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IL QUADRO DI PASQUA E LA GUERRA DEI DUE MONDI
Osservare il quadro di Pasqua dà le vertigini. È la lotta che si ripete ogni santo giorno tra due mondi
e che termina sempre nel più inaspettato dei modi. Da una parte ci sono Cesare e i suoi scagnozzi,
armati fino ai denti e sempre alle prese con stratagemmi costruiti per mantenere in piedi il Grande
Impero. Dall’altra una banda di poveracci al seguito del Nazareno, che senza avere né un esercito né
un conto in banca si permette di annunciare senza paura che, invece di lavorare per un impero,
sarebbe meglio costruire una grande famiglia fatta di uomini e donne che si riscoprono fratelli e
sorelle anche nella diversità. Le due realtà convivono nello stesso quadro, ma sono assolutamente
alternative. Chi osserva la scena, se non vuole diventare strabico, prima o poi deve scegliere: o di
qua, o di là.
Il Nazareno contro Cesare
Questo quadro non ha tempo né geografia. Dice cose diverse alle donne e agli uomini a seconda del
momento e del luogo in cui si trovano. È solo avere la pazienza di osservare. Ma i tratti di fondo
sono sempre gli stessi e la differenza tra i due mondi resta evidente. Il Nazareno vuole che le cose
cambino, che le persone siano libere, grida che le catene della schiavitù, dell’ingiustizia,
dell’oppressione dell’uomo sull’uomo, dei diritti calpestati devono essere spezzate al più presto. I
figli di Cesare, no. Loro vogliono che le cose restino come sono, che le persone pensino poco, che
obbediscano molto e, soprattutto, che non mettano in discussione il potere costituito.
Anche i modi di lottare sono diversi e danno colore alla scena. Da una parte c’è l’immenso esercito
romano, addestrato a mostrare e usare lancia e spada per terrorizzare, uccidere e difendere il
Sistema che regge il mondo di Cesare. Nessuno ha valore in sé, in quanto persona, ma vale solo in
funzione del ruolo che ricopre, del potere e del prestigio che guadagna, delle cose che ha. Dall’altra
parte c’è un giovane, poco più che trentenne, che non vuole neanche che i suoi discepoli mettano
mano alla spada per evitare che sia incarcerato ingiustamente. Che non ha nulla da difendere,
neppure la propria vita, perché dice che c’è già chi si prende cura di lui. Che invece di mostrarsi
leader invincibile lava i piedi ad amici e non (anche a Giuda Iscariota, il traditore). Che si occupa
delle persone che incontra come se non ci fosse nulla di più importante. Che condivide tutto quello
che ha e che chiede a chi vuole essere dei suoi di fare la stessa cosa: da questa parte del quadro non
si parla di risultati o di merito – tutto ciò che si ha è un dono gratuito – ma si riceve il necessario
semplicemente in base al proprio bisogno.
E ancora. Da un lato c’è Cesare che mostra di conoscere ciò che è bene e ciò che è male per ogni
uomo e dispensa quindi risposte semplici, facili e tranquillizzanti a chiunque sia disposto ad
ascoltarlo. Dall’altra incontriamo Gesù che continua a rilanciare la domanda: “E tu, chi pensi che io
sia?”. Nessuna risposta chiara e tonda, ma solo una richiesta precisa a tutti quelli che vogliono stare
dalla sua parte: continua a cercare, a farti domande, a lavorare per la costruzione di un mondo
diverso da quello che conosci oggi. Un mondo fatto di gratuità, fratellanza, servizio, condivisione,
perdono, rispetto profondo dei diritti, non di tornaconto, sfruttamento, egoismo, condanna, fame di
potere.
Insomma, di differenze ce ne sono, eccome. Anche perché, come dice Gesù, il suo “regno”, il suo
“Stato” diremmo oggi, non è di questo mondo. E quindi chi lo vuole seguire deve un po’
inventarselo ascoltando quello che ha detto il Nazareno, guardando quello che ha fatto e,
soprattutto, riconoscendolo nelle nostre sorelle, nei nostri fratelli, nel Creato.
Se vogliamo partecipare alla costruzione della famiglia di Dio è fondamentale che tutti noi ci
impegniamo a guardare il quadro di Pasqua anche oggi, dove ci troviamo. A domandarci che cosa
possiamo provare a cambiare perché questa terra assomigli un po’ di più al regno del Nazareno e
sempre meno a quello di Cesare.
Il volto brasiliano
Il Brasile in cui viviamo da quasi 28 mesi ci sta obbligando a dare un’occhiata più da vicino a
questo immenso disegno e a prendere una posizione con sempre maggiore decisione. Ecco due
scene.
