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Il tema del paesaggio, ha conosciuto fortune alterne:
prima considerato genere minore, poi elemento
indispensabile per la narrazione di gesta e passioni, ed
ancora genere autonomo e sperimentale, è divenuto oggi
un affascinante mezzo di interpretazione della poetica
degli stati d'animo.
Già nell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert
era definito come genere "des plus riches, des
plus agréables et des plus feconds de la
peinture"
Forte diffidenza nella natura -> in campo figurativo sostituzione
della realtà con simboli -> paesaggio cosiddetto "simbolico".
Elementi naturali = simboli della creazione ed emanazioni del
divino, la loro bellezza era percepita come manifestazione del
divino stesso.
Nella filosofia cristiana dell’epoca la diffidenza nei confronti
della natura si aggiungeva alla capacità della mente medievale
di concepire per simboli.
Un’attenzione più puntuale e meno simbolica per il paesaggio si
riscontra nelle ricerche degli artisti senesi del Trecento Simone
Martini e Ambrogio Lorenzetti. In particolare quest’ultimo
riuscì a rappresentare il paesaggio urbano e rurale, quasi
assoluta novità nel panorama artistico dell'epoca, con una cura
del dettaglio, una vastità ed una credibilità mai toccate finora.
Fiorisce un nuovo sentimento della bellezza della natura, che da
Avignone si diffonderà in tutta Europa dando vita sia alle
nobili rappresentazioni di scene cavalleresche di caccia, agli orti
paradisiaci del gotico estremo, sia ai capolavori dei miniatori
fiamminghi che individuano, nel volgere delle stagioni e nel
perpetuo mutare del paesaggio, l'alternarsi delle fatiche umane.
Dal Quattrocento in poi, l’affermazione di quella che in futuro
sarà l’equivalenza del pensiero scientifico e filosofico tra reale
e razionale, produsse gli studi sulla prospettiva scientifica (F.
Brunelleschi, L. B. Alberti, V. Bellini, P. della Francesca),
strumenti utili per vie diverse all’affermazione del realismo e
del naturalismo pittorico (nell’arte fiamminga e in quella
italiana).
In quest’ottica fu inteso un nuovo senso dello spazio, suggerito
dalla ricerca del vero e mosso dall’esigenza che l’arte si
occupasse di ‘certezze’, fissate dalla matematica, e non più da
‘opinioni’.
Il termine "paese" riferito al soggetto
di un'opera d'arte fa la sua prima
comparsa intorno al 1521, quando il
nobile veneziano Marcantonio
Michiel registra in una raccolta
padovana un "paesetto in tela con la
tempesta", ovvero la Tempesta di
Giorgione.
Proprio nell'ambiente artistico veneziano il paesaggio aveva acquisito
un'autonomia per così dire "lirica“: fu utilizzato dai pittori per
ambientarvi scene idilliache pastorali, ma caricato di poesia in armonia
con la coincidenza umanistica di pittura e poesia -> esistenza come
esperienza completa del reale, frutto della relazione tra natura e uomo.
Il Seicento è per eccellenza il secolo del paesaggio, poiché il genere,
pienamente istituzionalizzato nella pratica artistica, assurge
ad un ruolo primario ed indipendente: i trattatisti si sforzano di
operare distinzioni al suo interno tra paesaggio "ideale“ e
"pastorale", cui si aggiungerà la "veduta” -> rappresentazione
obiettiva di una particolare località.
Claude Lorrain (maestro
del paesaggio ideale),
Imbarcazione della regina
Sheba.
L’arte olandese del Seicento si
mosse verso un realismo di natura
e scopo diverso da quello borghese
del Cinquecento -> idea di natura
non idealizzata ma comunque
riconoscibile nella sua ‘naturalità’
e nelle sensazioni che riesce a
trasmettere.
La ‘libertà’ di pensiero Cinquecentesca fu rapidamente repressa
dalla Controriforma: a partire dal Seicento olandese si riaffermata
la libertà dell’uomo di porsi domande sulla natura.
