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CICLO SEMINARI AESI 2016 - ELABORATO FINALE
RIFUGIO EUROPA. L’Unione Europea di fronte alla sfida dei flussi
migratori, tra particolarismi, diritti e paure.
di Ilaria Danesi
L’arrivo in Europa di più di un milione di richiedenti asilo nel 2015 e di quasi 200.000 migranti nei
primi sei mesi del 2016,1
ha spinto i già fragili equilibri europei al limite del baratro. L’assetto
istituzionale e legislativo della Ue si è mostrato chiaramente inadeguato a rispondere ad una sfida
complessa, che a fronte delle inderogabili responsabilità umanitarie porta con se’ problematiche di
natura economica, sociale, demografica. Benché gli stati europei abbiano di fatto, colpevolmente,
rimandato il più a lungo possibile una riflessione seria e capace di apportare risposte condivise alla
crisi migratoria, l’improrogabilità e la dimensione dell’emergenza pongono ora i governanti europei
di fronte alla necessità di una risposta, la cui natura e i cui contenuti potrebbero segnare una
ridefinizione dei paradigmi stessi dell’Ue che conosciamo.
I numeri della crisi:
Secondo i dati Eurostat, nel 2015 sono state oltre 1.2 milioni le richieste d’asilo presentate nei paesi
dell’Ue, una cifra più che raddoppiata rispetto alle richieste presentate nel 2014 (562.680). Si tratta
perlopiù di siriani (oltre 362.775, 29%), afghani (178.230, 14%), iracheni (121.535, 10%), ma
anche kosovari (66.885, 5%), albanesi (65.935, 5%), pakistani (46.400, 4%), eritrei (33.095, 3%),
nigeriani (29.915, 2%) e iraniani (25.360), mentre il restante 26% è composto da altre nazionalità. Il
paese che ha ricevuto il maggior numero di richieste è la Germania (441.800 richieste, 35,2% del
totale, +155% rispetto al 2014), davanti ad Ungheria (13,9%, +323%) e Svezia (12,4%, +108%). Le
richieste d’asilo pervenute in Italia sarebbero 83.245 (+31%), corrispondente a 1.369 per milione di
abitanti (il primato va qui all’Ungheria con 17.699 richieste per milione di abitanti).2
Si tratta di un
trend in forte crescita dunque, ma anche di numeri tutto sommato contenuti se paragonati alla
presenza massiccia di rifugiati in paesi extra-Ue, per altro economicamente meno solidi. Secondo
l’UNHCR infatti, il numero di rifugiati attestato nel 2015 è il più alto mai raggiunto dalla
popolazione mondiale, con ben un rifugiato (o sfollato interno o richiedente asilo) ogni 122
persone, per un totale di 59,5 milioni di rifugiati nel mondo. Di questi, 1,59 milioni hanno trovato
rifugio sino al 2015 in Turchia, ma il numero maggiore di rifugiati per abitante si ha in Libano, con
232 profughi accolti ogni 1000 abitanti.3
Occorre inoltre distinguere tra quelle che sono le richieste di asilo e l’effettivo conferimento dello
status di rifugiato (o di altro tipo di protezione internazionale), benché le difficoltà
nell’amministrazione del processo rendano spesso più lunga del previsto la sosta sul suolo europeo
anche di quei richiedenti la cui domanda viene infine respinta per mancanza di condizioni. Nel caso
dell’Italia ad esempio, sono pervenute 40.000 richieste di asilo in questi primi sei mesi di 2016
(+58% rispetto al primo semestre dello scorso anno), ma solo al 4% di queste è stato accordato lo
status di rifugiato, mentre al 13% è stata accordata una protezione cosiddetta sussidiaria e al 18%
																																																								
1
http://www.cinformi.it/index.php/it/news_ed_eventi/archivio_news/anno_2016/europa_gli_sbarchi_2016
2
http://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/7203832/3-04032016-AP-EN.pdf/790eba01-381c-4163-bcd2-
a54959b99ed6
3
http://frontierenews.it/2015/06/i-10-paesi-che-accolgono-piu-rifugiati/
2	
una protezione cosiddetta umanitaria.4
Il 5% dei richiedenti è risultato irreperibile e sono in netto
aumento i mancati riconoscimenti, circa il 60%.5
Quest’ultimo è un dato che deve fare riflettere in
merito alla composizione dei flussi migratori: se la maggioranza dei profughi provenienti dalla rotta
balcanica è di origine siriana (pur considerando una verosimile componente di possessori di
documenti di identità contraffatti), i migranti provenienti dal sud del mediterraneo che sbarcano in
Italia sono spesso irricevibili come profughi, da qui un basso tasso per il nostro paese di protezione
come vero e proprio “rifugiato”.
Ovviamente si tratta di cifre che tengono conto della sola e particolare situazione dei richiedenti
asilo e non dell’immigrazione totale (regolare e irregolare) e che offrono un dato puro, che non
tiene conto delle molte variabili da considerare per valutare l’impatto, non solo demografico, della
massiccia presenza di rifugiati o aspiranti tali su un territorio (non da ultimo, non tiene conto degli
standard di tutela che gli Stati ospitanti offrono); ma nondimeno le cifre ci offrono la possibilità di
cogliere le dimensioni di un fenomeno sulla cui portata è difficile orientarsi e che diviene facile
preda di manipolazioni allarmistiche o demagogiche.
La narrazione del fenomeno migratorio da parte dei media così come di determinate forze politiche,
risulta infatti oltremodo confusionaria sul tema migranti, finendo per sovrapporre la figura dei
beneficiari di protezione e asilo ai migranti tout court, regolari o persino clandestini. Si tratta
ovviamente di figure ben diverse. Secondo la convenzione di Ginevra del 1951, rifugiato è
“chiunque nel giustificato timore d'essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza,
appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di
cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di
detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in
seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”,
condizione che impone agli stati firmatari l’assoluto divieto di respingimento o rimpatrio forzato. A
questo status personale si aggiungono i rischi derivanti dalle situazioni di conflitto internazionale o
interno, che similmente impediscono il rimpatrio del richiedente protezione internazionale.
L’Ue si è impegnata a costruire un Sistema Comune di Asilo Europeo (CEAS) basato sulla piena e
completa applicazione della Convenzione, che ha cercato di uniformare le procedure per la
domanda di asilo in tutti paesi (direttiva procedure), attraverso l’erogazione di condizioni di
accoglienza quali alloggio e vitto (direttiva accoglienza) e il riconoscimento (sia per il rifugiato che
per il soggetto sotto protezione sussidiaria) di diritti quali la possibilità di ottenere un permesso di
soggiorno, l’accesso al mercato del lavoro e l’assistenza sanitaria (direttiva qualifiche). Il tutto
avviene sotto controllo dell’identità del beneficiario tramite un archivio di impronte digitali
(EURODAC, regolamento Eurodac).6
Il sostanziale fallimento sempre più evidente di questo
sistema di fronte all’aumento dei flussi migratori ha la sua causa principale nella permanenza di
differenze e nella scarsa collaborazione tra paesi, che si esplica pienamente nel regolamento di
Dublino, il sistema di riferimento ormai giunto alla sua III veste, che pur con qualche progressivo
miglioramento rimane colpevolmente fallace nella sua stessa logica. Difficoltà ulteriori si pongono
nel controllo dei confini esterni, la cui sicurezza è presupposto fondamentale la libera circolazione
interna dell’area Schengen. Non ultimi, il mancato rispetto degli impegni presi e difficoltà
oggettive, legislative, burocratiche e infrastrutturali, nella gestione della crisi migratoria
contribuiscono al fallimento di un sistema inefficace e il cui fallimento ha gravi ripercussioni
sociali, sia sui paesi d’ingresso e relativi cittadini, sia sulle vite e i diritti dei migranti.
																																																								
4
http://archivio.internazionale.it/news/da-sapere/2013/06/20/che-differenza-ce-tra-profughi-e-rifugiati
5
http://www.cir-onlus.org/it/comunicazione/news-cir/51-ultime-news-2016/2081-richiedenti-asilo-40mila-domande-in-
italia-nel-2016-58	
6
http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/e-library/docs/ceas-fact-sheets/ceas_factsheet_it.pdf
3	
Di fronte alla crisi: una necessaria revisione delle politiche europee
Al pari dell’unione monetaria, il sistema di libera circolazione di Schengen, simbolo delle conquiste
del percorso d’integrazione europea, si è rivelato incapace di fare fronte ad una situazione di crisi di
questa portata. Il regolamento di Dublino, assegnando la responsabilità dell’asilo allo stato di
primo ingresso, ha come prevedibile dato vita ad un disequilibrio nella gestione dell’emergenza
migratoria, che finisce per gravare sulle spalle di un ristretto numero di paesi geograficamente
interessati. L’accordo, la cui ratio doveva impedire il cosiddetto asylum shopping, ha prodotto
conseguenze problematiche.
Impossibilitati a sostenere il peso di un continuativo flusso di migranti la cui liceità di ingresso è di
difficile definizione, in particolare Grecia e Italia hanno mostrato tutta la propria insoddisfazione
rispetto all’attuale assetto legislativo. Questo ha generato un “gioco al ribasso” in cui i paesi di
primo ingresso, raramente meta ultima nelle intenzioni dei migranti, si sono lasciati tentare dal
venir meno agli impegni presi, lasciando passare questi ultimi attraverso le porose frontiere naturali.
La Grecia in particolare è stata sanzionata dalla Corte Europea per una strutturale incapacità di
rispettare gli standard di asilo, con conseguenze grottesche: il migrante che vede violati i suoi diritti
a causa delle carenze elleniche e che è riuscito a lasciare la Grecia alla volta di un secondo stato Ue,
non può esservi reintrodotto perché non sussistono le condizioni, di fatto così incentivando
comportamenti viziosi anziché virtuosi. La diffusione dell’emergenza figlia di queste negligenze,
unita all’evidente inadeguatezza e all’iniquità del “sistema Dublino” e all’aumento dei flussi lungo
la rotta balcanica, ha costretto gli altri paesi europei ad affrontare la questione ormai insostenibile in
una prospettiva comunitaria. Tuttavia, il processo di rinegoziazione degli accordi non sembra aver
dato ancora i suoi frutti, in parte per una riforma legislativa non sufficientemente coraggiosa, in
parte per la difficoltà nella concreta messa in pratica delle risposte individuate, in parte ancora per
un atteggiamento di chiusura di molti paesi europei, rigidamente arroccati su posizioni di rifiuto dei
migranti. Inoltre, un punto cruciale della questione ruota attorno all’oggettiva difficoltà di
distinguere migranti economici da migranti effettivamente bisognosi di status di rifugiato, tematica
che allontanata dalle riflessioni dei giuristi è diventata tra i principali vessilli dei partiti populisti che
sempre maggior peso vanno guadagnando nel dibattito politico della maggioranza degli stati Ue.
Durante il corso del 2015 l’Ue ha cercato di rispondere alla crisi attraverso alcune decisioni
importanti, come la riallocazione di 160.000 rifugiati; l’istituzione di hot spot lungo le frontiere
esterne; un maggiore impegno anche finanziario per i programmi ONU per i rifugiati in
Medioriente; un complesso accordo con la Turchia per controllare e limitare gli ingressi lungo la
rotta balcanica che la vede come chiave di ingresso dell’Europa. Il nuovo piano sui migranti che
l’Unione Europea ha proposto come bozza preliminare ai primi di giugno 2016, intende affrontare
finalmente la questione in maniera organica e pone nero su bianco alcuni significativi miglioramenti
nella sua dimensione comunitaria, ma non manca di limiti abbastanza evidenti.
Il piano recepisce in buona parte la strategia delineata dall’Italia nella sua proposta di migration
compact. Anzitutto, un importante sostegno economico per la cooperazione internazionale allo
sviluppo nei paesi di partenza dei migranti, da realizzarsi grazie alle risorse economiche congiunte
dei paesi dell’Unione, in cambio di un ritorno in patria degli irregolari e di collaborazione nel
frenare l’esodo verso l’Europa. Al di là della sostenibilità economica e delle difficoltà nel mettere in
questo senso d’accordo le capitali europee7
, questo approccio basato su accordi bilaterali a fermare i
flussi immigratori irregolari ha l’intrinseco difetto di condizionare pesantemente l’Europa,
costringendola ad accordi con governi e regimi a sud del Mediterraneo essi stessi causa della
diaspora di esseri umani, nonché di esporla al rischio di “ricatti”: non sarebbe difficile per uno
qualsiasi degli stati afroasiatici convolti, così come già per la Turchia, stringere o riaprire le maglie
																																																								
