5. Inni di
Guerra e
Canti patriottici
del Popolo Italiano
Scelti e annotati
S'i'i
/ÌA'''
^
da Rinaldo Caddeo
d'Italia!
SII,
in
anni!
coraggio!
Rerchet.
Terza edizione
ccjrretta
ed aumentata
MILANO
CASA EDITRICE RISORGIMENTO
1915
7. PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
Questo volumetto, che
si
la
più
autorevole stampa
proponeva,
guerra che
morale
preparazione
alla
l'Italia
sta
combattendo per
zionali e per la giustizia internazionale.
memoria
grande
della
suoi
diritti
na-
Richiamando
alla
i
degli Italiani gli inni guerreschi dei loro Padri,
facendo risuonare nuovamente nelle masse popolari
dei canti
tornelli
ita-
chiamato aureo, ha veramente contribuito, come
liana ha
l'Autore forni
patriottici
quali
coi
fu
fatta
più rapidamente avevano intuito e affermata
la
ri-
Patria,
la
cosidetti interventisti, ossia a coloro
ai
i
che
necessità
imprescindibile della lotta contro l'Austria, un formidabile
mezzo
e di
di
propaganda
in
quegli angosciosi mesi di aprile
maggio, quando parve possibile l'estrema
viltà
del
neutralismo austro-tedesco che avrebbe fatto per sempre
dell'Italia
vassallo
un paese senza
spregevole
e
onore
venale
Nelle piazze e nelle strade dove
liberatrice
si
videro gruppi
di
e
senza
degli
si
inneggiava
frontiere
dove
di
i
nostri
iniziare
verso Fiume e
la
la
soldati
si
in
guerra
alla
mano;
un
centrali.
giovani e di vecchi
cedere cantando col libro del Caddeo
pazienza
potenza,
Imperi
pro-
e dalle
struggevano nell'im-
marcia verso Trieste e Trento,
Dalmazia, lettere vibranti
di
entusiasmo
8. —
e di
VI
—
riconoscenza giungevano a noi, espressione sincera
grande anima
della
italiana,
riboccante di
idealità
e fe-
dele alle generose tradizioni del nostro passato.
Pubblicando,
dopo
soli
due mesi dalla prima,
conda edizione riveduta, corretta
di
guerra
e
la
se-
aumentata, degli Inni
e
Canti patriottici del Popolo Italiano, noi for-
muliamo l'augurio che
fra
breve
i
nostri
vittoriosi
sol-
dati possano far risuonare nelle vie di Trieste e di Trento
le
strofe
sando
di
animose
vittoria
(ìiiigno,
al
in
canto delle
quali essi
stanno pas-
vittoria.
1915.
GLI EDITORI.
9. PRUA
Questo piccolo
il
giorno
in cui
la
gicventij nostra,
sul
spiriti
mentre
ardimentosi
momento dà
alla
avvicina rapidamente
avrà non più sem-
ci
ed è dedicato
attori,
quella che vigila con l'arma
a
mal tracciato confine ed
gravità del
si
guerra mondiale
ma
spettatori
plici
un contributo
vuol
libro
mobilitazione degli
EDIZIONE
essere
PREFAZIONE ALLA
alla
piede
al
quella che conscia della
a
tutta se stessa all'opera di prepa-
razione morale della Nazione.
Io credo
sia
fermamente che
ineluttabile.
e realtà,
venire,
Tutto
la
spinge
guerra contro l'Austria
alla
bisogno
di
:
sentimento
riunire alla Patria le terre che ane-
lano a ricongiungersi
ad essa e quello di assicurare
lavoro italiano una più vasta sfera
tico,
guerra
tradizione del passato e le necessità dell'av-
la
il
ci
di
attività
al
sull'Adria-
nell'Asia Minore, sul vasto Mediterraneo.
Non siamo
non
guerra,
rola dell'odio.
zione
di
noi
siamo
che abbiamo voluto e scatenato
t^pi
generosità ignota agli
dal
seminato
la
pa-
la
Vi è nell'anima italiana una gentile tradi-
rore delle battaglie, pur tra
niero,
abbiamo
che
cuore della
le
nostra
altri
popoli.
Pur
tra
il
fu-
sofferenze del giogo stra-
gente è
uscita
spesso
la
della
parola del perdono, della solidarietà internazionale,
10. —
Dopo aver predicato
più squisita umanità.
contro
—
vili
la
guerra santa
Goffredo Mameli esprimeva dalla sua
lo straniero,
anima purissima questo voto
:
Dimenticate
popoli
ì
L'ire d'un dì che
Sarà
terra
la
Come una
agli
gran
muore,
uomini
città
;
Libera, grande, unita,
Vivrà una nuova vita
La stanca umanità.
A
siamo
quest'ideale
Italiani
;
per esso molti,
devoti anche
stati
dei
e
troppo,
generosi
più
dei
avevano financo creduto possibile un'intesa con
una eterna alleanza con
Germania
la
stata l'Austria stessa a risvegliarci dal
a riaprire
in
di
di
noi, colpendoci
più caro e di più vitale noi avessimo.
La guerra
cipio
l'Austria,
ecco che è
sogno ingannatore,
vecchio conto che aveva con
il
quanto
Ma
!
noi
nostri,
mettendo l'Austria contro
d'oggi,
contro
nazionalità,
la
prin-
il
indipendenza dei piccoli
popoli, contro lo spirito democratico animatore della vita
italiana,
ci
sforza ad essere contro di
patrimonio ideale e materiale che
mento
di
ci
hanno
ingrandirlo
principii
e
fecondarlo
di
della civiltà
Come hanno
1797
in
difesa del
in
lasciato in eredità con T'espresso incarico
poi
in
armonia
sublimi
coi
umana.
potuto dimenticare a Vienna che l'Au-
stria in guerra, l'Italia
Dal
gli
lei,
uomini del Risorgi-
i
non può che essere contro
suoi nemici furono
sue sventure furono
le
nostre fortune.
i
nostri
Non
amici,
:
è
necessità di
le
è rettorica,
non è nemmeno sentimentalismo malsano che ce
considerare ancora nemica
lei?
di
tutte
la
le
fa
no-
stre aspirazioni ideali, di tutte le nostre tendenze di razza,
11. —
di civiltà, di
commerci,
IX
—
espansione nel mondo.
di
che l'Austria ha aperto con noi dal trattato
formio non è chiuso perchè l'Impero
di
'59,
la
per
saldarlo
si
nostra
tranquillità
la
Campo-
di
sempre
è rifiutato
sua
e
'49,
il
:
conto
Il
il
'66 sono operazioni di un affare che attende ancora
il
sua liquidazione
questione
finale.
Resta ancora da risolvere
nazionale del Trentino
la
questione militare
la
:
dell'Alto Adige che deve dare all'Italia la sicurezza del
confine nord;
la
mica insieme
del
del
Friuli
questione nazionale, militare ed econo-
possesso pieno ed
intiero
Fiume;
Orientale, dell'Istria con
marittima della Dalmazia che deve darci
una
rarci
sente
L'Italia
che
giunto,
che
il
momento
delle
!
La gran voce
coloro
ai
quali
assicu-
di
dell'Adriatico.
decisioni
forti
del passato che
verso l'avvenire possa risuonare
di
modo
dominio
il
questione
è
del nostro assetto orientale è suonata!
l'ora
Ora o mai più
sempre
per
volta
Trieste,
di
la
fondo
in
alla
ci
spinge
coscienza
Nazione guarda con speranzosa
la
tre-
pidazione.
Dopo
un'interruzione
di
alcuni decenni l'epopea nazio-
nale italiana sta per ricominciare
;
nemico è
il
da raggiungere sono ancora
ideali
lo stesso, gli
medesimi, confortati
i
da una più estesa comprensione dei bisogni materiali e
sociali della
Nazione, ed
popolo non sono,
non
si
muta
in
i
sentimenti che animano
nostro
il
fondo, mutati. L'orizzonte di un paese
nel giro di pochi lustri
;
i
motivi ideali della
nostra grande Rivoluzione nazionale sussisteranno fino a
quando
della
ci
tutti
gli
Italiani
Madre comune,
non saranno
fintanto che
il
rientrati
aggiriamo non sarà compiuto. Sfrondiamo
guerra ed
i
nel
sene
ciclo storico nel quale
gli
inni
di
canti patriottici del Risorgimento delle forme
12. .
--
che suonano arcaiche
-
-
orecchi
nostri
ai
come
freschi, vivaci, modernissimi,
e
troveremo
li
se fossero
pen
stati
sati oggi, interpreti fedeli dei nostri ideali politici.
popolo nostro ha incominciato a cantare nelle strade
11
e
case
nelle
inni
gli
e
canzoni
le
e
suoi
i
tempo
in
,
musicisti
gli
Napoleone,
di
poi
Italia;
il
che
nazionali
stesso esprimeva dal suo seno fecondo o che
preparavano a
esso
suoi poeti
i
incominciare
rigeneratore del sentimento
dai
patrii,
ha continuato a segnare ogni rivolgimento,
ogni insurrezione, ogni battaglia, ogni vittoria, ogni mar
sua causa con canti e con
tirio della
1831
inni
di
Nel 1821 e nei
inni.
guerra corsero da un capo
penisola mettendo
nelle
delle azioni generose e
vene degli
magnanime.
delki
all'altro
l'impazienza
Italiani
1848, l'anno
11
me
laviglioso del nostro riscatto, fece fiorire le più beile crea
musa popolare
zioni della
ingaggiata
lotta
sione lenta
nosa
ma
in
inni di guerra,
gli
cantate
tutta
Italia,
tra
le
canzoni
l'entusiasmo della
accompagnarono l'ascen
sicura della Nazione verso
popolo ancora oggi
il
;
;
quell'anno,
nate
popolari
ripete,
le
nezza trionfale che non cade per volger
vetta lum.
la
nella
11
vide una nuova primavera di canti patriottici che
lungo fino a tutto
il
—
era fatta
1860
:
poi, tranne
verso
altri
Ce
tinuato
se non compiuta
la
—
e
I85li
prc
per brevi momenti
i
nuovi bisogni mate
incanalaron,.
sfoghi le attività poetiche degli Italiani.
tuttavia qualche provincia,
a
si
sua ispirazione... L'italiu
Paese diventato grande Potenza
del
liali
1
il
popolo parve aver perduto
giovi
loro
anni.
di
cantare
italianità vi è
scia perenne,
patriotticamente
dove
il
popolo ha cou
perchè
la
lotta
pe.
rimasta un martirio delle anime, jun'angc
una
lotta formidabile,
spesso disperata, nell
13. —
—
XI
quale veniva giuocato tutto per
ledente,
Orientale, Trieste e
terre,
rimaste
e
dopo l'infausto
»
razza
alla
tentò
si
:
una razza straniera
da millenni,
terre
allo
italiane.
alla
scopo
solamente una difesa
come
i
Essi,
verso
lo
slavo invasore
si
canti degli irredenti
del
Risorgimento,
stesso ardore
alla
rina italiana
lottarono cantando
notato,
lingua
non
ai
ricordare
s/
e
E'
la
d'odio
prima volta che
vengono stampati accanto
quali
dei
in
hanno
lo
una unità ideale che
hanno
compito
il
si
a quelli
stesso palpito,
lo
lirico
i
al
1915
l'esercito e
si
la
ri-
ma-
di stabilire eterna.
raccomanda ma
inni e
eroica giovinezza ed
trimonio
perchè nella
così riuniti, questi inni di guerra e di fede
;
dotti
gli
del
nasconde potente e perseve-
Lavoro modestissimo, senza pretese
e
caratteri della
i
loro canti nazionali
i
che vanno dal principio del secolo XIX
compongono
Italiani
gli
fu
rante l'amore alla Patria Italiana.
i
cioè
stanzr.
na^
generosi,
attaccamento
ha
veramente una difesa
hanno un carattere speciale che va
di
vi
irredenti
dagli
prodi del Risorgimento, ed
espressione
regioni
sostituzione
la
zionale contro una invasione che aveva
barbarie medioevale.
favella
alla
non
fatta
politica, fu
conob-
persecu
la
ma
rendere stranieri
di
Queste
'66,
razza italiana che
La difesa
Friuli
il
disgraziate
nelle
ir-
di quella subita
conobbero
dalla Venezia,
una violenta trasformazione etnica,
m
Provincie
e la Dalmazia.
sentimento nazionale non solo,
al
italiana
di
le
:
oppressione più feroce
di
Lombardia e
;.ione
Fiume
l'Istria,
austriache
«
bero una forma
dalla
tutto
il
Trentino e l'Alto Adige, Gorizia e
il
ai
di sorta,
è
il
mio,
pochi che vogliono
canti concitativi della loro lontana
ai
molti che
un
così prezioso patri-
e patriottico non conoscono che male ed
14. —
minima
in
parte.
Ho compreso
tutte le poesie patriottiche
messe
in
nella
mia raccolta non
l'Italia
che
ha composto nella
ma
sua lunga ed aspra battaglia,
state
—
XII
solo
che sono
quelle
musica o comunque cantate nei giorni
Da queste
della preparazione e nei giorni della battaglia.
strofe
questi
ritmi
da
appassionate,
italiana.
altro
Al canto
Davanti
nostro
da
questi
inni
guerra
di
terra
la
dei
miracolo della propria resurrezione
gli stessi canti
terra dei vivi, se tutti
la
esser degni di
del
di
il
ne compirà con
ora che è
veementi,
ritornelli
animatori balza l'eroica e generosa anima
morti ha compiuto
un
questi
suoi
i
:
ora che è risorta,
figli
sapranno
lei.
nostro spirito
al
Risorgimento
e
si
apre
la
dell'opera
visione magnifica
che
compiremo.
L'aspra voce del cannone riempie del suo macabro boato
tutto l'orizzonte e copre di terrore
lontananza eccelsa
si
il
mondo,
ma
avvicina gradatamente a noi
divino dei nostri morti
;
le
loro voci
si
da una
il
coro
innalzano chiare
dicono ha
e forti nel cielo e ciò che esse
ci
di rincorarci, di farci sicuri delle
nostre sorti, di additarci
la via sicura
Le profezie
al
potertza
da seguire.
dei nostri martiri stanno per compiersi.
Dante non aspetta
fino
la
piìi
solamente a Trento,
ma
ci
chiama
Brennero, sulle Alpi Giulie che cingono Trieste
e Fiume, sulle Dinariche che difendono Zara...
Italiani, noi
siamo per vivere un meraviglioso momento.
Possiamo non viverlo invano per
le
fortune d'Italia!
Milano, Pasqua di Resurrezione, 1915.
RINALDO CADDEO.
