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34 IL GIORNALE DELL’ARTE Numero 376, giugno 2017
A cura di Barbara Antonetto
Il golfo di Imperia visto dalla cupola di San Maurizio
Imperia. Il secondo lotto di restauro della Basilica di San Maurizio ha completamente
restituito al capoluogo ligure il Duomo nel suo duplice aspetto di luogo di culto e di meta
turistica. Sono state infatti rifatte le coperture compromesse dagli agenti atmosferici
ed è stato predisposto un percorso di visita che conduce in cima alla cupola da dove
si può ammirare il panorama completo d’Imperia, da Capo Berta alla collina di Poggi
fino a Montegrazie. L’itinerario s’inerpica all’interno della cupola, mostrando i principali
elementi costruttivi che reggono la volta, dalla carpenteria in legno all’estradosso in
muratura. Con i suoi 3mila metri quadrati di superficie, la Basilica di San Maurizio è
considerata la più grande chiesa della Liguria, realizzata tra il 1781 e il 1828 su progetto
dell’architetto svizzero Gaetano Cantoni, che si ispirò ai disegni dell’architetto Galeazzo
Alessi per la Basilica di Santa Maria di Carignano a Genova. È stata la parrocchia di
Imperia a farsi carico dell'impegnativo cantiere, come già aveva fatto per il primo lotto
conclusosi nella primavera del 2014 che aveva interessato in particolare la facciata e
le sue monumentali statue in gesso (cfr. n. 344, lug-ago- ’14, p. 23). Il progetto è stato
curato dall’architetto Cristina Tealdi e supervisionato dai funzionari della Soprintendenza
di Genova, Leone e Lanza. Attualmente è in fase conclusiva il terzo e ultimo lotto.
Dall’avvio dei lavori ad oggi la parrocchia ha speso nel restauro del Duomo quasi un
milione di euro ricorrendo anche a donazioni, lasciti e vendita di beni. q Emmanuele Bo
Il Giornale del
RESTAUROe della Tutela
©Riproduzioneriservata
Nella foto sopra, Casa Botines a León
opera di Gaudí del 1893 (nella foto sotto,
la scala). Nella foto a destra, Casa Vicens
a Barcellona. Edificata nel 1885, è ia prima
opera dell’architetto modernista
La navata centrale di Sant’Angelo in Formis a Capua durante i lavori
Barcellona e León
Gaudí dalla prima all’ultima casa
Casa Botines musealizzata apre in giugno mentre la prima casa
dell’architetto modernista, Casa Vicens, sarà visitabile dall’autunno
León e Barcellona (Spagna). In giugno, do-
po 125 anni di storia privata, Casa Boti-
nes apre al pubblico trasformata in mu-
seo dalla Fundación España-Duero.
Un Gaudí di bronzo, seduto su una pan-
china davanti alla facciata principale, dà
il benvenuto alla casa che gli commissio-
narono Simón Fernández e Mariano An-
drés, commercianti di tela in affari con
il suo mecenate Eusebi Güell. L’edificio,
che con i suoi quattro piani all’epoca era
praticamente un grattacielo, introdusse
la modernità nella cittadina di León. Ora
è passato da casa familiare e negozio di
tele a museo. Il piano interrato è dedi-
cato a esporre la raccolta della fondazio-
ne attraverso un programma di mostre
temporali iniziato con la prima edizione
della serie completa dei «Capricci» di
Francisco Goya. Al piano nobile sono
stati ricreati nei minimi dettagli il nego-
zio di stoffe di Fernández e Andrés così
com’era nel 1893 e un’agenzia bancaria
del 1929, accompagnata dalla storia della
banca spagnola raccontata con fotogra-
fie, documenti e oggetti. Gli altri piani
accolgono una replica delle abitazio-
ni dei due commercianti con mobili e
suppellettili originali, una mostra di
disegni, bozzetti, modelli e documenti
autografi di Gaudí e una pinacoteca con
opere di artisti contemporanei dell’ar-
chitetto, tra cui Ramón Casas, Raimun-
do de Madrazo, Joaquín Sorolla, Ignacio
Pinazo, Nicanor Piñole e Joaquín Mir.
Anche queste appartengono alla Funda-
ción España-Duero, la cui raccolta conta
8mila opere frutto di oltre due secoli di
collezionismo. Presto si potrà visitare
anche la torre dell’edificio esattamente
come Gaudí la concepì nel 1893.
Nella Casa Vicens,
le radici di Gaudí
Antoni Gaudí si laureò in architettura
nel 1878 e la Casa Vicens di Barcello-
na, che consegnò nel 1885, fu il suo pri-
mo incarico importante. Si trattava della
casa di villeggiatura dell’agente di borsa
Manuel Vicens nel quartiere di Gràcia,
allora aperta campagna, oggi una selva
di alte costruzioni. Casa Vicens è uno
degli otto edifici di Barcellona dichiara-
ti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco
ed è l’ultimo che aprirà al pubblico il
prossimo autunno dopo 130 anni di uso
come residenza privata e due di restauri
costati quattro milioni di euro finanziati
da MoraBanc. La banca di Andorra l’ha
comprata nel 2014 dalla famiglia Herre-
ro-Jover, che a sua volta aveva rilevato
lo stabile nel 1899 dalla vedova Vicens.
L’importo finale dell’operazione, sep-
pure non trapelato, sarà sicuramente
inferiore ai 35 milioni di euro richiesti
quando fu posta in vendita nel 2007.
Gli architetti incaricati del restauro, José
ogni mezz’ora, per non superare un totale di
500 visitatori al giorno, cioè 150mila all’anno,
una cifra molto lontana dai numeri che affol-
lano altri edifici di Gaudí» spiega Abellà.
La visita si completerà con una mostra
permanente, curata da Marta Antuñano,
sulla storia della casa, il contesto sociale,
storico e artistico in cui venne realizza-
ta e la sua importanza nell’ambito della
produzione gaudiniana. In mancanza
di fotografie degli arredi originali, gli
interni non saranno ammobiliati. Dopo
l’apertura di Casa Vicens, saranno visita-
bili tutte le opere di Gaudí tranne il Co-
legio de las Teresianas e la Casa Calvet.
