianto

Questo

dì

Tutti in
Tutti

È
Il

fa.

arme

miei,

stretti

Benedetta

Che

scordar mi

a

la

in

figli

bandiera

pugnar

soldato

i

una schiera,

il

li

condurrà.

cittadino,

soldato eroe sarà

!
—

—

49

LA PATRIA DELL'ITALIANO
POESIA POPOLARE

ANTONIO GAZZOLETTI

DI

Antonio Gazzoletti fu dopo Giovanni Prati il maggior poeta trenNato a Nago il 20 marzo 1813, fu imprigionato varie volte dagli
austriaci, esulò a Torino e passò poi a Milano ed a Brescia. Morì magistrato a Milano il 21 agosto 1866. La Patria dell'Italiano fu popolarissima per oltre un ventennio, a incominciare dal 1848 nel qual anno
fu scritta. In essa si esprime vigorosamente il concetto unitario italiano. La sua forma fu ispirata dalla celebre poesia dell'Arndt « Was
ist
der Deutschen Vaterland?» (Qual'è la patria dei Tedeschi?), considerala la «Marsigliese» germanica.
tino.

Qual è
Sotto

la patria dell'Italiano?

cielo napolitano,

bel

il

Nel suol, nell'aere, nel mare un
Serbò natura di paradiso
Pur non è l'eden napolitano
La grande patria delTItaliano.

riso

:

Qual

è

la

dell'Italiano?

patria

mare freme un vulcano,
E intorno a quello fremono genti
Di

dal

là

Di libertade.

Pur non è
La grande
Qual è
E' forse

Che
Sul

il

gloria ardenti

forte

patria
la

Qual
il

è

:

suol siciliano

dell'Italiano.

dell'Italiano?

patria

brando prima,

No, non è
La grande

Culla

di

sacro terren

il

mondo

Fors'è

il

la

romano
croce poi

stese soggetto a noi ?
il

sacro terren romano

patria
la

dell'Italiano.

patria dell'Italiano?

leggiadro

dell'arti e

giardin

insieni

toscano,

gentile

Maestro agl'itali del bello stile?
No, non è il gaio giardin toscano
La grande patria dell'Italiano.
—

50

—

il lombardo suolo fecondo?
Venezia unica al mondo?

Fors'è
Fors'è
Città

maturi ingegni,

fiorenti,

Glorie e sventure vantan quei regni
Pur non Venezia, non è Milano

La grande
Fors'è

;

patria dell'Italiano.

guerriero Piemonte armato?

il

Fors'è l'altero Genovesato?

De' Corsi

l'isola,

Dall'aspre

rupi,

No,

in brevi

La grande
Qual

è

quella de' Sardi
dai

sponde

patria
la

cor gagliardi?
tu cerchi

invano

dell'Italiano.

patria

dell'Italiano?

Dal regal Tevere all'Eridàno
Tutto che il doppio mare comprende,
E un solo accento sonar s'intende,
E il mondo barbaro rifece umano,
E' la gran patria dell'Italiano.

Dovunque prossimo
santo invocasi

Il

Dove una musica
Dove ogni sasso

è

Dall'umil rudero

al

Ivi

la patria

è

Pio,

di

spira ogni vento,

un monumento,
Vaticano,

dell'Italiano.

Dovunque all'ombra
In

Dio

a quel di

nome

fermo accordo

dei

fraterni

tre colori

cuori

Stanchi del vile lungo servire
di vincere o di morire,

Giurar

E
Ivi

al

è

O

vinto amica stender
la

patria

bella

terra,

nobile terra.

Dallo straniero

che

Troppo

oltraggi

soffristi

mano,

la

dell'Italiano.

ti

fa

e

guerra,

danni

:

Sul capo oppresso dai lunghi affanni
Rimetti il prisco ciniier sovrano,

O

grande patria

dell'Italiano.
—

—

51

CANTO

DI

GUERRA

DI LUIGI

Il

gagliardo canto

del

(-arrer

(nato a

morto in patria il 23 dicembre 1850),
popolo quando Carlo Alberto dichiarò
e ripetuto dal popolo per lunghi anni.

fu
la

Venezia
scritto

guerra

il
12 febbraio 1801,
principalmente per il
all'Austria nel 1848

Via da noi, Tedesco infido,

Non

più patti, non più accordi

Guerra,

guerra

Ogn 'altro

!

;

grido

E' d'infamia e servitù.

Su que'
Il

furor

rei,
si

sangue

di

fa

lordi,

virtù.

Ogni spada divien santa

Che

nei

barbari

si

pianta

;

indegno figlio
Chi all'acciar non dà di piglio,
E un nemico non atterra
E'

d'Italia

:

Guerra,

guerra

!

Tentò indarno un crudo bando
Ribadirci le catene

;

La catena volta in brando
Ne sta in pugno, e morte dà.
Non s'ottiene
Guerra, guerra
Senza sangue libertà.
!

Alla legge inesorata

Fa risposta
Fan risposta

la
al

Crociata

;

truce editto

Fermo core, braccio invitto,
Ed acciaro che non erra
;

Guerra,

guerra

!

CARRER
,

—
Non

piià

attristi

ci

lo

—

52

sguardo

L'aborrito giallo e nero;

Sorga l'italo stendardo
E sgomenti gli oppressor.
Sorga, sorga, e splenda altero
Il

vessillo

tricolor.

insegna nostra
mostra
ti

insegna,

Lieta

Sventolante a noi

cammino

Il

tu

;

addita,

ci

Noi daremo sangue e vita
Per francar la patria terra
Guerra,
E'

la

guerra

Da

nostro scampo.

il

gloria

lei

Della spada
Dasti in

il

noi

E' d'Italia

;

guerra!

avremo e regno
fiero lampo

l'antico

;

ardir.

indegno

figlio

Chi non sa per

lei

morir.

Chi

tra l'Alpi e il Faro è nato
L'armi impugni e sia lodato
Varchi il mare, passi il monte.
Più non levi al ciel la fronte
;

Chi un acciaro non
Guerra,

guerra

afferra

umile
paese
Guerra echeggi, e morte al

Dal palagio
Tutto,

Che

al

tutto

:

!

tetto
il

bel

tant'anni ci

vile

calcò;
'

Guerra suonino

Che

il

le

chiese

ribaldo profanò.

Vecchi

donne

infermi,

Dei belligeri

imbelli.

fratelli

Secondate il caldo affetto
Guerra, guerra
In ogni
Che di vita un'aura serra,
!

Guerra,

guerra

!

:

petto.
53

IN NO DI

GUERRA DEL
DI

primo

1848-49

LUIGI MERCANTIMI

guerra del celebre autore dell'Inno di
a Ripatransone il 20 settembre
1821,
1872) lo scrisse nel 1848, e con quell'inno sul labbro
crociati romagnoli corsero in aiuto di Venezia combattente eroicamente contro gli Austriaci. Fu m.usicato dal maestro Giovanni
Zampettini, di Sinigaglia. In una nota ai suoi canti il Mercantini dice
presente inno di guerra
a proposito del
« Quando in
Corfù io fui
a visitare Daniele Manin, da una stanza vicina si udiva cantare
« Tre
colori,
tre colori». «Ecco! mi disse Manin,
commovendosi, ecco il
canto col quale abbiamo combattuto insino all'ultima ora sulle nostre
lagune ». Il motivo della bandiera nazionale ricorre molto di frequente
nella poesia patriottica del Risorgimento (vedi pag. 40 e 52). Il tricolore
divisi popoli della pefu il simbolo e il nodo della patria, che raccolse
nisola in un sol fascio potente e disciplinato. Come scrisse uno dei più
appassionati cultori degli studi storici sulla resurrezione italiana, «
gioani che non possono ricordare di aver veduto nei tempi della dominazione straniera un cencio tricolore conservato fra le memore più
care e segrete e mostrato fra un sospiro di rimpianto e una speranza,
e non videro più tardi quei medesimi colori splendere liberi nella gloria
del sole e sorgere quasi per incanto, dietro ai passi dei fuggenti austriaci, e rivestire le città d'un'iride festosa, non possono comprendere
capelli grigi all'apil
fremito segreto che provano quelli che hanno
parire della nostra bandiera. » Dopo la caduta di Venezia nel 1849, il
tricolore fu, come scrisse Carlo Cattaneo, « il solo segno che rappresenE' il
Garibaldi

morto

a

:

degli

inni

Mercantini

il

Palermo

l'S

di

(nato

novembre

i

:

:

i

i

i

tasse al cospetto del

mondo

Patrioiti,

la

nazione. »

all'Alpi

Fu

l'Italia.

andiamo,

andiamo al Po
Perderem, se più tardiamo
Già il tedesco c'insultò.
Patriotti,

Il

:

:

tambur, !a tromba suoni.
Noi sui campi marcerem.
Mille e più sieno

Noi

le

E

sol

verde,

La bandiera

E

i

cannoni.

micce accenderem.

sol verde,

bianca e rossa

s'innalzò.

bianca e rossa

La h:indÌTn s'innibò.
—
Tre

colori,

54

—

tre colori,

cantando va
a cantando tre colori

L'italian

;

i

11

fucile

imposterà.

Foco, foco, foco, foco

!

S'ha da vincere o morir.
Foco, foco, foco, foco
!

Ma

il

tedesco ha da morir.

E
t,a

E

verde, bianca e rossa
bandiera s'innalzò.
sol verde, bianca e rossa

sol

La bandiera s'innalzò.
—

55

CANTO DEGLI INSORTI
ARNALDO FUSINATO

DI

Ad Arnaldo Fiisinato (nato a Schio il 10 dicembre 1817, morto
Roma il 28 dicembre 1888) deve molto la musa patriottica italiana.
Fu soldato, combattè a Alontebello ed a Vicenza e partecipò alla difesa
di Venezia
!e sue strofe guerresche venivano ripetute dai soldati nelle
a

:

marce. Singolare per veemenza e paragonabile ai
dell'ungherese Petòfi è questo canto degli insorti
universitario

selvaggi canti
battaglione
il

più

che

Padova fece suo.

di

Suonata è

la

squilla

già

:

Terribile echeggia per

Suonata è

la

squilla

Su presto corriamo
Brandite

i

Fratelli,

Al cupo

fucili,

fratelli,

le

il

grido di guerra

su presto,

:

la

;

fratelli.

patria a salvar.

picche,

i

coltelli,

corriamo a pugnar.

rimbombo

Rispose

il

l'itala terra

dell'austro

ruggito del

cannone
Leone

nostro

:

manto d'infamia, di ch'era coperto,
CoU'ugna gagliarda sdegnoso squarciò,
E sotto l'azzurro vessillo d'Alberto
Ruggendo di gioia il volo spiegò.
Il

Noi pure l'abbiamo

Non

la

nostra bandiera

come un giorno

pili

sì

gialla,

nera

sì

Sul candido lino del nostro stendardo

Ondeggia una verde ghirlanda d'allòr
De' nostri tiranni nel sangue codarde
E' tinta

la

:

zona del terzo color.

Evviva l'Italia! d'Alberto la spada
Fra l'orde nemiche si schiude la strada.
Evviva l'Italia! sui nostri moschetti
il Vicario la mano levò...
E' sacro lo sdegno che ci arde ne'

Di Cristo

Oh

!

troppo finora

si

petti

pianse e pregò.

!
—

—

56

Vendetta, vendetta! Già l'ora è sonata,
Già piomba sugli empi la santa crociata
Il

Si

colmo

è

calice

strinser

dell'ira

mano

la

le

:

italiana,

cento

città

:

Sentite sentite, squillò la campana...

Combatta

denti chi brandi

coi

non

Vulcani d'Italia, dai vortici ardenti
Versate sugli empi le lave bollenti
E quando quest'orde di nordici lupi
Ai patrii covili vorranno tornar,

Corriam

fra le gole dei

Sul capo
S'incalzin

di

E quando

!

nostri dirupi

fuggiaschi le roccie a crollar.

ai

Un nembo

ha.

fronte,

le

di

avvolga

li

fianco,
di

alle

spalle,

pietre e di palle,

canne dei nostri

fucili

Sien fatte roventi dal lungo tuonar.

Nel gelido sangue versato dai vili
Corriamo, corriamo quell'armi a tuffar.

E

là dove il core più batte nel petto
Vibriamo la punta del nostro stiletto;
E allora che infranta ci caschi dal pugno
La lama già stanca dal troppo ferir,
))e' nostri tiranni sull'orrido grugno
.i
pomo dell'elsa torniamo a colpir.
.

Vittoria,

vittoria

!

Dal giogo tiranno

Le nostre contrade redente saranno
Già cadde spezzato l'infame bastone

;

Che
Il
Il

—

l'italo dorso percosse finor
timido agnello s'è fatto leone.
vinto vincente, l'oppresso oppressor.
;
—

57

CANTATA
DI

DI

GUERRA

ARNALDO FUSINATO

Questa cantata patricttica del Fusinato che non è compresa nei
volumi delle sue opere raccolte si trova nella bella Antologia di Raffaello Barbiera « I Poeti Italiani del secolo XIX ». Fu scritta nel 1848
a Venezia, fu musicata dal maestro veneziano Francesco Malipiero, ed
accese ancor più gli animi nella lotta contro il nemico nazionale.

Donne
L'ora

fatai

All'armi,

s'approssima

all'armi,

o

!

forti!

Noi v'afRdiam la libera
Bandiera dei risorti
Senza timor guardatela-..
I
suoi color son tre.
!

Ed
Le

il

Leon dell'Adria

sta vegliando al Pie.

Fino

al

supremo

anelito

Dell'onor suo custodi,

Dove
Ivi

il
suo drappo sventoli
accorrete o prodi
:

Del tradimento il demone
Più non le striscia al pie

;

Perchè il Leon dell'Adria
Le sta vegliando al pie.
All'armi,

all'armi,
o forti!
Noi v'affidiam la libera
Bandiera dei risorti
!

Uomini

E

con un grido concorde
Stringiamo il vessillo che Italia
noi,

di

fede,

diede.
simile anch'esso all'Angiol di morte.
Affiso alle porte
del santo giardin.
Sull'ultimo scoglio dell'Alpi giganti

Oh!

Custode

ci

—

si

pianti

—

del

nostro confin.
—

58

—

DOKKE
Addi--.

Con

j^:^j.-::.,

.

col

voi sceaideremo sul

'o3

del

pensiero

campo guerriero

:

Se deWl la mane rifugge dal brando.
Staremo pregando appiè all'aitar.

UOMIKI

E

noi

col

tripudio dell'alme

Sui campi cruenti

—

'

fidend

corriamo a pugnar.

Tutti
Corriamo, corriamo
vergogna al codardo
Che il volo non segue del patrio stendardo
Un inno di gloria, im'onda di pianto
AJ martire santo
cbe pugna e che rouor
Al forte che riede di sangue coperto
:

:

—

Un

vergine serto

—

di

baci e

di

fior.
—

59

CANTO
Dopo

campagna

l'infausta

Lombardia

di

GUERRA

DI

interrotta

dall'armistizio

PiemoDlesi ardevano dal desiderio di riprendere
agosto 1848,
lotta contro gli AuKtriaci. Il canto the segue ebbe molta voga nel
la
brcc periodo che corse fra la fine della prima guerra nazionale e
l'iui/io della seconda, cosi breve t terminata cosi tristemente a Novaia
del

9

{2i

marzo

i

1849).

Italiani,

Fu

se gagliardo

già

il

Di

Hontida
Presto

Lombardo

braccio del

Se all'estraneo
il

all'armi

La contesa

;

spavento
giuramento,
fé'

di

—

non è
Legnan

sciolta

;

Su, gridiamo un'altra volta
-- Guerra al barbaro Aleman
:

Siede ancora

E

—

nostro desco

al

Gavazzando,

!

ebbro

il

tedesco,

l'esercito s'ingrossa

D'un novello Barbarossa
Presto all'armi

La contesa

di

•

—

non
Legnan

è sciolta
;

Su, gridiamo un'altra volta

—
Quando

Guerra
l'insubre

al

:

Aleman

barbaro

I

campagna

Tutta sanguina e

si

lagna

;

Quando il veneto Leone
A battaglia si compone.

—

Presto all'armi
non è sciolta
La contesa di Legnan
;

Su, gridiamo un'altra volta

Guerra

u)

barbaro

:

Aleman

'
—
Quando
Van

gli

—

60

Usseri e

le

spie

briachi per le vie,

E gareggiano codardi
Scannatori

di vegliardi.

Presto all'armi

La contesa

di

—

non
Legnan

è sciolta
;

Su, gridiamo un'altra volta

—

Guerra

al

:

Aleman

barbaro

Stende l'aquila gli artigli
Sovra i campi, e sovra i figli
Non sia tregua coli 'ingorda
Se la polvere non morda.

!

;

Presto all'armi — non è sciolta
La contesa di Legnan
Su, gridiamo un'altra volta
;

—
Ha

:

Guerra

al

barbaro Aleman

tuonato il Vaticano
Dall'Allobrogo al Sicano
Ti

—

risveglia

Dio

lo

itala

vuole,

Presto all'armi

La contesa

di

prole

Dio

:

:

lo

—

è sciolta
;

Su, gridiamo un'altra volta

-- Guerra

al

barbaro

—

vuole.

non
Legnan

!

:

Aleman!
IL

RISORGIMENTO

DI

ALESSANDRO POERIO

—

Alessandro Poerio (1802
3 novembre 1848), soldato e poeta,
fratello di Carlo, si distinse alla difesa di Venezia dove morì. Questo
inno non fu veramente cantato, ma declamato dai valorosi combattenti.
Il
Poerio nella memorabile sortita di Mestre del 27 ottobre cadde ferito mortalmente mentre nel folto della mischia animava
sioi commi
i

litori

Non

col

canto.

fiori,

ien l'empie memorie

non carmi

Defili avi sull'ossa,

D'oltraggi fraterni,

Ma
Ma
Ma

D'inique vittorie,
Per sempre velate.

il
i

suono

serti sien l'opre,

tutta sia

Ma

scossa

—

Da guerra

Che

sia d'armi.

quelle ricopre

resti e s'eterni

Nel core

la terra

—

un orrore

Di cose esecrate

!

