Analisi del rapporto tra Unione Europea e Nato e del rispettivo ruolo nelle prospettive di sicurezza future per Europa e Nato alla luce delle emergenze in atto (crisi libica, crisi ucraina, crisi siriana, emergenza clandestini, crisi economica, ISIS)
Edicole Sacre nel territorio: aspetti di storia e religiosità popolare nel lu...
Italia, Unione Europea e NATO per la sicurezza in Europa e nel Mediterraneo
1. 1
CICLO SEMINARI AESI 2015
ELABORATO FINALE
ITALIA, UNIONE EUROPEA E NATO PER LA SICUREZZA IN EUROPA E NEL
MEDITERRANEO
di Ilaria Danesi
“L’ordine di sicurezza mondiale sta precipitando e l’Europa è uno dei maggiori punti critici di
questo collasso. […] In effetti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe risolvere ogni
settimana una nuova crisi. Invece istituiamo grandi strutture surrogate come il G7, G8 e G20”1
.
Con questo monito, affidato alle pagine della rivista tedesca Der Tagesspiegel, l’ex ambasciatore
tedesco negli Stati Uniti Wolfgang Ischinger rifletteva sul futuro del vecchio continente alla vigilia
della 51° Conferenza Internazionale sulla Sicurezza, che avrebbe da lì a poco presieduto a Monaco
di Baviera.
Per molti anni gli Stati membri dell’Unione Europea e le realtà genericamente legate al filo-
occidentalismo hanno dato la pace per scontata, ma da qualche tempo e prepotentemente il tema
della sicurezza è tornato a dettare l’agenda europea. Non soltanto appare tutt’altro che superata la
crisi economica esplosa ormai nove anni fa, solo in parte riassorbita dagli Stati Uniti ed ancora
acuta in Europa, ma a minacciare la stabilità europea sono intervenute o si sono aggravate una serie
di crisi diplomatiche, sociali e militari in Medioriente, in Libia, financo nella stessa Europa. Il tutto
mentre il raffreddamento delle speranze di ripresa coltivate in Europa nell’ultimo biennio, e quelle
ancor più ambiziose suscitate dall’inizio dell’era Obama negli Stati Uniti, contribuisce a diffondere
una sensazione generale di incertezza sul futuro prossimo venturo.
La manifestazione delle minacce che impensieriscono l’Europa prende forma in particolar modo in
tre situazione di crisi:
- La crisi ucraina;
- La crisi mediorientale;
- La crisi libica.
1
http://www.tagesspiegel.de/politik/vom-islamischen-staat-bis-zur-ukraine-die-internationale-ordnung-zerfaellt-
gerade/11301556.html
2. 2
Si tratta a ben vedere di instabilità che muovono lungo le direttrici tradizionalmente critiche per
l’incolumità degli stati europei (i confini ad Est e l’area a Sud del Mediterraneo) e per cui gli stessi
stati si sono adoperati attraverso alleanze in ottica difensiva. La minaccia proveniente da Est in
particolare, ha visto la piena applicazione dell’azione politico-militare della NATO, che ha avuto un
ruolo fondamentale nella difesa dei propri alleati nell’era URSS. La caduta dell’Unione Sovietica e
la fine della Guerra Fredda hanno fatto riemergere una serie di conflittualità in qualche modo
congelate nella logica dei blocchi contrapposti, che sono dunque esplose con virulenza più o meno
marcata sulla base di rivendicazioni di carattere etnico, religioso o nazionale. Di fronte al nuovo
paradigma rappresentato da questa instabilità generale figlia della molteplicità di situazioni critiche,
la NATO ha dovuto necessariamente ridisegnare i suoi strumenti e le sue strategie, in un’ottica di
prevenzione o contenimento delle crisi. L’Unione Europea da par suo, ha cercato di plasmare anche
a livello istituzionale una propria capacità strategica di risposta alle crisi, più improntata alla
dimensione economica e impostata sulla dimensione politico-diplomatica, alla luce da un lato di
un’effettiva e peculiare propensione al dialogo e all’attività di peace-building, dall’altro di una
cooperazione militare abbozzata ma ancora lontana dal concretizzarsi. I due approcci, che trovano
riferimento teorico nei rispettivi documenti strategici di cui si fornirà un breve sunto, operano in
dialogo non sempre lineare ma costante per la difesa e la sicurezza del territorio europeo, ma
sembrano oggi, alla luce di nuove sfide che vanno dalle rivendicazioni russe, al subbuglio
nordafricano e mediorientale, all’emergenza migratoria lungo il mediterraneo, sino alle minacce
terroristiche e all’approvvigionamento energetico, necessitare di una ridefinizione consapevole
dell’urgenza di trovare una risposta all’instabilità internazionale.