7
http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-06-11/parte-salita-piano-ue-i-migranti-081226.shtml?uuid=ADEP4La
4	
dei controlli in funzione di una maggiore erogazione di finanziamenti da Bruxelles, o per
qualsivoglia motivazione geopolitica. Difficile inoltre, nel marasma politico degli stati oggetto
dell’accordo, non pensare alla più che concreta possibilità che gli investimenti nella cooperazione
non finiscano per finanziare almeno in parte pratiche moralmente inaccettabili (come avveniva ai
tempi degli accordi bilaterali con la Libia di Gheddafi e i suoi centri di reclusione) o gli stessi
traffici illeciti che si vogliono arginare. Per evitarlo servirebbero oltre ai cooperanti anche forme di
controllo ben più efficienti e diffuse di quelle attuali, portate avanti dalle organizzazioni
internazionali e magari comprensive di forze militari legittimate al supporto e messa in sicurezza
delle aree più instabili, nonché un ruolo strutturale nella stabilizzazione e sviluppo di questi territori
da parte dei “vicini di casa” al momento più affidabili, come Marocco e Tunisia.
Nei paesi già oggetto di accordi di questo tipo le ONG per i diritti umani hanno rilevato frequenti
abusi tra cui violenze e detenzioni arbitrarie. Secondo Oxfam, il nuovo “Migration Partnership
Framework” annunciato dalla Commissione, delegando in gran parte ai paesi terzi il controllo delle
frontiere europee, rischia verosimilmente di privare una larga fetta di possibili rifugiati dalle tutele
legali umanitarie: “abbiamo la seria preoccupazione che le misure contenute nel Migration
Compact possano diventare un mezzo per convincere i paesi poveri a gestire l’emergenza migranti
al posto della Ue, facendo affidamento, in alcuni casi, su paesi retti da regimi dittatoriali in cui
abusi e repressione sono all’ordine del giorno”8
.
Per davvero cambiare le cose servirebbe anzitutto rivedere in maniera sensibile il sistema di
Dublino, solo toccato nelle modifiche di questi anni9
.
Stando ai dati la maggioranza della popolazione migrante beneficiaria dello status di rifugiato
preferirebbe migrare in paesi diversi da quelli di prima istanza per una serie di motivazioni che
vanno dal ricongiungimento familiare, ai contatti sociali, alle differenti condizioni burocratiche sino
ovviamente alle diverse condizioni economiche. Al fine di raggiungere le mete più ambite (Svezia,
Germania, Austria etc.), bypassando lo Stato di primo ingresso e le maglie del sistema Dublino,
molti migranti che potrebbero teoricamente beneficiare di protezione si mettono nelle mani di
trafficanti di uomini, mettendo a repentaglio la loro vita e alimentando i traffici illeciti.
Contrastare questi ultimi dovrebbe essere interesse primario dell’Unione, per la duplice necessità di
salvare vite umane limitando i naufragi e di operare un controllo di frontiera il più possibile
efficace, prevenendo sia l’immigrazione irregolare sia la possibilità di infiltrazioni estremiste tra i
migranti arrivati sulle coste europee illegalmente.
Una delle possibili soluzioni per limitare il ricorso dei migranti a canali illegali e pericolosi è quello
di organizzare canali ufficiali sicuri di accesso al territorio europeo. Si tratta di una proposta
estremamente dibattuta: secondo un filone di pensiero, un più facile ed immediato accesso farebbe
aumentare esponenzialmente le richieste di asilo, acuendo i problemi già riscontrati dall’Unione sia
in termini di sostenibilità economico-demografica sia in termini di sicurezza. Secondo un filone di
opposta opinione invece, questo non comporterebbe un sostanziale mutamento in tendenze
migratorie che sono strutturali e che non cesseranno a breve di esistere a prescindere dai rischi più o
meno accentuati che il viaggio comporta. Canali sicuri permetterebbero invece di gestire meglio
l’emergenza; di migliorare i controlli sull’identità dei richiedenti asilo e quindi sulla liceità della
loro richiesta (distinguendo così più facilmente i migranti economici dai beneficiari di protezione
internazionale); di ottimizzare le procedure burocratiche di registrazione, accoglienza e
smistamento dei rifugiati; di contrastare il traffico di esseri umani e di limitare enormemente la
perdita di vite umane in viaggi della speranza.
Il tutto andrebbe ovviamente inserito in una complessiva revisione della ratio dietro al sistema
Dublino di accoglienza, non più incentrato sul Paese di primo ingresso ma su una equa suddivisione
																																																								
8
http://www.oxfamitalia.org/migranti-il-nuovo-piano-ue-mette-a-rischio-i-diritti-umani/
9
http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/suprano/cap2.htm
5	
“a quote”. Questo dovrebbe comprendere anche ferree misure di controllo per il rispetto degli
accordi presi dai singoli stati, visto il sostanziale fallimento del piano di ricollocamento dei migranti
approvato lo scorso anno, con soli 1500 riallocati sui 160.000 previsti. Alle difficoltà politico-
amministrative si aggiunge l’atteggiamento degli stati che volutamente continuano a venir meno ai
controlli (si veda non ultimo il caso del Brennero tra Austria e Italia10
) favorendo il passaggio di
cittadini non identificati. Un atteggiamento vizioso che non solo viola i principi di lealtà
comunitaria e contribuisce al rischio collasso dell’intero sistema per la pressione demografica, ma
aumenta esponenzialmente i rischi legati alla criminalità ordinaria sino al terrorismo.
Serve in definitiva un autentico sistema di asilo comune, che garantisca unità d’intenti e uniformità
d’azione, favorendo il rispetto di standard comuni di accoglienza a livello di politiche e di
infrastrutture. La frammentazione delle politiche migratorie e la poca collaborazione mostrate tra
nazioni sono causa di trattamenti ineguali e frequenti violazioni dei diritti umani, nonché di
lungaggini burocratiche che costringono letteralmente i richiedenti asilo in strutture inadeguate ben
oltre i tempi tecnici di riconoscimento previsti dalle normative. Una comune politica in termini di
asilo e immigrazione che sarebbe d’altronde dichiarato dell’Unione Europea, sancito dal Trattato di
Lisbona (articoli 67, 78, 79, 80 del TFUE) e dall’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione che recepisce il la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati11
.
Tra gli strumenti giuridici presenti ma talvolta applicati con difficoltà particolarmente utile potrebbe
rivelarsi quello del ricongiungimento familiare, che permette ai famigliari stretti dei cittadini non
comunitari che risiedono legalmente sul territorio dell’Unione di raggiungerli nel paese in cui
risiedono.12
Le procedure per il ricongiungimento sono spesso laboriose, ma la negazione del
ricongiungimento familiare ha ricadute sociali devastanti e pone un limite evidente a quella che
dovrebbe essere una preoccupazione primaria delle politiche migratorie, ovvero l’integrazione. Di
fronte all’emergenza si sta in parte perdendo una prospettiva di lungo periodo: se è vero che
specialmente i richiedenti asilo necessitano di una risposta immediata e sperano di poter tornare in
patria una volta ristabilite le condizioni di sicurezza, è altrettanto vero che, da un lato, non basta la
sicurezza materiale per rispettare la dignità umana, e dall’altro, la presenza di immigrazione
regolare in un paese straniero (e gli slogan della governance politica non mancano di ripeterlo)
dovrebbe essere motivo di crescita del paese stesso, e non puro assistenzialismo. Poste queste
premesse, se è vero che la famiglia viene indicata come la base della società europea risulta difficile
immaginare una politica di integrazione efficace che non favorisca il ricongiungimento del nucleo
famigliare. In generale, le interminabili procedure burocratiche che a livello nazionale ed europeo
costringono i migranti a lunghissimi iter amministrativi, isolano il soggetto rispetto alla società
intorno, generando distanze e diffidenze tanto nel migrante quanto nella popolazione locale. Una
persona isolata dal proprio nucleo familiare, proveniente da una realtà culturale profondamente
diversa, non a conoscenza della lingua locale e spesso impossibilitata a lavorare, verosimilmente
tenderà a isolarsi o ghettizzarsi all’interno di enclave formate dai suoi stessi connazionali,
esattamente quello che delle buone politiche di integrazione dovrebbero evitare. Inutile sottolineare
anche il rischio a livello di sicurezza (in termini di tendenza alla microcriminalità ma anche alla
radicalizzazione) che la mancanza di integrazione nel territorio in cui si abita comporta.
Appare infine fortemente limitante la modalità stessa della richiesta di protezione internazionale
così come prevista dalla normativa internazionale, ovvero come richiesta d’asilo da presentare in
terra straniera, quando è nello stato di provenienza che la vita del richiedente asilo è messa a
repentaglio. Sarebbe opportuno aprire ambasciate e rappresentanze al vaglio delle richieste d’asilo,
nonché allestire appositi centri in particolare nei paesi di traffico.
																																																								
10
http://www.tempi.it/emergenza-profughi-spiegata-da-chi-deve-gestirla-intervista-al-prefetto-mario-
morcone#.V15rDeeLS8o
11
http://www.europarl.europa.eu/atyourservice/it/displayFtu.html?ftuId=FTU_5.12.3.html
12
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV%3Al33118
6	
Schengen è morto, viva Schengen
Di fronte alla crisi migratoria paesi come Germania, Austria, Francia (parzialmente), Svezia e
Danimarca (tra le rispettive frontiere) non hanno costruito fisicamente muri come l’Ungheria di
Orban, o introdotto barriere come la Slovenia, ma hanno sospeso individualmente l’accordo di
libero spostamento di uomini e merci di Schengen e persino la Commissione Europea ha paventato
l’ipotesi di esercitare l’articolo 26 del Trattato, ovvero la sospensione dell’accordo tutti i paesi
dell’Unione, di fronte all’impossibilità di gestire l’evidente sproporzione tra migranti economici
(che rappresenterebbero i due terzi degli ingressi in Europa del 2015) e migranti effettivamente
beneficiari di asilo.
Nonostante sia difficile stimare le conseguenze della chiusura delle frontiere, è probabile che gli
sarebbero consistenti sul piano economico ma soprattutto politico. La libera circolazione di uomini
e merci, servizi e capitali tra i paesi dell’Unione è uno dei capisaldi del percorso stesso di
integrazione, emblematico di un’Europa libera, democratica e pacificata.
Dal punto di vista meramente economico le conseguenze per la crescita e il completamento del
mercato unico sarebbero gravi. “Una più ampia sospensione di Schengen e di misure che mettono
in pericolo le conquiste del mercato interno potrebbero potenzialmente avere un impatto
dirompente sulla crescita economica”, si legge nel capitolo dedicato ai rischi al ribasso per
l’Eurozona individuati lo scorso inverno dalla Commissione Europea13
.
Schengen ha rappresentato per i paesi ex sovietici un’importante opportunità di accrescere i propri
livelli di benessere e stabilità ed è pietra angolare dell’economia europea, il cui apporto in
percentuale al PIL dei paesi partecipanti è stimato dal Fondo Monetario Internazionale in termini di
1-3 punti percentuali (circa 30-90 miliardi di euro annui di scambi frutto della libera circolazione di
uomini e merci),14
mentre le esportazioni di paesi Ue verso altri paesi Ue ammontano a due terzi di
quelle totali. Ovviamente il ripristino delle frontiere non fermerebbe l’interscambio commerciale,
ma i controlli alle frontiere comporterebbero notevoli rallentamenti: Junker al Parlamento Europeo
ha detto che un’ora di ritardi costerebbe intorno ai 55 euro per veicolo, il che se si considera che
ogni anno attraversano una frontiera tra nazioni Schengen 60 milioni di mezzi equivarrebbe a
perdite annue per l’economia dell’Unione di oltre 1.5 milioni di euro. A queste perdite si
aggiungono le problematiche per le merci deperibili e ovviamente rallentamenti per gli spostamenti
umani attraverso i confini.
Ma è dal punto di vista politico che la fine del sistema avrebbe un impatto maggiore. Rinunciare a
Schengen rappresenterebbe una sconfitta forse fatale per l’Unione Europea, che si dimostrerebbe
oggi più che mai incapace di superare i particolarismi e gli egoismi nazionali e di trovare soluzioni
concordate ed efficaci di fronte alle difficoltà, di fatto rendendo ingiustificata la sua stessa esistenza
come l’Unione che conosciamo.
Anche all’atto pratico, è lecito pensare che l’emergenza migranti continuerà molto a lungo vista la
pressione politica e demografica attorno all’Europa. L’impostazione di Dublino e la chiusura delle
frontiere non potrebbero in questo caso che generare una pressione insostenibile sui paesi di primo
arrivo con conseguenze drammatiche per gli equilibri interni all’Unione. Appare perciò evidente
come la sospensione di Schengen non possa risolvere le cause profonde delle migrazioni le
problematiche ad esse legate, mentre servirebbe un nuovo approccio comunitario.
																																																								