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Nel clima illuministico che caratterizza la cultura settecentesca, il
paesaggio raggiunge un'estensione ed un'autonomia mai viste
prima. Nasce così la corrente del vedutismo.
Tale è la diffusione del genere a Venezia e Roma, che il paesaggio
diviene materia esclusiva della produzione di molti artisti
(Francesco Guardi, Canaletto, Bernardo Bellotto), che esaltano
lo splendore delle vedute raffigurando momenti di vita urbana o
campestre con rigore scientifico, frutto soprattutto dei progressi
degli studi nel campo dell'ottica.
Soltanto nel Settecento la «veduta», indipendentemente dalla
presenza attiva dell'uomo, diventa protagonista.
Alla fine del 1600 inizia il turismo europeo; nobili e borghesi inglesi e francesi,
visitano l'Italia, culla, con la Grecia, della civiltà occidentale, per
completare la propria educazione, per acquistare opere d'arte, o per
approfondire quanto hanno studiato sui libri;
Venezia, per l'unicità dei suoi ambienti, Firenze, per l'arte rinascimentale,
Roma, per l'arte, le chiese e le memorie classiche, Napoli, la città italiana
più grande a quel tempo e la Sicilia, per i templi greci e il suo clima
mediterraneo, sono le mete d'obbligo del Grand Tour.
Si apre così un nuovo mercato artistico: si vuole un ricordo di ciò che si è
visitato e, ogni monumento, può essere rappresentato in pittura, come
veduta di luogo urbano o di paesaggio, che può essere anche di fantasia, un
capriccio, magari arricchito di rovine architettoniche tipiche dell'ambiente
italiano del tempo.
Il Vedutismo, genere pittorico nato nella seconda metà del Seicento in
Olanda, si diffuse in Italia, dove conobbe particolare sviluppo nel
XVIII secolo; esso dà vita a raffigurazioni di scorci architettonici e
scene di vita di città dal glorioso passato storico come Venezia e
Roma.
Infatti, Accanto alle scene di genere ambientale e al ritratto, l ‘altra
tipica specializzazione settecentesca, particolarmente diffusa a
Venezia, è appunto la veduta.
Non è la prima volta che la pittura italiana tratta, oltre ai temi
tradizionali, quello della veduta naturale. Fin dall'epoca del tardo
medioevo a tale genere appartengono i paesaggi senesi di Ambrogio
Lorenzetti, dove, tuttavia, più che di panorami, si può parlare di
cartografie colte sinteticamente.
L’invenzione della fotografia costituisce la realizzazione di un
sogno antico, invano perseguito dagli artisti di tutti i tempi. A
ben vedere, infatti, la fotografia altro non è che una forma di
prospettiva automatica.
Le prime ricerche con risultati importanti su questo tipo di
riproduzione incominciano nel XVIII secolo, quando il
progresso scientifico consente la messa a punto delle prime
camere ottiche, di cui fecero uso tutti i grandi vedutisti veneti
del Settecento.
La camera ottica consisteva in una cassettina di legno delle dimensioni di
una scatola da scarpe.
Come una moderna macchina fotografica, era frontalmente dotata di un
sistema mobile di lenti (obiettivo) che, una volta puntato sul soggetto, lo
rifletteva su uno specchio interno inclinato di 45° che a sua volta
riproiettava il soggetto capovolto su un vetro smerigliato.
Ponendo un foglio di carta lucida sul vetro e coprendosi con un
panno nero era possibile ricalcare l’immagine prospettica del
soggetto prescelto, ricavandone una rappresentazione di certo più
perfetta di qualsiasi altra realizzabile anche dall’artista più
esperto.
Il principale limite della camera ottica, comunque, stava ancora nel
fatto che richiedeva sempre l’intervento manuale, per ricalcare la
sagoma proiettata sul foglio di carta.
All’inizio del 1800 il progresso della
chimica permette lo sviluppo di nuovi
materiali sensibili alla luce che, se esposti e
trattati in modo opportuno, erano in grado
di registrare qualsiasi variazione di
luminosità.