In carcere. Da una parte del quadro vedo: un detenuto costretto a fare la pipì in una bottiglia di
plastica, davanti a tutti, perché l’ultimo posto che è rimasto per lui è in un corridoio dove non c’è il
bagno; persone svenendo a causa dello spray al peperoncino spruzzato per divertimento dagli agenti
penitenziari; spose, madri e sorelle di uomini incarcerati umiliate ad ogni visita con ispezioni
vaginali. Dall’altra parte, vedo: un Parlamento indaffarato a difendere i propri cittadini abbassando
l’età in cui si può essere arrestati; uno Stato che non manda neppure i soldi per comprare una
tachipirina per chi è carcere; una corruzione dilagante tra gli stessi carcerieri. Dove sarà Cesare e
dove il Nazareno? E che cos’è che si può provare a cambiare?
A Piquiá, il quartiere di Açailândia dove abbiamo vissuto due anni. Vediamo persone che si
ammalano tutti i giorni a causa della polvere di ferro e dei gas iniettati nei loro polmoni da cinque
siderurgiche che si sono installate qui quando già c’erano case, ospedale, scuola; tutte le famiglie
che vivono a Piquiá de Baixo saranno presto costrette ad andarsene per il troppo inquinamento e chi
ancora sta là è perché è troppo povero per affittare una casa da un’altra parte; sono tanti i bambini
nati sani che si sono ammalati in breve tempo per l’aria sporcata dagli altoforni di queste industrie.
Nello stesso quartiere c’è una ferrovia, quella che trasporta il ferro lavorato dalle siderurgiche, dove
passa ogni giorno un valore stimato in quasi 19 milioni di dollari al giorno; ci sono le siderurgiche
che si rifiutano di collocare i filtri negli altoforni perché altrimenti ci guadagnerebbero troppo poco;
c’è una multinazionale, la Vale, che lucra sui polmoni di questi abitanti e che è riconosciuta dal
salotto buono delle borse mondiali come un modello di sostenibilità (la stessa Vale che vende
minerale alla Ilva di Taranto); si vede un territorio devastato da piantagioni immense di eucalipto,
piantato per potere produrre il carbone che serve a fare andare i forni delle industrie. Dove sarà il
Sistema che vuole difendere Cesare e dove il Nazareno? E possiamo restare a guardare i fratelli
morire sepolti dalla polvere di ferro?
Visto dall’Italia
Di dettagli da queste parti se ne vedono anche altri, ma il quadro di Pasqua offre delle prospettive
interessanti anche guardandolo dall’Italia. Disperati che scappano dall’Africa alla ricerca di un
mondo migliore e che trovano un Paese che non sa ospitare, quando non finiscono annegati prima
ancora di esserci arrivati; lavoratori che perdono il lavoro e la dignità per le scommesse finanziarie
di gente che continua a fare le vacanze sullo yacht di mamma e papà; centri-città scintillanti con
poche case di pochissimi ultra-ricchi e periferie sporche e puzzolenti stipate di gente; giovani
perseguitati per il proprio orientamento sessuale e una società pronta a chiudere entrambi gli occhi
di fronte a questa discriminazione; bambini rom accusati di essere ladri ancora prima di uscire dalla
culla. Il Nazareno e l’Impero Romano dove stanno? E noi, che cosa vogliamo costruire?
E non possiamo sfuggire neppure rinchiudendoci nelle nostre chiese. Il quadro di Pasqua si vede
pure là. I capi dei sacerdoti tenevano stretto stretto il potere che il Sistema dava loro in cambio di un
appoggio incondizionato (“non abbiamo altro re che Cesare”, dicono in Gv 19,15). E che cosa
appoggiano i nostri sacerdoti, le nostre comunità, le nostre chiese, le nostre famiglie oggi? Il
Sistema o il Nazareno?
L’ultima pennellata
Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, ma sarebbero senz’altro inutili: ognuno di noi è
chiamato a guardare questa immagine partendo dalla propria vita, non da quella degli altri. La
Pasqua, a ogni modo, lascia a tutti la stessa speranza, che è anche una certezza: l’ultima pennellata
del quadro è la risurrezione. Alla fine quella banda di poveracci al seguito del Nazareno, senza
avere un esercito né un conto in banca, in modo del tutto inaspettato, vincerà la guerra dei due
mondi. Non sappiamo come, né quando, né dove, ma la certezza della fede sta tutta qui: credere che
Dio continua agendo nella storia attraverso quei fragili pittori che ce la mettono tutta per collaborare
a costruire quella famiglia di cui ci parla Gesù. Una fede, quindi, che non resta cristallizzata in un
evento di duemila anni fa, ma che cambia le nostre vite oggi.
Buona Pasqua!
Il nostro augurio di buona Pasqua, quindi, è di vedere con sempre maggiore chiarezza questo
quadro, imparando a distinguere tra le azioni di Cesare e quelle del nostro fratello Gesù. Per entrare
finalmente noi stessi nel quadro, scegliendo una volta per tutte: o di qua, o di là.