1. SVILUPPO DELLA PARTNERSHIP TRA UNIONE EUROPEA E NATO
Unione Europea e Nato percorrono da oltre quindici anni un cammino di avvicinamento reciproco,
tanto in termini di membership (22 membri comuni), quanto a livello di condivisione di obiettivi
strategici, di funzioni e di potenziale raggio d’azione. Le due organizzazioni svolgono due ruoli
complementari e di reciproco sostegno per la tutela della pace e della sicurezza internazionale,
conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite.
L’istituzionalizzazione delle relazioni tra NATO e Ue è stata avviata nel 2001, muovendo dai passi
compiuti nel corso degli anni ’90 per promuovere una maggiore responsabilità europea attorno ai
temi della Difesa. Fino al 1999, l’interlocutore della Nato per il dialogo sulla difesa sul territorio
europeo era stata l’Unione Europea Occidentale (UEO), la crisi dei Balcani del 1999 rese però
3. 3
manifesta l’esigenza per l’Europa di dotarsi di un’autonoma capacità logistica per la gestione delle
situazioni di crisi, portando all’avvio della riflessione per una Politica Comune europea di Difesa e
Sicurezza (PESD). In occasione del Consiglio Europeo di Helsinki del 1999, vennero così definiti
gli obiettivi (Headline goals) per dotare l’Unione di capacità militari in grado di attuare le missioni
Persberg, missioni umanitarie o di evacuazione volte al mantenimento della pace, nonché missioni
costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino
della pace. Col trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1 maggio 1999, la responsabilità di tali
missioni è stata poi trasferita all’UE. La NATO da par suo col summit di Washinton dell’aprile
1999 aveva manifestato la propria disponibilità a rendere fruibili le risorse strategiche dell’Alleanza
per operazioni a guida UE, anche in contesti in cui la competenza NATO non era inizialmente
prevista: quella partnership operativa è stata confermata in una dichiarazione congiunta NATO-UE
del dicembre 2002, per poi essere formalizzata nel marzo 2003 con gli accordi Berlin Plus, che
consentono all’Ue di accedere alle capacità di pianificazione e comando NATO e utilizzarne i
mezzi per realizzare missioni di gestione delle crisi.
Sotto il profilo istituzionale, la partnership si concretizza in un’intelaiatura organizzativa leggera,
che si esplica in una ripartizione delle competenze improntata alla flessibilità, con cellule di
collegamento tra le due strutture militari, in aggiunta alla supervisione del Deputy Supreme Allied
Commander Europe.
Il nuovo e ad oggi più recente Concetto strategico NATO, approvato nel vertice di Lisbona nel
novembre 2010, ha fatto del rilancio dei rapporti tra NATO e Ue un pilastro dell’azione
dell’Alleanza per il prossimo decennio: esso stabilisce che L’Ue rappresenta un partner essenziale
per il mantenimento della sicurezza nell’area euro-atlantica, e pertanto sottolinea l’importanza di
una cooperazione da perseguire come obiettivo fondamentale tramite: il rafforzamento della
partnership strategica nello spirito di piena e reciproca trasparenza e rispetto per la relativa
autonomia ed integrità; il miglioramento della cooperazione pratica nelle operazioni; un’estensione
delle consultazioni politiche nelle questioni di comune interesse; una più completa cooperazione
nello sviluppo delle capacità per migliorare l’efficienza e diminuire i costi.
Il Concetto Strategico è documento particolarmente importante, dal momento in cui uno degli
obblighi principali di ogni organizzazione di sicurezza collettiva è quello di concordare
periodicamente fra gli Stati membri quale approccio strategico debba essere seguito nella situazione
politica in atto, per far fronte alle minacce, ai rischi ed alle sfide che li potranno coinvolgere nel
breve e nel medio termine. Ci fornisce in questo senso la “guida generale per lo sviluppo delle
4. 4
politiche di dettaglio e dei piani militari”. 2
La NATO aveva inizialmente mantenuto segreti i suoi
concetti strategici fin dal 1950, rendendo pubbliche solo le linee essenziali, finché, con la fine della
Guerra Fredda ed in assenza di un nemico dichiarato, non prevalse l’esigenza di ricercare il
consenso dell’opinione pubblica rispetto alle necessità di segretezza. Il primo Concetto strategico
emesso dalla NATO risale al 1991, è quindi immediatamente successivo alla dissoluzione
dell’URSS e del Patto di Varsavia, in un clima di cambiamento che impose all’organizzazione di
ridefinire il suo ruolo di alleanza politica e militare del fronte atlantico. Il secondo, datato 1999,
coincideva con lo scoppio della guerra in Kosovo. Quello che mutava rispetto alle strategie d’azione
precedentemente elaborate era la natura stessa del documento: si passava da linee strategiche intese
come vere e proprie dottrine militari, ad un documento che svolge una funzione di orientamento. Il
Concetto strategico del 2010 inoltre, differisce dai precedenti per aver formalizzato l’intento
collettivo di spingere l’Alleanza verso un impegno globale. Resta un’alleanza atlantica, ma con una
proiezione sia politica sia operativa di portata ben più ampia. Analizzando il Concetto strategico
possiamo dunque comprendere come siano cambiati la NATO e i suoi obiettivi. Il primo documento
del 1991, aveva segnato la transizione dal concetto di minaccia a quello di rischio (l’eventualità che
accada un certo evento), che ha una natura multi-sfaccettata ed è per questo di più difficile
previsione de definizione. Segna il passaggio ad un atteggiamento più flessibile , conseguenza della
fine del sistema a blocchi. Il Concetto strategico del 1999 non ha apportato particolari novità
essendo una revisione del precedente, ma era figlio dell’esperienza dell’ex Jugoslavia e del conflitto
kosovaro, e più che al mantenimento di un equilibrio strategico in Europa rispondeva all’esigenza di
una ridefinizione del ruolo dell’Alleanza, in bilico tra gli squilibri regionali e quindi promotrice di
una gestione delle crisi studiata caso per caso e via consenso, oltre che tramite programmi di
partnership, cooperazione e dialogo. L’11 settembre 2001 e l’emersione del terrorismo
internazionale qaedista hanno profondamente cambiato la versione degli interessi strategici NATO.