E poiché ogni immagine proiettata altro non è che un fascio
luminoso, sostituendo al vetro una lastra spalmata di sostanze
sensibili alla luce, si otteneva che la luce stessa si imprimesse sulla
lastra lasciando permanentemente l’impronta dell’immagine
proiettata dall’obiettivo.
Il razionalismo settecentesco, ristudiando da capo le leggi
prospettiche, ne verifica la validità con l'uso della macchina e offre
una qualche certezza sulle modalità percettive dell'occhio umano,
capaci di dar vita allo spazio figurativo prospettico, pur senza
escludere alcune deformazioni dovute alle aberrazioni ottiche.
Fu uno strumento necessario, nella
concezione illuminista, per riscoprire
l'oggettività razionale della prospettiva,
dopo che il virtuosismo scenografico
barocco con le sue scenografie
illusionistiche aveva impedito un esame
ordinato della realtà ambientale.
1697: nasce a Venezia. Il padre è un pittore teatrale di
successo, nonché autore di un certo numero di vedute
dal 1716 al 1718: affianca il padre nell’allestimento di alcune scenografie ed è
a Roma con lui. Proprio qui Canaletto decide di abbandonare l’attività
teatrale per dedicarsi a quella pittorica.
1722: è impiegato per conto dell’inglese Owen McSwiney nell’esecuzione di
due capricci raffiguranti tombe di personaggi inglesi. Proprio grazie a questa
committenza straniera e in particolare grazie a quella che seguirà nel 1730 per
conto di Joseph Smith, console inglese presso Venezia, il suo successo
commerciale potè sbocciare precocemente e accompagnarlo durante tutta la
sua carriera
tra il 1742 e il 1744: dipinge libere vedute di edifici veneziani per
Smith.
1746: si trasferisce a Londra a causa del diradarsi della
committenza sul continente per la guerra di successione austriaca.
Qui entra alle dipendenze del duca di Nothumberland.
Nel 1750 e nel 1753 interrompe il suo soggiorno londinese per
tornare a Venezia, soggiorno che tuttavia si protrarrà fino al
1755, quando abbandona la capitale inglese.
1763: viene accolto fra i membri dell’Accademia avendo tuttavia
ricevuto precedenti rifiuti tramite un saggio di ammissione che
non è una veduta, bensì un capriccio.
1768: muore senza lasciare testamento.
Arco di Costantino, penna e inchiostro bruno con acquerello
grigio. Londra, British Museum
Veduta ideata con piramide, firmato e datato in basso, a
sinistra: «IO ANTONIO CANAL / 1723». Collezione
privata
piazza San Marco,
Canal Grande, ripreso da punti di vista opposti e rappresentato
nella sua dimensione di arteria pulsante di vita e di traffici
AMBIGUITA’ SULLA DATAZIONE
COMPLESSIVA PROSPETTIVA
CENTRALE, CON PARZIALE
APPLICAZIONE DI PROSPETTIVA
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CALDE (MOMENTO E
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PRECISIONE IN SCELTE LUMINISTICHE
IN RAPPORTO AL MOMENTO DELLA
GIORNATA
CRITERI DI SCIENTIFICA
OGGETTIVITA’ NELL’INDAGINE
DEL REALE
Ritratto di Francesco
Guardi, Pietro Longhi,
1764, olio su tela, Ca'
Rezzonico, Venezia.
1712: nasce a Venezia, da famiglia di origine trentina,
precedentemente trasferitasi a Vienna. Tra numerosi fratelli lui e il
maggiore Antonio, dopo la morte del padre, lavorarono in sodalizio
nella bottega da lui lasciata. Proprio al fratello il Guardi deve la sua
formazione.
1760: eredita la bottega in quanto muore il fratello
1764: è chiamato all’Accademia, per esprimere un giudizio su opere
del Canaletto, il quale ha avuto su di lui una grande influenza
indiretta.
1768: muore il Canaletto lui rimane il maggiore vedutista in città
ed è l’unico tra i Grandi Vedutisti a non spostarsi mai dal Veneto,
dove la committenza si esprime tramite la committenza di Stato e
Chiesa.