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Il quadro di Pasqua e la guerra dei due mondi

  • 1. IL QUADRO DI PASQUA E LA GUERRA DEI DUE MONDI Osservare il quadro di Pasqua dà le vertigini. È la lotta che si ripete ogni santo giorno tra due mondi e che termina sempre nel più inaspettato dei modi. Da una parte ci sono Cesare e i suoi scagnozzi, armati fino ai denti e sempre alle prese con stratagemmi costruiti per mantenere in piedi il Grande Impero. Dall’altra una banda di poveracci al seguito del Nazareno, che senza avere né un esercito né un conto in banca si permette di annunciare senza paura che, invece di lavorare per un impero, sarebbe meglio costruire una grande famiglia fatta di uomini e donne che si riscoprono fratelli e sorelle anche nella diversità. Le due realtà convivono nello stesso quadro, ma sono assolutamente alternative. Chi osserva la scena, se non vuole diventare strabico, prima o poi deve scegliere: o di qua, o di là. Il Nazareno contro Cesare Questo quadro non ha tempo né geografia. Dice cose diverse alle donne e agli uomini a seconda del momento e del luogo in cui si trovano. È solo avere la pazienza di osservare. Ma i tratti di fondo sono sempre gli stessi e la differenza tra i due mondi resta evidente. Il Nazareno vuole che le cose cambino, che le persone siano libere, grida che le catene della schiavitù, dell’ingiustizia, dell’oppressione dell’uomo sull’uomo, dei diritti calpestati devono essere spezzate al più presto. I figli di Cesare, no. Loro vogliono che le cose restino come sono, che le persone pensino poco, che obbediscano molto e, soprattutto, che non mettano in discussione il potere costituito. Anche i modi di lottare sono diversi e danno colore alla scena. Da una parte c’è l’immenso esercito romano, addestrato a mostrare e usare lancia e spada per terrorizzare, uccidere e difendere il Sistema che regge il mondo di Cesare. Nessuno ha valore in sé, in quanto persona, ma vale solo in funzione del ruolo che ricopre, del potere e del prestigio che guadagna, delle cose che ha. Dall’altra parte c’è un giovane, poco più che trentenne, che non vuole neanche che i suoi discepoli mettano mano alla spada per evitare che sia incarcerato ingiustamente. Che non ha nulla da difendere, neppure la propria vita, perché dice che c’è già chi si prende cura di lui. Che invece di mostrarsi leader invincibile lava i piedi ad amici e non (anche a Giuda Iscariota, il traditore). Che si occupa delle persone che incontra come se non ci fosse nulla di più importante. Che condivide tutto quello che ha e che chiede a chi vuole essere dei suoi di fare la stessa cosa: da questa parte del quadro non si parla di risultati o di merito – tutto ciò che si ha è un dono gratuito – ma si riceve il necessario semplicemente in base al proprio bisogno. E ancora. Da un lato c’è Cesare che mostra di conoscere ciò che è bene e ciò che è male per ogni uomo e dispensa quindi risposte semplici, facili e tranquillizzanti a chiunque sia disposto ad ascoltarlo. Dall’altra incontriamo Gesù che continua a rilanciare la domanda: “E tu, chi pensi che io sia?”. Nessuna risposta chiara e tonda, ma solo una richiesta precisa a tutti quelli che vogliono stare dalla sua parte: continua a cercare, a farti domande, a lavorare per la costruzione di un mondo diverso da quello che conosci oggi. Un mondo fatto di gratuità, fratellanza, servizio, condivisione, perdono, rispetto profondo dei diritti, non di tornaconto, sfruttamento, egoismo, condanna, fame di potere. Insomma, di differenze ce ne sono, eccome. Anche perché, come dice Gesù, il suo “regno”, il suo “Stato” diremmo oggi, non è di questo mondo. E quindi chi lo vuole seguire deve un po’ inventarselo ascoltando quello che ha detto il Nazareno, guardando quello che ha fatto e, soprattutto, riconoscendolo nelle nostre sorelle, nei nostri fratelli, nel Creato. Se vogliamo partecipare alla costruzione della famiglia di Dio è fondamentale che tutti noi ci impegniamo a guardare il quadro di Pasqua anche oggi, dove ci troviamo. A domandarci che cosa possiamo provare a cambiare perché questa terra assomigli un po’ di più al regno del Nazareno e sempre meno a quello di Cesare.
