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Dopo le prime manifestazioni teatrali in età preletteraria , nel
240 a.C. viene rappresentata la prima tragedia di Livio
Andronico che rappresenta l’inizio della storia del teatro a
Roma.
Nel corso del III e del II sec.a.C. la produzione teatrale ebbe
grande sviluppo e fu accompagnata da un notevole successo
di pubblico grazie ad autori come Nevio,Plauto, Cecilio
Stazio, Terenzio, Pacuvio e Accio.
Le forme più rappresentate furono : la fabula palliata,
commedia di ambientazione greca; la fabula togata,
commedia di ambientazione latina; la fabula cothurnata,
tragedia di argomento greco; la fabula praetexta , tragedia
di argomento latino.
La forma più antica di arte drammatica presso i Romani furono
gli scherzi fescennini, una sorta di farsa campagnola in cui alcuni
contadini, affidandosi all’improvvisazione, si scambiavano
insulti volgari ed osceni.
I contadini, dopo aver messo al sicuro il raccolto, facevano festa,
per un verso offrendo doni agli dei e per l’altro dando vita a
questa singolare forma di divertimento. All’inizio tali scherzi
erano inoffensivi, poi cominciarono ad attaccare le persone più
in vista, per cui si approvò una legge che ne ridimensionava
l’asprezza e la violenza.
Sull’origine del termine fescennino gli studiosi ci hanno
fornito di due interpretazioni. La prima connette i fescennini
con la città etrusca di Fescennium; la seconda interpretazione
fa derivare fescennino da fascinum (malocchio), ponendo,
quindi, l’accento sulla funzione apotropaica di tale rito: lo
scambio di insulti accompagnato da oscenità di linguaggio e
da esibizione di oggetti indecenti, avrebbe la funzione di
stornare il malocchio e di augurare abbondanza e fertilità.
In età più antica rispetto ai fescennini sembra essersi sviluppata
una farsa rustica in cui comparivano personaggi-tipo tradizionali
ma in situazioni ridicole. I Romani la chiamavano farsa osca, in
riferimento all’ambito geografico in cui era nata, oppure atellana,
dalla città di Atella in Campania. Si pensa che queste farse
venissero rappresentate durante le Quinquatruus ed i
Saturnalia. Tipici delle atellane erano i personaggi, maschere
fisse sul tipo della nostra commedia dell’arte. Non se ne conosce
una lista ufficiale, ma pare che se ne possano individuare almeno
cinque: Maccus, Bucco, Pappus, Dossenus, Manducus.
L’atellana sviluppa una rappresentazione esasperata dei vizi e dei
difetti dell’uomo comune. Ad essere presi in giro erano particolari
categorie sociali, come il contadino, il forestiero, oppure tipi umani,
come il vecchio, l’ingordo, il lussurioso; altre volte ci si accaniva
sui difetti fisici. Nella satira di tali personaggi era fatta per lo più
all’insegna della volgarità che, quando si mescolava di sessualità,
diventava oscenità. Tale oscenità è legata al fatto che,
probabilmente, l’atellana era in origine legata ai rituali della
fecondazione. Questa rappresentazione si basava sull’abilità degli
attori che improvvisavano le battute, giacché non possedevano un
testo scritto.
Più recente dei fescennini deve essere stata un’altra forma
drammatica, la satura. In un brano del Ab urbe condita libri di
T.Livio, i Romani fecero venire dall’Etruria degli attori che diedero
uno spettacolo di danza al suono del flauto. Il successo fu tale che i
giovani Romani cominciarono ad imitarli, inserendo nello spettacolo
rozze volgarità.
Col passare del tempo tali performances non vennero più
rappresentate da dilettanti, ma da attori di professione, ed i dialoghi,
dapprima improvvisati, furono regolati da un testo scritto. A tale tipo
di spettacolo fu dato il nome di satura.
Le ipotesi sull’origine del termine sono moltissime. Tra queste,
però, la più accreditata è una delle quattro forniteci da Diomede,
un grammatico del IV secolo d. C. secondo questa
interpretazione lo studioso faceva risalire tale forma drammatica
dal piatto (lanx) che, pieno di molte e diverse primizie, veniva
offerto agli dei; per l’abbondanza e la molteplicità dei doni, la
lanx veniva detta satura, cioè “piena, ricca”.