Un riconoscimento più ampio a livello europeo si avrà solo a inizio ‘800.
In questi anni la sua carriera pittorica procede con discrezione, si notano solo poche date
significative, la prima nel 1782 quando dipinge i festeggiamenti per l’arrivo in città dei futuri
zar di Russia e nel 1784 è accolto tra i membri dell’Accademia.
1793: muore a Venezia
Molte sue opere si riferiscono ad avvenimenti solenni legati alla
città di Venezia (per es. il dipinto a ricordo della visita di
Papa Pio VI a Venezia, avvenuta nel 1782) oppure le le feste
descritte con un tono favoloso.
Concerto di dame presso la
Casa dei filarmonici, 1782
Nella sua vecchiaia sapiente Guardi colse una Venezia
appartata e solitaria, dove mare e cielo tendono a unirsi come
condizione spirituale: liberatosi dai fenomeni per cogliere
soltanto l'essenza, la sua relazione con la città diviene più
intellettiva che sensibile.
Interpreta la luce di Venezia come luce spaziale: senza luce non
esistono né forme né colori.
“Francesco Guardi ad una “pittura illusionistica”,
dove la visione prospettica dei piani viene affidata
al solo peso delle gamme cromatiche ed agli effetti
di luminosità da queste derivati”
Tuttavia il Guardi non può essere considerato anticipatore degli
impressionisti: l'impressionismo, prima di essere un mezzo di
espressione, è un modo di vedere e di percepire; e il modo di vedere
di Francesco si qualifica come naturale, non scientifico: l'oggetto
non è reso obiettivamente, ma filtrato dallo spirito che
misteriosamente indaga sulla linea dell'orizzonte, quasi come in
una impercettibile fusione tra visione dell'occhio e visione sognante
della fantasia, in un ritmo contemplativo assai vicino al sentire
musicale manifesto nei concerti del contemporaneo Vivaldi
Dal confronto emerge una pittura impalpabile, aerea, fatta di luce
avvolgente, sorretta da una tavolozza di inafferrabile e preziosa
gamma cromatica. Il paesaggio, è pretesto per la ricerca pura di ritmi
luminosi, di trasparenze, di pulviscoli argentei cilestrini...
1738: si iscrive alla corporazione degli artisti di Venezia. Per un certo
periodo della sua vita giovanile frequenta molto lo zio e si sposta con lui nelle
principali città d’arte italiane soprattutto Firenze, Roma e Torino, senza
tralasciare i moltissimi centri dell’arte nel Veneto. Sempre con il Canaletto
viaggia anche all’estero, tanto che in Germania gli viene addossato lo stesso
appellativo dello zio: “Bellotto detto il Canaletto”.
1721: nasce a Venezia
E’, oltre che pittore, un abilissimo incisore. Il fatto di essere
il nipote del Canaletto (figlio della sorella), contribuisce alla
sua formazione e tendenza artistica. Già nei primi anni
della sua giovinezza Bernardo realizza opere a linguaggio
vedutista di grande effetto.
Sebbene la parentela col Canaletto lo abbia molto aiutato nella
sua carriera artistica, molte furono le sue qualità e
predisposizioni intrinseche verso la pittura.
1747: si trasferisce a Dresda su invito dell’Elettore di Sassonia
per conto di Augusto III. È da qui che per Bellotto
incominciano i successi a livello europeo, tanto che l’imperatrice
Maria Teresa d’Austria, nel 1758, lo vuole come suo pittore
personale.
1761: si reca a Monaco di Baviera dove resterà per cinque anni,
poi ritornerà a Dresda per un breve soggiorno, per poi stabilirsi
definitivamente a Varsavia.
1780: muore a Varsavia
Vista di Varsavia dal terrazzo del
castello reale, 1773, olio su tela,
Museo Nazionale di Varsavia
Enciclopedia libera online wikipedia
Arte nel tempo, De Vecchi Cerchiari,
volume II tomo II
ArtBook I vedutisti, Leonardo arte
Canaletto e il vedutismo
www.frammentiarte.com

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Canaletto e il vedutismo

  • 1.
  • 2.