  • 2. Il volto brasiliano Il Brasile in cui viviamo da quasi 28 mesi ci sta obbligando a dare un’occhiata più da vicino a questo immenso disegno e a prendere una posizione con sempre maggiore decisione. Ecco due scene. In carcere. Da una parte del quadro vedo: un detenuto costretto a fare la pipì in una bottiglia di plastica, davanti a tutti, perché l’ultimo posto che è rimasto per lui è in un corridoio dove non c’è il bagno; persone svenendo a causa dello spray al peperoncino spruzzato per divertimento dagli agenti penitenziari; spose, madri e sorelle di uomini incarcerati umiliate ad ogni visita con ispezioni vaginali. Dall’altra parte, vedo: un Parlamento indaffarato a difendere i propri cittadini abbassando l’età in cui si può essere arrestati; uno Stato che non manda neppure i soldi per comprare una tachipirina per chi è carcere; una corruzione dilagante tra gli stessi carcerieri. Dove sarà Cesare e dove il Nazareno? E che cos’è che si può provare a cambiare? A Piquiá, il quartiere di Açailândia dove abbiamo vissuto due anni. Vediamo persone che si ammalano tutti i giorni a causa della polvere di ferro e dei gas iniettati nei loro polmoni da cinque siderurgiche che si sono installate qui quando già c’erano case, ospedale, scuola; tutte le famiglie che vivono a Piquiá de Baixo saranno presto costrette ad andarsene per il troppo inquinamento e chi ancora sta là è perché è troppo povero per affittare una casa da un’altra parte; sono tanti i bambini nati sani che si sono ammalati in breve tempo per l’aria sporcata dagli altoforni di queste industrie. Nello stesso quartiere c’è una ferrovia, quella che trasporta il ferro lavorato dalle siderurgiche, dove passa ogni giorno un valore stimato in quasi 19 milioni di dollari al giorno; ci sono le siderurgiche che si rifiutano di collocare i filtri negli altoforni perché altrimenti ci guadagnerebbero troppo poco; c’è una multinazionale, la Vale, che lucra sui polmoni di questi abitanti e che è riconosciuta dal salotto buono delle borse mondiali come un modello di sostenibilità (la stessa Vale che vende minerale alla Ilva di Taranto); si vede un territorio devastato da piantagioni immense di eucalipto, piantato per potere produrre il carbone che serve a fare andare i forni delle industrie. Dove sarà il Sistema che vuole difendere Cesare e dove il Nazareno? E possiamo restare a guardare i fratelli morire sepolti dalla polvere di ferro? Visto dall’Italia Di dettagli da queste parti se ne vedono anche altri, ma il quadro di Pasqua offre delle prospettive interessanti anche guardandolo dall’Italia. Disperati che scappano dall’Africa alla ricerca di un mondo migliore e che trovano un Paese che non sa ospitare, quando non finiscono annegati prima ancora di esserci arrivati; lavoratori che perdono il lavoro e la dignità per le scommesse finanziarie di gente che continua a fare le vacanze sullo yacht di mamma e papà; centri-città scintillanti con poche case di pochissimi ultra-ricchi e periferie sporche e puzzolenti stipate di gente; giovani perseguitati per il proprio orientamento sessuale e una società pronta a chiudere entrambi gli occhi di fronte a questa discriminazione; bambini rom accusati di essere ladri ancora prima di uscire dalla culla. Il Nazareno e l’Impero Romano dove stanno? E noi, che cosa vogliamo costruire? E non possiamo sfuggire neppure rinchiudendoci nelle nostre chiese. Il quadro di Pasqua si vede pure là. I capi dei sacerdoti tenevano stretto stretto il potere che il Sistema dava loro in cambio di un appoggio incondizionato (“non abbiamo altro re che Cesare”, dicono in Gv 19,15). E che cosa appoggiano i nostri sacerdoti, le nostre comunità, le nostre chiese, le nostre famiglie oggi? Il Sistema o il Nazareno? L’ultima pennellata Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, ma sarebbero senz’altro inutili: ognuno di noi è chiamato a guardare questa immagine partendo dalla propria vita, non da quella degli altri. La Pasqua, a ogni modo, lascia a tutti la stessa speranza, che è anche una certezza: l’ultima pennellata
  • 3. del quadro è la risurrezione. Alla fine quella banda di poveracci al seguito del Nazareno, senza avere un esercito né un conto in banca, in modo del tutto inaspettato, vincerà la guerra dei due mondi. Non sappiamo come, né quando, né dove, ma la certezza della fede sta tutta qui: credere che Dio continua agendo nella storia attraverso quei fragili pittori che ce la mettono tutta per collaborare a costruire quella famiglia di cui ci parla Gesù. Una fede, quindi, che non resta cristallizzata in un evento di duemila anni fa, ma che cambia le nostre vite oggi. Buona Pasqua! Il nostro augurio di buona Pasqua, quindi, è di vedere con sempre maggiore chiarezza questo quadro, imparando a distinguere tra le azioni di Cesare e quelle del nostro fratello Gesù. Per entrare finalmente noi stessi nel quadro, scegliendo una volta per tutte: o di qua, o di là.