La Sagrada
nell’occhio del ciclone
Intanto la Sagrada Familia è di nuovo
al centro di polemiche. Le dure criti-
che mosse da Dani Mòdol, assessore ad
Architettura, Paesaggio urbano e Patri-
monio del Comune di Barcellona (cfr.
n. 369, nov. ’16, p. 1 e 6) e le minacciate
denunce di abuso edilizio e costruzione
illegale non hanno spaventato il Patro-
nato del tempio, convinto più che mai
di terminare l’opera in dieci anni in-
nalzando in poco più di quattro anni le
sei torri che cambieranno lo skyline di
Barcellona: le quattro degli Evangelisti
di 135 metri ciascuna, quella della Ma-
Antonio Martínez Lapeña, David García
e Elies Torres, stanno riportando l’edifi-
cio di quattro piani al suo stato origina-
le eliminando gli ampliamenti del 1935
e del 1946 e recuperando la terrazza e
la scala centrale soppressa nel 1925. In
quell’occasione l’edificio fu trasformato
da residenza estiva unifamiliare a domi-
cilio abituale plurifamiliare dall’archi-
tetto Joan Baptista Serra de Martínez,
discepolo di un anziano Gaudí che diede
il suo consenso al progetto. In origine
la casa aveva una cascata, un belvedere,
una cappella dedicata a Santa Rita, una
sorgente di acque considerate curative e
uno splendido giardino che fu poi ven-
duto a lotti. «È una vergogna che il Comune
non abbia protetto la Casa Vicens», denun-
ciano gli architetti che si rammaricano
che i visitatori non potranno accedere
alla terrazza sul tetto: «Le ringhiere sono
troppo basse e alzarle avrebbe snaturato l’ar-
chitettura», spiegano.
La Casa Vicens si caratterizza per un co-
lorato insieme di stile moresco con for-
me d’ispirazione indiana e giapponese
e interni decorati con una profusione
di uccelli, piante, frutti di bosco, uva e
ciliegie. Secondo Joan Abellà, che per
dirigere la casa museo ha lasciato la dire-
zione amministrativa del Museo de Arte
Contemporáneo de Barcellona (Macba),
«la visita sarà un esempio di turismo sostenibi-
le». «Permetteremo l’accesso solo a 25 persone continua a p. 35, i col.
Capua
Sant’Angelo in Formis da
Diana Tifatina a papa Vittore III
Nei prossimi 6 mesi interventi strutturali e restauri
degli affreschi: per il recupero complessivo
della Basilica occorrono 4 milioni di euro
Capua (Ce). Durerà sei mesi e costerà un
milione di euro l’intervento che inte-
resserà l’architettura e i cicli decorativi
della Basilica di Sant’Angelo in For-
mis. L’edificio, sorto verso il VI secolo
d.C. per opera dei Longobardi che co-
struirono un complesso religioso sui re-
sti di un tempio romano sacro a Diana
Tifatina, presentava «profonde lesioni sulla
navata di destra e nel muro perimetrale, spe-
cifica l’architetto Luca Maggi, ex diretto-
re del Segretariato regionale campano
del Mibact, oltre a lesioni verticali indicative
di una serie di movimenti». Tra le cause le
infiltrazioni dovute alla mancata irreg-
gimentazione delle acque piovane che
hanno anche compromesso la leggibilità
e la bellezza di alcuni cicli pittorici.
Le decorazioni, ritenute un’importan-
te testimonianza di matrice bizantina
dell’XI secolo, vennero commissionate
dall’abate di Montecassino Desiderio, poi
papa Vittore III, che ricevette in dono la
Basilica da Riccardo, principe di Capua,
nel 1072. Sulla controfacciata campeg-
gia il Giudizio Universale con al centro
Cristo giudice, mentre sulle pareti delle
navate si articolano scene dell’Antico e
del Nuovo Testamento (ne sono soprav-
vissute sessanta). Gli affreschi più com-
promessi sono quelli dell’abside cen-
trale con i tre Arcangeli, san Benedetto
e l’abate Desiderio nell’atto di offrire il
modellino della nuova chiesa quasi il-
leggibili per muffe ed efflorescenze. In
questo caso il recupero prevede non solo
consolidamento, pulizia e restauro delle
decorazioni, ma anche una cerchiatura
dell’area sommitale al fine di mettere in
sicurezza la struttura. Altri interventi so-
no previsti per le capriate lignee che co-
prono le tre navate absidate. Le somme
risparmiate con il ribasso d’asta saranno
reinvestite in restauri sull’edificio stesso
il cui recupero totale necessita di qua-
si altri tre milioni di euro. Per metterli
insieme, oltre che sui fondi del Mibact,
si punta sui finanziamenti che potreb-
bero arrivare dai privati con la formula
dell’ArtBonus. «In due anni, racconta il sot-
tosegretario del Mibact Antimo Cesaro,
per i nostri beni culturali abbiamo raccolto 160
milioni. Questo strumento innovativo voluto da
Franceschini non va sottovalutato: dà vantag-
gio finanziario all’imprenditore che con il cre-
dito d’imposta restituisce al territorio in quota
parte la ricchezza prodotta e contribuisce ad
aumentare la visibilità della sua azienda».
Il recupero di Sant’Angelo in Formis ri-
mane però solo un tassello del comples-
so quadro della valorizzazione dei beni
del Casertano. L’obiettivo, secondo Cesa-
ro «è quello di costituire uno straordinario polo
culturale, facendo rete con il Museo Campano,
con Mitreo e Anfiteatro di Santa Maria Capua
Vetere, con Caserta Vecchia e Teano, sino ad ar-
rivare al motore del turismo dell’area che è la
Reggia di Caserta». q Carlo Avvisati
È Gatti in 800 pezzi, «ne sono più che convinta»
L’Aquila. Il terremoto del 2009 aveva ridotto in ottocento frammenti il Sant’Andrea
in terracotta alloggiato in una nicchia dell’omonima chiesa di Stiffe nell’Aquilano, a
tutt’oggi danneggiata. Dopo l’analisi della fluorescenza ai raggi X e la catalogazione
di ogni frammento, un lavoro minuzioso ha permesso di ricomporre la scultura
con risultati sorprendenti anche se la superficie dipinta è risultata parzialmente
irrecuperabile. Restaurato, il Sant’Andrea di Stiffe è entrato al Museo Nazionale
d'Abruzzo a L’Aquila. Lucia Arbace, direttore del Polo Museale dell’Abruzzo, che
aveva avanzato l’attribuzione della terracotta a Saturnino Gatti (1463 ca-1518 ca) in
una sua monografia sull’artista del 2012, ora ne è «più che convinta». Nell’opuscolo
Sant’Andrea apostolo e pescatore. Capolavori restaurati da Stiffe a Pescara scrive che
la scultura è un capolavoro e apre «inedite prospettive per la conoscenza della plastica
abruzzese d’inizio Cinquecento e dei suoi rapporti artistici con la Toscana». q Ste.Mi.
©Riproduzioneriservata
FotoPolViladoms
35IL GIORNALE DELL’ARTE Numero 376, giugno 2017
Restauro
©Riproduzioneriservata
Tutto Gaudí
donna di 140 metri e quella di Gesù che
con 172,5 metri farà della Sagrada l’edi-
ficio più alto della città superato solo
dalla collina di Montjuïc alta 173 metri.