Fin dall’antichità si celebravano in onore di alcune divinità delle
feste (ludi), nel corso delle quali si svolgevano spettacoli circensi,
gare atletiche, combattimenti di gladiatori, ecc. Una parte dei
giorni festivi veniva impiegata anche per le rappresentazioni
drammatiche (ludi scaenici). I giorni di festa andarono via via
aumentando fino a giungere a cifre veramente sbalorditive. Il
popolo romano tendeva a passare gran parte della sua vita a
teatro; era, insomma, un popolo di spettatori. È anche vero, però,
che nel periodo arcaico, il rapporto tra ludi circenses e ludi
scaenici era nettamente favorevole ai primi.
Al tempo di Livio Andronico, infatti, erano dedicati alla
rappresentazione di commedie e tragedie non più di quattro o cinque
giorni all’anno, durante le feste religiose. Di queste le più importanti
erano: i ludi Romani, in onore di Giove, che venivano celebrati nel
Circo Massimo nel mese di settembre; i ludi plebeii, sempre in onore di
Giove, celebrati a novembre nel Circo Flaminio; i ludi Apollinares, a
luglio in onore di Apollo; i ludi Megalenses, in aprile in onore di
Cibele, la Magna Mater; i ludi Florales, in aprile in onore di Flora.
Oltre che in queste occasioni ufficiali, spettacoli scenici potevano
essere rappresentati in altre circostanze, sia pubbliche che private.
ANDRONICO, schiavo proveniente da Taranto, fu affrancato da
Livio Salinatore, da cui prese il nomen, per la sua cultura greca.
Divenne maestro di scuola, attività per cui scrisse l’Odusia,
traduzione in versi saturni dell’Odissea di Omero; per ordine degli
edili compose e fece rappresentare tragedie e commedie.
NEVIO: il primo autore di origine italica, legato a rappresentanti
del partito popolare, famoso per la libertà espressiva, compose
un poema epico, Bellum Poenicum, in cui fonde per la prima
volta la storia di Roma con il mito di Enea, e di tragedie e
soprattutto di commedie di successo.
PLAUTO: autore molto amato dal pubblico, di origine osca, compose
commedie prendendo come modello la commedia nuova greca. I
personaggi ricorrenti del suo teatro erano il vecchio babbeo, il giovane
scioperato, la cortigiana e soprattutto il servo astuto.
Essi non avevano un particolare approfondimento psicologico e agivano
all’interno di intrecci molto ripetitivi. L’intento di Plauto era infatti rivolto
interamente alla vivacità del dialogo e alla liberta dei canti con lo scopo di
risum movere.
STAZIO: proveniente dalla Gallia Cisalpina affrancato dal suo patrono
Cecilio, fu autore di palliate e rappresentò una sorta di intermediazione
tra Plauto e Terenzio.
Dai pochi frammenti che abbiamo possiamo ritenere che si richiamava
all’atmosfera plautina per la vivace fantasia comica e per il gusto del
farsesco, ma tentava anche l’approfondimento psicologico dei
personaggi anticipando Terenzio.
TERENZIO: originario di Cartagine, introdusse forti innovazioni nel genere
della palliata che il pubblico accolse soltanto dopo molte resistenze. Egli
approfondì lo studio dell’animo umano seguendo l’ideale dell’humanitas
elaborato in quegli anni all’interno del circolo scipionico.
Lo scopo dell’autore non è più il risum movere di Plauto, ma la riflessione
su alcuni aspetti della vita quotidiana: il rapporto tra padrone e servo, il
problema dell’educazione dei figli e in generale la convivenza tra classi
sociali e generazioni diverse improntata a comprensione e confidenza
reciproche.
PACUVIO: autore di fabulae cothurnatae e di una praetexta,
presenta eroi fieramente in lotta contro il destino, magnanimi di
fronte alla sventura, che non perdono mai la gravitas e le altre
virtù tipiche del mos maiorum.
ACCIO: autore di fabulae cothurnatae di cui restano pochi
frammenti, fu vittima degli strali degli autori di satire per il carattere
orgoglioso e superbo.
Nelle sue opere dominano i toni magniloquenti, il gusto per il patetico
e l’orrido, con presenze di spettri, incubi, prodigi.
QUINTO ENNIO, (Rudiae, od. Rugge, nelle Puglie, 239 - Roma 169 a.C.)
Messapico di origine e greco di educazione, vive a Roma, guadagnandosi
il favore degli Scipioni . Alla sua morte venne onorato con una statua
collocata nella tomba degli Scipioni.
Suo merito notevole fu la sostituzione dell’antico saturnio con l’esametro
omerico, che divenne il verso più usato nella poesia latina.
Ennio compose inoltre una ventina di tragedie, Saturae, poesie varie di
metro e di struttura, di ispirazione filosofica o morale.
Graecia capta ferum victorem cepit
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1.1.quadro generale letteratura

  • 1.