13
http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-europa/2378791-2378791/
14
http://www.ispionline.it/articoli/articolo/europa/fine-di-schengen-i-costi-politici-ed-economici-14526
7	
Un’interessante riflessione sul tema, 15
sottolinea come l’eliminazione dei confini interni di
Schengen, similmente all’introduzione dell’Euro, abbia rappresentato un’iniziativa positiva ma
prematura ed incompleta, che ha così portato con se’ anche conseguenze negative, aggravate dalle
divergenze tra i paesi membri e dalla crisi economica e le sue conseguenze. Il trattato avrebbe
richiesto un’integrazione politica e fiscale ancora mancante e un rafforzamento delle frontiere
esterne Ue, delegata ancora a controlli nazionali frammentari e inadeguati, e avrebbe richiesto
politiche di asilo altrettanto strutturate, chiare e condivise. Un metodo di così ambiziosi obiettivi
perseguiti senza il necessario coinvolgimento democratico, può portare ad una costruttiva
evoluzione delle istituzioni, ma quando si sovrappongono crisi come quelle attuali il risultato può
essere catastrofico. Il mantenimento dell’area di Schengen in presenza di forti pressioni migratorie
presuppone alcune condizioni: il rafforzamento dei confini esterni; il salvataggio e l’accoglimento
dei rifugiati al loro approdo nel primo paese sicuro certificato come tale; la ridistribuzione dei
rifugiati a livello globale o quantomeno del costo della loro accoglienza; la convergenza dei livelli
di reddito e dei benefici del welfare all’interno di Schengen (per limitare la naturale tendenza agli
spostamenti verso il paese più ricco); una divisone tra migranti economici (sulla cui permanenza in
definitiva ha giurisdizione la volontà degli stati e dei propri cittadini) e beneficiari di protezione
internazionale; la collaborazione dei paesi confinanti o prossimi ai confini di Schengen nel
contenere le pressioni migratorie e nell’accelerare procedure di verifica e accoglienza.
In mancanza di queste condizioni ed in particolare delle condizioni di sicurezza dei confini esterni
(insufficiente perché lasciata al frammentario operato di forze nazionali e specifiche agenzie)
nonché degli elementi di solidarietà, uniformità e compattezza politica la cui carenza è già stata
trattata, il sistema Schengen e il sistema di Dublino non possono coesistere.
Migrazioni	e	sicurezza:	tra	percezione	e	rischi	concreti	
	
Uno studio del giugno 2015 sulla percezione del fenomeno migratorio attesta che l’immigrazione è
per i cittadini italiani tra le principali fonti di minaccia al proprio paese.16
I dati emersi dal
sondaggio mostrano un netto spostamento della percezione del rischio rispetto a soli pochi mesi
prima, quando la minaccia terroristica occupava il secondo posto nelle paure dei cittadini, dopo la
crisi economica.
	
	
																																																								
15
http://www.eunews.it/2016/05/11/parlamento-ue-contro-la-proposta-revisione-di-dublino-al-di-sotto-delle-
aspettative/58256
16
http://www.ispionline.it/articoli/articolo/emergenzesviluppo-europa-italia-global-governance/gli-italiani-e-le-
migrazioni-percezione-vs-realta-13562
8	
	
Questi bruschi mutamenti risentono dell’impatto degli eventi (sbarchi, episodi di cronaca nera ed
ovviamente attentati) e sottolineano l’impatto emotivo della questione migranti, nella cui
percezione, al pari del fenomeno terroristico, gioca un importante ruolo il fattore mediatico. Di
certo però le conseguenze del fenomeno migratorio restano saldamente ai primi posti tra le
principali preoccupazioni di una buona fetta di italiani, che si mostrano inoltre scettici e critici nei
confronti della governance sia nazionale sia europea: da altri quesiti risulta infatti come non sia
chiaro ai cittadini chi sia veramente chiamato a decidere in merito a queste tematiche. Il fenomeno
migratorio è visto sovente come monolitico, senza la necessaria differenziazione tra migrante
regolare e irregolare e tra regolari e sottocategoria di rifugiati. Per il 38% del campione intervistato
a giugno 2016, il fenomeno migratorio desta particolare apprensione perché legato alla minaccia
terroristica, mentre per il 29% si tratta piuttosto di una minaccia generica. Il 28% lo ritiene un
processo semplicemente inevitabile e solo il 2% lo ritiene una risorsa, mentre il 3% non risponde.
Per quanto siano dati campione nonché oggetto come visto di grossi sbalzi in un breve lasso di
tempo, ci offrono un segnale di criticità forte da parte della cittadinanza, che può che dare vita a
diverse riflessioni. Anzitutto, riguardo l’impatto dei media e la generale ignoranza della
cittadinanza su aspetti basilari per la comprensione del fenomeno, in primis la differenza tra
migranti regolari ed irregolari. Quindi, la crescita della sfiducia nei confronti delle forze politiche
nazionali ma ancor più comunitarie, con Bruxelles che appare distante e a tratti dispotica. È una
sfiducia che ha d’altronde una limpida espressione nell’ascesa dei partiti euroscettici ed in generale
anti-sistema in tutta Europa, cui assistiamo progressivamente da diversi anni.
Anche la posizione dei cittadini europei sulla sospensione di Schengen, conferma la preoccupazione
degli italiani riguardo ai flussi migratori.17
E’ un dato che va sempre letto da più angolazioni e
alla luce di considerazioni che si sovrappongono:
l’effettiva maggiore esposizione ai flussi rispetto ad
altri paesi; l’influenza dei media e delle forze
politiche nel creare allarmismo; l’incapacità di
gestire concretamente la crisi migratoria; una
diffusa difficoltà nel distinguere le varie figure di
migrante; l’appartenenza dei migranti giunti in Italia
spesso a fasce di popolazione meno colta e
specializzata rispetto, ad esempio, ai siriani della
rotta balcanica etc.. Ma fuor di sondaggio, occorre
anche considerare il peso sociale di una crisi
migratoria che insiste su una crisi economica il cui
peso si fa sentire in maniera differente nei singoli
paesi, già vessati dai propri problemi interni. In
Italia, parte della cittadinanza mostra sfiducia nelle
capacità di assorbimento dei migranti a causa della già altissima disoccupazione, nonché nelle
capacità di far effettivamente rispettare le leggi esistenti, individuando e respingendo i migranti
clandestini. Si aggiunge una diffusa preoccupazione riguardo l’efficacia (se non la mancanza) di
politiche di integrazione in grado di accompagnare un così massiccio ed improvviso afflusso di
persone proveniente da culture estremamente diverse da quella locale. Preoccupazioni non prive di
razionalità, che però finiscono, in un contesto sociale rovente ed instabile come quello dell’Italia di
oggi, per creare una generalizzata tensione, che investe anche i richiedenti asilo e che va a discapito
delle ragioni umanitarie e della solidarietà, tra cittadini stessi e tra cittadini e migranti.
																																																								
17
http://www.demos.it/a01233.php
9	
Manca poi una serena discussione sul peso economico dei migranti regolari (in senso lato) sulle
economie nazionali e dell’Unione. Generalmente si assiste allo scontro tra due posizioni
diametralmente opposte, che vedono i migranti come un peso (laddove siano rifugiati o laddove
ricevano delle misure di welfare che taluni vorrebbero riservate o concesse in via preferenziale alle
famiglie italiane) o viceversa una risorsa (in particolare alla luce del progressivo invecchiamento
della popolazione europea). Sempre restando all’Italia, a gennaio 2015 risultavano residenti circa 5
milioni di stranieri (di cui oltre 3 milioni extracomunitari) su 60 milioni di abitanti totali, per una
percentuale di stranieri regolari dell’8-9% sulla popolazione totale. 2,3 milioni di stranieri risultano
occupati (rappresentano il 10% dei lavoratori, con una media occupazionale superiore agli italiani),
contribuendo così al PIL nazionale con 123 miliardi, 8.8% della ricchezza italiana complessiva.
Secondo alcuni studi il costo dell’immigrazione, considerando sbarchi e costi sociali, può arrivare
ad un totale di 10 miliardi annui. Ancora, secondo l’INPS i pagamenti erogati dallo stato per i
lavoratori extracomunitari sono nettamente inferiori rispetto ai contributi versati, questo perché
molti lavoratori versano i contribuiti salvo tornare al proprio paese d’origine, non usufruendo della
pensione. Si calcola così che oltre 6 miliardi di euro l’annuo di contributi versati da stranieri
vengano lasciati in Italia. Per contro, un dato negativo è rappresentato dalle rimesse, che non
contribuiscono all’economia locale del paese di approdo con la crescita dei consumi (si tratterebbe
secondo alcune fonti di circa 6 miliardi annui).18
Costi e benefici sono in questo caso simultanei nel
paese di origine e in quello di arrivo, con gli emigranti che inviano rimesse in patria ma ne
impoveriscono il capitale umano, mentre nella sponda di approdo lo stesso immigrato gode del
benessere del paese di arrivo ma paga imposte e contributi sociali non sempre bilanciati da welfare
e pensioni.
Si possono fare altre osservazioni di politica economica che vanno al di là dei dati. I lavoratori
stranieri trovano generalmente beneficio nel salario maggiore che percepiscono nel paese di arrivo,
dove aumenterà il Pil, ma non necessariamente il Pil pro capite. Gli occupati del paese di arrivo
soffriranno della riduzione del proprio salario a causa dell’aumento della concorrenza (e degli
insufficienti controlli rispetto al lavoro nero). La maggior parte degli studi econometrici trova che
l’immigrazione abbia un effetto modesto sull’occupazione del paese ospite, più marcato in una
recessione, così come sui salari, tranne che in particolari occupazioni.19
Ma alcuni studi trovano al
contrario effetti negativi più marcati. Se è vero l’adagio che “molti italiani non vorrebbero più fare
determinati mestieri”, è altrettanto vero che probabilmente li accetterebbero più volentieri se il
salario offerto non fosse depresso dalla concorrenza.
Difficile è valutare il peso, in questo caso esclusivamente negativo, degli irregolari, perché difficile
è misurarne il numero sul suolo nazionale. Secondo molti studiosi si tratterebbe di cifre attorno al
6% degli immigrati totali, quindi circa 300.000 persone, 20
ma sono stime su dati 2014 che non
tengono conto dell’ultimo anno di sbarchi, dei clandestini non identificati e delle difficoltà che si
possono riscontrare nel rimpatrio dei richiedenti asilo non accolti.
Per quanto riguarda la percezione della sicurezza, da parte degli italiani si riscontra un aumento dei
timori riguardo ai cittadini stranieri e una conseguente richiesta di maggiori controlli, talvolta anche
a discapito della privacy. 21
	