Gli architetti della Sagrada Familia non
solo si rifiutano di fare autocritica, ma
rivendicano il loro intervento che consi-
derano degno dello spirito e dei progetti
che Gaudí lasciò incompiuti quando fu
travolto da un tram nel 1926. L’architet-
to capo Jordi Faulí, che assomiglia sem-
pre di più a Gaudí anche fisicamente, si
è affidato alla tecnologia per spiegare i
procedimenti che gli hanno permesso di
ricostruire i disegni e i modelli distrutti
durante la Guerra Civile e di utilizzarli
per continuare l’opera secondo la vo-
lontà dell’architetto modernista. Faulí
ha anche difeso a spada tratta la costru-
zione della Facciata della Gloria, la
più grande e monumentale di tutte, che
obbligherà a interrompere il transito su
calle Mallorca e soprattutto a demolire
un intero isolato densamente popolato,
un intervento traumatico che implica ri-
alloggiare centinaia di persone.
«Il progetto culminerà con una proiezione di
fasci di luce dai pinnacoli delle torri che evoche-
ranno i raggi di Cristo» ha spiegato Faulí,
evitando di pronunciarsi sul permesso
di costruzione che secondo il Comune
di Barcellona la Sagrada Familia non ha
mai avuto in 134 anni. La sindaca Ada
Colau, decisa a far rispettare la legge,
ha assicurato che dall’anno in corso la
basilica pagherà una regolare licenza,
purtroppo molto difficile da contabiliz-
zare. Per questo il Comune e il Patronato
della Sagrada Familia hanno creato una
commissione tecnica che s’incaricherà
di risolvere il complicato contenzioso.
A Barcellona le costruzioni pagano una
tassa percentuale sul costo (ma la Chiesa
è esente) e una licenza in funzione della
loro dimensione e della superficie calpe-
stabile (ma come si calcola nel caso di sei
torri che occupano un intero isolato e
sono vuote al loro interno?). Il Comune
spera di aver trovato la risposta in tem-
po per riscuotere l’onere di quest’anno,
mentre le famiglie che potrebbero esse-
re espropriate hanno già presentato una
denuncia contro la Sagrada Familia «in
quanto viola la legalità urbanistica pre-
vista dal Piano Generale Metropolitano
con le colonne della Facciata della Gloria
che invadono lo spazio pubblico ben ol-
tre i 15 centimetri concessi». Il loro porta-
voce Juan Ichaso ha denunciato la com-
pleta impunità di cui gode il tempio e ha
ricordato che il Comune, nonostante sia
informato da quasi dieci anni del man-
cato rispetto delle norme urbanistiche
sull’allineamento degli edifici, non ha
mai preso nessun provvedimento. «La Sa-
grada Familia ha fatto collassare il quartiere,
provocato un aumento degli affitti e sostituito i
negozi di quartiere con negozi di souvenir» ha
affermato Ichaso. La Sagrada Familia è il
monumento più visitato della Spagna e
nel 2016 ha registrato 3,7 milioni di tu-
risti, ai quali si devono sommare quelli
che la fotografano dalla strada senza en-
trare. Poiché i biglietti sono la fonte prin-
cipale per finanziare i lavori, il Patronato
si rifiuta di stabilire un numero chiuso
come succede per esempio con l’Alham-
bra di Granada. «Calcolando una media di 18
euro per persona, l’anno scorso hanno ricavato
66 milioni solo di biglietti. Noi chiediamo che
il Comune stabilisca una tassa di un euro per
visitatore da investire in servizi per ovviare al
logorio che l’invasione continua di milioni di
turisti genera», ha concluso il portavoce
degli abitanti del quartiere.
q Roberta Bosco
segue da p. 34, iii col.
Stupinigi: è toccato al re
Nichelino (To). A distanza di un anno
dall'inaugurazione dell’Appartamento della
regina (cfr. n. 366, lug.ago. ’16, p.26) al
percorso di visita della barocca Palazzina
di caccia di Stupinigi, una delle Residenze
Sabaude meglio conservate, si aggiunge
l'Appartamento del re che riapre dopo 13
anni al termine di un restauro anch’esso
gestito dalla Consulta per la Valorizzazione
dei Beni artistici e culturali di Torino con
la supervisione della Soprintendenza.
Capolavoro di Filippo Juvarra cui si
deve, oltre che il progetto architettonico
dall'originale pianta a croce di sant'Andrea,
anche la regia delle decorazioni disegnate fin
nei minimi particolari, la Palazzina appartiene
alla Fondazione Ordine Mauriziano. Nel 1988
è stato avviato un piano di recupero complessivo dell'edificio, delle decorazioni e
dei giardini sostenuto principalmente dalla Fondazione Crt cui va il merito di avere
ad oggi finanziato lavori per quasi 20 milioni di euro (cfr. n. 354, giu. ’15, p.23). Nei
cinque ambienti che compongono l'Appartamento del re (anticamera, camera da
letto, nella foto, gabinetto da toeletta, piccola galleria e salotto) sono stati restaurati
tutti gli apparati decorativi fissi (i dipinti murali, tra cui le Storie di Diana affrescate
da Michele Antonio Milocco sulla volta della camera da letto, le sovrapporte di
Domenico Olivero, le boiserie lignee, le porte decorate da Giovan Francesco Fariano,
gli scuri delle finestre con paesaggi e scene di genere di Scipione Cignaroli, le
carte da parati, le tappezzerie in seta, i pavimenti in seminato alla veneziana e i
camini in marmo) e alcuni beni mobili: tra i tanti pezzi di ebanisteria piemontese del
Settecento, di particolare pregio il pregadio di Pietro Piffetti. q Barbara Antonetto
Verona
«La più bella sagrestia che fusse in Italia»
Così definì Vasari quella di Santa Maria in Organo
Verona. La città scaligera festeggia il ri-
trovamento di uno dei suoi gioielli più
preziosi, rimasto chiuso per restauro ol-
tre dieci anni: la sacrestia della Chiesa di
Santa Maria in Organo. La «più bella sagre-
stia che fusse in Italia» la definì Vasari per i
suoi affreschi, realizzati da Domenico
fatta in epoca rinascimentale su moduli
palladiani. A croce latina e tre navate, la
chiesa è un manifesto della pittura ma-
nierista veronese anche se alcuni dei suoi
dipinti nel tempo hanno trovato diversa
collocazione, come la pala dell’Assunta
di Andrea Mantegna, montata sull’alta-
re maggiore il 15 agosto del 1497 e ora
al Castello Sforzesco di Milano. Notevole
anche l’ampia cripta ad archi sostenuti
da colonne con capitelli romanici. Per
tornare alla sacrestia, sulle pareti laterali
e nelle lunette si snoda la teoria dei mo-
naci benedettini devoti, non ieratici, anzi
ognuno con una ben definita fisionomia.
Sulla volta a botte due tappeti di croci
greche con delicata decorazione a racemi
affiancano l’oculo centrale in cui Cristo è
reso con lo stesso effetto prospettico della
mantovana Camera degli Sposi di Mante-
gna. Le cause principali del degrado della
sacrestia erano le infiltrazioni d’acqua
causate dal dissesto del tetto, il primo a
essere riparato una decina di anni fa, e la
presenza d’incrostazioni saline con con-
seguenti distacchi e alterazioni di colore
sulle superfici dipinte. L’intervento sugli
affreschi ha comportato la rimozione
delle incrostazioni, il reintegro delle la-
cune e il recupero del colore paglierino
delle pareti. Il restauro ha però coinvolto
anche le vetrate e i lampadari, il che ha
implicato il coinvolgimento di diverse
competenze coordinate dall’architetto
Fabrizio Rossini, direttore dei lavori. A si-
gillo un nuovo impianto d’illuminazione.