15. «XX)(MMHXMMXMMMMXMMXM
L'INNO DELL'ALBERO
DELLA LIBERTA'
Marsigliese, la Carmagnola, il fa ira, importati
di Francia, l'inno dell'aurora del pensiero nazionale italiano. Gli inni francesi furono cantati intorno agli alberi della
libertà, eretti negli anni 1796-99 nelle piazze cittadine, prima nella loro
dizione originale, poi in curiose traduzioni e riduzioni. Il Qa ira itaKano,
per esempio, suonava così
insieme con
E',
la
dagli eserciti repubblicani
;
Ah, ga
Il
ga ira, ga ira.
patriottismo risponderà.
ira,
Senza temere né ferro né fuoco
Gl'Italiani sempre vinceran.
Ah, ga ira, ga ira, ga ira!
Non
patriotti sentirono il bisogno di un inno propr'o
tardò molto che
sorse dal seno del popolo Vlnno dell'Albero, cfie fece dimeninni francesi
gli
la sua musica
era solenne, piena di una religiosa dolcezza. Giuseppe Mazzini lo ebbe carissimo e a Londra, nei
lunghi anni d'esilio, amava canticchiarlo sovente, accompagnandosi con
la chitarra. Un altro Inno dell'Albero, detto della Repubblica Partenopea,
fu musicato dal Cimarosa su parole di Luigi Rossi
diceva
e
i
così
ticare
;
:
;
ormai
desia,
Italiani all'armi, all'armi
Altra sorte ormai non resta
Che di vincere, o morir.
Bella
Italia,
ti
:
Ecco
apiirito
dei
Vlnno dell'Albero
tempi e tradisce
Or
Libertà, che è tutto
sua origine giacobina.
della
la
informato
allo
ch'innalzato è l'albero
tiranni
S'abbassino
Dai suoi superbi scanni
i
Scenda
la
;
nobiltà.
Un
dolce
S'accenda
in
amor
Formiam comuni
Viva
la
di
patria
questi lidi;
libertà
!
i
gridi
'
;
16. — —
2
L'indegno aristocratico
Non
Se
osi alzar la testa
l'alza, allor
Tragica
si
:
la festa
farà.
Un
amor
dolce
S'accenda
Formiam comuni
Viva
la
libertà
Già reso uguale
Ma
È
patria
di
questi
in
lidi
gridi
i
;
;
!
e libero
suddito alla legge,
il
popolo che regge
Sovrano
:
ei sol sarà-
Un
dolce
amor
di
S'accenda in questi
Formiam comuni
Viva
la
libertà
patria
lidi
gridi
i
;
;
!
Sul torbido Danubio
Penda
l'austriaca spada
Nell'Itala contrada
Mai
:
•
più lampeggerà.
Un
dolce
S'accenda
in
amor
Formiam comuni
Viva
la
di
patria
questi lidi;
libertà
!
i
gridi
;
17. —3—
"-PARTIRÒ' PARTIRÒ '...,,
CANTO POPOLA RE
E uno
rimonta
dei
a più di
più
antichi
un secolo
canti
fa,
al
popolari
tempo
e
italiani
come
il
precedente
delle guerre napoleoniche,
quando
nostra gioventù, disusata al mestiere delle armi da una secolare tradizione di mollezza, di vigliaccheria e di servaggio, fu restituita dal Capitano corso alla virtù militare, rigeneratrice dei costumi e madre di
libertà. Vi è in queste strofe un accento di sconforto e di amarezza
caratteristico
si sente il dolore del distacco dal
paese adorato, dalla
famiglia mai prima di allora abbandonata, distacco non confortato da
la
:
un'idea superiore che potesse fare accettare di buon animo il sacrifizio,
né dal miraggio di una patria grande, forte e libera. Militando con Napoleone, all'ombra della bandiera tricolore (verde, bianco, rosso) che
il
gran condottiero aveva già trovata adottata dai patriotti al suo ingresso in Milano nel 1796, i soldati italiani compirono prodigi di valore, entrarono due volte trionfalmente in Vienna, si coprirono di gloria
in Spagna e Russia, acquistarono la coscienza del proprio valore. Partiti
con rammarico per le guerre napoleoniche, tornati tristemente in
patria dopo la caduta del gigante, furono
veterani di Napoleone che
conservarono gelosamente il culto della tricolore bandiera e la innalzarono nei movimenti del 1821 e del 1831 segnacolo di rigenerazione
nazionale. E noto che gli ufficiali e
soldati italiani di Napoleone appartennero a centinaia alla Carboneria e alle altre società segrete politiche e furono sempre tra
più fedeli e ardenti seguaci delle idee di
indipendenza e di libertà dell'Italia. Questa canzone fu popolarissima
e venne ripetuta con lievi varianti anche nelle guerre del 1848, del
1849 e del 1859.
i
i
i
Partirò, partirò, partir bisogna
Dove comanderà
Chi prenderà
'1
nostro sovrano
;
Bologna,
E chi anderà a Parigi e chi a Milano.
la
strada
di
Ah, che partenza amara,
Gigina cara, mi convien fare.
Vado
alla guerra,
spero
di tornare.
Se il nostro Imperator ce lo comanda,
Ci batteremo e finirem la vita
Al rullo de' tamburi, a sunn di banda
;
Farem
dal
Ah che
mondo
l'ultima partita.
partenza amara,
Gigia mia cara, Gigia mia bella
Di
me
;
più non avrai forse novella.
18. —
BELLA
4
ITALIA,
AM ATE SPONDE „
ODE
DI
VINCENZO MONTI
Quest'ode famosa del Monti (nato in Alfonsine di Romagna il
febbraio 1754, morto in Milano il 13 ottobre 1828) in onore del
generale Desaix fu scritta nel 1801, quando il poeta potè tornare
in
Italia dall'esilio di Parigi dopo la vittoria francese di Marengo. Si
compone di 23 strofe, le prime delle quali divennero popolarissime
nel
periodo del Risorgimento, e furono cantate specialmente fra gli
19
esuli.
Bella
Pur
vi
amate
Italia,
sponde,
torno a riveder
!
Trema
in petto e si confonde
L'alma oppressa dal piacer.
Tua
bellezza,
che
di
pianti
Fonte amara ognor ti fu,
Di stranieri e crudi amanti
T'avea posta in servitù.
Ma
bugiarda
La speranza
Il
giardino
e
fìa
di
malsicura
de' re
natura
No, pei barbari non
è.
:
19. —5—
SORGI CHE TARDI ANCORA?,,
I
INNO
GABRIELE ROSSETTI
DI
Gabriele Rossetti (nato a Vasto il 28 febbraio 1783, morto a Londra il 26 aprile 1854) fu il poeta della prima rivoluzione napoletana,
quella del luglio 1820, che mosse la rivoluzione siciliana dello stesso
anno e quella piemontese del 1821. Il Rossetti salutò la Costituzione
promessa dal re Ferdinando 1 e sciolse poi un inno alla Costituzione
giurata « splendido d'imagini antiche » come lo chiamò il Carducci, e
che costò al Poeta 30 anni di esilio e la morte in terra straniera.
E quello che incomincia cosi
:
Sei pur
Che
bella
scintillali
E pur
dolce
cogli astri
sul
crine,
guai vivi zaffiri;
quel flato che spiri.
Porporina foriera del di.
Col sorriso del pago desio
Tu ci annunzi dal balzo vicino
Che
Il
Ma
d'Italia
giardino
nell'almo
per sempre
serraggio
finì.
Napoli, dopo
congressi di Troppavia (ottobre
1820) e di Lubiana (gennaio 1821) divenne spergiuro e con l'aiuto delle
soldatesche austriache mosse a soffocare la Costituzione. Fu allora che
il
Rossetti lanciò quest'inno di guerra, nell'illusione che le truppe cogenerali Pepe e Carascosa riuscissero a
stituzionali comandate
dai
sconfìggere lo straniero e a tener lontano dal regno di Napoli il desposta fedifrago.
il
tiranno
di
i
Che
Tu dormi,
Sorgi
!
ancora ?
tardi
Italia? Ali no!
Di libertà l'aurora
Sui colli tuoi
Sorgi
;
e'
raffrena
spuntò.
corso
il
D'esercito invasor,
Che
porta
i
segni
Del gallico valor
al
dorso
!
Ah, su quel dorso indegno.
Curvato a servitiì
Imprima un qualche segno
Pur l'itala virtij
!
20. E
soffrirai che armati
Rechin più ceppi a te
Que'
sudditi scettrati
Che
Come
ti
miravi
il
valor degli avi
al
pie?
Poni in oblio così ?
O schiava de' tuoi schiavi,
Fosti regina un di.
Snuda Tacciar da
Ricingi l'elmo
Sorgi
tra
:
Qui pende
forte,
il
crin,
al
vita e
morte
tuo destin
!
Aperta è già la strada
Al nuovo tuo valor
Se impugnerai la spada,
:
Sarai regina ancor.
È giunto
il
D'uscir
tempo omai
di
servitù,
E se sfuggir tei
Non tornerà mai
fai
più.
21. ALL'ARMI! ALL'ARM I!
DI
GIOVANNI BERCHET
Giovanni Berchet (nato a Milano il 23 dicembre 1783, morto a
Torino il 23 dicembre 1852), esule e poeta, compose fuori d'Italia le
sue poesie patriottiche più ardenti e più belle. Il Romito del Cenisio
ed il Rimorso giunsero in patria come pericoloso contrabbando al quale
la
polizia
austriaca diede una caccia spietata... quando già esso si
era sparso dappertutto. 11 Berchet seguiva dall'esilio con la massima
attenzione lo svolgersi e l'affermarsi dell'idea nazionale che
processi
e le condanne piemontesi ed austriache fomentavano, e quando, dopo
la
morte di Leone XII, negli Stati del Papa nacquero moti parziali
contro il Governo, egli scrisse quest'inno guerresco, che fu cantato
dai patriotti per un lungo periodo di tempo.
i
Su,
figli
su, in armi!
d'Italia!
coraggio!
Il
suolo qui è nostro
Il
turpe mercato finisce pei re.
Un
In
del nostro retaggio
;
popol diviso per sette destini.
spezzato da sette confini,
fonde in un solo, più servo non
è.
Venuto
è
sette
Si
Su,
Italia
su,
!
armi
in
Dei re congiurati
la
!
tresca
finì
il
tuo
dì
!
il
tuo
dì
!
!
Dall'Alpi allo Stretto fratelli slam tutti!
Su
i
limiti schiusi,
su
i
troni distrutti
Il
verde,
la
comuni tre nostri color
speme tant'anni pasciuta
Il
rosso,
la
gioia d'averla
Il
bianco,
Piantiamo
Su,
i
!
la
Italia
!
su,
in
Dei re congiurati
Gli orgogli minuti via
La gloria è de'
Dall'Alpi
Deposte
Confusi
allo
:
compiuta;
fede fraterna d'amor.
armi
la
!
Venuto
tresca
finì
è
!
tutti all'oblio!
forti.
Stretto,
—
Su, forti, per Dio,
da questo a quel mar'
gare d'un secol disfatto.
un nome, legati a un sol patto.
Sommessi a noi soli giuriam di restar.
Su,
le
in
Italia
!
su.
in
Dei re congiurati
armi
la
!
Venuto
tresca
finì
!
è
il
tuo
dì
!
22. —8—
Su,
novella
Italia
Mal abbia
!
su,
libera ed
una
!
chi a vasta, secura fortuna
L'angustia prepone d'anguste città!
d'un solo stendardo!
Mal abbia il codardo,
L'inetto che sogna parzial libertà
Sien tutte
Su,
fide
le
da tutte
tutti
!
!
Su,
Italia
!
su,
in
Dei re congiurati
armi
la
!
Venuto
tresca
finì
Voi chiusi ne' borghi, voi sparsi alla
Udite le trombe, sentite la squilla
Che
all'armi vi
Fratelli,
chiama
a' fratelli
Gridate
al
L'Italia
è
dal
è
tuo
il
!
vostro
villa,
Comun
correte in aiuto!
tedesco che guarda sparuto
concorde; non serve a nessun.
:
!
dì
!
23. —9—
UNITA E LIBERTA
INNO DI GABRIELE ROSSETTI
'48
Nel
l'inno
del
e
'49
Rossetti
moltissimo
cantato
fu
composto
fin
—
con
e
grande
entusiasmo
1830. Fu carissimo a Garibaldi.
diceva l'Eroe (ricordo di A. G. Bar-
dal
Ecco una bella e forte musica
quantunque in parte ricavata da un'opera giocosa (musica del
Rossini del Barbiere)
ed è veramente dispiacevole che nessuno dei
nostri giovanotti l'abbia cantata più nelle marce e negli accampamenti.
Con quest'inno dei miei legionari di Roma mi avete ringiovanito di
«
rili),
;
dodici
anni. »
Minaccioso l'arcangiol di guerra
Già passeggia per l'itala terra
Lo precede la bellica tromba
Che dal sonno l'Italia svegliò
L'App;nnino per lungo rimbomba
:
:
E
dal Liri va l'eco sul Po.
Tutta
l'Italia
pare
Rimescolato mare
E voce va tonando
Per campi e per città
Giuriam giuriam sul
O morte o libertà
:
:
—
I
brando
—
La Trinacria che all'ire s"è desta
Mise grido di rauca tempesta
Le tre punte del Delta fèr eco,
Per tre valli quell'eco muggì
Tonò l'Etna dal concavo speco,
:
;
Latrò Scilla, Cariddi ruggì.
—
All'arme! all'arme!
Che va
E l'eco
di
—
è
il
lido;
lido in
replicando
Di lido in lido va
Giuriam giuriam sul brando
:
—
O
morte o
libertà
!
—
grido
24. —
—
IO
dall'Alpe che serra Lamagna,
Sull'immensa lombarda campagna
Qua
Simil grido que' detti
ripete,
Simil eco quell'ire destò
O
:
sorgete sorgete!
fratelli,
Del riscatto già l'ora suonò!
il centro ed ambo
Brulicheran d'armati,
Se
lati
i
Chi affronterà pugnando
unità?
L'italica
— Giuriam giuriam
morte o
Ma
qual plauso
libertà
brando
sul
—
!
leva dal centro
si
Oh, qual plauso
!
Né
!
resta là dentro
:
Come
tuono cui tuono rincalza
O balen cui succede balen,
Dai due lati nel centro rimbalza
E
dal centro sui lati rivien.
plauso che più cresce
Questa canzon si mesce,
Al
petti
1
Di
infervorando
patria
carità
:
— Giuriam giuriam sul brando
—
O morte o
libertà
—
—
!
Siam fratelli
nel centro risuona,
Siam fratelli
nei lati rituona
—
E
già
questi
Dai tre
—
E
Iati
Siam
i
—
godendo
fratelli,
ridir
fratelli,
:
fratelli,
confini per tutto sparir
Ardir,
Il
;
s'abbraccian con quelli,
fratelli!
E'
sospirato punto
!
—
giunto
:
Di
—
quando
nuovo ei tornerà?
Giuriam giuriam sul brando
O
morte o
S'ei passa, ahi, chi sa
libertà
!