  • 2. Dopo le prime manifestazioni teatrali in età preletteraria , nel 240 a.C. viene rappresentata la prima tragedia di Livio Andronico che rappresenta l’inizio della storia del teatro a Roma. Nel corso del III e del II sec.a.C. la produzione teatrale ebbe grande sviluppo e fu accompagnata da un notevole successo di pubblico grazie ad autori come Nevio,Plauto, Cecilio Stazio, Terenzio, Pacuvio e Accio. Le forme più rappresentate furono : la fabula palliata, commedia di ambientazione greca; la fabula togata, commedia di ambientazione latina; la fabula cothurnata, tragedia di argomento greco; la fabula praetexta , tragedia di argomento latino.
  • 3.
  • 4. La forma più antica di arte drammatica presso i Romani furono gli scherzi fescennini, una sorta di farsa campagnola in cui alcuni contadini, affidandosi all’improvvisazione, si scambiavano insulti volgari ed osceni. I contadini, dopo aver messo al sicuro il raccolto, facevano festa, per un verso offrendo doni agli dei e per l’altro dando vita a questa singolare forma di divertimento. All’inizio tali scherzi erano inoffensivi, poi cominciarono ad attaccare le persone più in vista, per cui si approvò una legge che ne ridimensionava l’asprezza e la violenza.
  • 5. Sull’origine del termine fescennino gli studiosi ci hanno fornito di due interpretazioni. La prima connette i fescennini con la città etrusca di Fescennium; la seconda interpretazione fa derivare fescennino da fascinum (malocchio), ponendo, quindi, l’accento sulla funzione apotropaica di tale rito: lo scambio di insulti accompagnato da oscenità di linguaggio e da esibizione di oggetti indecenti, avrebbe la funzione di stornare il malocchio e di augurare abbondanza e fertilità.
  • 6. In età più antica rispetto ai fescennini sembra essersi sviluppata una farsa rustica in cui comparivano personaggi-tipo tradizionali ma in situazioni ridicole. I Romani la chiamavano farsa osca, in riferimento all’ambito geografico in cui era nata, oppure atellana, dalla città di Atella in Campania. Si pensa che queste farse venissero rappresentate durante le Quinquatruus ed i Saturnalia. Tipici delle atellane erano i personaggi, maschere fisse sul tipo della nostra commedia dell’arte. Non se ne conosce una lista ufficiale, ma pare che se ne possano individuare almeno cinque: Maccus, Bucco, Pappus, Dossenus, Manducus.
  • 7. L’atellana sviluppa una rappresentazione esasperata dei vizi e dei difetti dell’uomo comune. Ad essere presi in giro erano particolari categorie sociali, come il contadino, il forestiero, oppure tipi umani, come il vecchio, l’ingordo, il lussurioso; altre volte ci si accaniva sui difetti fisici. Nella satira di tali personaggi era fatta per lo più all’insegna della volgarità che, quando si mescolava di sessualità, diventava oscenità. Tale oscenità è legata al fatto che, probabilmente, l’atellana era in origine legata ai rituali della fecondazione. Questa rappresentazione si basava sull’abilità degli attori che improvvisavano le battute, giacché non possedevano un testo scritto.
  • 8. Più recente dei fescennini deve essere stata un’altra forma drammatica, la satura. In un brano del Ab urbe condita libri di T.Livio, i Romani fecero venire dall’Etruria degli attori che diedero uno spettacolo di danza al suono del flauto. Il successo fu tale che i giovani Romani cominciarono ad imitarli, inserendo nello spettacolo rozze volgarità. Col passare del tempo tali performances non vennero più rappresentate da dilettanti, ma da attori di professione, ed i dialoghi, dapprima improvvisati, furono regolati da un testo scritto. A tale tipo di spettacolo fu dato il nome di satura.
  • 9. Le ipotesi sull’origine del termine sono moltissime. Tra queste, però, la più accreditata è una delle quattro forniteci da Diomede, un grammatico del IV secolo d. C. secondo questa interpretazione lo studioso faceva risalire tale forma drammatica dal piatto (lanx) che, pieno di molte e diverse primizie, veniva offerto agli dei; per l’abbondanza e la molteplicità dei doni, la lanx veniva detta satura, cioè “piena, ricca”.