																																																								
18
http://it.ibtimes.com/gli-immigrati-sono-un-peso-o-una-risorsa-1399536
19
http://www.eunews.it/2016/05/20/schengen-e-la-crisi-europea-delle-migrazioni/59026
20
http://it.ibtimes.com/gli-immigrati-sono-un-peso-o-una-risorsa-1399536
21
http://www.demos.it/a01257.php
10	
	 	
	
Su questa percezione di insicurezza non può che incidere l’alto tasso di criminalità e
microcriminalità attestato dal numero di stranieri nelle carceri italiane: stando all’ultimo rapporto
Istat (relativo al 2013), su 62.535 persone detenute in carcere, 21.854 sono straniere (34,9%)22
. Per
quanto il media tendano ad enfatizzare la criminalità di matrice straniera accrescendo l’insicurezza
percepita (in realtà negli ultimi 3 anni c’è stato un calo complessivo dei reati, 350mila in meno), si
tratta di dati oggettivamente preoccupanti che dimostrano quanto ancora ci sia da lavorare anche a
livello di integrazione sociale.
Meno immediato perché non vissuto nel quotidiano ma altrettanto presente risulta il timore di un
nesso tra immigrazione e terrorismo. In Italia sono già 19 in questo 2016 i casi di espulsione di
estremisti islamici, intercettati dall’intelligence e grazie al controllo nelle carceri, là dove è
maggiore il rischio di radicalizzazione.23
E’ impensabile credere non siano già presenti sul suolo
italiano elementi islamisti radicali e che altri non ne arrivino attraverso i nuovi flussi migratori, il
fulcro della discussione sta nel considerarlo o meno un argomento valido per sospendere procedure
d’asilo e innalzare barriere. Per sua natura il fenomeno terroristico è difficilmente arginabile e
circoscrivile territorialmente, quello che gli stati europei possono e devono fare è collaborare in
maniera più serrata e convincente a livello governativo, giuridico e di intelligence per limitare il più
possibile i rischi di nuovi attentati sul suolo europeo. Il mancato rispetto degli impegni presi in
termini di controllo dei migranti nei paesi di ingresso e la tendenza a passare l’incombenza ai paesi
vicini non è certo un punto in favore della sicurezza nazionale ed internazionale. Il punto nevralgico
più a rischio sembra in questo senso essere quello attraversato dalla rotta balcanica, con 764.038
ingressi irregolari nel corso del 2015, una cifra in continua crescita. Si tratta di migranti provenienti
in particolar modo da Siria, Iraq e Afghanistan, tutte aree di crisi e con un alto tasso di
radicalizzazione. Il contingente di foreign fighters provenienti dai Balcani è consistente, con più di
900 volontari da Kosovo, Bosnia, Macedonia e Albania,24
alcuni dei quali risultati operanti anche in
Italia. Per quanto non vi siano indicazioni inoppugnabili di connessioni tra migrazioni e terrorismo
nell’area, il rapporto annuale dell’intelligence italiana ha non a caso posto l’attenzione sul
fenomeno nella regione. In ottica di prevenzione servirebbe un doppio approccio, da un lato legato
all’inclusione sociale per favorire l’integrazione dei migranti presenti e futuri, dall’altro legato ad
una più efficiente collaborazione tra stati in difesa dei confini esterni. In questo senso l’istituzione
degli hot spot lungo le rotte marittime, che permetteranno un più semplice controllo dei documenti
direttamente a senza far fuggire nessuno, è già un primo passo.
Non si può però certo pensare di fermare la radicalizzazione del mondo islamico attraverso misure
militari o preventive continuando a mettere toppe alle falle lasciate dalla politica internazionale.
																																																								
22
http://www.istat.it/it/archivio/153369	
23
http://formiche.net/2016/05/19/ecco-bilancio-e-progetti-dellitalia-sullimmigrazione/
24
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/terrorismo-e-migrazioni-massima-allerta-ma-basso-rischio-14840
11	
L’Unione Europea deve in primis ritrovare la sua credibilità internazionale, contribuendo con gli
strumenti che gli sono propri (in primis le riconosciute capacità di peacekeeping e peacebuilding)
alla prevenzione e risoluzione dei conflitti e agli strascichi di odio che portano con se. La crisi
stessa dei rifugiati va oltre la tragedia umana, è un processo a lungo termine che può essere
affrontato efficacemente solo con uno sguardo altrettanto a lungo termine che ad oggi i governanti
europei non sembrano in grado di avere o quantomeno di portare avanti, sacrificato rispetto
all’urgenza delle risposte. Serve un’assunzione di responsabilità per dare concretezza al global
approach to migration, in una visione strategica che guarda al Mediterraneo allargato con un occhio
attento a ciò che si verifica nel resto del mondo e azioni concertate tra attori internazionali e attori
regionali più attrezzati nella lettura del fenomeno estremista. La strategia di contenimento dei flussi
migratori, dovrebbe essere integrata con un mix di misure di politica estera e difesa, di
cooperazione e internazionalizzazione nei confronti di un’area che muove dal Pakistan alla Nigeria,
tra paesi quasi tutti interessati da politiche di emigrazione ma basati su dinamiche non
necessariamente simili, attuando una lungimirante politica di cooperazione nei paesi di emigrazione
di natura prevalentemente economica.
Serve una politica di più efficiente controllo dei confini perché questa non è opposta alla solidarietà
internazionale e alla tutela dei diritti umani, è al contrario condizione basilare per una netta
distinzione tra regolarità ed irregolarità e condizione di salvaguardia minima di equilibri già
minacciati dai cambiamenti in atto. Fuori dagli slogan romantici di una migrazione generalizzata
senza frontiere, un’Unione Europea al collasso non rappresenterebbe è un luogo sicuro, in primis
per i migranti. Se nel breve termine è fondamentale arginare la tratta di essere umani, nel medio e
lungo termine occorre mirare a rimuovere la necessità stessa di lasciare la propria terra, attraverso
forme di cooperazione, risoluzione delle crisi ed integrazione sostenibile.
	
	
Conclusioni		
	
Si è cercato di riassumere il complicato intrigo di problematiche che ruotano attorno ai flussi
migratori da cui l’Unione Europea è investita. Si tratta di una tematica complessa per cui non è
possibile proporre ricette facili, ma in cui tuttavia si possono individuare punti di intervento
nevralgici. La governance europea ha troppo a lungo rimandato una gestione della crisi veramente
organica e di lungo respiro, limitandosi ad arroccarsi dietro particolarismi e paure di sorta e
proponendo risposte parziali, inefficaci e in definitiva poco coraggiose. E’ giunto il tempo di una
revisione degli accordi comunitari in materia di visti e asilo e forse di una più generica e profonda
riflessione del ruolo dell’Unione e della strada che vuole intraprendere. L’afflusso di migranti
continuerà per molti anni e forse decenni e porterà con se’ altri cambiamenti in Europa quanto nei
paesi di partenza. Questo è certo. Il come questi processi verranno gestiti e se saranno gestiti nel
rispetto delle popolazioni locali e dei migranti è il nodo cruciale per l’Ue. Indipendentemente dalla
sopravvivenza o meno di Schengen, appare improbabile che politiche individuali e azioni non
coordinate e non concordate a livello comunitario possano dare risposte efficaci nel lungo periodo a
cambiamenti ineludibili di questa portata. Contrariamente all’adagio che vorrebbe sempre meno
Europa e sempre più difesa degli interessi regionali, una politica di risposta organica strutturata su
un’Europa più responsabile e coesa appare ancora come unica alternativa razionale a fenomeni
interconnessi e di portata globale.
12	
Bibliografia/ Sitografia
- Armando Sanguini, Migrazioni e terrorismo: emergenza mediterraneo in tre mosse,
http://www.ispionline.it/pubblicazione/migrazioni-e-terrorismo-emergenza-mediterraneo-3-mosse-10814
- CIR, Statistiche rifugiati in Italia, http://www.cir-onlus.org/it/comunicazione/statistiche
- Daniel Johnson, This migration crisis could test the European project to destruction,
http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/germany/11826675/This-migration-crisis-could-test-the-
European-project-to-destruction.html
- Daniele Scalea, L’Italia e le sfide mediterranee alla sicurezza: instabilità, terrorismo e migrazioni irregolari,
https://www.academia.edu/13096925/L_Italia_e_le_sfide_mediterranee_alla_sicurezza_instabilit%C3%A0_politica_t
errorismo_e_migrazioni_irregolari
- Domenico Mario Nuti, Schengen e la crisi europea delle migrazioni, http://www.eunews.it/2016/05/20/schengen-e-la-
crisi-europea-delle-migrazioni/59026
- Emma Bonino, Toward building a more human refugeee policy, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/toward-
building-more-human-refugee-policy-15188
- Ferruccio Pastore, Flussi migratori, guardare oltre l’orizzonte immediato,
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/flussi-migratori-guardare-oltre-lorizzonte-immediato-13502
- Francesco Marone, Terrorismo e migrazioni, massima allerta ma basso rischio,
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/terrorismo-e-migrazioni-massima-allerta-ma-basso-rischio-14840
- Gerald Knaus,The refugee policy the EU need today, http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=63340
- Giovanni Martino, Immigrazione: problema o risorsa?, http://www.europaoggi.it/content/view/1305/1/
- Giuseppe Campesi, Immigrazione: la chiusura delle frontiere è un passo indietro per l’Europa,
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/immigrazione-la-chiusura-delle-frontiere-e-un-passo-indietro-leuropa-14773
- Gli italiani e le migrazioni: percezioni vs realtà, http://www.ispionline.it/articoli/articolo/emergenzesviluppo-europa-
italia-global-governance/gli-italiani-e-le-migrazioni-percezione-vs-realta-13562
- Goffredo Buccini, Il piano Ue per i migranti: progressi e molte ambiguità,
http://www.corriere.it/opinioni/16_giugno_11/piano-ue-migranti-progressi-molte-ambiguita-fc305b70-2f3b-11e6-
bb6d-75d636c22361.shtml
- http://www.demos.it/a01233.php
- http://www.demos.it/a01257.php
- Internazionale, Le nuove linee guida sull’immigrazione, http://www.internazionale.it/notizie/2015/05/13/le-nuove-
linee-guida-europee-sull-immigrazione
- Ispi, Fine di Schengen? I costi politici ed economici, http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/europa/fine-di-
schengen-i-costi-politici-ed-economici-14526
- Jean-Marie Guèhenno, Conflict is key to understanding migration,,
http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=63578
- L’Altro Diritto, Un cammino senza fine: processi di revisione delle direttive
http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/suprano/cap2.htm
- L’Indro, Schengen è da riformare, http://www.lindro.it/schengen-e-da-riformare/
- Maurizio Ambrosini, Migrazioni senza soluzioni, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/migrazioni-senza-
soluzioni-14361
- Osservatorio Permanente sui Rifugiati, “Rapporto accoglienza” del Viminale: il punto con qualche considerazione a
margine, http://viedifuga.org/rapporto-accoglienza-viminale-il-punto-con-qualche-considerazione-a-margine/
- Panorama, Migranti, il piano Ue: investire in Africa e Medioriente per ridurre i flussi,
http://www.panorama.it/news/esteri/migranti-il-piano-ue-62-miliardi-per-lafrica/
- Paolo Bramante, Gli immigrati sono un peso o una risorsa?, http://it.ibtimes.com/gli-immigrati-sono-un-peso-o-una-
risorsa-1399536
- Sharon Weinblum, Moving Beyond Security vs. the Duty to Protect: European Asylum and Border Management
Policies under Test, http://www.iai.it/it/pubblicazioni/moving-beyond-security-vs-duty-protect
- Stefan Lehne, How the refugee crisis will reshape the EU, http://carnegieeurope.eu/2016/02/04/how-refugee-crisis-
will-reshape-eu/itj7
- Stefano Liberti, Knocking on the EU’s door: the Italian proposal for a shared migration policy,
http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/knocking-eus-door-italian-proposal-shared-migration-policy-15178
- Tamirace Fakhoury, Tangled Connections between Migration and Security in the Wake of the Arab Uprisings: A
European perspective, http://www.iai.it/it/pubblicazioni/tangled-connections-between-migration-and-security-wake-
arab-uprisings-european
- Un sistema europeo comune di asilo, http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/e-library/docs/ceas-fact-
sheets/ceas_factsheet_it.pdf
- Unione Europea: salvare Schengen o Dublino? http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/emergenzesviluppo-
europa/unione-europea-salvare-schengen-o-dublino-15116
Ultima consultazione sitografia: 14 giugno 2016.