—
25. —
—
11
Questo fuoco che all'alme s'apprende
E
invade. 1« scuote, le accende,
le
Questo fuoco,
Che
sveli
vi
fratelli,
tempra non
terrestre di
è
Ah, discese dall'ara de' cieli
La scintilla che incendio si
Da
fé
!
quell'altar discese
Che infiamma
E
;
a sante
imprese,
infervorando
Tutti esclamar ci fa
cuori
i
:
— Giuriam
O
Sette
giuriam sul brando
libertà
morte o
Siri «i
coiman
!
—
mali
di
Pari
ai
sette peccati mortali
Pari
ai
capi
Cui d'Alcide
mietè.
clava
la
;
lernea
dell'idra
Tristi capi d'un 'idra pili rea.
Nuovo Alcide
Quanti
Tanti
la
lontano non
patria ha
saran
gli
è
!
fidi
Alcidi
;
Deh, un giorno memorando
Cangi una lunga età
Giuriam giuriam sul brando
O morte o libertà
!
•
—
!
—
Ci divise perfìdia e sciagura,
Ma congiunti ci volle natura
Alma diva, cui l'Alpe corona
Fra gli amplessi di duplice mar,
Se una lingua sul labbro ti suona
;
Un
sol culto
Chi
ti
sacri l'aitar!
in sette
Tradì l'idea
E
Il
—
O
ti
di
partìo
Dio,
mostro abbominando
fio ne pagherà
Giuriam giuriam sul brando
morte o libertà
il
:
!
—
26. —
Mascherata
De'
chercuta
malizia
divisa,
T'iia
tuoi
—
12
venduta;
crudo governo
tradita,
figli
fé'
Quell'avara
malizia
crudel
Turpe
sbucata
d'inferno,
Che
si
furia
;
disse discesa dal ciel.
S'ella
mantenne
vita
in
Quell'idra imbaldanzita,
E l'una e
Da questo
l'altra
in
bando
—
n'andrà
Giuriam giuriam sul brando
O
morte o
suol
libertà
:
!
—
Cada cada l'antica potenza
Ch'è de' mali feconda semenza;
E la legge del Verbo di Dio,
Ch'ella appanna di nebbia d'error,
Radiante del lume natio
Rimariti
la
mente
col cor.
Finché quel servo culto,
Ch'all'uom, ch'a Dio fa insulto,
Dal sozzo aitar nefando
A
terra
non cadrà
— Giuriam giuriam
O
morte o
libertà
Divo fonte del culto
!
:
brando
sul
—
bello
piia
Che quell'empia converte in flagello,
Tu che inspiri sì nobile impresa,
Scudo e spada d'Italia
Saldo scudo di giusta
tu,
sii
difesa.
Forte spada di patria virtù
!
Mira una madre oppressa,
Ve'
figli intorno ad essa
Che fremono gridando
Di sdegno e di pietà
Giuriam giuriam sul brando
O morte o libertà
i
—
:
!
—
27. —
—
13
ALL'ARMI!
GABRIELE ROSSETTI
DI
Il
1831, che vide Modena insorta, e lo Stato del Papa quasi interamente guadagnato alla causa della rivoluzione nazionale affermatasi
il
26 febbraio a Bologna nell'assemblea dei deputati delle città libere
d'Italia dalla
quale usciva il decreto che statuiva la decadenza del
potere temporale, inspirò la musa patriottica di Gabriele Rossetti. Il
suo canto L'anno 1831 è uno dei piij belli che vanti la letteratura
'taliana del secolo XIX. Incomincia coi versi
:
brandisci la lancia di guerra.
Squassa in fronte quell'elmo piumato.
Scendi in campo, ministro del fato!
Oh, quai cose s'aspettan da te!
Su,
Non ebbe però
blica,
e
guerra
popolare.
di
il
la
diffusione dell'inno All'Armi! che qui si pubquale, distribuito clandestinamente, fu cantato come inno
per tutto il 1831 e fu anche negli anni appresso molto
all'armi,
Fratelli,
La
patria
Con
all'armi
chiamò
fra voi
!
:
carmi
eccitanti
gli
Anch'io
ci
verrò.
Nutrito dalle brine
Del bellico sudor,
si rinverde al crine
Mi
L'inaridito allòr.
Andiam, che Daci e Goti
Farem caderci al pie
!
No,
fra
Dubbio
Che
fia
Spartani e
il
Iloti
trofeo non è.
quel reo drappello
Ch'or v'osa cimentar?
Fia gregge che '1 macello
Sen viene ad incontrar.
Gelido
fia
qual ghiaccio
In faccia al nostro ardor
Che non ha
Se non
gli
forza
il
;
braccio
vien dal cor.
28. ,
—
Pei
figli
—
14
della gloria
Nemici a servitù,
La pugna e la vittoria
Diversa mai non fu.
Dei nostri brandi
È
lampo
al
L'Europa arriderà
La via che mena
:
campo
al
via d'eternità.
E' bella ancor la morte
Sul letto dell'onor
:
Chi sa cader da
È
E
forte
;
pari al vincitor
s'ei
rimane oppresso
Campion
di
libertà,
Del vincitore istesso
Più grande allor si fa.
Quel servo gregge indegno
A che fra noi piombò?
Sappiam con qual disegno
I
boschi suoi lasciò.
Ah, che l'udir già parmi
Tra l'Unno ed il Teuton,
Commisto al suon dell'armi
Delle catene il suon
!
Trema,
servii coorte
Che
vendi
il
sangue
Le stesse tue
T'allacceremo
ai
re
ritorte
pie.
al
La mèsse che fiorita
I
campi ingombrerà.
Del sangue tuo nutrita
Più grata a noi sarà.
Trema
!
L'Italia intera
Alto giurar s'udì
Di tirannia straniera
—
:
.Questo è l'estremo
dì.
—
29. 15
FUORI
BARBARO!
IL
CANZONE POPOLARE
DI
GUERRA
AGOSTINO RUFFINI
DI
Di Jacopo, Giovanni e Agostino Ruttìni, Giuseppe Mazzini, scrisse
ed
« L'amicizia
queste parole
che io strinsi coi giovani Ruffini
mi riconciliò alla
era per essi e per la santa madre loro un amore
vita e concesse sfogo alle ardenti passioni che ini fermentavano dentro.
Parlando con essi di lettere, di risorgimento italiano, di questioni filosofico-religiose, di piccole associazioni che erano preludi alla grande
da fondarsi per av«re di contrabbando libri e giornali vietati, l'anima
rassicurava
intravedeva possibile, comecché su piccola scala, l'asi
18.^0 quando scoppiò l'insurrezione francese)
zione... Ci demmo (nel
a fondere palle e a prepararci per un conflitto che salutavamo inevitabile e decisivo... ». E' di quel tempo la canzone popolare di guerra
di Agostino Ruffini. allora studente di giurisprudenza nell'Università di
:
—
—
;
Genova. La canzone ebbe diffusione limitata tra gli studenti
non fu
mai l'iubblicata e vide la luce soltanto nel 189.^, nell'ottimo libro del
prof. Carlo Cagnacci sui fratelli Ruffini e Mazzini, ma la riproduciamo
qui come un modello di poesia patriottica.
;
Ogni prode al suo manipolo.
Ogni schioppo alla sua spalla,
Su mostriamo ai duri austriaci
Se alla prova il cor ci falla
nostri carmi,
Suonin guerra
Sia di guerra ogni pensier
;
i
:
Italiani,
all'armi
Guerra eterna
all'armi.
allo
stranier.
nostro sangue,
Han succhiato
Han beffata la sventura,
Hanno fatta dell'Italia
Una vasta sepoltura
il
;
Su
Su
alla razza maledetta,
ai
feroci
Italiani,
alla
masnadier,
vendetta,
Guerra eterna
allo
stranier.
30. —
16
ma siam
Siamo pochi,
Ma
E'
—
liberi
Signor propizia
il
devota
ali
La masnada
Come
i
bravi
;
'esterminio
degli
schiavi,
che Barbarossa
Pianser morto i suoi scudier,
ai
dì
avanti
Italiani,
avanti,
Guerra eterna
allo
stranier.
Ora e sempre guerra ai barbari.
Ora e sempre ovunque guerra
Finché un sol di loro annebbia
:
Il
seren
Sian
di
Sia di
di
nostra terra,
guerra i nostri canti,
guerra ogni pensier,
Italiani,
Guerra eterna
Al
Signor,
,
avanti avanti.
pe'
allo
nostri
stranier.
martiri.
Per la vita, per la morte,
Far giurammo Italia libera
Una, egual, potente e forte
Or giuriam dell'armi al lampo
Sciorre il voto oppur cader.
Italiani, al campo al campo,
:
Guerra eterna
allo
stranier.
Splenda Rosso, Verde e Candido
Sulle schiere lo stendardo,
Orifiamma
dell'Italia...
Sovra lui figgete il guardo
Del riscatto e della gloria
:
Ei vi guidi sul sentier...
Italiani,
alla
vittoria...
Guerra eterna
allo stranier
!
31. 17
FRATEL LI, S ORGET E!
CORO
DI
GIUSEPPE GIUSTI
Le strafai di Modena (2t) maggio 1831) ordinate dal Duca Francesco IV, nelle quali perirono Ciro Menotti e Giuseppe Borelli, ebbero
in tutta Italia una eco di terrore e di dolore. Il crudele tiranno di Modena divenne oggetto di universale esecrazione. Due anni dopo, si
sparse la voce in Toscana che Francesco IV, giovandosi dell'assenza
del granduca Leopoldo andato a Napoli a prender moglie, capitasse a
Firenze in incognito. « Non era vero (scrisse Ferdinando Martini a
pag. 10.3 di Simpatie), ma la voce sola bastò perchè, a detta della polizia medesima,
buoni sudditi toscani si amareggiassero, riguardando
quella comparsa
clandestina di forieri eventi. Gli studenti
non si
amareggiarono soltanto, parlarono e sparlarono, scrissero col carbone
S'.'i
muri tutti gli improperi che il Duca si meritava; le stanze dell'Ussero echeggiarono di invettive, le strade di canti patriottici... ». Fu in
quell'occasione, nel 1833, che Giuseppe Giusti (nato a Monsummano
il
12 maggio 1809, morto a Firenze il 31 marzo 1850), allora studente
a Pisa scrisse questo coro che a detta del suo condiscepolo Frassi, gli
studenti cantarono poi «tutti insieme palpitando e fremendo» (Vita di
G. Giusti, cap. 4"). Il coro fu pubblicato per la prima volta da Giosuè
Carducci nell'edizione delle poesie del Giusti fatta dal Barbèra nel 18.=^9.
i
Fratelli,
sorgete,
La patria vi chiama
Snudate la larr.a
;
Del libero acciar.
Sussurran vendetta
Menotti e Borelli
Sorgete,
La
;
fratelli.
patria a salvar.
Dell'itala
tromba
Rintroni lo squillo,
S'innalzi
Si
Ai
tocchi
forti
un
vessillo,
l'aitar.
l'alloro,
Infamia agli imbelli
Sorgete, fratelli,
La
patria
a
salvar.
:
32. 18
VIVA
DI
IL
R E!
GIOVANNI PRATI
Quiest'inno-marcia fu scritto dal Poeta trentino nel 1843 dietro ordine
Carlo Alberto per una fanfara militare e cantato dai soldati piemontesi che lo ebbero caro per molto tempo. Giovanni Prati, nato a
Dasindo il 27 gennaio 1815, morto a Roma ti 4 maggio 1884, ebbe anni
di
di
invidiabile
empito
lirico
popolarità. Egli seppe esprimere con facile e brillante
l'onda di sentimenti patriottici che animava i suoi contem-
poranei.
il Re
Tra' suoi gagliardi,
Benedetto, ei muove il pie
Viva
!
:
Vivan sempre
Dell'Italia, e
Se
il
gli
stendardi
nostro Re!
i
nemici avremo a fronte,
Saran presti e braccio e cor,
E
ogni zolla del Piemonte
Stillerà del
sangue
lor.
Rotti e pesti elmetti e maglie,
Ma
inoffeso
il
forte acciar,
Tornerem dalle battaglie
Nuovi tempi a cominciar.
Fremeran d'allegri suoni
Le borgate e le città,
E
di libere
Tutta
Italia
canzoni
echeggerà
!
siam d'un sol paese,
Solo un sangue in noi traspar
A ogni tromba piemontese
Tutti
Mandi un eco
e l'alpe e
il
mar.
il
Re! Tra' suoi gagliardi.
Benedetto, ei muove il pie
Viva
:
Vivan sempre
gli
Di Savoia, e
nostro Re.
il
stendardi
;
33. —
19
CHI PER LA PA TRIA MUOR
VISSUTO É ASSAI „
sentimento patrio fu espresso dagli Italiani non solamente con
canti ma anche coi cori, le romanze e le cabalette delle
ed
opere teatrali più diffuse. Tutti sanno qual significato abbia dato il
popolo ad espressioni ed armonie del Nabucco e dei Lombardi di
Verdi e con quale tenerezza commossa sia stato cantato
Il
gli
inni
i
Va, o pensiero, sull'ali dorate...
e
O
Signor che dal
tetto
natio...
Bandiera ed
loro compagni Niccolò Ricciotti, Domenico
Anacarsi Nardi, Francesco Berti, Domenico Lupatelli nel recarsi
versi
alla morte (avvenuta presso Cosenza il 25 luglio 1844) cantarono
della Donna Caritea del Mercadante
espressione di maraviglioso .'Stoicarnefici e valse ancor più ad accendere nel
cismo che impressionò
cuore degli Italiani gli ardori del sacrifizio per la grande e santa Patria
nostra.
prima volt»
La Donna Caritea era stata rappresentata la
nel 1828. Non Chi per la Patria munr era scritto, ma Chi per la gloria
muor ; non Sotto
tiranni, ma Per lunghi affanni.
liberali avevano
cambiato
due versi che così divennero popolari. Il coro è del primo
atto, cantato da «guastatori e soldati portoghesi». Anni dopo uno dei
condannati di Belfiore, Angelo Scarsellini, cantava in attesa del carnefice,
Fratelli
1
i
Aoro,
i
;
i
i
I
i
il
7
dicembre 1852, Tarla del Marin Faliero
Il
palco è a noi trionfo
Ove ascendiam
Ma
:
ridenti
sangue dei valenti
Perduto non sarà.
il
Arreni seguaci a noi
Più fortunati eroi;
Ma s'anche avverso ed empio
Il
fato lor sarà,
Avran da noi l'esempio
Come
a morir si va!
Aspra del militar
Benché la
Al lampo
vita,
dell'acciar
Gioia c'invita.
34. —
20
—
Chi per la Patria
Vissuto è assai
muor
;
La
foglia dell'allor
Non langue
mai.
Piuttosto che languir
Sotto
i
tiranni
E' meglio
Sul
fior
di
degli
morir
anni.
35. —
21
INNO
DI PIO IX
MEUCCI
DI FILIPPO
XVI, il nuovo Papa Pio IX (cardinale Giovanni
nato a Sinigaglia il 13 marzo 1792, morto a Roma
il
7
febbraio 1878) parve realizzare il sogno giobertiano di un capo
della cristianità
riformatore e amico dell'Italia.