L’intervento, impegnativo anche dal pun-
to di vista economico, è stato finanziato
dal Ministero, che ha messo a disposizio-
ne 500mila euro, e da Fondazione della
Comunità Veronese, Fondazione Carive-
rona, Banco Bpm e Fondazione Giorgio
Zanotto. Alla presentazione dei restauri
ha partecipato Antonio Paolucci che tra i
suoi primi incarichi annovera anche quel-
lo di soprintendente a Verona. Paolucci
ha ricordato quanto la posizione geogra-
fica di Verona l’abbia resa partecipe del
sistema religioso e politico italiano ma
anche tramite con il mondo tedesco (in
un affresco Cristo è raffigurato a cavallo
di una mula nera, elemento di tradizio-
ne nordica). Paolucci ha poi focalizzato
la sua attenzione sulle tarsie del coro e
della sacrestia, capolavoro di Fra Giovan-
ni da Verona. Eseguite con una pluralità
di essenze che variano dal noce all’acacia
alla quercia, compresa quella nera cioè
fossile. Quanto all’iconografia, accanto ai
paesaggi reali e alle rovine si annoverano
nature morte con il tema della vanitas,
allusioni alla Eucarestia e animali sim-
bolici come la civetta, simbolo di sapien-
za, o lo scoiattolo che fa riserva di cibo,
metafora della sobrietà. Nel 1511-12 Fra
Giovanni fu chiamato a Roma da papa
Giulio II per realizzare, nella stanza della
Segnatura di Raffaello, la sua biblioteca
purtroppo perduta. Tanto più importanti
quindi queste tarsie sopravvissute che af-
fascinarono già Giorgione. La sacrestia è
ora visitabile grazie ai volontari della Ve-
rona Minor Hierusalem che garantiscono
l’accesso a questa e ad altre chiese un po’
periferiche, tra cui i gioielli romanici dei
Santi Siro e Libera e di Santo Stefano.
Per prenotazioni www.veronaminorhie-
rusalem.it. q Lidia Panzeri
e Francesco Morone tra il 1505 e il 1508,
e per le tarsie lignee del coro, capolavo-
ro assoluto di Fra Giovanni da Verona.
La Chiesa di Santa Maria in Organo è una
delle più antiche di Verona, le sue origini
risalgono all’epoca longobarda: ne riman-
gono alcune tracce sulla facciata, poi ri-
Per la città operaia
il futurista peruginesco
Perugia. Immaginata come i borghi
umbri e come un modello sociale, la
Città dell’angora, cittadella operaia
voluta da Mario Spagnoli, figlio di
Luisa, aveva botteghe di artigiani,
l’asilo nido, il pediatra, la piscina e la
biblioteca. Le pitture di Gerardo Dottori
(1884-1977) che caratterizzavano
le botteghe (una nella foto) e di
cui si era persa traccia sono stati
restituite alla vista dall’azienda Luisa
Spagnoli. Francesca Duranti, storica
dell’arte e vicepresidente degli Archivi
Dottori, ricostruisce la vicenda: «In
un documentario su Luisa Spagnoli,
della serie “La storia siamo noi” di
Giovanni Minoli, intravidi immagini
storiche su questo ciclo commissionato
dall’imprenditore e mecenate Mario
Spagnoli nel 1947 e scialbato negli anni
’60. Luisa Spagnoli entrò in azienda
negli anni ’80 alla morte improvvisa del
padre e nessuno ricordava più queste
pitture. Dopo ricerche su foto d’epoca
dell’azienda abbiamo scoperto la pittura
sotto l’intonaco. Nicoletta Spagnoli,
presidente e amministratore delegato
nonché pronipote di Luisa, ha voluto
recuperare il ciclo finanziando l’intero
restauro durato un anno».
Francesca Duranti spiega che l’artista
perugino, che negli anni Venti e Trenta
si era fatto valere nelle file futuriste,
«adottò qui uno stile peruginesco
neorinascimentale preservando però
alcuni accenni futuristi. Decorò nove
botteghe e dipinse, sotto il portico
all’entrata, una Madonna con Bambino
in trono». Dal fabbro alla segheria
con il falegname che è san Giuseppe,
ogni bottega ha il suo santo. Ma i
rimandi futuristi? In raffigurazioni come
«la raggiera sopra le bombole dello
stagnaro». Hanno eseguito i saggi
esplorativi e i restauri delle pitture
realizzate a secco Alessia Fumi e
Annamaria Mantucci. q Stefano Miliani
Piazza della Libertà
quasi libera
Udine. È in atto l’ultima tappa del
restauro conservativo della più
rappresentativa piazza di Udine. Grazie
al finanziamento della Danieli & C.