Il documento elaborato a Lisbona nel 2010 è stato concepito in un arco di tempo che ha coperto
l’intervento in Afghanistan, l’invasione anglo-americana dell’Iraq, la guerra russo-georgiana,
l’inizio dell’allargamento a Est e il deterioramento dei programmi di non proliferazione nucleare e
dei progetti di difesa missilistica in Europa: una serie di avvenimenti che hanno chiamato i Paesi
membri a riorganizzare caso per caso obiettivi e interessi strategici. La crisi diplomatica che ha
seguito l’intervento in Iraq ha dato una spinta alla ricomposizione delle divergenze tra gli Stati
membri per ristabilire la credibilità dell’Alleanza, ponendo così le basi per il nuovo Concetto
2
http://www.atlanticocisalpino.it/index.php/articoli/approfondimenti/80-i-concetti-strategici-della-nato-e-
dell-ue
5. 5
strategico, d’impronta sempre più politica e globale. Quest’ultimo riafferma il valore dell’articolo 5
del trattato di Washington e ne globalizza il pensiero: la NATO deve proteggere e difendere anche
da minacce che non conoscono confini nazionali (terrorismo, proliferazione di armamenti, guerra
cibernetica). Per farlo, individua tre principali obiettivi strategici: 1) difesa collettiva (i membri
NATO forniranno mutua assistenza l’un l’altro contro gli attacchi, in accordo con l’art.5); 2)
gestione delle crisi (la NATO possiede un potenziale politico militare robusto e univoco per poter
affrontare l’intero spettro di una crisi, prima durante e dopo i conflitti); 3) sicurezza cooperativa
(l’Alleanza è influenzata e può a sua volta influenzare gli sviluppi politici e di sicurezza al di là
delle sue frontiere. Si impegnerà inoltre per garantire la sicurezza internazionale attraverso dei
partenariati). Il summit tenuto in Galles nel 2014 ha poi meglio definito le minacce alla sicurezza
previste per il decennio venturo.3
Secondo l’Ammiraglio Sanfelice di Monteforte4
si possono fare alcune rapide considerazioni sulla
base del documento. Anzitutto, lo scopo inespresso è in mantenimento della situazione di relativa
prosperità che esiste nell’Occidente. In secondo luogo, il concetto di “sicurezza” si differenzia da
quello di “difesa”: il concetto di “difesa” si presta a poche obiezioni, mentre la “sicurezza” è
anzitutto una sensazione collettiva, e quindi appartiene alla sfera “politica”. Inoltre, esso tende a
essere spiralizzante: meglio si sta, più ci si preoccupa della sicurezza. Infine, “l’aumento della
sicurezza di uno Stato o di qualsiasi sua componente si traduce inevitabilmente in un aumento
dell’insicurezza per gli altri” (Gen. Jean): in breve la NATO incaricandosi di garantire la sicurezza
dell’alleanza può trovarsi coinvolta in situazioni difficili da controllare, senza averne adeguati
strumenti. Inoltre, laddove il documento parla di “strumenti politici e militari” e non più di
“approccio omnicomprensivo”, segna una certa rassegnazione ad accantonare al ruolo di
ricostruzione. Questo approccio è d’altronde perfettamente coerente con l’iniziale accezione della
cosiddetta “Europa della sicurezza e Difesa” (UEO prima e CSPD poi), dato che l’Alleanza aveva
sempre proposto la propria struttura militare come braccio esecutivo dell’Unione, cui rimaneva il
compito di stabilizzazione e ricostruzione. In quest’ottica, una stretta cooperazione Ue- NATO si
pone come ulteriore tassello per lo sviluppo di un comprehensive approach, un approccio globale
internazionale alla gestione delle crisi (principio ribadito nel vertice di Chicago 2012), che richiede
l’applicazione effettiva sia di strumenti militari sia di strumenti civili.