L'amnistia ai condannati politici da lui concessa il Kì luglio 1846 destò un vero entusiasmo e in tutta la penisola poeti noti e non noti cantarono il PonicKce liberale e italofilo. Il poeta Sterbini gridava all'Italia
Morto Gregorio
Mastai
Ferretti,
:
Eri seduta
Madre
levati
:
di
eroi
tanti
:
Oggi t'innalza un cantico
L'amor dei figli tuoi.
E Gaetano Bonetti
:
unanimi
Pregar tue genti, o Più;
perdono,
Pace,
Tu rispondesti al fervido
Universal desio,
E già si vide splendere
Tua prima legge, amor.
Un
Diceva
musicato
inno
Gioacchino
da
Rossini
Su
letizia
fratelli,
tutta
l'Italia.
canti
si
magnanimo core di
Che alla santa favilla
Al
Pio,
di Dio
S'infiammò del più dolce pensier.
Un
lucci,
per
corse
:
diventato
inno,
altro
diceva
popolarissimo,
presto
v.
del
maestro
Nata-
:
Come
Agli
E
un'iri
di
sommo
gioia,
Ogni core
l'almo
Iddio
Te mostrò,
afflitti
Pio,
palpitò.
Fu, in tutta la penisola, un delirio patriottico, e il Papa divenne
presto l'idolo nazionale. L'Austria non tardò a capire la causa dell'idolatria degli italiani per Pio IX ed a proibire inni e canzoni. Francesco dall'Ongaro, in uno dei suoi stornelli diventati famosi, spiegava
che
cos'era
Pio
IX
Pio
Un
per
Nono
idolo
gli
italiani
:
è figlio del nostro cervello,
del cuore, un sogno d'oro...
36. —
Chi grida per
Vuol dir
La
patria
Che per
:
—
Pio nono! »
il perdono. i>
perdon vogliono dire
deve morire.
si
le
«
Viva
ed
il
l'Italia
22
vie
la
:
« Vii'a
patria ed
L'Inno di Pio IX fu scritto al principio del 1847 da Filippo Meucci,
romano, e musicato dal maestro Magazzari. La musica « aveva un andamento solenne, quasi trionfale, e come certi sussulti di gioia... »
(D'Ancona).
Del nuov'anno già l'alba primiera
Quirino la stirpe ridesta,
E l'invita alla santa bandiera
Di
Che
il
Vicario di Cristo innalzò.
Esultate, fratelli, accorrete,
Nuova
gioia a noi tutti si appresta
All'eterno preghiere porgete
Per quel grande che pace donò.
Su rompete
le
vane dimore,
Tutti al trono accorrete di Pio
:
Di ciascuno egli regna nel cuore,
Ei d'amore lo scettro impugnò.
Benedetto chi mai non dispera
suprema di Dio;
Benedetta la santa bandiera
Nell'alta
Che
il
Vicario di Cristo innalzò.
;
37. 23
—
A PIO
IX
CORO POPOLARE
Dopo
gli
inni di gioia nacquero gli inni di guerra, nei quali si
palesemente della riscossa nazionale e della cacciata degli Auseguente coro popolare fu cantato la prima volta in Pisa
sera del ItJ giugno 1847 e ripetuto comunemente in Toscana e nel
parlava
striaci.
la
Il
Lazio per tutto quell'anno
Su,
fratelli
Or ne
!
attribuito
fu
:
Uom
D'un
la
E'
E'
Guerrazzi,
parola
stringe in santissimo patto.
Essa è verbo che chiama
Dell'Italia le cento città.
Il
al
che
parola
Leone
in
fa
d'Italia
al
riscatto
Campidoglio
ruggir-
di Pio la gran voce, che al sonno
Nostra madre, l'Italia, ha strappato
Di tre gemme il triregno ha fregiato,
Tre colori di sua libertà.
;
E'
II
O
che
parola
Leone
fa
d'Italia
in
Campidoglio
ruggir-
Profeta d'un'èra novella,
A un
tuo cenno slam venti milioni
Aspettiam
:
che doni
Alla patria uguaglianza e unità.
E'
Il
Non più
Tu ci
scintilla
la
parola che
Leone
schiavi
rendi
fa
d'Italia
al
la
in
Campidoglio
ruggir-
tedesco aborrito,
gloria
primiera
:
Sia la croce la nostra bandiera,
L'evangel nostra carta sarà.
E'
II
parola
Leone
che
fa
d'Italia
in
Campidoglio
ruggir-
ma
pare a torto.
38. —
Viva
—
La santa crociata
nuovo Alessandro, e rimira
Italia
Grida,
24
!
Cento popoli oppressi nell'ira,
Come un uomo, levarsi con te.
E'
Il
Viva
parola che
Leone
Italia
D'una
!
O
patria
fa in
Campidoglio
ruggir-
d'Italia
di Dio
ne guida all'acquisto
ministro
:
Poi rinnova l'esempio di Cristo
Che redense
e
non
volle esser Re.
E' parola che fa in Campidoglio
U Leone
d'Italia
ruggir.
39. —
25
INNO NAZIONALE
LEOPOLDO CEMPINI (7)
DI
Fu popolarissimo, quest'inno, per molti anni. Nato, a quanto si
crede, a Pisa tra la patriottica scolaresca di quell'illustre Ateneo, (lo
Sforza ne fa autore il Bosi, il D'Ancona ritiene che venisse da Roma)
ebbe il battesimo della popolarità a Firenze quando Leopoldo II firmò il
motu-proprio che istituiva la Guardia Civica. Davanti alla residenza
del Granduca vi fu una dimostrazione che innumerevoli testimonianze
affermano grandiosa e indimenticabile. Il Bandi nei Mille ricorda che
nel
1860 l'esaltante armonia di quest'inno trascinava all'attacco gli
eroici volontari che lo cantavano alternandolo con gli altri inni più in
voga
:
la
Bella Gigogin,
O
ì
Vlnno
Fratelli d' Italia e
di Garibaldi.
giovani ardenti
D'italico
amore,
Serbate il valore
Pel dì del pugnar.
Evviva l'Italia,
Evviva Pio Nono
Evviva l'unione
E
libertà
la
;
!
Per ora restiamo
Sommessi
Vedranno
Che
vili
e prudenti
le
non
Evviva
:
genti
si^'n.
ecc
l'Italia,
Stringiamoci insieme,
Ci unisca un sol patto
Del dì del riscatto
L'aurora spuntò.
Evviva
Stringiamoci insieme
Siam
In
tutti
giorni
ecc
l'Italia,
fratelli
;
;
più belli
Ci giova sperar.
Evviva
l'Italia,
ecc
40. — zeprence Leopoldo
li
Invitaci
Fra
all'armi
;
carmi
Sapremo pugnar.
bellici
Evviva
l'Italia,
Evviva Pio Nono
Evviva l'unione
E
la
libertà
;
!
Già l'armi son pronte
A un cenno di Pio
Mandato da Dio
L'Italia
salvar.
a
Evviva
Se
l'Italia,
vile tedesco
il
Non
Piij
Ferrara
lascia
Prepari
la
bara,
scampo non
Evviva,
Il
cielo
Su
A
ecc
ha.
l'Italia,
ecc
sereno
terra ridente
libera gente
Concesse
Evviva,
il
Signor.
l'Italia,
ecc
41. N
27
m
O ALLA GUA RDIA CIVICA
FIRENZE
DI
O
Signor che dal tetto natio » fu adattata dal popolo a queFirenze dopo la concessione della Guardia Civica,
ritenuta una grande vittoria popolare e un gran progresso nella via
della redenzione italiana.
L'aria
st'inno,
«
nato
a
Cittadini,
la
patria
La difesa
la
vi
affida
queste contrade
:
spade
patria v'invita a pugnar.
Cittadini,
Se
di
cingete le
Siamo tutti d'un sangue redenti,
Siam fratelli al cospetto d'Iddio.
Lo proclama la voce di Pio
:
Ci
Una
sia sacra la patria e l'aitar-
nera, tremenda procella
Sull'Italia
mugghiando minaccia
Maledetto chi asconde
la
:
faccia
Al nemico dell'Italo suol.
Non
è
spenta
Benché
tolti
l'antica
virtude
da poco
al
servaggio.
Vendicare sapremo l'oltraggio
Di chi insulta a un represso valor.
Benché forti di mille codardi
Del nemico sian fatte le schiere,
Vinceranno le sante bandiere,
Il gigante temuto cadrà.
E
del Cristo
Che
Ci
A
ci
pugnando
tolse al
nel
comune
nome,
periglio,
fìa dato di volgere il ciglio
quel sole che Bruto scaldò.
42. —
Cittadini,
fia
28
—
sacra l'impresa,
Pende Europa sul vostro destino,
Chi discende dal sangue latino
Nacque, crebbe, guerriero morì.
Cittadini,
Già
correte, correte,
chiama, v'invita alla gloria
L'avvenire di certa vittoria.
vi
La difesa
d'Italia e
l'onor.
43. —
29
O DI O SIRE!
POESIA PATRIOTTICA SICILIANA
[Rivolta
liani,
per
a
i
cessivamente
Ferdinando
l'aveva
quali
in
tutte
le
nel 1847 dai rivoluzionari
poeta David Levi, e cantata
insurrezioni di quel fierissimo popolo.
o
Odi,
A
Borbone
II
scritta
noi
Sire.
Da
trent'anni
miseri ed oppressi
Involare
Gloria,
suoi tiranni
i
averi,
Dieci di
A
il
libertà.
son concessi
ti
noi rendi
il
:
prisco dritto,
insorgerà.
Sicilia
Siccome già su Ninive
La voce del Signore,
Voce d'un nume, il popolo
Al Re così parlò.
1
di
segnati volsero
Fiero
Il
Da campi
Patrizi
e
cittadi,
e pastori,
di
brandi,
pugnali
i
regi
è
il
:
core
;
popolo s'alzò...
Brillaron
I
dei
gioja,
e
terribili
banditi
fieri.
e guerrieri
brandiron Tacciar...
sfavillano
a
mille.
Non hanno che un suono le cento sue squille,
Non han che un affetto gl'intrepidi cor...
Chi gl'impeti affrena d'irato oceano?
Chi l'onde infocate d'acceso vulcano?
D'un popol che vuole chi doma il furor?
Odi,
o Sire,
ecc.
sici-
suc-
44. —
—
30
INNO AL RE
GIUSEPPE BERTOLDI
DI
Piemonte
ebbe una vera efflorescenza di inni nazionali e di
nel
1847 Carlo Alberto si mise sulle vie
in breve tempo dovevano portarlo alla concessione dello Statuto ed alla guerra all'Austria. Fino a quell'anno la
musa italiana, a dire il vero, aveva lanciato contro il Re di Sardegna
le pili atroci invettive
dopo di allora il tono cambiò e l'affetto, l'amIn
canti
delle
si
quando
patriottici
riforme
quali
le
:
mirazione,
la
accompagnarono
pietà
fino
alla
tomba
oltre
e
lo
sven-
sconfìtto di Novara.
Nel 1832 Carlo Alberto aveva ordinato
maestro Gabetti una Marcia reale, senza parole, che accompagnò
le truppe italiane in tutte le sue prove ed in tutti
suoi trionfi; poi
fece scrivere al poeta Giuseppe Bertoldi il seguente « Inno al Re »,
proprio nel tempo in cui aveva fatto proibire in tutti
suoi stati la bandiera tricolore. L'inno fu cantato la prima volta a Genova il 3 no-
turato
al
i
i
vembre
1847.
Con l'azzurra coccarda sul petto,
Con italici palpiti in core,
Come
d'un padre
figli
veniamo
Carlalberto,
E gridiamo
Viva
il
esultanti
Re! Viva
Figli tutti d'Italia noi
Forti e liberi
il
:
il
siamo,
mente
la
morte il servir
regge clemente
ti
;
godiamo obbedir.
Dio
di
Re grande,
:
degno,
sei
c'inalzi all'antica virtù.
si strinse con Pio
gran patto fu scritto lassù.
Carlalberto
Se
;
tiranni aborriamo,
messaggio
Di compirlo, o
Il
Re!
il
tuo vasto disegno
il
Attendesti
Tu
tuo pie';
d'amore
Re! Viva
braccio e
Più che morte i
Aborriam più che
Ma del Re che ci
Noi Siam figli, e
A compire
il
diletto,
al
sfidi la
Monta
Con
;
rabbia straniera,
in sella e solleva
il
azzurra coccarda e
tuo brando,
bandiera
Sorgerem tutti quanti con te
Voleremo alla pugna gridando
Viva il Re Viva il Re Viva
;
:
!
!
il
Re
!
45. —
31
INNO A CARLO ALBERTO
DI B.
MUZZONE
Quest" « Inno a Carlo Alberto », scritto da B. Muzzone e musidal maestro Bodoira, ehhe diffusione quando il Re di Sardegna
si
mise sulle vie delle riforme, con immenso giubilo delle sue popolazioni.
Una raccolta delle varie poesie scritte nei regi stati in
occasione delle riforme concesse da Carlo Alberto nel 1847 e nella
quale si trovano inseriti ben ottantasei componimenti poetici dà una
pallida immagine della gioia con la quale era stata accolta nel Regno
di Sardegna la piena e sincera conversione di Carlo Alberto alle idee
cato
liberali
e nazionali.
Viva
Si
Italia!
Viva
Su
Dall'Alpi
risveglia
Italia
Tebro
e dal
l'antico valore.
Un
!
novello splendore
quest'inclita terra brillò.
Emulando
la gloria
di
Pio
Carlo Alberto protese la destra
Al suo popol diletto, e maestra
Di sapienza sua voce s'alzò.
Viva
Si
Italia!
Viva
Su
Dall'Alpi
risveglia
Italia
Tebro
e dal
l'antico valore.
!
Un
novello splendore
quest'inclita terra brillò.
Sorge un grido di gioia e s'alterna
D'ogni parte un applauso sincero,
Che d'amore è suggello foriero
Di grandezza e di forti voler.
Già sicure
faccian d'intorno
si
Al gran trono Sabaudo
Or che
E' dischiuso un arringo
Viva
Si
Italia!
Dall'Alpi
risveglia
Viva
genti
le
accolte le inchieste,
Italia
e
dal
al
i
lamenti,
pensier.
Tebro
l'antico valore.
!
Un
Su quest'inclita
novello splendore
terra brillò.
46. —
Mormorando
—
32
affanna e
sì
si
asconde
La discordia invilita e derisa
Ve' l'Italia finora divisa
;
Confortarsi de' giorni avvenir!
Poiché
E
E
Viva
Si
amplesso fraterno
in
stretta
Doma
de' tempi
l'ira
e
oltraggi,
gli
mente de'
s'afRda alla
saggi,
de' forti nel provvido ardir.
Italia!
Dall'Alpi e dal Tebro
risveglia
Viva
Su
Italia
!
valore.
l'antico
Un
novello splendore
quest'inclita terra
brillò.