;

Sia guerra tremenda,

E, Italia,

Sia guerra che sconti

Correndo ad armarsi
Con libera man.
Nel forte abbracciarsi
Tra lieti perigli

La rea servitù

!

Agli avi rimonti.

Ne' posteri scenda
La nostra virtù

O

Divampi di vita
La speme latente
Percuota

Che

in

Beltate

gli

tuoi figli,

Fratelli saran.

!

Di scherno nutrita

i

sparsi fratelli,

O
;

strani.

questa languente

— sfrenate

popolo mio.

Amore
Movete
Decreto
Fidenti

v'appelli
;

!

nell'alto
di

—

Dio
valenti.

Cacciaron le mani,
D'un lungo soffrire,

Movete all'assalto.
Son armi sacrate

Sforzante a vendetta,

Gli oppressi protegge

;

L'adulto furor.

De'

cieli

Sorgiamo
Concordia

e la stretta

Ma

questa è sua legge,

dell'ire

Che

;

Sia l'italo amor.

il

Signor

;

sia libertade.

Conquista

al valor.
—
Fu servo

il

62

—
Ma

tiranno

Del nostro paese
Al domo Alemanno

vano pensiero

Fia l'inclita impresa.

;

Le terre occupava
Superbo il Francese.

Se d'altro straniero
L'aita maligna
Sul capo ci pesa

Respinto

Sien soli

—

»

dal vinto

Poi quelle sgombrava.
Si

pugni,

si

muoja

;

De' prodi caduti
L'estremo sospir

Con
La

fede saluti

libera gioia

D3I patrio avvenir

O

!

Italia,

nessuno

Stranier

ti

fu pio

;

Errare dall'uno
Nell'altro servaggio

T "incresca,
Fiorente

per Dio

!

— possente

D'un solo linguaggio,
Alfine in te stessa,

O

—

i

figliuoli

né alligna
Qual seme fecondo
Nel core incitato
Verace voler,
Se pria non v'è nato
Sospetto profondo
Dell'uomo stranier.
D'Italia

patria vagante.

Eleggi tornar

;

Ti leva gigante,

T'accampa inaccessa
Su' monti e sul mar

!

;
—

63

ADDIO,

M IA

BELLA, ADDIO

CANTO POPOLARE

!

CARLO BOSI

di

bella, addio? Chi non
Italia V Addio, mia
(^hi non ha cantato in
eanta ancora, in città e in campagna, in Lombardia, in Toscana, in
d'America? Questa canzone, così fresca e
Sicilia, nelle nostre colonie
vibrante, che par nata oggi, ha invece un'età veneranda poiché sorse
nel 1848 ed ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Curtatone.
La scrisse il fiorentino Carlo Bosi, che la intitolò « Il volontario che
parte per la guerra dell'Indipendenza », ma il popolo la chiamò 1' « Addio
del volontario » e ne corresse il primo verso che nella lezione originale suonava: Io vengo a dirti addio. Il musicista ci è ignoto; ma
cliiunque l'abbia composta, se pur non l'ha creata l'anima stessa del
forse quel motivo così nitido, così
popolo, ha fatto opera di bellezza
snello, così battagliero, « doveva già esistere come aleggiante per l'aria
e come susurrante nei cuori». La canzone ha due sole frasi così ritmicamente incisive, e tanto slancio e vigore, che appena echeggiano, un
brivido corre per le ossa e tutte fremono le fibre del cuore. « E' in
tempo ordinario e in tono maggiore, né oltrepassa l'ambito di sei sole
note, sempre naturali
al termine del primo periodo, lo squillo di alcime rapide note ribattute le accresce vigore ed energia. Così breve e
la

:

:

così
lodia

sempre uguale

circoscritta, ripetuta

dovesse riuscire

monotona,

di

ma non

parrebbe che la meessa, pur ripetenmutar delle parole, nuovi

strofa,

è

così

:

sembra rinnovarsi e acquistare, dal
sempre più vigorosi e marziali, come sembra in taluni punti ingentilirsi alla rievocazione di amorosi e soavi ricordi. Oltre a ciò nella
sua estrema semplicità è originale
non ha punti di contatto con altri
canti patriottici e popolari del tempo. Ed è inoltre schietta e sincera,
dosi,

accenti

:

senza

senza appiccicature
sì sente sgorgata liberamente e
spontanearr.ente dall'anima popolare e venuta fuori, come suol dirsi,
di prima intenzione ». (Arnaldo Bonaventura). Enrico Panzacchi disse dell' « Addio
del volontario»:
«E' veramente una cara e poetica cosa;
un toccantissimo motivo che ho sentito lodare e quasi invidiare all'Italia nientemeno
che da Riccardo Wagner». E Pietro Cori osservò giustamente
« Le
undici strofe di questa
poesia hanno nociuto agli
austriaci più di una battaglia perduta, e giovato all'Italia più di una
battaglia guadagnata. Tanta è la potenza del ritmo e dell'armonia sull'animo gentile degli Italiani!»
fronzoli

e

:

:

Addio, mia bella, addio,
L'armata se ne va;

Se non partissi anch'io
Sarebbe una viltà
!

Non

pianger,

mio

tesoro.

Forse ritornerò;

Ma

se in battaglia io

In ciel

ti

rivedrò.

moro
64
La spada, le pistole,
Lo schioppo l'ho con me

Saran tremende l'ire.
Grande il morir sarà
Si mora, è un bel morire
Morir per libertà
!

:

Allo spuntar del sole
Io partirò da te.

Il

—

!

Tra quanti moriranno
Forse ancor io morrò

sacco è preparato
Sull'omero mi sta
Son uomo, e son soldato,
Viva la libertà
;

!

Non

Se più del tuo

è fraterna guerra

La guerra ch'io farò
Dall'italiana

Tu non

;

Per

L'antica tirannia
Io

l'Italia

vado

in

lui

non

Io

ancor

ti

non sospirar.
lascio sola,

Ti resta un figlio ancor

;

Lombardia

Nel
Nel

Incontro all'oppressor.

ti

figlio

dell'amor

la tromba, addio.
L'armata se ne va
;

bacio

Viva

la

al

figlio

libertà

!

consola.

figlio

Squilla

Un

diletto

udrai parlar,

Perito di moschetto.

terra

L'estraneo caccerò.

Grava

;

Non ti pigliare affanno,
Da vile non cadrò.

mio

!

;
—

65

INNO MILITARE
GOFFREDO MAMELI

DI

Fu

composto

Tirteo dell'Indipendenza Italiana nell'agosto del
a Giuseppe Verdi che lo musicò
caro alla gioventù, è oggi l'inno irredentista per
eccellenza.
A Trieste e in tutte le terre italiane rimas'.e tiro al
maggio 19K'i soggette all'Austria due ultimi versi del ritornello « F.nchè
non sia l'Italia
Una dall'Alpi al mar » vengono modificati in questo
modo: « Finché a Trieste e a Trento
Non splenda il Tricolor».
dal

1848 e mandato da
nell'ottobre. Sempre

Giuseppe Mazzini
'

i

—

—

All'armi,

all'armi

Le insegne
Fuoco,
Sulle

!

—

gialle

Ondeggiano

e nere

:

per Dio, sui barbari.
vendute schiere
!

Già ferve la battaglia.
Al Dio de' forti osanna
Le baionette in canna,

;

E' l'ora del pugnar.

Non deporrem

la spada
schiavo un
Dell'itala contrada
Finché non sia l'Italia

Finché

sia

angolo

:

Una
Avanti

dall'Alpi al mar.

—

Viva Italia,
Viva la gran risorta
Se mille forti muoiono,
Dite, che è ciò? Che importa
Se a mille e mille cadono
Trafìtti i suoi campioni ?
!

:

Siam

E

ventisei milioni

tutti

lo

giurar.

Non deporrem

la spada
schiavo un
Dell'itala contrada

Finché

sia

:

Finché non

Una

sia

l'Italia

dall'Alpi al mar.

angolo
—

—

66

Finché rimanga un braccio
Dispieglierassi

altera,

Segno ai redenti popoli,
La tricolor bandiera,

Che

nata fra

patiboli

i

discende
guerresche tende

Terribile

Tra

le

Dei prodi che giurar
Di non depor la spada
Finché sia schiavo un
Dell'itala

contrada

Finché non

Una
Sarà

sia l'Italia

dall'Alpi al mar.

—

l'Italia

angolo

.

edifica

Sulla vagante arena

Chi tenta opporsi

—

Sui sogni lor

piena

la

misero

!

Dio verserà del Popolo.
Curvate il capo, o genti,
La speme dei redenti
La nuova Roma appar.

Non deporrem

la spada
schiavo un
Dell'itala contrada
Finché non sia l'Italia

Finché

sia

angolo

:

Una
Noi

lo

dall'Alpi al mar.

giuriam pei martiri,

Uccisi dai tiranni,
Pei

sacrosanti palpiti,

Compressi

E questo
Sangue

in cor tant'anni,

suol che sanguina

dei

nostri eroi

A

Dio dinnanzi, e al popolo
Ci sia solenne aitar.

Non deporrem

la spada
schiavo un
Dell'itala contrada
Finché non sia l'Italia

Finché

sia

:

Una

dall'Alpi al mar.

angolo
67

—

L'ULTIMA ORA DI VENEZIA
ARNALDO FUSINATO

DI

era già ricaduta sotto il giogo straniero dopo la
eroica rivoluzione del 48-49, la quale aveva rivelato il
miracolo d'un popolo, creduto imbelle, che sapeva battersi e morire
per la propria redenzione, ed una sola città continuava a lottare, senza
speranza di vittoria, in un sublime accanimento, per il nome e per l'onore d'Italia. La difesa di Venezia, come già quella di Roma nella
quale si erano manifestati il senno politico di Mazzini e il valore

Tutta
sfortunata

indomito
città
gli

di

l'Italia

ma

'

Garibaldi, colpi

di

dopo

San Marco,

Italiani.

il

Arnaldo Fusinato,

—

mondo
alla

di

ammirazione, e

mesi

diciotto

vigilia

fame

di

della resa

la

caduta della

commosse

resistenza,

tutti

Venezia (24 agodalle armi nemi-

di

che
e
che
compose nell'Isola del Lazzaretto Vecchio dove si trovava di
guarnigione questa bellissima, toccantissima poesia, che corse la Penicuori e accendendo nuovi
sola intenerendo le anime, facendo dolorare
propositi di riscossa per tempi non lontani e migliori.
sto

1849)

—

vinta

dalla

piti

dal

colera

i

E' fosco l'aere.
Il cielo è muto,

Ed io sul tacito
Veron seduto.
In

—

morbo

Il

pan

Il

ci

infuria,

manca,

Sul ponte sventola
Bandiera bianca
!

solitaria

Malinconia
Ti guardo e lagrimo,
Venezia mia

No, no non splendere

Su

guai.

tanti

Sole d'Italia,

!

Fra i rotti nugoli
Dell'occidente
Il raggio perdesi
Del sol morente,

E mesto
Per

l'aria

bruna

Della laguna.

Della città

:

dalla

Qual novità?

Venezia

Ora

!

è

L'ultiina

venuta

gondola,

—

;

Ilustre martire,

Tu

sei

perduta...

Il

morbo

Il

Passa una gondola
Ehi,

Spenta fortuna
gemito
il

Si eterni

sibila

L'ultimo gemiro
Della laguna.

~

Non splender mai
E sulla veneta

pan

ti

infuria,

manca,

Sul ponte sventola

Bandiera bianca

!

;
68

Ma

non

Ed

ignivome

le

—
ora infrangaci

Palle roventi,

Qui sulla

Né

Finché è ancor libera.
Questa mia cètra.
A te, Venezia,
L'ultimo canto,
L'ultimo bacio,
L'ultimo pianto

i

Su

fulmini

mille

stridenti,

t?

Troncare ai liberi
Tuoi dì lo stame...
Viva Venezia
!

Muori

fame

di

1

!

Ramingo ed esule

Sulle tu3 pagin'2
ScolpÌ3ci,
L'altrui

E
E

—

la

grida

storia.

nequizie

sua

posteri

:

Tre volte infame
Chi vuol Venszia
Morta di fame
!

Viva Venezia
L'ira

il

risuscita

Virtude antica

Ma
Ma

E'

;

il

morbo

infuria

il

pan

manca..

le

Sul ponte sventola

Bandiera bianca

!

Venezia,

Nel mio pensiero;
Vivrai nel tempio
Qui del mio cor?.
Come l'immagine
Del primo amore.

Ma
Ma
Ma

I

nemica

La sua

In suol straniero,
Vivrai,

gloria,

ai

pietra.

vento

sibila,

l'onda è scura,
tutta in
la

natura

tenebre
:

Le corde stridono,
La voce manca...
Sul ponte sventola
Bandiera bianca
!
—

69

—

LA CARABINA DEL BERSAGLIERE
CANTO
Come

DOMENICO CARBONE

DI

delusioni e gli insuccessi non avevano fatto disperare
Mazzini e di Garibaldi, così il tradimento di Pio IX, la
sconfitta di Novara, il trionfo finale dell'Austria e dei suoi tristi accoliti
non valse a far perdere la speranza nel futuro ai patriotti del Piemonte. Oh tempra d'acciaio, oh fede invitta dei nostri padri! Domenico
« Re Tentenna »
il
Carbone, colui che con una satira di grande linea
aveva vivamente scosso, a detta del Predari, l'animo di Carlo Alpartigiani di una politica
berto facendolo piegare più benigno verso
canto tutto speranza, la « Carabina
liberale e nazionale, scrisse un
del Bersagliere », che ebbe gran parte nell'opera di resistenza morale
e di preparazione iniziata dal Piemonte nel 1850.
ossia la via di Trieste, nelle cui
La via si calchi di Nabresina
vicinanze sta il piccolo villaggio di Nabresina.

seguaci

le

i

di

—

—

i

:

Mia carabina

—

mia

fidanzata,

Di tutto punto, tu se' parata;

Dolce tripudio della mia mano.
dell'occhio con cui ti spiano,

Amor

10 t'ho giurato la

fede mia

Sui vasti campi di Lombardia

Giorno

noxzc

di

si

;

ravvicina,

Mia carabina.

—

Mia carabina
mettiti a festa
Nozze di sangue l'Adige appresta
Ti

sarà

;

dote l'aurea

Vinta nel fuoco della battaglia
Altare,
Letto,

E

un
la

;

medaglia
;

preso d'assalto,
pietra d'un arduo spalto;
colle

tu d'ogni

arma

sarai regina.

Mia carabina.

Mia carabina

—

quando tu
La destra gota lieve mi
Quel tocco è il bacio
11

bersagliere

dalla

scatti,
batti

;

che

sua dama

invoca

e

brama

;

Solo col lampo che tu saetti.
Morte nel core dell'Austro metti.
Ma, quando tuoni, porti ruina.
Mia carabina.
—
Mia carabina

—

70

—

s'appanna

talor

Il

terso acciaro della tua canna

E

la

Roma
Ed

;

bocca sussurra e noma
Venezia e Roma.
e Venezia
rispondo
Che più ti resta ?

tua

io

Lupa,

:

;

:

La via

Leon li desta.
calchi di Nabresina,

scuoti

ti

si

;

Mia carabina.

—

Mia carabina
Spuntare

i

questi stranieri

nostri pennacchi neri

Dell'Alpi in vetta presto vedranno,

E

vanti in gola ricacceranno.

i

Fra le due schiatte pose natura
Coteste rócche, coteste mura,

A

ripigliarle

Dio

destina,

ti

Mia carabina.
Mia carabina

—

mai non dici
Troppi nel campo sono
nemici
Chiedi sol quanti per opra mia
tu

:

i

;

Mordon la terra nell'agonia.
E se ti metto la daga in testa,
Sembri una sposa vestita a festa,
E meni orrenda carneficina.

'

Mia carabina.
Mia carabina
Il

—

nessun

ci

segua

bersagliere passa e dilegua

Corre

Lo

col

vento,

col

tigre

:

;

balza

credi a fronte, dietro t'incalza

Qua

si

sparpaglia,

là si

;

:

raduna,

Pare e dispare la penna bruna
con te sempre, con te cammina,
;

Ma

Mia

carabina.

—

Mia carabina
le Adriache prode,
Ancor co' becchi l'aquila rode;
Ond'è che a punta di baionetta
Ti scrissi in calcio

morte o vendetta
guardo tanto mi regga
straniero fuggire io vegga

S'io cado,

Che

lo

:

!

il

;

E anco

sotterra siimi vicina.

Mia carabina.
71

IL

—

BARCHETTO

DEL' 49
ANTONIO PAVAN

DI

Antonio Pavan, morto commendatore e Conservatore delle Ipoteche
riposo, era nel 1848 un giovane scrivano d'avvocato a Treviso. La
riolu2Ìone uel 22 marzo lo improvvisò poeta. E poeta fu e popolarissimo a' suoi giorni. // barchello del '49 e lo Stornello si cantarono,
nei sottovoce patriottici, su arie d'opere o di altre canzoni, particolarmente nelle famiglie degli emigrati veneti prima del '6tì.
a

Di notte una barchetta vien dal mare.

A

prora ha una bandiera tricolore,
ferma contro riva ad aspettare.

Si

Ad
I

aspettar dei giovanetti

fiore

il

:

volontari della santa guerra,

Pronti a morir per l'italiana terra.