  • 10. Fin dall’antichità si celebravano in onore di alcune divinità delle feste (ludi), nel corso delle quali si svolgevano spettacoli circensi, gare atletiche, combattimenti di gladiatori, ecc. Una parte dei giorni festivi veniva impiegata anche per le rappresentazioni drammatiche (ludi scaenici). I giorni di festa andarono via via aumentando fino a giungere a cifre veramente sbalorditive. Il popolo romano tendeva a passare gran parte della sua vita a teatro; era, insomma, un popolo di spettatori. È anche vero, però, che nel periodo arcaico, il rapporto tra ludi circenses e ludi scaenici era nettamente favorevole ai primi.
  • 11. Al tempo di Livio Andronico, infatti, erano dedicati alla rappresentazione di commedie e tragedie non più di quattro o cinque giorni all’anno, durante le feste religiose. Di queste le più importanti erano: i ludi Romani, in onore di Giove, che venivano celebrati nel Circo Massimo nel mese di settembre; i ludi plebeii, sempre in onore di Giove, celebrati a novembre nel Circo Flaminio; i ludi Apollinares, a luglio in onore di Apollo; i ludi Megalenses, in aprile in onore di Cibele, la Magna Mater; i ludi Florales, in aprile in onore di Flora. Oltre che in queste occasioni ufficiali, spettacoli scenici potevano essere rappresentati in altre circostanze, sia pubbliche che private.
  • 12.
  • 13. ANDRONICO, schiavo proveniente da Taranto, fu affrancato da Livio Salinatore, da cui prese il nomen, per la sua cultura greca. Divenne maestro di scuola, attività per cui scrisse l’Odusia, traduzione in versi saturni dell’Odissea di Omero; per ordine degli edili compose e fece rappresentare tragedie e commedie.
  • 14. NEVIO: il primo autore di origine italica, legato a rappresentanti del partito popolare, famoso per la libertà espressiva, compose un poema epico, Bellum Poenicum, in cui fonde per la prima volta la storia di Roma con il mito di Enea, e di tragedie e soprattutto di commedie di successo.
  • 15. PLAUTO: autore molto amato dal pubblico, di origine osca, compose commedie prendendo come modello la commedia nuova greca. I personaggi ricorrenti del suo teatro erano il vecchio babbeo, il giovane scioperato, la cortigiana e soprattutto il servo astuto. Essi non avevano un particolare approfondimento psicologico e agivano all’interno di intrecci molto ripetitivi. L’intento di Plauto era infatti rivolto interamente alla vivacità del dialogo e alla liberta dei canti con lo scopo di risum movere.
  • 16. STAZIO: proveniente dalla Gallia Cisalpina affrancato dal suo patrono Cecilio, fu autore di palliate e rappresentò una sorta di intermediazione tra Plauto e Terenzio. Dai pochi frammenti che abbiamo possiamo ritenere che si richiamava all’atmosfera plautina per la vivace fantasia comica e per il gusto del farsesco, ma tentava anche l’approfondimento psicologico dei personaggi anticipando Terenzio.
  • 17. TERENZIO: originario di Cartagine, introdusse forti innovazioni nel genere della palliata che il pubblico accolse soltanto dopo molte resistenze. Egli approfondì lo studio dell’animo umano seguendo l’ideale dell’humanitas elaborato in quegli anni all’interno del circolo scipionico. Lo scopo dell’autore non è più il risum movere di Plauto, ma la riflessione su alcuni aspetti della vita quotidiana: il rapporto tra padrone e servo, il problema dell’educazione dei figli e in generale la convivenza tra classi sociali e generazioni diverse improntata a comprensione e confidenza reciproche.
  • 18. PACUVIO: autore di fabulae cothurnatae e di una praetexta, presenta eroi fieramente in lotta contro il destino, magnanimi di fronte alla sventura, che non perdono mai la gravitas e le altre virtù tipiche del mos maiorum.
  • 19. ACCIO: autore di fabulae cothurnatae di cui restano pochi frammenti, fu vittima degli strali degli autori di satire per il carattere orgoglioso e superbo. Nelle sue opere dominano i toni magniloquenti, il gusto per il patetico e l’orrido, con presenze di spettri, incubi, prodigi.
  • 20. QUINTO ENNIO, (Rudiae, od. Rugge, nelle Puglie, 239 - Roma 169 a.C.) Messapico di origine e greco di educazione, vive a Roma, guadagnandosi il favore degli Scipioni . Alla sua morte venne onorato con una statua collocata nella tomba degli Scipioni. Suo merito notevole fu la sostituzione dell’antico saturnio con l’esametro omerico, che divenne il verso più usato nella poesia latina. Ennio compose inoltre una ventina di tragedie, Saturae, poesie varie di metro e di struttura, di ispirazione filosofica o morale.
  • 21. Graecia capta ferum victorem cepit Orazio sat III