  • 3. Il tema del paesaggio, ha conosciuto fortune alterne: prima considerato genere minore, poi elemento indispensabile per la narrazione di gesta e passioni, ed ancora genere autonomo e sperimentale, è divenuto oggi un affascinante mezzo di interpretazione della poetica degli stati d'animo. Già nell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert era definito come genere "des plus riches, des plus agréables et des plus feconds de la peinture"
  • 4. Forte diffidenza nella natura -> in campo figurativo sostituzione della realtà con simboli -> paesaggio cosiddetto "simbolico". Elementi naturali = simboli della creazione ed emanazioni del divino, la loro bellezza era percepita come manifestazione del divino stesso. Nella filosofia cristiana dell’epoca la diffidenza nei confronti della natura si aggiungeva alla capacità della mente medievale di concepire per simboli.
  • 5. Un’attenzione più puntuale e meno simbolica per il paesaggio si riscontra nelle ricerche degli artisti senesi del Trecento Simone Martini e Ambrogio Lorenzetti. In particolare quest’ultimo riuscì a rappresentare il paesaggio urbano e rurale, quasi assoluta novità nel panorama artistico dell'epoca, con una cura del dettaglio, una vastità ed una credibilità mai toccate finora. Fiorisce un nuovo sentimento della bellezza della natura, che da Avignone si diffonderà in tutta Europa dando vita sia alle nobili rappresentazioni di scene cavalleresche di caccia, agli orti paradisiaci del gotico estremo, sia ai capolavori dei miniatori fiamminghi che individuano, nel volgere delle stagioni e nel perpetuo mutare del paesaggio, l'alternarsi delle fatiche umane.
  • 6.
  • 7.
  • 8. Dal Quattrocento in poi, l’affermazione di quella che in futuro sarà l’equivalenza del pensiero scientifico e filosofico tra reale e razionale, produsse gli studi sulla prospettiva scientifica (F. Brunelleschi, L. B. Alberti, V. Bellini, P. della Francesca), strumenti utili per vie diverse all’affermazione del realismo e del naturalismo pittorico (nell’arte fiamminga e in quella italiana). In quest’ottica fu inteso un nuovo senso dello spazio, suggerito dalla ricerca del vero e mosso dall’esigenza che l’arte si occupasse di ‘certezze’, fissate dalla matematica, e non più da ‘opinioni’.
  • 9.
  • 10. Il termine "paese" riferito al soggetto di un'opera d'arte fa la sua prima comparsa intorno al 1521, quando il nobile veneziano Marcantonio Michiel registra in una raccolta padovana un "paesetto in tela con la tempesta", ovvero la Tempesta di Giorgione. Proprio nell'ambiente artistico veneziano il paesaggio aveva acquisito un'autonomia per così dire "lirica“: fu utilizzato dai pittori per ambientarvi scene idilliache pastorali, ma caricato di poesia in armonia con la coincidenza umanistica di pittura e poesia -> esistenza come esperienza completa del reale, frutto della relazione tra natura e uomo.
  • 11. Il Seicento è per eccellenza il secolo del paesaggio, poiché il genere, pienamente istituzionalizzato nella pratica artistica, assurge ad un ruolo primario ed indipendente: i trattatisti si sforzano di operare distinzioni al suo interno tra paesaggio "ideale“ e "pastorale", cui si aggiungerà la "veduta” -> rappresentazione obiettiva di una particolare località. Claude Lorrain (maestro del paesaggio ideale), Imbarcazione della regina Sheba.