STORNELLO GARIBALDINO
DI

Il

E

ANTONIO CAVAN

Fior d'amorino.
conosce dal mattino,
nasce l'onest'uom garibaldino

giorno

si
Inni di-guerra-e-canti-patriottici-del-popolo-italiano-1915
Inni di-guerra-e-canti-patriottici-del-popolo-italiano-1915
Inni di-guerra-e-canti-patriottici-del-popolo-italiano-1915
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  • 2. Presented to the LIBRARY of the UNIVERSITY OF TORONTO from the estate of GIORGIO BANDINI
  • 4. PROPRIETÀ' LETTERARIA Stabilimento Tipografico della Società Editoriale Italiana - Milano
  • 5. Inni di Guerra e Canti patriottici del Popolo Italiano Scelti e annotati S'i'i /ÌA''' ^ da Rinaldo Caddeo d'Italia! SII, in anni! coraggio! Rerchet. Terza edizione ccjrretta ed aumentata MILANO CASA EDITRICE RISORGIMENTO 1915
  • 7. PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE Questo volumetto, che si la più autorevole stampa proponeva, guerra che morale preparazione alla l'Italia sta combattendo per zionali e per la giustizia internazionale. memoria grande della suoi diritti na- Richiamando alla i degli Italiani gli inni guerreschi dei loro Padri, facendo risuonare nuovamente nelle masse popolari dei canti tornelli ita- chiamato aureo, ha veramente contribuito, come liana ha l'Autore forni patriottici quali coi fu fatta più rapidamente avevano intuito e affermata la ri- Patria, la cosidetti interventisti, ossia a coloro ai i che necessità imprescindibile della lotta contro l'Austria, un formidabile mezzo e di di propaganda in quegli angosciosi mesi di aprile maggio, quando parve possibile l'estrema viltà del neutralismo austro-tedesco che avrebbe fatto per sempre dell'Italia vassallo un paese senza spregevole e onore venale Nelle piazze e nelle strade dove liberatrice si videro gruppi di e senza degli si inneggiava frontiere dove di i nostri iniziare verso Fiume e la la soldati si in guerra alla mano; un centrali. giovani e di vecchi cedere cantando col libro del Caddeo pazienza potenza, Imperi pro- e dalle struggevano nell'im- marcia verso Trieste e Trento, Dalmazia, lettere vibranti di entusiasmo
  • 8. — e di VI — riconoscenza giungevano a noi, espressione sincera grande anima della italiana, riboccante di idealità e fe- dele alle generose tradizioni del nostro passato. Pubblicando, dopo soli due mesi dalla prima, conda edizione riveduta, corretta di guerra e la se- aumentata, degli Inni e Canti patriottici del Popolo Italiano, noi for- muliamo l'augurio che fra breve i nostri vittoriosi sol- dati possano far risuonare nelle vie di Trieste e di Trento le strofe sando di animose vittoria (ìiiigno, al in canto delle quali essi stanno pas- vittoria. 1915. GLI EDITORI.
  • 9. PRUA Questo piccolo il giorno in cui la gicventij nostra, sul spiriti mentre ardimentosi momento dà alla avvicina rapidamente avrà non più sem- ci ed è dedicato attori, quella che vigila con l'arma a mal tracciato confine ed gravità del si guerra mondiale ma spettatori plici un contributo vuol libro mobilitazione degli EDIZIONE essere PREFAZIONE ALLA alla piede al quella che conscia della a tutta se stessa all'opera di prepa- razione morale della Nazione. Io credo sia fermamente che ineluttabile. e realtà, venire, Tutto la spinge guerra contro l'Austria alla bisogno di : sentimento riunire alla Patria le terre che ane- lano a ricongiungersi ad essa e quello di assicurare lavoro italiano una più vasta sfera tico, guerra tradizione del passato e le necessità dell'av- la il ci di attività al sull'Adria- nell'Asia Minore, sul vasto Mediterraneo. Non siamo non guerra, rola dell'odio. zione di noi siamo che abbiamo voluto e scatenato t^pi generosità ignota agli dal seminato la pa- la Vi è nell'anima italiana una gentile tradi- rore delle battaglie, pur tra niero, abbiamo che cuore della le nostra altri popoli. Pur tra il fu- sofferenze del giogo stra- gente è uscita spesso la della parola del perdono, della solidarietà internazionale,
  • 10. — Dopo aver predicato più squisita umanità. contro — vili la guerra santa Goffredo Mameli esprimeva dalla sua lo straniero, anima purissima questo voto : Dimenticate popoli ì L'ire d'un dì che Sarà terra la Come una agli gran muore, uomini città ; Libera, grande, unita, Vivrà una nuova vita La stanca umanità. A siamo quest'ideale Italiani ; per esso molti, devoti anche stati dei e troppo, generosi più dei avevano financo creduto possibile un'intesa con una eterna alleanza con Germania la stata l'Austria stessa a risvegliarci dal a riaprire in di di noi, colpendoci più caro e di più vitale noi avessimo. La guerra cipio l'Austria, ecco che è sogno ingannatore, vecchio conto che aveva con il quanto Ma ! noi nostri, mettendo l'Austria contro d'oggi, contro nazionalità, la prin- il indipendenza dei piccoli popoli, contro lo spirito democratico animatore della vita italiana, ci sforza ad essere contro di patrimonio ideale e materiale che mento di ci hanno ingrandirlo principii e fecondarlo di della civiltà Come hanno 1797 in difesa del in lasciato in eredità con T'espresso incarico poi in armonia sublimi coi umana. potuto dimenticare a Vienna che l'Au- stria in guerra, l'Italia Dal gli lei, uomini del Risorgi- i non può che essere contro suoi nemici furono sue sventure furono le nostre fortune. i nostri Non amici, : è necessità di le è rettorica, non è nemmeno sentimentalismo malsano che ce considerare ancora nemica lei? di tutte la le fa no- stre aspirazioni ideali, di tutte le nostre tendenze di razza,
  • 11. — di civiltà, di commerci, IX — espansione nel mondo. di che l'Austria ha aperto con noi dal trattato formio non è chiuso perchè l'Impero di '59, la per saldarlo si nostra tranquillità la Campo- di sempre è rifiutato sua e '49, il : conto Il il '66 sono operazioni di un affare che attende ancora il sua liquidazione questione finale. Resta ancora da risolvere nazionale del Trentino la questione militare la : dell'Alto Adige che deve dare all'Italia la sicurezza del confine nord; la mica insieme del del Friuli questione nazionale, militare ed econo- possesso pieno ed intiero Fiume; Orientale, dell'Istria con marittima della Dalmazia che deve darci una rarci sente L'Italia che giunto, che il momento delle ! La gran voce coloro ai quali assicu- di dell'Adriatico. decisioni forti del passato che verso l'avvenire possa risuonare di modo dominio il questione è del nostro assetto orientale è suonata! l'ora Ora o mai più sempre per volta Trieste, di la fondo in alla ci spinge coscienza Nazione guarda con speranzosa la tre- pidazione. Dopo un'interruzione di alcuni decenni l'epopea nazio- nale italiana sta per ricominciare ; nemico è il da raggiungere sono ancora ideali lo stesso, gli medesimi, confortati i da una più estesa comprensione dei bisogni materiali e sociali della Nazione, ed popolo non sono, non si muta in i sentimenti che animano nostro il fondo, mutati. L'orizzonte di un paese nel giro di pochi lustri ; i motivi ideali della nostra grande Rivoluzione nazionale sussisteranno fino a quando della ci tutti gli Italiani Madre comune, non saranno fintanto che il rientrati aggiriamo non sarà compiuto. Sfrondiamo guerra ed i nel sene ciclo storico nel quale gli inni di canti patriottici del Risorgimento delle forme
  • 12. . -- che suonano arcaiche - - orecchi nostri ai come freschi, vivaci, modernissimi, e troveremo li se fossero pen stati sati oggi, interpreti fedeli dei nostri ideali politici. popolo nostro ha incominciato a cantare nelle strade 11 e case nelle inni gli e canzoni le e suoi i tempo in , musicisti gli Napoleone, di poi Italia; il che nazionali stesso esprimeva dal suo seno fecondo o che preparavano a esso suoi poeti i incominciare rigeneratore del sentimento dai patrii, ha continuato a segnare ogni rivolgimento, ogni insurrezione, ogni battaglia, ogni vittoria, ogni mar sua causa con canti e con tirio della 1831 inni di Nel 1821 e nei inni. guerra corsero da un capo penisola mettendo nelle delle azioni generose e vene degli magnanime. delki all'altro l'impazienza Italiani 1848, l'anno 11 me laviglioso del nostro riscatto, fece fiorire le più beile crea musa popolare zioni della ingaggiata lotta sione lenta nosa ma in inni di guerra, gli cantate tutta Italia, tra le canzoni l'entusiasmo della accompagnarono l'ascen sicura della Nazione verso popolo ancora oggi il ; ; quell'anno, nate popolari ripete, le nezza trionfale che non cade per volger vetta lum. la nella 11 vide una nuova primavera di canti patriottici che lungo fino a tutto il — era fatta 1860 : poi, tranne verso altri Ce tinuato se non compiuta la — e I85li prc per brevi momenti i nuovi bisogni mate incanalaron,. sfoghi le attività poetiche degli Italiani. tuttavia qualche provincia, a si sua ispirazione... L'italiu Paese diventato grande Potenza del liali 1 il popolo parve aver perduto giovi loro anni. di cantare italianità vi è scia perenne, patriotticamente dove il popolo ha cou perchè la lotta pe. rimasta un martirio delle anime, jun'angc una lotta formidabile, spesso disperata, nell
  • 13. — — XI quale veniva giuocato tutto per ledente, Orientale, Trieste e terre, rimaste e dopo l'infausto » razza alla tentò si : una razza straniera da millenni, terre allo italiane. alla scopo solamente una difesa come i Essi, verso lo slavo invasore si canti degli irredenti del Risorgimento, stesso ardore alla rina italiana lottarono cantando notato, lingua non ai ricordare s/ e E' la d'odio prima volta che vengono stampati accanto quali dei in hanno lo una unità ideale che hanno compito il si a quelli stesso palpito, lo lirico i al 1915 l'esercito e si la ri- ma- di stabilire eterna. raccomanda ma inni e eroica giovinezza ed trimonio perchè nella così riuniti, questi inni di guerra e di fede ; dotti gli del nasconde potente e perseve- Lavoro modestissimo, senza pretese e caratteri della i loro canti nazionali i che vanno dal principio del secolo XIX compongono Italiani gli fu rante l'amore alla Patria Italiana. i cioè stanzr. na^ generosi, attaccamento ha veramente una difesa hanno un carattere speciale che va di vi irredenti dagli prodi del Risorgimento, ed espressione regioni sostituzione la zionale contro una invasione che aveva barbarie medioevale. favella alla non fatta politica, fu conob- persecu la ma rendere stranieri di Queste '66, razza italiana che La difesa Friuli il disgraziate nelle ir- di quella subita conobbero dalla Venezia, una violenta trasformazione etnica, m Provincie e la Dalmazia. sentimento nazionale non solo, al italiana di le : oppressione più feroce di Lombardia e ;.ione Fiume l'Istria, austriache « bero una forma dalla tutto il Trentino e l'Alto Adige, Gorizia e il ai di sorta, è il mio, pochi che vogliono canti concitativi della loro lontana ai molti che un così prezioso patri- e patriottico non conoscono che male ed
  • 14. — minima in parte. Ho compreso tutte le poesie patriottiche messe in nella mia raccolta non l'Italia che ha composto nella ma sua lunga ed aspra battaglia, state — XII solo che sono quelle musica o comunque cantate nei giorni Da queste della preparazione e nei giorni della battaglia. strofe questi ritmi da appassionate, italiana. altro Al canto Davanti nostro da questi inni guerra di terra la dei miracolo della propria resurrezione gli stessi canti terra dei vivi, se tutti la esser degni di del di il ne compirà con ora che è veementi, ritornelli animatori balza l'eroica e generosa anima morti ha compiuto un questi suoi i : ora che è risorta, figli sapranno lei. nostro spirito al Risorgimento e si apre la dell'opera visione magnifica che compiremo. L'aspra voce del cannone riempie del suo macabro boato tutto l'orizzonte e copre di terrore lontananza eccelsa si il mondo, ma avvicina gradatamente a noi divino dei nostri morti ; le loro voci si da una il coro innalzano chiare dicono ha e forti nel cielo e ciò che esse ci di rincorarci, di farci sicuri delle nostre sorti, di additarci la via sicura Le profezie al potertza da seguire. dei nostri martiri stanno per compiersi. Dante non aspetta fino la piìi solamente a Trento, ma ci chiama Brennero, sulle Alpi Giulie che cingono Trieste e Fiume, sulle Dinariche che difendono Zara... Italiani, noi siamo per vivere un meraviglioso momento. Possiamo non viverlo invano per le fortune d'Italia! Milano, Pasqua di Resurrezione, 1915. RINALDO CADDEO.
  • 15. «XX)(MMHXMMXMMMMXMMXM L'INNO DELL'ALBERO DELLA LIBERTA' Marsigliese, la Carmagnola, il fa ira, importati di Francia, l'inno dell'aurora del pensiero nazionale italiano. Gli inni francesi furono cantati intorno agli alberi della libertà, eretti negli anni 1796-99 nelle piazze cittadine, prima nella loro dizione originale, poi in curiose traduzioni e riduzioni. Il Qa ira itaKano, per esempio, suonava così insieme con E', la dagli eserciti repubblicani ; Ah, ga Il ga ira, ga ira. patriottismo risponderà. ira, Senza temere né ferro né fuoco Gl'Italiani sempre vinceran. Ah, ga ira, ga ira, ga ira! Non patriotti sentirono il bisogno di un inno propr'o tardò molto che sorse dal seno del popolo Vlnno dell'Albero, cfie fece dimeninni francesi gli la sua musica era solenne, piena di una religiosa dolcezza. Giuseppe Mazzini lo ebbe carissimo e a Londra, nei lunghi anni d'esilio, amava canticchiarlo sovente, accompagnandosi con la chitarra. Un altro Inno dell'Albero, detto della Repubblica Partenopea, fu musicato dal Cimarosa su parole di Luigi Rossi diceva e i così ticare ; : ; ormai desia, Italiani all'armi, all'armi Altra sorte ormai non resta Che di vincere, o morir. Bella Italia, ti : Ecco apiirito dei Vlnno dell'Albero tempi e tradisce Or Libertà, che è tutto sua origine giacobina. della la informato allo ch'innalzato è l'albero tiranni S'abbassino Dai suoi superbi scanni i Scenda la ; nobiltà. Un dolce S'accenda in amor Formiam comuni Viva la di patria questi lidi; libertà ! i gridi ' ;
  • 16. — — 2 L'indegno aristocratico Non Se osi alzar la testa l'alza, allor Tragica si : la festa farà. Un amor dolce S'accenda Formiam comuni Viva la libertà Già reso uguale Ma È patria di questi in lidi gridi i ; ; ! e libero suddito alla legge, il popolo che regge Sovrano : ei sol sarà- Un dolce amor di S'accenda in questi Formiam comuni Viva la libertà patria lidi gridi i ; ; ! Sul torbido Danubio Penda l'austriaca spada Nell'Itala contrada Mai : • più lampeggerà. Un dolce S'accenda in amor Formiam comuni Viva la di patria questi lidi; libertà ! i gridi ;
  • 17. —3— "-PARTIRÒ' PARTIRÒ '...,, CANTO POPOLA RE E uno rimonta dei a più di più antichi un secolo canti fa, al popolari tempo e italiani come il precedente delle guerre napoleoniche, quando nostra gioventù, disusata al mestiere delle armi da una secolare tradizione di mollezza, di vigliaccheria e di servaggio, fu restituita dal Capitano corso alla virtù militare, rigeneratrice dei costumi e madre di libertà. Vi è in queste strofe un accento di sconforto e di amarezza caratteristico si sente il dolore del distacco dal paese adorato, dalla famiglia mai prima di allora abbandonata, distacco non confortato da la : un'idea superiore che potesse fare accettare di buon animo il sacrifizio, né dal miraggio di una patria grande, forte e libera. Militando con Napoleone, all'ombra della bandiera tricolore (verde, bianco, rosso) che il gran condottiero aveva già trovata adottata dai patriotti al suo ingresso in Milano nel 1796, i soldati italiani compirono prodigi di valore, entrarono due volte trionfalmente in Vienna, si coprirono di gloria in Spagna e Russia, acquistarono la coscienza del proprio valore. Partiti con rammarico per le guerre napoleoniche, tornati tristemente in patria dopo la caduta del gigante, furono veterani di Napoleone che conservarono gelosamente il culto della tricolore bandiera e la innalzarono nei movimenti del 1821 e del 1831 segnacolo di rigenerazione nazionale. E noto che gli ufficiali e soldati italiani di Napoleone appartennero a centinaia alla Carboneria e alle altre società segrete politiche e furono sempre tra più fedeli e ardenti seguaci delle idee di indipendenza e di libertà dell'Italia. Questa canzone fu popolarissima e venne ripetuta con lievi varianti anche nelle guerre del 1848, del 1849 e del 1859. i i i Partirò, partirò, partir bisogna Dove comanderà Chi prenderà '1 nostro sovrano ; Bologna, E chi anderà a Parigi e chi a Milano. la strada di Ah, che partenza amara, Gigina cara, mi convien fare. Vado alla guerra, spero di tornare. Se il nostro Imperator ce lo comanda, Ci batteremo e finirem la vita Al rullo de' tamburi, a sunn di banda ; Farem dal Ah che mondo l'ultima partita. partenza amara, Gigia mia cara, Gigia mia bella Di me ; più non avrai forse novella.