Sia di pace la nostra bandiera,
Sacro a tutti il comune
Maledetto chi desti il
E
diritto.
conflitto,
sollevi de' morti l'aitar.
La giustizia fremente col brando
Sperderà gli esecrati drappelli
Guai se il nume combatte i ribelli
Che oseranno il suo sdegno mutar.
;
Viva
Italia! Dall'Alpi
Si risveglia
Viva
Su
Italia
e dal
l'antico
!
Un
Tebro
valore.
novello splendore
quest'inclita terra brillò.
Come fiamma
che scorre
E grandeggia
in
Si diffonde nel
Uno
foresta
in
incendio repente,
cor,
nella
mente
spirto di patria virtù.
Cittadini
!
La
gloria
degli
avi
E' retaggio affidato ai nepoti.
Deh compite i lor fervidi voti,
E l'Italia ritorni qual fu.
!
Viva
Italia!
Dall'Alpi e dal TeDro
Si risveglia l'antico valore.
Viva
Su
Italia
!
Un
novello splendore
quest'inclita terra brillò.
47. 33
—
DIO E POPO LO
INNO DI GOFFREDO MAMELI
Con quf'Sto canto G'^ffreuo Mameli, diciottenne, si annunziaa nuovo
poeta della patria. « La sera del 10 decenibre 184ti tutta Genova era
fiamme di gioia; ma non la città sola, tutti gli Apennini, (7 dosso d'Italia,
come Dante li chiama, risplendevano di fuochi; parea che gli antichi
vulcani
fossero risvegliati; era l'avviso, era la minaccia d'Italia
e ai tiranni. Il giovinetto Mameli guardava, guardava col
petto anelante quella città accesa, quei monti accesi; e intese che cosa
tutto ciò
significasse
dal passato
indovinò l'avvenire, il prossimo
avvenire
nella commemorazione della battaglia popolare di Prè, e di
Portoria, presentì le cinque giornate di Milano; e in imo di quei nu)menti che Platone avrebbe chiamato di « furore poetico » gitiò ai venti
d'Italia il canto Dio e Popolo, il canto precursore del quarantotto e del
quarantanove ». Così Giosuè Carducci.
Disse, anche, A. G. Barrili di quest'inno: «Fu scritto per il I!) dicembre 1846, giorno della grande passeggiata votiva di tutto il popolo
genovese al santuario di Oregina, celebrandosi il primo centenario
della cacciata degli
Austriaci da Genova
e fu recitato dall'Autore
il
9 dicembre, nel banchetto d'onore offerto dagli studenti genovesi
aìV Albergo de la
Ville,
a Terenzio
Mamiani
il
quale nel suo discorso a quei giovani, lodò grandemente il poeta. Parlò in quella occasione per tutti
compagni Gerolamo Boccardo, il principe degli
economisti italiani. Quanto all'inno Dio e Popolo, l'edizione del 1850,
nel secondo verso del ritornello, reca il soldatesco « Dio si mette alla
sua testa » forse sulla fede di qualche copia errata dell'inno. Nei manoscritti di Goffredo chiaramente e ripetutamente si legge « Dio comagli
si
stranieri
:
;
;
:
i
che ha sapore biblico, in tutto conforme agli studi che sulla
andava facendo il Poeta. Anche la edizione Tortonese ha la
più giusta lezione « Dio combatte » e dobbiamo lodarla di ciò ».
batte »
Bibbia
Come
narran sugli Apostoli,
Forse in fiamma sulla testa
Dio discese dell'Italia...
Forse è ciò; ma anch'è una
Nelle feste che fa il Popolo
Egli accende monti e piani
festa.
;
Come
bocche
Egli accende
di
le
vulcani.
città.
Popolo si desta,
il
Dio combatte alla sua testa.
La sua folgore gli dà.
Poi, se
48. —
Uno
A
scherzo ora
34
fa
il
—
popolo
;
festa ei si convita.
una
Ma
se è il popolo che è l'ospite,
Guai a lui ch'ei non invita!
Grande è sempre quel ch'egli opera
Or saluta una memoria,
Ma prepara una vittoria
;
E
dico in verità
vi
Che
se il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
Noi credete ? Ecco la storia
AU'incirca son cent'anni
Che scendevano su Genova,
L'armi in spalla, gli Alemanni
Quei che contano gli eserciti
:
Disser
E
;
l'Austria è troppo forte;
le porte.
:
aprirono
gli
Questa
vii
genia non sa
Che
se il Popolo si desta
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
Un
fanciullo gettò
Parve un
Che
le
Sassi
e
un
ciottolo
ciottolo
case vomitarono
fiamme da ogni
Perchè quando sorge
ceppi e
re
Sovra
i
Come
i
;
incantato,
il
lato.
Popolo
distrutti.
vento sovra i
Passeggiare Iddio lo fa.
il
flutti
Quando
Popolo si desta
il
Dio combatte alla sua testa.
La sua folgore gli dà.
Quei che contano
Vi son oggi
gli
come
eserciti
allora
:
Se crediamo alle lor ciance
Aprirem le porte ancora.
50. —
36
GIOBERTI E GARIBALDI
DI
GIUSEPPE BERTOLDI
E' questa poesia, forse, la prima che abbia corso l'Italia diftonil
Cavaliere dei popoli. Fu stampata alla fine de!
1847 a Torino sotto un ritratto di Garibaldi edito dal Doven.
dendo l'amore per
E va
Gioberti
Dell'Italo
pensiero
Ad
vindice
erger sugli elvetici
un
Dirupi
vero
trono' al
;
E' Garibaldi un fulmine
Che
acque
l'americane
fa
stupir.
grand'alma prodigo
Della
non sua contrada
Altro ei non chiede in premio
Che un tetto ed una spada,
Per
la
Molte battaglie e vittime,
E
degli ospiti
Il
giorno
Non
suoi la
affrettiam
glorioso
libertà.
precipiti
:
Quel giorno è nella provvida
Mente
di Dio nascoso
che la sua vindice
Destra folgoreggiando accennerà.
Allor
E
noi sorgiam terribili
Dai campi e dagli spaldi
;
In ogni seno palpiti
Il
cor di
Garibaldi
:
Beato l'uom che l'anima
In
quel santo conflitto esalerà.
51. 37
FRATELLI
INNO
DI
ITALIA „
GOFFREDO MAMELI
D'
« lo
ero ancora fanciuilo, ma queste magiche parole, anche senza
musica, mi m.eltevano
brividi per tutte le ossa, ed anche oggi,
ripetendole, mi si inumidiscono gli occhi. » Con queste parole Giosuè
Carducci, che meglio di ogni altro ha inteso e reso in verso ed in
proKa lo spirito eroico del nostro Risorgimento, ricorda l'inno di Goffredo Mamer, il più bello e grandioso di tutti gli inni patriottici italiani.
Mameli (nato a Genova il 5 settembre 1827 dal marchese amIl
miraglio Giorgio, cagliaritano) costituì nel 1848 la squadra dei volontari genovesi che accorsero a
prestare aiuto all'insurrezione lombarda,
poi corse alla difesa della Repubblica Rom.ana. Ferito il 3 giugno
!a
i
1849, nel combattimento di Villa Corsini, alla tibia sinistra, ebbe amputata una gamba e morì il tì luglio successivo. Fu un'anima anMazzini, che lo amava come un figlio, scrisse per la sua
gelica.
mone alcune pagine maravigliose di sentimento e di poesia. Garibaldi,
che se Jo vide ferire al fianco, non poteva trattenere le lagrime tutte
le
vo'.te che gli si
parlava di lui.
Il
celebre Inno venne scritto da Goffredo il giorno 10 settembre
1847 e musicato il 24 novembre a Torino dal maestro Michele Novaro (1822-188.S) il quale raccontò nel 187.S ad Anton Giulio Barrili
(l'amoroso studioso e raccoglitore degli scritti del Mameli) il modo
come compose la musica di quei versi infuocati. Si trovava una sera
in casa di Lorenzo Valerio, dove conveniva una eletta schiera di patriotti che facevano musica e politica insieme, quando un amico giunto
« To', te lo manda Gofda Genova gli porse un foglietto dicendogli
fredo ». Il Novaro apre il foglio, legge, si commuove. Tutti gli si
Mameli vengono detti a voce alta, e la
versi del
affollano intorno;
stessa commozione si manifesta sul volto di tutti. « Io sentii, disse
Novaro, dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei
il
piansi, che ero agitalo e non potevo star fermo.
definire... So che
Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo,
assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, mettendo giù
frasi melodiche, l'una sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che
potessero adattarsi a quelle parole... Mi alzai, scontento di me, presi
congedo, corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai
pianoforte. Ai tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa
a!
Valerio; lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne
alle mani. Nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per
conseguenza anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'Inno
«Fratelli d'Italia». Cantato pubblicamente a Genova in una festa popolare, la polizia, conoscendo l'autore per un ardente mazziniano, lo
:
i
proibì
e
non
Garibaldi
lo
tollerò
stimava
marzo 1848.
il
Mameli come
che dopo
l'inno
di
guerresco dopo la Marsigliese
durante l'assedio di Roma e
e
la
lo
più trascinante inno
il
preferiva all'inno del Mercantini;
meravii-liosa, l'Eroe lo can^
ritirata
52. —
38
—
come del resto facevano tutti i suoi volontari.
canto del magico inno che elettrizzò tante migliaia di guerrieri e
11
volò come superbo arcangelo sui campi di battaglia, viene ancora adesso
considerato in Austria come reato politico, ciò che non impedisce agli
italiani ancora irredenti di cantarlo, sfidando le i. r. prigioni.
lava e zuffolava sempre,
Fratelli
Dell'elmo
Dov'è
la
Le porga
:
desta
;
Scipio
di
S'è cinta la
Che
Uniamoci, amiamoci
L'unione e l'amore
Rivelano ai popoli
d'Italia,
L'Italia s'è
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
test-ri.
vittoria?
la
schiava
chioma
suolo natio
Il
;
Roma
di
:
Uniti, per Dio,
Chi vincer
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
ci
può?
Stringiamci a coorte
!
!
Siam pronti alla mortf
Italia chiamò
Siam pronti alla morte
Italia chiamò
!
I
Dall'Alpe a
Noi siamo da secoli
Sicilia,
Perchè non slam popolo,
Perchè siam divisi.
Ovunque è Legnano
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core e la mano
Raccolgaci un'unica
I
Calpesti,
derisi.
Bandiera, una
;
speme
;
l'ora
;
II
suonò.
Vespri suonò.
I
Stringiamci a coorte
Stringiamci a coorte
!
Siam pronti alla morte
Italia chiamò
pronti alla morte
Italia
chiamò
Son giunchi che piegano
Le spade vendute
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il
sangue d'Italia
E il sangue polacco
Beve col Cosacco,
;
il
!
Siam
:
!
Ma
d'Italia
chiaman Balilla
suon d'ogni squilla
Si
;
Di fonderci insieme
Già
bimbi
cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
!
Siam pronti alla morte
Italia chiamò
!
!
53. —
30
INNO ALL'ITALIA
Fu canijtn
a
Firen/e
12 settembre
il
1847 e per alcuni anni
Sorgi, depressa Italia,
Dalla iua muta tomba
Al suon
di
questa tromba
Ch'oggi squillar
L'armi
fidate
l'udì.
popolo
al
Segnano un nuovo
Ti
cingi
di.
ancor, o prospera
Regina delle genti
De' taciti lamenti
La lunga età finì.
L'armi
;
popolo
fidate al
Segnano un nuovo
dì.
Disse a' suoi figli un principe
Quest'armi a voi l'affido.
E plaudente un grido
—
Di fondo
L'armi
ai
cor parti.
fidate al
popolo
Segnano un nuovo
dì.
Sacra falange, il patrio
Suolo guardar v'è dato,
Questo giardin beato
Che
il
Cielo a noi
L'armi
fidate al
largì.
popolo
Segnano un nuovo
dì.
Ma
se la terra italica
L'estraneo insulti ardito
Muova il
Che noi
vessillo avito
fratelli
unì.
:
-
di
poi.
54. —
L'armi
4U
fidate al
—
popolo
Segnano un nuovo
dì.
Sappia pugnare e vincere
Il
cittadin guerriero,
Franga l'orgoglio altero
Di chi sprezzarci ardì.
L'armi
fidate al
popob
Segnano un nuovo
dì.
55. 41
SONO
ITALIANO!...
CANTO POPOLARE
(Questo canto rimonta
Goticite di una popolarità
ai
primi mesi del 1848 e nacque in ToSi'ana.
oggi è molto noto in tutta
immensa ed ancor
l'ilatiia.
Nella Venezia e nelle terre alle quali stiamo dando
zione viene tuttora cantato con lo stesso spirito del 1848.
lihera-
la
Giovanottino daiia bruna chioma,
-
come si nom.a?
sono nato, o forestier cortese.
Nel paese più bel d'ogni paese
S'io chieggo a te della nativa terra
Rispondi
<< Io
son di Francia o d'Inghilterra.
Il
—
tuo loco natal
Io
:
:
Fiorenza è bella e Napoli t'ammalia,
Torino è forte e dappertutto è Italia
Se vuoi saper se nacqui in monte o
>>
;
Sono
in
piano.
Italiano.
Giovanottin dalla pupilla nera,
-
Dimmi, qual'è il color di tua bandiera?
Se una rosa vermìglia e un gelsomino
A una foglia d'ailór metti vicino,
—
tre colori avrai piij cari e belli
I
A
noi che in
ci conosciam fratelli
che fremer fanno
L'insanguinato imperator tiranno.
Beato il dì che li vedrà Milano
tre
I
color avi
quei
;
ai
!
Sono
Italiano.
Giovanottin dalla dolce favella,
Dimmi dunque,
—
il
tuo re
come
si
appella?
una patria abbiamo e tutti un Dio
Dal Tebro a tutti benedice Pio
Dell'Arno là sulle rive leggiadre
Sta Leopoldo, più che Duca, padre
Tutti
;
;
56. —
42
—
Tardi Fernando si battè la guancia,
E Alberto aguzza la terribil lancia
;
Biscia e
Leone cacceran
i
'estrano:
Sono
-
Italiano
Giovanottin dall'elmo piumato,
se' giovane tanto e sei soldato!
Tu
—
E
Soldato no; son cittadino in armi,
soldo col sudor so procacciarmi.
Se giovin sono e se profondo io fero
il
Vedran
le
file
del ladron straniero.
Dunque ripeti, o forestier cortese.
Quando ritornerai nel tuo paese.