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Rifugio europa. l’Unione Europea di fronte alla sfida dei flussi migratori, tra particolarismi, diritti e paure

  • 1. 1 CICLO SEMINARI AESI 2016 - ELABORATO FINALE RIFUGIO EUROPA. L’Unione Europea di fronte alla sfida dei flussi migratori, tra particolarismi, diritti e paure. di Ilaria Danesi L’arrivo in Europa di più di un milione di richiedenti asilo nel 2015 e di quasi 200.000 migranti nei primi sei mesi del 2016,1 ha spinto i già fragili equilibri europei al limite del baratro. L’assetto istituzionale e legislativo della Ue si è mostrato chiaramente inadeguato a rispondere ad una sfida complessa, che a fronte delle inderogabili responsabilità umanitarie porta con se’ problematiche di natura economica, sociale, demografica. Benché gli stati europei abbiano di fatto, colpevolmente, rimandato il più a lungo possibile una riflessione seria e capace di apportare risposte condivise alla crisi migratoria, l’improrogabilità e la dimensione dell’emergenza pongono ora i governanti europei di fronte alla necessità di una risposta, la cui natura e i cui contenuti potrebbero segnare una ridefinizione dei paradigmi stessi dell’Ue che conosciamo. I numeri della crisi: Secondo i dati Eurostat, nel 2015 sono state oltre 1.2 milioni le richieste d’asilo presentate nei paesi dell’Ue, una cifra più che raddoppiata rispetto alle richieste presentate nel 2014 (562.680). Si tratta perlopiù di siriani (oltre 362.775, 29%), afghani (178.230, 14%), iracheni (121.535, 10%), ma anche kosovari (66.885, 5%), albanesi (65.935, 5%), pakistani (46.400, 4%), eritrei (33.095, 3%), nigeriani (29.915, 2%) e iraniani (25.360), mentre il restante 26% è composto da altre nazionalità. Il paese che ha ricevuto il maggior numero di richieste è la Germania (441.800 richieste, 35,2% del totale, +155% rispetto al 2014), davanti ad Ungheria (13,9%, +323%) e Svezia (12,4%, +108%). Le richieste d’asilo pervenute in Italia sarebbero 83.245 (+31%), corrispondente a 1.369 per milione di abitanti (il primato va qui all’Ungheria con 17.699 richieste per milione di abitanti).2 Si tratta di un trend in forte crescita dunque, ma anche di numeri tutto sommato contenuti se paragonati alla presenza massiccia di rifugiati in paesi extra-Ue, per altro economicamente meno solidi. Secondo l’UNHCR infatti, il numero di rifugiati attestato nel 2015 è il più alto mai raggiunto dalla popolazione mondiale, con ben un rifugiato (o sfollato interno o richiedente asilo) ogni 122 persone, per un totale di 59,5 milioni di rifugiati nel mondo. Di questi, 1,59 milioni hanno trovato rifugio sino al 2015 in Turchia, ma il numero maggiore di rifugiati per abitante si ha in Libano, con 232 profughi accolti ogni 1000 abitanti.3 Occorre inoltre distinguere tra quelle che sono le richieste di asilo e l’effettivo conferimento dello status di rifugiato (o di altro tipo di protezione internazionale), benché le difficoltà nell’amministrazione del processo rendano spesso più lunga del previsto la sosta sul suolo europeo anche di quei richiedenti la cui domanda viene infine respinta per mancanza di condizioni. Nel caso dell’Italia ad esempio, sono pervenute 40.000 richieste di asilo in questi primi sei mesi di 2016 (+58% rispetto al primo semestre dello scorso anno), ma solo al 4% di queste è stato accordato lo status di rifugiato, mentre al 13% è stata accordata una protezione cosiddetta sussidiaria e al 18% 1 http://www.cinformi.it/index.php/it/news_ed_eventi/archivio_news/anno_2016/europa_gli_sbarchi_2016 2 http://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/7203832/3-04032016-AP-EN.pdf/790eba01-381c-4163-bcd2- a54959b99ed6 3 http://frontierenews.it/2015/06/i-10-paesi-che-accolgono-piu-rifugiati/
  • 2. 2 una protezione cosiddetta umanitaria.4 Il 5% dei richiedenti è risultato irreperibile e sono in netto aumento i mancati riconoscimenti, circa il 60%.5 Quest’ultimo è un dato che deve fare riflettere in merito alla composizione dei flussi migratori: se la maggioranza dei profughi provenienti dalla rotta balcanica è di origine siriana (pur considerando una verosimile componente di possessori di documenti di identità contraffatti), i migranti provenienti dal sud del mediterraneo che sbarcano in Italia sono spesso irricevibili come profughi, da qui un basso tasso per il nostro paese di protezione come vero e proprio “rifugiato”. Ovviamente si tratta di cifre che tengono conto della sola e particolare situazione dei richiedenti asilo e non dell’immigrazione totale (regolare e irregolare) e che offrono un dato puro, che non tiene conto delle molte variabili da considerare per valutare l’impatto, non solo demografico, della massiccia presenza di rifugiati o aspiranti tali su un territorio (non da ultimo, non tiene conto degli standard di tutela che gli Stati ospitanti offrono); ma nondimeno le cifre ci offrono la possibilità di cogliere le dimensioni di un fenomeno sulla cui portata è difficile orientarsi e che diviene facile preda di manipolazioni allarmistiche o demagogiche. La narrazione del fenomeno migratorio da parte dei media così come di determinate forze politiche, risulta infatti oltremodo confusionaria sul tema migranti, finendo per sovrapporre la figura dei beneficiari di protezione e asilo ai migranti tout court, regolari o persino clandestini. Si tratta ovviamente di figure ben diverse. Secondo la convenzione di Ginevra del 1951, rifugiato è “chiunque nel giustificato timore d'essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”, condizione che impone agli stati firmatari l’assoluto divieto di respingimento o rimpatrio forzato. A questo status personale si aggiungono i rischi derivanti dalle situazioni di conflitto internazionale o interno, che similmente impediscono il rimpatrio del richiedente protezione internazionale. L’Ue si è impegnata a costruire un Sistema Comune di Asilo Europeo (CEAS) basato sulla piena e completa applicazione della Convenzione, che ha cercato di uniformare le procedure per la domanda di asilo in tutti paesi (direttiva procedure), attraverso l’erogazione di condizioni di accoglienza quali alloggio e vitto (direttiva accoglienza) e il riconoscimento (sia per il rifugiato che per il soggetto sotto protezione sussidiaria) di diritti quali la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno, l’accesso al mercato del lavoro e l’assistenza sanitaria (direttiva qualifiche). Il tutto avviene sotto controllo dell’identità del beneficiario tramite un archivio di impronte digitali (EURODAC, regolamento Eurodac).6 Il sostanziale fallimento sempre più evidente di questo sistema di fronte all’aumento dei flussi migratori ha la sua causa principale nella permanenza di differenze e nella scarsa collaborazione tra paesi, che si esplica pienamente nel regolamento di Dublino, il sistema di riferimento ormai giunto alla sua III veste, che pur con qualche progressivo miglioramento rimane colpevolmente fallace nella sua stessa logica. Difficoltà ulteriori si pongono nel controllo dei confini esterni, la cui sicurezza è presupposto fondamentale la libera circolazione interna dell’area Schengen. Non ultimi, il mancato rispetto degli impegni presi e difficoltà oggettive, legislative, burocratiche e infrastrutturali, nella gestione della crisi migratoria contribuiscono al fallimento di un sistema inefficace e il cui fallimento ha gravi ripercussioni sociali, sia sui paesi d’ingresso e relativi cittadini, sia sulle vite e i diritti dei migranti. 4 http://archivio.internazionale.it/news/da-sapere/2013/06/20/che-differenza-ce-tra-profughi-e-rifugiati 5 http://www.cir-onlus.org/it/comunicazione/news-cir/51-ultime-news-2016/2081-richiedenti-asilo-40mila-domande-in- italia-nel-2016-58 6 http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/e-library/docs/ceas-fact-sheets/ceas_factsheet_it.pdf
  • 3. 3 Di fronte alla crisi: una necessaria revisione delle politiche europee Al pari dell’unione monetaria, il sistema di libera circolazione di Schengen, simbolo delle conquiste del percorso d’integrazione europea, si è rivelato incapace di fare fronte ad una situazione di crisi di questa portata. Il regolamento di Dublino, assegnando la responsabilità dell’asilo allo stato di primo ingresso, ha come prevedibile dato vita ad un disequilibrio nella gestione dell’emergenza migratoria, che finisce per gravare sulle spalle di un ristretto numero di paesi geograficamente interessati. L’accordo, la cui ratio doveva impedire il cosiddetto asylum shopping, ha prodotto conseguenze problematiche. Impossibilitati a sostenere il peso di un continuativo flusso di migranti la cui liceità di ingresso è di difficile definizione, in particolare Grecia e Italia hanno mostrato tutta la propria insoddisfazione rispetto all’attuale assetto legislativo. Questo ha generato un “gioco al ribasso” in cui i paesi di primo ingresso, raramente meta ultima nelle intenzioni dei migranti, si sono lasciati tentare dal venir meno agli impegni presi, lasciando passare questi ultimi attraverso le porose frontiere naturali. La Grecia in particolare è stata sanzionata dalla Corte Europea per una strutturale incapacità di rispettare gli standard di asilo, con conseguenze grottesche: il migrante che vede violati i suoi diritti a causa delle carenze elleniche e che è riuscito a lasciare la Grecia alla volta di un secondo stato Ue, non può esservi reintrodotto perché non sussistono le condizioni, di fatto così incentivando comportamenti viziosi anziché virtuosi. La diffusione dell’emergenza figlia di queste negligenze, unita all’evidente inadeguatezza e all’iniquità del “sistema Dublino” e all’aumento dei flussi lungo la rotta balcanica, ha costretto gli altri paesi europei ad affrontare la questione ormai insostenibile in una prospettiva comunitaria. Tuttavia, il processo di rinegoziazione degli accordi non sembra aver dato ancora i suoi frutti, in parte per una riforma legislativa non sufficientemente coraggiosa, in parte per la difficoltà nella concreta messa in pratica delle risposte individuate, in parte ancora per un atteggiamento di chiusura di molti paesi europei, rigidamente arroccati su posizioni di rifiuto dei migranti. Inoltre, un punto cruciale della questione ruota attorno all’oggettiva difficoltà di distinguere migranti economici da migranti effettivamente bisognosi di status di rifugiato, tematica che allontanata dalle riflessioni dei giuristi è diventata tra i principali vessilli dei partiti populisti che sempre maggior peso vanno guadagnando nel dibattito politico della maggioranza degli stati Ue. Durante il corso del 2015 l’Ue ha cercato di rispondere alla crisi attraverso alcune decisioni importanti, come la riallocazione di 160.000 rifugiati; l’istituzione di hot spot lungo le frontiere esterne; un maggiore impegno anche finanziario per i programmi ONU per i rifugiati in Medioriente; un complesso accordo con la Turchia per controllare e limitare gli ingressi lungo la rotta balcanica che la vede come chiave di ingresso dell’Europa. Il nuovo piano sui migranti che l’Unione Europea ha proposto come bozza preliminare ai primi di giugno 2016, intende affrontare finalmente la questione in maniera organica e pone nero su bianco alcuni significativi miglioramenti nella sua dimensione comunitaria, ma non manca di limiti abbastanza evidenti. Il piano recepisce in buona parte la strategia delineata dall’Italia nella sua proposta di migration compact. Anzitutto, un importante sostegno economico per la cooperazione internazionale allo sviluppo nei paesi di partenza dei migranti, da realizzarsi grazie alle risorse economiche congiunte dei paesi dell’Unione, in cambio di un ritorno in patria degli irregolari e di collaborazione nel frenare l’esodo verso l’Europa. Al di là della sostenibilità economica e delle difficoltà nel mettere in questo senso d’accordo le capitali europee7 , questo approccio basato su accordi bilaterali a fermare i flussi immigratori irregolari ha l’intrinseco difetto di condizionare pesantemente l’Europa, costringendola ad accordi con governi e regimi a sud del Mediterraneo essi stessi causa della diaspora di esseri umani, nonché di esporla al rischio di “ricatti”: non sarebbe difficile per uno qualsiasi degli stati afroasiatici convolti, così come già per la Turchia, stringere o riaprire le maglie 7 http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-06-11/parte-salita-piano-ue-i-migranti-081226.shtml?uuid=ADEP4La