  • 18. — BELLA 4 ITALIA, AM ATE SPONDE „ ODE DI VINCENZO MONTI Quest'ode famosa del Monti (nato in Alfonsine di Romagna il febbraio 1754, morto in Milano il 13 ottobre 1828) in onore del generale Desaix fu scritta nel 1801, quando il poeta potè tornare in Italia dall'esilio di Parigi dopo la vittoria francese di Marengo. Si compone di 23 strofe, le prime delle quali divennero popolarissime nel periodo del Risorgimento, e furono cantate specialmente fra gli 19 esuli. Bella Pur vi amate Italia, sponde, torno a riveder ! Trema in petto e si confonde L'alma oppressa dal piacer. Tua bellezza, che di pianti Fonte amara ognor ti fu, Di stranieri e crudi amanti T'avea posta in servitù. Ma bugiarda La speranza Il giardino e fìa di malsicura de' re natura No, pei barbari non è. :
  • 19. —5— SORGI CHE TARDI ANCORA?,, I INNO GABRIELE ROSSETTI DI Gabriele Rossetti (nato a Vasto il 28 febbraio 1783, morto a Londra il 26 aprile 1854) fu il poeta della prima rivoluzione napoletana, quella del luglio 1820, che mosse la rivoluzione siciliana dello stesso anno e quella piemontese del 1821. Il Rossetti salutò la Costituzione promessa dal re Ferdinando 1 e sciolse poi un inno alla Costituzione giurata « splendido d'imagini antiche » come lo chiamò il Carducci, e che costò al Poeta 30 anni di esilio e la morte in terra straniera. E quello che incomincia cosi : Sei pur Che bella scintillali E pur dolce cogli astri sul crine, guai vivi zaffiri; quel flato che spiri. Porporina foriera del di. Col sorriso del pago desio Tu ci annunzi dal balzo vicino Che Il Ma d'Italia giardino nell'almo per sempre serraggio finì. Napoli, dopo congressi di Troppavia (ottobre 1820) e di Lubiana (gennaio 1821) divenne spergiuro e con l'aiuto delle soldatesche austriache mosse a soffocare la Costituzione. Fu allora che il Rossetti lanciò quest'inno di guerra, nell'illusione che le truppe cogenerali Pepe e Carascosa riuscissero a stituzionali comandate dai sconfìggere lo straniero e a tener lontano dal regno di Napoli il desposta fedifrago. il tiranno di i Che Tu dormi, Sorgi ! ancora ? tardi Italia? Ali no! Di libertà l'aurora Sui colli tuoi Sorgi ; e' raffrena spuntò. corso il D'esercito invasor, Che porta i segni Del gallico valor al dorso ! Ah, su quel dorso indegno. Curvato a servitiì Imprima un qualche segno Pur l'itala virtij !
  • 20. E soffrirai che armati Rechin più ceppi a te Que' sudditi scettrati Che Come ti miravi il valor degli avi al pie? Poni in oblio così ? O schiava de' tuoi schiavi, Fosti regina un di. Snuda Tacciar da Ricingi l'elmo Sorgi tra : Qui pende forte, il crin, al vita e morte tuo destin ! Aperta è già la strada Al nuovo tuo valor Se impugnerai la spada, : Sarai regina ancor. È giunto il D'uscir tempo omai di servitù, E se sfuggir tei Non tornerà mai fai più.
  • 21. ALL'ARMI! ALL'ARM I! DI GIOVANNI BERCHET Giovanni Berchet (nato a Milano il 23 dicembre 1783, morto a Torino il 23 dicembre 1852), esule e poeta, compose fuori d'Italia le sue poesie patriottiche più ardenti e più belle. Il Romito del Cenisio ed il Rimorso giunsero in patria come pericoloso contrabbando al quale la polizia austriaca diede una caccia spietata... quando già esso si era sparso dappertutto. 11 Berchet seguiva dall'esilio con la massima attenzione lo svolgersi e l'affermarsi dell'idea nazionale che processi e le condanne piemontesi ed austriache fomentavano, e quando, dopo la morte di Leone XII, negli Stati del Papa nacquero moti parziali contro il Governo, egli scrisse quest'inno guerresco, che fu cantato dai patriotti per un lungo periodo di tempo. i Su, figli su, in armi! d'Italia! coraggio! Il suolo qui è nostro Il turpe mercato finisce pei re. Un In del nostro retaggio ; popol diviso per sette destini. spezzato da sette confini, fonde in un solo, più servo non è. Venuto è sette Si Su, Italia su, ! armi in Dei re congiurati la ! tresca finì il tuo dì ! il tuo dì ! ! Dall'Alpi allo Stretto fratelli slam tutti! Su i limiti schiusi, su i troni distrutti Il verde, la comuni tre nostri color speme tant'anni pasciuta Il rosso, la gioia d'averla Il bianco, Piantiamo Su, i ! la Italia ! su, in Dei re congiurati Gli orgogli minuti via La gloria è de' Dall'Alpi Deposte Confusi allo : compiuta; fede fraterna d'amor. armi la ! Venuto tresca finì è ! tutti all'oblio! forti. Stretto, — Su, forti, per Dio, da questo a quel mar' gare d'un secol disfatto. un nome, legati a un sol patto. Sommessi a noi soli giuriam di restar. Su, le in Italia ! su. in Dei re congiurati armi la ! Venuto tresca finì ! è il tuo dì !
  • 22. —8— Su, novella Italia Mal abbia ! su, libera ed una ! chi a vasta, secura fortuna L'angustia prepone d'anguste città! d'un solo stendardo! Mal abbia il codardo, L'inetto che sogna parzial libertà Sien tutte Su, fide le da tutte tutti ! ! Su, Italia ! su, in Dei re congiurati armi la ! Venuto tresca finì Voi chiusi ne' borghi, voi sparsi alla Udite le trombe, sentite la squilla Che all'armi vi Fratelli, chiama a' fratelli Gridate al L'Italia è dal è tuo il ! vostro villa, Comun correte in aiuto! tedesco che guarda sparuto concorde; non serve a nessun. : ! dì !
  • 23. —9— UNITA E LIBERTA INNO DI GABRIELE ROSSETTI '48 Nel l'inno del e '49 Rossetti moltissimo cantato fu composto fin — con e grande entusiasmo 1830. Fu carissimo a Garibaldi. diceva l'Eroe (ricordo di A. G. Bar- dal Ecco una bella e forte musica quantunque in parte ricavata da un'opera giocosa (musica del Rossini del Barbiere) ed è veramente dispiacevole che nessuno dei nostri giovanotti l'abbia cantata più nelle marce e negli accampamenti. Con quest'inno dei miei legionari di Roma mi avete ringiovanito di « rili), ; dodici anni. » Minaccioso l'arcangiol di guerra Già passeggia per l'itala terra Lo precede la bellica tromba Che dal sonno l'Italia svegliò L'App;nnino per lungo rimbomba : : E dal Liri va l'eco sul Po. Tutta l'Italia pare Rimescolato mare E voce va tonando Per campi e per città Giuriam giuriam sul O morte o libertà : : — I brando — La Trinacria che all'ire s"è desta Mise grido di rauca tempesta Le tre punte del Delta fèr eco, Per tre valli quell'eco muggì Tonò l'Etna dal concavo speco, : ; Latrò Scilla, Cariddi ruggì. — All'arme! all'arme! Che va E l'eco di — è il lido; lido in replicando Di lido in lido va Giuriam giuriam sul brando : — O morte o libertà ! — grido
  • 24. — — IO dall'Alpe che serra Lamagna, Sull'immensa lombarda campagna Qua Simil grido que' detti ripete, Simil eco quell'ire destò O : sorgete sorgete! fratelli, Del riscatto già l'ora suonò! il centro ed ambo Brulicheran d'armati, Se lati i Chi affronterà pugnando unità? L'italica — Giuriam giuriam morte o Ma qual plauso libertà brando sul — ! leva dal centro si Oh, qual plauso ! Né ! resta là dentro : Come tuono cui tuono rincalza O balen cui succede balen, Dai due lati nel centro rimbalza E dal centro sui lati rivien. plauso che più cresce Questa canzon si mesce, Al petti 1 Di infervorando patria carità : — Giuriam giuriam sul brando — O morte o libertà — — ! Siam fratelli nel centro risuona, Siam fratelli nei lati rituona — E già questi Dai tre — E Iati Siam i — godendo fratelli, ridir fratelli, : fratelli, confini per tutto sparir Ardir, Il ; s'abbraccian con quelli, fratelli! E' sospirato punto ! — giunto : Di — quando nuovo ei tornerà? Giuriam giuriam sul brando O morte o S'ei passa, ahi, chi sa libertà ! —
  • 25. — — 11 Questo fuoco che all'alme s'apprende E invade. 1« scuote, le accende, le Questo fuoco, Che sveli vi fratelli, tempra non terrestre di è Ah, discese dall'ara de' cieli La scintilla che incendio si Da fé ! quell'altar discese Che infiamma E ; a sante imprese, infervorando Tutti esclamar ci fa cuori i : — Giuriam O Sette giuriam sul brando libertà morte o Siri «i coiman ! — mali di Pari ai sette peccati mortali Pari ai capi Cui d'Alcide mietè. clava la ; lernea dell'idra Tristi capi d'un 'idra pili rea. Nuovo Alcide Quanti Tanti la lontano non patria ha saran gli è ! fidi Alcidi ; Deh, un giorno memorando Cangi una lunga età Giuriam giuriam sul brando O morte o libertà ! • — ! — Ci divise perfìdia e sciagura, Ma congiunti ci volle natura Alma diva, cui l'Alpe corona Fra gli amplessi di duplice mar, Se una lingua sul labbro ti suona ; Un sol culto Chi ti sacri l'aitar! in sette Tradì l'idea E Il — O ti di partìo Dio, mostro abbominando fio ne pagherà Giuriam giuriam sul brando morte o libertà il : ! —
  • 26. — Mascherata De' chercuta malizia divisa, T'iia tuoi — 12 venduta; crudo governo tradita, figli fé' Quell'avara malizia crudel Turpe sbucata d'inferno, Che si furia ; disse discesa dal ciel. S'ella mantenne vita in Quell'idra imbaldanzita, E l'una e Da questo l'altra in bando — n'andrà Giuriam giuriam sul brando O morte o suol libertà : ! — Cada cada l'antica potenza Ch'è de' mali feconda semenza; E la legge del Verbo di Dio, Ch'ella appanna di nebbia d'error, Radiante del lume natio Rimariti la mente col cor. Finché quel servo culto, Ch'all'uom, ch'a Dio fa insulto, Dal sozzo aitar nefando A terra non cadrà — Giuriam giuriam O morte o libertà Divo fonte del culto ! : brando sul — bello piia Che quell'empia converte in flagello, Tu che inspiri sì nobile impresa, Scudo e spada d'Italia Saldo scudo di giusta tu, sii difesa. Forte spada di patria virtù ! Mira una madre oppressa, Ve' figli intorno ad essa Che fremono gridando Di sdegno e di pietà Giuriam giuriam sul brando O morte o libertà i — : ! —
  • 27. — — 13 ALL'ARMI! GABRIELE ROSSETTI DI Il 1831, che vide Modena insorta, e lo Stato del Papa quasi interamente guadagnato alla causa della rivoluzione nazionale affermatasi il 26 febbraio a Bologna nell'assemblea dei deputati delle città libere d'Italia dalla quale usciva il decreto che statuiva la decadenza del potere temporale, inspirò la musa patriottica di Gabriele Rossetti. Il suo canto L'anno 1831 è uno dei piij belli che vanti la letteratura 'taliana del secolo XIX. Incomincia coi versi : brandisci la lancia di guerra. Squassa in fronte quell'elmo piumato. Scendi in campo, ministro del fato! Oh, quai cose s'aspettan da te! Su, Non ebbe però blica, e guerra popolare. di il la diffusione dell'inno All'Armi! che qui si pubquale, distribuito clandestinamente, fu cantato come inno per tutto il 1831 e fu anche negli anni appresso molto all'armi, Fratelli, La patria Con all'armi chiamò fra voi ! : carmi eccitanti gli Anch'io ci verrò. Nutrito dalle brine Del bellico sudor, si rinverde al crine Mi L'inaridito allòr. Andiam, che Daci e Goti Farem caderci al pie ! No, fra Dubbio Che fia Spartani e il Iloti trofeo non è. quel reo drappello Ch'or v'osa cimentar? Fia gregge che '1 macello Sen viene ad incontrar. Gelido fia qual ghiaccio In faccia al nostro ardor Che non ha Se non gli forza il ; braccio vien dal cor.
  • 28. , — Pei figli — 14 della gloria Nemici a servitù, La pugna e la vittoria Diversa mai non fu. Dei nostri brandi È lampo al L'Europa arriderà La via che mena : campo al via d'eternità. E' bella ancor la morte Sul letto dell'onor : Chi sa cader da È E forte ; pari al vincitor s'ei rimane oppresso Campion di libertà, Del vincitore istesso Più grande allor si fa. Quel servo gregge indegno A che fra noi piombò? Sappiam con qual disegno I boschi suoi lasciò. Ah, che l'udir già parmi Tra l'Unno ed il Teuton, Commisto al suon dell'armi Delle catene il suon ! Trema, servii coorte Che vendi il sangue Le stesse tue T'allacceremo ai re ritorte pie. al La mèsse che fiorita I campi ingombrerà. Del sangue tuo nutrita Più grata a noi sarà. Trema ! L'Italia intera Alto giurar s'udì Di tirannia straniera — : .Questo è l'estremo dì. —
  • 29. 15 FUORI BARBARO! IL CANZONE POPOLARE DI GUERRA AGOSTINO RUFFINI DI Di Jacopo, Giovanni e Agostino Ruttìni, Giuseppe Mazzini, scrisse ed « L'amicizia queste parole che io strinsi coi giovani Ruffini mi riconciliò alla era per essi e per la santa madre loro un amore vita e concesse sfogo alle ardenti passioni che ini fermentavano dentro. Parlando con essi di lettere, di risorgimento italiano, di questioni filosofico-religiose, di piccole associazioni che erano preludi alla grande da fondarsi per av«re di contrabbando libri e giornali vietati, l'anima rassicurava intravedeva possibile, comecché su piccola scala, l'asi 18.^0 quando scoppiò l'insurrezione francese) zione... Ci demmo (nel a fondere palle e a prepararci per un conflitto che salutavamo inevitabile e decisivo... ». E' di quel tempo la canzone popolare di guerra di Agostino Ruffini. allora studente di giurisprudenza nell'Università di : — — ; Genova. La canzone ebbe diffusione limitata tra gli studenti non fu mai l'iubblicata e vide la luce soltanto nel 189.^, nell'ottimo libro del prof. Carlo Cagnacci sui fratelli Ruffini e Mazzini, ma la riproduciamo qui come un modello di poesia patriottica. ; Ogni prode al suo manipolo. Ogni schioppo alla sua spalla, Su mostriamo ai duri austriaci Se alla prova il cor ci falla nostri carmi, Suonin guerra Sia di guerra ogni pensier ; i : Italiani, all'armi Guerra eterna all'armi. allo stranier. nostro sangue, Han succhiato Han beffata la sventura, Hanno fatta dell'Italia Una vasta sepoltura il ; Su Su alla razza maledetta, ai feroci Italiani, alla masnadier, vendetta, Guerra eterna allo stranier.
  • 30. — 16 ma siam Siamo pochi, Ma E' — liberi Signor propizia il devota ali La masnada Come i bravi ; 'esterminio degli schiavi, che Barbarossa Pianser morto i suoi scudier, ai dì avanti Italiani, avanti, Guerra eterna allo stranier. Ora e sempre guerra ai barbari. Ora e sempre ovunque guerra Finché un sol di loro annebbia : Il seren Sian di Sia di di nostra terra, guerra i nostri canti, guerra ogni pensier, Italiani, Guerra eterna Al Signor, , avanti avanti. pe' allo nostri stranier. martiri. Per la vita, per la morte, Far giurammo Italia libera Una, egual, potente e forte Or giuriam dell'armi al lampo Sciorre il voto oppur cader. Italiani, al campo al campo, : Guerra eterna allo stranier. Splenda Rosso, Verde e Candido Sulle schiere lo stendardo, Orifiamma dell'Italia... Sovra lui figgete il guardo Del riscatto e della gloria : Ei vi guidi sul sentier... Italiani, alla vittoria... Guerra eterna allo stranier !