Officine Meccaniche Spa, nota acciaieria
di Buttrio, e all’agevolazione fiscale
dell’ArtBonus di cui essa fruisce, si è
aperto il cantiere che andrà a completare
la manutenzione dei monumenti scultorei
di piazza della Libertà. Dopo il restauro
dell’angelo del castello, delle statue dei
Mori della Loggia di San Giovanni e della
statua della Giustizia (inglobata lo scorso
anno nell’opera dell’artista giapponese
Tatzu Nishi per la mostra «Paradoxa»),
ora il contributo della Danieli si rivolge
alle rimanenti quattro sculture in pietra
presenti sul terrapieno: il Monumento
alla Pace di Campoformido dello scultore
piemontese Giovanni Battista Comolli,
le due sculture seicentesche raffiguranti
Ercole e Caco di Angelo de Putti (nella
foto), la fontana del 1542 dell’ingegnere
bergamasco Giovanni Carrara e la
colonna del 1539 con il leone marciano
scolpito nel 1883 da Domenico
Mondini su disegno di Giuseppe
Masutti, a sostituzione del precedente
cinquecentesco. q Melania Lunazzi
Il sognatore ferrarese
Ferrara. Cinque anni fa, in occasione del sisma dell’Emilia, si constatò che
«L’Incoronazione della Vergine» conservata in Santa Maria in Vado, opera del 1616-
20 del ferrarese Carlo Bononi, versava in una rischiosa condizione conservativa
a causa di aggressioni microbiologiche. L’opera fu rimossa dalla chiesa e venne
realizzato un primo intervento in attesa del restauro vero e proprio, affidato a Fabio
Bevilacqua. A consentire i lavori è ora un accordo tra il Centro ricerche Inquinamento
fisico chimico microbiologico Ambienti alta Sterilità (Cias) dell’Università di Ferrara, la
parrocchia di Santa Maria in Vado, il Consorzio Futuro in Ricerca, il Comune di Ferrara
e la Fondazione Ferrara Arte. I lavori proseguiranno fino a settembre in attesa della
mostra monografica sul pittore dal titolo «L’ultimo sognatore dell’Officina ferrarese»
che verrà allestita in Palazzo dei Diamanti dal 14 ottobre al 7 gennaio 2018 a cura di
Giovanni Sassu e Francesca Cappelletti. A essa si affiancherà un’esposizione dossier
sul restauro dell’Incoronazione allestita in Santa Maria in Vado. q Stefano Luppi
Riaperta la sacrestia di Santa Maria in Organo a Verona
FotoDorinoBon©Riproduzioneriservata

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Gaudí dalla prima all’ultima casa

  • 1. 34 IL GIORNALE DELL’ARTE Numero 376, giugno 2017 A cura di Barbara Antonetto Il golfo di Imperia visto dalla cupola di San Maurizio Imperia. Il secondo lotto di restauro della Basilica di San Maurizio ha completamente restituito al capoluogo ligure il Duomo nel suo duplice aspetto di luogo di culto e di meta turistica. Sono state infatti rifatte le coperture compromesse dagli agenti atmosferici ed è stato predisposto un percorso di visita che conduce in cima alla cupola da dove si può ammirare il panorama completo d’Imperia, da Capo Berta alla collina di Poggi fino a Montegrazie. L’itinerario s’inerpica all’interno della cupola, mostrando i principali elementi costruttivi che reggono la volta, dalla carpenteria in legno all’estradosso in muratura. Con i suoi 3mila metri quadrati di superficie, la Basilica di San Maurizio è considerata la più grande chiesa della Liguria, realizzata tra il 1781 e il 1828 su progetto dell’architetto svizzero Gaetano Cantoni, che si ispirò ai disegni dell’architetto Galeazzo Alessi per la Basilica di Santa Maria di Carignano a Genova. È stata la parrocchia di Imperia a farsi carico dell'impegnativo cantiere, come già aveva fatto per il primo lotto conclusosi nella primavera del 2014 che aveva interessato in particolare la facciata e le sue monumentali statue in gesso (cfr. n. 344, lug-ago- ’14, p. 23). Il progetto è stato curato dall’architetto Cristina Tealdi e supervisionato dai funzionari della Soprintendenza di Genova, Leone e Lanza. Attualmente è in fase conclusiva il terzo e ultimo lotto. Dall’avvio dei lavori ad oggi la parrocchia ha speso nel restauro del Duomo quasi un milione di euro ricorrendo anche a donazioni, lasciti e vendita di beni. q Emmanuele Bo Il Giornale del RESTAUROe della Tutela ©Riproduzioneriservata Nella foto sopra, Casa Botines a León opera di Gaudí del 1893 (nella foto sotto, la scala). Nella foto a destra, Casa Vicens a Barcellona. Edificata nel 1885, è ia prima opera dell’architetto modernista La navata centrale di Sant’Angelo in Formis a Capua durante i lavori Barcellona e León Gaudí dalla prima all’ultima casa Casa Botines musealizzata apre in giugno mentre la prima casa dell’architetto modernista, Casa Vicens, sarà visitabile dall’autunno León e Barcellona (Spagna). In giugno, do- po 125 anni di storia privata, Casa Boti- nes apre al pubblico trasformata in mu- seo dalla Fundación España-Duero. Un Gaudí di bronzo, seduto su una pan- china davanti alla facciata principale, dà il benvenuto alla casa che gli commissio- narono Simón Fernández e Mariano An- drés, commercianti di tela in affari con il suo mecenate Eusebi Güell. L’edificio, che con i suoi quattro piani all’epoca era praticamente un grattacielo, introdusse la modernità nella cittadina di León. Ora è passato da casa familiare e negozio di tele a museo. Il piano interrato è dedi- cato a esporre la raccolta della fondazio- ne attraverso un programma di mostre temporali iniziato con la prima edizione della serie completa dei «Capricci» di Francisco Goya. Al piano nobile sono stati ricreati nei minimi dettagli il nego- zio di stoffe di Fernández e Andrés così com’era nel 1893 e un’agenzia bancaria del 1929, accompagnata dalla storia della banca spagnola raccontata con fotogra- fie, documenti e oggetti. Gli altri piani accolgono una replica delle abitazio- ni dei due commercianti con mobili e suppellettili originali, una mostra di disegni, bozzetti, modelli e documenti autografi di Gaudí e una pinacoteca con opere di artisti contemporanei dell’ar- chitetto, tra cui Ramón Casas, Raimun- do de Madrazo, Joaquín Sorolla, Ignacio Pinazo, Nicanor Piñole e Joaquín Mir. Anche queste appartengono alla Funda- ción España-Duero, la cui raccolta conta 8mila opere frutto di oltre due secoli di collezionismo. Presto si potrà visitare anche la torre dell’edificio esattamente come Gaudí la concepì nel 1893. Nella Casa Vicens, le radici di Gaudí Antoni Gaudí si laureò in architettura nel 1878 e la Casa Vicens di Barcello- na, che consegnò nel 1885, fu il suo pri- mo incarico importante. Si trattava della casa di villeggiatura dell’agente di borsa Manuel Vicens nel quartiere di Gràcia, allora aperta campagna, oggi una selva di alte costruzioni. Casa Vicens è uno degli otto edifici di Barcellona dichiara- ti Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco ed è l’ultimo che aprirà al pubblico il prossimo autunno dopo 130 anni di uso come residenza privata e due di restauri costati quattro milioni di euro finanziati da MoraBanc. La banca di Andorra l’ha comprata nel 2014 dalla famiglia Herre- ro-Jover, che