2. Scritta da Goffredo Mameli e musicata da
Michele Novaro nel 1850 circa, quest’opera
musicale diventa, nel 1946, l’Inno della
Repubblica Italiana.
3. GOFFREDO MAMELI
Nato il 5 Settembre 1827 a Genova, il poeta viene istruito nelle
Scuole Pie della città natale. A 20 anni, durante la carriera di
docente presso il collegio di Carcare nei pressi di Savona, scrive il
Canto deli Italiani, è evidente in lui un forte talento letterario.
Viene catturato dal patriottismo e nei primi anni della giovinezza
partecipa a memorabili gesta tutt’oggi ricordate. Nel 1848, con
trecento uomini, corre in soccorso di Nino Bixio, l’eccellente
condotta di questa impresa è la ragione per cui svolge il ruolo di
capitano nell’esercito di Garibaldi. Il giovane Mameli conduce
una vita all’insegna di imprese ausiliarie di importanti personaggi,
a soli 21 anni, dopo esser stato ferito in battaglia, muore per
sopravvenuta infezione il 6 Luglio 1849.
4. MICHELE NOVARO
Michele Novaro. Nasce il 23 ottobre 1818 a Genova, dove studia composizione
e canto. Nel 1847 è a Torino, con un contratto di secondo tenore e maestro dei
cori dei Teatri Regio e Carignano. Convinto liberale, offre alla causa
dell'indipendenza il suo talento compositivo, musicando decine di canti
patriottici e organizzando spettacoli per la raccolta di fondi destinati alle imprese
garibaldine. Di indole modesta, non trae alcun vantaggio dal suo inno più
famoso, neanche dopo l'Unità. Tornato a Genova, fra il 1864 e il 1865 fonda una
Scuola Corale Popolare, alla quale dedica tutto il suo impegno. Muore povero, il
21 ottobre 1885, e lo scorcio della sua vita è segnato da difficoltà finanziarie e
da problemi di salute. Per iniziativa dei suoi ex allievi, gli viene eretto un
monumento funebre nel cimitero di Staglieno, dove oggi riposa vicino alla
tomba di Mazzini.
6. Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Compatrioti italiani
L’Italia è pronta
Ad indossare l’elmo
E combattere la guerra
Scipio è il riferimento a Publio Cornelio
Scipione, il generale romano che nel 202
a.C. sconfisse il cartaginese Annibale
nella celebre battaglia di Zama,
decretando la fine della seconda guerra
punica.
7. Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Giunga la dea Vittoria
Affinché i suoi lunghi capelli possano esser
tagliati,
Poiché sarà conquistata e sottomessa dal
popolo italiano
Così è deciso dal destino e non potrà esserci
futuro diverso.
La chioma o i lunghi capelli erano,
nell’antica Roma, il simbolo di distinzione tra
le donne libere e le schiave. L’intento è di
tagliare i capelli lunghi della dea Vittoria in
segno di sottomissione.
8. Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Presentiamoci senza indugio alle armi,
restiamo uniti e compatti
Disposti a morire per la liberazione dal
nemico oppressore
È necessario per il bene della Nazione
La coorte (cohors) era un’unità da
combattimento dell’esercito romano,
composta da 600 uomini: era la decima
parte di una legione.
9. Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Noi per molto tempo
Siamo stati sottomessi e presi in giro
Perché non siamo un popolo unito
Perché siamo divisi.
Uniamoci e raccogliamoci
Sotto un’unica bandiera e un’unica speranza
È arrivato il momento di unirci.
Uniamoci in battaglia
Siamo pronti a morire
È necessario per il bene della Nazione
La speme è il riferimento alla speranza di
unità e ideali condivisi da tutti gli abitanti
della penisola in modo tale da creare un unico
Stato.
10. Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Uniamoci e amiamoci,
Questo connubio
È fonte di rivelazione al popolo
La via della giustizia;
Giuriamo di liberare dal nemico
La nostra terra natale:
Se siamo uniti da Dio,
Chi ci può sconfiggere?
Uniamoci in battaglia
Siamo pronti a morire
È necessario per il bene della Nazione.
In questa strofa viene interpretata la base politica della
«Giovine Italia», ossia l’unione degli Stati della penisola vista
come strumento di realizzazione della Repubblica.
L’espressione Per Dio è un francesismo che significa Da Dio,
visto come sostenitore dei popoli oppressi.
11. Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
In tutto il territorio
C’è il desiderio di combattere il nemico come nella battaglia
di Legnano,
Ogni uomo è come il capitano Francesco Ferrucci,
I fanciulli sono come Balilla, il fanciullo che nel 1746 diede
inizio alla rivolta popolare di Genova,
Il suono delle campane
Come nella rivolta dei siciliani al dominio angioino.
Uniamoci in battaglia
Siamo pronti a morire
È necessario per il bene della Nazione.
Con Legnano si fa riferimento alla Battaglia di Legnano
combattuta nel 1176 in cui Alberto da Giussano con la Lega
Lombarda sconfisse Federico I di Svevia. Ferruccio è il
richiamo al capitano fiorentino Francesco Ferrucci
protagonista della resa della città al cospetto di Carlo V
d’Asburgo. Balilla è il soprannome del fanciullo genovese che
nel 1746, lanciando una pietra contro un ufficiale, diede inizio
alla rivolta della città. La squilla e la campana che rimanda
all’evento dei “Vespri Siciliani”: moto per cui la Sicilia insorse
dopo 16 anni di dominio angioino (francese) e si diede agli
aragonesi (spagnoli). All’ora dei vespri del lunedì di Pasqua
del 31 marzo 1282 tutte le campane si misero a suonare per
sollecitare il popolo di Palermo all’insurrezione contro i
francesi.
12. Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.
Le spade dei mercenari (austriaci)
Sono come canne che si piegano
L’aquila dell’Austria
Ha già perso le penne
L’Austria ha sparso il sangue dell’Italia
e, con l’aiuto della Russia,
anche il sangue della Polonia
ma (presto) morirà.
Uniamoci per la battaglia
Siamo pronti a morire
È necessario per il bene della Nazione.
L'Austria degli Asburgo (di cui l’aquila bicipite era il simbolo
imperiale) era in declino (le spade vendute sono le truppe
mercenarie di cui erano piene le file dell’esercito imperiale) e
Mameli chiama un’ultima volta a raccolta le genti italiche per
dare il colpo di grazia alla dominazione austriaca con un
parallelismo con la Polonia. Tra il 1772 e il 1795, l’Impero
austro-ungarico, assieme alla Russia (il “cosacco”) aveva
invaso la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi,
l’italiano e il polacco, può trasformarsi in veleno attraverso la
sollevazione contro l’oppressore straniero.