  • 31. 17 FRATEL LI, S ORGET E! CORO DI GIUSEPPE GIUSTI Le strafai di Modena (2t) maggio 1831) ordinate dal Duca Francesco IV, nelle quali perirono Ciro Menotti e Giuseppe Borelli, ebbero in tutta Italia una eco di terrore e di dolore. Il crudele tiranno di Modena divenne oggetto di universale esecrazione. Due anni dopo, si sparse la voce in Toscana che Francesco IV, giovandosi dell'assenza del granduca Leopoldo andato a Napoli a prender moglie, capitasse a Firenze in incognito. « Non era vero (scrisse Ferdinando Martini a pag. 10.3 di Simpatie), ma la voce sola bastò perchè, a detta della polizia medesima, buoni sudditi toscani si amareggiassero, riguardando quella comparsa clandestina di forieri eventi. Gli studenti non si amareggiarono soltanto, parlarono e sparlarono, scrissero col carbone S'.'i muri tutti gli improperi che il Duca si meritava; le stanze dell'Ussero echeggiarono di invettive, le strade di canti patriottici... ». Fu in quell'occasione, nel 1833, che Giuseppe Giusti (nato a Monsummano il 12 maggio 1809, morto a Firenze il 31 marzo 1850), allora studente a Pisa scrisse questo coro che a detta del suo condiscepolo Frassi, gli studenti cantarono poi «tutti insieme palpitando e fremendo» (Vita di G. Giusti, cap. 4"). Il coro fu pubblicato per la prima volta da Giosuè Carducci nell'edizione delle poesie del Giusti fatta dal Barbèra nel 18.=^9. i Fratelli, sorgete, La patria vi chiama Snudate la larr.a ; Del libero acciar. Sussurran vendetta Menotti e Borelli Sorgete, La ; fratelli. patria a salvar. Dell'itala tromba Rintroni lo squillo, S'innalzi Si Ai tocchi forti un vessillo, l'aitar. l'alloro, Infamia agli imbelli Sorgete, fratelli, La patria a salvar. :
  • 32. 18 VIVA DI IL R E! GIOVANNI PRATI Quiest'inno-marcia fu scritto dal Poeta trentino nel 1843 dietro ordine Carlo Alberto per una fanfara militare e cantato dai soldati piemontesi che lo ebbero caro per molto tempo. Giovanni Prati, nato a Dasindo il 27 gennaio 1815, morto a Roma ti 4 maggio 1884, ebbe anni di di invidiabile empito lirico popolarità. Egli seppe esprimere con facile e brillante l'onda di sentimenti patriottici che animava i suoi contem- poranei. il Re Tra' suoi gagliardi, Benedetto, ei muove il pie Viva ! : Vivan sempre Dell'Italia, e Se il gli stendardi nostro Re! i nemici avremo a fronte, Saran presti e braccio e cor, E ogni zolla del Piemonte Stillerà del sangue lor. Rotti e pesti elmetti e maglie, Ma inoffeso il forte acciar, Tornerem dalle battaglie Nuovi tempi a cominciar. Fremeran d'allegri suoni Le borgate e le città, E di libere Tutta Italia canzoni echeggerà ! siam d'un sol paese, Solo un sangue in noi traspar A ogni tromba piemontese Tutti Mandi un eco e l'alpe e il mar. il Re! Tra' suoi gagliardi. Benedetto, ei muove il pie Viva : Vivan sempre gli Di Savoia, e nostro Re. il stendardi ;
  • 33. — 19 CHI PER LA PA TRIA MUOR VISSUTO É ASSAI „ sentimento patrio fu espresso dagli Italiani non solamente con canti ma anche coi cori, le romanze e le cabalette delle ed opere teatrali più diffuse. Tutti sanno qual significato abbia dato il popolo ad espressioni ed armonie del Nabucco e dei Lombardi di Verdi e con quale tenerezza commossa sia stato cantato Il gli inni i Va, o pensiero, sull'ali dorate... e O Signor che dal tetto natio... Bandiera ed loro compagni Niccolò Ricciotti, Domenico Anacarsi Nardi, Francesco Berti, Domenico Lupatelli nel recarsi versi alla morte (avvenuta presso Cosenza il 25 luglio 1844) cantarono della Donna Caritea del Mercadante espressione di maraviglioso .'Stoicarnefici e valse ancor più ad accendere nel cismo che impressionò cuore degli Italiani gli ardori del sacrifizio per la grande e santa Patria nostra. prima volt» La Donna Caritea era stata rappresentata la nel 1828. Non Chi per la Patria munr era scritto, ma Chi per la gloria muor ; non Sotto tiranni, ma Per lunghi affanni. liberali avevano cambiato due versi che così divennero popolari. Il coro è del primo atto, cantato da «guastatori e soldati portoghesi». Anni dopo uno dei condannati di Belfiore, Angelo Scarsellini, cantava in attesa del carnefice, Fratelli 1 i Aoro, i ; i i I i il 7 dicembre 1852, Tarla del Marin Faliero Il palco è a noi trionfo Ove ascendiam Ma : ridenti sangue dei valenti Perduto non sarà. il Arreni seguaci a noi Più fortunati eroi; Ma s'anche avverso ed empio Il fato lor sarà, Avran da noi l'esempio Come a morir si va! Aspra del militar Benché la Al lampo vita, dell'acciar Gioia c'invita.
  • 34. — 20 — Chi per la Patria Vissuto è assai muor ; La foglia dell'allor Non langue mai. Piuttosto che languir Sotto i tiranni E' meglio Sul fior di degli morir anni.
  • 35. — 21 INNO DI PIO IX MEUCCI DI FILIPPO XVI, il nuovo Papa Pio IX (cardinale Giovanni nato a Sinigaglia il 13 marzo 1792, morto a Roma il 7 febbraio 1878) parve realizzare il sogno giobertiano di un capo della cristianità riformatore e amico dell'Italia. L'amnistia ai condannati politici da lui concessa il Kì luglio 1846 destò un vero entusiasmo e in tutta la penisola poeti noti e non noti cantarono il PonicKce liberale e italofilo. Il poeta Sterbini gridava all'Italia Morto Gregorio Mastai Ferretti, : Eri seduta Madre levati : di eroi tanti : Oggi t'innalza un cantico L'amor dei figli tuoi. E Gaetano Bonetti : unanimi Pregar tue genti, o Più; perdono, Pace, Tu rispondesti al fervido Universal desio, E già si vide splendere Tua prima legge, amor. Un Diceva musicato inno Gioacchino da Rossini Su letizia fratelli, tutta l'Italia. canti si magnanimo core di Che alla santa favilla Al Pio, di Dio S'infiammò del più dolce pensier. Un lucci, per corse : diventato inno, altro diceva popolarissimo, presto v. del maestro Nata- : Come Agli E un'iri di sommo gioia, Ogni core l'almo Iddio Te mostrò, afflitti Pio, palpitò. Fu, in tutta la penisola, un delirio patriottico, e il Papa divenne presto l'idolo nazionale. L'Austria non tardò a capire la causa dell'idolatria degli italiani per Pio IX ed a proibire inni e canzoni. Francesco dall'Ongaro, in uno dei suoi stornelli diventati famosi, spiegava che cos'era Pio IX Pio Un per Nono idolo gli italiani : è figlio del nostro cervello, del cuore, un sogno d'oro...
  • 36. — Chi grida per Vuol dir La patria Che per : — Pio nono! » il perdono. i> perdon vogliono dire deve morire. si le « Viva ed il l'Italia 22 vie la : « Vii'a patria ed L'Inno di Pio IX fu scritto al principio del 1847 da Filippo Meucci, romano, e musicato dal maestro Magazzari. La musica « aveva un andamento solenne, quasi trionfale, e come certi sussulti di gioia... » (D'Ancona). Del nuov'anno già l'alba primiera Quirino la stirpe ridesta, E l'invita alla santa bandiera Di Che il Vicario di Cristo innalzò. Esultate, fratelli, accorrete, Nuova gioia a noi tutti si appresta All'eterno preghiere porgete Per quel grande che pace donò. Su rompete le vane dimore, Tutti al trono accorrete di Pio : Di ciascuno egli regna nel cuore, Ei d'amore lo scettro impugnò. Benedetto chi mai non dispera suprema di Dio; Benedetta la santa bandiera Nell'alta Che il Vicario di Cristo innalzò. ;
  • 37. 23 — A PIO IX CORO POPOLARE Dopo gli inni di gioia nacquero gli inni di guerra, nei quali si palesemente della riscossa nazionale e della cacciata degli Auseguente coro popolare fu cantato la prima volta in Pisa sera del ItJ giugno 1847 e ripetuto comunemente in Toscana e nel parlava striaci. la Il Lazio per tutto quell'anno Su, fratelli Or ne ! attribuito fu : Uom D'un la E' E' Guerrazzi, parola stringe in santissimo patto. Essa è verbo che chiama Dell'Italia le cento città. Il al che parola Leone in fa d'Italia al riscatto Campidoglio ruggir- di Pio la gran voce, che al sonno Nostra madre, l'Italia, ha strappato Di tre gemme il triregno ha fregiato, Tre colori di sua libertà. ; E' II O che parola Leone fa d'Italia in Campidoglio ruggir- Profeta d'un'èra novella, A un tuo cenno slam venti milioni Aspettiam : che doni Alla patria uguaglianza e unità. E' Il Non più Tu ci scintilla la parola che Leone schiavi rendi fa d'Italia al la in Campidoglio ruggir- tedesco aborrito, gloria primiera : Sia la croce la nostra bandiera, L'evangel nostra carta sarà. E' II parola Leone che fa d'Italia in Campidoglio ruggir- ma pare a torto.
  • 38. — Viva — La santa crociata nuovo Alessandro, e rimira Italia Grida, 24 ! Cento popoli oppressi nell'ira, Come un uomo, levarsi con te. E' Il Viva parola che Leone Italia D'una ! O patria fa in Campidoglio ruggir- d'Italia di Dio ne guida all'acquisto ministro : Poi rinnova l'esempio di Cristo Che redense e non volle esser Re. E' parola che fa in Campidoglio U Leone d'Italia ruggir.
  • 39. — 25 INNO NAZIONALE LEOPOLDO CEMPINI (7) DI Fu popolarissimo, quest'inno, per molti anni. Nato, a quanto si crede, a Pisa tra la patriottica scolaresca di quell'illustre Ateneo, (lo Sforza ne fa autore il Bosi, il D'Ancona ritiene che venisse da Roma) ebbe il battesimo della popolarità a Firenze quando Leopoldo II firmò il motu-proprio che istituiva la Guardia Civica. Davanti alla residenza del Granduca vi fu una dimostrazione che innumerevoli testimonianze affermano grandiosa e indimenticabile. Il Bandi nei Mille ricorda che nel 1860 l'esaltante armonia di quest'inno trascinava all'attacco gli eroici volontari che lo cantavano alternandolo con gli altri inni più in voga : la Bella Gigogin, O ì Vlnno Fratelli d' Italia e di Garibaldi. giovani ardenti D'italico amore, Serbate il valore Pel dì del pugnar. Evviva l'Italia, Evviva Pio Nono Evviva l'unione E libertà la ; ! Per ora restiamo Sommessi Vedranno Che vili e prudenti le non Evviva : genti si^'n. ecc l'Italia, Stringiamoci insieme, Ci unisca un sol patto Del dì del riscatto L'aurora spuntò. Evviva Stringiamoci insieme Siam In tutti giorni ecc l'Italia, fratelli ; ; più belli Ci giova sperar. Evviva l'Italia, ecc
  • 40. — zeprence Leopoldo li Invitaci Fra all'armi ; carmi Sapremo pugnar. bellici Evviva l'Italia, Evviva Pio Nono Evviva l'unione E la libertà ; ! Già l'armi son pronte A un cenno di Pio Mandato da Dio L'Italia salvar. a Evviva Se l'Italia, vile tedesco il Non Piij Ferrara lascia Prepari la bara, scampo non Evviva, Il cielo Su A ecc ha. l'Italia, ecc sereno terra ridente libera gente Concesse Evviva, il Signor. l'Italia, ecc
  • 41. N 27 m O ALLA GUA RDIA CIVICA FIRENZE DI O Signor che dal tetto natio » fu adattata dal popolo a queFirenze dopo la concessione della Guardia Civica, ritenuta una grande vittoria popolare e un gran progresso nella via della redenzione italiana. L'aria st'inno, « nato a Cittadini, la patria La difesa la vi affida queste contrade : spade patria v'invita a pugnar. Cittadini, Se di cingete le Siamo tutti d'un sangue redenti, Siam fratelli al cospetto d'Iddio. Lo proclama la voce di Pio : Ci Una sia sacra la patria e l'aitar- nera, tremenda procella Sull'Italia mugghiando minaccia Maledetto chi asconde la : faccia Al nemico dell'Italo suol. Non è spenta Benché tolti l'antica virtude da poco al servaggio. Vendicare sapremo l'oltraggio Di chi insulta a un represso valor. Benché forti di mille codardi Del nemico sian fatte le schiere, Vinceranno le sante bandiere, Il gigante temuto cadrà. E del Cristo Che Ci A ci pugnando tolse al nel comune nome, periglio, fìa dato di volgere il ciglio quel sole che Bruto scaldò.
  • 42. — Cittadini, fia 28 — sacra l'impresa, Pende Europa sul vostro destino, Chi discende dal sangue latino Nacque, crebbe, guerriero morì. Cittadini, Già correte, correte, chiama, v'invita alla gloria L'avvenire di certa vittoria. vi La difesa d'Italia e l'onor.
  • 43. — 29 O DI O SIRE! POESIA PATRIOTTICA SICILIANA [Rivolta liani, per a i cessivamente Ferdinando l'aveva quali in tutte le nel 1847 dai rivoluzionari poeta David Levi, e cantata insurrezioni di quel fierissimo popolo. o Odi, A Borbone II scritta noi Sire. Da trent'anni miseri ed oppressi Involare Gloria, suoi tiranni i averi, Dieci di A il libertà. son concessi ti noi rendi il : prisco dritto, insorgerà. Sicilia Siccome già su Ninive La voce del Signore, Voce d'un nume, il popolo Al Re così parlò. 1 di segnati volsero Fiero Il Da campi Patrizi e cittadi, e pastori, di brandi, pugnali i regi è il : core ; popolo s'alzò... Brillaron I dei gioja, e terribili banditi fieri. e guerrieri brandiron Tacciar... sfavillano a mille. Non hanno che un suono le cento sue squille, Non han che un affetto gl'intrepidi cor... Chi gl'impeti affrena d'irato oceano? Chi l'onde infocate d'acceso vulcano? D'un popol che vuole chi doma il furor? Odi, o Sire, ecc. sici- suc-
  • 44. — — 30 INNO AL RE GIUSEPPE BERTOLDI DI Piemonte ebbe una vera efflorescenza di inni nazionali e di nel 1847 Carlo Alberto si mise sulle vie in breve tempo dovevano portarlo alla concessione dello Statuto ed alla guerra all'Austria. Fino a quell'anno la musa italiana, a dire il vero, aveva lanciato contro il Re di Sardegna le pili atroci invettive dopo di allora il tono cambiò e l'affetto, l'amIn canti delle si quando patriottici riforme quali le : mirazione, la accompagnarono pietà fino alla tomba oltre e lo sven- sconfìtto di Novara. Nel 1832 Carlo Alberto aveva ordinato maestro Gabetti una Marcia reale, senza parole, che accompagnò le truppe italiane in tutte le sue prove ed in tutti suoi trionfi; poi fece scrivere al poeta Giuseppe Bertoldi il seguente « Inno al Re », proprio nel tempo in cui aveva fatto proibire in tutti suoi stati la bandiera tricolore. L'inno fu cantato la prima volta a Genova il 3 no- turato al i i vembre 1847. Con l'azzurra coccarda sul petto, Con italici palpiti in core, Come d'un padre figli veniamo Carlalberto, E gridiamo Viva il esultanti Re! Viva Figli tutti d'Italia noi Forti e liberi il : il siamo, mente la morte il servir regge clemente ti ; godiamo obbedir. Dio di Re grande, : degno, sei c'inalzi all'antica virtù. si strinse con Pio gran patto fu scritto lassù. Carlalberto Se ; tiranni aborriamo, messaggio Di compirlo, o Il Re! il tuo vasto disegno il Attendesti Tu tuo pie'; d'amore Re! Viva braccio e Più che morte i Aborriam più che Ma del Re che ci Noi Siam figli, e A compire il diletto, al sfidi la Monta Con ; rabbia straniera, in sella e solleva il azzurra coccarda e tuo brando, bandiera Sorgerem tutti quanti con te Voleremo alla pugna gridando Viva il Re Viva il Re Viva ; : ! ! il Re !
  • 45. — 31 INNO A CARLO ALBERTO DI B. MUZZONE Quest" « Inno a Carlo Alberto », scritto da B. Muzzone e musidal maestro Bodoira, ehhe diffusione quando il Re di Sardegna si mise sulle vie delle riforme, con immenso giubilo delle sue popolazioni. Una raccolta delle varie poesie scritte nei regi stati in occasione delle riforme concesse da Carlo Alberto nel 1847 e nella quale si trovano inseriti ben ottantasei componimenti poetici dà una pallida immagine della gioia con la quale era stata accolta nel Regno di Sardegna la piena e sincera conversione di Carlo Alberto alle idee cato liberali e nazionali. Viva Si Italia! Viva Su Dall'Alpi risveglia Italia Tebro e dal l'antico valore. Un ! novello splendore quest'inclita terra brillò. Emulando la gloria di Pio Carlo Alberto protese la destra Al suo popol diletto, e maestra Di sapienza sua voce s'alzò. Viva Si Italia! Viva Su Dall'Alpi risveglia Italia Tebro e dal l'antico valore. ! Un novello splendore quest'inclita terra brillò. Sorge un grido di gioia e s'alterna D'ogni parte un applauso sincero, Che d'amore è suggello foriero Di grandezza e di forti voler. Già sicure faccian d'intorno si Al gran trono Sabaudo Or che E' dischiuso un arringo Viva Si Italia! Dall'Alpi risveglia Viva genti le accolte le inchieste, Italia e dal al i lamenti, pensier. Tebro l'antico valore. ! Un Su quest'inclita novello splendore terra brillò.