Analogamente alla NATO, anche l’Ue si è dotata di una strategia europea in materia di sicurezza
(ESS), elaborata da Javier Solana, allora Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza
3
http://www.ilcaffegeopolitico.org/22151/evoluzione-della-nato-cosa-cambia-dopo-il-summit-in-galles
4
http://www.atlanticocisalpino.it/index.php/articoli/approfondimenti/80-i-concetti-strategici-della-nato-e-dell-ue
6. 6
comune (PESC) e approvata dal Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles il 12 dicembre 2003.
Anch’esso, come il corrispettivo prodotto in seno all’Alleanza, manifesta la volontà di superare una
fase di profonde divisioni tra i partner in merito all’intervento militare in Iraq ed individua tre
obiettivi strategici che l’Ue deve porsi per “difendere la sua sicurezza e promuovere i suoi valori”.
Sono obiettivi di natura non esclusivamente militare, ed inseriti tanto nell’ambito della PESC
quanto nell’ambito PSCD: 1) affrontate le minacce; 2) estendere la zona di sicurezza/stabilità nel
vicinato europeo; 3) ordine internazionale fondato sul multilateralismo efficace. Nel 2008, il
“Rapporto sull’attuazione della Strategia Europea in materia di sicurezza” ne ha poi rafforzato ed
aggiornato il contenuto, fornendone al tempo stesso un bilancio sull’attuazione. Più recentemente,
il Consiglio Europeo di dicembre 2013, è stato dedicato specificatamente al tema della Difesa
Comune Europea, e ha visto la conferma di una Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC)
che continuerà a svilupparsi in piena complementarietà con la NATO, nell’ambito della partnership
stipulata e nel rispetto dell’autonomia e delle procedure decisionali di entrambi i partner. Ciò
significa che l’Ue deve disporre dei mezzi necessari e mantenere un livello sufficiente di
investimenti. Prioritaria tra gli impegni presi è la cooperazione per lo sviluppo delle capacità
militari che deve mirare a garantire l'interoperabilità. Nelle Conclusioni del recente Vertice NATO
di Newport 2014 si è ribadito che l'UE resta un partner unico ed essenziale per la NATO e che le
due organizzazioni condividono valori ed interessi strategici comuni. La NATO riconosce
l'importanza di una Difesa europea più forte e capace, in grado di rendere più forte anche
l’Alleanza Atlantica.
Mentre i rapporti sul terreno sono normalmente fluidi e costruttivi, il dialogo politico-strategico è
intermittente e contraddittorio, nonostante, sulla carta, i meccanismi di cooperazione istituzionale
NATO-UE appaiano organici e articolati. Restano ad esempio un reale ostacolo l’irrisolta disputa
tra Cipro (membro dell’UE, ma non della NATO) e la Turchia (membro della NATO ma non
dell’UE). Margini di cooperazione ancora inesplorata esistono in particolare nel dialogo politico-
strategico e nella definizione di un’agenda complessiva comune. A tal riguardo, sarebbe auspicabile
avviare un processo di revisione della Strategia di sicurezza europea, datata al 2003, che appare
rimasta indietro rispetto al Nuovo Concetto strategico della NATO. È quindi ovviamente possibile
migliorare la cooperazione sul campo. L’indiscutibile superiorità della NATO rispetto all’Ue in
termini di risorse e capacità militari potrebbe suggerire l’impiego dell’Alleanza in operazioni ad alta
intensità di combattimento o che prevedano una robusta presenza militare, in modo da contenere o
prevenire l’esplosione di violenze in aree instabili. L’Ue, anche in ragione dei suoi assets non
militari di gestione delle crisi, potrebbe per contro essere più adatta ad operare in zone già
parzialmente pacificate o dove i rischi di escalation siano limitati e con compiti di ricostruzione e
7. 7
assistenza, più che di combattimento o di ristabilimento dell’ordine. Una prima forma di sinergia
già attuabile è quella del "passaggio di consegne" tra missioni NATO e missioni PSDC una volta
che le condizioni di sicurezza siano sufficientemente stabili. Il comprehensive approach alle crisi
potrebbe dunque costituire il grimaldello che apre la porta ad una cooperazione più strutturata tra la
NATO e l’Ue. Quest’ultima potrebbe mettere a disposizione della NATO le sue capacità civili di
gestione delle crisi (assistenza amministrativa e giudiziaria, forze di polizia, controllo delle
frontiere, ecc.), così come l’Ue si serve degli assets NATO per condurre alcune operazioni militari
in base agli accordi Berlin Plus.