  • 4. 4 dei controlli in funzione di una maggiore erogazione di finanziamenti da Bruxelles, o per qualsivoglia motivazione geopolitica. Difficile inoltre, nel marasma politico degli stati oggetto dell’accordo, non pensare alla più che concreta possibilità che gli investimenti nella cooperazione non finiscano per finanziare almeno in parte pratiche moralmente inaccettabili (come avveniva ai tempi degli accordi bilaterali con la Libia di Gheddafi e i suoi centri di reclusione) o gli stessi traffici illeciti che si vogliono arginare. Per evitarlo servirebbero oltre ai cooperanti anche forme di controllo ben più efficienti e diffuse di quelle attuali, portate avanti dalle organizzazioni internazionali e magari comprensive di forze militari legittimate al supporto e messa in sicurezza delle aree più instabili, nonché un ruolo strutturale nella stabilizzazione e sviluppo di questi territori da parte dei “vicini di casa” al momento più affidabili, come Marocco e Tunisia. Nei paesi già oggetto di accordi di questo tipo le ONG per i diritti umani hanno rilevato frequenti abusi tra cui violenze e detenzioni arbitrarie. Secondo Oxfam, il nuovo “Migration Partnership Framework” annunciato dalla Commissione, delegando in gran parte ai paesi terzi il controllo delle frontiere europee, rischia verosimilmente di privare una larga fetta di possibili rifugiati dalle tutele legali umanitarie: “abbiamo la seria preoccupazione che le misure contenute nel Migration Compact possano diventare un mezzo per convincere i paesi poveri a gestire l’emergenza migranti al posto della Ue, facendo affidamento, in alcuni casi, su paesi retti da regimi dittatoriali in cui abusi e repressione sono all’ordine del giorno”8 . Per davvero cambiare le cose servirebbe anzitutto rivedere in maniera sensibile il sistema di Dublino, solo toccato nelle modifiche di questi anni9 . Stando ai dati la maggioranza della popolazione migrante beneficiaria dello status di rifugiato preferirebbe migrare in paesi diversi da quelli di prima istanza per una serie di motivazioni che vanno dal ricongiungimento familiare, ai contatti sociali, alle differenti condizioni burocratiche sino ovviamente alle diverse condizioni economiche. Al fine di raggiungere le mete più ambite (Svezia, Germania, Austria etc.), bypassando lo Stato di primo ingresso e le maglie del sistema Dublino, molti migranti che potrebbero teoricamente beneficiare di protezione si mettono nelle mani di trafficanti di uomini, mettendo a repentaglio la loro vita e alimentando i traffici illeciti. Contrastare questi ultimi dovrebbe essere interesse primario dell’Unione, per la duplice necessità di salvare vite umane limitando i naufragi e di operare un controllo di frontiera il più possibile efficace, prevenendo sia l’immigrazione irregolare sia la possibilità di infiltrazioni estremiste tra i migranti arrivati sulle coste europee illegalmente. Una delle possibili soluzioni per limitare il ricorso dei migranti a canali illegali e pericolosi è quello di organizzare canali ufficiali sicuri di accesso al territorio europeo. Si tratta di una proposta estremamente dibattuta: secondo un filone di pensiero, un più facile ed immediato accesso farebbe aumentare esponenzialmente le richieste di asilo, acuendo i problemi già riscontrati dall’Unione sia in termini di sostenibilità economico-demografica sia in termini di sicurezza. Secondo un filone di opposta opinione invece, questo non comporterebbe un sostanziale mutamento in tendenze migratorie che sono strutturali e che non cesseranno a breve di esistere a prescindere dai rischi più o meno accentuati che il viaggio comporta. Canali sicuri permetterebbero invece di gestire meglio l’emergenza; di migliorare i controlli sull’identità dei richiedenti asilo e quindi sulla liceità della loro richiesta (distinguendo così più facilmente i migranti economici dai beneficiari di protezione internazionale); di ottimizzare le procedure burocratiche di registrazione, accoglienza e smistamento dei rifugiati; di contrastare il traffico di esseri umani e di limitare enormemente la perdita di vite umane in viaggi della speranza. Il tutto andrebbe ovviamente inserito in una complessiva revisione della ratio dietro al sistema Dublino di accoglienza, non più incentrato sul Paese di primo ingresso ma su una equa suddivisione 8 http://www.oxfamitalia.org/migranti-il-nuovo-piano-ue-mette-a-rischio-i-diritti-umani/ 9 http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/suprano/cap2.htm
  • 5. 5 “a quote”. Questo dovrebbe comprendere anche ferree misure di controllo per il rispetto degli accordi presi dai singoli stati, visto il sostanziale fallimento del piano di ricollocamento dei migranti approvato lo scorso anno, con soli 1500 riallocati sui 160.000 previsti. Alle difficoltà politico- amministrative si aggiunge l’atteggiamento degli stati che volutamente continuano a venir meno ai controlli (si veda non ultimo il caso del Brennero tra Austria e Italia10 ) favorendo il passaggio di cittadini non identificati. Un atteggiamento vizioso che non solo viola i principi di lealtà comunitaria e contribuisce al rischio collasso dell’intero sistema per la pressione demografica, ma aumenta esponenzialmente i rischi legati alla criminalità ordinaria sino al terrorismo. Serve in definitiva un autentico sistema di asilo comune, che garantisca unità d’intenti e uniformità d’azione, favorendo il rispetto di standard comuni di accoglienza a livello di politiche e di infrastrutture. La frammentazione delle politiche migratorie e la poca collaborazione mostrate tra nazioni sono causa di trattamenti ineguali e frequenti violazioni dei diritti umani, nonché di lungaggini burocratiche che costringono letteralmente i richiedenti asilo in strutture inadeguate ben oltre i tempi tecnici di riconoscimento previsti dalle normative. Una comune politica in termini di asilo e immigrazione che sarebbe d’altronde dichiarato dell’Unione Europea, sancito dal Trattato di Lisbona (articoli 67, 78, 79, 80 del TFUE) e dall’articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione che recepisce il la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati11 . Tra gli strumenti giuridici presenti ma talvolta applicati con difficoltà particolarmente utile potrebbe rivelarsi quello del ricongiungimento familiare, che permette ai famigliari stretti dei cittadini non comunitari che risiedono legalmente sul territorio dell’Unione di raggiungerli nel paese in cui risiedono.12 Le procedure per il ricongiungimento sono spesso laboriose, ma la negazione del ricongiungimento familiare ha ricadute sociali devastanti e pone un limite evidente a quella che dovrebbe essere una preoccupazione primaria delle politiche migratorie, ovvero l’integrazione. Di fronte all’emergenza si sta in parte perdendo una prospettiva di lungo periodo: se è vero che specialmente i richiedenti asilo necessitano di una risposta immediata e sperano di poter tornare in patria una volta ristabilite le condizioni di sicurezza, è altrettanto vero che, da un lato, non basta la sicurezza materiale per rispettare la dignità umana, e dall’altro, la presenza di immigrazione regolare in un paese straniero (e gli slogan della governance politica non mancano di ripeterlo) dovrebbe essere motivo di crescita del paese stesso, e non puro assistenzialismo. Poste queste premesse, se è vero che la famiglia viene indicata come la base della società europea risulta difficile immaginare una politica di integrazione efficace che non favorisca il ricongiungimento del nucleo famigliare. In generale, le interminabili procedure burocratiche che a livello nazionale ed europeo costringono i migranti a lunghissimi iter amministrativi, isolano il soggetto rispetto alla società intorno, generando distanze e diffidenze tanto nel migrante quanto nella popolazione locale. Una persona isolata dal proprio nucleo familiare, proveniente da una realtà culturale profondamente diversa, non a conoscenza della lingua locale e spesso impossibilitata a lavorare, verosimilmente tenderà a isolarsi o ghettizzarsi all’interno di enclave formate dai suoi stessi connazionali, esattamente quello che delle buone politiche di integrazione dovrebbero evitare. Inutile sottolineare anche il rischio a livello di sicurezza (in termini di tendenza alla microcriminalità ma anche alla radicalizzazione) che la mancanza di integrazione nel territorio in cui si abita comporta. Appare infine fortemente limitante la modalità stessa della richiesta di protezione internazionale così come prevista dalla normativa internazionale, ovvero come richiesta d’asilo da presentare in terra straniera, quando è nello stato di provenienza che la vita del richiedente asilo è messa a repentaglio. Sarebbe opportuno aprire ambasciate e rappresentanze al vaglio delle richieste d’asilo, nonché allestire appositi centri in particolare nei paesi di traffico. 10 http://www.tempi.it/emergenza-profughi-spiegata-da-chi-deve-gestirla-intervista-al-prefetto-mario- morcone#.V15rDeeLS8o 11 http://www.europarl.europa.eu/atyourservice/it/displayFtu.html?ftuId=FTU_5.12.3.html 12 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=URISERV%3Al33118
  • 6. 6 Schengen è morto, viva Schengen Di fronte alla crisi migratoria paesi come Germania, Austria, Francia (parzialmente), Svezia e Danimarca (tra le rispettive frontiere) non hanno costruito fisicamente muri come l’Ungheria di Orban, o introdotto barriere come la Slovenia, ma hanno sospeso individualmente l’accordo di libero spostamento di uomini e merci di Schengen e persino la Commissione Europea ha paventato l’ipotesi di esercitare l’articolo 26 del Trattato, ovvero la sospensione dell’accordo tutti i paesi dell’Unione, di fronte all’impossibilità di gestire l’evidente sproporzione tra migranti economici (che rappresenterebbero i due terzi degli ingressi in Europa del 2015) e migranti effettivamente beneficiari di asilo. Nonostante sia difficile stimare le conseguenze della chiusura delle frontiere, è probabile che gli sarebbero consistenti sul piano economico ma soprattutto politico. La libera circolazione di uomini e merci, servizi e capitali tra i paesi dell’Unione è uno dei capisaldi del percorso stesso di integrazione, emblematico di un’Europa libera, democratica e pacificata. Dal punto di vista meramente economico le conseguenze per la crescita e il completamento del mercato unico sarebbero gravi. “Una più ampia sospensione di Schengen e di misure che mettono in pericolo le conquiste del mercato interno potrebbero potenzialmente avere un impatto dirompente sulla crescita economica”, si legge nel capitolo dedicato ai rischi al ribasso per l’Eurozona individuati lo scorso inverno dalla Commissione Europea13 . Schengen ha rappresentato per i paesi ex sovietici un’importante opportunità di accrescere i propri livelli di benessere e stabilità ed è pietra angolare dell’economia europea, il cui apporto in percentuale al PIL dei paesi partecipanti è stimato dal Fondo Monetario Internazionale in termini di 1-3 punti percentuali (circa 30-90 miliardi di euro annui di scambi frutto della libera circolazione di uomini e merci),14 mentre le esportazioni di paesi Ue verso altri paesi Ue ammontano a due terzi di quelle totali. Ovviamente il ripristino delle frontiere non fermerebbe l’interscambio commerciale, ma i controlli alle frontiere comporterebbero notevoli rallentamenti: Junker al Parlamento Europeo ha detto che un’ora di ritardi costerebbe intorno ai 55 euro per veicolo, il che se si considera che ogni anno attraversano una frontiera tra nazioni Schengen 60 milioni di mezzi equivarrebbe a perdite annue per l’economia dell’Unione di oltre 1.5 milioni di euro. A queste perdite si aggiungono le problematiche per le merci deperibili e ovviamente rallentamenti per gli spostamenti umani attraverso i confini. Ma è dal punto di vista politico che la fine del sistema avrebbe un impatto maggiore. Rinunciare a Schengen rappresenterebbe una sconfitta forse fatale per l’Unione Europea, che si dimostrerebbe oggi più che mai incapace di superare i particolarismi e gli egoismi nazionali e di trovare soluzioni concordate ed efficaci di fronte alle difficoltà, di fatto rendendo ingiustificata la sua stessa esistenza come l’Unione che conosciamo. Anche all’atto pratico, è lecito pensare che l’emergenza migranti continuerà molto a lungo vista la pressione politica e demografica attorno all’Europa. L’impostazione di Dublino e la chiusura delle frontiere non potrebbero in questo caso che generare una pressione insostenibile sui paesi di primo arrivo con conseguenze drammatiche per gli equilibri interni all’Unione. Appare perciò evidente come la sospensione di Schengen non possa risolvere le cause profonde delle migrazioni le problematiche ad esse legate, mentre servirebbe un nuovo approccio comunitario. 13 http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-europa/2378791-2378791/ 14 http://www.ispionline.it/articoli/articolo/europa/fine-di-schengen-i-costi-politici-ed-economici-14526