  • 46. — Mormorando — 32 affanna e sì si asconde La discordia invilita e derisa Ve' l'Italia finora divisa ; Confortarsi de' giorni avvenir! Poiché E E Viva Si amplesso fraterno in stretta Doma de' tempi l'ira e oltraggi, gli mente de' s'afRda alla saggi, de' forti nel provvido ardir. Italia! Dall'Alpi e dal Tebro risveglia Viva Su Italia ! valore. l'antico Un novello splendore quest'inclita terra brillò. Sia di pace la nostra bandiera, Sacro a tutti il comune Maledetto chi desti il E diritto. conflitto, sollevi de' morti l'aitar. La giustizia fremente col brando Sperderà gli esecrati drappelli Guai se il nume combatte i ribelli Che oseranno il suo sdegno mutar. ; Viva Italia! Dall'Alpi Si risveglia Viva Su Italia e dal l'antico ! Un Tebro valore. novello splendore quest'inclita terra brillò. Come fiamma che scorre E grandeggia in Si diffonde nel Uno foresta in incendio repente, cor, nella mente spirto di patria virtù. Cittadini ! La gloria degli avi E' retaggio affidato ai nepoti. Deh compite i lor fervidi voti, E l'Italia ritorni qual fu. ! Viva Italia! Dall'Alpi e dal TeDro Si risveglia l'antico valore. Viva Su Italia ! Un novello splendore quest'inclita terra brillò.
  • 47. 33 — DIO E POPO LO INNO DI GOFFREDO MAMELI Con quf'Sto canto G'^ffreuo Mameli, diciottenne, si annunziaa nuovo poeta della patria. « La sera del 10 decenibre 184ti tutta Genova era fiamme di gioia; ma non la città sola, tutti gli Apennini, (7 dosso d'Italia, come Dante li chiama, risplendevano di fuochi; parea che gli antichi vulcani fossero risvegliati; era l'avviso, era la minaccia d'Italia e ai tiranni. Il giovinetto Mameli guardava, guardava col petto anelante quella città accesa, quei monti accesi; e intese che cosa tutto ciò significasse dal passato indovinò l'avvenire, il prossimo avvenire nella commemorazione della battaglia popolare di Prè, e di Portoria, presentì le cinque giornate di Milano; e in imo di quei nu)menti che Platone avrebbe chiamato di « furore poetico » gitiò ai venti d'Italia il canto Dio e Popolo, il canto precursore del quarantotto e del quarantanove ». Così Giosuè Carducci. Disse, anche, A. G. Barrili di quest'inno: «Fu scritto per il I!) dicembre 1846, giorno della grande passeggiata votiva di tutto il popolo genovese al santuario di Oregina, celebrandosi il primo centenario della cacciata degli Austriaci da Genova e fu recitato dall'Autore il 9 dicembre, nel banchetto d'onore offerto dagli studenti genovesi aìV Albergo de la Ville, a Terenzio Mamiani il quale nel suo discorso a quei giovani, lodò grandemente il poeta. Parlò in quella occasione per tutti compagni Gerolamo Boccardo, il principe degli economisti italiani. Quanto all'inno Dio e Popolo, l'edizione del 1850, nel secondo verso del ritornello, reca il soldatesco « Dio si mette alla sua testa » forse sulla fede di qualche copia errata dell'inno. Nei manoscritti di Goffredo chiaramente e ripetutamente si legge « Dio comagli si stranieri : ; ; : i che ha sapore biblico, in tutto conforme agli studi che sulla andava facendo il Poeta. Anche la edizione Tortonese ha la più giusta lezione « Dio combatte » e dobbiamo lodarla di ciò ». batte » Bibbia Come narran sugli Apostoli, Forse in fiamma sulla testa Dio discese dell'Italia... Forse è ciò; ma anch'è una Nelle feste che fa il Popolo Egli accende monti e piani festa. ; Come bocche Egli accende di le vulcani. città. Popolo si desta, il Dio combatte alla sua testa. La sua folgore gli dà. Poi, se
  • 48. — Uno A scherzo ora 34 fa il — popolo ; festa ei si convita. una Ma se è il popolo che è l'ospite, Guai a lui ch'ei non invita! Grande è sempre quel ch'egli opera Or saluta una memoria, Ma prepara una vittoria ; E dico in verità vi Che se il Popolo si desta Dio combatte alla sua testa, La sua folgore gli dà. Noi credete ? Ecco la storia AU'incirca son cent'anni Che scendevano su Genova, L'armi in spalla, gli Alemanni Quei che contano gli eserciti : Disser E ; l'Austria è troppo forte; le porte. : aprirono gli Questa vii genia non sa Che se il Popolo si desta Dio combatte alla sua testa, La sua folgore gli dà. Un fanciullo gettò Parve un Che le Sassi e un ciottolo ciottolo case vomitarono fiamme da ogni Perchè quando sorge ceppi e re Sovra i Come i ; incantato, il lato. Popolo distrutti. vento sovra i Passeggiare Iddio lo fa. il flutti Quando Popolo si desta il Dio combatte alla sua testa. La sua folgore gli dà. Quei che contano Vi son oggi gli come eserciti allora : Se crediamo alle lor ciance Aprirem le porte ancora.
  • 49. — Confidiamo I satelliti Non E vi si in dei 35 — Dio. nel Popolo . forti contano che morti. dico in verità Che se il Popolo si desta Dio combatte alla sua testa La sua folgore gli dà.
  • 50. — 36 GIOBERTI E GARIBALDI DI GIUSEPPE BERTOLDI E' questa poesia, forse, la prima che abbia corso l'Italia diftonil Cavaliere dei popoli. Fu stampata alla fine de! 1847 a Torino sotto un ritratto di Garibaldi edito dal Doven. dendo l'amore per E va Gioberti Dell'Italo pensiero Ad vindice erger sugli elvetici un Dirupi vero trono' al ; E' Garibaldi un fulmine Che acque l'americane fa stupir. grand'alma prodigo Della non sua contrada Altro ei non chiede in premio Che un tetto ed una spada, Per la Molte battaglie e vittime, E degli ospiti Il giorno Non suoi la affrettiam glorioso libertà. precipiti : Quel giorno è nella provvida Mente di Dio nascoso che la sua vindice Destra folgoreggiando accennerà. Allor E noi sorgiam terribili Dai campi e dagli spaldi ; In ogni seno palpiti Il cor di Garibaldi : Beato l'uom che l'anima In quel santo conflitto esalerà.
  • 51. 37 FRATELLI INNO DI ITALIA „ GOFFREDO MAMELI D' « lo ero ancora fanciuilo, ma queste magiche parole, anche senza musica, mi m.eltevano brividi per tutte le ossa, ed anche oggi, ripetendole, mi si inumidiscono gli occhi. » Con queste parole Giosuè Carducci, che meglio di ogni altro ha inteso e reso in verso ed in proKa lo spirito eroico del nostro Risorgimento, ricorda l'inno di Goffredo Mamer, il più bello e grandioso di tutti gli inni patriottici italiani. Mameli (nato a Genova il 5 settembre 1827 dal marchese amIl miraglio Giorgio, cagliaritano) costituì nel 1848 la squadra dei volontari genovesi che accorsero a prestare aiuto all'insurrezione lombarda, poi corse alla difesa della Repubblica Rom.ana. Ferito il 3 giugno !a i 1849, nel combattimento di Villa Corsini, alla tibia sinistra, ebbe amputata una gamba e morì il tì luglio successivo. Fu un'anima anMazzini, che lo amava come un figlio, scrisse per la sua gelica. mone alcune pagine maravigliose di sentimento e di poesia. Garibaldi, che se Jo vide ferire al fianco, non poteva trattenere le lagrime tutte le vo'.te che gli si parlava di lui. Il celebre Inno venne scritto da Goffredo il giorno 10 settembre 1847 e musicato il 24 novembre a Torino dal maestro Michele Novaro (1822-188.S) il quale raccontò nel 187.S ad Anton Giulio Barrili (l'amoroso studioso e raccoglitore degli scritti del Mameli) il modo come compose la musica di quei versi infuocati. Si trovava una sera in casa di Lorenzo Valerio, dove conveniva una eletta schiera di patriotti che facevano musica e politica insieme, quando un amico giunto « To', te lo manda Gofda Genova gli porse un foglietto dicendogli fredo ». Il Novaro apre il foglio, legge, si commuove. Tutti gli si Mameli vengono detti a voce alta, e la versi del affollano intorno; stessa commozione si manifesta sul volto di tutti. « Io sentii, disse Novaro, dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei il piansi, che ero agitalo e non potevo star fermo. definire... So che Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, mettendo giù frasi melodiche, l'una sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole... Mi alzai, scontento di me, presi congedo, corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai pianoforte. Ai tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa a! Valerio; lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani. Nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per conseguenza anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'Inno «Fratelli d'Italia». Cantato pubblicamente a Genova in una festa popolare, la polizia, conoscendo l'autore per un ardente mazziniano, lo : i proibì e non Garibaldi lo tollerò stimava marzo 1848. il Mameli come che dopo l'inno di guerresco dopo la Marsigliese durante l'assedio di Roma e e la lo più trascinante inno il preferiva all'inno del Mercantini; meravii-liosa, l'Eroe lo can^ ritirata
  • 52. — 38 — come del resto facevano tutti i suoi volontari. canto del magico inno che elettrizzò tante migliaia di guerrieri e 11 volò come superbo arcangelo sui campi di battaglia, viene ancora adesso considerato in Austria come reato politico, ciò che non impedisce agli italiani ancora irredenti di cantarlo, sfidando le i. r. prigioni. lava e zuffolava sempre, Fratelli Dell'elmo Dov'è la Le porga : desta ; Scipio di S'è cinta la Che Uniamoci, amiamoci L'unione e l'amore Rivelano ai popoli d'Italia, L'Italia s'è Le vie del Signore. Giuriamo far libero test-ri. vittoria? la schiava chioma suolo natio Il ; Roma di : Uniti, per Dio, Chi vincer Iddio la creò. Stringiamci a coorte ci può? Stringiamci a coorte ! ! Siam pronti alla mortf Italia chiamò Siam pronti alla morte Italia chiamò ! I Dall'Alpe a Noi siamo da secoli Sicilia, Perchè non slam popolo, Perchè siam divisi. Ovunque è Legnano Ogn'uom di Ferruccio Ha il core e la mano Raccolgaci un'unica I Calpesti, derisi. Bandiera, una ; speme ; l'ora ; II suonò. Vespri suonò. I Stringiamci a coorte Stringiamci a coorte ! Siam pronti alla morte Italia chiamò pronti alla morte Italia chiamò Son giunchi che piegano Le spade vendute Già l'Aquila d'Austria Le penne ha perdute. Il sangue d'Italia E il sangue polacco Beve col Cosacco, ; il ! Siam : ! Ma d'Italia chiaman Balilla suon d'ogni squilla Si ; Di fonderci insieme Già bimbi cor le bruciò. Stringiamci a coorte ! Siam pronti alla morte Italia chiamò ! !
  • 53. — 30 INNO ALL'ITALIA Fu canijtn a Firen/e 12 settembre il 1847 e per alcuni anni Sorgi, depressa Italia, Dalla iua muta tomba Al suon di questa tromba Ch'oggi squillar L'armi fidate l'udì. popolo al Segnano un nuovo Ti cingi di. ancor, o prospera Regina delle genti De' taciti lamenti La lunga età finì. L'armi ; popolo fidate al Segnano un nuovo dì. Disse a' suoi figli un principe Quest'armi a voi l'affido. E plaudente un grido — Di fondo L'armi ai cor parti. fidate al popolo Segnano un nuovo dì. Sacra falange, il patrio Suolo guardar v'è dato, Questo giardin beato Che il Cielo a noi L'armi fidate al largì. popolo Segnano un nuovo dì. Ma se la terra italica L'estraneo insulti ardito Muova il Che noi vessillo avito fratelli unì. : - di poi.
  • 54. — L'armi 4U fidate al — popolo Segnano un nuovo dì. Sappia pugnare e vincere Il cittadin guerriero, Franga l'orgoglio altero Di chi sprezzarci ardì. L'armi fidate al popob Segnano un nuovo dì.
  • 55. 41 SONO ITALIANO!... CANTO POPOLARE (Questo canto rimonta Goticite di una popolarità ai primi mesi del 1848 e nacque in ToSi'ana. oggi è molto noto in tutta immensa ed ancor l'ilatiia. Nella Venezia e nelle terre alle quali stiamo dando zione viene tuttora cantato con lo stesso spirito del 1848. lihera- la Giovanottino daiia bruna chioma, - come si nom.a? sono nato, o forestier cortese. Nel paese più bel d'ogni paese S'io chieggo a te della nativa terra Rispondi << Io son di Francia o d'Inghilterra. Il — tuo loco natal Io : : Fiorenza è bella e Napoli t'ammalia, Torino è forte e dappertutto è Italia Se vuoi saper se nacqui in monte o >> ; Sono in piano. Italiano. Giovanottin dalla pupilla nera, - Dimmi, qual'è il color di tua bandiera? Se una rosa vermìglia e un gelsomino A una foglia d'ailór metti vicino, — tre colori avrai piij cari e belli I A noi che in ci conosciam fratelli che fremer fanno L'insanguinato imperator tiranno. Beato il dì che li vedrà Milano tre I color avi quei ; ai ! Sono Italiano. Giovanottin dalla dolce favella, Dimmi dunque, — il tuo re come si appella? una patria abbiamo e tutti un Dio Dal Tebro a tutti benedice Pio Dell'Arno là sulle rive leggiadre Sta Leopoldo, più che Duca, padre Tutti ; ;
  • 56. — 42 — Tardi Fernando si battè la guancia, E Alberto aguzza la terribil lancia ; Biscia e Leone cacceran i 'estrano: Sono - Italiano Giovanottin dall'elmo piumato, se' giovane tanto e sei soldato! Tu — E Soldato no; son cittadino in armi, soldo col sudor so procacciarmi. Se giovin sono e se profondo io fero il Vedran le file del ladron straniero. Dunque ripeti, o forestier cortese. Quando ritornerai nel tuo paese. Che di bandiera, d'armi e di sovrano Sono Italiano
  • 57. 43 IL " PATER NOSTER ' DEI MILANESI Dopo la morte arcivescovo tedesco dell'odiato Gaysruck venne a 1847) l'arcivescovo Romilli, bene accetto, perchè grande bontà, alla cittadinanza milanese. Furono allora Milano (settembre italiano e diffuse numerose di orazioni patriottiche nelle quali religione patria e fondevano sotto l'egida del nome benedetto di Pio IX. Nacquero così un Catechismo nazionale, un Credo, due Pater Noster, le Litani^ dei Pellegrini Lombardi, ecc. Il primo Pater Noster in prosa diceva « Padre nostro che siete a Vienna Che il vostro nome sia per sempre dimenticato in Italia; Che il vostro regno si restringa al di là delle Alpi Che la vostra volontà non sia fatta sopra il cielo come sopra la terra d'Italia; Rendete a' noi quel pane quotidiano chi ci Come noi vi rendiamo la vostra carta monetata Non ci indurapiste si : ; ; ; ; voi e da tutti i vostri liberateci da cete nella disperazione; Ma sgherri ; Una volta per sempre e così sia. » Il secondo Pater Noster preparare gli servì anch'esso a è quello riprodotto qui appresso animi per fatti del marzo 1S48. A Trieste, tra l'aprile e il maggio : i dell'anno « Vittorio tuo, — quando sembrava che corrente, dovesse riuscire neutralizzare a Emanuele nostro die venga il — regno tuo, — la pressione della Germania seguente parafrasi la circolò l'Italia, Roma sei a sia fatta — : sia santificato volontà tua, la sì nome come a il Trento, cosi a Trieste. Amaci come siamo odiati, difendici perchè Non t'induca Hiìtoiv in siamo oppressi. Dacci il tuo pane unico. Così sia. il ntazinne, ma liberaci dall'Austria. — — Padre nostro divin, che Pietà del nostro duol Signor, — — ci nei sei sì scampa dall'ugne dello Sia sempre E tante Quante il nome volte l'augel e Cieli, lungo e fiero : crudeli straniero. tuo santificato, tante benedetto, biforme è bestemmiato e maledetto. Ah! venga il regno tuo, regno d'amore. Che a Pio fu dato d'imitar qui in terra. Che la virtude inalza ed all'errore fa cruda guerra.
  • 58. 44 Sia fatto il voler tuo, se ancor ritarda Quel giorno di vendetta e di riscatto, Che vegga Italia e la nazion lombarda strette ad un patto. In ciclo e in terra questo giorno è scritto, In cui la biscia, ed il Di libertà, co'.rarmi, leone a lato. sacro dritto il avran Dacci oggi Che Il lo il nostro pane quotidiano, straniar strappa ci vaso è colmo per e / comprato- la fin bocca di ! tua Milano, orm.ai trabocca. che abbtam, Signor, perdona. debiti In quella guisa che paghiamo quelli Dei trattati di Vienna e di Verona, veri Non tranelli cadere in tentazione, in noi tutti e core e E vincerem nel dì della tenzone sicuramente. ci lasciar Ma Ma rinforza scampaci dal Deh! inai e salva l'infelice Dall'Aulico consiglio dai tedeschi mente, : Lombardia e da Radeschi e : cosi sia