  • 12. L’arte olandese del Seicento si mosse verso un realismo di natura e scopo diverso da quello borghese del Cinquecento -> idea di natura non idealizzata ma comunque riconoscibile nella sua ‘naturalità’ e nelle sensazioni che riesce a trasmettere. La ‘libertà’ di pensiero Cinquecentesca fu rapidamente repressa dalla Controriforma: a partire dal Seicento olandese si riaffermata la libertà dell’uomo di porsi domande sulla natura. Rembrandt, Il rapimento di Europa, 1632
  • 13. Nel clima illuministico che caratterizza la cultura settecentesca, il paesaggio raggiunge un'estensione ed un'autonomia mai viste prima. Nasce così la corrente del vedutismo. Tale è la diffusione del genere a Venezia e Roma, che il paesaggio diviene materia esclusiva della produzione di molti artisti (Francesco Guardi, Canaletto, Bernardo Bellotto), che esaltano lo splendore delle vedute raffigurando momenti di vita urbana o campestre con rigore scientifico, frutto soprattutto dei progressi degli studi nel campo dell'ottica. Soltanto nel Settecento la «veduta», indipendentemente dalla presenza attiva dell'uomo, diventa protagonista.
  • 14. Alla fine del 1600 inizia il turismo europeo; nobili e borghesi inglesi e francesi, visitano l'Italia, culla, con la Grecia, della civiltà occidentale, per completare la propria educazione, per acquistare opere d'arte, o per approfondire quanto hanno studiato sui libri; Venezia, per l'unicità dei suoi ambienti, Firenze, per l'arte rinascimentale, Roma, per l'arte, le chiese e le memorie classiche, Napoli, la città italiana più grande a quel tempo e la Sicilia, per i templi greci e il suo clima mediterraneo, sono le mete d'obbligo del Grand Tour. Si apre così un nuovo mercato artistico: si vuole un ricordo di ciò che si è visitato e, ogni monumento, può essere rappresentato in pittura, come veduta di luogo urbano o di paesaggio, che può essere anche di fantasia, un capriccio, magari arricchito di rovine architettoniche tipiche dell'ambiente italiano del tempo.
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  • 17. Il Vedutismo, genere pittorico nato nella seconda metà del Seicento in Olanda, si diffuse in Italia, dove conobbe particolare sviluppo nel XVIII secolo; esso dà vita a raffigurazioni di scorci architettonici e scene di vita di città dal glorioso passato storico come Venezia e Roma. Infatti, Accanto alle scene di genere ambientale e al ritratto, l ‘altra tipica specializzazione settecentesca, particolarmente diffusa a Venezia, è appunto la veduta. Non è la prima volta che la pittura italiana tratta, oltre ai temi tradizionali, quello della veduta naturale. Fin dall'epoca del tardo medioevo a tale genere appartengono i paesaggi senesi di Ambrogio Lorenzetti, dove, tuttavia, più che di panorami, si può parlare di cartografie colte sinteticamente.
  • 18. L’invenzione della fotografia costituisce la realizzazione di un sogno antico, invano perseguito dagli artisti di tutti i tempi. A ben vedere, infatti, la fotografia altro non è che una forma di prospettiva automatica. Le prime ricerche con risultati importanti su questo tipo di riproduzione incominciano nel XVIII secolo, quando il progresso scientifico consente la messa a punto delle prime camere ottiche, di cui fecero uso tutti i grandi vedutisti veneti del Settecento.
  • 19. La camera ottica consisteva in una cassettina di legno delle dimensioni di una scatola da scarpe. Come una moderna macchina fotografica, era frontalmente dotata di un sistema mobile di lenti (obiettivo) che, una volta puntato sul soggetto, lo rifletteva su uno specchio interno inclinato di 45° che a sua volta riproiettava il soggetto capovolto su un vetro smerigliato. Ponendo un foglio di carta lucida sul vetro e coprendosi con un panno nero era possibile ricalcare l’immagine prospettica del soggetto prescelto, ricavandone una rappresentazione di certo più perfetta di qualsiasi altra realizzabile anche dall’artista più esperto.
  • 20. Il principale limite della camera ottica, comunque, stava ancora nel fatto che richiedeva sempre l’intervento manuale, per ricalcare la sagoma proiettata sul foglio di carta. All’inizio del 1800 il progresso della chimica permette lo sviluppo di nuovi materiali sensibili alla luce che, se esposti e trattati in modo opportuno, erano in grado di registrare qualsiasi variazione di luminosità. E poiché ogni immagine proiettata altro non è che un fascio luminoso, sostituendo al vetro una lastra spalmata di sostanze sensibili alla luce, si otteneva che la luce stessa si imprimesse sulla lastra lasciando permanentemente l’impronta dell’immagine proiettata dall’obiettivo.
