1. Sempre meglio non pestare le CAC
Forse non tutti i clienti sanno che, a seguito del decreto ministeriale del 17 dicembre 2012, tutte le nuove
emissioni di titoli di stato con scadenza superiore a un anno saranno soggette alla cosiddetta Clausola di Azione
Collettiva (CAC).
Acronimo a parte (devo dire che hanno sempre grande fantasia i nostri governanti), vediamo di cosa si tratta.
Tale condizione deriva dagli accordi presi dai paesi dell’Eurozona aderendo al Meccanismo di Stabilità Europea
(ESM), permettendo quindi agli Stati di sfruttare l’aiuto della Comunità in caso di difficoltà reiterate.
Tale vincolo non è quindi un fenomeno solo italiano, riguardando infatti tutti i diciassette paesi dell’Eurozona e
avendo all’origine le conseguenze della crisi finanziaria e in particolare quella debitoria della Grecia.
Cosa prevedono quindi queste Clausole di Azione Collettiva e come possono impattare sui titoli di stato che
comunemente i risparmiatori e gli investitori sottoscrivono ?
Questo meccanismo di fatto serve a risolvere il problema della trattativa tra debitore (lo Stato) e creditori (gli
investitori) che, in un negoziato, non trovano l’accordo sulle condizioni offerte per la ristrutturazione del debito
stesso. In pratica al debitore sarà sufficiente che una maggioranza qualificata di creditori, normalmente i due
terzi del totale, accetti la proposta e questa, automaticamente, varrà per tutti gli altri.
Proposta di ristrutturazione che può riguardare qualsiasi aspetto del debito: dalla decurtazione del valore
nominale del titolo, alla sua scadenza per finire con il valore della cedola.
Quindi, riassumendo, le nuove tranche di titoli di stato con durata superiore all’anno (i bot sono quindi esclusi)
emesse a partire dal 2013 potranno, nell’ipotesi remota di difficoltà strutturale del nostro paese, essere
rinegoziate “a piacimento” dal Tesoro, se in possesso della disponibilità di due terzi dei sottoscrittori.
Di per sé la maggioranza qualificata appare alta, e quindi di non facile raggiungimento; ma qui si nasconde la
tagliola. Come abbiamo già verificato in Grecia, è più facile convincere gli investitori istituzionali, e quindi le
banche in primis, e poi i gestori dei fondi di investimento, rispetto ai singoli e piccoli risparmiatori,
normalmente più riottosi e insicuri in queste trattative.
E in Italia normalmente chi detiene la maggioranza del debito pubblico, ovvero chi sono i maggiori
sottoscrittori di Btp e affini ? Certo non la signora Maria, ma la banca che le sta sotto casa.
Gli ultimi dati disponibili ci dicono che a fronte di una montagna di 2 mila miliardi di debito pubblico italiano, il
50% è detenuto dalle banche e dalle istituzioni finanziarie (circa mille miliardi), il 35% è in mani estere (724
miliardi), e solo 200 miliardi è nelle disponibilità di famiglie, privati e imprese, ovvero appena il 10% del totale.
L’ipotetica maggioranza qualificata (66%) è ampiamente superata dalla realtà (85%) del debito detenuto da
chi, banche e istituzioni italiane ed estere, nell’ipotesi di un cigno nero avrebbe certamente da qualche parte il
proprio tornaconto personale aderendo ad un’eventuale ristrutturazione.
E il povero risparmiatore continua ad essere vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro.
Come aiutarlo ? Ci sono due modi per farlo.
Il primo, facendo terrorismo come spesso abbiamo visto fare, dal Conto Arancio in poi, con l’obiettivo di guidare
la raccolta verso prodotti ovviamente peggiori e remunerativi solo per chi li emette.
Il secondo, semplicemente comportandosi da professionisti, spiegando senza ingigantire, proponendo eventuali
alternative se davvero migliori. In pratica facendo ogni tanto, nei fatti, ciò che a parole diciamo di fare sempre:
consulenza finanziaria.
Altrimenti le CAC pestate diventano troppe.
Numero 19 del 2 dicembre 2013
Marcello Agnello