Che di bandiera, d'armi e di sovrano
Sono
Italiano
57. 43
IL "
PATER NOSTER
'
DEI MILANESI
Dopo
la
morte
arcivescovo tedesco
dell'odiato
Gaysruck venne
a
1847) l'arcivescovo Romilli, bene accetto, perchè
grande bontà, alla cittadinanza milanese. Furono allora
Milano
(settembre
italiano
e
diffuse
numerose
di
orazioni
patriottiche
nelle
quali
religione
patria
e
fondevano sotto l'egida del nome benedetto di Pio IX. Nacquero
così un Catechismo nazionale, un Credo, due Pater Noster, le Litani^ dei Pellegrini Lombardi, ecc. Il primo Pater Noster in prosa diceva
« Padre nostro che siete a Vienna
Che il vostro nome sia per sempre dimenticato in Italia; Che il vostro regno si restringa al di là
delle Alpi
Che la vostra volontà non sia fatta sopra il cielo come
sopra la terra d'Italia; Rendete a' noi quel pane quotidiano chi ci
Come noi vi rendiamo la vostra carta monetata Non ci indurapiste
si
:
;
;
;
;
voi e
da tutti i vostri
liberateci da
cete nella disperazione; Ma
sgherri ; Una volta per sempre e così sia. » Il secondo Pater Noster
preparare gli
servì anch'esso a
è quello riprodotto qui appresso
animi per
fatti
del marzo 1S48. A Trieste, tra l'aprile e il maggio
:
i
dell'anno
«
Vittorio
tuo,
—
quando sembrava che
corrente,
dovesse riuscire
neutralizzare
a
Emanuele nostro die
venga
il
—
regno tuo,
—
la
pressione della Germania
seguente parafrasi
la
circolò
l'Italia,
Roma
sei
a
sia
fatta
—
:
sia
santificato
volontà tua,
la
sì
nome
come a
il
Trento, cosi a Trieste.
Amaci come siamo odiati, difendici perchè
Non t'induca Hiìtoiv in
siamo oppressi.
Dacci il tuo pane unico.
Così sia.
il ntazinne,
ma liberaci dall'Austria.
—
—
Padre nostro divin, che
Pietà del nostro duol
Signor,
—
—
ci
nei
sei
sì
scampa dall'ugne
dello
Sia
sempre
E tante
Quante
il
nome
volte
l'augel
e
Cieli,
lungo e fiero
:
crudeli
straniero.
tuo santificato,
tante benedetto,
biforme
è
bestemmiato
e maledetto.
Ah! venga il regno tuo, regno d'amore.
Che a Pio fu dato d'imitar qui in terra.
Che la virtude inalza ed all'errore
fa
cruda guerra.
58. 44
Sia fatto
il
voler tuo, se ancor ritarda
Quel giorno di vendetta e di riscatto,
Che vegga Italia e la nazion lombarda
strette ad un patto.
In ciclo e in terra questo giorno è scritto,
In cui la biscia,
ed
il
Di libertà, co'.rarmi,
leone a lato.
sacro dritto
il
avran
Dacci oggi
Che
Il
lo
il
nostro pane quotidiano,
straniar
strappa
ci
vaso è colmo per
e
/
comprato-
la
fin
bocca
di
!
tua Milano,
orm.ai
trabocca.
che abbtam, Signor, perdona.
debiti
In quella guisa che paghiamo quelli
Dei
trattati
di
Vienna e
di
Verona,
veri
Non
tranelli
cadere in tentazione,
in noi tutti e core e
E vincerem nel dì della tenzone
sicuramente.
ci lasciar
Ma
Ma
rinforza
scampaci dal
Deh!
inai e
salva l'infelice
Dall'Aulico
consiglio
dai
tedeschi
mente,
:
Lombardia
e
da
Radeschi
e
:
cosi sia
59. —
45
—
LA DONN A LOMBARDA
STORNELLO
DI
FRANCESCO DALL'ONGARO
proposito tradotto in pratica con invitta costanza dai milaiicsi
Il
non più fumare per portar grave danno alle finanze austriache diede
vioalla polizia di compiere sulla cittadinanza atti di selvaggia
lenza. Nel gennaio 1848 la sbirraglia ubbriaca fu scatenata per le vie
di Milano; in Piazza Mercanti, sul Corso Francesco (ora Vittorio Emanuele)
altrove donne, ecchi, fanciulli vennero sciabolati barbarae
mente, e sei morti e cinquantanove feriti furono il triste bilancio di
fatti
di Miquella giornata- di ferocia austriaca. Nell'Europa liberale
lano destarono una enorme impressione; l'odio milanese per l'opprest'ore crebbe a mille doppi; e Francesco Dall'Ongaro (nato a Mar.';uc
(Oderzo) nel 1808, morto il 9 gennaio 1873) scrisse uno stornello
diventato popolare che fomentò negli oppressi il desiderio de!la liberazione, compiuta due mesi più tardi nel glorioso modo che tutti
di
modo
i
sanr.o.
Toglietemi d'attorno i panni gai.
Voglio vestirmi di bruno colore
Vidi scorrere il sangue ed ascoltai
Le grida di chi fere e di chi more.
;
Altri
Sui'
ornamenti non porterò mai
che un nastro vermiglio sopra
Mi chiederan dove quel nastro è
Ed io
Nel sangue del fratello
—
tinto,
estinto.
Mi chiederan come si può lavare.
Ed io
Non lo potria fiume né mare
—
core.
il
:
Macchia d'onore per lavar non langue
Se non si lava nel tedesco sangue.
-
60. 46
LA BANDIÈRA TRICOLORE
CANTO POPOLARE
Dopo la cacciata dei tedeschi da Milano, ebbe molto voga la
seguente canzonetta popolare, che fu più tardi ripetuta dal '59 al '66.
Le due ultime strofe furono aggiunte dai soldati di Piemontesi che
cantavano nelle loro marce, e furono subito imparate e cantate
le
dai monelli milanesi.
La si canta ancora in tutta Italia, compresa
Trieste, con leggere modificazioni.
Anderemo a Roma santa,
Anderemo al Campidoglio,
Pianteremo sulla soglia
La bandiera dei tre color.
La bandiera dei tre colori
E' sempre stata la piià bella,
Noi vogliamo
Noi vogliamo
E
i
sempre
la
quella
libertà.
tedeschi coi suoi baffi
Son una massa di birbanti,
Impicchiamo tutti quanti,
pie.
Calpestiamo sotto
i
I
Gesuiti son
partiti
Son andati dal suo re
La corona dell'Impero
La vogliamo sotto ai pie.
;
I
Con
tedeschi son fuggiti
fumo dentro il sacco
Metternich e quel macaco
Si
il
dovranno
ritirar.
:
61. —
47
—
CANTO POPOLARE
Le Cinque Giornate
in
tutta
di
del Bertoldi
settentrionale.
l'Italia
Manzoni pubblicava la
scritta quando sembrava
uno dei
fu
Da
più
innumerevoli canti
a
popolari
che
e
si
diffuse
1848 Alessandro
« Marzo
lui
^821 »
da
passaggio del Ticino da parte
ricordare
impareggiabile ode
imminente il
piemontese guadagnato alla
aggiungendovi l'ultima strofa
dell'esercito
nazionale,
BERTOLDI
di G.
Milano diedero origine
questo
patriottici;
MIL A NO
LI BERAZIONE DI
LA
nel
rivoluzione
costituzionale
e
:
Oh
giornate del nostro riscatto!
dolente per sempre colui
lunge, dal labbro d'altrui.
Come un uomo straniero le udrà!
Che ai suoi figli narrandole un giorno
Dovrà dir sospirando: io non c'era;
Che la santa viitrice bandiera
Salutata quel dì non avrà!
Oli
Che da
Le Cinque Giornate furono precedute e seguite anche da una vera
poesie e di canti popolari in dialetto milanese che si trovano
un interessante volume di Carlo Romussi.
fioritura di
in
Di
Dio son tutti del mondo i regni,
più degni
Dio che a reggerli chiama
Ma quando l'empio quei regni toglie
Di
i
Egli alza
il
dito e
discioglie.
li
non ha
Il
A
I
regno a Dio
noi chi tolse la libertà?
tolto
centomila sgherri tedeschi
L'insubria inondano, duce Radeschi
Non scende in campo Iddio con l'asta:
Dal cielo ei mostrasi, mostrasi e basta.
Polvere sono dinanzi a Te,
Dio grande e forte, popoli e re.
:
Ecco
sul
sacro piano lombardo
Sventola
Ecco
Coi
il
il
libero
tre colori
un Carlalberto.
Sui vostri altari
Prodi
comun stendardo
trionfo a render certo
Lombardi,
ei
giurerà.
la
libertà.
:
;
62. —
48
L'ITALIA RISORTA
INNO
DI B. DE'
BANDI
Inno del 1848; parole di Bando de' Bandi, musica del maestro Mapopolarissimo a Milano e in Lombardia per tutto quell'anno.
bellini,
Via toglietemi dal capo
delle spine
La corona
Che una
Splenda
;
volta ancor sul crine
il
serto del valor.
Son l'Italia e son
Le catene io sento
risorta,
infrante,
Sorgerò come gigante
Sopra il campo dell'onor.
Fino all'ultimo Appennino
il
grido redentor
Voli
!
Fui signora delle genti,
Poi fui schiava e piansi tanto,
Ma
quei secoli di pianto
Questo
dì
Tutti in
Tutti
È
Il
fa.
arme
miei,
stretti
Benedetta
Che
scordar mi
a
la
in
figli
bandiera
pugnar
soldato
i
una schiera,
il
li
condurrà.
cittadino,
soldato eroe sarà
!
63. —
—
49
LA PATRIA DELL'ITALIANO
POESIA POPOLARE
ANTONIO GAZZOLETTI
DI
Antonio Gazzoletti fu dopo Giovanni Prati il maggior poeta trenNato a Nago il 20 marzo 1813, fu imprigionato varie volte dagli
austriaci, esulò a Torino e passò poi a Milano ed a Brescia. Morì magistrato a Milano il 21 agosto 1866. La Patria dell'Italiano fu popolarissima per oltre un ventennio, a incominciare dal 1848 nel qual anno
fu scritta. In essa si esprime vigorosamente il concetto unitario italiano. La sua forma fu ispirata dalla celebre poesia dell'Arndt « Was
ist
der Deutschen Vaterland?» (Qual'è la patria dei Tedeschi?), considerala la «Marsigliese» germanica.
tino.
Qual è
Sotto
la patria dell'Italiano?
cielo napolitano,
bel
il
Nel suol, nell'aere, nel mare un
Serbò natura di paradiso
Pur non è l'eden napolitano
La grande patria delTItaliano.
riso
:
Qual
è
la
dell'Italiano?
patria
mare freme un vulcano,
E intorno a quello fremono genti
Di
dal
là
Di libertade.
Pur non è
La grande
Qual è
E' forse
Che
Sul
il
gloria ardenti
forte
patria
la
Qual
il
è
:
suol siciliano
dell'Italiano.
dell'Italiano?
patria
brando prima,
No, non è
La grande
Culla
di
sacro terren
il
mondo
Fors'è
il
la
romano
croce poi
stese soggetto a noi ?
il
sacro terren romano
patria
la
dell'Italiano.
patria dell'Italiano?
leggiadro
dell'arti e
giardin
insieni
toscano,
gentile
Maestro agl'itali del bello stile?
No, non è il gaio giardin toscano
La grande patria dell'Italiano.
64. —
50
—
il lombardo suolo fecondo?
Venezia unica al mondo?
Fors'è
Fors'è
Città
maturi ingegni,
fiorenti,
Glorie e sventure vantan quei regni
Pur non Venezia, non è Milano
La grande
Fors'è
;
patria dell'Italiano.
guerriero Piemonte armato?
il
Fors'è l'altero Genovesato?
De' Corsi
l'isola,
Dall'aspre
rupi,
No,
in brevi
La grande
Qual
è
quella de' Sardi
dai
sponde
patria
la
cor gagliardi?
tu cerchi
invano
dell'Italiano.
patria
dell'Italiano?
Dal regal Tevere all'Eridàno
Tutto che il doppio mare comprende,
E un solo accento sonar s'intende,
E il mondo barbaro rifece umano,
E' la gran patria dell'Italiano.
Dovunque prossimo
santo invocasi
Il
Dove una musica
Dove ogni sasso
è
Dall'umil rudero
al
Ivi
la patria
è
Pio,
di
spira ogni vento,
un monumento,
Vaticano,
dell'Italiano.
Dovunque all'ombra
In
Dio
a quel di
nome
fermo accordo
dei
fraterni
tre colori
cuori
Stanchi del vile lungo servire
di vincere o di morire,
Giurar
E
Ivi
al
è
O
vinto amica stender
la
patria
bella
terra,
nobile terra.
Dallo straniero
che
Troppo
oltraggi
soffristi
mano,
la
dell'Italiano.
ti
fa
e
guerra,
danni
:
Sul capo oppresso dai lunghi affanni
Rimetti il prisco ciniier sovrano,
O
grande patria
dell'Italiano.
65. —
—
51
CANTO
DI
GUERRA
DI LUIGI
Il
gagliardo canto
del
(-arrer
(nato a
morto in patria il 23 dicembre 1850),
popolo quando Carlo Alberto dichiarò
e ripetuto dal popolo per lunghi anni.
fu
la
Venezia
scritto
guerra
il
12 febbraio 1801,
principalmente per il
all'Austria nel 1848
Via da noi, Tedesco infido,
Non
più patti, non più accordi
Guerra,
guerra
Ogn 'altro
!
;
grido
E' d'infamia e servitù.
Su que'
Il
furor
rei,
si
sangue
di
fa
lordi,
virtù.
Ogni spada divien santa
Che
nei
barbari
si
pianta
;
indegno figlio
Chi all'acciar non dà di piglio,
E un nemico non atterra
E'
d'Italia
:
Guerra,
guerra
!
Tentò indarno un crudo bando
Ribadirci le catene
;
La catena volta in brando
Ne sta in pugno, e morte dà.
Non s'ottiene
Guerra, guerra
Senza sangue libertà.
!
Alla legge inesorata
Fa risposta
Fan risposta
la
al
Crociata
;
truce editto
Fermo core, braccio invitto,
Ed acciaro che non erra
;
Guerra,
guerra
!
CARRER
66. ,
—
Non
piià
attristi
ci
lo
—
52
sguardo
L'aborrito giallo e nero;
Sorga l'italo stendardo
E sgomenti gli oppressor.
Sorga, sorga, e splenda altero
Il
vessillo
tricolor.
insegna nostra
mostra
ti
insegna,
Lieta
Sventolante a noi
cammino
Il
tu
;
addita,
ci
Noi daremo sangue e vita
Per francar la patria terra
Guerra,
E'
la
guerra
Da
nostro scampo.
il
gloria
lei
Della spada
Dasti in
il
noi
E' d'Italia
;
guerra!
avremo e regno
fiero lampo
l'antico
;
ardir.
indegno
figlio
Chi non sa per
lei
morir.
Chi
tra l'Alpi e il Faro è nato
L'armi impugni e sia lodato
Varchi il mare, passi il monte.