  • 7. 7 Un’interessante riflessione sul tema, 15 sottolinea come l’eliminazione dei confini interni di Schengen, similmente all’introduzione dell’Euro, abbia rappresentato un’iniziativa positiva ma prematura ed incompleta, che ha così portato con se’ anche conseguenze negative, aggravate dalle divergenze tra i paesi membri e dalla crisi economica e le sue conseguenze. Il trattato avrebbe richiesto un’integrazione politica e fiscale ancora mancante e un rafforzamento delle frontiere esterne Ue, delegata ancora a controlli nazionali frammentari e inadeguati, e avrebbe richiesto politiche di asilo altrettanto strutturate, chiare e condivise. Un metodo di così ambiziosi obiettivi perseguiti senza il necessario coinvolgimento democratico, può portare ad una costruttiva evoluzione delle istituzioni, ma quando si sovrappongono crisi come quelle attuali il risultato può essere catastrofico. Il mantenimento dell’area di Schengen in presenza di forti pressioni migratorie presuppone alcune condizioni: il rafforzamento dei confini esterni; il salvataggio e l’accoglimento dei rifugiati al loro approdo nel primo paese sicuro certificato come tale; la ridistribuzione dei rifugiati a livello globale o quantomeno del costo della loro accoglienza; la convergenza dei livelli di reddito e dei benefici del welfare all’interno di Schengen (per limitare la naturale tendenza agli spostamenti verso il paese più ricco); una divisone tra migranti economici (sulla cui permanenza in definitiva ha giurisdizione la volontà degli stati e dei propri cittadini) e beneficiari di protezione internazionale; la collaborazione dei paesi confinanti o prossimi ai confini di Schengen nel contenere le pressioni migratorie e nell’accelerare procedure di verifica e accoglienza. In mancanza di queste condizioni ed in particolare delle condizioni di sicurezza dei confini esterni (insufficiente perché lasciata al frammentario operato di forze nazionali e specifiche agenzie) nonché degli elementi di solidarietà, uniformità e compattezza politica la cui carenza è già stata trattata, il sistema Schengen e il sistema di Dublino non possono coesistere. Migrazioni e sicurezza: tra percezione e rischi concreti Uno studio del giugno 2015 sulla percezione del fenomeno migratorio attesta che l’immigrazione è per i cittadini italiani tra le principali fonti di minaccia al proprio paese.16 I dati emersi dal sondaggio mostrano un netto spostamento della percezione del rischio rispetto a soli pochi mesi prima, quando la minaccia terroristica occupava il secondo posto nelle paure dei cittadini, dopo la crisi economica. 15 http://www.eunews.it/2016/05/11/parlamento-ue-contro-la-proposta-revisione-di-dublino-al-di-sotto-delle- aspettative/58256 16 http://www.ispionline.it/articoli/articolo/emergenzesviluppo-europa-italia-global-governance/gli-italiani-e-le- migrazioni-percezione-vs-realta-13562
  • 8. 8 Questi bruschi mutamenti risentono dell’impatto degli eventi (sbarchi, episodi di cronaca nera ed ovviamente attentati) e sottolineano l’impatto emotivo della questione migranti, nella cui percezione, al pari del fenomeno terroristico, gioca un importante ruolo il fattore mediatico. Di certo però le conseguenze del fenomeno migratorio restano saldamente ai primi posti tra le principali preoccupazioni di una buona fetta di italiani, che si mostrano inoltre scettici e critici nei confronti della governance sia nazionale sia europea: da altri quesiti risulta infatti come non sia chiaro ai cittadini chi sia veramente chiamato a decidere in merito a queste tematiche. Il fenomeno migratorio è visto sovente come monolitico, senza la necessaria differenziazione tra migrante regolare e irregolare e tra regolari e sottocategoria di rifugiati. Per il 38% del campione intervistato a giugno 2016, il fenomeno migratorio desta particolare apprensione perché legato alla minaccia terroristica, mentre per il 29% si tratta piuttosto di una minaccia generica. Il 28% lo ritiene un processo semplicemente inevitabile e solo il 2% lo ritiene una risorsa, mentre il 3% non risponde. Per quanto siano dati campione nonché oggetto come visto di grossi sbalzi in un breve lasso di tempo, ci offrono un segnale di criticità forte da parte della cittadinanza, che può che dare vita a diverse riflessioni. Anzitutto, riguardo l’impatto dei media e la generale ignoranza della cittadinanza su aspetti basilari per la comprensione del fenomeno, in primis la differenza tra migranti regolari ed irregolari. Quindi, la crescita della sfiducia nei confronti delle forze politiche nazionali ma ancor più comunitarie, con Bruxelles che appare distante e a tratti dispotica. È una sfiducia che ha d’altronde una limpida espressione nell’ascesa dei partiti euroscettici ed in generale anti-sistema in tutta Europa, cui assistiamo progressivamente da diversi anni. Anche la posizione dei cittadini europei sulla sospensione di Schengen, conferma la preoccupazione degli italiani riguardo ai flussi migratori.17 E’ un dato che va sempre letto da più angolazioni e alla luce di considerazioni che si sovrappongono: l’effettiva maggiore esposizione ai flussi rispetto ad altri paesi; l’influenza dei media e delle forze politiche nel creare allarmismo; l’incapacità di gestire concretamente la crisi migratoria; una diffusa difficoltà nel distinguere le varie figure di migrante; l’appartenenza dei migranti giunti in Italia spesso a fasce di popolazione meno colta e specializzata rispetto, ad esempio, ai siriani della rotta balcanica etc.. Ma fuor di sondaggio, occorre anche considerare il peso sociale di una crisi migratoria che insiste su una crisi economica il cui peso si fa sentire in maniera differente nei singoli paesi, già vessati dai propri problemi interni. In Italia, parte della cittadinanza mostra sfiducia nelle capacità di assorbimento dei migranti a causa della già altissima disoccupazione, nonché nelle capacità di far effettivamente rispettare le leggi esistenti, individuando e respingendo i migranti clandestini. Si aggiunge una diffusa preoccupazione riguardo l’efficacia (se non la mancanza) di politiche di integrazione in grado di accompagnare un così massiccio ed improvviso afflusso di persone proveniente da culture estremamente diverse da quella locale. Preoccupazioni non prive di razionalità, che però finiscono, in un contesto sociale rovente ed instabile come quello dell’Italia di oggi, per creare una generalizzata tensione, che investe anche i richiedenti asilo e che va a discapito delle ragioni umanitarie e della solidarietà, tra cittadini stessi e tra cittadini e migranti. 17 http://www.demos.it/a01233.php
  • 9. 9 Manca poi una serena discussione sul peso economico dei migranti regolari (in senso lato) sulle economie nazionali e dell’Unione. Generalmente si assiste allo scontro tra due posizioni diametralmente opposte, che vedono i migranti come un peso (laddove siano rifugiati o laddove ricevano delle misure di welfare che taluni vorrebbero riservate o concesse in via preferenziale alle famiglie italiane) o viceversa una risorsa (in particolare alla luce del progressivo invecchiamento della popolazione europea). Sempre restando all’Italia, a gennaio 2015 risultavano residenti circa 5 milioni di stranieri (di cui oltre 3 milioni extracomunitari) su 60 milioni di abitanti totali, per una percentuale di stranieri regolari dell’8-9% sulla popolazione totale. 2,3 milioni di stranieri risultano occupati (rappresentano il 10% dei lavoratori, con una media occupazionale superiore agli italiani), contribuendo così al PIL nazionale con 123 miliardi, 8.8% della ricchezza italiana complessiva. Secondo alcuni studi il costo dell’immigrazione, considerando sbarchi e costi sociali, può arrivare ad un totale di 10 miliardi annui. Ancora, secondo l’INPS i pagamenti erogati dallo stato per i lavoratori extracomunitari sono nettamente inferiori rispetto ai contributi versati, questo perché molti lavoratori versano i contribuiti salvo tornare al proprio paese d’origine, non usufruendo della pensione. Si calcola così che oltre 6 miliardi di euro l’annuo di contributi versati da stranieri vengano lasciati in Italia. Per contro, un dato negativo è rappresentato dalle rimesse, che non contribuiscono all’economia locale del paese di approdo con la crescita dei consumi (si tratterebbe secondo alcune fonti di circa 6 miliardi annui).18 Costi e benefici sono in questo caso simultanei nel paese di origine e in quello di arrivo, con gli emigranti che inviano rimesse in patria ma ne impoveriscono il capitale umano, mentre nella sponda di approdo lo stesso immigrato gode del benessere del paese di arrivo ma paga imposte e contributi sociali non sempre bilanciati da welfare e pensioni. Si possono fare altre osservazioni di politica economica che vanno al di là dei dati. I lavoratori stranieri trovano generalmente beneficio nel salario maggiore che percepiscono nel paese di arrivo, dove aumenterà il Pil, ma non necessariamente il Pil pro capite. Gli occupati del paese di arrivo soffriranno della riduzione del proprio salario a causa dell’aumento della concorrenza (e degli insufficienti controlli rispetto al lavoro nero). La maggior parte degli studi econometrici trova che l’immigrazione abbia un effetto modesto sull’occupazione del paese ospite, più marcato in una recessione, così come sui salari, tranne che in particolari occupazioni.19 Ma alcuni studi trovano al contrario effetti negativi più marcati. Se è vero l’adagio che “molti italiani non vorrebbero più fare determinati mestieri”, è altrettanto vero che probabilmente li accetterebbero più volentieri se il salario offerto non fosse depresso dalla concorrenza. Difficile è valutare il peso, in questo caso esclusivamente negativo, degli irregolari, perché difficile è misurarne il numero sul suolo nazionale. Secondo molti studiosi si tratterebbe di cifre attorno al 6% degli immigrati totali, quindi circa 300.000 persone, 20 ma sono stime su dati 2014 che non tengono conto dell’ultimo anno di sbarchi, dei clandestini non identificati e delle difficoltà che si possono riscontrare nel rimpatrio dei richiedenti asilo non accolti. Per quanto riguarda la percezione della sicurezza, da parte degli italiani si riscontra un aumento dei timori riguardo ai cittadini stranieri e una conseguente richiesta di maggiori controlli, talvolta anche a discapito della privacy. 21 18 http://it.ibtimes.com/gli-immigrati-sono-un-peso-o-una-risorsa-1399536 19 http://www.eunews.it/2016/05/20/schengen-e-la-crisi-europea-delle-migrazioni/59026 20 http://it.ibtimes.com/gli-immigrati-sono-un-peso-o-una-risorsa-1399536 21 http://www.demos.it/a01257.php