  • 21. Il razionalismo settecentesco, ristudiando da capo le leggi prospettiche, ne verifica la validità con l'uso della macchina e offre una qualche certezza sulle modalità percettive dell'occhio umano, capaci di dar vita allo spazio figurativo prospettico, pur senza escludere alcune deformazioni dovute alle aberrazioni ottiche. Fu uno strumento necessario, nella concezione illuminista, per riscoprire l'oggettività razionale della prospettiva, dopo che il virtuosismo scenografico barocco con le sue scenografie illusionistiche aveva impedito un esame ordinato della realtà ambientale.
  • 22. 1697: nasce a Venezia. Il padre è un pittore teatrale di successo, nonché autore di un certo numero di vedute dal 1716 al 1718: affianca il padre nell’allestimento di alcune scenografie ed è a Roma con lui. Proprio qui Canaletto decide di abbandonare l’attività teatrale per dedicarsi a quella pittorica. 1722: è impiegato per conto dell’inglese Owen McSwiney nell’esecuzione di due capricci raffiguranti tombe di personaggi inglesi. Proprio grazie a questa committenza straniera e in particolare grazie a quella che seguirà nel 1730 per conto di Joseph Smith, console inglese presso Venezia, il suo successo commerciale potè sbocciare precocemente e accompagnarlo durante tutta la sua carriera
  • 23. tra il 1742 e il 1744: dipinge libere vedute di edifici veneziani per Smith. 1746: si trasferisce a Londra a causa del diradarsi della committenza sul continente per la guerra di successione austriaca. Qui entra alle dipendenze del duca di Nothumberland. Nel 1750 e nel 1753 interrompe il suo soggiorno londinese per tornare a Venezia, soggiorno che tuttavia si protrarrà fino al 1755, quando abbandona la capitale inglese. 1763: viene accolto fra i membri dell’Accademia avendo tuttavia ricevuto precedenti rifiuti tramite un saggio di ammissione che non è una veduta, bensì un capriccio. 1768: muore senza lasciare testamento.
  • 24. Arco di Costantino, penna e inchiostro bruno con acquerello grigio. Londra, British Museum
  • 25. Veduta ideata con piramide, firmato e datato in basso, a sinistra: «IO ANTONIO CANAL / 1723». Collezione privata
  • 27. Canal Grande, ripreso da punti di vista opposti e rappresentato nella sua dimensione di arteria pulsante di vita e di traffici
  • 28.
  • 29. AMBIGUITA’ SULLA DATAZIONE COMPLESSIVA PROSPETTIVA CENTRALE, CON PARZIALE APPLICAZIONE DI PROSPETTIVA LATERALE PREVALENZA DI TONALITA’ CALDE (MOMENTO E CONDIZIONE ATMOSFERICA) ATTENZIONE PER LA RESA ATMOSFERICA PRECISIONE IN SCELTE LUMINISTICHE IN RAPPORTO AL MOMENTO DELLA GIORNATA CRITERI DI SCIENTIFICA OGGETTIVITA’ NELL’INDAGINE DEL REALE
  • 30.
  • 31. Ritratto di Francesco Guardi, Pietro Longhi, 1764, olio su tela, Ca' Rezzonico, Venezia. 1712: nasce a Venezia, da famiglia di origine trentina, precedentemente trasferitasi a Vienna. Tra numerosi fratelli lui e il maggiore Antonio, dopo la morte del padre, lavorarono in sodalizio nella bottega da lui lasciata. Proprio al fratello il Guardi deve la sua formazione. 1760: eredita la bottega in quanto muore il fratello 1764: è chiamato all’Accademia, per esprimere un giudizio su opere del Canaletto, il quale ha avuto su di lui una grande influenza indiretta. 1768: muore il Canaletto lui rimane il maggiore vedutista in città ed è l’unico tra i Grandi Vedutisti a non spostarsi mai dal Veneto, dove la committenza si esprime tramite la committenza di Stato e Chiesa. Un riconoscimento più ampio a livello europeo si avrà solo a inizio ‘800. In questi anni la sua carriera pittorica procede con discrezione, si notano solo poche date significative, la prima nel 1782 quando dipinge i festeggiamenti per l’arrivo in città dei futuri zar di Russia e nel 1784 è accolto tra i membri dell’Accademia. 1793: muore a Venezia
  • 32. Molte sue opere si riferiscono ad avvenimenti solenni legati alla città di Venezia (per es. il dipinto a ricordo della visita di Papa Pio VI a Venezia, avvenuta nel 1782) oppure le le feste descritte con un tono favoloso. Concerto di dame presso la Casa dei filarmonici, 1782
  • 33.