2. LE SFIDE IN CORSO: LO SCENARIO UCRAINO
Senza scendere in giudizi sulle azioni, militari e non, intraprese da Mosca nell’ancora aperto
conflitto Ucraino, dal punto di vista degli equilibri internazionali è interessante osservare quella che
è una manifestazione del riscoperto interesse nazionalistico russo, tendente alla ricostruzione di una
fascia di sicurezza e influenza lungo i propri confini. La politica estera di Mosca si era fatta
progressivamente più aggressiva a partire dal secondo conflitto iracheno (2003), giungendo ad una
sempre più marcata contrapposizione con la NATO, dopo una fase di apparente distensione e
apertura tra gli ex nemici storici.
Diversi sono i fattori che hanno contribuito a deteriorare i rapporti sino ad una radicalizzazione da
parte russa. Da un punto di vista geopolitico, l’espansione progressiva verso Est di NATO e Ue, i
difficili rapporti con l’amministrazione Bush e lo scoppio delle rivoluzioni “colorate” in Georgia
prima (2003) e Ucraina poi (2004) con l’avallo dell’Occidente, hanno causato forti reazioni
nazionalistiche nell’élite russa, ridestando quella storica paura di “accerchiamento” che
tradizionalmente influenza le scelte strategiche di Mosca. Da un punto di vista economico, la
crescita russa, legata in particolar modo al settore petrolifero che ha beneficiano a lungo dell’alto
prezzo del greggio sui mercati internazionali, ha garantito a Putin una certa capacità di manovra.
Inoltre, lo sviluppo economico cinese ha secondo alcuni rappresentato un input per l’élite russa a
perseguire il tradizionale progetto di ridimensionamento globale degli Stati Uniti. 5
In
contrapposizione a questi scenari, Mosca ha strutturato la sua proposta di Unione Euroasiatica, volta
ad estendere la propria influenza su realtà come Estonia, Lettonia e Lituania, mai del tutto uscite
dall’orbita di influenza russa ed abitate da nutrite minoranze russofone, come la Crimea.
5
http://www.europinione.it/sicurezza-in-europa-tra-nato-ue-e-la-russia/
8. 8
La gestione della crisi ucraina ha mostrato tutti i difetti della politica estera di un’Unione Europea
che si è mostrata ancora una volta poco reattiva, non compatta, concentrata sulle problematiche
economico-finanziarie e non su una visione d’insieme, e ha dunque riaperto il dibattito
sull’opportunità di una Politica Estera di Sicurezza Comune e Una Politica Europea di Sicurezza e
Difesa più integrate, con un vero e proprio esercito europeo a rafforzare l’autorevolezza dell’Ue in
ambito internazionale. Per quel che riguarda il tema qui trattato, è evidente che un passo di questo
tipo comporterebbe anche un cambiamento negli equilibri con la NATO, da cui la politica di Difesa
UE potrebbe progressivamente affrancarsi. Occorrerà sotto questo punto di vista dividere oneri e
responsabilità tra le due sponde dell’Atlantico in modo da evitare inutili sovrapposizioni di strutture
e funzioni. Dal mondo politico giungono in questi giorni svariate dichiarazioni d’intenti in funzione
di una maggiore cooperazione. Si pensi alle parole dell’Alto Commissario Mogherini in chiusura
del vertice internazionale di Antalya in cui si è parlato di tensioni con la Russia, immigrazione, crisi
Libica (“Ue e Nato hanno nature diverse ma interessi comuni” e l’UE “non necessariamente”
risponde alle crisi con un “approccio militare”, benché questo non possa essere escluso a priori),6
o
a quelle del Ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier (“La cooperazione tra Ue e Nato
sarà intensificata. Il modo in cui questo processo sarà portato avanti verrà discusso ad un
prossimo incontro a Bruxelles tra l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e il
Segretario generale della NATO”)7
, che ha fatto particolare riferimento alla “guerra ibrida” (che
utilizza cioè non solo mezzi strettamente militari ma anche cyberattacchi, disinformazione, tagli alle
forniture del gas e ritorsioni economiche) di Putin. Anche dai vertici NATO arrivano messaggi in
tal senso “Dobbiamo lavorare assieme per gestire le crisi, portare sollievo e proiettare stabilità
oltre i nostri confini” dal momento che questa “è una fase critica per la sicurezza dei nostri Paesi”,
ha detto pochi mesi fa il Vice Segretario Generale Alexander Versbow, secondo cui “la comunità
euro-atlantica deve affrontare nuove minacce e sfide, sia sulle frontiere orientali sia su quelle
meridionali”. La NATO preme per mantenere un atteggiamento assertivo verso una Russia che
“viola le regole internazionali” destabilizzando Ucraina e stati limitrofi, mentre riconosce
all’Unione Europea “un ruolo chiave per aiutare paesi come Ucraina, Georgia e Moldavia nelle
riforme politiche ed economiche, per costruire istituzioni forti e combattere la corruzione”. 8
Opinioni analoghe sono state ribadite successivamente dal Segretario Generale Stoltenberg 9
anche
6
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2015/05/14/nato-ue-mogherini-sfide-comuni_1cecf0f2-4dcc-4e91-
a2f0-b3e5c272cb12.html ; http://www.affaritaliani.it/affari-europei/nato-ue-367235.html
7
http://it.sputniknews.com/politica/20150514/388484.html
8
http://www.nato.int/cps/en/natohq/news_117948.htm?selectedLocale=en
9
http://www.nato.int/cps/en/natohq/news_118367.htm?selectedLocale=en
9. 9
in seguito ai vertici europei, 10
a suggerire che sia questa la strada intrapresa dal partenariato euro-
atlantico sulla questione ucraina.
