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Parla, ricordo
1903. Vladimir Vladimir Nabokov
scivola col cuore Traduzione: Guido Ragni
in gola lungo un Romanzo
cunicolo stretto Adelphi
e buio; sta 2010
vivendo la sua Articolo di: Angelica Graziano
prima
avventura e
poco importa
che avvenga in una lussuosa abitazione di San Pietroburgo, dietro
un divano “di cretonne bianco a trifogli neri”spostato di pochi
centimetri dal muro al quale di solito è appoggiato. È il suo primo
ricordo, la pietra miliare della sua presa di coscienza del mondo. Un
mondo dorato, all’inizio; nato in una famiglia nobile, di cui fornisce
un’ampia panoramica genealogica, impara a parlare russo allo stesso
modo in cui parla francese e inglese grazie a una nutrita schiera di
governanti e istitutori che lo accompagna fino all’ingresso al
prestigioso e borghese Istituto Tenisev, una volta preadolescente.
L’arte, la letteratura, la scienza sono il suo pane quotidiano: a sette
anni non fa solo impazzire le balie con scherzi crudeli come tutti i bambini normali,
ma trotterella col suo retino sui sentieri della residenza estiva di famiglia alla ricerca
spasmodica di farfalle rare e inizia a consultare quei libri di entomologia nei quali, un
giorno, entrerà come scopritore di una nuova specie. Fa lunghe vacanze in giro per
l’Europa; e oltre ad altre preziose farfalle, raccoglie semi di sentimenti: dall’infantile
cotta per la piccola Colette sulle spiagge di Biarritz, al turbamento alla vista della
contadina Polen’ ka, fino al grande amore per sua moglie Vera. Il contraltare di questi
scenari è l’ombra della storia russa dei primi del ‘900 che avanza nella sua vita:
Vladimir conosce presto il dolore che può derivare dal difendere idee politiche
controcorrente: quando suo padre è costretto a sfidare a duello (poi non avvenuto) il
direttore di un giornale che aveva pubblicato calunnie contro di lui a causa delle sue
idee democratiche; e quando lo vive sulla sua pelle, durante la rivoluzione del 1917,
che costringe la sua famiglia a trasferirsi prima in Crimea e poi a disperdersi per
l’Europa; fino al suo arrivo in America, sua amata patria d’adozione...
La breve cronologia della vita di Nabokov - per quanto interessante possa essere stata
-, è solo un punto di partenza, una sintetica mappa che si può tracciare per descrivere
un’opera così complessa e affascinante come Parla, ricordo. Non un prodotto a uso e
consumo di fan appassionati e ossessionati, per avidi collezionisti di gossip letterario,
o l’ennesima prova che gli scrittori siano vanesi e auto compiaciuti in maniera
proporzionale alla propria grandeur artistica. Ma un libro che nell’esortazione del
titolo - l’autore, nella prefazione, racconta di averlo scelto accuratamente - contiene già
la sua essenza: l’arte del narrare, in uno dei suoi picchi più elevati che sfrutta
un’autobiografia come pretesto per mettersi a servizio di Mnemosyne, la musa della
Memoria. I ricordi che con la propria voce, spontaneamente, raccontano e
letteralmente esplodono in un caleidoscopio di sensazioni tattili, olfattive, visive
universalmente riconoscibili. La sinestesia, caratteristica dell’autore, che viene
letteralmente trasfusa in chi lo legge. “Allora di tutto questo non sapevo che farmene
(mentre ora lo so benissimo)- come sbarazzarmene, come trasformarlo in qualcosa che
può essere girato al lettore in caratteri a stampa, perché sia lui a vedersela con il
benedetto brivido d’emozione - e quella incapacità non faceva che aumentare il mio
senso d’oppressione”: questo confessa, quasi di sfuggita, Nabokov riferendosi a una
descrizione strepitosa di uno degli struggenti sumerki (tramonti) russi. Così come
candidamente ammette di non essere più in possesso dell’originale di alcuni ricordi ,
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che pure sente di aver vissuto, perché dati in prestito e poi trasfigurati e mutati, come
le pupe delle sue amate farfalle, in personaggi o scenari dei suoi altri libri. Un regalo ai
suoi lettori e al mondo della letteratura davanti a cui sedersi e, semplicemente,
ascoltare.
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