  • 59. — 45 — LA DONN A LOMBARDA STORNELLO DI FRANCESCO DALL'ONGARO proposito tradotto in pratica con invitta costanza dai milaiicsi Il non più fumare per portar grave danno alle finanze austriache diede vioalla polizia di compiere sulla cittadinanza atti di selvaggia lenza. Nel gennaio 1848 la sbirraglia ubbriaca fu scatenata per le vie di Milano; in Piazza Mercanti, sul Corso Francesco (ora Vittorio Emanuele) altrove donne, ecchi, fanciulli vennero sciabolati barbarae mente, e sei morti e cinquantanove feriti furono il triste bilancio di fatti di Miquella giornata- di ferocia austriaca. Nell'Europa liberale lano destarono una enorme impressione; l'odio milanese per l'opprest'ore crebbe a mille doppi; e Francesco Dall'Ongaro (nato a Mar.';uc (Oderzo) nel 1808, morto il 9 gennaio 1873) scrisse uno stornello diventato popolare che fomentò negli oppressi il desiderio de!la liberazione, compiuta due mesi più tardi nel glorioso modo che tutti di modo i sanr.o. Toglietemi d'attorno i panni gai. Voglio vestirmi di bruno colore Vidi scorrere il sangue ed ascoltai Le grida di chi fere e di chi more. ; Altri Sui' ornamenti non porterò mai che un nastro vermiglio sopra Mi chiederan dove quel nastro è Ed io Nel sangue del fratello — tinto, estinto. Mi chiederan come si può lavare. Ed io Non lo potria fiume né mare — core. il : Macchia d'onore per lavar non langue Se non si lava nel tedesco sangue. -
  • 60. 46 LA BANDIÈRA TRICOLORE CANTO POPOLARE Dopo la cacciata dei tedeschi da Milano, ebbe molto voga la seguente canzonetta popolare, che fu più tardi ripetuta dal '59 al '66. Le due ultime strofe furono aggiunte dai soldati di Piemontesi che cantavano nelle loro marce, e furono subito imparate e cantate le dai monelli milanesi. La si canta ancora in tutta Italia, compresa Trieste, con leggere modificazioni. Anderemo a Roma santa, Anderemo al Campidoglio, Pianteremo sulla soglia La bandiera dei tre color. La bandiera dei tre colori E' sempre stata la piià bella, Noi vogliamo Noi vogliamo E i sempre la quella libertà. tedeschi coi suoi baffi Son una massa di birbanti, Impicchiamo tutti quanti, pie. Calpestiamo sotto i I Gesuiti son partiti Son andati dal suo re La corona dell'Impero La vogliamo sotto ai pie. ; I Con tedeschi son fuggiti fumo dentro il sacco Metternich e quel macaco Si il dovranno ritirar. :
  • 61. — 47 — CANTO POPOLARE Le Cinque Giornate in tutta di del Bertoldi settentrionale. l'Italia Manzoni pubblicava la scritta quando sembrava uno dei fu Da più innumerevoli canti a popolari che e si diffuse 1848 Alessandro « Marzo lui ^821 » da passaggio del Ticino da parte ricordare impareggiabile ode imminente il piemontese guadagnato alla aggiungendovi l'ultima strofa dell'esercito nazionale, BERTOLDI di G. Milano diedero origine questo patriottici; MIL A NO LI BERAZIONE DI LA nel rivoluzione costituzionale e : Oh giornate del nostro riscatto! dolente per sempre colui lunge, dal labbro d'altrui. Come un uomo straniero le udrà! Che ai suoi figli narrandole un giorno Dovrà dir sospirando: io non c'era; Che la santa viitrice bandiera Salutata quel dì non avrà! Oli Che da Le Cinque Giornate furono precedute e seguite anche da una vera poesie e di canti popolari in dialetto milanese che si trovano un interessante volume di Carlo Romussi. fioritura di in Di Dio son tutti del mondo i regni, più degni Dio che a reggerli chiama Ma quando l'empio quei regni toglie Di i Egli alza il dito e discioglie. li non ha Il A I regno a Dio noi chi tolse la libertà? tolto centomila sgherri tedeschi L'insubria inondano, duce Radeschi Non scende in campo Iddio con l'asta: Dal cielo ei mostrasi, mostrasi e basta. Polvere sono dinanzi a Te, Dio grande e forte, popoli e re. : Ecco sul sacro piano lombardo Sventola Ecco Coi il il libero tre colori un Carlalberto. Sui vostri altari Prodi comun stendardo trionfo a render certo Lombardi, ei giurerà. la libertà. : ;
  • 62. — 48 L'ITALIA RISORTA INNO DI B. DE' BANDI Inno del 1848; parole di Bando de' Bandi, musica del maestro Mapopolarissimo a Milano e in Lombardia per tutto quell'anno. bellini, Via toglietemi dal capo delle spine La corona Che una Splenda ; volta ancor sul crine il serto del valor. Son l'Italia e son Le catene io sento risorta, infrante, Sorgerò come gigante Sopra il campo dell'onor. Fino all'ultimo Appennino il grido redentor Voli ! Fui signora delle genti, Poi fui schiava e piansi tanto, Ma quei secoli di pianto Questo dì Tutti in Tutti È Il fa. arme miei, stretti Benedetta Che scordar mi a la in figli bandiera pugnar soldato i una schiera, il li condurrà. cittadino, soldato eroe sarà !
  • 63. — — 49 LA PATRIA DELL'ITALIANO POESIA POPOLARE ANTONIO GAZZOLETTI DI Antonio Gazzoletti fu dopo Giovanni Prati il maggior poeta trenNato a Nago il 20 marzo 1813, fu imprigionato varie volte dagli austriaci, esulò a Torino e passò poi a Milano ed a Brescia. Morì magistrato a Milano il 21 agosto 1866. La Patria dell'Italiano fu popolarissima per oltre un ventennio, a incominciare dal 1848 nel qual anno fu scritta. In essa si esprime vigorosamente il concetto unitario italiano. La sua forma fu ispirata dalla celebre poesia dell'Arndt « Was ist der Deutschen Vaterland?» (Qual'è la patria dei Tedeschi?), considerala la «Marsigliese» germanica. tino. Qual è Sotto la patria dell'Italiano? cielo napolitano, bel il Nel suol, nell'aere, nel mare un Serbò natura di paradiso Pur non è l'eden napolitano La grande patria delTItaliano. riso : Qual è la dell'Italiano? patria mare freme un vulcano, E intorno a quello fremono genti Di dal là Di libertade. Pur non è La grande Qual è E' forse Che Sul il gloria ardenti forte patria la Qual il è : suol siciliano dell'Italiano. dell'Italiano? patria brando prima, No, non è La grande Culla di sacro terren il mondo Fors'è il la romano croce poi stese soggetto a noi ? il sacro terren romano patria la dell'Italiano. patria dell'Italiano? leggiadro dell'arti e giardin insieni toscano, gentile Maestro agl'itali del bello stile? No, non è il gaio giardin toscano La grande patria dell'Italiano.
  • 64. — 50 — il lombardo suolo fecondo? Venezia unica al mondo? Fors'è Fors'è Città maturi ingegni, fiorenti, Glorie e sventure vantan quei regni Pur non Venezia, non è Milano La grande Fors'è ; patria dell'Italiano. guerriero Piemonte armato? il Fors'è l'altero Genovesato? De' Corsi l'isola, Dall'aspre rupi, No, in brevi La grande Qual è quella de' Sardi dai sponde patria la cor gagliardi? tu cerchi invano dell'Italiano. patria dell'Italiano? Dal regal Tevere all'Eridàno Tutto che il doppio mare comprende, E un solo accento sonar s'intende, E il mondo barbaro rifece umano, E' la gran patria dell'Italiano. Dovunque prossimo santo invocasi Il Dove una musica Dove ogni sasso è Dall'umil rudero al Ivi la patria è Pio, di spira ogni vento, un monumento, Vaticano, dell'Italiano. Dovunque all'ombra In Dio a quel di nome fermo accordo dei fraterni tre colori cuori Stanchi del vile lungo servire di vincere o di morire, Giurar E Ivi al è O vinto amica stender la patria bella terra, nobile terra. Dallo straniero che Troppo oltraggi soffristi mano, la dell'Italiano. ti fa e guerra, danni : Sul capo oppresso dai lunghi affanni Rimetti il prisco ciniier sovrano, O grande patria dell'Italiano.
  • 65. — — 51 CANTO DI GUERRA DI LUIGI Il gagliardo canto del (-arrer (nato a morto in patria il 23 dicembre 1850), popolo quando Carlo Alberto dichiarò e ripetuto dal popolo per lunghi anni. fu la Venezia scritto guerra il 12 febbraio 1801, principalmente per il all'Austria nel 1848 Via da noi, Tedesco infido, Non più patti, non più accordi Guerra, guerra Ogn 'altro ! ; grido E' d'infamia e servitù. Su que' Il furor rei, si sangue di fa lordi, virtù. Ogni spada divien santa Che nei barbari si pianta ; indegno figlio Chi all'acciar non dà di piglio, E un nemico non atterra E' d'Italia : Guerra, guerra ! Tentò indarno un crudo bando Ribadirci le catene ; La catena volta in brando Ne sta in pugno, e morte dà. Non s'ottiene Guerra, guerra Senza sangue libertà. ! Alla legge inesorata Fa risposta Fan risposta la al Crociata ; truce editto Fermo core, braccio invitto, Ed acciaro che non erra ; Guerra, guerra ! CARRER
  • 66. , — Non piià attristi ci lo — 52 sguardo L'aborrito giallo e nero; Sorga l'italo stendardo E sgomenti gli oppressor. Sorga, sorga, e splenda altero Il vessillo tricolor. insegna nostra mostra ti insegna, Lieta Sventolante a noi cammino Il tu ; addita, ci Noi daremo sangue e vita Per francar la patria terra Guerra, E' la guerra Da nostro scampo. il gloria lei Della spada Dasti in il noi E' d'Italia ; guerra! avremo e regno fiero lampo l'antico ; ardir. indegno figlio Chi non sa per lei morir. Chi tra l'Alpi e il Faro è nato L'armi impugni e sia lodato Varchi il mare, passi il monte. Più non levi al ciel la fronte ; Chi un acciaro non Guerra, guerra afferra umile paese Guerra echeggi, e morte al Dal palagio Tutto, Che al tutto : ! tetto il bel tant'anni ci vile calcò; ' Guerra suonino Che il le chiese ribaldo profanò. Vecchi donne infermi, Dei belligeri imbelli. fratelli Secondate il caldo affetto Guerra, guerra In ogni Che di vita un'aura serra, ! Guerra, guerra ! : petto.
  • 67. 53 IN NO DI GUERRA DEL DI primo 1848-49 LUIGI MERCANTIMI guerra del celebre autore dell'Inno di a Ripatransone il 20 settembre 1821, 1872) lo scrisse nel 1848, e con quell'inno sul labbro crociati romagnoli corsero in aiuto di Venezia combattente eroicamente contro gli Austriaci. Fu m.usicato dal maestro Giovanni Zampettini, di Sinigaglia. In una nota ai suoi canti il Mercantini dice presente inno di guerra a proposito del « Quando in Corfù io fui a visitare Daniele Manin, da una stanza vicina si udiva cantare « Tre colori, tre colori». «Ecco! mi disse Manin, commovendosi, ecco il canto col quale abbiamo combattuto insino all'ultima ora sulle nostre lagune ». Il motivo della bandiera nazionale ricorre molto di frequente nella poesia patriottica del Risorgimento (vedi pag. 40 e 52). Il tricolore divisi popoli della pefu il simbolo e il nodo della patria, che raccolse nisola in un sol fascio potente e disciplinato. Come scrisse uno dei più appassionati cultori degli studi storici sulla resurrezione italiana, « gioani che non possono ricordare di aver veduto nei tempi della dominazione straniera un cencio tricolore conservato fra le memore più care e segrete e mostrato fra un sospiro di rimpianto e una speranza, e non videro più tardi quei medesimi colori splendere liberi nella gloria del sole e sorgere quasi per incanto, dietro ai passi dei fuggenti austriaci, e rivestire le città d'un'iride festosa, non possono comprendere capelli grigi all'apil fremito segreto che provano quelli che hanno parire della nostra bandiera. » Dopo la caduta di Venezia nel 1849, il tricolore fu, come scrisse Carlo Cattaneo, « il solo segno che rappresenE' il Garibaldi morto a : degli inni Mercantini il Palermo l'S di (nato novembre i : : i i i tasse al cospetto del mondo Patrioiti, la nazione. » all'Alpi Fu l'Italia. andiamo, andiamo al Po Perderem, se più tardiamo Già il tedesco c'insultò. Patriotti, Il : : tambur, !a tromba suoni. Noi sui campi marcerem. Mille e più sieno Noi le E sol verde, La bandiera E i cannoni. micce accenderem. sol verde, bianca e rossa s'innalzò. bianca e rossa La h:indÌTn s'innibò.
  • 68. — Tre colori, 54 — tre colori, cantando va a cantando tre colori L'italian ; i 11 fucile imposterà. Foco, foco, foco, foco ! S'ha da vincere o morir. Foco, foco, foco, foco ! Ma il tedesco ha da morir. E t,a E verde, bianca e rossa bandiera s'innalzò. sol verde, bianca e rossa sol La bandiera s'innalzò.
  • 69. — 55 CANTO DEGLI INSORTI ARNALDO FUSINATO DI Ad Arnaldo Fiisinato (nato a Schio il 10 dicembre 1817, morto Roma il 28 dicembre 1888) deve molto la musa patriottica italiana. Fu soldato, combattè a Alontebello ed a Vicenza e partecipò alla difesa di Venezia !e sue strofe guerresche venivano ripetute dai soldati nelle a : marce. Singolare per veemenza e paragonabile ai dell'ungherese Petòfi è questo canto degli insorti universitario selvaggi canti battaglione il più che Padova fece suo. di Suonata è la squilla già : Terribile echeggia per Suonata è la squilla Su presto corriamo Brandite i Fratelli, Al cupo fucili, fratelli, le il grido di guerra su presto, : la ; fratelli. patria a salvar. picche, i coltelli, corriamo a pugnar. rimbombo Rispose il l'itala terra dell'austro ruggito del cannone Leone nostro : manto d'infamia, di ch'era coperto, CoU'ugna gagliarda sdegnoso squarciò, E sotto l'azzurro vessillo d'Alberto Ruggendo di gioia il volo spiegò. Il Noi pure l'abbiamo Non la nostra bandiera come un giorno pili sì gialla, nera sì Sul candido lino del nostro stendardo Ondeggia una verde ghirlanda d'allòr De' nostri tiranni nel sangue codarde E' tinta la : zona del terzo color. Evviva l'Italia! d'Alberto la spada Fra l'orde nemiche si schiude la strada. Evviva l'Italia! sui nostri moschetti il Vicario la mano levò... E' sacro lo sdegno che ci arde ne' Di Cristo Oh ! troppo finora si petti pianse e pregò. !
  • 70. — — 56 Vendetta, vendetta! Già l'ora è sonata, Già piomba sugli empi la santa crociata Il Si colmo è calice strinser dell'ira mano la le : italiana, cento città : Sentite sentite, squillò la campana... Combatta denti chi brandi coi non Vulcani d'Italia, dai vortici ardenti Versate sugli empi le lave bollenti E quando quest'orde di nordici lupi Ai patrii covili vorranno tornar, Corriam fra le gole dei Sul capo S'incalzin di E quando ! nostri dirupi fuggiaschi le roccie a crollar. ai Un nembo ha. fronte, le di avvolga li fianco, di alle spalle, pietre e di palle, canne dei nostri fucili Sien fatte roventi dal lungo tuonar. Nel gelido sangue versato dai vili Corriamo, corriamo quell'armi a tuffar. E là dove il core più batte nel petto Vibriamo la punta del nostro stiletto; E allora che infranta ci caschi dal pugno La lama già stanca dal troppo ferir, ))e' nostri tiranni sull'orrido grugno .i pomo dell'elsa torniamo a colpir. . Vittoria, vittoria ! Dal giogo tiranno Le nostre contrade redente saranno Già cadde spezzato l'infame bastone ; Che Il Il — l'italo dorso percosse finor timido agnello s'è fatto leone. vinto vincente, l'oppresso oppressor. ;
  • 71. — 57 CANTATA DI DI GUERRA ARNALDO FUSINATO Questa cantata patricttica del Fusinato che non è compresa nei volumi delle sue opere raccolte si trova nella bella Antologia di Raffaello Barbiera « I Poeti Italiani del secolo XIX ». Fu scritta nel 1848 a Venezia, fu musicata dal maestro veneziano Francesco Malipiero, ed accese ancor più gli animi nella lotta contro il nemico nazionale. Donne L'ora fatai All'armi, s'approssima all'armi, o ! forti! Noi v'afRdiam la libera Bandiera dei risorti Senza timor guardatela-.. I suoi color son tre. ! Ed Le il Leon dell'Adria sta vegliando al Pie. Fino al supremo anelito Dell'onor suo custodi, Dove Ivi il suo drappo sventoli accorrete o prodi : Del tradimento il demone Più non le striscia al pie ; Perchè il Leon dell'Adria Le sta vegliando al pie. All'armi, all'armi, o forti! Noi v'affidiam la libera Bandiera dei risorti ! Uomini E con un grido concorde Stringiamo il vessillo che Italia noi, di fede, diede. simile anch'esso all'Angiol di morte. Affiso alle porte del santo giardin. Sull'ultimo scoglio dell'Alpi giganti Oh! Custode ci — si pianti — del nostro confin.
  • 72. — 58 — DOKKE Addi--. Con j^:^j.-::., . col voi sceaideremo sul 'o3 del pensiero campo guerriero : Se deWl la mane rifugge dal brando. Staremo pregando appiè all'aitar. UOMIKI E noi col tripudio dell'alme Sui campi cruenti — ' fidend corriamo a pugnar. Tutti Corriamo, corriamo vergogna al codardo Che il volo non segue del patrio stendardo Un inno di gloria, im'onda di pianto AJ martire santo cbe pugna e che rouor Al forte che riede di sangue coperto : : — Un vergine serto — di baci e di fior.