  • 34. Nella sua vecchiaia sapiente Guardi colse una Venezia appartata e solitaria, dove mare e cielo tendono a unirsi come condizione spirituale: liberatosi dai fenomeni per cogliere soltanto l'essenza, la sua relazione con la città diviene più intellettiva che sensibile. Interpreta la luce di Venezia come luce spaziale: senza luce non esistono né forme né colori. “Francesco Guardi ad una “pittura illusionistica”, dove la visione prospettica dei piani viene affidata al solo peso delle gamme cromatiche ed agli effetti di luminosità da queste derivati”
  • 35.
  • 36. Tuttavia il Guardi non può essere considerato anticipatore degli impressionisti: l'impressionismo, prima di essere un mezzo di espressione, è un modo di vedere e di percepire; e il modo di vedere di Francesco si qualifica come naturale, non scientifico: l'oggetto non è reso obiettivamente, ma filtrato dallo spirito che misteriosamente indaga sulla linea dell'orizzonte, quasi come in una impercettibile fusione tra visione dell'occhio e visione sognante della fantasia, in un ritmo contemplativo assai vicino al sentire musicale manifesto nei concerti del contemporaneo Vivaldi
  • 37. Dal confronto emerge una pittura impalpabile, aerea, fatta di luce avvolgente, sorretta da una tavolozza di inafferrabile e preziosa gamma cromatica. Il paesaggio, è pretesto per la ricerca pura di ritmi luminosi, di trasparenze, di pulviscoli argentei cilestrini...
  • 38. 1738: si iscrive alla corporazione degli artisti di Venezia. Per un certo periodo della sua vita giovanile frequenta molto lo zio e si sposta con lui nelle principali città d’arte italiane soprattutto Firenze, Roma e Torino, senza tralasciare i moltissimi centri dell’arte nel Veneto. Sempre con il Canaletto viaggia anche all’estero, tanto che in Germania gli viene addossato lo stesso appellativo dello zio: “Bellotto detto il Canaletto”. 1721: nasce a Venezia E’, oltre che pittore, un abilissimo incisore. Il fatto di essere il nipote del Canaletto (figlio della sorella), contribuisce alla sua formazione e tendenza artistica. Già nei primi anni della sua giovinezza Bernardo realizza opere a linguaggio vedutista di grande effetto.
  • 39. Sebbene la parentela col Canaletto lo abbia molto aiutato nella sua carriera artistica, molte furono le sue qualità e predisposizioni intrinseche verso la pittura. 1747: si trasferisce a Dresda su invito dell’Elettore di Sassonia per conto di Augusto III. È da qui che per Bellotto incominciano i successi a livello europeo, tanto che l’imperatrice Maria Teresa d’Austria, nel 1758, lo vuole come suo pittore personale. 1761: si reca a Monaco di Baviera dove resterà per cinque anni, poi ritornerà a Dresda per un breve soggiorno, per poi stabilirsi definitivamente a Varsavia. 1780: muore a Varsavia
  • 40.
  • 41. Vista di Varsavia dal terrazzo del castello reale, 1773, olio su tela, Museo Nazionale di Varsavia
  • 42.
  • 43. Enciclopedia libera online wikipedia Arte nel tempo, De Vecchi Cerchiari, volume II tomo II ArtBook I vedutisti, Leonardo arte Canaletto e il vedutismo www.frammentiarte.com