3. LE SFIDE IN CORSO: LO SCENARIO MEDITERRANEO
Per secoli il mar Mediterraneo è stato uno dei principali centri di espansione commerciale, politica
ed intellettuale del pianeta. Per l’Europa, ha rappresentato un’enorme opportunità culturale,
economica e strategica, caratteristiche che potrebbero risultare persino enfatizzate dall’escalation
della crisi diplomatica tra i membri dell’unione e la federazione russa, ma che risultano messe a
repentaglio dalle criticità che provengono dalle coste sud del Mediterraneo. Le regioni nordafricana
e mediorientale sono dilaniate dai due epicentri dei conflitti libico e siriano, dall’avanzata
prepotente dell’autoproclamato Stato Islamico con le sue atrocità e da tutta una serie di crisi locali
che sono causate e al tempo stesso alimentano un’instabilità generale della regione, favorendo tra
l’altro traffici illeciti sovranazionali di vario genere, dalla vie della droga alla tratta di esseri umani.
Il mondo arabo, già diviso dalle divergenze sunnita-sciite, vede oggi il radicalizzarsi dello scontro
intra-sunnita e dell’islamismo politico, in una galassia di movimenti un tempo visti di buon occhio
dalle potenze occidentali e ora apparentemente sfuggiti a qualsiasi forma di controllo. Nel
recentemente pubblicato “Libro Bianco per la Difesa”, il governo italiano pone in primo piano
proprio la crisi dello Stato tradizionale nel Mediterraneo come emergenza principale del contesto
geopolitico: l’assenza o la debolezza di controparti istituzionali su cui fare affidamento, impedisce
lo sviluppo di un sistema di sicurezza regionale in grado di neutralizzare le minacce che gravano
sempre più forti a sud dell’Ue, motivo per cui l’Italia intende adottare un approccio multilaterale
alla sicurezza internazionale, ricalcando temi che dovrebbero essere proposti con maggiore vigore a
livello europeo, ovvero: la condivisione della sicurezza e della difesa entro un’”architettura
condivisa multinazionale”; la partecipazione attiva alla sicurezza e difesa sia nella prevenzione,
nella deterrenza e nella eliminazione di minacce, sia nel contributo per garantire condizioni di pace
e sviluppo; la molteplicità dei campi d’azione, non limitata alla mera azione militare, ma inserita in
una cornice diversificata e pluridisciplinare. 11
La crisi Libica riguarda da molto vicino il nostro Paese ed è emblema tanto della difficoltà di
operare in determinati contesti geopolitici, tanto delle problematiche che ancora limitano il processo
di piena integrazione europea sui temi di Difesa e Politica Estera e di collaborazione tra Unione e
10
http://www.nato.int/cps/en/natohq/opinions_119822.htm
11
http://www.difesa.it/Primo_Piano/Documents/2015/04_Aprile/LB_2015.pdf
10. 10
NATO. Svariate sono le criticità e gli interessi che non permettono una visione univoca della crisi.
Al momento dell’intervento la comunità internazionale era compatta nell’intenzione di impedire la
minaccia posta da Gheddafi nei confronti dei ribelli, si agiva pertanto nell’ambito della
Responsibility to Protect; ma non sono mancate anche pressioni di tipo politico, in particolare da
Parigi. La gestione è però risultata inefficace, lasciando il campo ad una situazione di estrema
instabilità. Come in molti Paesi che hanno vissuto le Primavere Arabe, l’entusiasmo della
rivoluzione ha lasciato spazio ad un caos generalizzato e sfociato in una guerra civile in cui è prima
di tutto difficile scindere le parti in causa cui fornire eventuale appoggio politico e/o militare.
Secondo molti esperti, un intervento armato in Libia in questo momento sarebbe controproducente.