Più non levi al ciel la fronte
;
Chi un acciaro non
Guerra,
guerra
afferra
umile
paese
Guerra echeggi, e morte al
Dal palagio
Tutto,
Che
al
tutto
:
!
tetto
il
bel
tant'anni ci
vile
calcò;
'
Guerra suonino
Che
il
le
chiese
ribaldo profanò.
Vecchi
donne
infermi,
Dei belligeri
imbelli.
fratelli
Secondate il caldo affetto
Guerra, guerra
In ogni
Che di vita un'aura serra,
!
Guerra,
guerra
!
:
petto.
67. 53
IN NO DI
GUERRA DEL
DI
primo
1848-49
LUIGI MERCANTIMI
guerra del celebre autore dell'Inno di
a Ripatransone il 20 settembre
1821,
1872) lo scrisse nel 1848, e con quell'inno sul labbro
crociati romagnoli corsero in aiuto di Venezia combattente eroicamente contro gli Austriaci. Fu m.usicato dal maestro Giovanni
Zampettini, di Sinigaglia. In una nota ai suoi canti il Mercantini dice
presente inno di guerra
a proposito del
« Quando in
Corfù io fui
a visitare Daniele Manin, da una stanza vicina si udiva cantare
« Tre
colori,
tre colori». «Ecco! mi disse Manin,
commovendosi, ecco il
canto col quale abbiamo combattuto insino all'ultima ora sulle nostre
lagune ». Il motivo della bandiera nazionale ricorre molto di frequente
nella poesia patriottica del Risorgimento (vedi pag. 40 e 52). Il tricolore
divisi popoli della pefu il simbolo e il nodo della patria, che raccolse
nisola in un sol fascio potente e disciplinato. Come scrisse uno dei più
appassionati cultori degli studi storici sulla resurrezione italiana, «
gioani che non possono ricordare di aver veduto nei tempi della dominazione straniera un cencio tricolore conservato fra le memore più
care e segrete e mostrato fra un sospiro di rimpianto e una speranza,
e non videro più tardi quei medesimi colori splendere liberi nella gloria
del sole e sorgere quasi per incanto, dietro ai passi dei fuggenti austriaci, e rivestire le città d'un'iride festosa, non possono comprendere
capelli grigi all'apil
fremito segreto che provano quelli che hanno
parire della nostra bandiera. » Dopo la caduta di Venezia nel 1849, il
tricolore fu, come scrisse Carlo Cattaneo, « il solo segno che rappresenE' il
Garibaldi
morto
a
:
degli
inni
Mercantini
il
Palermo
l'S
di
(nato
novembre
i
:
:
i
i
i
tasse al cospetto del
mondo
Patrioiti,
la
nazione. »
all'Alpi
Fu
l'Italia.
andiamo,
andiamo al Po
Perderem, se più tardiamo
Già il tedesco c'insultò.
Patriotti,
Il
:
:
tambur, !a tromba suoni.
Noi sui campi marcerem.
Mille e più sieno
Noi
le
E
sol
verde,
La bandiera
E
i
cannoni.
micce accenderem.
sol verde,
bianca e rossa
s'innalzò.
bianca e rossa
La h:indÌTn s'innibò.
68. —
Tre
colori,
54
—
tre colori,
cantando va
a cantando tre colori
L'italian
;
i
11
fucile
imposterà.
Foco, foco, foco, foco
!
S'ha da vincere o morir.
Foco, foco, foco, foco
!
Ma
il
tedesco ha da morir.
E
t,a
E
verde, bianca e rossa
bandiera s'innalzò.
sol verde, bianca e rossa
sol
La bandiera s'innalzò.
69. —
55
CANTO DEGLI INSORTI
ARNALDO FUSINATO
DI
Ad Arnaldo Fiisinato (nato a Schio il 10 dicembre 1817, morto
Roma il 28 dicembre 1888) deve molto la musa patriottica italiana.
Fu soldato, combattè a Alontebello ed a Vicenza e partecipò alla difesa
di Venezia
!e sue strofe guerresche venivano ripetute dai soldati nelle
a
:
marce. Singolare per veemenza e paragonabile ai
dell'ungherese Petòfi è questo canto degli insorti
universitario
selvaggi canti
battaglione
il
più
che
Padova fece suo.
di
Suonata è
la
squilla
già
:
Terribile echeggia per
Suonata è
la
squilla
Su presto corriamo
Brandite
i
Fratelli,
Al cupo
fucili,
fratelli,
le
il
grido di guerra
su presto,
:
la
;
fratelli.
patria a salvar.
picche,
i
coltelli,
corriamo a pugnar.
rimbombo
Rispose
il
l'itala terra
dell'austro
ruggito del
cannone
Leone
nostro
:
manto d'infamia, di ch'era coperto,
CoU'ugna gagliarda sdegnoso squarciò,
E sotto l'azzurro vessillo d'Alberto
Ruggendo di gioia il volo spiegò.
Il
Noi pure l'abbiamo
Non
la
nostra bandiera
come un giorno
pili
sì
gialla,
nera
sì
Sul candido lino del nostro stendardo
Ondeggia una verde ghirlanda d'allòr
De' nostri tiranni nel sangue codarde
E' tinta
la
:
zona del terzo color.
Evviva l'Italia! d'Alberto la spada
Fra l'orde nemiche si schiude la strada.
Evviva l'Italia! sui nostri moschetti
il Vicario la mano levò...
E' sacro lo sdegno che ci arde ne'
Di Cristo
Oh
!
troppo finora
si
petti
pianse e pregò.
!
70. —
—
56
Vendetta, vendetta! Già l'ora è sonata,
Già piomba sugli empi la santa crociata
Il
Si
colmo
è
calice
strinser
dell'ira
mano
la
le
:
italiana,
cento
città
:
Sentite sentite, squillò la campana...
Combatta
denti chi brandi
coi
non
Vulcani d'Italia, dai vortici ardenti
Versate sugli empi le lave bollenti
E quando quest'orde di nordici lupi
Ai patrii covili vorranno tornar,
Corriam
fra le gole dei
Sul capo
S'incalzin
di
E quando
!
nostri dirupi
fuggiaschi le roccie a crollar.
ai
Un nembo
ha.
fronte,
le
di
avvolga
li
fianco,
di
alle
spalle,
pietre e di palle,
canne dei nostri
fucili
Sien fatte roventi dal lungo tuonar.
Nel gelido sangue versato dai vili
Corriamo, corriamo quell'armi a tuffar.
E
là dove il core più batte nel petto
Vibriamo la punta del nostro stiletto;
E allora che infranta ci caschi dal pugno
La lama già stanca dal troppo ferir,
))e' nostri tiranni sull'orrido grugno
.i
pomo dell'elsa torniamo a colpir.
.
Vittoria,
vittoria
!
Dal giogo tiranno
Le nostre contrade redente saranno
Già cadde spezzato l'infame bastone
;
Che
Il
Il
—
l'italo dorso percosse finor
timido agnello s'è fatto leone.
vinto vincente, l'oppresso oppressor.
;
71. —
57
CANTATA
DI
DI
GUERRA
ARNALDO FUSINATO
Questa cantata patricttica del Fusinato che non è compresa nei
volumi delle sue opere raccolte si trova nella bella Antologia di Raffaello Barbiera « I Poeti Italiani del secolo XIX ». Fu scritta nel 1848
a Venezia, fu musicata dal maestro veneziano Francesco Malipiero, ed
accese ancor più gli animi nella lotta contro il nemico nazionale.
Donne
L'ora
fatai
All'armi,
s'approssima
all'armi,
o
!
forti!
Noi v'afRdiam la libera
Bandiera dei risorti
Senza timor guardatela-..
I
suoi color son tre.
!
Ed
Le
il
Leon dell'Adria
sta vegliando al Pie.
Fino
al
supremo
anelito
Dell'onor suo custodi,
Dove
Ivi
il
suo drappo sventoli
accorrete o prodi
:
Del tradimento il demone
Più non le striscia al pie
;
Perchè il Leon dell'Adria
Le sta vegliando al pie.
All'armi,
all'armi,
o forti!
Noi v'affidiam la libera
Bandiera dei risorti
!
Uomini
E
con un grido concorde
Stringiamo il vessillo che Italia
noi,
di
fede,
diede.
simile anch'esso all'Angiol di morte.
Affiso alle porte
del santo giardin.
Sull'ultimo scoglio dell'Alpi giganti
Oh!
Custode
ci
—
si
pianti
—
del
nostro confin.
72. —
58
—
DOKKE
Addi--.
Con
j^:^j.-::.,
.
col
voi sceaideremo sul
'o3
del
pensiero
campo guerriero
:
Se deWl la mane rifugge dal brando.
Staremo pregando appiè all'aitar.
UOMIKI
E
noi
col
tripudio dell'alme
Sui campi cruenti
—
'
fidend
corriamo a pugnar.
Tutti
Corriamo, corriamo
vergogna al codardo
Che il volo non segue del patrio stendardo
Un inno di gloria, im'onda di pianto
AJ martire santo
cbe pugna e che rouor
Al forte che riede di sangue coperto
:
:
—
Un
vergine serto
—
di
baci e
di
fior.
73. —
59
CANTO
Dopo
campagna
l'infausta
Lombardia
di
GUERRA
DI
interrotta
dall'armistizio
PiemoDlesi ardevano dal desiderio di riprendere
agosto 1848,
lotta contro gli AuKtriaci. Il canto the segue ebbe molta voga nel
la
brcc periodo che corse fra la fine della prima guerra nazionale e
l'iui/io della seconda, cosi breve t terminata cosi tristemente a Novaia
del
9
{2i
marzo
i
1849).
Italiani,
Fu
se gagliardo
già
il
Di
Hontida
Presto
Lombardo
braccio del
Se all'estraneo
il
all'armi
La contesa
;
spavento
giuramento,
fé'
di
—
non è
Legnan
sciolta
;
Su, gridiamo un'altra volta
-- Guerra al barbaro Aleman
:
Siede ancora
E
—
nostro desco
al
Gavazzando,
!
ebbro
il
tedesco,
l'esercito s'ingrossa
D'un novello Barbarossa
Presto all'armi
La contesa
di
•
—
non
Legnan
è sciolta
;
Su, gridiamo un'altra volta
—
Quando
Guerra
l'insubre
al
:
Aleman
barbaro
I
campagna
Tutta sanguina e
si
lagna
;
Quando il veneto Leone
A battaglia si compone.
—
Presto all'armi
non è sciolta
La contesa di Legnan
;
Su, gridiamo un'altra volta
Guerra
u)
barbaro
:
Aleman
'
74. —
Quando
Van
gli
—
60
Usseri e
le
spie
briachi per le vie,
E gareggiano codardi
Scannatori
di vegliardi.
Presto all'armi
La contesa
di
—
non
Legnan
è sciolta
;
Su, gridiamo un'altra volta
—
Guerra
al
:
Aleman
barbaro
Stende l'aquila gli artigli
Sovra i campi, e sovra i figli
Non sia tregua coli 'ingorda
Se la polvere non morda.
!
;
Presto all'armi — non è sciolta
La contesa di Legnan
Su, gridiamo un'altra volta
;
—
Ha
:
Guerra
al
barbaro Aleman
tuonato il Vaticano
Dall'Allobrogo al Sicano
Ti
—
risveglia
Dio
lo
itala
vuole,
Presto all'armi
La contesa
di
prole
Dio
:
:
lo
—
è sciolta
;
Su, gridiamo un'altra volta
-- Guerra
al
barbaro
—
vuole.
non
Legnan
!
:
Aleman!
75. IL
RISORGIMENTO
DI
ALESSANDRO POERIO
—
Alessandro Poerio (1802
3 novembre 1848), soldato e poeta,
fratello di Carlo, si distinse alla difesa di Venezia dove morì. Questo
inno non fu veramente cantato, ma declamato dai valorosi combattenti.
Il
Poerio nella memorabile sortita di Mestre del 27 ottobre cadde ferito mortalmente mentre nel folto della mischia animava
sioi commi
i
litori
Non
col
canto.
fiori,
ien l'empie memorie
non carmi
Defili avi sull'ossa,
D'oltraggi fraterni,
Ma
Ma
Ma
D'inique vittorie,
Per sempre velate.
il
i
suono
serti sien l'opre,
tutta sia
Ma
scossa
—
Da guerra
Che
sia d'armi.
quelle ricopre
resti e s'eterni
Nel core
la terra
—
un orrore
Di cose esecrate
!
;
Sia guerra tremenda,
E, Italia,
Sia guerra che sconti
Correndo ad armarsi
Con libera man.
Nel forte abbracciarsi
Tra lieti perigli
La rea servitù
!
Agli avi rimonti.
Ne' posteri scenda
La nostra virtù
O
Divampi di vita
La speme latente
Percuota
Che
in
Beltate
gli
tuoi figli,
Fratelli saran.
!
Di scherno nutrita
i
sparsi fratelli,
O
;
strani.
questa languente
— sfrenate
popolo mio.
Amore
Movete
Decreto
Fidenti
v'appelli
;
!
nell'alto
di
—
Dio
valenti.
Cacciaron le mani,
D'un lungo soffrire,
Movete all'assalto.
Son armi sacrate
Sforzante a vendetta,
Gli oppressi protegge
;
L'adulto furor.
De'
cieli
Sorgiamo
Concordia
e la stretta
Ma
questa è sua legge,
dell'ire
Che
;
Sia l'italo amor.
il
Signor
;
sia libertade.
Conquista
al valor.
76. —
Fu servo
il
62
—
Ma
tiranno
Del nostro paese
Al domo Alemanno
vano pensiero
Fia l'inclita impresa.
;
Le terre occupava
Superbo il Francese.
Se d'altro straniero
L'aita maligna
Sul capo ci pesa
Respinto
Sien soli
—
»
dal vinto
Poi quelle sgombrava.
Si
pugni,
si
muoja
;
De' prodi caduti
L'estremo sospir
Con
La
fede saluti
libera gioia
D3I patrio avvenir
O
!
Italia,
nessuno
Stranier
ti
fu pio
;
Errare dall'uno
Nell'altro servaggio
T "incresca,
Fiorente
per Dio
!
— possente
D'un solo linguaggio,
Alfine in te stessa,
O
—
i
figliuoli
né alligna
Qual seme fecondo
Nel core incitato
Verace voler,
Se pria non v'è nato
Sospetto profondo
Dell'uomo stranier.
D'Italia
patria vagante.
Eleggi tornar
;
Ti leva gigante,
T'accampa inaccessa
Su' monti e sul mar
!
;
77. —
63
ADDIO,
M IA
BELLA, ADDIO
CANTO POPOLARE
!
CARLO BOSI
di
bella, addio? Chi non
Italia V Addio, mia
(^hi non ha cantato in
eanta ancora, in città e in campagna, in Lombardia, in Toscana, in
d'America? Questa canzone, così fresca e
Sicilia, nelle nostre colonie
vibrante, che par nata oggi, ha invece un'età veneranda poiché sorse
nel 1848 ed ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Curtatone.