  • 10. 10 Su questa percezione di insicurezza non può che incidere l’alto tasso di criminalità e microcriminalità attestato dal numero di stranieri nelle carceri italiane: stando all’ultimo rapporto Istat (relativo al 2013), su 62.535 persone detenute in carcere, 21.854 sono straniere (34,9%)22 . Per quanto il media tendano ad enfatizzare la criminalità di matrice straniera accrescendo l’insicurezza percepita (in realtà negli ultimi 3 anni c’è stato un calo complessivo dei reati, 350mila in meno), si tratta di dati oggettivamente preoccupanti che dimostrano quanto ancora ci sia da lavorare anche a livello di integrazione sociale. Meno immediato perché non vissuto nel quotidiano ma altrettanto presente risulta il timore di un nesso tra immigrazione e terrorismo. In Italia sono già 19 in questo 2016 i casi di espulsione di estremisti islamici, intercettati dall’intelligence e grazie al controllo nelle carceri, là dove è maggiore il rischio di radicalizzazione.23 E’ impensabile credere non siano già presenti sul suolo italiano elementi islamisti radicali e che altri non ne arrivino attraverso i nuovi flussi migratori, il fulcro della discussione sta nel considerarlo o meno un argomento valido per sospendere procedure d’asilo e innalzare barriere. Per sua natura il fenomeno terroristico è difficilmente arginabile e circoscrivile territorialmente, quello che gli stati europei possono e devono fare è collaborare in maniera più serrata e convincente a livello governativo, giuridico e di intelligence per limitare il più possibile i rischi di nuovi attentati sul suolo europeo. Il mancato rispetto degli impegni presi in termini di controllo dei migranti nei paesi di ingresso e la tendenza a passare l’incombenza ai paesi vicini non è certo un punto in favore della sicurezza nazionale ed internazionale. Il punto nevralgico più a rischio sembra in questo senso essere quello attraversato dalla rotta balcanica, con 764.038 ingressi irregolari nel corso del 2015, una cifra in continua crescita. Si tratta di migranti provenienti in particolar modo da Siria, Iraq e Afghanistan, tutte aree di crisi e con un alto tasso di radicalizzazione. Il contingente di foreign fighters provenienti dai Balcani è consistente, con più di 900 volontari da Kosovo, Bosnia, Macedonia e Albania,24 alcuni dei quali risultati operanti anche in Italia. Per quanto non vi siano indicazioni inoppugnabili di connessioni tra migrazioni e terrorismo nell’area, il rapporto annuale dell’intelligence italiana ha non a caso posto l’attenzione sul fenomeno nella regione. In ottica di prevenzione servirebbe un doppio approccio, da un lato legato all’inclusione sociale per favorire l’integrazione dei migranti presenti e futuri, dall’altro legato ad una più efficiente collaborazione tra stati in difesa dei confini esterni. In questo senso l’istituzione degli hot spot lungo le rotte marittime, che permetteranno un più semplice controllo dei documenti direttamente a senza far fuggire nessuno, è già un primo passo. Non si può però certo pensare di fermare la radicalizzazione del mondo islamico attraverso misure militari o preventive continuando a mettere toppe alle falle lasciate dalla politica internazionale. 22 http://www.istat.it/it/archivio/153369 23 http://formiche.net/2016/05/19/ecco-bilancio-e-progetti-dellitalia-sullimmigrazione/ 24 http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/terrorismo-e-migrazioni-massima-allerta-ma-basso-rischio-14840
  • 11. 11 L’Unione Europea deve in primis ritrovare la sua credibilità internazionale, contribuendo con gli strumenti che gli sono propri (in primis le riconosciute capacità di peacekeeping e peacebuilding) alla prevenzione e risoluzione dei conflitti e agli strascichi di odio che portano con se. La crisi stessa dei rifugiati va oltre la tragedia umana, è un processo a lungo termine che può essere affrontato efficacemente solo con uno sguardo altrettanto a lungo termine che ad oggi i governanti europei non sembrano in grado di avere o quantomeno di portare avanti, sacrificato rispetto all’urgenza delle risposte. Serve un’assunzione di responsabilità per dare concretezza al global approach to migration, in una visione strategica che guarda al Mediterraneo allargato con un occhio attento a ciò che si verifica nel resto del mondo e azioni concertate tra attori internazionali e attori regionali più attrezzati nella lettura del fenomeno estremista. La strategia di contenimento dei flussi migratori, dovrebbe essere integrata con un mix di misure di politica estera e difesa, di cooperazione e internazionalizzazione nei confronti di un’area che muove dal Pakistan alla Nigeria, tra paesi quasi tutti interessati da politiche di emigrazione ma basati su dinamiche non necessariamente simili, attuando una lungimirante politica di cooperazione nei paesi di emigrazione di natura prevalentemente economica. Serve una politica di più efficiente controllo dei confini perché questa non è opposta alla solidarietà internazionale e alla tutela dei diritti umani, è al contrario condizione basilare per una netta distinzione tra regolarità ed irregolarità e condizione di salvaguardia minima di equilibri già minacciati dai cambiamenti in atto. Fuori dagli slogan romantici di una migrazione generalizzata senza frontiere, un’Unione Europea al collasso non rappresenterebbe è un luogo sicuro, in primis per i migranti. Se nel breve termine è fondamentale arginare la tratta di essere umani, nel medio e lungo termine occorre mirare a rimuovere la necessità stessa di lasciare la propria terra, attraverso forme di cooperazione, risoluzione delle crisi ed integrazione sostenibile. Conclusioni Si è cercato di riassumere il complicato intrigo di problematiche che ruotano attorno ai flussi migratori da cui l’Unione Europea è investita. Si tratta di una tematica complessa per cui non è possibile proporre ricette facili, ma in cui tuttavia si possono individuare punti di intervento nevralgici. La governance europea ha troppo a lungo rimandato una gestione della crisi veramente organica e di lungo respiro, limitandosi ad arroccarsi dietro particolarismi e paure di sorta e proponendo risposte parziali, inefficaci e in definitiva poco coraggiose. E’ giunto il tempo di una revisione degli accordi comunitari in materia di visti e asilo e forse di una più generica e profonda riflessione del ruolo dell’Unione e della strada che vuole intraprendere. L’afflusso di migranti continuerà per molti anni e forse decenni e porterà con se’ altri cambiamenti in Europa quanto nei paesi di partenza. Questo è certo. Il come questi processi verranno gestiti e se saranno gestiti nel rispetto delle popolazioni locali e dei migranti è il nodo cruciale per l’Ue. Indipendentemente dalla sopravvivenza o meno di Schengen, appare improbabile che politiche individuali e azioni non coordinate e non concordate a livello comunitario possano dare risposte efficaci nel lungo periodo a cambiamenti ineludibili di questa portata. Contrariamente all’adagio che vorrebbe sempre meno Europa e sempre più difesa degli interessi regionali, una politica di risposta organica strutturata su un’Europa più responsabile e coesa appare ancora come unica alternativa razionale a fenomeni interconnessi e di portata globale.
  • 12. 12 Bibliografia/ Sitografia - Armando Sanguini, Migrazioni e terrorismo: emergenza mediterraneo in tre mosse, http://www.ispionline.it/pubblicazione/migrazioni-e-terrorismo-emergenza-mediterraneo-3-mosse-10814 - CIR, Statistiche rifugiati in Italia, http://www.cir-onlus.org/it/comunicazione/statistiche - Daniel Johnson, This migration crisis could test the European project to destruction, http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/germany/11826675/This-migration-crisis-could-test-the- European-project-to-destruction.html - Daniele Scalea, L’Italia e le sfide mediterranee alla sicurezza: instabilità, terrorismo e migrazioni irregolari, https://www.academia.edu/13096925/L_Italia_e_le_sfide_mediterranee_alla_sicurezza_instabilit%C3%A0_politica_t errorismo_e_migrazioni_irregolari - Domenico Mario Nuti, Schengen e la crisi europea delle migrazioni, http://www.eunews.it/2016/05/20/schengen-e-la- crisi-europea-delle-migrazioni/59026 - Emma Bonino, Toward building a more human refugeee policy, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/toward- building-more-human-refugee-policy-15188 - Ferruccio Pastore, Flussi migratori, guardare oltre l’orizzonte immediato, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/flussi-migratori-guardare-oltre-lorizzonte-immediato-13502 - Francesco Marone, Terrorismo e migrazioni, massima allerta ma basso rischio, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/terrorismo-e-migrazioni-massima-allerta-ma-basso-rischio-14840 - Gerald Knaus,The refugee policy the EU need today, http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=63340 - Giovanni Martino, Immigrazione: problema o risorsa?, http://www.europaoggi.it/content/view/1305/1/ - Giuseppe Campesi, Immigrazione: la chiusura delle frontiere è un passo indietro per l’Europa, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/immigrazione-la-chiusura-delle-frontiere-e-un-passo-indietro-leuropa-14773 - Gli italiani e le migrazioni: percezioni vs realtà, http://www.ispionline.it/articoli/articolo/emergenzesviluppo-europa- italia-global-governance/gli-italiani-e-le-migrazioni-percezione-vs-realta-13562 - Goffredo Buccini, Il piano Ue per i migranti: progressi e molte ambiguità, http://www.corriere.it/opinioni/16_giugno_11/piano-ue-migranti-progressi-molte-ambiguita-fc305b70-2f3b-11e6- bb6d-75d636c22361.shtml - http://www.demos.it/a01233.php - http://www.demos.it/a01257.php - Internazionale, Le nuove linee guida sull’immigrazione, http://www.internazionale.it/notizie/2015/05/13/le-nuove- linee-guida-europee-sull-immigrazione - Ispi, Fine di Schengen? I costi politici ed economici, http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/europa/fine-di- schengen-i-costi-politici-ed-economici-14526 - Jean-Marie Guèhenno, Conflict is key to understanding migration,, http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=63578 - L’Altro Diritto, Un cammino senza fine: processi di revisione delle direttive http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/asilo/suprano/cap2.htm - L’Indro, Schengen è da riformare, http://www.lindro.it/schengen-e-da-riformare/ - Maurizio Ambrosini, Migrazioni senza soluzioni, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/migrazioni-senza- soluzioni-14361 - Osservatorio Permanente sui Rifugiati, “Rapporto accoglienza” del Viminale: il punto con qualche considerazione a margine, http://viedifuga.org/rapporto-accoglienza-viminale-il-punto-con-qualche-considerazione-a-margine/ - Panorama, Migranti, il piano Ue: investire in Africa e Medioriente per ridurre i flussi, http://www.panorama.it/news/esteri/migranti-il-piano-ue-62-miliardi-per-lafrica/ - Paolo Bramante, Gli immigrati sono un peso o una risorsa?, http://it.ibtimes.com/gli-immigrati-sono-un-peso-o-una- risorsa-1399536 - Sharon Weinblum, Moving Beyond Security vs. the Duty to Protect: European Asylum and Border Management Policies under Test, http://www.iai.it/it/pubblicazioni/moving-beyond-security-vs-duty-protect - Stefan Lehne, How the refugee crisis will reshape the EU, http://carnegieeurope.eu/2016/02/04/how-refugee-crisis- will-reshape-eu/itj7 - Stefano Liberti, Knocking on the EU’s door: the Italian proposal for a shared migration policy, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/knocking-eus-door-italian-proposal-shared-migration-policy-15178 - Tamirace Fakhoury, Tangled Connections between Migration and Security in the Wake of the Arab Uprisings: A European perspective, http://www.iai.it/it/pubblicazioni/tangled-connections-between-migration-and-security-wake- arab-uprisings-european - Un sistema europeo comune di asilo, http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/e-library/docs/ceas-fact- sheets/ceas_factsheet_it.pdf - Unione Europea: salvare Schengen o Dublino? http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/emergenzesviluppo- europa/unione-europea-salvare-schengen-o-dublino-15116 Ultima consultazione sitografia: 14 giugno 2016.