Anzitutto la situazione non è cristallizzata ma è al contrario ancora fluida e non permette facili
letture. In secondo luogo, quella che si delinea in Libia è un’emergenza sociale che renderebbe
inutile se non dannoso un intervento di tipo militare senza solide basi che preludano ad un futuro
stabile nella regione. Anche eventuali sanzioni o blocchi navali rischierebbero di essere
controproducenti per un Paese ormai al collasso, e che anzi necessiterebbe di un massiccio
intervento di aiuti internazionali , in attesa di ridurne la grave dipendenza dal settore pubblico e
dalle esportazioni di petrolio; senza considerare la basilare mancanza di coesione dei Paesi
occidentali e di quelli arabi sul futuro del Paese. Servirebbe un dialogo tra mondo arabo, Unione
Africana e occidente per trovare obiettivi realmente condivisi da cui partire, anche attraverso la
legittimazione alle proprie azioni fornita dalle Organizzazioni Internazionali africane o comunque
dalle unità statuali limitrofe più solide.12
A seguito di un’adeguata attività diplomatica volta a
stabilizzare il Paese scongiurando nuovi vuoti di potere, rivolte ed ipotetiche derive islamiste,
potrebbe allora risultare utile una presenza militare in forma di peace-keeping e capacity-building,
attività in cui l’Europa si è sempre mostrata particolarmente capace, mentre l’intervento armato
dovrebbe essere limitato a singole operazioni mirate, da svolgersi con forze speciali in caso di
necessità. L’Italia, oltre ad avere una conclamata ed apprezzata esperienza in attività di sostegno
alla ricostruzione statuale, ha tutto l’interesse nel cercare di districare l’ingarbugliata situazione
libica, quale partner storico del Paese a livello economico-commerciale. L’intelligence italiana
conosce bene il territorio libico e potrebbe collaborare fruttuosamente con i corrispettivi dei Paesi
arabi se venisse organizzata una maggiore cooperazione in tal senso.
La sua posizione strategica ha reso il nostro Paese crocevia dei network di origine nordafricana in
rotta verso il resto d’Europa, e come tale l’Italia svolge un ruolo cruciale anche nella lotta alle
minacce che attraversano il Mediterraneo. In un mondo globalizzato emerge sempre più
12
http://www.comitatoatlantico.it/it/documenti/la-libia-e-il-futuro-della-sicurezza-cooperativa/
11. 11
chiaramente l’incapacità degli Stati di agire singolarmente e la necessità di una sinergia di sforzi tra
gli alleati europei. In quest’ottica la partecipazione alle missioni NATO e all’estero non è solo
legata al vincolo di solidarietà con i Paesi partner, ma è volta soprattutto alla tutela degli interessi
nazionali e del sistema-Paese. Operazioni che comprendono sia la prevenzione di minacce alla
sicurezza nazionale, come nel caso della lotta al terrorismo e alla pirateria, sia quelle agli interessi
energetici ed economici, come nel caso di normalizzazione e stabilizzazione politica di alcune aree,
il mantenimento della pace e la prevenzione dei conflitti. Per questo l’Italia ha sempre dato pieno
supporto alle missioni NATO, anche nei Paesi più geograficamente distanti o dove non vi erano
particolari interessi nazionali, contribuendo in termini finanziari, operativi e umanitari. In virtù di
questa evoluzione dal concetto di difesa collettiva a sicurezza cooperativa, nonché della sua
posizione strategica, l’Italia deve cercare di svolgere un ruolo il più possibile propulsivo in seno
all’Alleanza.13
Dal 2002 il nostro Paese è promotrice dell’avvicinamento della Nato alla Russia e
della creazione di un Consiglio Nato-Russia; allo stesso modo è impegnata nel dialogo
mediterraneo e a rafforzare le relazioni nell’Adriatico con i Paesi balcanici candidati all’Alleanza.
Per perorare i propri interessi di sicurezza nazionale, l’Italia deve mantenere e possibilmente
accrescere la credibilità acquisita nel tempo, migliorando in particolar modo la propria
interoperabilità con le Forze Alleate tramite un sempre maggiore ammodernamento e una sempre
maggiore professionalizzazione del proprio apparato militare, obiettivo d’altronde dichiarato della
nostra Difesa e perseguito tramite il processo di riforma dello Strumento Militare nazionale avviato
con la legge 244/2012.
4. CONCLUSIONI
Si sono cercati di delineare a grandi linee i passi avanti e le problematiche che hanno caratterizzato
il recente operato dell’Ue e della NATO nello scenario allargato di interesse italiano ed europeo.