  • 73. — 59 CANTO Dopo campagna l'infausta Lombardia di GUERRA DI interrotta dall'armistizio PiemoDlesi ardevano dal desiderio di riprendere agosto 1848, lotta contro gli AuKtriaci. Il canto the segue ebbe molta voga nel la brcc periodo che corse fra la fine della prima guerra nazionale e l'iui/io della seconda, cosi breve t terminata cosi tristemente a Novaia del 9 {2i marzo i 1849). Italiani, Fu se gagliardo già il Di Hontida Presto Lombardo braccio del Se all'estraneo il all'armi La contesa ; spavento giuramento, fé' di — non è Legnan sciolta ; Su, gridiamo un'altra volta -- Guerra al barbaro Aleman : Siede ancora E — nostro desco al Gavazzando, ! ebbro il tedesco, l'esercito s'ingrossa D'un novello Barbarossa Presto all'armi La contesa di • — non Legnan è sciolta ; Su, gridiamo un'altra volta — Quando Guerra l'insubre al : Aleman barbaro I campagna Tutta sanguina e si lagna ; Quando il veneto Leone A battaglia si compone. — Presto all'armi non è sciolta La contesa di Legnan ; Su, gridiamo un'altra volta Guerra u) barbaro : Aleman '
  • 74. — Quando Van gli — 60 Usseri e le spie briachi per le vie, E gareggiano codardi Scannatori di vegliardi. Presto all'armi La contesa di — non Legnan è sciolta ; Su, gridiamo un'altra volta — Guerra al : Aleman barbaro Stende l'aquila gli artigli Sovra i campi, e sovra i figli Non sia tregua coli 'ingorda Se la polvere non morda. ! ; Presto all'armi — non è sciolta La contesa di Legnan Su, gridiamo un'altra volta ; — Ha : Guerra al barbaro Aleman tuonato il Vaticano Dall'Allobrogo al Sicano Ti — risveglia Dio lo itala vuole, Presto all'armi La contesa di prole Dio : : lo — è sciolta ; Su, gridiamo un'altra volta -- Guerra al barbaro — vuole. non Legnan ! : Aleman!
  • 75. IL RISORGIMENTO DI ALESSANDRO POERIO — Alessandro Poerio (1802 3 novembre 1848), soldato e poeta, fratello di Carlo, si distinse alla difesa di Venezia dove morì. Questo inno non fu veramente cantato, ma declamato dai valorosi combattenti. Il Poerio nella memorabile sortita di Mestre del 27 ottobre cadde ferito mortalmente mentre nel folto della mischia animava sioi commi i litori Non col canto. fiori, ien l'empie memorie non carmi Defili avi sull'ossa, D'oltraggi fraterni, Ma Ma Ma D'inique vittorie, Per sempre velate. il i suono serti sien l'opre, tutta sia Ma scossa — Da guerra Che sia d'armi. quelle ricopre resti e s'eterni Nel core la terra — un orrore Di cose esecrate ! ; Sia guerra tremenda, E, Italia, Sia guerra che sconti Correndo ad armarsi Con libera man. Nel forte abbracciarsi Tra lieti perigli La rea servitù ! Agli avi rimonti. Ne' posteri scenda La nostra virtù O Divampi di vita La speme latente Percuota Che in Beltate gli tuoi figli, Fratelli saran. ! Di scherno nutrita i sparsi fratelli, O ; strani. questa languente — sfrenate popolo mio. Amore Movete Decreto Fidenti v'appelli ; ! nell'alto di — Dio valenti. Cacciaron le mani, D'un lungo soffrire, Movete all'assalto. Son armi sacrate Sforzante a vendetta, Gli oppressi protegge ; L'adulto furor. De' cieli Sorgiamo Concordia e la stretta Ma questa è sua legge, dell'ire Che ; Sia l'italo amor. il Signor ; sia libertade. Conquista al valor.
  • 76. — Fu servo il 62 — Ma tiranno Del nostro paese Al domo Alemanno vano pensiero Fia l'inclita impresa. ; Le terre occupava Superbo il Francese. Se d'altro straniero L'aita maligna Sul capo ci pesa Respinto Sien soli — » dal vinto Poi quelle sgombrava. Si pugni, si muoja ; De' prodi caduti L'estremo sospir Con La fede saluti libera gioia D3I patrio avvenir O ! Italia, nessuno Stranier ti fu pio ; Errare dall'uno Nell'altro servaggio T "incresca, Fiorente per Dio ! — possente D'un solo linguaggio, Alfine in te stessa, O — i figliuoli né alligna Qual seme fecondo Nel core incitato Verace voler, Se pria non v'è nato Sospetto profondo Dell'uomo stranier. D'Italia patria vagante. Eleggi tornar ; Ti leva gigante, T'accampa inaccessa Su' monti e sul mar ! ;
  • 77. — 63 ADDIO, M IA BELLA, ADDIO CANTO POPOLARE ! CARLO BOSI di bella, addio? Chi non Italia V Addio, mia (^hi non ha cantato in eanta ancora, in città e in campagna, in Lombardia, in Toscana, in d'America? Questa canzone, così fresca e Sicilia, nelle nostre colonie vibrante, che par nata oggi, ha invece un'età veneranda poiché sorse nel 1848 ed ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Curtatone. La scrisse il fiorentino Carlo Bosi, che la intitolò « Il volontario che parte per la guerra dell'Indipendenza », ma il popolo la chiamò 1' « Addio del volontario » e ne corresse il primo verso che nella lezione originale suonava: Io vengo a dirti addio. Il musicista ci è ignoto; ma cliiunque l'abbia composta, se pur non l'ha creata l'anima stessa del forse quel motivo così nitido, così popolo, ha fatto opera di bellezza snello, così battagliero, « doveva già esistere come aleggiante per l'aria e come susurrante nei cuori». La canzone ha due sole frasi così ritmicamente incisive, e tanto slancio e vigore, che appena echeggiano, un brivido corre per le ossa e tutte fremono le fibre del cuore. « E' in tempo ordinario e in tono maggiore, né oltrepassa l'ambito di sei sole note, sempre naturali al termine del primo periodo, lo squillo di alcime rapide note ribattute le accresce vigore ed energia. Così breve e la : : così lodia sempre uguale circoscritta, ripetuta dovesse riuscire monotona, di ma non parrebbe che la meessa, pur ripetenmutar delle parole, nuovi strofa, è così : sembra rinnovarsi e acquistare, dal sempre più vigorosi e marziali, come sembra in taluni punti ingentilirsi alla rievocazione di amorosi e soavi ricordi. Oltre a ciò nella sua estrema semplicità è originale non ha punti di contatto con altri canti patriottici e popolari del tempo. Ed è inoltre schietta e sincera, dosi, accenti : senza senza appiccicature sì sente sgorgata liberamente e spontanearr.ente dall'anima popolare e venuta fuori, come suol dirsi, di prima intenzione ». (Arnaldo Bonaventura). Enrico Panzacchi disse dell' « Addio del volontario»: «E' veramente una cara e poetica cosa; un toccantissimo motivo che ho sentito lodare e quasi invidiare all'Italia nientemeno che da Riccardo Wagner». E Pietro Cori osservò giustamente « Le undici strofe di questa poesia hanno nociuto agli austriaci più di una battaglia perduta, e giovato all'Italia più di una battaglia guadagnata. Tanta è la potenza del ritmo e dell'armonia sull'animo gentile degli Italiani!» fronzoli e : : Addio, mia bella, addio, L'armata se ne va; Se non partissi anch'io Sarebbe una viltà ! Non pianger, mio tesoro. Forse ritornerò; Ma se in battaglia io In ciel ti rivedrò. moro
  • 78. 64 La spada, le pistole, Lo schioppo l'ho con me Saran tremende l'ire. Grande il morir sarà Si mora, è un bel morire Morir per libertà ! : Allo spuntar del sole Io partirò da te. Il — ! Tra quanti moriranno Forse ancor io morrò sacco è preparato Sull'omero mi sta Son uomo, e son soldato, Viva la libertà ; ! Non Se più del tuo è fraterna guerra La guerra ch'io farò Dall'italiana Tu non ; Per L'antica tirannia Io l'Italia vado in lui non Io ancor ti non sospirar. lascio sola, Ti resta un figlio ancor ; Lombardia Nel Nel Incontro all'oppressor. ti figlio dell'amor la tromba, addio. L'armata se ne va ; bacio Viva la al figlio libertà ! consola. figlio Squilla Un diletto udrai parlar, Perito di moschetto. terra L'estraneo caccerò. Grava ; Non ti pigliare affanno, Da vile non cadrò. mio ! ;
  • 79. — 65 INNO MILITARE GOFFREDO MAMELI DI Fu composto Tirteo dell'Indipendenza Italiana nell'agosto del a Giuseppe Verdi che lo musicò caro alla gioventù, è oggi l'inno irredentista per eccellenza. A Trieste e in tutte le terre italiane rimas'.e tiro al maggio 19K'i soggette all'Austria due ultimi versi del ritornello « F.nchè non sia l'Italia Una dall'Alpi al mar » vengono modificati in questo modo: « Finché a Trieste e a Trento Non splenda il Tricolor». dal 1848 e mandato da nell'ottobre. Sempre Giuseppe Mazzini ' i — — All'armi, all'armi Le insegne Fuoco, Sulle ! — gialle Ondeggiano e nere : per Dio, sui barbari. vendute schiere ! Già ferve la battaglia. Al Dio de' forti osanna Le baionette in canna, ; E' l'ora del pugnar. Non deporrem la spada schiavo un Dell'itala contrada Finché non sia l'Italia Finché sia angolo : Una Avanti dall'Alpi al mar. — Viva Italia, Viva la gran risorta Se mille forti muoiono, Dite, che è ciò? Che importa Se a mille e mille cadono Trafìtti i suoi campioni ? ! : Siam E ventisei milioni tutti lo giurar. Non deporrem la spada schiavo un Dell'itala contrada Finché sia : Finché non Una sia l'Italia dall'Alpi al mar. angolo
  • 80. — — 66 Finché rimanga un braccio Dispieglierassi altera, Segno ai redenti popoli, La tricolor bandiera, Che nata fra patiboli i discende guerresche tende Terribile Tra le Dei prodi che giurar Di non depor la spada Finché sia schiavo un Dell'itala contrada Finché non Una Sarà sia l'Italia dall'Alpi al mar. — l'Italia angolo . edifica Sulla vagante arena Chi tenta opporsi — Sui sogni lor piena la misero ! Dio verserà del Popolo. Curvate il capo, o genti, La speme dei redenti La nuova Roma appar. Non deporrem la spada schiavo un Dell'itala contrada Finché non sia l'Italia Finché sia angolo : Una Noi lo dall'Alpi al mar. giuriam pei martiri, Uccisi dai tiranni, Pei sacrosanti palpiti, Compressi E questo Sangue in cor tant'anni, suol che sanguina dei nostri eroi A Dio dinnanzi, e al popolo Ci sia solenne aitar. Non deporrem la spada schiavo un Dell'itala contrada Finché non sia l'Italia Finché sia : Una dall'Alpi al mar. angolo
  • 81. 67 — L'ULTIMA ORA DI VENEZIA ARNALDO FUSINATO DI era già ricaduta sotto il giogo straniero dopo la eroica rivoluzione del 48-49, la quale aveva rivelato il miracolo d'un popolo, creduto imbelle, che sapeva battersi e morire per la propria redenzione, ed una sola città continuava a lottare, senza speranza di vittoria, in un sublime accanimento, per il nome e per l'onore d'Italia. La difesa di Venezia, come già quella di Roma nella quale si erano manifestati il senno politico di Mazzini e il valore Tutta sfortunata indomito città gli di l'Italia ma ' Garibaldi, colpi di dopo San Marco, Italiani. il Arnaldo Fusinato, — mondo alla di ammirazione, e mesi diciotto vigilia fame di della resa la caduta della commosse resistenza, tutti Venezia (24 agodalle armi nemi- di che e che compose nell'Isola del Lazzaretto Vecchio dove si trovava di guarnigione questa bellissima, toccantissima poesia, che corse la Penicuori e accendendo nuovi sola intenerendo le anime, facendo dolorare propositi di riscossa per tempi non lontani e migliori. sto 1849) — vinta dalla piti dal colera i E' fosco l'aere. Il cielo è muto, Ed io sul tacito Veron seduto. In — morbo Il pan Il ci infuria, manca, Sul ponte sventola Bandiera bianca ! solitaria Malinconia Ti guardo e lagrimo, Venezia mia No, no non splendere Su guai. tanti Sole d'Italia, ! Fra i rotti nugoli Dell'occidente Il raggio perdesi Del sol morente, E mesto Per l'aria bruna Della laguna. Della città : dalla Qual novità? Venezia Ora ! è L'ultiina venuta gondola, — ; Ilustre martire, Tu sei perduta... Il morbo Il Passa una gondola Ehi, Spenta fortuna gemito il Si eterni sibila L'ultimo gemiro Della laguna. ~ Non splender mai E sulla veneta pan ti infuria, manca, Sul ponte sventola Bandiera bianca ! ;
  • 82. 68 Ma non Ed ignivome le — ora infrangaci Palle roventi, Qui sulla Né Finché è ancor libera. Questa mia cètra. A te, Venezia, L'ultimo canto, L'ultimo bacio, L'ultimo pianto i Su fulmini mille stridenti, t? Troncare ai liberi Tuoi dì lo stame... Viva Venezia ! Muori fame di 1 ! Ramingo ed esule Sulle tu3 pagin'2 ScolpÌ3ci, L'altrui E E — la grida storia. nequizie sua posteri : Tre volte infame Chi vuol Venszia Morta di fame ! Viva Venezia L'ira il risuscita Virtude antica Ma Ma E' ; il morbo infuria il pan manca.. le Sul ponte sventola Bandiera bianca ! Venezia, Nel mio pensiero; Vivrai nel tempio Qui del mio cor?. Come l'immagine Del primo amore. Ma Ma Ma I nemica La sua In suol straniero, Vivrai, gloria, ai pietra. vento sibila, l'onda è scura, tutta in la natura tenebre : Le corde stridono, La voce manca... Sul ponte sventola Bandiera bianca !
  • 83. — 69 — LA CARABINA DEL BERSAGLIERE CANTO Come DOMENICO CARBONE DI delusioni e gli insuccessi non avevano fatto disperare Mazzini e di Garibaldi, così il tradimento di Pio IX, la sconfitta di Novara, il trionfo finale dell'Austria e dei suoi tristi accoliti non valse a far perdere la speranza nel futuro ai patriotti del Piemonte. Oh tempra d'acciaio, oh fede invitta dei nostri padri! Domenico « Re Tentenna » il Carbone, colui che con una satira di grande linea aveva vivamente scosso, a detta del Predari, l'animo di Carlo Alpartigiani di una politica berto facendolo piegare più benigno verso canto tutto speranza, la « Carabina liberale e nazionale, scrisse un del Bersagliere », che ebbe gran parte nell'opera di resistenza morale e di preparazione iniziata dal Piemonte nel 1850. ossia la via di Trieste, nelle cui La via si calchi di Nabresina vicinanze sta il piccolo villaggio di Nabresina. seguaci le i di — — i : Mia carabina — mia fidanzata, Di tutto punto, tu se' parata; Dolce tripudio della mia mano. dell'occhio con cui ti spiano, Amor 10 t'ho giurato la fede mia Sui vasti campi di Lombardia Giorno noxzc di si ; ravvicina, Mia carabina. — Mia carabina mettiti a festa Nozze di sangue l'Adige appresta Ti sarà ; dote l'aurea Vinta nel fuoco della battaglia Altare, Letto, E un la ; medaglia ; preso d'assalto, pietra d'un arduo spalto; colle tu d'ogni arma sarai regina. Mia carabina. Mia carabina — quando tu La destra gota lieve mi Quel tocco è il bacio 11 bersagliere dalla scatti, batti ; che sua dama invoca e brama ; Solo col lampo che tu saetti. Morte nel core dell'Austro metti. Ma, quando tuoni, porti ruina. Mia carabina.
  • 84. — Mia carabina — 70 — s'appanna talor Il terso acciaro della tua canna E la Roma Ed ; bocca sussurra e noma Venezia e Roma. e Venezia rispondo Che più ti resta ? tua io Lupa, : ; : La via Leon li desta. calchi di Nabresina, scuoti ti si ; Mia carabina. — Mia carabina Spuntare i questi stranieri nostri pennacchi neri Dell'Alpi in vetta presto vedranno, E vanti in gola ricacceranno. i Fra le due schiatte pose natura Coteste rócche, coteste mura, A ripigliarle Dio destina, ti Mia carabina. Mia carabina — mai non dici Troppi nel campo sono nemici Chiedi sol quanti per opra mia tu : i ; Mordon la terra nell'agonia. E se ti metto la daga in testa, Sembri una sposa vestita a festa, E meni orrenda carneficina. ' Mia carabina. Mia carabina Il — nessun ci segua bersagliere passa e dilegua Corre Lo col vento, col tigre : ; balza credi a fronte, dietro t'incalza Qua si sparpaglia, là si ; : raduna, Pare e dispare la penna bruna con te sempre, con te cammina, ; Ma Mia carabina. — Mia carabina le Adriache prode, Ancor co' becchi l'aquila rode; Ond'è che a punta di baionetta Ti scrissi in calcio morte o vendetta guardo tanto mi regga straniero fuggire io vegga S'io cado, Che lo : ! il ; E anco sotterra siimi vicina. Mia carabina.
  • 85. 71 IL — BARCHETTO DEL' 49 ANTONIO PAVAN DI Antonio Pavan, morto commendatore e Conservatore delle Ipoteche riposo, era nel 1848 un giovane scrivano d'avvocato a Treviso. La riolu2Ìone uel 22 marzo lo improvvisò poeta. E poeta fu e popolarissimo a' suoi giorni. // barchello del '49 e lo Stornello si cantarono, nei sottovoce patriottici, su arie d'opere o di altre canzoni, particolarmente nelle famiglie degli emigrati veneti prima del '6tì. a Di notte una barchetta vien dal mare. A prora ha una bandiera tricolore, ferma contro riva ad aspettare. Si Ad I aspettar dei giovanetti fiore il : volontari della santa guerra, Pronti a morir per l'italiana terra. STORNELLO GARIBALDINO DI Il E ANTONIO CAVAN Fior d'amorino. conosce dal mattino, nasce l'onest'uom garibaldino giorno si