La scrisse il fiorentino Carlo Bosi, che la intitolò « Il volontario che
parte per la guerra dell'Indipendenza », ma il popolo la chiamò 1' « Addio
del volontario » e ne corresse il primo verso che nella lezione originale suonava: Io vengo a dirti addio. Il musicista ci è ignoto; ma
cliiunque l'abbia composta, se pur non l'ha creata l'anima stessa del
forse quel motivo così nitido, così
popolo, ha fatto opera di bellezza
snello, così battagliero, « doveva già esistere come aleggiante per l'aria
e come susurrante nei cuori». La canzone ha due sole frasi così ritmicamente incisive, e tanto slancio e vigore, che appena echeggiano, un
brivido corre per le ossa e tutte fremono le fibre del cuore. « E' in
tempo ordinario e in tono maggiore, né oltrepassa l'ambito di sei sole
note, sempre naturali
al termine del primo periodo, lo squillo di alcime rapide note ribattute le accresce vigore ed energia. Così breve e
la
:
:
così
lodia
sempre uguale
circoscritta, ripetuta
dovesse riuscire
monotona,
di
ma non
parrebbe che la meessa, pur ripetenmutar delle parole, nuovi
strofa,
è
così
:
sembra rinnovarsi e acquistare, dal
sempre più vigorosi e marziali, come sembra in taluni punti ingentilirsi alla rievocazione di amorosi e soavi ricordi. Oltre a ciò nella
sua estrema semplicità è originale
non ha punti di contatto con altri
canti patriottici e popolari del tempo. Ed è inoltre schietta e sincera,
dosi,
accenti
:
senza
senza appiccicature
sì sente sgorgata liberamente e
spontanearr.ente dall'anima popolare e venuta fuori, come suol dirsi,
di prima intenzione ». (Arnaldo Bonaventura). Enrico Panzacchi disse dell' « Addio
del volontario»:
«E' veramente una cara e poetica cosa;
un toccantissimo motivo che ho sentito lodare e quasi invidiare all'Italia nientemeno
che da Riccardo Wagner». E Pietro Cori osservò giustamente
« Le
undici strofe di questa
poesia hanno nociuto agli
austriaci più di una battaglia perduta, e giovato all'Italia più di una
battaglia guadagnata. Tanta è la potenza del ritmo e dell'armonia sull'animo gentile degli Italiani!»
fronzoli
e
:
:
Addio, mia bella, addio,
L'armata se ne va;
Se non partissi anch'io
Sarebbe una viltà
!
Non
pianger,
mio
tesoro.
Forse ritornerò;
Ma
se in battaglia io
In ciel
ti
rivedrò.
moro
78. 64
La spada, le pistole,
Lo schioppo l'ho con me
Saran tremende l'ire.
Grande il morir sarà
Si mora, è un bel morire
Morir per libertà
!
:
Allo spuntar del sole
Io partirò da te.
Il
—
!
Tra quanti moriranno
Forse ancor io morrò
sacco è preparato
Sull'omero mi sta
Son uomo, e son soldato,
Viva la libertà
;
!
Non
Se più del tuo
è fraterna guerra
La guerra ch'io farò
Dall'italiana
Tu non
;
Per
L'antica tirannia
Io
l'Italia
vado
in
lui
non
Io
ancor
ti
non sospirar.
lascio sola,
Ti resta un figlio ancor
;
Lombardia
Nel
Nel
Incontro all'oppressor.
ti
figlio
dell'amor
la tromba, addio.
L'armata se ne va
;
bacio
Viva
la
al
figlio
libertà
!
consola.
figlio
Squilla
Un
diletto
udrai parlar,
Perito di moschetto.
terra
L'estraneo caccerò.
Grava
;
Non ti pigliare affanno,
Da vile non cadrò.
mio
!
;
79. —
65
INNO MILITARE
GOFFREDO MAMELI
DI
Fu
composto
Tirteo dell'Indipendenza Italiana nell'agosto del
a Giuseppe Verdi che lo musicò
caro alla gioventù, è oggi l'inno irredentista per
eccellenza.
A Trieste e in tutte le terre italiane rimas'.e tiro al
maggio 19K'i soggette all'Austria due ultimi versi del ritornello « F.nchè
non sia l'Italia
Una dall'Alpi al mar » vengono modificati in questo
modo: « Finché a Trieste e a Trento
Non splenda il Tricolor».
dal
1848 e mandato da
nell'ottobre. Sempre
Giuseppe Mazzini
'
i
—
—
All'armi,
all'armi
Le insegne
Fuoco,
Sulle
!
—
gialle
Ondeggiano
e nere
:
per Dio, sui barbari.
vendute schiere
!
Già ferve la battaglia.
Al Dio de' forti osanna
Le baionette in canna,
;
E' l'ora del pugnar.
Non deporrem
la spada
schiavo un
Dell'itala contrada
Finché non sia l'Italia
Finché
sia
angolo
:
Una
Avanti
dall'Alpi al mar.
—
Viva Italia,
Viva la gran risorta
Se mille forti muoiono,
Dite, che è ciò? Che importa
Se a mille e mille cadono
Trafìtti i suoi campioni ?
!
:
Siam
E
ventisei milioni
tutti
lo
giurar.
Non deporrem
la spada
schiavo un
Dell'itala contrada
Finché
sia
:
Finché non
Una
sia
l'Italia
dall'Alpi al mar.
angolo
80. —
—
66
Finché rimanga un braccio
Dispieglierassi
altera,
Segno ai redenti popoli,
La tricolor bandiera,
Che
nata fra
patiboli
i
discende
guerresche tende
Terribile
Tra
le
Dei prodi che giurar
Di non depor la spada
Finché sia schiavo un
Dell'itala
contrada
Finché non
Una
Sarà
sia l'Italia
dall'Alpi al mar.
—
l'Italia
angolo
.
edifica
Sulla vagante arena
Chi tenta opporsi
—
Sui sogni lor
piena
la
misero
!
Dio verserà del Popolo.
Curvate il capo, o genti,
La speme dei redenti
La nuova Roma appar.
Non deporrem
la spada
schiavo un
Dell'itala contrada
Finché non sia l'Italia
Finché
sia
angolo
:
Una
Noi
lo
dall'Alpi al mar.
giuriam pei martiri,
Uccisi dai tiranni,
Pei
sacrosanti palpiti,
Compressi
E questo
Sangue
in cor tant'anni,
suol che sanguina
dei
nostri eroi
A
Dio dinnanzi, e al popolo
Ci sia solenne aitar.
Non deporrem
la spada
schiavo un
Dell'itala contrada
Finché non sia l'Italia
Finché
sia
:
Una
dall'Alpi al mar.
angolo
81. 67
—
L'ULTIMA ORA DI VENEZIA
ARNALDO FUSINATO
DI
era già ricaduta sotto il giogo straniero dopo la
eroica rivoluzione del 48-49, la quale aveva rivelato il
miracolo d'un popolo, creduto imbelle, che sapeva battersi e morire
per la propria redenzione, ed una sola città continuava a lottare, senza
speranza di vittoria, in un sublime accanimento, per il nome e per l'onore d'Italia. La difesa di Venezia, come già quella di Roma nella
quale si erano manifestati il senno politico di Mazzini e il valore
Tutta
sfortunata
indomito
città
gli
di
l'Italia
ma
'
Garibaldi, colpi
di
dopo
San Marco,
Italiani.
il
Arnaldo Fusinato,
—
mondo
alla
di
ammirazione, e
mesi
diciotto
vigilia
fame
di
della resa
la
caduta della
commosse
resistenza,
tutti
Venezia (24 agodalle armi nemi-
di
che
e
che
compose nell'Isola del Lazzaretto Vecchio dove si trovava di
guarnigione questa bellissima, toccantissima poesia, che corse la Penicuori e accendendo nuovi
sola intenerendo le anime, facendo dolorare
propositi di riscossa per tempi non lontani e migliori.
sto
1849)
—
vinta
dalla
piti
dal
colera
i
E' fosco l'aere.
Il cielo è muto,
Ed io sul tacito
Veron seduto.
In
—
morbo
Il
pan
Il
ci
infuria,
manca,
Sul ponte sventola
Bandiera bianca
!
solitaria
Malinconia
Ti guardo e lagrimo,
Venezia mia
No, no non splendere
Su
guai.
tanti
Sole d'Italia,
!
Fra i rotti nugoli
Dell'occidente
Il raggio perdesi
Del sol morente,
E mesto
Per
l'aria
bruna
Della laguna.
Della città
:
dalla
Qual novità?
Venezia
Ora
!
è
L'ultiina
venuta
gondola,
—
;
Ilustre martire,
Tu
sei
perduta...
Il
morbo
Il
Passa una gondola
Ehi,
Spenta fortuna
gemito
il
Si eterni
sibila
L'ultimo gemiro
Della laguna.
~
Non splender mai
E sulla veneta
pan
ti
infuria,
manca,
Sul ponte sventola
Bandiera bianca
!
;
82. 68
Ma
non
Ed
ignivome
le
—
ora infrangaci
Palle roventi,
Qui sulla
Né
Finché è ancor libera.
Questa mia cètra.
A te, Venezia,
L'ultimo canto,
L'ultimo bacio,
L'ultimo pianto
i
Su
fulmini
mille
stridenti,
t?
Troncare ai liberi
Tuoi dì lo stame...
Viva Venezia
!
Muori
fame
di
1
!
Ramingo ed esule
Sulle tu3 pagin'2
ScolpÌ3ci,
L'altrui
E
E
—
la
grida
storia.
nequizie
sua
posteri
:
Tre volte infame
Chi vuol Venszia
Morta di fame
!
Viva Venezia
L'ira
il
risuscita
Virtude antica
Ma
Ma
E'
;
il
morbo
infuria
il
pan
manca..
le
Sul ponte sventola
Bandiera bianca
!
Venezia,
Nel mio pensiero;
Vivrai nel tempio
Qui del mio cor?.
Come l'immagine
Del primo amore.
Ma
Ma
Ma
I
nemica
La sua
In suol straniero,
Vivrai,
gloria,
ai
pietra.
vento
sibila,
l'onda è scura,
tutta in
la
natura
tenebre
:
Le corde stridono,
La voce manca...
Sul ponte sventola
Bandiera bianca
!
83. —
69
—
LA CARABINA DEL BERSAGLIERE
CANTO
Come
DOMENICO CARBONE
DI
delusioni e gli insuccessi non avevano fatto disperare
Mazzini e di Garibaldi, così il tradimento di Pio IX, la
sconfitta di Novara, il trionfo finale dell'Austria e dei suoi tristi accoliti
non valse a far perdere la speranza nel futuro ai patriotti del Piemonte. Oh tempra d'acciaio, oh fede invitta dei nostri padri! Domenico
« Re Tentenna »
il
Carbone, colui che con una satira di grande linea
aveva vivamente scosso, a detta del Predari, l'animo di Carlo Alpartigiani di una politica
berto facendolo piegare più benigno verso
canto tutto speranza, la « Carabina
liberale e nazionale, scrisse un
del Bersagliere », che ebbe gran parte nell'opera di resistenza morale
e di preparazione iniziata dal Piemonte nel 1850.
ossia la via di Trieste, nelle cui
La via si calchi di Nabresina
vicinanze sta il piccolo villaggio di Nabresina.
seguaci
le
i
di
—
—
i
:
Mia carabina
—
mia
fidanzata,
Di tutto punto, tu se' parata;
Dolce tripudio della mia mano.
dell'occhio con cui ti spiano,
Amor
10 t'ho giurato la
fede mia
Sui vasti campi di Lombardia
Giorno
noxzc
di
si
;
ravvicina,
Mia carabina.
—
Mia carabina
mettiti a festa
Nozze di sangue l'Adige appresta
Ti
sarà
;
dote l'aurea
Vinta nel fuoco della battaglia
Altare,
Letto,
E
un
la
;
medaglia
;
preso d'assalto,
pietra d'un arduo spalto;
colle
tu d'ogni
arma
sarai regina.
Mia carabina.
Mia carabina
—
quando tu
La destra gota lieve mi
Quel tocco è il bacio
11
bersagliere
dalla
scatti,
batti
;
che
sua dama
invoca
e
brama
;
Solo col lampo che tu saetti.
Morte nel core dell'Austro metti.
Ma, quando tuoni, porti ruina.
Mia carabina.
84. —
Mia carabina
—
70
—
s'appanna
talor
Il
terso acciaro della tua canna
E
la
Roma
Ed
;
bocca sussurra e noma
Venezia e Roma.
e Venezia
rispondo
Che più ti resta ?
tua
io
Lupa,
:
;
:
La via
Leon li desta.
calchi di Nabresina,
scuoti
ti
si
;
Mia carabina.
—
Mia carabina
Spuntare
i
questi stranieri
nostri pennacchi neri
Dell'Alpi in vetta presto vedranno,
E
vanti in gola ricacceranno.
i
Fra le due schiatte pose natura
Coteste rócche, coteste mura,
A
ripigliarle
Dio
destina,
ti
Mia carabina.
Mia carabina
—
mai non dici
Troppi nel campo sono
nemici
Chiedi sol quanti per opra mia
tu
:
i
;
Mordon la terra nell'agonia.
E se ti metto la daga in testa,
Sembri una sposa vestita a festa,
E meni orrenda carneficina.
'
Mia carabina.
Mia carabina
Il
—
nessun
ci
segua
bersagliere passa e dilegua
Corre
Lo
col
vento,
col
tigre
:
;
balza
credi a fronte, dietro t'incalza
Qua
si
sparpaglia,
là si
;
:
raduna,
Pare e dispare la penna bruna
con te sempre, con te cammina,
;
Ma
Mia
carabina.
—
Mia carabina
le Adriache prode,
Ancor co' becchi l'aquila rode;
Ond'è che a punta di baionetta
Ti scrissi in calcio
morte o vendetta
guardo tanto mi regga
straniero fuggire io vegga
S'io cado,
Che
lo
:
!
il
;
E anco
sotterra siimi vicina.
Mia carabina.
85. 71
IL
—
BARCHETTO
DEL' 49
ANTONIO PAVAN
DI
Antonio Pavan, morto commendatore e Conservatore delle Ipoteche
riposo, era nel 1848 un giovane scrivano d'avvocato a Treviso. La
riolu2Ìone uel 22 marzo lo improvvisò poeta. E poeta fu e popolarissimo a' suoi giorni. // barchello del '49 e lo Stornello si cantarono,
nei sottovoce patriottici, su arie d'opere o di altre canzoni, particolarmente nelle famiglie degli emigrati veneti prima del '6tì.
a
Di notte una barchetta vien dal mare.
A
prora ha una bandiera tricolore,
ferma contro riva ad aspettare.
Si
Ad
I
aspettar dei giovanetti
fiore
il
:
volontari della santa guerra,
Pronti a morir per l'italiana terra.
STORNELLO GARIBALDINO
DI
Il
E
ANTONIO CAVAN
Fior d'amorino.
conosce dal mattino,
nasce l'onest'uom garibaldino
giorno
si