Un nodo cruciale per il futuro della partnership euro-atlantica e per il destino degli equilibri
geopolitici in seno e attorno all’Europa, potrebbe essere rappresentato dalla ridefinizione del
rapporto NATO-Ue-Russia. Le ultime dichiarazioni dei vertici istituzionali lasciano bene intendere
quali siano le intenzioni degli Stati Uniti rispetto a Mosca e alla sua “guerra ibrida”, ma non pochi
analisti concordano nel ritenere poco lungimirante un eccessivo isolamento della Russia negli
equilibri internazionali e una sua esclusione dalla gestione delle crisi in atto. La Russia potrebbe per
13
http://www.formiche.net/2014/09/01/nato-galles-manciulli/
12. 12
esempio ritagliarsi un ruolo importante nella risoluzione della crisi libica, anche in funzione del
dialogo che sta portando avanti con l’Egitto, oltre che per il benestare ad un’eventuale risoluzione
ONU.14
Dal canto suo la Russia potrebbe trovare nel Mediterraneo una sponda a sud (in cui rientra
anche il suo ruolo in Siria-Iraq) per alleviare la pressione a est (Ucraina-Baltico).
Quanto alla ridefinizione del rapporto NATO-Ue, appare scontato come, se da un lato la
costituzione di vero e proprio esercito europeo porterebbe l’Unione ad agire con maggior forza,
compattezza ed autorevolezza in ambito internazionale e a fare un passo decisivo nella propria
integrazione, dall’altro lato questo porterebbe ad un cambiamento di equilibri con la NATO. La
sovrapposizione che verrebbe a crearsi ridimensionerebbe il peso dell’Alleanza sul continente, ma è
un affrancamento che l’Ue non sembra in grado di affrontare al momento, e forse non solo per
questioni operative, stando al ripiegamento sui singoli interessi nazionali evidenziato dagli Stati
membri negli ultimi anni. La stessa risposta tardiva e i contrasti tra le principali potenze europee
riguardo al futuro dell’Ucraina e ai rapporti con la Russia, sono cartina di tornasole dell’immaturità
europea in termini di politica estera, e non è ancora pronosticabile se, nel suo essere espressione
massima della cessione di sovranità nazionale, una strategia di politica estera e di difesa comune
concreta ed effettiva possa oggi rappresentare un volano o per contro un freno all’integrazione
europea.
L’Italia in questi scenari ha un ruolo cruciale conferitole dalla sua posizione geografica e dai
rapporti che ha tessuto negli anni con il partner libico e con la Russia. La collocazione mediterranea
espone il Paese ai rischi delle criticità in atto e ai traffici illegali che attraversano il Mare Nostrum
con tutti le minacce connesse. A livello di dichiarazione di intenti l’Ue si è detta disposta ad un
maggiore sostegno e una più profonda cooperazione per contenere le emergenze del Mediterraneo,
ma è presto per verificare la reale volontà o quantomeno la reale efficacia delle contromisure
studiate. L’Italia dovrà lavorare, possibilmente col supporto degli altri Stati del sud dell’Europa, per
riequilibrare l’agenda europea in funzione di una maggiore attenzione alle crisi che provengono
dall’area mediterranea, dopo anni di “schiacciamento baltico”. In questo senso fanno ben sperare gli
studi approfonditi dell’European Union Institute of Strategic Studies (EUISS), think tank di punta
europeo che ha recentemente posto l’attenzione sul Maghreb e la Libia. Lo studio EUISS “Tre
scenari al 2025 per il mondo arabo” delinea un possibile “balzo arabo” in cui la stabilizzazione
libica ha un ruolo fondamentale e vede la partecipazione di Algeria ed Egitto, con la prima a contro-
14
http://www.formiche.net/2015/03/04/renzi-putin-russia-libia/ ; http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-03-
05/renzi-mosca-porta-mazzo-fiori-ricordo-nemtsov-080427.shtml?uuid=ABahMT4C
13. 13
bilanciamento del fatto egiziano.15
L’Italia dovrà cercare di svolgere un ruolo attivo in nome della
sua expertise nel Paese e delle sue capacità di peace-building, ma dovrà farlo avendo ben chiaro
quali siano gli interessi nazionali, da perseguire in maniera coerente coi tradizionali interessi
energetici ma senza anteporre questi ultimi ad una visione strategica d’insieme come successo in
passato. 16
La crisi libica con le sue sfaccettature è un banco di prova per tutte le parti in causa:
l’Italia dovrà dimostrare di essere in grado di proporre una lettura strategica d’ampio raggio, il
comprehensive approach del partenariato euro-atlantico dovrà dare risposte coerenti alle diverse
dimensione delle moderne sfide alla sicurezza, NATO e Ue potranno dare prova tangibile della
dichiarata volontà di una più stretta cooperazione. Se è vero che è di fronte alle minacce che
alleanze ed organizzazioni internazionali hanno spesso fatto passi decisivi per il proprio sviluppo,
la crisi libica presenta numerosi fattori che se colti ed efficacemente combinati, offrono
un’opportunità per rinnovare i partenariati e il ruolo delle istituzioni euro-atlantiche nella regione
mediterranea.
15
http://www.iss.europa.eu/uploads/media/Report_22_Arab_futures.pdf
16
http://www.analisidifesa.it/2015/02/libia-15-errori-da-non-ripetere/