a sua volta aveva rilevato lo stabile nel 1899 dalla vedova Vicens. L’importo finale dell’operazione, sep- pure non trapelato, sarà sicuramente inferiore ai 35 milioni di euro richiesti quando fu posta in vendita nel 2007. Gli architetti incaricati del restauro, José ogni mezz’ora, per non superare un totale di 500 visitatori al giorno, cioè 150mila all’anno, una cifra molto lontana dai numeri che affol- lano altri edifici di Gaudí» spiega Abellà. La visita si completerà con una mostra permanente, curata da Marta Antuñano, sulla storia della casa, il contesto sociale, storico e artistico in cui venne realizza- ta e la sua importanza nell’ambito della produzione gaudiniana. In mancanza di fotografie degli arredi originali, gli interni non saranno ammobiliati. Dopo l’apertura di Casa Vicens, saranno visita- bili tutte le opere di Gaudí tranne il Co- legio de las Teresianas e la Casa Calvet. La Sagrada nell’occhio del ciclone Intanto la Sagrada Familia è di nuovo al centro di polemiche. Le dure criti- che mosse da Dani Mòdol, assessore ad Architettura, Paesaggio urbano e Patri- monio del Comune di Barcellona (cfr. n. 369, nov. ’16, p. 1 e 6) e le minacciate denunce di abuso edilizio e costruzione illegale non hanno spaventato il Patro- nato del tempio, convinto più che mai di terminare l’opera in dieci anni in- nalzando in poco più di quattro anni le sei torri che cambieranno lo skyline di Barcellona: le quattro degli Evangelisti di 135 metri ciascuna, quella della Ma- Antonio Martínez Lapeña, David García e Elies Torres, stanno riportando l’edifi- cio di quattro piani al suo stato origina- le eliminando gli ampliamenti del 1935 e del 1946 e recuperando la terrazza e la scala centrale soppressa nel 1925. In quell’occasione l’edificio fu trasformato da residenza estiva unifamiliare a domi- cilio abituale plurifamiliare dall’archi- tetto Joan Baptista Serra de Martínez, discepolo di un anziano Gaudí che diede il suo consenso al progetto. In origine la casa aveva una cascata, un belvedere, una cappella dedicata a Santa Rita, una sorgente di acque considerate curative e uno splendido giardino che fu poi ven- duto a lotti. «È una vergogna che il Comune non abbia protetto la Casa Vicens», denun- ciano gli architetti che si rammaricano che i visitatori non potranno accedere alla terrazza sul tetto: «Le ringhiere sono troppo basse e alzarle avrebbe snaturato l’ar- chitettura», spiegano. La Casa Vicens si caratterizza per un co- lorato insieme di stile moresco con for- me d’ispirazione indiana e giapponese e interni decorati con una profusione di uccelli, piante, frutti di bosco, uva e ciliegie. Secondo Joan Abellà, che per dirigere la casa museo ha lasciato la dire- zione amministrativa del Museo de Arte Contemporáneo de Barcellona (Macba), «la visita sarà un esempio di turismo sostenibi- le». «Permetteremo l’accesso solo a 25 persone continua a p. 35, i col. Capua Sant’Angelo in Formis da Diana Tifatina a papa Vittore III Nei prossimi 6 mesi interventi strutturali e restauri degli affreschi: per il recupero complessivo della Basilica occorrono 4 milioni di euro Capua (Ce). Durerà sei mesi e costerà un milione di euro l’intervento che inte- resserà l’architettura e i cicli decorativi della Basilica di Sant’Angelo in For- mis. L’edificio, sorto verso il VI secolo d.C. per opera dei Longobardi che co- struirono un complesso religioso sui re- sti di un tempio romano sacro a Diana Tifatina, presentava «profonde lesioni sulla navata di destra e nel muro perimetrale, spe- cifica l’architetto Luca Maggi, ex diretto- re del Segretariato regionale campano del Mibact, oltre a lesioni verticali indicative di una serie di movimenti». Tra le cause le infiltrazioni dovute alla mancata irreg- gimentazione delle acque piovane che hanno anche compromesso la leggibilità e la bellezza di alcuni cicli pittorici. Le decorazioni, ritenute un’importan- te testimonianza di matrice bizantina dell’XI secolo, vennero commissionate dall’abate di Montecassino Desiderio, poi papa Vittore III, che ricevette in dono la Basilica da Riccardo, principe di Capua, nel 1072. Sulla controfacciata campeg- gia il Giudizio Universale con al centro Cristo giudice, mentre sulle pareti delle navate si articolano scene dell’Antico e del Nuovo Testamento (ne sono soprav- vissute sessanta). Gli affreschi più com- promessi sono quelli dell’abside cen- trale con i tre Arcangeli, san Benedetto e l’abate Desiderio nell’atto di offrire il modellino della nuova chiesa quasi il- leggibili per muffe ed efflorescenze. In questo caso il recupero prevede non solo consolidamento, pulizia e restauro delle decorazioni, ma anche una cerchiatura dell’area sommitale al fine di mettere in sicurezza la struttura. Altri interventi so- no previsti per le capriate lignee che co- prono le tre navate absidate. Le somme risparmiate con il ribasso d’asta saranno reinvestite in restauri sull’edificio stesso il cui recupero totale necessita di qua- si altri tre milioni di euro. Per metterli insieme, oltre che sui fondi del Mibact, si punta sui finanziamenti che potreb- bero arrivare dai privati con la formula dell’ArtBonus. «In due anni, racconta il sot- tosegretario del Mibact Antimo Cesaro, per i nostri beni culturali abbiamo raccolto 160 milioni. Questo strumento innovativo voluto da Franceschini non va sottovalutato: dà vantag- gio finanziario all’imprenditore che con il cre- dito d’imposta restituisce al territorio in quota parte la ricchezza prodotta e contribuisce ad aumentare la visibilità della sua azienda». Il recupero di Sant’Angelo in Formis ri- mane però solo un tassello del comples- so quadro della valorizzazione dei beni del Casertano. L’obiettivo, secondo Cesa- ro «è quello di costituire uno straordinario polo culturale, facendo rete con il Museo Campano, con Mitreo e Anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, con Caserta Vecchia e Teano, sino ad ar- rivare al motore del turismo dell’area che è la Reggia di Caserta». q Carlo Avvisati È Gatti in 800 pezzi, «ne sono più che convinta» L’Aquila. Il terremoto del 2009 aveva ridotto in ottocento frammenti il Sant’Andrea in terracotta alloggiato in una nicchia dell’omonima chiesa di Stiffe nell’Aquilano, a tutt’oggi danneggiata. Dopo l’analisi della fluorescenza ai raggi X e la catalogazione di ogni frammento, un lavoro minuzioso ha permesso di ricomporre la scultura con risultati sorprendenti anche se la superficie dipinta è risultata parzialmente irrecuperabile. Restaurato, il Sant’Andrea di Stiffe è entrato al Museo Nazionale d'Abruzzo a L’Aquila. Lucia Arbace, direttore del Polo Museale dell’Abruzzo, che aveva avanzato l’attribuzione della terracotta a Saturnino Gatti (1463 ca-1518 ca) in una sua monografia sull’artista del 2012, ora ne è «più che convinta». Nell’opuscolo Sant’Andrea apostolo e pescatore. Capolavori restaurati da Stiffe a Pescara scrive che la scultura è un capolavoro e apre «inedite prospettive per la conoscenza della plastica abruzzese d’inizio Cinquecento e dei suoi rapporti artistici con la Toscana». q Ste.Mi. ©Riproduzioneriservata FotoPolViladoms
  • 2. 35IL GIORNALE DELL’ARTE Numero 376, giugno 2017 Restauro ©Riproduzioneriservata Tutto Gaudí donna di 140 metri e quella di Gesù che con 172,5 metri farà della Sagrada l’edi- ficio più alto della città superato solo dalla collina di Montjuïc alta 173 metri. Gli architetti della Sagrada Familia non solo si rifiutano di fare autocritica, ma rivendicano il loro intervento che consi- derano degno dello spirito e dei progetti che Gaudí lasciò incompiuti quando fu travolto da un tram nel 1926. L’architet- to capo Jordi Faulí, che assomiglia sem- pre di più a Gaudí anche fisicamente, si è affidato alla tecnologia per spiegare i procedimenti che gli hanno permesso di ricostruire i disegni e i modelli distrutti durante la Guerra Civile e di utilizzarli per continuare l’opera secondo la vo- lontà dell’architetto modernista. Faulí ha anche difeso a spada tratta la costru- zione della Facciata della Gloria, la più grande e monumentale di tutte, che obbligherà a interrompere il transito su calle Mallorca e soprattutto a demolire un intero isolato densamente popolato, un intervento traumatico che implica ri- alloggiare centinaia di persone. «Il progetto culminerà con una proiezione di fasci di luce dai pinnacoli delle torri che evoche- ranno i raggi di Cristo» ha spiegato Faulí, evitando di pronunciarsi sul permesso di costruzione che secondo il Comune di Barcellona la Sagrada Familia non ha mai avuto in 134 anni. La sindaca Ada Colau, decisa a far rispettare la legge, ha assicurato che dall’anno in corso la basilica pagherà una regolare licenza, purtroppo molto difficile da contabiliz- zare. Per questo il Comune e il Patronato della Sagrada Familia hanno creato una commissione tecnica che s’incaricherà di risolvere il complicato contenzioso. A Barcellona le costruzioni pagano una tassa percentuale sul costo (ma la Chiesa è esente) e una licenza in funzione della loro dimensione e della superficie calpe- stabile (ma come si calcola nel caso di sei torri che occupano un intero isolato e sono vuote al loro interno?). Il Comune spera di aver trovato la risposta in tem- po per riscuotere l’onere di quest’anno, mentre le famiglie che potrebbero esse- re espropriate hanno già presentato una denuncia contro la Sagrada Familia «in quanto viola la legalità urbanistica pre- vista dal Piano Generale Metropolitano con le colonne della Facciata della Gloria che invadono lo spazio pubblico ben ol- tre i 15 centimetri concessi». Il loro porta- voce Juan Ichaso ha denunciato la com- pleta impunità di cui gode il tempio e ha ricordato che il Comune, nonostante sia informato da quasi dieci anni del man- cato rispetto delle norme urbanistiche sull’allineamento degli edifici, non ha mai preso nessun provvedimento. «La Sa- grada Familia ha fatto collassare il quartiere, provocato un aumento degli affitti e sostituito i negozi di quartiere con negozi di souvenir» ha affermato Ichaso. La Sagrada Familia è il monumento più visitato della Spagna e nel 2016 ha registrato 3,7 milioni di tu- risti, ai quali si devono sommare quelli che la fotografano dalla strada senza en- trare. Poiché i biglietti sono la fonte prin- cipale per finanziare i lavori, il Patronato si rifiuta di stabilire un numero chiuso come succede per esempio con l’Alham- bra di Granada. «Calcolando una media di 18 euro per persona, l’anno scorso hanno ricavato 66 milioni solo di biglietti. Noi chiediamo che il Comune stabilisca una tassa di un euro per visitatore da investire in servizi per ovviare al logorio che l’invasione continua di milioni di turisti genera», ha concluso il portavoce degli abitanti del quartiere. q Roberta Bosco segue da p. 34, iii col. Stupinigi: è toccato al re Nichelino (To). A distanza di un anno dall'inaugurazione dell’Appartamento della regina (cfr. n. 366, lug.ago. ’16, p.26) al percorso di visita della barocca Palazzina di caccia di Stupinigi, una delle Residenze Sabaude meglio conservate, si aggiunge l'Appartamento del re che riapre dopo 13 anni al termine di un restauro anch’esso gestito dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni artistici e culturali di Torino con la supervisione della Soprintendenza. Capolavoro di Filippo Juvarra cui si deve, oltre che il progetto architettonico dall'originale pianta a croce di sant'Andrea, anche la regia delle decorazioni disegnate fin nei minimi particolari, la Palazzina appartiene alla Fondazione Ordine Mauriziano. Nel 1988 è stato avviato un piano di recupero complessivo dell'edificio, delle decorazioni e dei giardini sostenuto principalmente dalla Fondazione Crt cui va il merito di avere ad oggi finanziato lavori per quasi 20 milioni di euro (cfr. n. 354, giu. ’15, p.23). Nei cinque ambienti che compongono l'Appartamento del re (anticamera, camera da letto, nella foto, gabinetto da toeletta, piccola galleria e salotto) sono stati restaurati tutti gli apparati decorativi fissi (i dipinti murali, tra cui le Storie di Diana affrescate da Michele Antonio Milocco sulla volta della camera da letto, le sovrapporte di Domenico Olivero, le boiserie lignee, le porte decorate da Giovan Francesco Fariano, gli scuri delle finestre con paesaggi e scene di genere di Scipione Cignaroli, le carte da parati, le tappezzerie in seta, i pavimenti in seminato alla veneziana e i camini in marmo) e alcuni beni mobili: tra i tanti pezzi di ebanisteria piemontese del Settecento, di particolare pregio il pregadio di Pietro Piffetti. q Barbara Antonetto Verona «La più bella sagrestia che fusse in Italia» Così definì Vasari quella di Santa Maria in Organo Verona. La città scaligera festeggia il ri- trovamento di uno dei suoi gioielli più preziosi, rimasto chiuso per restauro ol- tre dieci anni: la sacrestia della Chiesa di Santa Maria in Organo. La «più bella sagre- stia che fusse in Italia» la definì Vasari per i suoi affreschi, realizzati da Domenico fatta in epoca rinascimentale su moduli palladiani. A croce latina e tre navate, la chiesa è un manifesto della pittura ma- nierista veronese anche se alcuni dei suoi dipinti nel tempo hanno trovato diversa collocazione, come la pala dell’Assunta di Andrea Mantegna, montata sull’alta- re maggiore il 15 agosto del 1497 e ora al Castello Sforzesco di Milano. Notevole anche l’ampia cripta ad archi sostenuti da colonne con capitelli romanici. Per tornare alla sacrestia, sulle pareti laterali e nelle lunette si snoda la teoria dei mo- naci benedettini devoti, non ieratici, anzi ognuno con una ben definita fisionomia. Sulla volta a botte due tappeti di croci greche con delicata decorazione a racemi affiancano l’oculo centrale in cui Cristo è reso con lo stesso effetto prospettico della mantovana Camera degli Sposi di Mante- gna. Le cause principali del degrado della sacrestia erano le infiltrazioni d’acqua causate dal dissesto del tetto, il primo a essere riparato una decina di anni fa, e la presenza d’incrostazioni saline con con- seguenti distacchi e alterazioni di colore sulle superfici dipinte. L’intervento sugli affreschi ha comportato la rimozione delle incrostazioni, il reintegro delle la- cune e il recupero del colore paglierino delle pareti. Il restauro ha però coinvolto anche le vetrate e i lampadari, il che ha implicato il coinvolgimento di diverse competenze coordinate dall’architetto Fabrizio Rossini, direttore dei lavori. A si- gillo un nuovo impianto d’illuminazione. L’intervento, impegnativo anche dal pun- to di vista economico, è stato finanziato dal Ministero, che ha messo a disposizio- ne 500mila euro, e da Fondazione della Comunità Veronese, Fondazione Carive- rona, Banco Bpm e Fondazione Giorgio Zanotto. Alla presentazione dei restauri ha partecipato Antonio Paolucci che tra i suoi primi incarichi annovera anche quel- lo di soprintendente a Verona. Paolucci ha ricordato quanto la posizione geogra- fica di Verona l’abbia resa partecipe del sistema religioso e politico italiano ma anche tramite con il mondo tedesco (in un affresco Cristo è raffigurato a cavallo di una mula nera, elemento di tradizio- ne nordica). Paolucci ha poi focalizzato la sua attenzione sulle tarsie del coro e della sacrestia, capolavoro di Fra Giovan- ni da Verona. Eseguite con una pluralità di essenze che variano dal noce all’acacia alla quercia, compresa quella nera cioè fossile. Quanto all’iconografia, accanto ai paesaggi reali e alle rovine si annoverano nature morte con il tema della vanitas, allusioni alla Eucarestia e animali sim- bolici come la civetta, simbolo di sapien- za, o lo scoiattolo che fa riserva di cibo, metafora della sobrietà. Nel 1511-12 Fra Giovanni fu chiamato a Roma da papa Giulio II per realizzare, nella stanza della Segnatura di Raffaello, la sua biblioteca purtroppo perduta. Tanto più importanti quindi queste tarsie sopravvissute che af- fascinarono già Giorgione. La sacrestia è ora visitabile grazie ai volontari della Ve- rona Minor Hierusalem che garantiscono l’accesso a questa e ad altre chiese un po’ periferiche, tra cui i gioielli romanici dei Santi Siro e Libera e di Santo Stefano. Per prenotazioni www.veronaminorhie- rusalem.it. q Lidia Panzeri e Francesco Morone tra il 1505 e il 1508, e per le tarsie lignee del coro, capolavo- ro assoluto di Fra Giovanni da Verona. La Chiesa di Santa Maria in Organo è una delle più antiche di Verona, le sue origini risalgono all’epoca longobarda: ne riman- gono alcune tracce sulla facciata, poi ri- Per la città operaia il futurista peruginesco Perugia. Immaginata come i borghi umbri e come un modello sociale, la Città dell’angora, cittadella operaia voluta da Mario Spagnoli, figlio di Luisa, aveva botteghe di artigiani, l’asilo nido, il pediatra, la piscina e la biblioteca. Le pitture di Gerardo Dottori (1884-1977) che caratterizzavano le botteghe (una nella foto) e di cui si era persa traccia sono stati restituite alla vista dall’azienda Luisa Spagnoli. Francesca Duranti, storica dell’arte e vicepresidente degli Archivi Dottori, ricostruisce la vicenda: «In un documentario su Luisa Spagnoli, della serie “La storia siamo noi” di Giovanni Minoli, intravidi immagini storiche su questo ciclo commissionato dall’imprenditore e mecenate Mario Spagnoli nel 1947 e scialbato negli anni ’60. Luisa Spagnoli entrò in azienda negli anni ’80 alla morte improvvisa del padre e nessuno ricordava più queste pitture. Dopo ricerche su foto d’epoca dell’azienda abbiamo scoperto la pittura sotto l’intonaco. Nicoletta Spagnoli, presidente e amministratore delegato nonché pronipote di Luisa, ha voluto recuperare il ciclo finanziando l’intero restauro durato un anno». Francesca Duranti spiega che l’artista perugino, che negli anni Venti e Trenta si era fatto valere nelle file futuriste, «adottò qui uno stile peruginesco neorinascimentale preservando però alcuni accenni futuristi. Decorò nove botteghe e dipinse, sotto il portico all’entrata, una Madonna con Bambino in trono». Dal fabbro alla segheria con il falegname che è san Giuseppe, ogni bottega ha il suo santo. Ma i rimandi futuristi? In raffigurazioni come «la raggiera sopra le bombole dello stagnaro». Hanno eseguito i saggi esplorativi e i restauri delle pitture realizzate a secco Alessia Fumi e Annamaria Mantucci. q Stefano Miliani Piazza della Libertà quasi libera Udine. È in atto l’ultima tappa del restauro conservativo della più rappresentativa piazza di Udine. Grazie al finanziamento della Danieli & C. Officine Meccaniche Spa, nota acciaieria di Buttrio, e all’agevolazione fiscale dell’ArtBonus di cui essa fruisce, si è aperto il cantiere che andrà a completare la manutenzione dei monumenti scultorei di piazza della Libertà. Dopo il restauro dell’angelo del castello, delle statue dei Mori della Loggia di San Giovanni e della statua della Giustizia (inglobata lo scorso anno nell’opera dell’artista giapponese Tatzu Nishi per la mostra «Paradoxa»), ora il contributo della Danieli si rivolge alle rimanenti quattro sculture in pietra presenti sul terrapieno: il Monumento alla Pace di Campoformido dello scultore piemontese Giovanni Battista Comolli, le due sculture seicentesche raffiguranti Ercole e Caco di Angelo de Putti (nella foto), la fontana del 1542 dell’ingegnere bergamasco Giovanni Carrara e la colonna del 1539 con il leone marciano scolpito nel 1883 da Domenico Mondini su disegno di Giuseppe Masutti, a sostituzione del precedente cinquecentesco. q Melania Lunazzi Il sognatore ferrarese Ferrara. Cinque anni fa, in occasione del sisma dell’Emilia, si constatò che «L’Incoronazione della Vergine» conservata in Santa Maria in Vado, opera del 1616- 20 del ferrarese Carlo Bononi, versava in una rischiosa condizione conservativa a causa di aggressioni microbiologiche. L’opera fu rimossa dalla chiesa e venne realizzato un primo intervento in attesa del restauro vero e proprio, affidato a Fabio Bevilacqua. A consentire i lavori è ora un accordo tra il Centro ricerche Inquinamento fisico chimico microbiologico Ambienti alta Sterilità (Cias) dell’Università di Ferrara, la parrocchia di Santa Maria in Vado, il Consorzio Futuro in Ricerca, il Comune di Ferrara e la Fondazione Ferrara Arte. I lavori proseguiranno fino a settembre in attesa della mostra monografica sul pittore dal titolo «L’ultimo sognatore dell’Officina ferrarese» che verrà allestita in Palazzo dei Diamanti dal 14 ottobre al 7 gennaio 2018 a cura di Giovanni Sassu e Francesca Cappelletti. A essa si affiancherà un’esposizione dossier sul restauro dell’Incoronazione allestita in Santa Maria in Vado. q Stefano Luppi Riaperta la sacrestia di Santa Maria in Organo a Verona FotoDorinoBon©Riproduzioneriservata